Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

87
APOLOGIA DI SOCRATE (Aleksis) Scuola di Calogero e Giannantoni. Edizione Burnet. cfr. De Ruggero - Platone. Diogene Laerzio. L'opera di Diogene Laerzio è importante perché sono narrate tutte le testimonianze su Platone. Platone (nato: 428/427). Platone come fondatore della metafisica. Il percorso di Platone è curioso: figlio aristocratico, di educazione poliedrica, predestinato alla carriera politica. Dopo Pericle, durante la guerra del Peloponneso, tutte le POLIS greche stanno perdendo il loro potere. Siamo in un periodo della storia greca con una successione di guerre, e ci sono dei grandi rivolgimenti: i 30 tiranni -- Crizia [parentela con Platone] era coinvolto. Platone era di estrazione aristocratica e contrario alla democrazia. Ha sempre sostenuto l'oligarchia; Platone segue gli studii tradizionali; si prepara ad assumere una carriera politica. Pare sia stato discepolo di Cratilo (attestazione di Aristotele). Il grande incontro è quello con Socrate: l'incontro con il filosofo. [I semestre dedicato ai dialoghi socratici]. L'incontro con Socrate è anche di più. 399 a.C. Socrate muore. Questa data segna un conflitto giunto fino a noi: il conflitto tra politica e filosofia, tra la città e l'uomo. [Filosofia?] al margine della città, ovvero dove aveva indicato Socrate. Platone per prima cosa [prima opera] scrive l'Apologia. La filosofia assume il significato dato da Socrate e Platone in contrasto con la società. Platone rinunzia alla politica [attiva]; ma con delle eccezioni: nella Repubblica afferma che il buon governo è il governo dei filosofi. Solo la filosofia può essere il cammino verso l'amministrazione (brutta parola) del bene pubblico. Chi ha condannato Socrate ha anche messo a repentaglio la POLIS. Come Heidegger, il rapporto con la politica è stato difficile. Un documento sulla vita è la VII lettera. Prima considerata spuria, ora considerata autentica. Platone appartiene anche alla Magna Grecia. Nei suoi viaggi farà incontri importanti: Timeo a... etc. Subito dopo la morte di Socrate, gli allievi si trasferirono [via] da Atene. Euclide da Megara va a Megara. Anche Platone va via, prima forse in Egitto, poi a Cirene ed infine a Siracusa. Platone vi si reca per poter sperimentare il governo dei filosofi, dove Dionigi I governa... e del parente Dione [mezzo allievo di Platone]. Tramite lui cerca di creare il suo governo eletto. Viva il Tiranni, morte al DEMOS. Platone oligarchico. 3 viaggi a Siracusa. Tutti male. Viene fatto prigioniero, schiavo e viene riscattato. Negli altri rischia pure la vita. Archita di Taranto intercede per salvarlo. Heidegger ha aderito al Nazismo, dal quale non ha mai preso le distanze: la "Siracusa di Heidegger" sulle tracce di Platone. DER FUHREN FUHRER. Quando rietra fonda l'Accademia. Scrive opere non socratiche e si occuperà delle "Leggi" (la APOLOGIA DI SOCRATE (Cecilia) La fonte più importante riguardo alla vita di Platone è l’opera “Vite dei filosofi” di Diogene Laerzio, che raccoglie varie testimonianze della vita del filosofo. Platone nasce nel 428/427 a.C.: la data di nascita è mitica, essendo una figura leggendaria, per cui viene ricondotta al mito il nome è pseudonimo e significa “spalle larghe”. Platone proviene da una famiglia aristocratica di Atene ed ebbe, come previsto, un’educazione poliedrica, per cui il suo è il curriculum di un giovane aristocratico destinato alla carriera politica. Egli vive in un’epoca complessa della storia greca, infatti siamo nel periodo dopo Pericle: Platone vive nell’ultima fase importante della storia di Atene, che già va comunque perdendo, insieme ad altre città, il proprio prestigio; da una parte si succedono guerre (come la guerra del Peloponneso), dall’altra vi sono grandi rivolgimenti (come il regime dei 30 tiranni, in cui è coinvolto lo zio di Platone, Crizia). Platone, politicamente, era contrario alla democrazia, come Aristotele: egli ha sempre sostenuto la necessità di un governo oligarchico che, nel suo pensiero, assumerà connotati curiosi. Il percorso di studi di Platone è tradizionale ed egli si prepara ad assumere la carriera politica ad Atene. Sembra sia stato allievo di Cratilo (discepolo di Eraclito), figura di cui parla sia Platone nell’omonima opera, sia Aristotele nella Metafisica – Aristotele gli attribuisce la dottrina del “panta rei”, anche se la teoria che appartiene a Cratilo è “l’armonia dei contrari”. Il grande incontro della vita di Platone è con Socrate (l’incontro con il “filosofo”) – nei “Dialoghi socratici” Platone parla del maestro, parlando anche di sé. Per lui comunque costituisce l’incontro con la filosofia. La data in cui Socrate viene processato (399 a.C.) e condannato a morte, è importante, perché ad essa segue una cesura, un conflitto, che si protrarranno nell’Occidente per tutta la sua storia conflitto tra politica e filosofia/città e filosofo, che rimane molto attuale. Il conflitto non porta ad una sconfitta della filosofia, che resterà al “margine della città”, luogo che Socrate aveva indicato. La morte di Socrate costituisce un evento significativo anche nella vita di Platone, il quale era predestinato alla carriera e alla vita politica: egli scrive l’”Apologia di Socrate” (prima opera di Platone), in cui testimonia il processo, riportando quanto avvenuto, le accuse mosse a Socrate e la decisione valorosa di Socrate, che non vuole andare in esilio nel “Fedone” , verso la fine, è scritta la morte del filosofo. Platone si autodescrive nell’Apologia, mentre resta assente nel Fedone. La filosofia assume il significato che Socrate aveva dato alla filosofia,

description

hok

Transcript of Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Page 1: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

APOLOGIA DI SOCRATE (Aleksis)

Scuola di Calogero e Giannantoni. Edizione Burnet. cfr. De Ruggero - Platone.

Diogene Laerzio. L'opera di Diogene Laerzio è importante perché sono narrate

tutte le testimonianze su Platone. Platone (nato: 428/427). Platone come

fondatore della metafisica. Il percorso di Platone è curioso: figlio aristocratico,

di educazione poliedrica, predestinato alla carriera politica. Dopo Pericle,

durante la guerra del Peloponneso, tutte le POLIS greche stanno perdendo il

loro potere. Siamo in un periodo della storia greca con una successione di

guerre, e ci sono dei grandi rivolgimenti: i 30 tiranni -- Crizia [parentela con

Platone] era coinvolto. Platone era di estrazione aristocratica e contrario alla

democrazia. Ha sempre sostenuto l'oligarchia; Platone segue gli studii

tradizionali; si prepara ad assumere una carriera politica. Pare sia stato

discepolo di Cratilo (attestazione di Aristotele). Il grande incontro è quello con

Socrate: l'incontro con il filosofo. [I semestre dedicato ai dialoghi socratici].

L'incontro con Socrate è anche di più. 399 a.C. Socrate muore. Questa data

segna un conflitto giunto fino a noi: il conflitto tra politica e filosofia, tra la

città e l'uomo. [Filosofia?] al margine della città, ovvero dove aveva indicato

Socrate. Platone per prima cosa [prima opera] scrive l'Apologia. La filosofia

assume il significato dato da Socrate e Platone in contrasto con la società.

Platone rinunzia alla politica [attiva]; ma con delle eccezioni: nella Repubblica

afferma che il buon governo è il governo dei filosofi. Solo la filosofia può

essere il cammino verso l'amministrazione (brutta parola) del bene pubblico.

Chi ha condannato Socrate ha anche messo a repentaglio la POLIS. Come

Heidegger, il rapporto con la politica è stato difficile. Un documento sulla vita

è la VII lettera. Prima considerata spuria, ora considerata autentica. Platone

appartiene anche alla Magna Grecia. Nei suoi viaggi farà incontri importanti:

Timeo a... etc. Subito dopo la morte di Socrate, gli allievi si trasferirono [via]

da Atene. Euclide da Megara va a Megara. Anche Platone va via, prima forse

in Egitto, poi a Cirene ed infine a Siracusa. Platone vi si reca per poter

sperimentare il governo dei filosofi, dove Dionigi I governa... e del parente

Dione [mezzo allievo di Platone]. Tramite lui cerca di creare il suo governo

eletto. Viva il Tiranni, morte al DEMOS. Platone oligarchico. 3 viaggi a

Siracusa. Tutti male. Viene fatto prigioniero, schiavo e viene riscattato. Negli

altri rischia pure la vita. Archita di Taranto intercede per salvarlo. Heidegger

ha aderito al Nazismo, dal quale non ha mai preso le distanze: la "Siracusa di

Heidegger" sulle tracce di Platone. DER FUHREN FUHRER. Quando rietra

fonda l'Accademia. Scrive opere non socratiche e si occuperà delle "Leggi" (la

APOLOGIA DI SOCRATE (Cecilia)

La fonte più importante riguardo alla vita di Platone è l’opera “Vite dei

filosofi” di Diogene Laerzio, che raccoglie varie testimonianze della vita del

filosofo.

Platone nasce nel 428/427 a.C.: la data di nascita è mitica, essendo una figura

leggendaria, per cui viene ricondotta al mito – il nome è pseudonimo e

significa “spalle larghe”. Platone proviene da una famiglia aristocratica di

Atene ed ebbe, come previsto, un’educazione poliedrica, per cui il suo è il

curriculum di un giovane aristocratico destinato alla carriera politica. Egli vive

in un’epoca complessa della storia greca, infatti siamo nel periodo dopo

Pericle: Platone vive nell’ultima fase importante della storia di Atene, che già

va comunque perdendo, insieme ad altre città, il proprio prestigio; da una parte

si succedono guerre (come la guerra del Peloponneso), dall’altra vi sono grandi

rivolgimenti (come il regime dei 30 tiranni, in cui è coinvolto lo zio di Platone,

Crizia). Platone, politicamente, era contrario alla democrazia, come Aristotele:

egli ha sempre sostenuto la necessità di un governo oligarchico che, nel suo

pensiero, assumerà connotati curiosi. Il percorso di studi di Platone è

tradizionale ed egli si prepara ad assumere la carriera politica ad Atene.

Sembra sia stato allievo di Cratilo (discepolo di Eraclito), figura di cui parla sia

Platone nell’omonima opera, sia Aristotele nella Metafisica – Aristotele gli

attribuisce la dottrina del “panta rei”, anche se la teoria che appartiene a Cratilo

è “l’armonia dei contrari”.

Il grande incontro della vita di Platone è con Socrate (l’incontro con il

“filosofo”) – nei “Dialoghi socratici” Platone parla del maestro, parlando anche

di sé. Per lui comunque costituisce l’incontro con la filosofia. La data in cui

Socrate viene processato (399 a.C.) e condannato a morte, è importante, perché

ad essa segue una cesura, un conflitto, che si protrarranno nell’Occidente per

tutta la sua storia – conflitto tra politica e filosofia/città e filosofo, che rimane

molto attuale. Il conflitto non porta ad una sconfitta della filosofia, che resterà

al “margine della città”, luogo che Socrate aveva indicato. La morte di Socrate

costituisce un evento significativo anche nella vita di Platone, il quale era

predestinato alla carriera e alla vita politica: egli scrive l’”Apologia di Socrate”

(prima opera di Platone), in cui testimonia il processo, riportando quanto

avvenuto, le accuse mosse a Socrate e la decisione valorosa di Socrate, che non

vuole andare in esilio – nel “Fedone” , verso la fine, è scritta la morte del

filosofo. Platone si autodescrive nell’Apologia, mentre resta assente nel

Fedone. La filosofia assume il significato che Socrate aveva dato alla filosofia,

Page 2: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

leggenda racconta che morì scrivendo quest'opera). Speusippo, Senocrate,

Aristotele. L'Accademia non era solo un'istituzione come quelle moderne; ma

era pensata per il SUNFILOSOFEIN, filosofare insieme, vivere insieme

[influsso dei Pitagorici]. E' molto probabile che l'idea che vivere assieme fosse

necessario per imparare a filosofare... Platone la eredita dai Pitagorici. Seguire

insieme una condotta di vita. I pitagorici per anni non potevano parlare; ma

dovevano serbare le parole del maestro. Insegnamento esoterico. In parte ciò

valeva anche per l'Accademia, e riprende l'idea che gli allievi debbano seguire

il maestro: insegnamento esoterico. Due tipi di lezione: 1. uso interno: solo per

gli allievi. 2. lezioni pubbliche. Gli studiosi sono concordi nel dire che nei

dialoghi i temi sono quelli delle prime. Nasce da qui [la diatriba per]

un'interpretazione diversa di Platone. Aristotele dice AGRAFTA DOGMATA:

le famose dottrine non scritte per gli adepti. Platone introduce una distinzione:

1. allievi che studiano filosofia; ma poi vanno via. 2. coloro predestinati alla

teoresi. DOTTRINE NON SCRITTE: studiate nella seconda metà del '900.

Giovanni Reale e la scuola di Tubinga[-Milano]. Tubinga città universitaria.

Gaiser: in realtà gli AGRAFTA DOGMATA dovevano essere le dottrine più

importanti. La scuola di Tubinga si rifà ad Aristotele per dire che queste sono

le IDEE-NUMERO, l'UNO e la DIADE: principii di tutte le cose.

MATEMATIZZAZIONE DEI PRINCIPII ONTOLOGICI DI PLATONE.

Critiche: Gadamer ha detto che queste dottrine sono importanti; ma bisogna

tener conto dei dialoghi. Chi da importanza ai dialoghi ne considera l'aspetto di

metodo per la filosofia: il DIALOGO come MODALITA' DELLA

FILOSOFIA. La Di Cesare ha studiato a Tubinga; però non prescinde dai

dialoghi. Perché abbiamo tanto di Platone? 1. grande fama di Platone. 2. La

filosofia si è sviluppata a partire dai dialoghi di Platone, in stretto confronto

con essi. In tempi diversi alcune opere sono state considerate spurie.

Schleiermacher - Introduzione a Platone. La traduzione di Schleier macher è

stata epoch-making. Magistrale. Schleiermacher ha applicato un metodo di

congruenza linguistica, cosa che ha fatto considerare spurii quasi tutti i

dialoghi. Nel '900 sono stati applicati criterii meno restrittivi. 11 lettere sono

autentiche, tra cui la VII. Dialoghi organizzati in tetralogie, anche se a volte

non se ne capisce il criterio. Stephanus (Henri Estienne), XVI secolo,

grammatico, edizione delle opere di Platone da cui i "numeri di Stephanus".

Gerhardt (editore degli scritti di Leibniz). Testimonianze della scuola di

Tubinga: Gaiser - Testimonianze sulle dottrine non scritte.

in contrasto con la città: l’incontro con Socrate è decisivo, perché Platone

rinuncia alla carriera politica, anche se con delle eccezioni – nella Repubblica

sosterrà che l’unico buon governo della “politeia” è quello dei filosofi, non

teorizza un’esclusione del filosofo, egli è contemporaneamente è al margine

della città, ma si prepara al governo. La filosofia è il cammino verso

l’amministrazione del bene pubblico della città; per Pletone chi ha

responsabilità politiche e ha condannato Socrate è anche chi mette a repentagli

la polis – il rapporto complesso tra il filosofo e la politica è attuale.

Un ulteriore documento della vita di Platone è la VII lettera, considerata non-

autentica; oggi invece prevale la tesi che sia autentica – lettera che parla della

sua vita, della sua persona e dei suoi viaggi a Siracusa. Platone appartiene alla

Grecia e alla Magna Grecia (Italia Meridionale), dove farà incontri importanti

(per esempio Timeo e Todi). Dopo la morte di Socrate, gli allievi di questo

lasciano Atene ed è così che nascono le scuole socratiche minori. Lo stesso

Platone, dopo alcuni anni, lascia la città, recandosi in Egitto, a Cirene, poi a

Siracusa, che insieme ad Atene costituisce un punto di riferimento per Platone.

Siracusa diviene il luogo in cui sperimentare la politeia dei filosofi; stringe

amicizia con Dionigi (tiranno) ed un suo parente, Dione – Platone concentra il

suo progetto politico-filosofico su Dione. Platone non pensa ad una

democrazia, per cui è fondamentale che ci fosse la tirannia, poiché egli

sostiene un governo oligarchico, fatto di pochi, cioè i filosofi. Sono tre i viaggi

a Siracusa, ognuno di questi ha un esito negativo per Platone: nel primo

viaggio viene fatto prigioniero, quindi schiavo, ma viene riscattato grazie alla

sua notorietà; nel secondo viaggio rischia la vita, poiché Dionigi viene

successo da Dionigi II; l’ultima volta in cui si reca a Siracusa, c’è una sorta di

ricatto, per cui intercede Archita di Taranto – se non avesse avuto legami con i

pitagorici non si sarebbe salvato. Heidegger alla stregua di Platone, avrebbe

voluto condurre il conduttore (si parla della “Siracusa di Heidegger) – resta il

rapporto problematico tra la filosofia e la politica.

Dopo i viaggi di Siracusa torna e fonda una scuola, l’Accademia, in cui

trascorre 10 anni, e in cui si cimenta in opere molto diverse da quelle

socratiche, occupandosi di politica – la leggenda dice che morì non appena finì

di scrivere “Nomoi”. L’Accademia ebbe un enorme successo (seguaci come

Speusippo, Aristotele ecc.); essa era pensata per un “sum philosophein”

(“filosofare insieme”), per cui era necessaria una vita in comune. L’idea che

fosse necessario vivere insieme per imparare a filosofare e l’idea di un

particolare rapporto tra maestro e allievo è ereditata dai pitagorici – per i

pitagorici c’erano regole e condotte di vita che comprendevano anche

Page 3: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

l’alimentazione, inoltre c’era un rapporto regolato tra allievo e maestro: non

c’era dialogo, era una scuola autoritaria, in cui vigeva l’insegnamento

esoterico, per cui non si poteva trasmettere al di fuori della scuola ciò che si

era imparato. Ciò in parte funzionava anche per l’Accademia, in cui si riprende

l’idea che chi studia filosofia arriva a maturità molto tardi, dunque gli allievi

seguono il maestro, sulla base di un insegnamento esoterico. Nell’Accademia

si distinguevano due tipi di insegnamento: quello “esoterico”, per cui le lezioni

erano fatte ad uso interno della scuola e per i soli allievi della stessa; quello

“essoterico” che consisteva di lezioni pubbliche.

Da ciò nasce un’interpretazione diversa di Platone; egli parla di “agrapha

dogmata” (“dottrine non-scritte”) – temi che Platone non ha trattato nelle opere

scritte, ma concepite per gli adepti. Platone distingueva: allievi che studiavano

filosofia, per cui però era più urgente la prassi della vita; allievi predestinati

alla teoresi. Nel ‘900 si crea un dibattito filosofico intorno agli “agrapha

dogmata”: nella scuola di Tubinga (nata negli anni ’60, in Germania), dove

insegnò Gaiser, si sostiene l’importanza superiore delle “dottrine non-scritte”

di Platone, rispetto alle altre opere – concezione che si rifà a delle

testimonianze di Aristotele, per cui si sostiene che gli “agrapha dogmata” sono

le idee numero e i due principi (l’uno e la diade) di tutte le cose, che valgono

anche per Aristotele. Dunque la scuola di Tubinga, attraverso i suoi esponenti,

sostiene una ma tematizzazione dei principi ontologici di Platone – Reale

condivide la posizione della scuola di Tubinga. Gadamer, invece, ritiene

ugualmente degni di considerazione i dialoghi platonici. Si tratta quindi di due

interpretazioni diverse della filosofia di Platone: 1) ma tematizzazione

dell’ontologia (Tubinga); 2) importanza del Dialogo (la cui origine è Socrate),

come apertura della filosofia – nei dialoghi socratici c’è il dialogo, come

modalità della filosofia. Le testimonianze delle dottrine non-scritte sono di

Aristotele, e Gaiser raccolse tutte le testimonianze del mondo greco in un

volume.

Comunque tra le opere conservate di Platone vi sono l’Apologia, molti

dialoghi e alcune lettere. Il suo caso è eclatante nella filosofia greca, perché la

tradizione ha conservato un gran numero di opere – motivi: Platone godeva di

una gran fama e ciò ha contribuito; la filosofia si è sviluppata a partire dai

dialoghi platonici, quindi dal confronto con Platone. A seconda delle epoche

son state messe in dubbio delle opere, piuttosto che altre, in particolare

nell’800: Schleiermacher, un teologo protestante, e padre fondatore

dell’ermeneutica nel senso di “teoria dell’interpretazione”, che lui applicava

alle Scritture Sacre, ha tradotto in tedesco le opere di Platone – la sua è una

Page 4: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

traduzione magistrale, ancora usata. Dunque egli ha il merito di aver diffuso

Platone in Germania; inoltre egli ha applicato un metodo basato sulla

congruenza stilistica, e dunque risultavano non-autentici quasi tutti i dialoghi –

posizione severa, rivista nel ‘900, si sono adottati criteri più flessibili, per cui

risulta autentica anche la VII lettera, che è il documento più importante per la

vita e la filosofia di Platone.

Le opere di Platone sono state sistemate in tetralogia, di cui ci sfugge il

criterio; a volte è chiaro sia il contenuto – Apologia, Critone e Fedone sono a

memoria di Socrate. Stephanus XVI (Hanir Estienne): grammatico che curò

un’edizione delle sue opere a cui si fa riferimento – le opere di Platone si

citano non con le pagine, ma con i paragrafi introdotti da Stephanus.

I primi dieci paragrafi fanno capo a diversi temi. Uno di questi è sicuramente il

processo di Socrate, quindi le accuse mosse a suo sfavore e la sua stessa difesa.

In secondo luogo vi è il tema dell’atopia di Socrate (a-topia dove “topos” è

luogo) : sin dalle prime righe Platone mette in evidenza il luogo non-luogo di

Socrate, la sua estraneità alla polis, il suo essere straniero in patria, ma anche il

suo essere straordinario – il fuori luogo dello straniero rispetto ad Atene, che

da subito Socrate rivendica per sé. Dell’atopia di Socrate Platone parla in

diversi dialoghi: è una peculiarità che caratterizzava Socrate e in generale il

philosophos, che è atopos – è il modo in cui Platone concepirà anche se stesso:

è un nuovo modo di intendere la filosofia, ossia come un fuori-luogo. Socrate

vive ad Atene, ma non vive come gli altri, è straniero, e questo è il suo merito,

ma anche la sua sofferenza; il filosofo si colloca ai margini della città. Un altro

tema riguarda il contesto politico-culturale e filosofico in cui viene descritto

Socrate. Tema ulteriore è quello della Sofia, cioè la sapienza: il responso

dell’oracolo di Delfi dice, attraverso la Pizia, che Socrate è il più sapiente,

perché sa di non sapere – è un punto decisivo e di partenza, e non una banalità

per il Socrate platonico o per Platone; In ultimo vi è l’aporia di Socrate,

strettamente connessa alla sua atopia: si tratta di una condizione di

problematicità del filosofo, senza la quale non v’è filosofia; l’aporia è il

disorientamento – Wittgenstein dirà “Ich kenne mich nicht aus” (“io non mi

raccapezzo”, cioè sono disorientato e ho perso la via).

Le quattro fonti a proposito di Socrate: Platone, Senofonte, Aristotele,

Aristofane.

Page 5: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Platone: la sua testimonianza di Socrate è nei dialoghi socratici, quelli

giovanili, il cui fine è quello di far emergere la figura del maestro nella sua

complessità – figura leggendaria che rappresenta il simbolo stesso del filosofo

e della filosofia.

Senofonte: la sua testimonianza è nei “Memorabili”, ed è sostanzialmente

diversa da quella di Platone; intanto si pensava fosse più provata a livello

storico, mentre quella di Platone è più personale; la testimonianza di Senofonte

arriva dopo trent’anni dopo la morte di Socrate, mentre quella di Platone è

immediatamente successiva a questa – Senofonte inoltre non è un filosofo,

anche se è possibile ci sia una maggiore precisione in ciò che racconta, affiora

la sua povertà filosofica, che non riesce ad offrire un quadro della grandiosità

di Socrate.

Aristotele: la sua è una meta-testimonianza, mediata da Platone; lui dice di

Socrate molto di ciò che già disse Platone – inoltre Aristotele ha preso un

cammino distante da quello di Socrate, hanno due concezioni molto diverse

della filosofia, per cui non si può dire che Aristotele, nella sua testimonianza,

faccia concorrenza a Platone.

Aristofane: nella sua commedia “Le Nuvole” ci da’ una testimonianza

caricaturale di Socrate, un’immagine caricaturale del filosofo e della filosofia,

il cui luogo sono le “nuvole” – accusa rivolta prima di tutti a Talete; Aristofane

ci da’ una caricatura storicamente interessante, poiché riconduce Socrate ai

Sofisti, ed egli non è stato in grado di distinguerli.

Nell’Atene in cui si celebra il processo contro Socrate si fa, in generale,

difficoltà a distinguere Socrate dagli altri filosofi, come ad esempio i

Meteorologi (filosofi della natura), ma specie dai Sofisti. Socrate è quindi una

figura che sconcerta gli ateniesi. L’atopia di Socrate (neologismo dei dialoghi

giovanili) è la posizione del filosofo che è marginale e senza luogo, poiché

straniero e straordinario; inoltre l’atopia è quello sconcerto che esso provoca

negli altri, è lo stato d’animo di perturbazione e irritazione che suscita negli

altri – è l’atopia è l’aporia, la condizione problematica, il disorientamento di

Socrate, in quanto straniero, che disorienta gli altri, e non tutti amano essere

disorientati. Pochi sanno sopportare il disorientamento, e quelli sono i filosofi,

mentre negli altri è irritazione – Socrate, attraversato dal suo non-luogo è

andato irritando tutti, tanto da provocare la sua condanna a morte. Il problema

Page 6: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

I-X: il processo di Socrate, l'accusa, la difesa, etc. ATOPIA di Socrate. Il luogo

non-luogo di Socrate. Estraneità alla POLIS. Straniero in patria,

straordinarietà, fuori luogo, Socrate Outsider rispetto ad Atene. Peculiarità di

Socrate e del Filosofo in genere. Il filosofo è ATOPOS, fuori luogo. Come

Platone intende Socrate, ma anche se stesso: ATOPOS. Socrate vive come gli

altri; ma non al modo degli altri. Pregi; ma anche difficoltà: il filosofo è al

margine della società. 2. contesto politico/culturale/filosofico in cui muore

Socrate. 3. la "sophia", la sapienza di Socrate. Il responso dell'oracolo di

Delphi. (attraverso la Pizia) Socrate sa di non sapere. E' un punto decisivo e di

partenza. L'APORIA di Socrate: condizione di difficoltà, di problematicità, in

cui si trova il filosofo: il dis-orientamento. Wittgenstein dirà: "Ich kenne mich

nicht aus" (io non mi raccapezzo). L'ATOPIA è legata all'APORIA. Il tema

dell'oracolo di Delphi: quando Socrate risponde "so di non sapere" egli

smentisce l'oracolo. 17a/18a: Socrate ha ascoltato gli argomenti dell'accusa, ed

è IRONICO, IRONIA di Socrate: quasi quasi era stato convinto, persuaso...

Far riferimento al suo atteggiamento: accoglienza (si predispone) agli

argomenti degli altri. Socrate respinge di essere un abile parlatore a meno che

non si intenda il dire la verità. Socrate rivendica un parlare diverso da quello

degli altri, non forbito; ma il parlare di chi dice la Verità. Socrate vuole

distinguersi dagli accusatori; ma anche da quelli esponenti della cultura

ateniese e greca ai quali non vuole essere ridotto: ai Sofisti. Essi rivendicavano

di saper insegnare l'EU LEGEIN, il ben parlare. Bagaglio culturale di ogni

cittadino di Atene [cittadino attivo]. Costitutivo della democrazia. Socrate sta

dicendo di distinguersi anche dai Sofisti. A Socrate non interessa l'EU

LEGEIN. Non gli interessa difendersi; ma la verità e soprattutto la giustizia.

SECONDA PARTE DEL PARAGRAFO: Socrate rivendica il parlare

diversamente. Straniero all'eloquenza del tribunale. XENOS. Lo straniero, che

si contrappone all'IDIOTES, ovvero al proprietario. Socrate si propone come

XENOS, anche riguardo al suo parlare. La sua posizione è quasi peggiore,

perché Socrate, pur essendo Ateniese, si sente straniero, estraneo. Chiede di

essere trattato come straniero. Socrate è ATOPOS, un outsider, perché è

filosofo. Prega di essere considerato come veramente straniero. Il suo LEGEIN

dei cittadini di Atene è etichettarlo, come fa Aristofane, ed è la maggiore

difficoltà.

La testimonianza per eccellenza è quella di Platone: in queste pagine c’è la

presenza di Socrate, che ha solo dialogato, mai scritto, e poi c’è la presenza di

Platone, come il testimone che fa parlare il maestro.

I PARAGRAFO. Socrate è stato accusato ed è costretto a difendersi; ha

ascoltato gli argomenti dell’accusa – si rivolge agli accusatori sempre con

“cittadini di Atene”; Socrate dice che è stato quasi convinto e persuaso da

coloro che lo accusano – questa è l’ironia di Socrate, che comunque sta ad

indicare un atteggiamento di accoglienza degli argomenti altrui, il che viene

sempre ribadito, e la sua predisposizione all’ascolto a tal punto da lasciarsi

persuadere persino dagli accusatori. Socrate respinge quello che sarebbe quasi

un complimento sul suo conto(“abile a parlare”), ma Socrate non è un abile

parlatore, a meno che con ciò “non si intenda qualcuno che dice la verità”,

allora converrebbe – ma Socrate non userà un linguaggio forbito, parlerà “alla

buona”. Con ciò il filosofo rivendica un parlare diverso da quello degli altri,

perché il suo è un parlare “di chi dice la verità” – Socrate si vuole distinguere

dai suoi accusatori ed anche da quegli esponenti della cultura ateniese e greca

in generale, alla quale non sente di appartenere e a cui non vuole essere

ricondotto (specialmente ai Sofisti). I Sofisti sapevano di insegnare

l’euleghein, cioè il ben parlare, che ai suoi tempi faceva parte del bagaglio

culturale di un cittadino, ed era visto come costituente della democrazia.

Socrate quindi si distingue dai Sofisti, come dai suoi accusatori – a lui non

interessa il ben parlare, né difendere i suoi argomenti, ma solo la verità e la

giustizia. Socrate rivendica il parlare diversamente, perché lui è “straniero

all’eloquenza del tribunale” – “xenos” (è lo straniero e nullatenente), che si

contrappone all’idiotes (il proprietario). È importante che lui da subito si

definisca straniero, riferendosi al suo modo di parlare, alla sua condizione, che

risulta anche peggiore rispetto a quella dello straniero vero e proprio, che può

essere riconosciuto dall’accento del suo parlare, il che può quantomeno indurre

a compatirlo; Socrate non viene immediatamente distinto da un cittadino di

Atene, eppure lui si sente uno xenos e atopos, perché è un filosofo, quindi

prega di non essere compatito come uno straniero, ma di essere considerato

come uno xenos, perché nel suo modo di parlare è distante dai suoi accusatori.

Il suo modo di parlare “non è peggiore né migliore”, non si tratta di superiorità,

ma sicuramente di diversità. Questo primo paragrafo mette in luce l’inizio

della difesa di Socrate, il quale rivendica il suo modo di parlare e il fatto di

Page 7: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

è diverso da quello degli accusatori. Non è né peggiore, né migliore (modestia

di Socrate); ma è un LEGEIN diverso. Rivendica di essere un uomo giusto. Il

LEGEIN di Socrate risponde alla sua ATOPIA. A proposito di Socrate ci sono

4 testimonianze: Platone, Aristotele, Senofonte, Aristofane. Platone: nei

dialoghi socratici dove si evince il far emergere la figura del maestro:

complessità di figura leggendaria, simbolo del Filosofo. Senofonte: nei

Memorabili la figura di Socrate è diversa dalla rappresentazione platonica.

Alcuni hanno sostenuto che il Socrate di Senofonte sia più storico. Ma

l'Apologia è scritta immediatamente dopo la morte di Socrate; mentre

Senofonte scrive a distanza di 30 anni dalla morte di Socrate. Senofonte non è

poi un filosofo: povertà filosofica di Senofonte, che non è certo paragonabile a

Platone. Aristotele: è una meta-testimonianza. Dice in gran parte quello che ha

[già] detto Platone -- è mediata da Platone. Aristotele concepisce la filosofia in

modo drasticamente diverso da Socrate. Aristofane: nelle Nuvole da una

testimonianza caricaturale di Socrate e del filosofo [in genere]. Caricatura

storicamente interessante: Socrate viene ricondotto alla Sofistica. Aristofane

dimostra di non essere in grado di distinguere Socrate dai Sofisti. Nell'Atene in

cui si celebra il processo c'è molta difficoltà a distinguere Socrate dagli altri

filosofi: dai meteorologi, dai filosofi della natura, e dai sofisti. Socrate

sconcerta gli ateniesi. ATOPIA: neologismo che compare in Platone (guarda

un lessico e la ricorrenza del termine). Vuol dire sia la "posizione" del filosofo,

ma anche lo sconcerto che Socrate suscita negli altri. Condizione del Filosofo

ma anche perturbazione, stato d'animo, sconcerto negli altri. Socrate

STRAORDINARIO [nel senso etimologico]. Il DISORIENTAMENTO: solo

pochi lo sopportano. Quei pochi potranno filosofare. Socrate ha attraversato

irritando tutti. ATOPIA. Ateniesi dis-orientati. Sconcerto. No sconcerto, no

party. Il problema per i cittadini è etichettare. Socrate non si faceva pagare. Il

problema di incasellare Socrate. La testimonianza principe è Platone. C'è la

presenza di due grandi filosofi: Socrate (oralità) e Platone (testimone). 18a/19:

c'è una distinzione: i nuovi accusatori dagli antichi accusatori. i "nuovi" sono i

giudici. Gli "antichi" sono i cittadini che lo hanno infamato (questi sono i

peggiori). Coloro che vi hanno educato [cerca citazione]. 3 accuse: 1. Socrate

specula sulle cose celesti. 2. indaga i segreti di sotterra. 3. i LOGOI (discorsi)

più deboli fa apparire più forti. 1. sono i meteorologi. 2. è Empedocle (gli

Ionici). 3. sono i Sofisti. Sono le 3 accuse di responsabilità: Socrate sarebbe il

precipitato di tutta la filosofia precedente e responsabile [di tutto]. Socrate si

riferisce all'ambiente culturale di Atene. Socrate non rispetterebbe gli dei. Non

ci si può difendere (processati in contumacia). Socrate ha a che fare non solo

essere giusto – tutto ciò risponde alla sua atopia.

II PARAGRAFO. Socrate fa una distinzione tra nuovi e antichi accusatori. I

nuovi accusatori sono i giudici; gli antichi, ben peggiori, sono quelli che tra i

cittadini di Atene lo hanno infamato – se non fosse stato infamato per anni, i

nuovi accusatori non avrebbero preso la parola. Le tre prime accuse mosse a

Socrate: Socrate specula su cose celesti; Socrate investiga i segreti di sotterra;

Socrate fa apparire i discorsi (logoi) più deboli come i più forti. Queste tre

accusa fanno riferimento a tre filoni della filosofia sino a Socrate: la prima

accusa si riferisce ai Metereologi; la seconda accusa si riferisce agli Ionici; la

terza accusa si riferisce ai Sofisti. In poche parole, le tre accuse fanno di

Socrate il responsabile o il precipitato di tutta la filosofia che viene prima di

lui. Socrate ripercorrendo queste accuse fa riferimento all’ambiente culturale di

Atene – viene addirittura accusato di non rispettare gli dei, e da queste accuse

non ci si può difendere; Socrate quindi, oltre a riferirsi a chi lo giudica in

processo, ha a che fare con un’opinione pubblica che gli è contraria – gli

esponenti culturali di Atene, dagli educatori agli scrittori. Platone vuole far

capire quanto Socrate sia isolato, oltre che atopos e xenos, poiché dalla sua ha

solo pochissimi allievi.

III PARAGRAFO. Socrate in sostanza viene accusato di portare in sé lo

sviluppo del pensiero filosofico fino a quel momento. Egli prende distanza

dall’accusa, ma anche dagli altri filosofi, dicendo che lui non si intende di

queste cose, come ad esempio non si intende di physis (natura, essenza,

principio e scaturigine delle cose) – Socrate è il filosofo deluso dalla ricerca

delle cose e si concentra sulla polis, sugli altri uomini, non s’intende né di

physis né del logos dei Sofisti. Socrate fa entrare la filosofia nella città; la

filosofia, grazie a lui, diventa politica – gli importa di incontrare i suoi

concittadini e di discorrere con loro; la sua filosofia sarà infatti dialogo,

nell’agorà.

A partire dalla sua difesa, Socrate mostra di non essere come gli altri, né come

i Sofisti, che si facevano pagare e si occupavano dei logoi nel senso di un uso

strumentale del logos – a Socrate non interessa rendere il discorso più debole il

più forte, non vuole confutare gli altri e avere la meglio. L’arte retorica nasce

attraverso lo sviluppo della democrazia, perché i cittadini devono imparare a

parlar bene, per difendersi in tribunale, dato che non vi erano giudici, e per

parlare in assemblea. I Sofisti inventano la grammatica, promuovono il parlar

Page 8: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

con chi lo processa; ma con l'opinione pubblica che gli è contraria. Gli

esponenti della cultura (gli intellettuali) hanno parlato male di lui. Socrate

(Platone) ci fa capire quanto Socrate sia ISOLATO. Ha solo i suoi pochissimi

"allievi". 19b: RAGIONI va tradotto con LOGOS [reintroduciamo il termine

greco al posto della traduzione italiana]. Socrate è accusato come se portasse in

sé tutta la filosofia: "io non intendo né molto né poco"=Socrate non ha niente a

che fare con meteorologi... non gli interessa la FUSIS. FUSIS: quasi sinonimo

di ARCHE e di ESSENZA. Socrate dice "io mi allontano dagli altri filosofi".

Nel Fedone: "dalla FUSIS al LOGOS (cfr. fuga nei LOGOI). Socrate deluso

dall'investigazione delle cose ed indirizza lo sguardo verso la POLIS, verso

l'ALTRO, verso i suoi CONCITTADINI, verso l'AGORA'. Fa entrare la

filosofia nella città. La filosofia diventa politica, perché entra nella città.

Discorrere, dialogare, incontrare [l'Altro]... dialogo nell'Agorà. Su questa

"conversione" dalla FUSIS ai LOGOI: c'è già [in parte almeno] nell'Apologia.

Socrate non è come i Sofisti, per quanto questi si siano rivolti ai LOGOI,

perché l'atteggiamento è diverso: per Socrate non si tratta di un uso strumentale

del LOGOS. Socrate non intende confutare gli altri, e avere la meglio. La

retorica nasce attraverso lo sviluppo della democrazia. Retorica: rendere più

forte il discorso più debole per difendersi dalle accuse, difendere la propria

proprietà, parlare nelle assemblee, etc. I Sofisti sono i fondatori della

grammatica. Parlar bene per imporsi, per avere la meglio, per farsi valere...

Sconfiggere l'altro. Il prevalere di qualcuno su qualcun altro. C'era ad Atene;

ma non è la concezione di Socrate e di Platone. Socrate non è interessato alla 3

accusa. Socrate non ha una concezione AGONALE (conflittuale) della politica.

Per Socrate è l'incontro/dialogo con l'Altro. Socrate smonta le convinzioni

dell'altro, le certezze dell'altro, contro l'OVVIO. Padre scultore, madre

levatrice --> arte maieutica: far uscire ciò che l'altro sa; ma anche ciò che l'altro

non sa. Ricercare la verità insieme... nella città. La giustizia, ciò che è giusto

per la città, per la comunità. Socrate: LOGOS nel senso di dialogo.

IV. riferimento ai Sofisti: i Sofisti vengono ricercati per insegnare ad essere

buoni cittadini. IRONIA. EVENO. Socrate: "io non so". Io non ho le

competenze che altri dicono di avere, non saprei insegnare ad essere un bravo

cittadino, perché io non so.

V. "straordinario". Obiezione a Socrate: se ci sono dicerie sul tuo conto,

qualcosa avrai fatto... L'Oracolo risponde: "nessuno è più sapiente di Socrate".

bene come il saper farsi valere – fanno un uso del logos totalmente diverso da

quello che ne fa Socrate, per cui logos è dialogo. La concezione politica

odierna è quella dei Sofisti: avere la meglio e vincere, al di là che si dica la

cosa giusta. A Socrate non interessa la figura dell’avversario, non ha una

concezione conflittuale della politica; per lui la politica è dialogo con l’altro,

l’incontro con il cittadino. Socrate è figlio di uno scultore (Sofonisco) e di una

levatrice (Filotete) – figura emblema dell’arte maieutica, per cui si fa affiorare

ciò che l’altro sa o non sa. Quindi non si tratta di vincere, ma di dialogare per

cercare in comunione la verità e ciò che è giusto per la comunità, non per il

singolo.

IV PARAGRAFO. I sofisti vengono ricercati perché dovrebbero insegnare ad

essere buoni cittadini – ironia di Socrate riguardo a Eveno, con cui si

congratula. Ma purtroppo Socrate non sa, a differenza dei Sofisti, non ha cioè

le competenze che gli altri dicono di avere, per cui non può insegnare ad essere

una bravo cittadino.

V PARAGRAFO. Pone un’obiezione: se non avesse fatto nulla di

“straordinario” non ci sarebbero queste dicerie su di lui – deve aver fatto

Page 9: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Socrate non conferma l'oracolo. C'è un enigma nella risposta/responso

dell'oracolo. Per Socrate l'oracolo è a tal punto un enigma che per lui diventa

una domanda. Socrate altrimenti pregiudicherebbe l'oracolo. Socrate (per

l'oracolo) è il più sapiente perché sa di non sapere, per non fare questo (che

pregiudicherebbe il responso) Socrate volge l'oracolo in domanda. 21c:

(bellissimo esperimento filosofico, e molta ironia) Socrate va da un sapiente,

che guarda caso è un politico. L'incontro con il politico in vista del povero

filosofo. Ecco l'arte maieutica in negativo: far capire al sapiente che non è

sapiente. Liberazione da un falso sapere [cfr. la definizione del sofista nel

Sofista che potrebbe corrispondere a Socrate]. L'ATOPIA è il punto di

partenza per la filosofia. ESIZIALE (???). A che serve la filosofia? serve ad

imparare di sapere di non sapere. L'uomo politico crede di sapere. Non accetta

che il suo sapere venga decostruito, demolito, etc. La differenza di cui andare

fieri: egli crede ma non sa, Socrate invece no. Socrate si è liberato dal falso

sapere, riconosce di non sapere.

VII. Chi crede di sapere di più sono in maggior difetto. Socrate sperimenta su

tre tipi di cittadini: politici, poeti, artisti. I peggiori sono i politici, gli altri via

via meglio. Resta comunque la concezione negativa dei poeti: Platone li

avvicina agli indovini. L'accusa ai poeti sarà giustificata con argomenti

ontologici: MIMESIS delle cose, già imitazione delle idee. POESIA:

imitazione dell'imitazione. Socrate: condanna morale ai cittadini. Socrate si

difende accusando. Manca ai cittadini la coscienza, la consapevolezza di non

sapere. Noi abbiamo bisogno di una terapia (Wittgenstein) per capire che non

sappiamo. VII. (continua) Socrate va dai politici, dai poeti, e dagli artisti.

qualcosa che ha colpito. Lui dice che la sua è una sapienza “umana”, ritiene di

essere come gli altri. Racconto simbolico dell’oracolo: Cherofonte va a Delfi,

domanda all’oracolo se c’è qualcuno più sapiente di Socrate; la sacerdotessa

(Pizia), che media per il Dio, dice che non c’è nessuno più sapiente di Socrate.

VI PARAGRAFO. Socrate non conferma l’oracolo, dice che la sua risposta è

un enigma, perché lui non ha coscienza di essere il più sapiente; per Socrate il

responso del Dio diventa una domanda, a tal punto che si presenta come un

enigma – se confermasse l’oracolo di Delfi, pregiudicherebbe e metterebbe in

questione l’oracolo di Delfi, che dice che Socrate è il più sapiente, proprio

perché Socrate sa di non sapere (questo è l’enigma). Il filosofo volge l’oracolo

in domanda, problematizza: l’oracolo di Socrate non può mentire, mentre

Socrate non può disdirlo – qui è la modestia e l’ironia di Socrate: come va

interpretato l’oracolo? Come un esperimento filosofico. Così Socrate va da un

uomo politico, che ha la fama e la convinzione di essere sapiente –

l’esperimento si risolve nell’incontro tra l’uomo politico in vista e il filosofo

che vive ai margini della città. L’uomo politico è convinto di sapere; l’arte

maieutica di Socrate (al negativo) cerca di far capire a chi crede di essere

sapiente che sapiente non è – è una liberazione dal falso sapere; perché ci sia

filosofia bisogna ci sia aporia e problematicità, la coscienza di non sapere, ché

se c’è falso sapere non c’è filosofia. Da quel momento l’uomo politico ha in

odio Socrate, il quale conviene di essere più sapiente nel fatto di “sapere di non

sapere” – Socrate, non sapendo, neanche credeva di sapere, mentre l’uomo

politico ne aveva fama e ne era convinto; in ciò Socrate è più sapiente di lui.

L’incontro tra il filosofo e il politico è un rapporto conflittuale: il politico non

accetta che il suo sapere venga decostruito, perché lui sa e crede di sapere –

Socrate è più avanti perché si è liberato del falso sapere. Così Socrate continua

con questo esperimento.

VII PARAGRAFO. Tutti coloro che credono di sapere si son rivelati quelli

che si trovano in maggior difetto. In definitiva Socrate fa lo stesso esperimento

con tre tipi di uomini: i politici, i poeti e gli artisti – scala decrescente, dal

peggiore al meno peggio. I poeti, di cui Platone ha una concezione negativa,

avranno un ruolo importante anche nella Repubblica – lui avvicina i poeti agli

indovini e ai vaticinatori: dicono cose belle ma non sanno nulla di ciò che

dicono. Gli artisti si intendono solo del loro mestiere. Per Platone la poesia è

mimesis delle cose, e se le cose sono mimesis delle idee, la poesia è dunque

imitazione della imitazione. Qui c’è una condanna morale da parte del filosofo

Page 10: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Troviamo una condanna di Platone per la poesia, con motivazioni non solo

politiche; ma anche ontologiche. I poeti imitano le imitazioni. Platone mette i

poeti accanto agli indovini e ai vaticinatori. Gli artisti sono anche artefici,

artigiani: credono di sapere perché posseggono una TECHNE, un'arte, un

sapere che è un intendersi di... Hanno lo stesso difetto dei poeti. Sanno fare la

propria arte; ma anche fuori da quel ambito credono di essere a pari modo

sapientissimi. Credono di sapere, di avere la sapienza, la SOPHIA. Posso

essere un bravo scultore; ma non avere la SOPHIA. In realtà si tratta di un

rapporto ??? e diverso con la SOPHIA, perché questa non si possiede. Non il

possesso; ma l'amore (FILEIN). Sapere di non sapere, e che ama la SOPHIA,

questo è il rapporto del filosofo. BRAMARE, anche un rapporto EROTICO.

Queste categorie di uomini sono indietro a Socrate, ché egli sa/conosce i propri

limiti [e quindi se stesso: GNOTI SEAUTON].

VIII. c'è una dignitosa fermezza di Socrate il quale vuole provare/testare ciò

che l'oracolo dice: fatto l'esperimento, è preferibile la sua condizione, che è

quella dell'APORIA.

IX. non ci deve sfuggire l'ATOPIA di Socrate. Socrate suscita fastidio, egli

scatena il malanimo. Socrate è consapevole di esporsi. Il filosofo si espone alla

calunnia, al malanimo, all'ira. Il dare fastidio non è accidentale: Socrate viene

calunniato e processato non a caso. Il fastidio fa parte della filosofia, non è il

carattere [solo] di Socrate; ma caratteristica della filosofia. Altrimenti è un

BEN PARLARE [quindi un cazzo proprio]. Il fastidio è COESSENZIALE alla

filosofia. Il suo non sapere è più vicino alla SOFIA. Nulla vale la "sophia"

che, dai margini della città, arriva a difendersi accusando. La consapevolezza

di non sapere, d’altro canto, sarà, da queste pagine, la base della filosofia. La

condanna alla poesia è di tipo politico e ontologico.

VIII PARAGRAFO. Gli artisti sono “artefici” (come gli artigiani ad esempio)

– confine labile tra le due figure; gli artisti, dice Socrate, sono saccenti,

credono di sapere perché possiedono una techne, che è arte e saper fare, un

intendersi-di, gli artisti sanno fare; essi sono come i poeti, non sanno, ma

pretendono di essere sapienti anche in altri campi (difetto di misura). Gli artisti

hanno la techne e pretendono di possedere la sophia, ma son due cose distanti,

che non si implicano – non si tratta di “possedere” la sophia, ma di un nuovo

rapporto con essa, per Socrate; non si possiede la sophia come si possiede la

techne. Il verbo che lui accosta a sophia è “philo”, che indica l’amore della

sapienza, che non è il suo possesso; Socrate incarna colui che non sa e ne ha la

consapevolezza, non ha la sapienza ma la ama – il rapporto del filosofo con la

sophia è questo, l’amore è bramare (rapporto erotico con la sapienza, l’eros ha

un ruolo importante per Platone). Tutte queste categorie di cittadini sono

indietro rispetto a Socrate, che sa di non sapere. In lui c’è una fermezza

dignitosa, poiché si rende conto che è preferibile la sua condizione, che è

quella dell’aporia, cioè la difficoltà propria di chi riconosce di non sapere.

IX PARAGRAFO. Socrate da’ fastidio agli altri, lui è un atopos, ed il suo non

è un semplice esperimento – irrita gli altri, perché fa emergere l’ignoranza,

quanto effettivamente le persone non sanno. Socrate è consapevole di esporsi,

mentre sa di non sapere, nel dialogo; si espone al malanimo e alla calunnia,

all’ira, perché da’ fastidio – il fastidio non è qualcosa di accidentale, Socrate

non viene processato per caso; il fastidio è parte della filosofia, non è una

peculiarità del carattere di qualcuno. La filosofia che non da’ fastidio è il ben

Page 11: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dell'uomo; ma il vero sapiente è il Dio. Il Filosofo riconosce la finitezza della

sapienza umana, e rinvia gli altri a questa finitezza. Estrema miseria: questa

estrema miseria è quasi rivendicata da Socrate. Egli intende distinguersi dai

Sofisti: esponenti di una nuova cultura che si schierava contro la tradizione. Il

filosofo, al contrario del Sofista, non si fa pagare: questi insegna l'EU

LEGEIN, a confutare, ad avere la meglio, egli prepara il cittadino alla vita

politica. Il filosofo non ha questo intento. Ma di più: Socrate in realtà veniva

da una famiglia benestante; ma si riduce in miseria. Forse anche la miseria è

coessenziale alla filosofia. E' la scelta di Socrate. Socrate era stato oplita

nell'???. La filosofia non è assimilabile ad una TECHNE e con essa non si

fanno soldi. Socrate ha un'ansia di ricerca. Il filosofo. Socrate ha percorso le

strade della città, cercando un cittadino sapiente. Viene alla luce la modestia;

ma soprattutto che questa sapienza umana è nulla: Socrate riprende una

riflessione che già si era sviluppata con Eraclito (e con i Presocratici in

genere). Socrate non è slegato dalla filosofia che lo ha preceduto. Eraclito e

Parmenide sono importantissimi per Socrate e per Platone. La riflessione dei

Presocratici è nota a Socrate.

X. Accusa di corrompere i giovani: corruzione. Socrate ci dirà che corrompere

significa "rendere peggiori". Una delle accuse più gravi. Questa accusa viene

dai suoi concittadini, i quali si sono sentiti esaminati e perciò calunniano: sono

i vecchi/antichi accusatori. Questa è anche la calunnia più semplice. Accusa

corroborata dal fatto che questi giovani (ricchi) lo imitano, e fanno emergere

l'ignoranza dei loro concittadini. "Imparano" da Socrate l'arte maieutica, il

dialogo, il dialogare. Non c'è un oggetto dell'accusa, un qualcosa che Socrate

insegna e non dovrebbe insegnare; ma l'accusa resta. Gli accusatori

generalizzano, non sanno di filosofia e credono comunque di sapere tutto. Le

accuse che vengono rivolte all'interno del processo sono riprese dalla piazza.

Altrimenti il processo non potrebbe [non avrebbe ragione di] celebrarsi. Questo

pensare del benpensante, ma certamente non la filosofia alla maniera di

Socrate e Platone. La conseguenza si articola in un duplice malanimo: Socrate

fa emergere l’ignoranza, e per di più viene fuori che il suo non-sapere è anche

il più vicino alla sophia. Comincia a dire che loro non sanno, che nulla vale la

sophia dell’uomo; il vero sapiente è solo il Dio – riconosce i limiti, perché il

filosofo denuncia i limiti della finitezza della sapienza umana, e rinvia gli altri

a questa finitezza. Socrate rivendica l’estrema miseria, perché intende

distinguersi dai Sofisti – tendenza prevalente nell’Atene del tempo di

considerare Socrate alla stregue dei Sofisti, cioè l’esponente di una nuova

cultura e schierato contro la tradizione; ma Socrate è ridotto alla miseria, e

mentre il Sofista insegna ad avere la meglio sull’altro e si fa pagare per

preparare il cittadino politico alla democrazia, il filosofo non ha intenzione di

preparare il cittadino alla vita politica. Socrate aveva prestato servizio

nell’esercito, quindi la sua provenienza si può ricondurre ad una famiglia

benestante, ma egli si riduce alla miseria – forse anche la miserie è

coessenziale alla filosofia, e questo nesso non è banale. Anche questo può

essere motivo di fastidio. Il filosofo è animato da un’ansia di ricerca, che lo

spinge a girare la città, per interrogare i suoi concittadini e trovarne uno

sapiente. Qui viene alla luce la modestia proverbiale di Socrate, ma anche il

limite della sapienza umana – essa è nulla e sapiente è solo il Dio. Socrate si

rifà ad una riflessione iniziata con Eraclito e Parmenide – non si deve pensare a

Socrate come slegato dalla filosofia precedente; Eraclito e Parmenide sono

importanti per Socrate e Platone. I cosiddetti “presocratici” indicano una

categoria, esito della storia della filosofia, specialmente tedesca; sono filosofi

importanti, e la loro riflessione è nota a Socrate – l’uomo non possiede la

sapienza (Eraclito).

X PARAGRAFO. I giovani di Atene lo hanno seguito, non è lo stesso Socrate

a farsi pagare – l’accusa della corruzione dei giovani è molto grave per

Socrate; corrompere è “rendere peggiori”. Tale accusa proviene dagli “antichi

accusatori”, infastiditi da Socrate, per cui viene calunniato a questo modo – è

un’accusa semplice da fare. Socrate gira per le strade della città accompagnato

dai figli di famiglie ricche, questo è il motivo dell’accusa, corroborata dal fatto

che i giovani lo imitano, cioè imparano a loro volta a interrogare gli altri, per

far emergere la loro ignoranza – imparano l’arte maieutica, cioè il dialogo; i

filosofi devono imparare a dialogare con gli altri. Nessuno dei concittadini sa

rispondere effettivamente alla domanda su che cosa insegni Socrate, per

corrompere i giovani; e non rispondendo, l’accusa rimane – non sanno cosa

Page 12: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

[il processo] si tiene perché le nuove accuse sono formulate dalle/sulle prime.

L'opinione pubblica è contro Socrate.

XI. Io per quanto riguarda le accuse della piazza mi fermo qui. Socrate difende

se stesso, è avvocato di se stesso. Le prime accuse. Cesura (???). Socrate

smette con la piazza ed esamina le nuove accuse. Nuove accuse: 1. reo di

corrompere i giovani. 2. non riconoscere gli dei della città (per le città questa è

una dea: atto divino di fondazione della città). 3. pratica culti nuovi e diversi.

La sintesi di Socrate: ha messo al primo posto la corruzione, e prosegue su

questo tema. ESAMINIAMO: 2. Socrate non riconosce gli dei condivisi.

Socrate si pone al margine ma qui mette in discussione le fondamenta politiche

della città. 3. Socrate non si rifà agli dei della città; ma fa riferimento alla

sapienza. Dopo Hegel, noi (forse) leggiamo Platone attraverso le lenti di

Hegel. Il capo d'accusa in realtà è complesso. 3. Socrate è un esponente della

nuova cultura che ha trovato voce anche nei Sofisti, o in Anassagora. Socrate

fa parte di coloro che vogliono mettere in questione tutto. FUSIS e NOMOS.

FUSIS= vuol dire anche principio; significato ontologico più che cosmologico;

essenza. Inizialmente nessuno avrebbe messo in discussione che le cose sono

per natura (FUSEI). Si diffonde in seguito l'idea che molte cose siano NOMOI,

ovvero PER LEGGE, fatti/istituiti dall'uomo. Protagora dice che moltissime

cose sono NOI, sono per istituzione, create dagli uomini. Questo dibattito

prelude a Socrate. Questo dibattito nasce quando i greci iniziano ad avere

contatti con altri popoli: riflettono sulla propria cultura. 3. Socrate: si assimila

Socrate di nuovo ai Sofisti; c'è di più; accusa di ateismo. Di ateismo erano stati

accusati anche altri filosofi; questi altri nuovi sfiorano l'ateismo (accusa non

formulata ma ripresa da Socrate). I cittadini sospettano questo riferimento di

Socrate al "DIO". Solo il Dio è sapiente. Questo riferimento fa nascere

sospetto. Socrate si difende dall'ateismo ma non [dall'accusa] di far riferimento

al Dio. Questa accusa è pericolosa perché Socrate si riferisce al suo DEMONE.

Il Dio di Socrate è la "coscienza filosofica". Non si tratta di ateismo perché c'è

una religiosità di Socrate. Egli fa riferimento ai limiti dell'umano, della

sapienza umana, che sono ben presenti: il Dio sa, l'uomo no. Religiosità di

Socrate. Non ateo, il sospetto è dovuto al Dio a cui fa riferimento. Il problema

dice Socrate, non sanno nulla e non conoscono il dialogo filosofico, sono

estranei a questo. Le accuse rivolte a Socrate da parte degli accusatori nel

processo sono riprese dalla piazza, dall’opinione pubblica, che se non fosse

infastidita, il processo non avrebbe avuto luogo; i giudici formulano le accuse

sulla base delle calunnie già in circolo sul suo conto (vecchi accusatori), quindi

l’opinione pubblica è sfavorevole a Socrate, ma i giudici, basandosi solo su di

essa, risultano non saper nulla.

XI PARAGRAFO. Si finisce dunque di difendere dai primi accusatori. Ora

deve difendersi dai nuovi, a partire da Meleto – punto di cesura, per cui inizia a

esaminare le accuse mosse all’interno del processo. Capi di accusa: reo di

corrompere i giovani; reo di non riconoscere gli dei; reo di proporre nuovi culti

e nuove divinità. Socrate non riconosce gli dei della città, quindi i suoi stessi

fondamenti, per questo la polis si rivolta contro di lui. L’accusa è molto

complicata – Socrate ha messo al primo posto la corruzione e segue

sviluppando questo tema. Le altre due accuse sono le più gravi per quanto

riguarda l’Atene del tempo – non riconosce gli dei condivisi, come se fosse

qualcuno che, oltre a rimanere ai margini della città, le si pone contro,

mettendone in discussione i fondamenti politici. La terza accusa riguarda il

culto di divintà nuove – Socrate pratica culti nuovi e diversi perché non

risponde agli dei della città, cioè ai suoi stessi concittadini, ma al Dio della

Sapienza, poiché ha detto che solo il Dio sa, ma con ciò egli non rinnega la

divinità. La terza accusa relega la figura di Socrate a quella di esponente della

nuova cultura, che ha trovato voce nei Sofisti, o in filosofi come Anassagora –

fa quindi parte di coloro che vogliono mettere tutto in discussione. Distinzione

importante: physis e nomos. La physis è la natura, nel senso di principio (dei

primi presocratici) che è ontologico, riguarda l’essenza delle cose – nessuno

mette in questione che il mondo stesso sia “physein” (per natura), cosa che

Cratilo rivendicherà (i nomi sono per natura). Si diffonde l’idea che molte cose

siano “nomos” (ciò che è istituito dagli uomini, legge) – Cratilo, in cui si

oppongono due tesi: per Cratilo i nomi sono “per natura” e per Ermogene i

nomi sono per istituzione degli uomini. Per i Sofisti e per Protagora molte cose

sono nomoi, per istituzione, e dunque si possono cambiare – dibattito che

prelude a Socrate, che nasce quando i Greci cominciano ad avere dei contatti

con gli altri popoli, il che li spinge a riflettere sulla propria cultura. Con

l’accusa di praticare culti nuovi e diversi si assimila Socrate ai Sofisti, i quali

dicono che le cose sono nomoi e si possono quindi cambiare, come le leggi, e

perciò è possibile mettere in discussione ciò che è in vigore (come gli Dei). In

Page 13: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

di Socrate è anche quello di discostarsi dalla moltitudine di Dei e di richiamarsi

alla SOFIA. Socrate ci rimette la vita perché non risponde agli dei della città.

Egli dialoga col Dio. Socrate è per eccellenza il filosofo condannato che

muore. Perché muoiono i filosofi e non gli scienziati? Galilei (scienziato) vs.

Bruno (filosofo). Perché Galilei abiura e Bruno no? Galilei sa che le sue

scoperte potranno affermarsi comunque, ha "oggettività". Il filosofo muore

perché le verità dei filosofi hanno bisogno dei filosofi: la verità fa tutt'uno col

filosofo (cfr. Nietzsche e Jaspers). La verità della scienza non ha bisogno dello

scienziato. Le scoperte di Galilei non hanno più bisogno di Galilei. Il caso di

Socrate è emblematico, paradigmatico. La sua verità fa tutt'uno con la sua

persona. Il filosofo è molto più esposto dello scienziato: fa una vita molto più

difficile. Non riconosciuto, ai margini, molto più esposto perché egli si espone.

Caratteristiche della DIVINA MANIA che è la filosofia: 1. ATOPIA, fastidio,

sgomento. 2. povertà. 3. l'esporsi. Per il filosofo è necessaria la prima persona.

Socrate sa già come il processo andrà a finire, è chiaro.

XII. Socrate si difende dall'accusa di corruzione dei giovani. Socrate interroga

Meleto: egli risponde che le leggi e i giudici sono capaci di educare i giovani.

IRONIA. Poi risulta che tutti gli ateniesi renderebbero i giovani migliori, di

educarli, tranne Socrate. Socrate prende la posizione verso Meleto, il quale ha

portato Socrate in tribunale quando lui [Meleto] non si è mai curato dei

giovani. Perché i giovani seguono Socrate, il filosofo? I giovani non prendono

quest’accusa Socrate viene colpevolizzato anche di ateismo – ma non è il

primo caso tra i filosofi. I culti nuovi sfiorano l’ateismo – che cosa dunque fa

sospettare i suoi concittadini? Il riferimento di Socrate al Dio; non si riferisce

più all’oracolo di Delfi – dice che solo il Dio è sapiente. Questo riferimento

desta sospetti – lui si difende dall’accusa di ateismo, ma non da quella di far

riferimento al Dio. Quest’accusa, nella sua complessità, denuncia, in una certa

misura, la filosofia come qualcosa di pericoloso – in seguito Socrate farà

riferimento al demone. Il linguaggio di Socrate è quello del filosofo, il suo Dio

è la “coscienza” filosofica; non è un ateismo, perché vi è religiosità in Socrate

– far riferimento ai limiti della sapienza umana, rinviando al Dio come vero

sapiente. Socrate non è ateo, ma desta sospetto a causa del Dio a cui fa

riferimento. Prende le distanze dalla molteplicità di Dei e si appella alla sophia

– quindi al Dio. L’accusa di ateismo fu rivolta a tanti personaggi, ma Socrate ci

rimette la vita perché non riconosce e non risponde a quegli Dei della polis, ma

al Dio cui fa riferimento dialogando – Socrate è il filosofo condannato per

eccellenza. La questione è: perché muoiono i filosofi e non gli scienziati? Il

parallelo esemplare è costituito dalle figure di Giordano Bruno e Galileo

Galilei – Galielo abiura ed ha salva la vita, poiché era consapevole che le sue

scoperte si sarebbero comunque affermate, come verità oggettiva; per il

filosofo non è così, poiché Giordano Bruno non può non morire per

testimoniare quello che dice, il suo messaggio perderebbe di validità. La verità

dello scienziato non ha bisogno di Galilei, poiché è oggettiva,

indipendentemente dalla sua persona; la verità di Bruno/Socrate abbisogna

della persona, perché fa tutt’uno con il filosofo, la verità è del filosofo – qui sta

una delle differenze decisive tra il filosofo e lo scienziato. Il caso si Socrate

diverrà emblematico; per difendere la sua verità, per difendere la sua persona,

egli deve esporsi e ne è consapevole – il filosofo è inevitabilmente più esposto

dello scienziato. L’amore della sapienza comporta questi termini: il fastidio, la

miseria e l’esposizione in prima persona, necessaria per il filosofo – sono tre

caratteristiche ben presenti a Socrate, anche se egli mantiene in tutto ciò il suo

tono ironico, perché sa già come il processo andrà a finire.

XII PARAGRAFO. Socrate si difende dall’accusa di corruzione dei giovani. Si

rivolge a Mileto, al quale, mostra Socrate, non interessa nulla dei giovani; per

Mileto sono le leggi a rendere migliori i giovani – ma Socrate cerca l’uomo,

vuole l’uomo, e a ciò Mileto risponde che i giudici rendono migliori i giovani,

gli stessi che sono chiamati a giudicare Socrate. A detta di Mileto, vi è una

grande abbondanza di educatori (ironia di Socrate), per cui tutti renderebbero i

Page 14: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

parte al processo [prendere parte come accusatori di Socrate, come tutti gli altri

cittadini di Atene], o comunque sono dalla parte di Socrate. Corrompere vuol

dire rendere peggiori, malvagi, indirizzare al male.

XII. (o XIII?) Questo passo è molto famoso: contrapposizione socratica tra

bene e male. Nessuno fa il male volontariamente: concezione intellettualistica

del bene. Il male è involontario, e chi sa può fare solo il bene. Concezione

etica, politica e filosofica. Fa parte della risposta di accusa di corruzione. Dopo

il '900 è difficile pensare 'ste cose.

Il tema sarà quello della religiosità di Socrate, la parola "religiosità" va presa

con molto cautela perché RELIGIO non fa parte del vocabolario greco: è

importante cogliere il nesso tra religiosità e filosofia e il capo d'accusa per cui

Socrate non crede agli dei della città. I 3 capi d'accusa sono documentati non

solo in Platone (Apologia); ma anche in Senofonte (Memorabili) il che vuol

dire che c'è una conferma ulteriore, una prova storica, anche sé Senofonte li

espone in ordine inverso. Socrate corrompe i giovani -- corrompere: 1. rendere

peggiori e malvagi (accusa mossa dagli antichi accusatori/opinione pubblica).

Socrate accompagnato dai migliori giovani di Atene. Socrate suscita il

malanimo e l'invidia. 2. Socrate non crede agli dei della POLIS, della città. 3.

Socrate propone nuove divinità. In questo frangente il confronto è tra Socrate e

Meleto. Socrate ha la meglio con facilità. Accenno alla teoria di Socrate:

EUDEMONISMO ETICO. Nessuno fa il male volontariamente [per noi

difficilmente accettabile, anche sé caposaldo di Socrate]. Chi fa il male lo fa

per ignoranza. Il bene si lega alla conoscenza. Oggi sui capi d'accusa più gravi

che portano alla condanna a morte: 2. Socrate non crede agli dei della città:

Socrate non condivide le fondamenta e i fondamenti della POLIS, mette a

repentaglio la POLIS. 3. Socrate fa riferimento a nuove divinità: qui ci

troviamo una contraddizione. Socrate non la fa passare. Non può essere

accusato di ateismo e poi di introdurre nuove divinità. Il secondo capo d'accusa

non può essere sostenuto: o l'uno o l'altro. L'accusa di ateismo: era un'accusa

molto grave. Non è la prima volta. Anassagora di Clazomene. Socrate lo

menziona. Anassagora di Clazomene (500-428): filosofo molto più complesso

di quanto noi crediamo e sappiamo. Vive nell'età di Pericle (età aurea); è un

amico di Pericle. Anassagora viene coinvolto negli eventi politici di Pericle.

Viene allontanato e viene accusato di ateismo. La prima grande accusa di

questo tipo riguarda un filosofo [ma pensa te...]. Qualche decennio prima di

giovani migliori, eccetto Socrate, il quale li corrompe. Socrate mostra una certa

presa di posizione, per cui sostiene che a Meleto non importi nulla dei giovani,

dicendo che tutti li rendono migliori ed uno solo li corrompe. Eppure i giovani

seguono il filosofo, e questo è un problema, perché anche i giovani sarebbero

un potenziale “contro” la città.

XIII PARAGRAFO. Il corrompere è rendere peggiori, cioè malvagi,

indirizzare verso il male. Questo è un passo famoso, perché si delinea la

contrapposizione socratica fra il bene ed il male: il bene è preferibile al male,

ma nessuno fa il male volontariamente – concezione intellettualistica del bene

da parte di Socrate, che comincia da qui. Nessuno fa il male volontariamente;

chi sa può fare solo il bene, mai il male – concezione etica, politica e

filosofica, che per Socrate è parte della risposta all’accusa di corruzione.

Uno dei temi principali è quello della religiosità di Socrate – “religio” è una

parola latina, però il problema è capire il nesso tra “religione” e filosofia,

quindi capire uno dei capi di accusa principali: Socrate non crede agli dei della

città. I tre capi di accusa sono documentati non solo nell’Apologia

(testimonianza per eccellenza del processo), ma anche nei Memorabili di

Senofonte (prova storica ulteriore), in cui vengono esposti in ordine inverso.

Ricapitolo dei capi di accusa: 1. Socrate corrompe i giovani (rendere peggiori e

malvagi) – accusa di corruzione è mossa dall’opinione pubblica ateniese e

deriva dal fatto che Socrate è accompagnato nell’agorà dai figli dei migliore, e

ciò suscita il malanimo; 2. Socrate non crede agli dei della città; 3. Socrate

propone nuove divinità – in questo frangente si delinea il confronto tra Socrate

e Meleto, su cui Socrate ha la meglio facilmente. Inoltre qui entra in gioco la

teoria intellettualistica dell’eudemonismo etico di Socrate, per cui nessuno fa

male volontariamente (prima accusa); la scelta del bene e del male avviene

sempre sulla base della conoscenza; chi fa male lo fa per ignoranza. Gli ultimi

due capi di accusa sono i più gravi ed il motivo per cui il filosofo viene

condannato a morte – Socrate non condivide le fondamenta e i fondamenti

della polis, mette a repentaglio la polis, non accettando le sue divinità, nel

riferimento a nuove divinità. Entra qui in gioco la contraddizione evidente tra il

primo e il secondo capo d’accusa: l’accusa di ateismo contraddice il fatto che

lui introduce nuove divinità – Socrate, poiché è un filosofo, non fa passare

questa contraddizione in seno alle accuse mosse da Meleto; stando a ciò il

secondo capo d’accusa non può essere sostenuto. Da questo contesto proviene

l’accusa di a-teismo (rifiuto degli dei) – accusa molto grave, ma non è la prima

volta che viene mossa contro un filosofo.

Il precedente di Socrate è Anassagora di Clazomene, che svolge anche un ruolo

Page 15: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Socrate. Le eco non si sono ancora spente; ma a ragion veduta... La filosofia di

Anassimandro è un ateismo. Egli rifiuta l'esistenza degli Dei. Quando Socrate

parla Anassimandro è il modello di ateismo radicale, per cui il sole e la luna

non sono divinità; è un illuminato, riconduce i fenomeni cosmologici ad una

spiegazione scientifica. Quella contro Anassagora è un'accusa legittima. Non

riconosce gli dei e riconduce i fenomeni di parvenza divina a fenomeni attuali:

è un filosofo illuminato. Questa accusa non vale per Socrate che non sostiene

un ateismo. 1. non è vero che Socrate nega l'esistenza degli Dei. 2. non è vero

che Socrate riconduce i fenomeni divinizzati a spiegazioni naturali o

naturalistiche. Socrate era annoiato dalle discussioni dei filosofi della Natura, e

Socrate riconduce la filosofia dentro la POLIS. Niente sfondo naturalistico in

Socrate. La seconda navigazione (fuga nei LOGOI) di Socrate è proprio

questo. Socrate non riconduce i fenomeni divini a cause naturali, è una

posizione completamente diversa la sua. La posizione di Socrate: non difende

nessun ateismo; e l'accusa della città è vera solo in parte: non crede negli dei

condivisi dalla POLIS. Occorre notare che le interpretazioni del '900 sono

concordi in questo (filosofi e filologi): se Socrate avesse avuto la posizione di

Anassagora se la sarebbe cavata, perché la posizione Anassagora dava molto

meno fastidio, molto meno IRRITANTE e INQUIETANTE. Anassimandro

lascia le cose come stanno nella POLIS. Per la POLIS è molto più comoda

questa posizione rispetto a quella di Socrate. Voi credete, io cerco altre

spiegazioni. NON INQUIETA, NON IRRITA, NESSUN TERREMOTO. La

posizione di Socrate è molto più inquietante, perché oppone agli Dei della

POLIS NUOVE/ALTRE divinità. Socrate si contrappone agli Dei condivisi.

Socrate: opposizione consapevole del filosofo agli dei della città a cui si

contrappone (3. capo d'accusa). Cosa vuol dire? Socrate anzitutto fa

riferimento (si richiama) all'oracolo di Delphi. L'oracolo è importante perché è

sempre un parlare enigmatico, non diretto [la parola era storto, cerca in greco],

che va interpretato: noi abbiamo una lunga tradizione (già quando vive

Socrate) di ERMENEUTICA. Il parlare oracolare, non diretto, va interpretato.

ERACLITO: frammento 22B93 (forse): "il Dio (Zeus lo chiama Eraclito) non

manifesta, non nasconde, da ad intendere...". Documenta che già presso i

filosofi il parlare oracolare va rispettato nella sua enigmaticità. Socrate cerca di

rispettare l'enigmaticità. Socrate non dice "Sì!"; ma dice "so di non sapere", e

dice "il Dio ci dice che la sapienza dell'uomo è nulla e la sapienza è solo del

Dio!". Noi abbiamo un riferimento all'oracolo, ad APOLLO, e questi ritorna in

Nietzsche (nell'Apologia nesso stretto tra Apollo e la filosofia); è il riferimento

costante al "Dio". Non viene specificato il Dio. Socrate farà riferimento a

nella difesa di Socrate, il quale lo menziona. Anassagora (500-428), vive a

ridosso di Socrate, nell’epoca di Pericle; si tratta di un filosofo molto

complesso, di cui si hanno scarse testimonianze: sappiamo che vive nel

periodo aureo di Atene, che è un amico di Pericle, anche coinvolto negli eventi

politici che riguardano questa figura, che viene allontanato da Atene ed

accusato di ateismo. Quindi la prima grande accusa di ateismo riguarda

Anassagora, vissuto qualche decennio prima di Socrate – mentre Socrate parla,

è evidente che gli echi del processo di Anassagora non si sono spenti. L’accusa

importante che colpisce Anassagora ha in realtà le sue ragioni: la sua filosofia

era un ateismo, per il rifiuto dell’esistenza degli dei – anche se non è l’unico,

come Epicuro. Anassagora, all’interno del discorso condotto da Socrate, funge

da modello di ateismo radicale: gli dei non esistono, il sole e la luna non sono

divinità – Anassagora compie un illuminato ricondurre i fenomeno astrologici

e naturale ad un tentativo di spiegazione scientifica. Si tratta quindi di un

accusa legittima, che tuttavia non vale per Socrate, il quale non sostiene un

ateismo, non è neanche un filosofo illuminato. Quindi sono due i motivi che

distanziano la figura di Anassagora da quella di Socrate, in questo contesto:

Socrate non nega l’esistenza degli dei (contraddizione); Socrate non riconduce

i fenomeni divinizzati a delle spiegazioni naturalistiche – Socrate era annoiato

dalle discussioni dei filosofi intorno agli astri e alla natura; egli riconduce la

filosofia alla polis. Questa costituisce anche un’argomentazione del Fedone:

fuga di Socrate verso i logoi (discorsi) – Socrate non è uno scienziato mancato,

non cerca le cause naturali dei fenomeni. Posizione completamente diversa e

più complessa di Socrate: non difende alcun ateismo, difatti l’accusa di non

credere agli dei della città è vera solo in parte – lui crede negli dei, anche se

non risponde a quelli della polis. Interpretazione del ‘900 della posizione

complessa di Socrate: se la sarebbe cavata se si fosse trovato nella condizione

di Anassagora, che dava molto meno fastidio, irritava ed inquietava assai di

meno; Anassagora lascia le cose così come sono all’interno della polis, pur

sostenendo di non credere agli dei – posizione più comoda per la città, poiché

non scalza gli dei della città, ma cerca una spiegazione di altra natura, e ciò

non scuote. La posizione di Socrate è più inquietante, perché lui oppone agli

dei della città delle nuove divinità – si contrappone agli dei condivisi della

città, più che ignorarli, infatti non si tratta di un ateismo, ma di una

opposizione consapevole del filosofo agli dei della polis. Riguardo al terzo

capo d’accusa, che cosa vuol dire, dunque, contrapporre nuove divinità?

Socrate fa riferimento all’oracolo di Delfi, che dice che lui è il più sapiente –

l’oracolo è importante, perché è sempre un parlare enigmatico, che va

Page 16: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

nuove divinità, ad un Demone, affiora il DEMONE, che ha a che fare con

l'ambito della divinità. Socrate ha un legame forte con la sfera divina e

rivendica che una via(???) divina lo chiama e lo spinge alla filosofia (DIVINA

MANIA): filosofare fino alla morte. Una divino che si oppone agli dei della

città. La filosofia per Socrate copre la sfera della religione. La filosofia non si

propone come la scienza (Socrate è il contrario di Anassagora, laicismo

militante) che non incrina la POLIS e la politica. La filosofia invece mette a

repentaglio l'ordine della città e alle divinità oppone il DIVINO (partendo da

Apollo), un divino APOLLINEO che si articola nell'intelligenza filosofica che

lo chiama [a Socrate] a filosofare. Socrate crede alla voce che lo chiama:

Socrate dice che la filosofia è un servizio reso al Dio, è la voce della

"COSCIENZA" (parola non greca, e quindi ai greci manca il concetto di

coscienza: non c'è un equivalente greco, e quindi dobbiamo fare attenzione: c'è

PSYCHE (anima) che troveremo in Platone; ma non possiamo tradurlo senza

indugio in COSCIENZA). Ma non è sbagliatissimo dire che la voce del Dio è

la voce della COSCIENZA. Socrate contrappone agli dei la coscienza

filosofica; ma anche la coscienza del proprio limite e del limite della sapienza

umana. RELIGIOSITA', RICHIAMO ALLA FILOSOFIA DI SOCRATE.

XIV (26b): Le accuse di mescolano. Meleto accusa Socrate delle accuse di

Anassagora (implicitamente) e Socrate si difende chiamandolo in causa

esplicitamente. Socrate prende le distanze dalla cultura moderna, anti-

tradizionalista. Socrate è difficilmente classificabile. 27a: Socrate indica la

contraddizione fra l'accusa 2 e l'accusa 3 (i capi d'accusa).

interpretato, e non è mai diretto; c’è una lunga tradizione ermeneutica greca di

interpretazione dell’oracolo. Il parlare oracolare è sempre enigmatico: Eraclito

dice in un frammento (22 b 93) che il Dio (Zeus) non manifesta, non svela e

non nasconde, ma da’ a intendere – frammento che documenta che già presso i

filosofi il parlare oracolare è assunto nella sua enigmaticità e in questo

rispettato. Anche Socrate rispetta l’enigmaticità dell’oracolo di Delfi: non dice

di essere il più sapiente, ma dice che sa di non sapere, e che il Dio ci dice che

la sapienza dell’uomo è nulla, e la sophia è solo del Dio. Il riferimento

all’oracolo è il riferimento ad Apollo – nesso tra Apollo e la filosofia; poi

sopraggiunge il riferimento costante al Dio, il quale non viene mai specificato.

Inoltre Socrate comincerà a fare riferimento a nuove divinità, ma anche ad un

demone – qui affiora per la prima volta; il demone ha a che fare con la divinità;

Socrate mantiene un forte legame con la sfera divina e rivendica che una voce

divina lo chiama e lo spinge alla filosofia, fino alla morte. Quest’ambito divino

di Socrate va opponendosi agli dei della città. la filosofia, come concepita da

Socrate, ricopre anche al sfera religiosa – totalmente distante in questo da

Anassagora; Socrate non è il rappresentante della scienza, ma della filosofia, e

questa mette a repentaglio la polis, perché alle sue divinità oppone un divino

che è “apollineo”, che si articola nell’intelligenza filosofica e che quindi lo

chiama a filosofare. È qui che la filosofia si contrappone alla città, perché lui

crede alla voce che lo chiama, come se fosse una voce della coscienza; la

filosofia, per Socrate, serve la divinità, le risponde – non c’è il concetto di

coscienza (Bewussein), ma c’è la parola “psychè” (anima), che non è

coscienza; ma non sarebbe del tutto sbagliato dire che la voce del Dio che lo

sprona a fare “ciò che è giusto” fino alla fine, sia la voce della coscienza. È

come se lui contrapponesse agli dei della città la coscienza filosofica, la

coscienza del proprio limite, specialmente il limite della sapienza umana, e qui

risiede la sua religiosità – il più sapiente è il Dio; invece i cittadini non

riconoscono i limiti del proprio sapere. La religiosità è il richiamo alla

filosofia.

XIV PARAGRAFO. Socrate parla, mischiando le varie accuse; fa notare a

Meleto la contraddizione dei due capi di accusa – non crede assolutamente gli

dei (tira in ballo Anassagora) eppure propone divinità diverse. Sostiene che

Meleto non abbia rispetto ai giudici, come se pensasse che i giudici non

conoscessero le dottrine di Anassagora, il quale non crede assolutamente agli

dei – tutti conoscono le dottrine di Anassagora, si vendono i suoi libri; Socrate

non se ne approprierebbe spacciandole per sue, visto che sono note a tutti, ed è

Page 17: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XV. RICORDA LA PRIMA DOMANDA (???). Nella difesa Socrate non

smette mai di essere filosofo. Argomentare filosofico, Apologia filosofica.

Sostituisci: ATTINENTI AI CAVALLI, con CAVALLINITA'. Socrate ha

smontato i due capi d'accusa di Meleto. L'accusa è strumentale. Meleto vuole

semplicemente condannarlo: ACCUSE PRETESTUOSE. DAIMONAS=i

demoni. Fa parte della sfera divina e addirittura per Socrate egli obbedisce al

demone. Socrate crede nel divino e anzi la filosofia è un servizio reso al

divino. Socrate non teme i secondi accusatori (ha stanato Meleto); ma teme

l'odio, la gente che è stata fomentata, l'ira, le calunnie. Socrate non si abbassa

al calcolo; ma nessuno deve farlo. Il BENE e il GIUSTO sono più importanti

della morte. Il BENE è l'aspirazione ultima del filosofo.

XVII. APOLOGIA DELLA FILOSOFIA. Socrate ha obbedito ai comandanti

in guerra, e non dovrebbe obbedire al Dio? (almeno per come lui lo interpreta:

per filosofare anche rischiando la morte). ORDINANDOMI IL DIO, IO HO

INTERPRETATO COSì L'ORACOLO, IL MESSAGGIO. Socrate lo ha

interpretato: "io devo vivere filosofando, conoscendo me stesso, e gli altri". Per

la prima volta al filosofo interessa conoscere se stesso (cfr. il celebre detto

greco) e gli altri. Così la filosofia entra nella città, il dialogo con l'altro. Lo

sguardo converge nell'interiorità. Così Socrate ha interpretato il messaggio del

Dio. Socrate: se io non seguissi il dettato del dio, così come l'ho compreso, se

quello che cerca di fare Meleto; Socrate prende distanza da Anassagora e dalla

cultura moderna. La figura di Socrate si complica a questo punto, egli non è

facilmente classificabile. Socrate pensa che Meleto sia insolente, sostenendo di

accusarlo attraverso quella che è palesemente una contraddizione. Ribalta

dunque i due capi di accusa – reo di non credere agli dei e reo di credere agli

dei; a questo punto è evidente la contraddizione.

XV PARAGRAFO. Ci può essere qualcuno che creda ci siano fatti umani ma

non uomini? Socrate, anche quando si difende, non cessa mai di essere filosofo

– argomentare filosofico che lo distingue. Socrate ha ormai smontato i due capi

d’accusa; il dubbio che insorge è se l’accusa non fosse strumentale, e non si

sappia di cosa accusarlo – le accuse divengono quindi pretestuose per la

condanna di Socrate. Come fa a dire che lui crede nei demoni, che hanno a che

fare con la sfera divina, e allo stesso tempo sostenere che Socrate non creda

agli dei? Il “daimonas” ha a che fare con la sfera divina, c’è un nesso stretto;

Socrate si comporta come suole, perché obbedisce al demone della sua psychè;

lui crede nel “divino”, e anzi la filosofia è in stretta connessione con esso, in

quanto essa servizio resogli.

XVI PARAGRAFO. Il grande odio nei confronti di Socrate induce a queste

accuse strumentali. Socrate non teme i secondi accusatori, infatti, non teme

Meleto, perché lo ha già stanato; teme però l’opinione pubblica, quindi

quell’odio sedimentato contro di lui (primi accusatori). Si potrebbe dire, dice

Socrate: non si vergogna a rivestire il ruolo del filosofo, che irrita, al punto da

mettere a rischio la sua vita? Ma Socrate risponde che lui non si abbassa a

calcolare i rischi, come nessuno dovrebbe farlo, è importante fare il giusto e il

bene, che questo debba anche costare la morte – qui è chiaro che il Bene, per

Socrate, sia l’aspirazione ultima.

XVII PARAGRAFO. Qui si capisce che l’Apologia di Socrate è anche

l’apologia della filosofia. Socrate ha seguito i comandanti assegnati a lui in

guerra, rischiando già di morire; e non dovrebbe forse obbedire al Dio, nel

modo in cui interpreta il suo messaggio? Per il Dio, Socrate deve filosofare, se

ha rischiato la vita in guerra, tanto più può rischiarla filosofando. Così Socrate

ha interpretato il messaggio, perché non è mai comprensibile in modo

esauriente, ma necessita di un’interpretazione: Socrate deve vivere filosofando,

adoperandosi di conoscere se stesso e gli altri – ecco perché la filosofia viene

portata nella polis, ed ha luogo nel dialogo con gli altri, al fine di conoscere sé

Page 18: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

non lo facessi per paura della morte, mi ritraessi, allora sarebbe legittima

l'accusa di empietà. DISERTARE IL COMANDO/ORDINE DEL DIO.

PAURA DELLA MORTE: comincia una filosofia che ha poco a vedere con il

PERI FUSEOS; ma che si concentra su se stessi, sul prossimo, sul cittadino,

sulla POLIS... e arriva il tema della MORTE (che era già emerso prima di

Socrate ma in modo assai diverso): PER LA PRIMA VOLTA viene teorizzato

il nesso tra filosofia e morte: essere filosofi (votarsi alla filosofia) è imparare a

morire. NESSO CONSUSTANZIALE. Socrate dice: in quanto il filosofo è

sapiente, non può temere la morte, perché sarebbe come credere di sapere ciò

che non si sa [e non si può sapere]. SUPPONENZA, PRESUNZIONE. Il

filosofo non può aver paura della morte e nella fattispecie Socrate sa di non

sapere, e quindi... Sarà ripresa da Epicuro: quando la morte c'è, noi non ci

siamo e viceversa [grande cazzata questo riferimento ad Epicuro, perché dietro

Socrate/Platone c'è un'enorme ipoteca metafisica]. Epicuro [mi pare ovvio]

riprende in una direzione diversa. Socrate è più etico. Nel Fedone questo punto

verrà ripreso: Socrate in prigione aspetta la condanna. Argomento:

l'immortalità dell'anima. NON A CASO: l'idea filosofica di fondo, ripresa da

questo passo, che tra la VITA e la MORTE c'è un auto-escludersi. NON

POSSIAMO PENSARE LA NOSTRA MORTE [né evidentemente

sperimentarla, viverla]. Il pensiero rifiuta il non-essere. E' una preparazione [la

filosofia nei confronti della morte]; ma anche accettazione senza timore della

morte. AVERE PAURA VUOL DIRE GIA' CARATTERIZZARE CIO' CHE

NON SAPPIAMO. Non possiamo dimenticare che Socrate dice: "è invero che

della morte nessuno sa...". I molti credono che sia il peggiore dei mali; ma

forse è il migliore dei beni. C'è un contatto di Platone coi Pitagorici (Archita di

Taranto): Platone ne conosce le teorie. I pitagorici erano gli eredi delle teorie

orfiche (misteri di Eleusi), il loro sfondo è religioso. I Pitagorici riprendono gli

orfici nel sostenere una separazione tra la PSYCHE e il SOMA, tra ANIMA e

CORPO. I Pitagorici se ne fanno filosoficamente i portatori. Il corpo è una

tomba (SEMA, simile a SOMA) dell'anima. Incarnazione in seguito a caduta

dell'anima nel corpo. Questo abitare nel corpo è un esilio: corpo prigione. La

morte diventa una liberazione. La morte viene vista in positivo. Questa cosa

entrerà nel cristianesimo. TRASMIGRAZIONE DELLE ANIME:

METENPSICOSI/METENSOMATOSI. L'anima, al momento della morte

corporale, l'anima immortale torna ad incarnarsi in altri corpi. CONNESSA

CON LA TEORIA DELLA SEPARAZIONE ANIMA-CORPO.

Fedone=sfondo orfico. Socrate non teme la morte perché ??? la dottrina orfica,

e argomenta così; ma nessuno deve presumere quel che non si può sapere.

e l’altro. Lo sguardo del filosofo non è rivolto alla natura (Anassagora), ma

all’interiorità – interpretazione del messaggio divino, per cui egli deve vivere

filosofando, ossia nell’intento di conoscere se stesso e gli altri. Se Socrate non

seguisse il dettato del Dio per paura della morte, allora sì, avrebbero ragione di

dire che Socrate è empio – sarebbe legittima l’accusa di empietà. Comincia una

filosofia, distante dalla ricerca dei presocratici, rivolta alla physis, e che si

interroghi sull’uomo, sulla polis, sui rapporti umani, sul proprio dovere, ed

arriva anche il tema della morte – già emerso prima di Socrate, ma in modo

diverso. Qui Socrate (punto decisivo per la filosofia) teorizza il nesso tra la

filosofia e la morte – il votarsi alla filosofia è imparare a morire; nesso

consustanziale, a partire da questo passo dell’Apologia (poi sviluppato anche

nel Fedone). Il filosofo, se è sapiente, non può aver paura della morte, perché

sarebbe come credere di sapere quello che non si sa; sarebbe una presunzione

– della morte non si sa nulla, e Socrate sa di non sapere, quindi non ha paura.

Argomentazione ripresa da Epicuro: quando la morte c’è noi non ci siamo e

viceversa. Nel Fedone viene ripreso questo punto, è un proseguo: Socrate è in

prigione e aspetta che venga eseguita la condanna (cicuta); l’argomento del

Fedone è quello dell’immortalità dell’anima, e non è un caso, perché l’idea

filosofica di fondo è ripresa da qui – tra la vita e la more c’è una sorta di

autoescludersi, dato che è inconcepibile pensare la propria morte, il pensiero si

rifiuta di non essere. Il filosofo si prepara alla morte, e la filosofia è una

preparazione alla morte, che è anche una sua accettazione – aver paura sarebbe

credere di sapere quello che non si sa, perché non si ha esperienza della propria

morte (thanatos). Socrate fa una domanda sulla base del fatto che si crede che

la morte sia il peggiore dei mali, quando forse è il migliore dei beni – frase di

molto valore.

Platone viaggia nella Magna Grecia, dove ha contatti con i pitagorici e con la

loro filosofia; i pitagorici, eredi delle teorie orfiche, si fanno portavoce dello

sfondo religioso proprio all’orfismo: gli orfici sostengono ci sia una

separazione tra Anima (psychè) e Corpo (soma), il quale è la tomba (sema)

dell’anima – come se l’anima si incarnasse nel corpo, cioè in una ricaduta, è un

abitare nel corpo vissuto come un esilio, prigione e tomba. Ciò cambia la

visione della mote: essa è una liberazione dell’anima dalla prigione – non c’è

una visione negativa della morte, ma tutt’altro e, a partire da Platone, entrerà

anche nel Cristianesimo. Inoltre agli orfici appartiene la teoria della

metempsicosi (trasmigrazione delle anime): l’anima, una volta libera dal corpo,

va ad incarnarsi in altri corpi; è una teoria connessa con quella della

separazione dell’anima e del corpo – nel Fedone si sostiene l’immortalità

Page 19: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

NON POSSIAMO SAPERE [riguardo alla morte]. Socrate non può giungere a

patti per quanto riguarda il filosofare (davanti alla possibilità della morte).

Socrate non difende sé; ma la filosofia: CURA DEGLI ALTRI E DI SE. LE

DUE COSE VANNO INSIEME. Socrate ama i cittadini; ma obbedirà al dio

nella sua missione. Rendere ottima l'anima è il bene più grande. Socrate è

divenuto povero, ed è estremamente brutto, vestito male, provoca disgusto

(ATOPIA), e prova che bellezza, ricchezze, beni, potere non contano nulla.

CONTA RENDERE OTTIMA L'ANIMA. Nella città c'è bisogno, per questo

motivo, del filosofo. C'è un nesso tra ANIMA e POLIS. Non ci può essere una

buona città (dimensione politica) senza un'ottima anima (dimensione etica).

NB: per l'anima propria ed ALTRUI. Anassagora era fuggito. Socrate decide di

rimanere per obbedire al via(???) secondo la chiamata divina che gli giunge,

perché i cittadini hanno bisogno delle cure dell'anima, perché non ci sarà sennò

una buona POLIS.

THANATOS: il filosofo non può temere la morte. [...] non solo di ordine

esistenziale; ma anche politico, perché spingerà Socrate a restare ad Atene.

Oggi si tratterà del rapporto col giudice, delle leggi e del fondamento della

POLIS. Non si può temere la morte perché presumere di sapere quel che non si

sa... Socrate: ammissione del non-sapere, presupposto APORETICO per la

nascita della filosofia.

XVIII (30c): è importante l'ascolto, altrimenti non ci può essere dialogo. Qui

siamo alle battute finali della difesa di Socrate: ha risposto alle 3 accuse

rivoltegli (2 erano contraddittorie). Socrate ora non risponde più alle accuse;

ma controbatte ed amplia le accuse: non si limita a rispondere, ma amplia...

Non fate schiamazzi, ma ascoltate. Io non ho paura della condanna, dell'esilio,

del togliere i diritti; ma la mia eventuale condanna a morte non danneggia me

(altrimenti sapreste cosa sia la morte); ma la condanna di un innocente

danneggia voi, la POLIS. Non sarà più la stessa Atene. ??? il fondamento della

giustizia, senza la quale niente comunità della POLIS. Discorso filosofico-

dell’anima, a partire da questo sfondo orfico.

Qui c’è la posizione del filosofo, che segue gli ordini del Dio, che lo ingiunge a

vivere filosofando. Socrate dice di non temere la morte, non perché l’anima sia

immortale, ma perché nessuno dovrebbe temerla, poiché si peccherebbe di

presunzione – non possiamo sapere quale sia il male peggiore. Il suo è un

atteggiamento religioso, perché si rimette ai limiti del sapere. Se dovesse

scendere a compromessi, per aver salva la vita, dovrebbe smettere nelle sue

ricerche e quindi di fare filosofia – ma Socrate si rimette al Dio; non difende se

stesso, ma la filosofia: la filosofia è cura degli altri e di sé, cose che vanno

insieme. Lui obbedirà al Dio, seguirà ciò che gli è stato imposto di fare, non

smetterà di irritare, di fare filosofia. Socrate è divenuto povero, era brutto, e

tutto questo crea ulteriore disgusto e disagio; ma egli, sopra tutte le ricchezze, i

beni e l’esteriorità, rivendica l’anima e la cura di essa. Lui non lascerà la città,

né il suo compito, che è quello di dire agli altri che la cosa più grande e giusta

è rendere ottima l’anima – nesso fra anima e polis; non ci può essere una buona

politica se non c’è l’etica, cioè un’attenzione alla propria anima e a quella

altrui (obbedienza al Dio). Socrate è pronto a morire, la sua è la scelta di non

andare via dalla città (come fece Anassagora), ma di restare come

testimonianza di obbedienza alla chiamata del Dio, del demone che lo ingiunge

a vivere filosofando, perché faccia capire ai cittadini che ci si deve curare

dell’anima, per poter amministrare una buona polis.

Il filosofo non può temere la morte (thanatos), perché avrebbe la presunzione

di sapere ciò che non sa – ciò ha una rilevanza “esistenziale”, ma soprattutto

politica: questo atteggiamento nei confronti della morte permette a Socrate di

non discutere la condanna e accettarla, e di rimanere ad Atene. Particolare il

suo rapporto con la giustizia: il giudice va rispettato, perché regge la polis. In

generale egli ribadisce l’ammissione di non sapere – presupposto aporetico da

cui nasce la filosofia.

XVIII PARAGRAFO. La scena del processo viene sempre tenuta presente,

tramite una descrizione. Subentra il tema importante dell’ascolto – non ci può

essere dialogo, se non c’è ascolto (“vi sarà utile ascoltare”). Siamo alle battute

finali della difesa di Socrate: egli ha riposto alle accuse rivolte che gli sono

state rivolte; adesso inizia l’ultima parte dell’Apologia, in cui non risponderà

più alle accuse, ma amplierà il suo discorso. Socrate non ha paura della

condanna, né dell’esilio, né della confisca dei beni o della soppressione dei

suoi diritti – la condanna a morte non andrà a danneggiare Socrate, dato che

thanatos potrebbe essere un bene, bensì danneggerà la comunità, che ha

Page 20: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

politico. Condanna di un innocente non è comunemente [banalmente] un

EORRE. Scalfisce le basi della giustizia e ha conseguenze sulla comunità, sulla

POLIS. Socrate non si preoccupa per sé, ma per il futuro della POLIS.

Bellissimo. Socrate ATOPOS, strano, straniero, straordinario... infastidisce.

Non è solo un rapporto conflittuale: Socrate non passa all'anti-politica, perché

lo preoccupa il destino, il futuro della sua città. Socrate crede più che mai nella

POLIS. La condanna non pregiudica la fiducia nella comunità politica, nella

POLIS. Socrate non condanna la POLIS. Distingue la POLIS dai [suoi]

cittadini. Distingue (come devono fare i filosofi) [NB: differenza tra

distinzione (logica) e separazione (ontologica)]. La POLIS non si esaurisce nei

suoi concittadini: Socrate crede nella POLIS. Socrate rivendica il ruolo che ha

sempre svolto: lavorare ai fianchi. Non smette di lavorare ai fianchi i suoi

concittadini. METAFORA. Non hanno saputo apprezzare un dono di Dio. Non

hanno apprezzato l'arte maieutica: il "mestiere" di Socrate: porre domande: il

porre domande, formulare domande: il mestiere del filosofo: fare domande.

31a: metafora del risvegliare i cittadini. I concittadini dormono. Socrate li

sveglia perché questi non si pongono domande. Falso sapere senza

inquietudini. Obbediscono. Non sanno di non sapere. Metafora della filosofia:

questa sveglia, fa passare dal sonno alla veglia. Chi non filosofa si trova in uno

stato di sonno. La veglia, metafora della filosofia che diverrà "coscienza"

[come: essere coscienti]. Già Eraclito e Parmenide avevano parlato di sonno e

di veglia. Parmenide nel PERI FUSEOS parla dei mortali che dormono [cerca

frammento]. Eraclito in particolare introduce e inaugura questa metafora: B89

"unico e comune è il mondo per coloro che sono desti; mentre nel sonno

ciascuno si rinchiude in un mondo proprio". Quando si è desti nella veglia

("coscienza") si condivide il mondo con gli altri, mondo comune. La comunità

può darsi solo nella veglia. Il sonno ci isola dagli altri: cadere nell'isolamento.

Non descrizione; ma metafora, perché la veglia è metafora di quella coscienza

che soltanto la filosofia può dare. In Eraclito idea aristocratica per cui la

maggior parte dei mortali dorme in un'inconsapevolezza onirica. Solo pochi, i

filosofi [solo Eraclito, che fa'mo prima] sono desti, vegliano, sono vigili, al

punto da soffrire di insonnia (pure in Nietzsche 'sta cosa, Zarathustra, libro I).

Il cittadino, per Socrate, è sul punto di addormentarsi. 31b-c: Socrate ha

trascurato fino a ridursi in miseria e ridurre in miseria gli affari suoi, per il

"comune" [ciò che è comune], per la comunità che dorme. La PENIA è

testimone di ciò: il dedicarsi alla comunità, al bene pubblico. Socrate sottolinea

che l'accusa non ha testimoni per dire che Socrate ha curato i proprii interessi.

mandato a morte un innocente – Atene, dopo la condanna a morte di Socrate,

non sarà più la stessa; la condanna a morte di un innocente incrina il

fondamento della città, ossia la giustizia, che così viene a mancare – non c’è

polis senza giustizia. Passaggio decisivo: la condanna a morte di un innocente

non è solo un errore, è ciò che più scalfisce le basi della giustizia e che ha

conseguenze sulla comunità – Socrate non è preoccupato per sé, ma per il

futuro della polis. Socrate, rispetto alla polis, è colui che vive ai margini, lo

straniero e straordinario; non vi è un rapporto conflittuale con la polis, perché

Socrate non passa banalmente all’anti-politica – egli distingue la polis dai suoi

concittadini, che fanno la città, ma non la esauriscono, perché essa sopravvivrà

a loro e a Socrate; Socrate crede molto nell’istituzione della polis, e a ciò si

deve questo discorso e la sua preoccupazione per le sorti della città. Il suo

discorso rivendica ancora una volta il compito di Socrate, e più in generale del

filosofo, che è quello di lavorare ai “fianchi” dei suoi concittadini,

attraversando con loro la città e ponendo loro domande – ma i suoi concittadini

non hanno saputo apprezzare quello che è un “dono del Dio”, che è l’arte

maieutica di Socrate. Socrate pone domande, cioè filosofa: il filosofo è colui

che sa porre domande, perché la domanda attende sempre una risposta, ed è

importante saperla impostare. Metafora importante: gli ateniesi sono infastiditi,

sono contenti di levarsi di mezzo Socrate, che li irrita, e li “sveglia”, come

fossero assopiti, cioè risveglia in loro qualcosa; Socrate vuole svegliare i

cittadini, e questa metafora è atta a dire che essi dormono, perché non si

pongono domande, quindi hanno un falso sapere, cioè non sono inquietati e

sono nella quiete di chi è assopito – è una metafora della filosofia, perché il

filosofo non dorme. La filosofia fa passare dal sonno alla veglia; chi non

filosofa è in uno stato di sonno, e anche la veglia/vigilanza è una metafora

adatta alla filosofia – finchè non diventerà “coscienza”. Già Eraclito e

Parmenide avevano parlato del sonno e della veglia, in questo senso. Nel “Perì

physeos” di Parmenide, egli parla del “sonno dei mortali”. Poi c’è Eraclito, che

inaugura questa metafora: (B 89)”unico e comune è il mondo per coloro che

sono desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo proprio” –

quando si è desti, nella veglia, che è “coscienza”, si condivide il mondo con gli

altri; il mondo è comune nella veglia, perché la comunità si da’ nella veglia; il

sonno è il cadere nell’isolamento. La veglia è la metafora di quella coscienza

propria solo della filosofia – già in Eraclito c’è un’idea aristocratica della

filosofia, per cui i più dei mortali conducono la propria esistenza

nell’inconsapevolezza onirica, non si pongono domande e non sono inquietati,

ma solo pochi sono desti e svegli, ossia i filosofi, al punto da soffrire di

Page 21: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XIX. Socrate ritorna alla voce divina-demoniaca. Socrate dice: "fin da

fanciullo...". Socrate ha seguito questa voce, che lo ha indirizzato, orientato. La

voce gli vieta di occuparsi delle cose dello stato. Perché lo ha redarguito,

avvertito, ammonito? Perché il filosofo deve fare il filosofo. Platone però poi

andrà a Siracusa. C'è già un riconoscere che il filosofo deve restare fuori

dall'arena politica. Quando vi entra, allora iniziano i problemi. Platone lo farà.

Errore eclatante di Platone. Questo è il primo passo in cui si pone il problema

del rapporto tra filosofia e politica. Dove l'una esclude l'altra. Il filosofo

riconosce la POLIS. Il filosofo non può occuparsi di cose dello stato. 32a:

Socrate non si è occupato degli affari pubblici, a ragione, perché se se ne fosse

occupato, sarebbe morto. Socrate lo dice perché avrebbe smesso di essere

filosofo [avrebbe smesso di essere se stesso: identità di BIOS e FILOSOFEIN].

Se Socrate si fosse occupato, si sarebbe spostato di luogo, non più ATOPOS,

non più marginale; ma sarebbe passato al centro. Questo passaggio è entrare

nell'arena degli affari pubblici, con problematiche di giustizia pratica, problemi

validi di volta in volta, etc. Ai margini vuol dire poter filosofare, conservando

la distanza critica che il filosofo altrimenti non avrebbe. Socrate è, per così

dire, il "guardiano" della città. Socrate sta difendendo il BIOS

THEORETIKOS (Aristotele), che è importante per la città. Atene ha bisogno

del filosofo, i cittadini hanno Socrate che li richiama al giusto e al bene. Il

funzionamento pubblico può finire per dimenticare [e far dimenticare] il

GIUSTO e il BENE. Riflettere sulle leggi della POLIS, sottolineare... il non

farsi trascinare dagli affari della città... Non vuol dire però non partecipare; ma

distinguere due mestieri. Alto [o altro?] fraintendimento: tra privato e

pubblico. Socrate non è un filosofo che pratica; ma giustifica un ritiro

esistenziale. Socrate dal margine attraversa l'Agorà: percorre le strade, porta la

filosofia nella POLIS. Non difende una sfera privata. Porta la filosofia nella

politica, nella vita degli altri. [il sonno è parente della morte] [S. predilige le

parole, anche le Leggi, rispetto ai fatti?!]

insonnia. Il cittadino che sta per assopirsi è in uno stato onirico, invece chi

pone i problemi lo infastidisce. Socrate si è ridotto in miseria, trascurando i

suoi affari umani e la sua quiete, per il benessere pubblico della comunità, a

cui è attento solo chi veglia – la sua povertà è testimone del fatto che lui ha

trascurato la sua vita privata per dedicarsi alla polis, in cui crede, e a cui il

filosofo, in quanto sveglio e in quanto condivide il mondo, non può non

credere.

XIX PARAGRAFO. Si riferisce nuovamente alla sua voce demoniaca e

insieme divina: fin da fanciullo Socrate l’ha seguita; essa lo ha persuaso,

orientato e gli ha vietato di occuparsi di cose dello Stato – perché la voce lo ha

ammonito di non occuparsi delle faccende dello Stato? Perché il filosofo deve

fare il filosofo, e ciò implica il fatto che il filosofo deve stare fuori dall’arena

politica – Platone successivamente si recherà a Siracusa, e commetterà questo

errore. Questo è il primo passo nella storia della filosofia in cui si pone il

problema del rapporto tra la filosofia e la politica – è un rapporto conflittuale

ed esclusivo, nel senso che l’una esclude l’altra. Socrate riconosce la polis e ci

crede, ma il filosofo non può occuparsi di cose dello Stato; Socrate non si è

occupato di affari pubblici, facendo bene, perché, dice, sarebbe morto da

tempo, non potendo fare nulla di buono né per sé né per gli altri – avrebbe

smesso di fare il filosofo: non avrebbe più vissuto ai margini della città,

smettendo di essere atopos rispetto ad essa, ma sarebbe passato al centro della

polis, entrando nell’arena degli affari pubblici, di ordine pratico, occupandosi

di giustizia pratica, che si da’ caso per caso, di volta in volta. Così Socrate ha

preferito rimanere ai margini della città, per guardarla con gli occhi del

filosofo, per continuare a filosofare, conservando la distanza critica, che

andrebbe perduta se lui fosse al centro dell’arena degli affari pubblici. Il

filosofo riconosce le leggi della città, ma mantiene la distanza critica – Socrate

difende quello che Aristotele chiamerà il “bios teoreticos” (vita teoretica) del

filosofo. Gli ateniesi hanno bisogno del filosofo che faccia domande e che vada

a richiamarli a ciò che è bene – mentre chi sta negli affari pubblici può

dimenticare ciò che è bene e giusto. Non è il discorso del rifiuto della politica,

ma è un sottolineare la sua posizione, il che non vuol dire non partecipare,

poiché il filosofo deve partecipare, ma si deve distinguere attraverso la

distanza garantita dalla filosofia. Un fraintendimento che può insorgere è

quello che riguarda il “privato” e il “pubblico”: Socrate non è un filosofo che

pratica e giustifica il “ritiro esistenziale”, anzi egli, dal margine della città,

attraversa sempre l’agorà, portando la filosofia nella polis, nella vita politica –

Page 22: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XX. Consiglio=Bulé dei 500. Esperienza di difesa del diritto, della giustizia...

comprensibile [la] condanna a morte. Riferimento agli eventi recenti di Atene.

C'è un importante presa di posizione: Socrate contro l'oligarchia. Socrate è

favorevole alla democrazia: non ci stupisce: chi pratica il dialogo socratico è

(tendenzialmente) favorevole alla democrazia. Platone però no! Platone così

per via dell'esperienza di Socrate. Gli alleati di Socrate (democratici fans

dell'età di Pericle) vogliono la democrazia con mezzi violenti. C'è perciò una

presa di posizione di Socrate. La democrazia non può stare accanto alla

violenza, al calpestamento dei diritti. Ripristinare la democrazia con la

violenza? No! Con la morte di Socrate inizia il declino di Atene. Con la morte

di Socrate la democrazia naufraga (vedi Platone). Socrate nel corso dei secoli

diventa un'icona. Simbolo della democrazia, della non violenza, della filosofia

che difende diritto e giustizia fino alla morte. Socrate dice ciò quando il

processo volge già verso un'accusa drastica; ma 'sti cazzi della condanna; ne va

del declino della democrazia ateniese. La morte ed il declino non verranno

dimenticati. [Socrate: democrazia che rispetta il diritto, diversa da quella di

coloro che vogliono ripristinare la democrazia con la violenza]. Socrate: io

sono lo stesso in privato e nel pubblico. Non faccio differenza tra le due sfere.

??? scopro? i principii dell'etica (Socrate non ha? una); ma c'è già il concetto di

ETHOS che guida la città ???

XXI. "io non sono mai stato maestro di nessuno". Socrate risponde ancora alle

accuse. Il maestro è colui che sa. Socrate non potrebbe mai, perché "non sa"

[sa che non sa]. Coerente. Connesso con la MAIEUTICA. Distacco con i

Sofisti. Socrate non ha mai aperto una scuola. Le scuole socratiche minori

nascono dopo la morte di Socrate. Ma rispetto all'Accademia e al Liceo,

quindi gli non difende la sfera privata della filosofia; porta il dialogo in

politica, ma non si occupa di affari pubblici. Il sonno è parente della morte: lui

vuole la veglia, per questo dice che sarebbe morto se si fosse messo a fare

politica (come persona e come filosofo).

XX PARAGRAFO. La comunità apprezza i fatti, Socrate apprezza le parole.

Una volta Socrate ha fatto parte del Consiglio (la boulè dei 500) – fa un

esempio concreto, come quando ha menzionato la sua esperienza nell’esercito:

ricorda il suo vissuto, la difesa del diritto e della giustizia, cosa che per poco

non gli costò la morte (c’era ancora una democrazia). La sua argomentazione

contiene un riferimento agli eventi recenti di Atene: la presa di posizione di

Socrate è contraria all’oligarchia, ma favorevole alla democrazia – chi pratica

il dialogo socratico, chi si apre ai cittadini in questo modo è favorevole alla

democrazia. Ma Platone non è favorevole a questo tipo di governo, per via

dell’esperienza di Socrate – il senso è che coloro che avrebbero dovuto essere

alleati di Socrate, cioè quanti avessero voluto restaurare una democrazia ad

Atene, come ai tempi di Pericle, in realtà lo hanno fatto con mezzi violenti,

fuori dai diritti e calpestando gli stessi diritti – es. non dando la cittadinanza a

chi avrebbe dovuto ecc. Presa di posizione di Socrate: la democrazia non può

stare insieme alla violenza; non si può ripristinare violentemente la

democrazia. Al momento della condanna, Atene sarà pregiudicata per sempre –

declino della polis e della democrazia. La posizione di Platone si comprende a

partire da questo naufragio della democrazia proprio contro la figura di

Socrate; così, nel corso dei secoli, Socrate è diventato l’icona e il simbolo della

democrazia, e specialmente della non-violenza, quindi di una filosofia non-

bellica e che difende la giustizia anche a costo della vita. Siamo in un momento

grave del processo: Socrate sa di non avere possibilità, verrà condannati

colpevole da tutto –Socrate denuncia Atene, che non ha rispetto del diritto; non

ne va della sua vita, ma dalla condanna dipende il declino della democrazia di

Atene; Socrate denuncia qualcosa che non verrà dimenticato, prendendo le

distanze da coloro che vogliono violentemente ripristinare la democrazia .

Questa è l’esperienza che Socrate racconta.

XXI PARAGRAFO. Socrate è lo stesso sia in privato sia in pubblico – segue i

principi della giustizia e dell’etica; c’è già il concetto di “etos” che guida la

polis. Lui ha sempre seguito il giusto; dice di non essere mai stato maestro di

nessuno – questo è un modo di rispondere ulteriormente all’accusa di

corruzione. Il maestro è colui che sa, e che fa l’educatore, perché ha da

Page 23: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Socrate niente scuola. Socrate non fa distinzione di età e di reddito. I giovani di

Atene sono andati da lui, non il contrario. Non c'è distinzione ancora tra

privato e pubblico (cfr. 33b fine). Niente merito o demerito per l'esito di coloro

che lo seguono: quello che questi diventeranno non sono cazzi suoi di Socrate.

La filosofia non insegna qualcosa di particolare: niente/nessuna dottrina.

Rivendica (positivamente) che la filosofia non "serve" a nulla. Vedremo come

Platone riprenderà questa posizione. Possiamo dire che il dialogo sia un

insegnamento? Domanda di Socrate non da liquidare.

XXII. Socrate nuovamente si richiama al demone, alla voce interiore,

all'oracolo, ai vaticinii, ai sogni: entra il tema del "sogno". Il filosofo da ascolto

al sogno: messaggio, oracolo, che gli viene dato. Socrate chiama a testimoniare

i suoi discepoli, i suoi allievi (?). Perché l'accusa non li ha interpellati? Se li ha

corrotti, lo dicano loro... Qui compare Platone. Platone introduce il proprio

nome, mentre non ci sarà nel Fedone. Scena molto teatrale e ovviamente

drammatica. Socrate avrebbe bisogno della testimonianza dei suoi allievi, che

difenderebbero il "corruttore". 34d-35a: Socrate non ha chiesto

commiserazione o patimento (?). Non ha parlato di chi lascerà con la morte.

Dignità del filosofo. Socrate su un piano diverso. Risposta (?) e difesa (?) del

filosofo [di fronte] alle accuse. bellissimo: "per la reputazione mia e vostra...

[...] ...degli uomini" (35a). Qui il rispetto di Socrate per la POLIS. Niente

accampare scuse facendo scadere il proprio discorso. Niente atti straordinarii.

Socrate non teme la morte, niente atti vergognosi. Dignità perché ne va della

filosofia. Se nel Fedone non mantenesse la dignità, metterebbe in dubbio tutta

la sua vita. Il modo in cui affronta la condanna a morte è una conferma della

condotta in vita: mai ci si può lasciare andare. Filosofia tutt'uno con il filosofo.

Legittimità e conferma della sua filosofia. 35b: femmine: le donne sono

escluse dalla vita pubblica e dalla filosofia: caduta di stile.

XXIV. Socrate chiude la difesa e vedremo che ci sarà la condanna. [trova tutti i

frammenti di Eraclito sul sonno e sulla veglia].

Socrate ha concluso la sua difesa; poi però c'è un'ultima parte che riprende il

insegnare; ma Socrate sa di non sapere e non è mai stato maestro di nessuno,

sottolineando così la sua distanza dai Sofisti; inoltre Socrate non ha mai aperto

una scuola – ci sono solo scuole socratiche minori, fondate dopo la sua morte.

Ma lui non si è mai rifiutato di parlare, perché è a disposizioni di tutti, senza

distinzioni di età, senza distinguere i poveri dai ricchi, anche perché non si fa

pagare. Non può prendersi il merito o il demerito a proposito di qualcuno che,

dopo i suoi insegnamenti, consegua successo o meno, perché la filosofia non

ha nulla da insegnare – chi diventerà qualcuno lo farà da sé. Il filosofo non

insegna qualcosa di particolare – i Sofisti insegnano l’euleghein, che è anche

qualcosa di pratico. Socrate rivendica un qualcosa della filosofia, che tende

anche ad essere un’ accusa rivolta a questa: la filosofia non insegna nulla e non

porta a nulla. il dialogo è un insegnamento? La domanda che Socrate ci pone

rimane aperta.

XXII PARAGRAFO. Socrate si richiama al demone, alla voce interiore, al

messaggio dell’oracolo, ai vaticini, addirittura ai sogni – entra in scena il

sogno. Il filosofo da’ ascolto al sogno; è un messaggio che gli viene dato. La

scena, tra le ultime della difesa: non è stato un maestro, ma chiama a testimone

i suoi discepoli – perché non sono stati interrogati? Lui chiede si facciano

avanti, affinchè dicano se sono stati corrotti – compare Platone, in uno dei

pochi passi in cui introduce il proprio nome. È una scena teatrale e

drammatica, come se Socrate avesse bisogno della testimonianza dei suoi

allievi; loro difenderebbero il “corruttore” , ma non sono stati interpellati.

XXIII PARAGRAFO. Socrate non ha chiesto di essere compatito – dignità del

filosofo; la sua difesa è la difesa della filosofia, più che della sua persona. Non

vuole essere compatito, per la reputazione sua e quella della città; non vuole

essere commiserato né indurre a pietà, tramite discorsi privati – riesce sempre a

mantenere il suo discorso ad un livello filosofico. Qui è il rispetto di Socrate

nei confronti della città; non si lascia andare ad atti straordinari o vergognosi,

perché non teme la morte, e qui viene ribadito il ruolo del filosofo. Se Socrate

non preservasse la sua dignità, e qui e nel Fedone, metterebbe in dubbio tutta la

sua vita, non affrontando la morte. Il modo in cui affronterà il limite estremo

della morte conferma invece la sua condotta di vita – lui non smette di essere

filosofo, neanche un momento; perché la filosofia non è distinta dal filosofo; la

sua filosofia trova legittimità nel modo in cui egli conduce la sua vita.

Due parti: 1. Conclusione della difesa di Socrate; 2. Conclusione della scena

Page 24: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

tema della morte (già incontrato quando Socrate si prepara alla condanna): non

possiamo sapere che la morte sia il male peggiore: ciclicità, ripresa degli

argomenti, tipica di molti dialoghi. Pagine dense e complesse contro una prima

lettura, in cui il Socrate platonico sviluppa una concezione radicale della morte

che ritroveremo nel Fedone. Strettamente connessa. La prova filologica (o

filosofica?) sta nell'ultima parte dove Socrate decide di riflettere sulla morte

negli ultimi giorni della sua vita. Pagine importantissime per la cultura greca:

importantissime per la storia della filosofia. Tutti i filosofi che meditano sulla

morte ritorneranno su queste parti: cfr. PROLOGO del FEDONE (ma con

differenze). Leggeremo pure la testimonianza di Diogene Laerzio. Partizioni

del dialogo: l'autodifesa di Socrate termina al paragrafo XXIV. Emerge la

dignità di Socrate; ma anche il rispetto per la POLIS. Leo Strauss ha delineato

una teoria politica molto interessante partendo dal rapporto Socrate con la

POLIS. I 500 giudici stanno per votare la colpevolezza di Socrate (Diogene

Laerzio: lo scarto è di 30 voti).

XXIV. Socrate non ritiene di rivolgere un appello al giudice: perché il giudice

deve essere rispettato. E il giudice deve fare giustizia, giudicare. Il grande tema

dell'Apologia è la giustizia. Argomento filosofico: sarebbe come spingerlo a

violare il suo giuramento. Io, accusato, sono il primo a rispettare la POLIS, gli

dei, le leggi, e chiedo perciò GIUSTIZIA. Questa è la prova che Socrate

rispetta gli dei molto più dei suoi accusatori. SEMEION THEOU. Socrate non

viene a compromessi. Socrate decide di non fuggire, come invece hanno fatto

altri filosofi prima di lui (cfr. Anassagora); non ha senso per lui scendere a

compromessi. La scelta di Socrate è radicale e non necessariamente

condivisibile: la scelta discende dal modo di concepire la POLIS e la morte

(THANATOS). Questi i due termini concettuali entro i quali si determina la

scelta. In greco THANATOS significa sia "morte", che "condanna a morte":

valore semantico più ampio rispetto alla lingua italiana [controlla se è vero o se

è 'na cazzata]. Non è detto che si debba essere d'accordo. Non è un caso che

l'ultima parte contenga una riflessione sulla morte.

drammatica del processo – in ultima istanza viene ripreso il tema della morte,

già affrontato da Socrate nel suo prepararsi alla condanna. C’è una ciclicità

degli argomenti, tipica dei dialoghi socratici. La concezione della morte

sviluppata da Socrate è molto radicale, e verrà ripresa anche nel Fedone –

connesso strettamente all’ultima parte dell’Apologia. Non c’è alcuna ribellione

alla sentenza dei giudici, ma una sua accettazione ed una riflessione. Queste

ultime pagine sono importanti per la filosofia e per la cultura greca in generale

– tutti i filosofi che si ritroveranno a meditare sulla morte, ritorneranno

inevitabilmente a questo punto dell’Apologia, il quale è una chiusura

dell’opera, ma anche un prologo del Fedone, quindi si tratta di una sorta di

ponte tra i due testi.

XXIV PARAGRAFO. Termina qui la difesa di Socrate. Emerge la sua dignità

e il suo rispetto nei confronti della polis, e non chiede la commiserazione. Nel

‘900 un filosofo, Strauss (ebreo emigrato nel Stati Uniti) delinea una filosofia

politica, interessante nel suo confronto con Socrate, specialmente in merito al

suo rapporto con la polis – attualità di queste pagine.

I giudici stanno per decidere la colpevolezza di Socrate – non è unanime il

voto, c’è uno scarto, benché minimo. Socrate, anche in queste sue ultime

battute, non ritiene di rivolgere un appello al giudice, perché questo deve

essere rispettato, senza pressioni – il giudice non deve fare grazia, ma giustizia

(grande tema dell’Apologia che ritorna), deve cioè giudicare. Fare pressione al

giudice è spingerlo a violare il giuramento. Socrate, accusato di empietà,

dimostra che è il primo a rispettare sia le leggi, sia la polis, sia gli Dei, per cui

non può chiedere grazia, ma solo la giustizia – sarebbe bensì empietà il fare

pressione al giudice. Così Socrate da’ prova di aver rispetto per gli Dei, come

una testimonianza, più di coloro che lo accusano di non credere agli Dei –

ritorna la questione del Dio, al quale Socrate obbedisce e presta il servizio

della filosofia (parlerà ben due volte del “semeion theù”). Al termine di questa

difesa non v’è nessun compromesso di sorta – infatti prenderà la celeberrima

decisione di non fuggire; non sceglierà l’esilio, non ha senso fuggire o

scendere a compromessi per evitare la morte, anche se avrebbe potuto. La sua è

una scelta radicale, non necessariamente condivisibile, ed essa scende dal

modo di concepire la polis e thanatos – sono i due termini di questa scelta;

Page 25: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XXV. è qui avvenuta per 30 voti, pochi, la condanna (36a-b). Socrate non si

stupisce della condanna; ma è stupito dello scarto minimo. Socrate ironizza

pure, perché Meleto avrebbe rischiato pure unna multa. Qui Socrate si chiama

giudice se stesso.

XXVI. Quale pena io che ho "nella vita rinunziato sempre ad ogni quiete". La

scelta della filosofia è la scelta dell'inquietudine. Socrate mette qui la POLIS

sopra a tutto. Io non solo non merito la condanna e la pena di morte; ma un

premio. PROVOCAZIONE. Il Pritanéo era l'edificio ai piedi dell'Acropoli

dov'erano mantenuti a spese dello stato i grandi cittadini: voi mi dovete

riconoscenza. Se qui vengono onorati coloro che vincono le Olimpiadi, in

realtà dovrei essere assai più onorato io. Questo considerando il valore dei

giochi sportivi in Grecia. Quello che riporta la vittoria, che vince, fa che voi

sembriate felici, io che voi SIATE felici. Io, povero, sono il vostro benefattore:

rivendicazione del modo(?) della filosofia.

XXVII. Fa riferimento alla legge di Sparta. Socrate non vuole essere frainteso

come orgoglioso, dispettoso, etc.; ma ha una vera convinzione, di aver agito

secondo la rettitudine. Il tema del dialogo socratico: "se solo Noi..." [cerca

citazione]. Aspirazione di Socrate al prolungamento del dialogo. Questo non si

conclude, lascia aperta la questione, qui si tratta di ASPIRARE a parlare

ancora, ad avere più tempo, a dialogare ancora. Ritornerà nel Fedone e nella

filosofia: ASPIRAZIONE ad un dialogo ininterrotto, infinito; ma l'interruzione

della morte è qualcosa di violento. Nella violenza di non poter continuare il

dialogo, il filosofare, l'interruzione violenta del DIALEGHESTAI, ché forse

thanatos, in greco, ha un campo semantico più ampio, in quanto indica sia la

morte sia la condanna a morte. Trattandosi dei due termini concettuali entro i

quali si determina la scelta, non a caso l’Apologia contiene una riflessione

sulla morte. In conclusione: Socrate crede agli Dei, e lascia a giudici il giudizio

– ha termine la sua difesa.

XXV PARAGRAFO. C’è stata la votazione: su 500, per 30 voti Socrate viene

condannato a morte. Socrate non è stupito della condanna; semmai è stupito

dello scarto minimo tra chi ha votato a favore e chi contro la sua condanna –

ironia: pochi voti e Meleto avrebbe dovuto pagare.

XXVI PARAGRAFO. Quale pena si darebbe Socrate? Qui è in gioco una sua

provocazione. Socrate, prendendo la parola, continua a difendersi: sostiene che

nella vita rinunciò sempre ad ogni quiete e benessere – lui ha scelto la veglia e

l’inquietudine della filosofia, si è privato del benessere per ricercare la verità,

mettendo la polis sopra ogni cosa. Socrate non merita la pena di morte, ma, al

contrario, e qui la sua provocazione, sente di meritare il Pritaneo – questo è il

merito che si attribuisce, per essersi sempre posto al servizio degli uomini. Il

Pritaneo è un edificio ai piedi dell’Acropoli, dove sono mantenuti i grandi

cittadini, il cui merito viene riconosciuto pubblicamente, dalla città – Socrate

meriterebbe questo riconoscimento, essendo lui povero e lo stesso benefattore

dei cittadini. Invece nel Pritaneo sono premiati coloro che vincono le

Olimpiadi, invece lui si ritiene più degno di questo merito – è una

provocazione importante, se si considera il valore che i giochi olimpici

costituivano per i greci. Colui che riporta le vittorie ai giochi olimpici, fa che i

cittadini sembrino felici; Socrate, invece, fa che i cittadini siano felici. Inoltre il

vincitore olimpico non ha bisogno di essere mantenuto; Socrate invece merita

un tale riconoscimento, perché lui, divenuto povero, è il benefattore della polis.

Questo punto costituisce una forte rivendicazione della filosofia.

XXVII PARAGRAFO. Fa riferimento alla legge di Sparta, che concede più

tempo per il processo – Socrate non ha avuto molto tempo, e non vuole

rischiare di essere frainteso, come se il suo fosse un orgoglio dispettoso,

quando invece egli porta avanti la sua convinzione di aver agito sempre

secondo rettitudine. Emerge un tema, anche proprio del Fedone, che riguarda

l’aspirazione di Socrate al dialogo ulteriore – il dialogo socratico non giunge

mai ad una conclusione, lasciando sempre aperta la questione; dunque c’è

insorge sempre l’aspirazione ad avere più tempo per parlare ancora, e in questo

caso, per poter persuadere i suoi concittadini. Il tema che ricorre nella filosofia

Page 26: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

potrebbero cambiare idea i concittadini... Qui si apre il discorso sulla

condanna: possibile non ci sia una via d'uscita pragmatica, un'alternativa

pragmatica? Per Socrate non è possibile e dice perché. Storicamente Socrate

avrebbe potuto fuggire da Atene e salvarsi. Socrate non viene a compromessi;

non chiede commutazioni di pena. Carcere=simbolico: legato all'idea, al

concetto orfico del corpo-carcere, il SOMA-SEMA. Perché scegliere un

carcere ulteriore oltre al corpo, dacché la PSYCHE vive già orficamente nel

carcere del corpo, quando la morte è la liberazione dell'anima?! (cfr. Fedone).

L'esilio: ACHME, apice della narrazione. Socrate sa bene, anche per lo scarto

dei voti, che i giudici non vorrebbero condannarlo a morte. Sarebbe un

terremoto per Atene. Socrate sa bene che quello che gli accusatori vogliono,

sia i primi che i secondi, è di liberarsi di lui mediante l'esilio: Socrate non può

accettare l'esilio, e smonterebbe la sua filosofia e la sua autodifesa. Nella

cultura greca l'esilio ha un valore negativo. Ulisse è il paradigma del rifiuto

dell'esilio. Quello che Socrate vive ad Atene si riproporrebbe in qualsiasi altra

città. Questa è anche un po' una metafora.

XXVIII. Socrate come potrebbe stare zitto se egli segue il comando del dio?!

La vita del filosofo è la filosofia. Nessuna separazione tra le due.

VOCAZIONE, e non? [solo?] perché Socrate risponde al Dio. Smettere di

filosofare è smettere di vivere. Wittgenstein dice: "il filosofo non chiude

bottega la sera; ma continua a pensare anche quando non vorrebbe". Queste

righe sono importanti: Platone [gli] fa dire: la filosofia non è un mestiere, è una

VOCAZIONE. Non c'è separazione. Nietzsche teorico di questa impossibile

separazione di vita e filosofia. Socrate non può smettere di interrogare e

interrogarsi (GNOTI SEAUTON). Le altre soluzioni di compromesso

pragmatico non vanno bene per Socrate: sono delle "morti" per lui.

THANATOS è una liberazione. Ritorna Platone? (?: è lui?). Qui finisce la

penultima parte: 38c. L'ultima parte è dedicata ad una condanna di Atene e

degli ateniesi, e una grande riflessione su THANATOS. Diogene Laerzio: libro

è quello del dialogo infinito, per cui arriva un’interruzione, come una cosa

violenta, e qui è la morte; ma la violenza appartiene all’interruzione del

dialogo, del filosofare stesso, del dialeghestai, più che alla morte in sé (non è il

bere la cicuta). Si apre il discorso sulla condanna a morte: possibile che non ci

sia un altro rimedio? Socrate inizia a chiedersi se sia accettabile la condanna a

morte – vi sono, certo, altre vie, che tuttavia Socrate non può tenere in

considerazione per sé, eppure, storicamente, egli avrebbe potuto salvarsi. Una

di queste vie rappresenta il carcere: il “carcere” ha un valore simbolico – è

legato al concetto orfico del corpo come prigione dell’anima; se l’anima è già

nel carcere del soma, perché dovrebbe scegliere un carcere ulteriore? La morte

è proprio la liberazione della psychè dal soma. Qui si arriva all’acmè della

narrazione: Socrate sa bene, a partire dallo scarto dei voti, che i giudici non

vorrebbero condannarlo a morte, poiché questo evento sarebbe un terremoto

per la città di Atene, bensì vorrebbero andasse in esilio – non si

macchierebbero, ma si libererebbero del fastidio della sua persona. Socrate sa

bene che gli accusatori vogliono liberarsi di lui tramite l’esilio; per questo

Socrate non vuole scendere a compromessi, né vuole andare via, per non

smentire la sua autodifesa e la sua filosofia. Non scende a compromessi, anche

perché nella cultura greca l’esilio ha valore negativo – il passaggio da città in

città, come per Ulisse, che vuole tornare in patria, per cui i suoi viaggi sono

disavventure, nonostante la sua proverbiale curiosità. Socrate sa che, pur

andando in esilio, avrebbe comunque tanti giovani al suo seguito, i quali

convincerebbero gli anziani della sua empietà – ciò è per dire che la situazione

che ora lo coinvolge si ripeterebbe comunque.

XXVIII PARAGRAFO. Sarebbe legittimo chiedere a Socrate di preferire una

vita da trascorrere nella quiete, una volta in esilio. Il problema è che Socrate

non può stare quieto, lui che segue il comando del Dio – ma loro non gli

credono su questo punto, come se parlasse per ironia. La sua vita è la filosofia,

non c’è separazione – è una vocazione, per questo risponde al Dio; come può

smettere di interrogare se stesso e gli altri? La filosofia non è un mestiere, essa

coincide con la vita del filosofo, per cui smettere di interrogare/filosofare

sarebbe per Socrate smettere di vivere – la filosofia è inquietudine costante,

una vocazione, e fa tutt’uno con la vita; non si può smettere di filosofare, come

si smette un mestiere, e continuare a vivere. Anche Nietzsche è il teorico

dell’impossibilità di separare la vita e la filosofia. Dunque tutte le altre

soluzioni e compromessi, per Socrate, sono delle effettive morti, invece

thanatos è una liberazione – si sta rovesciando il discorso.

Page 27: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

II, capitolo 2, capoverso 40. Ritroviamo i 3 capi d'accusa; ma la gerarchia

(l'ordine) è diversa: differenza di un voto (29) rispetto ai 30 di cui parla

Platone. La provocazione di Socrate modifica il numero di voti per la

condanna. Muore? in prigione dove tenne molti discorsi che Platone conserva

nel Fedone. Testimonianza che in gran parte coincide; ma oltre che dalla

condanna alla morte passano giorni che Socrate trascorre in carcere parlando

della morte. L'ultima parte dell'Apologia prosegue nel Fedone, dove tratta

l'immortalità dell'anima. Aggiunge Laerzio del/riguardo al pentimento degli

ateniesi, della condanna a morte di Meleto e del bandimento di Anito. Diogene

Laerzio conferma il nesso tra l'Apologia e il Fedone.

XXIX. Socrate sdoppia il discorso: si rivolge prima ai giudici favorevoli alla

"morte"; dopo a quelli per l'assoluzione. RIVENDICAZIONE DELLA

DIGNITA' DI SOCRATE. è molto più difficile sfuggire alla malvagità.

Socrate non ha voluto [...] a tutti i costi per evitare la morte, come al peggiore

dei mali. Socrate accetta la morte: c'è sempre questa accettazione del suo

destino; non c'è una volontà di vivere di/in Socrate. Gli preme seguire i suoi

princìpi di rettitudine e non cadere nella malvagità. 39b: Socrate accetta la

morte; sono gli accusatori che si macchiano di delitto. "39b4-7!!!".

XXX. Qui interviene Platone, facendo dire a Socrate "io vi predico!" [cerca

citazione] Scrive a posteriori. 39d: Platone fa dire a Socrate quale vendetta

verrà per aver tolto la parola (VIOLENZA DELL'INTERRUZIONE). Socrate

dice "non si fa così". Socrate muore per la libertà di parola.

XXXI. Socrate insiste: è quasi una resistenza alla violenza, in senso lato:

morte, interruzione, etc. : Socrate resiste fino all'ultimo con la parola, parlando.

L'unica preghiera è l'ascolto: ascoltatemi! Il demone: Socrate si rivolge a

Finisce questa penultima parte, in cui i giudici devono decidere l’applicazione

della pena. L’ultima parte è dedicata ad una condanna di Socrate ad Atene e

agli ateniesi; inoltre ha luogo la sua grande riflessione sul concetto di thanatos.

XXIX PARAGRAFO. Socrate sdoppia il discorso: prima si rivolge ai giudici

che si sono detti favorevoli alla condanna, e dopo a quelli che hanno votato per

la sua assoluzione. Socrate non difettava di argomenti, ma di sfrontatezza e

impudenza – rivendicazione della sua dignità. È più difficile sfuggire alla

malvagità che alla morte; egli non ha voluto evitare la morte a tutti i costi – c’è

un’accettazione del suo destino. Ciò che più gli preme, più della morte, è di

seguire la sua rettitudine e i suoi principi, per non cadere nella malvagità –

decisivo. Il fatto di accettare la morte, per Socrate, vuol dire non cadere nella

malvagità, in realtà sono i suoi accusatori a macchiarsi di un delitto; la

malvagità corre più celere – se Socrate paga il suo debito di morte, gli

accusatori pagheranno la loro malvagità condannati dalla verità, che non è

dalla loro parte.

XXX PARAGRAFO. Qui è la voce di Platone, il quale fa dire a Socrate che lui

predice cosa accadrà – chi è sul punto di morire fa predizioni perché, al limite

estremo, è più vicino all’Ade. Si rivolge a coloro che lo hanno condannato: per

lui è più facile vaticinare sulla vendetta che ricadrà su di loro, perché gli hanno

tolto la parola – violenza dell’interruzione; dovranno dare conto a coloro che

avrebbero voluto prendere posizione a favore di Socrate, ma che da lui sono

stati tenuti a bada – i giovani. Non è così, condannando un innocente, e

macchiandosi di questo delitto, che ci si libera dalle onte – togliendo la parola;

a Socrate viene tolta la parola, viene cioè condannato a morte, proprio perché

lui ha la libertà di parola.

XXXI PARAGRAFO. Si rivolge a chi lo ha assolto. La resistenza di Socrate

contro la violenza è appunto la parola; resiste parlando, perché la parola gli è

stata tolta – e la preghiera che rivolge a costoro è che lo si ascolti, che si

Page 28: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

coloro che lo hanno assolto assumendo toni consolatorii: io sono convinto che

quel che mi è successo è meraviglioso, oggi non ho ricevuto il SEGNO DEL

DIO, come in passato. Il SEMEION THEOU non è giunto, non lo ha interrotto.

Socrate interpreta l'assenza del segno come che quello che doveva accadere è

accaduto, ed è un BENE, perché morire non è un male. Se fosse un male,

Socrate avrebbe ricevuto il segno del dio. Sul segno del dio ci sono varie

interpretazioni: la religiosità è molto complessa: è un rimettersi al divino,

rimettersi ai proprii limiti, etc. Questo SEMEION THEOU (segno del dio) è

stato interpretato come un rinvio alla sfera orfica. Il segno del dio viene

interpretato come un segno di quella sfera divina che per gli orfici è l'anima.

Legame lasco con il soma. Si reincarna. Il segno del dio è un segno

dell'Anima. In Socrate, Platone, ed Aristotele non è una parola per "coscienza";

ma questo segno è la VOCE DELLA COSCIENZA: e questa gli "dice" che

l'accaduto è per il meglio. Qui inizia l'ultima parte, bellissima, sulla morte.

XXXII. Non ci deve stupide che tutto finisca con una riflessione sulla morte.

La riflessione sulla morte c'è già nei Presocratici; ma non si interrogano su

cosa vuol dire morire, mentre si concentrano sul passaggio da ESSERE a NON

ESSERE. Qui eco sui Presocratici (40c9). O Morire è migrazione

(trasmigrazione) da qui ad un altro luogo: CONCEZIONE ORFICA.

Migrazione della PSYCHE. Questa resta e vive; muore solo il corpo. OPPURE

Avvicinamento del sonno alla morte (già in Eraclito): nella sua enigmaticità

rinvia alla MORTE. Sonno senza sogni. L'eternità non è più lunga di un'unica

notte. MORTE MERAVIGLIOSA. Concezione profondamente tragica della

vita. Ci sono già i Tragici, e la cultura greca è quella della tragedia, e affronta

tragicamente la morte: molto greco. Meglio il sonno senza sogni dei giorni

della vita. NON LO TROVIAMO IN ALTRE CULTURE: ma ha

inciso/influito sulla nostra. Se c'è una trasmigrazione allora c'è il PASSAGGIO

ALL'ADE: non è solo questo; ma è l'incontro con i già passati all'Ade, e

l'incontro e dialogo con gli immortali: con Omero, Esiodo, etc. SE E' VERO

[però] QUELLO CHE SI DICE! Uno splendido incontro con gli immortali,

dove Socrate vuole -- bellissimo! -- continuare a filosofare.

rimanga ancora con lui. Socrate assume toni consolatori: è convinto che ciò

che gli è accaduto sua una cosa meravigliosa, poiché quel giorno non ha

ricevuto il semeion theù, a differenza di altre occasioni – il segno non gli si è

opposto, non è stato interrotto. Socrate interpreta l’assenza del semeion nel

senso che ciò che doveva accadere ed è accaduto è un bene, perché il morire

non è un male; se fosse stato un male un segno gli si sarebbe opposto. Vi sono

tante interpretazioni a proposito del segno del Dio – la religiosità di Socrate è

molto complessa; è un rimettersi al divino nel riconoscere i propri limiti. Ma

qui il semeion theù viene interpretato maggiormente come un rinvio alla sfera

orfica – il segno del Dio è interpretato come un segno di quella sfera divina che

per gli orfici è la psychè; l’anima è in realtà un segno del Dio. Ancora non c’è

nella filosofia greca, né per Socrate, Platone o Aristotele, la parola coscienza,

ma il segno dell’anima è interpretato come una sorta di richiamo della

coscienza. Il segno dice a Socrate che ciò che è accaduto è per il meglio.

XXXII PARAGRAFO. Quest’ultima parte è dedicata alla morte (thanatos). La

riflessione sulla morte è già presente nei presocratici – che tuttavia si

interrogano soprattutto sul passaggio dall’essere al non-essere. Per la prima

volta ci si interroga invece su che cosa vuol dire morire, e ciò a opera di

Socrate. Egli contempla un’alternativa: 1. Morire è non essere più nulla –

riflesso dei presocratici, per cui morire è non avere più il sentimento di nulla;

2. Morire è il mutamento della psychè da questo a un altro luogo – riflesso

degli orfici, e della teoria riguardo la trasmigrazione dell’anima, che resta,

mentre a morire è solo il corpo. Socrate, riferendosi alla prima visione della

morte, concepisce la morte come un sonno senza sogni – per la prima volta

l’enigmaticità del sonno è accostata all’idea della morte. Secondo questa

visione, l’eternità della morte non è più lunga di un’unica notte – se morire è

non provare nulla, allora è come un sonno senza sogni, che è preferibile ai

giorni inquieti della vita e alle notti affollate di sogni. Concezione tragica – la

cultura greca è la cultura della tragedia, che affronta tragicamente la morte.

Questo discorso di Socrate è dunque tipicamente greco: non è tuttavia la

concezione della morte, come un sonno eterno senza sogni, ad essere tragica,

ma tragica è, di conseguenza, la visione della vita – concezione tipicamente

greca, che non si trova in altre culture, che ha inciso sulla cultura occidentale.

D’altro canto, se si considera la possibilità della trasmigrazione dell’anima,

morire è allora un passaggio nell’Ade; ciò implica l’incontro con quelli già

passati all’Ade, dunque Socrate immagina un dialogo tra immortali, e la

possibilità di continuare a interrogare e filosofare, come il piacere più grande –

Page 29: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XXXIII. Morire per Socrate è liberarsi da ogni pena: liberazione. Che aspetti in

carcere è indicativo: METAFORA DEL CORPO CARCERE. Muore pensando

e parlando della sua liberazione. TORNA IL SEGNO DEL DIO. 42a: con

questa frase è sempre "so di non sapere": solamente sa il Dio. MODESTIA DI

SOCRATE: ACCETTAZIONE DEL LIMITE E DEL LIMITE DELLA VITA.

Socrate accetta il limite della vita. La raffigurazione dell'Ade: ci crede? è

importante l'accettazione del limite. E' IMPORTANTE E ATTUALE: oggi non

si accetta questo limite. Lotta per prolungare la vita, non accettazione.

Accettare la condanna non è solo accettare la POLIS; ma anche THANATOS,

il limite della vita.

---

CRITONE (Aleksis)

Critone: nelle "Vite dei filosofi" c'è una sezione su Critone, filosofo, allievo di

Socrate, e Diogene Laerzio gli attribuisce almeno 14 opere: sicuramente è

certo che Critone -- ritorna nel Fedone -- doveva essere un filosofo mediocre,

non particolarmente portato né originale. Non abbiamo ulteriori riferimenti

oltre a Platone e a Diogene Laerzio. Era il filosofo del "senso comune" --

difenderà delle tesi "pragmatiche", diremmo di "buon senso" (meglio di "senso

comune"). Il buon senso fa a pugni con la filosofia, che necessita radicalità,

come Socrate. Critone è l'allievo che cerca di far ragionare il maestro per

ricondurlo al "buon senso". Dialogo relativamente breve, e ha un significato

più limitato. Si collocherebbe tra i dialoghi socratici, quindi giovanili. Alcuni

“Se è vero quello che si dice”. Socrate già si promette, nel II caso, di

continuare a filosofare anche nell’Ade.

XXXIII PARAGRAFO. Morire per Socrate è liberarsi da ogni pena. Ritorna il

segno del Dio, che non gli si oppone. L’ultima frase ribadisce che lui sa di non

sapere, e cosa sia meglio lo sa solo il Dio – umiltà di Socrate, che è la sua

accettazione del limite del sapere, e a questo punto anche del limite della vita.

Non sa se credere alla sua raffigurazione riguardo all’Ade – incontro con i

grandi; ciò che importa è il fatto di accettare il limite imposto dalla morte.

Accettare la condanna è accettare il bene della polis e thanatos.

Testimonianza di Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, libro II): egli riporta i tre

capi di accusa, cambiando le gerarchie; al momento della provocazione di

Socrate (Peritoneo), si aggiunsero 80 voti di condanna ai precedenti; fu messo

in prigione, passati vari giorni bevve la cicuta, dopo aver tenuto tanti discorsi –

che Platone tiene nel Fedone; dopo la sua morte la città se ne pentì, vennero

chiusi i ginnasi, condannato a morte Meleto, bandito dalla città Anito, e gli

altri esiliati. Da questa testimonianza si ricava il fatto che gli ateniesi si sono

pentiti; e soprattutto che Socrate, nei vari giorni di attesa dell’esecuzione della

condanna, intraprende discorsi sulla morte – che hanno seguito nel Fedone,

insieme al tema dell’immortalità dell’anima; anche Laerzio dunque conferma il

nesso tra i contenuti dell’Apologia e i temi del Fedone.

---

CRITONE (Cecilia)

Dialogo che prende il nome da Critone – in Diogene Laerzio c’è una parte

dedicatagli; per lui Critone era un filosofo, cui attribuisce 14 opere; dalle

testimonianze comunque risulta fosse un allievo di Socrate. Compare anche nel

Fedone; è certo fosse un filosofo mediocre e non tanto originale – infatti non

abbiamo altre testimonianze di Critone. Era il filosofo del “buon senso”, di cui

sostiene tesi pragmatiche, ed il quale ha sempre fatto a pugni con la filosofia,

che invece necessita di radicalità.

In questo dialogo è l’allievo che vuole far ragionare il maestro e ricondurlo al

buon senso. Il dialogo è breve e di significato più limitato rispetto all’Apologia

e al Fedone. Secondo vari interpreti si tratta di un dialogo collocabile tra quelli

Page 30: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dubbi: perplessità di natura non solo filologica; ma anche di contenuto:

incongruenza con il Fedone. Criterio di congruenza tematica: forse risolvibile

spostando più avanti il Critone. La scena del Critone: storicamente tra

Apologia e Fedone; primavera del 399 a.C., siamo a 3 giorni (mattina) prima

della condanna a morte. Carcere. Ci siamo spostati dal processo, scena

sicuramente complessa, ad una scena più intima, perché nel carcere. Scena

anche del Fedone, proseguo del Critone. Fedone: ultimo giorno di Socrate ed

esecuzione della condanna. L'incontro è tra Critone (allievo) e Socrate

(maestro): scena iniziale angosciante, filosofo ma non eroe. Attesa

dell'applicazione della condanna. Si attende il ritorno della nave da Delo --

riferimento al Fedone. Prima del ritorno della nave non si può applicare la

sentenza: situazione di attesa, che consente una riflessione (di Socrate) mentre

per Critone è il momento di convincere il maestro a fuggire. C'è ancora tempo

per fuggire da Atene, per trovare scampo altrove. Perché Socrate non

dovrebbe? soprattutto se la sentenza è ingiusta. E' evidente la condanna

ingiusta. Non si vede perché Socrate debba sottoporsi a queste sentenza

ingiusta. Questa la posizione di Critone. Meraviglia di Critone: perché Socrate

si rimette ad una sentenza che Socrate stesso riconosce ingiusta. Punto cruciale

del dialogo: se all'ingiustizia è lecito rispondere (con l'ingiustizia). Due parole

che scandiscono il dialogo: DIKAIOSUNE --> parola importantissima per

Socrate e per Platone: GIUSTIZIA. NOMOI --> LEGGI, discussione

FUSIS/NOMOS, contesto attuale [all'epoca] in cui si inserisce Socrate:

FUSIS=natura, principio, essenza ,fonte; parola chiave per i Presocratici. [NB:

queste parole già nell'APOLOGIA]. La domanda PERI FUSEOS, intorno alla

natura, intorno al principio da cui tutte le cose derivano. Si fa strada il concetto

di NOMOS: legge; ma anche convenzione (parola chiave dei Sofisti): alcune

istituzioni non sono naturali, dovute alla natura; ma sono NOMOI,

convenzioni, stabilite dagli uomini: i NOMI sono FUSEI, per natura, o sono

NOMOI, dovuti all'accordo, alla legge, alla convenzione tra gli uomini?

Dibattito importantissimo con tanta letteratura secondaria. NOMOS inizia a

circolare nella cultura sofistica, che mette in discussione tutto: per questo i

greci etnocentrici, venendo a contatto con altri popoli, ed istituzioni proiettate

sul divino e sul mito, invecce sono umane, diverse da popolo a popolo: nomi,

leggi, usanze. Da qui nasce un grande dibattito. NOMOI: il protagonista del

Critone sono i NOMOI, più che Socrate. Tutto ruota intorno alle leggi. E'

difficile far affiorare il senso dei NOMOI nel Critone. Non sono in questo caso

il mero plurale di NOMOS; non sono neanche le leggi in senso universale.

Cosa sono? Le due parole chiave [FUSIS e NOMOS/I] sono connesse, e la

giovanili (o socratici) di Platone, in cui appunto la figura principale è quella di

Socrate. Tuttavia alcuni dubbi di natura filologica e contenutistica hanno

portato a credere, sulla base di incongruenza con il Fedone, che il Critone

dovesse essere spostato più in là – criterio dell’incongruenza tematica vigente

nell’800. Generalmente però si pensa sia un dialogo giovanile. Il Critone si

situa tra l’Apologia e il Fedone – primavera del 399, a tre giorni dalla

condanna a morte: Socrate è nel carcere (scena più intima rispetto al contesto

processuale dell’Apologia). Il Fedone è il prosieguo del Critone, in quanto

ricostruzione dell’ultimo giorno di Socrate, al momento dell’esecuzione della

condanna.

Incontro tra Critone e Socrate; Critone va a trovare il maestro – scena

angosciante, che presenta Socrate non come un eroe, ma come un uomo, che è

in attesa dell’applicazione della condanna. Si attende il ritorno della nave di

Delo, prima del quale non si può applicare la sentenza. L’attesa permette una

riflessione di Socrate; e da parte di Critone consente che lui cerchi di

convincere il maestro a fuggire da Atene e trovare scampo altrove – è un

consiglio che viene dal buon senso, e che propone a Socrate di salvarsi vita, dal

momento che la sentenza è ingiusta. Se Socrate è condannato ingiustamente ,

non si vede perché egli debba sottoporsi a questa ingiustizia – punto di vista di

Critone, che non trattiene una certa meraviglia. Perché Socrate si sottopone ad

una sentenza ingiusta? Questa domanda è il nocciolo del dialogo, la quale

avvia un’importante riflessione – è giusto rispondere all’ingiustizia con

l’ingiustizia?

Parole chiave del dialogo: “dikaiosyne” (giustizia) e “nomoi” (leggi). Si pensi

al dibattito culturale che si gioca tra i termini “physis” e “nomoi”, all’interno

del quale si inserisce Socrate: la physis è l’essenza/principio, parola chiave dei

filosofi pre-socratici, la domanda principale su ciò da cui le cose derivano e

scaturiscono; verso il V secolo si fa strada il concetto nomos

(legge/convenzione), che costituisce la parola chiave dei Sofisti, per i quali le

istituzioni sono convenzioni e stabilite dagli uomini (esempio del linguaggio,

dei nomi, nel Cratilo) – la sofistica mette in discussione tutto, avvalendosi del

nomos, termine che compare a partire dal contatto con gli altri popoli.

Anche qui la parola chiave è “nomoi”, termine che funge da protagonista del

dialogo, anche più di Socrate – il filosofo infatti si rimette ai nomoi. È difficile

interpretare questa parola all’interno del dialogo – sicuramente qui i nomoi non

Page 31: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

grande questione qui per la prima volta espressa nella filosofia politica: come

rispondere all'ingiustizia, all'ADIKIA? Grande tema mai tramontato. Quel è la

risposta all'ingiustizia palese. Proprio la risposta di Socrate contribuirà in modo

determinante a creare l'icona/immagine di Socrate molto più che filosofo, al di

là della filosofia.

I. c'è subito un Critone che si intrufola, e che viene richiamato da Socrate.

Subito la "corruzione" del custode. Corrompere=rendere peggiori. Come mai il

custode ti ha fatto entrare? richiamo ai NOMOI. Mi conosce, c'è un rapporto

personale che scalza i NOMOI. E' già pregiudicata la DIKAIOSUNE. Gli ha

dato dei soldi. Ricordiamo la mediocrità di Critone anche come personaggio.

Raffigura dei rapporti che c'erano nella POLIS, rapporti che per Socrate

avevano danneggiato la POLIS. Socrate si ferma su quello sopra cui altri

passerebbero sopra, invece di essere grato [e quindi 'sti cazzi]. Critone sveglia

Socrate. Situazione angosciante: chi mai vorrebbe essere sveglio? Cfr. Sonno e

Veglia in filosofia. Socrate è sereno perché dorme il sonno del giusto, dalla

parte della giustizia, e non pensa di allontanarsi da questa [la giustizia]: è

fermo. Meraviglia [intendi: stupore] per il "buon senso". Un altro al posto di

Socrate sarebbe tormentato, inquieto. Quella di Socrate è una non-azione:

nell'essere nel giusto, nel sopportare. Socrate accampa un po' il pretesto

dell'età. Ci viene descritta una situazione limite, estrema: una situazione che

non viviamo quotidianamente: messo ai limiti estremi della morte. Questo qui

e nel Fedone. Critone si reca presto perché è stata avvistata la nave da Delo.

Non ci sarà impedimento per procedere alla condanna (riferimento al Fedone).

Al tempo della sentenza la nave era già partita, quindi niente condanna subito:

inconsueto. Socrate in carcere si spiega per questo motivo. Quindi non si

poteva procedere: sospensione. Questo riferimento è presente anche nel

Fedone. Proprio all'inizio riferimento a questa nave: 58a del Fedone. Il limite

tra storia e mitologia: guerra tra Minosse ed Atene. Téseo, figlio di Egéo, parte

per sconfiggere il Minotauro. Il patto è che Atene mandi una nave in onore del

Dio: quando è in viaggio... Qui avviene che la nave viene avvistata. Finita

l'ambasceria, la delegazione sacra, etc. applicazione della condanna. Critone

foriero di sventura. Importante è che... Téseo: istitutore (etimo) [sarà da

TITHEMI]. Perché Critone si è precipitato? per la nave... bisogna convincere

sono il plurale di nomos in senso sofistico (cioè contrapposto alla physis), né

sono le leggi in senso universale. A cosa fa riferimento Socrate quando parla di

nomoi? Evidentemente la dikaiosyne e i nomoi sono connessi. Il problema che

si delinea è il seguente: come si risponde all’adikia (ingiustizia) quando questa

viene commessa? È un grande tema, molto attuale e mai tramontato – la

giustizia si perde se si perde il rapporto che essa ha con i nomoi. La risposta di

Socrate al problema dell’ingiustizia contribuirà in modo determinante a creare

un’immagine di lui non solo come filosofo, ma come un personaggio che va

anche al di là della filosofia.

I PARAGRAFO. Critone riesce ad intrufolarsi nel carcere, di mattina presto;

Socrate lo richiama per questo. Subito viene introdotto il tema della

corruzione: come mai il custode ha fatto entrare Critone? Perché ormai lo

conosce e dalle sue visite trae “beneficio”. Già qui è presente un richiamo ai

nomoi; Critone sostiene di avere con il custode un rapporto personale, che

scalza i nomoi – dove c’è un rapporto personale e il pregio del beneficio

(denaro) non ci sono i nomoi; da subito quindi viene messa da parte la

dikaiosyne. È già chiaro come Critone sia in realtà un personaggio mediocre,

che difende il buon senso – proprio Critone parla di quel rapporto personale e

del suo beneficio, che per Socrate è la causa della rovina della polis. Critone ha

svegliato Socrate, il quale si trova in una situazione angosciante e Critone

pensa che nessuno vorrebbe restar sveglio in una situazione del genere – nesso

tra il sonno ed il buon senso. Critone era meravigliato che Socrate dormisse in

modo placido; ma Socrate dorme il sonno del giusto, e non ha mai pensato di

allontanarsi da questa dikaiosyne in cui crede – c’è meraviglia da parte del

buon senso: perché Socrate sopporta la sventura senza essere tormentato?

Sopporta perché è dalla parte della giustizia; egli avanza anche il pretesto

dell’età, ma soprattutto si tratta del fatto che non teme la morte perché dalla

parte del giusto. Viene descritta una situazione estrema/limite, cioè una

situazione che non si vive quotidianamente – essere messi di fronte al limite

estremo della morte. Critone da’ a Socrate una notizia dolorosa, cioè l’arrivo

imminente della nave da Delo, ed una volta giunta ad Atene non vi sarà più

alcun impedimento per procedere alla condanna – riferimento ad un passo del

Fedone (58 a). Nel momento in cui viene emessa la sentenza (Apologia) la

nave era già partita da Atene e andata a Delo –ciò spiega perché la condanna

non venga eseguita subito, per cui Socrate deve attendere dei giorni, e ciò era

insolito, ma in questi casi non si poteva procedere con la condanna a morte

(sospensione).

Page 32: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Socrate a fuggire, a trovare scampo da un'ingiustizia che sta per essere

compiuta.

II. Riferimento ad Omero. Riferimento alla patria di Achille. Qui c'è un

conteggio (???): Socrate racconta un sogno: Socrate parla dei suoi sogno.

Niente proto-psicoanalista, però il sogno ha sempre avuto un ruolo

importantissimo nella filosofia [di Socrate?]. Parte introspettiva, GNOTI

SEAUTON. Gli interessa conoscere se stesso, anche interpretando i proprii

sogni. THANATOS è la donna bella. La donna gli riporta un verso di Omero

che vuol dire: "ritornerai in patria". La sua PSYCHE si libererà dal SOMA e

ritornerà al luogo da cui è venuta. Socrate da retta alla sua PSYCHE, e certe

volte è "servizio reso al dio", altre "sogno": dimensione interiore a cui Socrate

è attento. Socrate in questo si distingue. Critone se ne fotte di 'ste cose!

III. Precipita il discorso: mettiti in salvo! Critone pensa a se stesso, sia perché

perderebbe un grande amico; ma anche perché Critone, ricco, potrebbe pagare

per far fuggire Socrate e cosa dirà la gente se Critone non libera Socrate

[pagando profumatamente]? Penseranno che Critone non ha voluto pagare.

Calunnia. Socrate: cosa importa della calunnia e dell'opinione della gente? I

migliori penseranno che le cose sono andate come sono andate. Critone

riafferma che la gente è stata capace di condannare Socrate e questi non è stato

attento: non ha tenuto in conto l'opinione [pubblica].

Nel Fedone viene spiegato questo evento: ogni anno viene mandata

un’ambasceria a Delo da Atene, sulla base di un riferimento mitico – guerra tra

Minosse (Creta) e Atene (figura di Teseo, figlio di Egeo, che secondo la

leggenda ha sconfitto il minotauro con l’aiuto di Arianna); viene istituito un

patto, per cui Atene ogni anno debba spedire una delegazione sacra in onore

del Dio, ed è previsto che durante il viaggio della nave non vi debbano essere

condanne a morte.

Qui avviene che la nave sia stata avvistata, avendo concluso l’ambasceria –

questa è la dolorosa notizia che Critone porta a Socrate, sostenendo la certezza

della morte del maestro all’indomani.

II PARAGRAFO. Perché Critone si è precipitato in carcere? Bisogna

convincere Socrate a trovare una via di scampo da una palese ingiustizia.

Socrate fa nuovamente un riferimento agli dei – “se così piace agli dei”. Egli

inoltre non crede che la nave arriverà quel giorno, per cui la sua morte sarebbe

avvenuta il giorno seguente (così era previsto dalla condanna), perché Socrate

ha fatto un sogno – sulla base di esso c’è un conteggio, per cui Socrate sa di

dover morire non il giorno dopo, ma quello successivo ancora: sogna una bella

donna vestita di bianco che gli annuncia che sarebbe tornato a Ftia (riferimento

a Omero, Achille) passati tre giorni. Socrate parla dei sogni; il sogno, a partire

da Socrate, ha avuto sempre un ruolo importantissimo nella filosofia; è la parte

introspettiva di Socrate, perché a lui interessa conoscere se stesso, è il gnoti

seduto. In questo caso Socrate interpreta il sogno, oltre che a raccontarlo: la

bella donna è l’immagine di thanatos, che non gli fa paura e gli annuncia il suo

ritorno in patria – la sua anima sarà libera dal carcere del corpo e ritornerà da

dove è venuta; è sempre presente questa dimensione psichica, nel senso della

psychè di Socrate, il quale si distingue dagli altri, compreso Critone, perché da’

retta alla sua psychè. Lo stesso Dio a cui si riferisce spesso rientra in questa

dimensione psichica – Socrate è sempre attento alla sua anima.

III PARAGRAFO. A Critone interessa un po’ meno tutto questo discorso,

facendolo precipitare, esortando Socrate a mettersi in salvo. Critone rivela

anche di pensare a se stesso: la morte di Socrate sarebbe una doppia sventura

per lui, perché perderebbe un amico, e perché teme quel che dirà la gente di

lui, che ha il denaro necessario per scendere a compromessi pur di salvare

Socrate e si metterà in giro la voce che lui è spilorcio e non ha voluto pagare –

pericolosità dell’ostilità pubblica, anche a giudizio della sventura di Socrate.

Così Socrate interviene: cosa importa l’opinione della gente, cioè dei più? Ciò

Page 33: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

IV. SIKOFANTAI: mettevano in giro voci e ricattavano. Critone: lascia che

paghiamo. Critone giustifica il ricatto dei sicofanti. Critone infondo sta

cercando di convincere Socrate a salvarsi anche a costo di infrangere la sua

etica. Non importa corrompere pagando. Questo compromesso: Critone

esponente del "buon senso" che difende l'immoralità. Basta un cedimento

minimo della DIKAIOSUNE per cadere nel baratro dell'immoralità. Compiere

ed essere complici di atti immorali: anche politicamente tali: ne va della

POLIS. Molto denaro per ottenere la vita. Critone mercanteggia: escalation,

crescendo. I sicofanti sono economici. Poi se non vuoi i miei soldi, ci sono

Simmia e Cebéte. I forestieri che ritornano nel Fedone: sono due pitagorici.

Importanti quando si parlerà dell'immortalità dell'anima. Anche loro sono

disposti a pagare. Critone fa riferimento a Socrate in tribunale, riguardo

all'esilio. Socrate non vuole errare lontano dalla sua città: Critone allora gli

assicura un luogo in Tessaglia. Questo dialogo tra Critone e Socrate: dialogo

faticoso per Socrate perché Critone è interessato a trovare la soluzione a tutti i

costi, agirando gli ostacoli, impiegando il denaro. Parrebbe che Socrate sia

rigido. Critone è flessibile, pragmatico: Critone cerca la via d'uscita perché la

condanna è ingiusta. Socrate è innocente. E' la città che sta commettendo

ingiustizia. E allora, perché Socrate non dovrebbe seguire i consigli di Critone?

Critone gli vuole risolvere i problemi. Socrate non cede, e dunque vedremo che

resta fermo nella sua posizione: io non uscirò dal carcere se non morto. Uscirà

solo la PSYCHE. Mi rimetto alla condanna. Se gli Ateniesi hanno deciso così...

che condanna sia. Socrate riconosce nell'Apologia che la condanna è ingiusta;

ma rimane nel carcere. Perché? 1. per Socrate i NOMOI hanno un valore

assoluto. 2. missione (???) di Socrate: non sa se la morte sia un male e non un

bene. 3. non risponde all'ingiustizia con un'altra ingiustizia: richiamare la città

alla giustizia. 4. avrebbe altrimenti smentito se stesso. 5. Si rimette alla

condanna, all'evento, egli quindi mostra di "sapere di non sapere". Il ruolo dei

NOMOI, il ruolo delle Leggi: Socrate rispetta i NOMOI. Valore non-assoluto

[??? ma non aveva detto il contrario ???]. Non sono al di là della storia. Le

leggi non sono sciolte dalla POLIS; ma si danno nella storia della città. Valore

comune, perché fondano la comunità. Sono comuni perché fondano la POLIS.

che importa è cosa pensano i migliori, i quali penseranno soltanto che le cose

sono andate come sono andate. Ma Critone sa che l’opinione del volgo conta,

altrimenti Socrate non si troverebbe in questa situazione – c’è quasi un

rimprovero a Socrate.

IV-V PARAGRAFO. I sicofanti sono coloro che mettono in giro le voci.

Critone ribadisce che i suoi amici possono far fuggire Socrate, con il denaro

che possono dare – giustifica il ricatto, cioè anche se andranno incontro al

ricatto sborseranno il denaro necessario. Così Critone cerca di convincere

Socrate anche a costo, ormai è chiaro, di infrangere l’etica: non importa pagare

i Sicofanti e il guardiano, basta che gli si salvi la vita – il buon senso difende il

compromesso e l’immoralità, che è anche corruzione. Da questo spunto viene

fuori come sia facile in realtà avere a che fare con la corruzione; anche

distaccandosi solo di poco dalla dikaiosyne si rischia di cadere nel baratro

dell’immoralità – non è semplicemente l’immoralità nel senso più astratto, ma

nel suo stretto rapporto con la polis. I sicofanti si accontentano di poco e, oltre

al suo denaro, c’è quello dei forestieri (Simmia e Cebete) – presenti anche nel

Fedone, sono due pitagorici, che rivestono un ruolo importante nel discorso

sull’immortalità dell’anima, mentre qui fanno sono solo una comparsa.

Critone, secondo questa escalation, si riferisce anche a ciò che Socrate aveva

detto in tribunale, per cui l’esilio avrebbe comportato l’andare errando di luogo

in luogo, aggiungendo quindi che alcune persone di sua conoscenza in

Tessaglia lo avrebbero ospitato – così avrà salva la vita. L’aver salva la vita a

tutti i costi comporta l’aggirare gli ostacoli, l’uso del denaro ecc.

Si può pensare che la posizione di Socrate sia rigida e radicale; Critone è

flessibile perché cerca la via d’uscita da una situazione tragica, dato che la

condanna è ingiusta ed è la città a macchiarsi di ingiustizia. Socrate non cede e

resta fermo nella sua posizione: non uscirà dal carcere se non morto; ad uscire

sarà solo la sua psychè – si rimette cioè alla condanna. In che modo può

legittimarsi questa posizione di Socrate, che potrebbe anche essere criticata,

perché troppo rigida e radicale? Anche Socrate sostiene che la condanna sia

ingiusta; perché allora prendere questa decisione? Per la superiorità dei nomoi,

nel loro valore assoluto; inoltre Socrate ha una missione da portare avanti, per

cui ciò che gli sta per accadere potrebbe anche essere il bene più grande;

specialmente Socrate non può rispondere all’ingiustizia con altra ingiustizia –

deve dare un esempio di rettitudine e, facendo il contrario, avrebbe smentito se

stesso e ciò in cui crede. Lui si rimette alla condanna/decisione, quindi

Page 34: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Da qui la preoccupazione di Socrate per cui la sua risposta [all'ingiustizia con

l'ingiustizia], qualora ingiusta [appunto], pregiudicherebbe i NOMOI, la

comunità, Atene. Se i NOMOI avessero valore assoluto, allora forse... ma i

NOMOI si danno nella comunità, nella POLIS. Preoccupazione di Socrate:

ingiustizia all'ingiustizia. Esiste solo l'ingiustizia. La giustizia non c'è. Il

messaggio di Socrate: l'uomo giusto impersonifica la giustizia. La giustizia c'è

e va difesa, e questo si vede nella massima ingiustizia. Socrate, unico giusto, a

dover difendere la giustizia. Se commettesse anche solo un gesto iniquo,

crollerebbe la giustizia e la comunità. Dice che se non c'è giustizia, non ci può

essere la comunità. Socrate sente il peso, la responsabilità della giustizia, è

chiamato a testimoniare la giustizia, anche nei piccoli gesti. E' evidente che

Socrate non può accettare la via di Critone, quella della fuga. Non si tratta di

coraggio; ma di responsabilità politica nei confronti della POLIS, della

comunità, anche se Atene [con lui] è stata ingiusta. Socrate non si piega,

perché crede nella DIKAIOSUNE fino alla fine. Altrimenti smentirebbe se

stesso. Ciò che ha insegnato [?, stai attento] in vita sarebbe smentito dalla fuga.

La morte del filosofo è la conferma della sua vita: Socrate è consapevole, e non

è detto che questo non sia il bene più grande, AGATHON: la sua

testimonianza di giustizia [compiuta ovviamente tramite il martirio]. Altrimenti

si potrebbe pensare che la DIKAIOSUNE non esiste. Nel Gorgia: meglio

subire che commettere ingiustizia. Rimettersi ai NOMOI anche quando c'è

l'ingiustizia... tratto peculiare della figura di Socrate. Resterà nella storia. Se

fosse fuggito non sarebbe stato assurto ad icona. Affinità con Gesù. Parallelo

con Gesù nella risposta della giustizia all'ingiustizia. Incrinerebbe altrimenti la

giustizia. Non violenza. Giustizia sempre... rimettersi alla condanna. Socrate:

esigenza di fare in modo che la POLIS, comunità, possa (???) uscire dal

carcere dell'ingiustizia. Socrate sa di essere un uomo libero [perché giusto];

non ha bisogno di fuggire.

Oggi l'ultima parte del dialogo: temi della posizione di Socrate -->

all'ingiustizia non si deve rispondere con la medesima, e alla violenza con la

medesima. Il tema dei NOMOI. Le leggi personificate. Sono le Leggi a

prendere la parola. Sono un protagonista del dialogo. Socrate da voce alle

Leggi. Sono personificate. Questo non è un espediente retorico: molto di più.

La personificazione e il loro parlare ci deve far riflettere. Socrate riconosce

loro un'autonomia. I passi sui NOMOI sono celeberrimi non soltanto per la

filosofia. Le pagine dove per la prima volta c'è una riflessione filosofico-

politica sulla comunità giusta retta da leggi da rispettare.

all’evento; lui non sa cosa fare, la sua rigidità è apparente; non sa se questo sia

veramente un bene, per questo si rimette ai nomoi – dimostra ulteriormente di

sapere di non sapere. Se si ribellasse mostrerebbe di essere presuntuoso e

saccente, ma rimettendosi a quanto avvenuto egli dimostra la sua modestia e i

suoi limiti – è per questo che dorme serenamente, perché non osa fare nulla,

mostrando il suo limite. Il ruolo dei nomoi è importante, e Socrate lo rispetta –

che abbiano un valore assoluto non vuole dire che questo valore vada al di là

della storia; i nomoi non sono sciolti dalla polis, ma si danno in essa e nella sua

storia, quindi è più giusto dire che hanno un valore comune, essendo il

fondamento della comunità. La preoccupazione di un’eventuale risposta

ingiusta e non dettata dai nomoi, si deve al fatto che Socrate, qualora agisse

altrimenti dalla sua retta condotta, pregiudicherebbe la sua stessa posizione, e

così anche l’istituzione della polis, fondata in prima istanza dalla dikaiosyne – i

nomoi si danno nella città, per cui una risposta ingiusta alla stessa ingiustizia

significherebbe che esiste solo l’ingiustizia. Invece, è proprio nell’ingiustizia

che va difesa, a maggior ragione, la giustizia; Socrate è l’unico cui spetta di

difenderla, per questo egli deve essere esempio di rettitudine – se compisse un

gesto iniquo crollerebbe la giustizia e quindi la polis. Ma Socrate sostiene la

polis sino all’ultimo, sentendo il peso della giustizia; ed è chiamato a

testimoniare proprio quando c’è ingiustizia. È evidente che Socrate non possa

accettare la via della fuga; è una responsabilità politica, cioè nei confronti della

polis e della comunità, anche se queste si sono rivelate ingiuste. Socrate non si

piega, non per rigidità, ma perché crede nella dikaiosyne fino all’ultimo –

altrimenti smentirebbe se stesso ed il suo insegnamento. Nel Fedone la morte

del filosofo è la conferma della sua vita e del suo insegnamento – Socrate ne è

consapevole. Non è detto che questa testimonianza di giustizia non sia il bene

più grande; se fuggisse si potrebbe legittimare il pensiero dell’ingiustizia.

Anche nel Gorgia c’è il ritorno a questo tema – “meglio subire un’ingiustizia

che farla”. Il rimettersi ai nomoi, specialmente dove c’è ingiustizia, è uno dei

tratti peculiari della figura di Socrate. Affinità con Gesù, che accetta la morte,

rispondendo con la giustizia all’ingiustizia – la risposta della non-violenza alla

violenza; l’ingiustizia, la condanna a morte, è violenta. Nel caso di Socrate c’è

l’esigenza che i cittadini stessi possano, loro sì, uscire dal carcere

dell’ingiustizia – mentre Socrate è un uomo libero e non ha bisogno di fuggire.

L’argomento portante è quello della giustizia e la questione non solo politica

per cui Socrate accetta la condanna a morte, mentre Critone lo invita all’esilio,

perché di fronte alla giustizia è lecito sottrarsi.

L’ultima parte del dialogo tratta i seguenti temi: la posizione assunta da

Page 35: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

VI. Socrate teorizza che occorra essere giusti. Essere giusti è il bene più alto.

Non si può e non si deve rispondere all'ingiustizia con l'ingiustizia. Se si fa

così si apre una spirale. La preoccupazione di Socrate è che non solo gli

individui; ma che perisca/venga meno la comunità... preoccupazione per la

POLIS. Critone si preoccupa di salvare la vita di Socrate. Socrate attesta la

differenza tra l'uomo di buon senno (Critone), e il filosofo (Socrate). La

RAGIONE: Socrate rinvia alla sua coscienza (il demone?). Socrate non si fa

balìa delle circostanze. Socrate ha il suo cammino davanti a sé. non si

preoccupa delle circostanze. Coerenza.

VII. Socrate non si fa deviare dalle circostanze; dall'opinione dei più: paragone

col ginnasta --> parallelismo fra corpo e anima. Corpo: diamo retta a chi se ne

intende per non rovinare il corpo: importante per i greci e per Platone, per

quanto ci sia quel dualismo orfico-pitagorico. Anima: la stessa cosa e di più

per l'anima [cura dell'anima]; non ci si può curare dell'opinione dei molti.

Socrate non si fa deviare dall'opinione dei più. Socrate ha la RAGIONE. NB:

non importa solo vivere (ZEN); ma vivere bene (EU ZEN). Non importa vivere

se si va contro la giustizia. Questo il punto del dialogo.

IX. Salvare la vita; ma commettere un'ingiustizia. Questo il paradosso. Oppure

morire per la giustizia. Il grande dilemma del dialogo. La scelta di Socrate è

radicalissima. Vivere sottraendosi alla giustizia? Morire per testimoniare la

giustizia, necessaria per la città. La giustizia esiste. Dilemma etico. Dilemma

filosofico. Socrate non oscilla mai. Sono non valuta i pro e i contra. Posizione

nettissima. 48d: se la fuga proposta da Critone vuol dire commettere ingiustizia

allora dobbiamo ricordare di rimanere fedeli al proprio posto... [cerca

citazione]. NB: Ripresa quasi letterale dei passi dell'Apologia. Socrate non ha

dubbi rispetto al rimanere nel posto dov'è: nel carcere. Deve rimanere perché

per Socrate vuol dire rimanere federe a se stesso e alla propria vita. Già qui --

Socrate per la quale non è lecito rispondere con l’ingiustizia alla stessa

ingiustizia; la questione dei nomoi – le leggi, addirittura personificate da

Socrate, il quale le fa parlare, prendono la parola. Non si tratta di un espediente

retorico; la parola data alle leggi significa la loro autonomia. Sono pagine

celeberrime nella storia della filosofia e della cultura, per la riflessione

filosofico - politica sulla comunità, retta dalle leggi, le quali vanno rispettate.

VI PARAGRAFO. Socrate teorizza l’indispensabilità dell’esser giusti,

ponendo la giustizia come bene più alto per l’uomo. C’è il rischio di una

“spirale” quando alla violenza si risponde con la stessa violenza – la

preoccupazione di Socrate è che periscano sia gli individua sia, specialmente,

la comunità, la quale rischia di venire meno. Mentre la preoccupazione di

Socrate si rivolge, in prima istanza, alla polis, ciò che invece preme Critone è

di salvare la vita di Socrate – grande differenza tra l’uomo di buon senso e il

filosofo: Socrate ha dato retta alla “ragione” (che è il suo daimon), rinviando

così nuovamente ad un richiamo interiore, senza farsi trascinare dalle

circostanze, perché ha il suo cammino davanti a sé. La questione è anche di

coerenza, per cui Socrate non può deviare rispetto alla sua rettitudine

esemplare; non si fa deviare neanche dall’opinione dei più.

VII E VIII PARAGRAFO. Socrate istituisce un parallelismo tra il corpo e

l’anima. Per quanto riguarda il corpo non si da’ retta che all’opinione del

maestro di ginnastica o del medico – il dualismo orfico tra corpo e anima non

impedisce ai greci di dare importanza al corpo. Ciò vale anche per l’anima, che

non può curarsi dell’opinione dei più e farsi deviare – non importa soltanto

vivere, ma vivere bene; aver salva la vita fuggendo va contro la giustizia ed il

vivere bene (Euzen).

IX PARAGRAFO. Salvare la vita vuol dire commettere ingiustizia;

l’alternativa è morire, per salvaguardare la giustizia, per la giustizia stessa –

scelta radicalissima di Socrate. Morire per la giustizia equivale a morire per

testimoniare la giustizia e la sua necessità per la polis – dilemma politico, etico

e filosofico. Non è questo il caso in cui si valutano i pro e i contra rispetto ad

una scelta, non c’è dubbio o esitazione in Socrate, egli rimane fermo nella sua

posizione. Bisogna, per Socrate, rimanere fedeli al proprio posto – c’è una

ripresa quasi letterale di alcuni passi dell’Apologia, in cui Socrate non mostra

di avere dubbi sul fatto di dover rimanere lì dov’è; in questo caso egli intende

rimanere nel carcere, cioè rimanere fedele a se stesso e a ciò che ha fatto. C’è,

Page 36: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

cfr. Fedone -- l'esigenza di confermare con e nella morte la propria vita. Non è

indifferente la morte, come si muore. Se Socrate fosse morto diversamente, per

esempio scappando, etc. non sarebbe stato più Socrate. La morte fa parte della

vita. Non è indifferente alla vita trascorsa. Socrate si predispone per questo ad

accettare la morte. Socrate innocente, sentenza ingiusta, etc. perché non

sottrarsi? Critone non propone di sottrarsi alla giustizia; ma all'ingiustizia. Non

è che Critone abbia proprio torto: se la città commette ingiustizia, perché

Socrate non dovrebbe sottrarsi. E' come se la giustizia fosse stata infranta,

sospesa. Qui, in questa pagina, inizia l'argomentazione sottile (molto sottile) di

Socrate. Socrate dice che in nessun modo si deve commettere ingiustizia:

anche se l'intera comunità commette ingiustizia, lui non può: in nessuna

circostanza/occasione/modo. Quale che sia l'occasione: 49b.

X. (49c) "... cosa brutta e turpe in ogni caso!". Per nessuna ragione [quanto

sopra]. Socrate non si cura dei più. Poiché è stabilito che mai, per nessuna

ragione, si ha da fare ingiustizia [cerca citazione]. I motivazione: è cosa brutta

e turpe per chi la fa: corrompe la PSYCHE. Né rispondere né tantomeno fare

del male per vendetta al nostro patimento: non è ragione per restituire il male.

In queste frasi ci sono i principii delle non violenza: Socrate teorico della non

violenza. 49d: Questa posizione non era affatto diffusa all'epoca.

Assolutamente impensabile. Socrate è isolato da questo punto di vista: è una

novità teorizzare per la prima volta ciò. Per i Presocratici non si può parlare di

etica/morale. Tra i sofisti tutt'altro che morale, pensa a Trasimaco. la Legge del

più forte vale per molti sofisti. Qualcosa di completamente nuovo per la morale

greca, improntata alla legge del più forte. Anche punto di vista politico. Questo

danneggerebbe la mia PSYCHE, me... DUE MOTIVI PER LA NON

VIOLENZA: I. riguarda il singolo individuo. Lascio che il male mi corrompa.

Nesso tra giustizia ed anima: bellissimo, da riflettere. Ne va della nostra anima.

Non è qualcosa di esteriore la giustizia, ad esempio esercitata solo nei

tribunali. Questa investe la nostra anima. Corrompere=diventare peggiore. II

motivazione: riguarda la comunità. Per questo Socrate chiama in causa i

NOMOI. Socrate non parla più, perché può parlare solo per sé: discorso

individuale. Ordine individuale, e la PSYCHE della POLIS, della comunità.

Nel caso della comunità, della POLIS, a parlare sono le leggi:

personificazione, solo apparentemente un espediente retorico.

da parte di Socrate, e ancor più nel Fedone, l’esigenza di confermare nella

morte e con la morte ciò che è stata la sua vita; ma non è indifferente come si

muore, bisogna vivere bene, anche per saper morire – Socrate è Socrate

proprio perché è morto in nome della giustizia; egli si predispone ad una

morte, sì ingiusta, ma nel segno della giustizia. L’obiezione di Critone è

proprio questa: la condanna è ingiusta e Socrate innocente – perché non

sottrarsi all’ingiustizia? Infondo Critone non dice a Socrate di sottrarsi alla

giustizia, bensì all’ingiustizia commessa dalla polis. Critone ha ragione, perché

non ha torto: se tutta la città commette un’ingiustizia è come se la giustizia

fosse stata sospesa, non si tratta di un singolo, ma dell’intera comunità; quindi

la giustizia è stata infranta, e Socrate avrebbe ragione a fuggire.

X PARAGRAFO. Così ha inizio l’argomentazione sottile e complessa di

Socrate: in nessun modo, dice il filosofo, si deve commettere ingiustizia; anche

se l’intera città ha commesso ingiustizia rimane il fatto che, in nessuna

circostanza, e come stiano le cose, soprattutto quando la giustizia è stata

pregiudicata, si deve rispondere con l’ingiustizia, per nessuna ragione, perché è

cosa turpe e brutta – frase in cui si compendia l’insegnamento di Socrate sulla

giustizia. L’ingiustizia è cosa turpe per chi la commette, perché essa corrompe

la psychè, la rende peggiore; così come non si deve fare ingiustizia, tanto meno

bisogna fare del male agli uomini, nel caso in cui si abbia patito del male –

questi sono i principi della non-violenza. Socrate è isolato anche in questo

senso: ciò che dice risulta nuovo rispetto all’Atene del tempo; non c’è un’etica

prima di Socrate; anche nei Sofisti le posizioni morali erano tutt’altro che

morale (relativismo) – per cui la posizione di Socrate è veramente nuova,

anche per la morale greca, improntata sulla legge del più forte; quindi si tratta

si una novità anche dal punto di vista politico. La posizione di Socrate ha due

principali motivazioni – l’ingiustizia danneggia l’anima. La prima riguarda

l’individuo: l’ingiustizia corrompe la psychè – nesso tra la giustizia e l’anima,

per cui la giustizia non è qualcosa di esteriore, che si da’ in tribunale, ma

addirittura investe l’anima del singolo, rendendola peggiore. La seconda

motivazione riguarda la comunità intera: l’ingiustizia danneggia l’anima della

polis – senza giustizia non c’è comunità. Il nesso tra la giustizia e la comunità

implica il discorso sulle leggi – Socrate chiama in causa i nomoi, perché il suo

è un parlare individuale, e il parlare del singolo è posto su un piano diverso,

per cui non può valere per l’intera comunità. A parlare sono le leggi, cui si da’

questa personificazione, che solo apparentemente è un espediente retorico.

Page 37: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XI. 50b: personificazione. Se le Leggi ci domandassero... (scena bellissima).

Finzione dell'incontro con le Leggi. Opposizione di privato cittadino e delle

Leggi. Mette a repentaglio la città, la comunità. I NOMOI rappresentano la

comunità. Non può esserci comunità senza leggi. Non c'è politica senza etica.

Socrate è chiamato in causa dalle Leggi, altrimenti sarebbe il privato che si

sottrae alle Leggi. Oppure si potrebbe dire "la sentenza è ingiusta". Dire alle

Leggi che la città ci ha commesso ingiustizia, non ha giudicato rettamente...

Critone qui sarebbe d'accordissimo. Risposta di Socrate

IMPORTANTISSIMA.

XII. 50d: IMPORTANTISSIMO: le Leggi nella finzione accuserebbero

Socrate. Socrate, fuggendo e mettendo in discussione la sentenza, starebbe

uccidendo le Leggi. Intenzione di uccidere le Leggi. Se Socrate seguisse

Critone, allora UCCIDEREBBE le Leggi, darebbe la morte alle Leggi. Sempre

i NOMOI e la POLIS. Tu faresti questo, mentre noi ti abbiamo dato la vita

[cerca citazione]. RADICALISSIMO. Le Leggi costituiscono la comunità. Le

Leggi (la legalità) da cui nasciamo: altrimenti non esisteremmo. [Leggi:

condizione di possibilità della comunità, e quindi anche del cittadino]. Tu sei

nostro figlio: nato, allevato, educato, secondo Noi, secondo le Leggi [le

Norme] [cerca citazione]. Non siamo [noi Leggi] sullo stesso piano: Socrate

non può mettersi sullo stesso piano delle Leggi: bellissimo. Non c'è diritto da

pari a pari: Socrate è privato, singolo. Le Leggi sono la POLIS, la comunità.

Socrate non ha il diritto di rispondere contro le Leggi. Questo punto è

importante: i NOMOI non sono la convenzione di cui parlano i Sofisti. Sono il

fondamento della comunità. Mettendo in questione le Leggi Socrate le

ucciderebbe, mettendosi sul loro stesso piano. Per la prima volta (in filosofia),

per la prima volta il riconoscimento... legittimato il diritto della comunità: non

per essere messo sul piano del singolo/privato/cittadino. Socrate non soltanto

compie la giustizia; ma la compie rispettando le Leggi della città, e quindi la

comunità, altrimenti sarebbe un far precipitare la città. Distinzione importante:

gli uomini che attuano le leggi e le Leggi. Dove non si rispettano le Leggi, la

XI PARAGRAFO. Se Socrate fuggisse dal carcere, le Leggi, così lui

immagina, gli andrebbero incontro, chiedendogli se così fuggendo, lui, privato

cittadino, non metta in discussione i nomoi – dove il privato cittadino si sottrae

alle Leggi, anche se la condanna è ingiusta, viene messa a repentaglio la

comunità. Le leggi sono la comunità, e la politica è l’etica; dunque il problema

etico - politico di Socrate è quello di dover rispondere alle Leggi della città,

perché sottraendosi metterebbe in pericolo le fondamenta stesse della polis.

Oppure si potrebbe dire alle Leggi, dice Socrate, che la sentenza è ingiusta e

che la città non ha sentenziato rettamente – Critone pensa che questa sia la

risposta più ragionevole.

XII PARAGRAFO. Ma le Leggi, qualora trovassero Socrate in fuga, gli

chiederebbero se lui non stesse tentando di dare loro la morte; le Leggi cioè

accusano Socrate del tentativo di ucciderle, nel caso lui fuggisse. Se Socrate

seguisse il consiglio di Critone, cioè sottrarsi alla sentenza, darebbe la morte

alle Leggi e alla città – i nomoi e la polis sono intrinsecamente legate. Le

Leggi hanno dato la vita a Socrate, lo chiamano “figlio”; mentre la sua fuga

vorrebbe dire cercare di dare la morte alle Leggi – idea molto radicale. Sono le

leggi che costituiscono la città, gli stessi cittadini nascono dalla legalità delle

leggi – lo stesso Socrate è nato e stato educato secondo i nomoi. Le Leggi

dicono a Socrate che egli non si può mettere sul loro stesso piano; non c’è un

diritto “pari a pari” tra i nomoi, che rappresentano la comunità, e il singolo

cittadino. Se le Leggi fanno qualcosa contro Socrate, egli sicuramente non

potrà fare altrettanto. Risulta chiaro in questo passo come le Leggi di cui parla

Socrate, non siano le stesse dei Sofisti, i quali parlando di nomoi come

convenzioni, e non come fondamento della città . Se Socrate, sottraendosi,

mettesse in questione la condanna, porrebbe sullo stesso piano il suo diritto

(uccidere le Leggi), con quello delle Leggi stesse. Per la prima volta è

legittimato filosoficamente il diritto della comunità, che sta necessariamente su

un piano diverso da quello del diritto del singolo e privato cittadino. Quindi

Socrate, tenendo presente questi principi, si appresta a difendere e a compiere

la giustizia, nel rispetto delle Leggi della città, dunque nel rispetto della

Page 38: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

comunità affonda. E' difficile distinguere l'aspetto politico dall'aspetto etico:

sono inscindibili. Qui il nesso tra etica e politica. Quello che vale pere il

pubblico vale per il privato. E' la stessa giustizia che mantiene non corrotta la

PSYCHE del cittadino e la PSYCHE della POLIS. Qui c'è POROSITA' tra

sfera pubblica e privata. Etica e Politica sono inscindibili. In questa finzione è

come se le Leggi lo richiamassero ad un accordo, ad un patto: OMOLOGIA.

Questo patto non si può violare: significherebbe far IMPLODERE la POLIS.

Delle azioni apparentemente prive di conseguenze per la comunità hanno

invece conseguenze [anche importanti]: [per esempio] la possibile fuga di

Socrate. Socrate si preoccupa delle conseguenze della sua fuga per la

comunità. L'etica è l'attenzione agli esiti delle nostre azioni per gli altri e per la

comunità. Questa attenzione etica di Socrate... senza la quale non c'è né POLIS

né POLITICA. Questa la grande differenza tra Socrate e Critone. I NOMOI

non sono "assoluti", sciolti dalla comunità. C'è reciprocità tra NOMOI e

POLIS. I NOMOI fondano, rendono possibile, accomunano, rendono possibile

la comunanza. Le Leggi non possono essere messe in discussione dal privato

cittadino. La legge perciò non è giusta in sé; ma è la condizione della giustizia.

Sono "storicamente" modificabili. Ma in Platone ed Aristotele non c'è

concezione/concetto di "storia". Le Leggi fanno parte della comunità, e questa

fa parte delle Leggi. Ci sono due livelli: livello intercomunitario e livello

dell'individuo. Non c'era un codice di leggi. Nelle città stato della Grecia c'è

comunque la schiavitù. C'erano però le Leggi che erano tessuto,

COSTITUZIONE [pensa a quello che la parola vuol dire: costituzione, corpo,

oppure costituire, etc.] della città. Socrate non si riferisce alle Leggi non

scritte. Noi viviamo sempre GIA' in una comunità con dei NOMOI. Siamo figli

delle Leggi. Noi veniamo [anche cronologicamente] dopo le Leggi. Siamo

FIGLI della LEGALITA'. Socrate avrebbe potuto dire: "la pena di morte è

sbagliata". Socrate però non lo fa. Le Leggi non sono per definizione giuste,

immobili, etc. Però per prima cosa dobbiamo essere figli delle Leggi. Il 28

febbraio 1933 viene proclamato lo STATO D'ECCEZIONE

(Ausnahmezustand). Vengono sospese le Leggi. Questo spazza via i NOMOI.

Vedremo più avanti con Platone: può suscitare curiosità questo PRIMATO

della comunità... sarà alla base del COMUNISMO di Platone, questa

POLITEIA. Platone metterà qui l'accento sul primato della comunità. Ma non è

il caso di Socrate. Il privato non può... ma c'è bisogno di lui. Socrate non può

fuggire. SPLENDIDA POSIZIONE DI EQUILIBRIO. NOMOI (NB: non

pensare alle leggi non scritte di Antigone): tutte quelle leggi politiche; ma

anche i costumi della città. Socrate vuole con la propria morte confermare il

comunità stessa – se andasse via farebbe precipitare la polis.

Vi è un’importante distinzione tra gli uomini che attuano le leggi e le leggi

stesse: la sentenza applicata dagli uomini può essere ingiusta, ma i nomoi sono

i nomoi e vanno rispettati affinchè la città non affondi. È difficile distinguere

l’aspetto prettamente politico da quello etico, perché il nesso tra l’etica e la

politica è inscindibile, e qui viene messo in luce – se la giustizia vale per la

comunità, essa vale anche per il privato cittadino (punto del discorso molto

attuale). Nella posizione di Socrate non si riesce a scindere l’aspetto politico da

quello etico – la giustizia in egual modo corrompe la psychè della comunità

quanto quella del singolo. C’è un accordo (omologhia) che ogni cittadino

istituisce con le leggi, un patto inviolabile, perché altrimenti la polis

imploderebbe. Anche le azioni che sembrano prive di conseguenze per la

comunità, hanno in realtà delle conseguenze; c’è sempre una responsabilità

individuale che vale per la comunità – qui sta l’etica, nell’attenzione per quegli

effetti che delle semplici azioni rischiano di comportare; si tratta di

quell’attenzione senza la quale non ci sarebbe la polis, né politica. Qui inoltre è

la differenza tra Socrate e Critone. Non bisogna però considerare i nomoi come

assoluti, cioè sciolti dalla città, è evidente che sono in rapporto di reciprocità

con essa: le leggi fondano la comunità, la rendono possibile, la accomunano;

esse inoltre esistono nella misura in cui esiste la comunità, da cui sono

articolate – non possono essere messe in discussione, questo il punto, anche se

la comunità agisce ingiustamente, perché è diverso il diritto del privato

cittadino. Gli uomini possono sbagliare nell’applicazione delle leggi; la Legge

non è giusta in sé, non è assoluta, ma storicamente mutabile con la città –

anche se Socrate e Platone non hanno una concezione di storia – ma la Legge è

sicuramente la condizione della giustizia. Se i nomoi non sono assoluti, è pur

vero che neppure si identificano con le convenzioni dei Sofisti, che cambiano a

seconda delle circostanze del singolo – sono bensì sempre implicate in un

legame di reciprocità con la polis. Ad esempio, in Grecia, nessuno metterebbe

in discussione la schiavitù. Le Leggi sono il tessuto della comunità, ma non in

senso di “codice” da seguire, ma di “costituzione” della polis, che costituisce la

polis nella sua comunità e nel suo essere comunità. Socrate non sta parlando di

leggi non scritte, ma di Leggi che già accomunano e costituiscono la città –

infatti chiamano Socrate “figlio”, perché i cittadini sono figli della legalità;

dove non c’è giustizia, che è anche la condizione del rispetto delle Leggi, non

può esserci comunità. Si pensi infatti allo Stato d’eccezione, proclamato nel

1933 dal III Reich: esso non è altro che una sospensione delle leggi, perché sia

permessa la guerra.

Page 39: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

proprio insegnamento in vita: ciascuno di noi è insostituibile, anche per le

nostre azioni per la/nella comunità. Socrate esemplare.

[Complessità del Fedone: dialogo attualissimo per la sua problematica]. Il

confronto con le Leggi (maiuscolo) è un rimettersi a... argomentazione

filosoficamente e politicamente rilevante: Socrate accetta la condanna, per

quanto ingiusta, per non mettere in discussione le Leggi. Il riconoscimento di

Socrate di essere figlio delle Leggi. Non c'è cittadino/cittadinanza senza le

Leggi che fondano la comunità.

XIII. Le leggi hanno generato, allevato, etc. Socrate. Il cittadino è messo al

mondo dalle Leggi: priorità anche cronologica. Le Leggi non frappongono

ostacoli a chi voglia andare via. Chi nella POLIS non rispetta i NOMOI

compie DIKAIOSUNE in 3 modi: 1. non obbedisce alle Leggi che lo hanno

generato: RAPPORTO FILIALE. Le Leggi sono la condizione di possibilità

del cittadino. Cittadinanza solo in virtù delle Leggi. 2. Non rispetto chi lo ha

allevato: siamo fatti di legge, la nostra trama lo è. 3. il cittadino potrebbe

persuadere le Leggi, dacché non è un rapporto autoritario; ma dialogico: le

Leggi dialogano col cittadino. All'occasione sono flessibili: rapporto dialogico.

Se questo non avviene [mutare le leggi?], deve comunque rimettersi alle Leggi.

Sarebbe una viltà sottrarsi alle Leggi con la fuga. Trasgredire i patti e gli

accordi? SUNTHEKE e OMOLOGIA indicano il patto/accordo. Noi siamo

cittadini, e nessuno ci ha chiesto di sottoscrivere le Leggi, ci siamo nato dentro.

Socrate potrebbe andar via; ma questo sarebbe un infrangere i patti che

costituiscono la base delle POLIS, della cittadinanza. La POLIS è fatta di

Leggi. [...] è la strada che porta all'Ade, non alla Tessaglia. Il bivio tra la

Tessaglia (l'esilio) con asilo altrove, di continuare a vivere rispetto alla

condanna ingiusta, e l'Ade, il luogo IMMEMORIALE, dell'oltretomba,

dell'aldilà (cfr. Fedone). Ci si recherà [nell'Ade] la sua anima, non Socrate.

Questa [l'anima] abbandonerà il carcere del corpo. La scelta dell'Ade è di

grande chiarezza: vuol dire che Socrate distingue tra gli uomini e le Leggi.

L'ingiustizia è di chi ha applicato le Leggi, [non delle Leggi stesse]. 54c:

chiarezza della scelta di Socrate: mantenersi nella giustizia, invece di

rispondere all'ingiustizia con l'ingiustizia. E' la scelta dell'Ade. Non è la scelta

di una volontà di vivere a tutti i costi. Rimettersi al limite della vita: la vita ha

Il primato della comunità sarà la base del progetto politico di Platone, un primo

progetto di comunisto della politheia. Anche se il privato cittadino non ha lo

stesso diritto della città, egli risulta indispensabile alla polis, perché se Socrate

fuggisse ne andrebbe della comunità – il singolo è responsabile della comunità.

Le leggi sono i costumi (Sitten) della città. Il singolo è chiamato a testimoniare

la giustizia e la necessità della fondamentalità delle Leggi, della loro legalità;

la posizione di Socrate dunque funge da esemplarità, non da superiorità –

l’esempio, la testimonianza, è insostituibile.

Il dialogo di Socrate con le Leggi è il suo rimettersi ad esse – la sua

argomentazione giustifica il fatto filosoficamente e politicamente rilevante per

cui Socrate resterà ad Atene e accetterà la condanna ingiusta. Riconoscimento

di Socrate: non c’è cittadino senza le leggi.

XIII PARAGRAFO. Viene sottolineata la sovranità, non l’assolutezza delle

Leggi, che mettono al mondo i cittadini – priorità cronologica e ontologica dei

nomoi. Le Leggi dicono di non frapporre ostacoli a chi vuole andare via; ma

chi si ferma a vivere nella polis si obbliga a rispettarle. Altrimenti si è

colpevoli di adikaiosyne in tre modi: 1) il cittadino ha un rapporto filiale con le

Leggi, esse cioè sono la condizione di possibilità del cittadino, per cui

prescindere da esse sarebbe un vero e proprio tradimento; 2) non si tratta solo

di un rapporto filiale, poiché la stessa trama/storia del cittadino è fatta di

Leggi; 3) infondo il cittadino potrebbe anche persuadere le Leggi – è preso in

considerazione il rapporto dialogico e non autoritario tra il cittadino e le Leggi,

per cui egli, dato che le Leggi sono flessibili e modificabili, potrebbe

persuaderle; se non le persuade, tuttavia, si deve rimettere a loro.

XIV-XV PARAGRAFO. Viene considerata nuovamente l’ipotesi avanzata da

Critone che guarda alla via dell’esilio: si prospetta la fuga come una viltà, cioè

trasgredire i patti e gli accordi (syntheke e omologhia) – senza aver istituito un

patto, il cittadino, venendo al mondo, ha partecipato di un patto delle Leggi,

che viene prima di lui. L’esilio equivale quindi ad infrangere i patti alla base

della cittadinanza e della polis – la polis è fatta di Leggi. Qui si staglia il bivio

del Critone, tra la Tessaglia (esilio) e l’Ade (la morte): ma è evidente che

ormai la strada conduca verso l’Ade – luogo dell’al di là, dell’oltretomba

(Fedone), dove si recherà la sua anima, abbandonando il carcere del corpo. È

una strada scelta consapevolmente e chiaramente; Socrate distingue così tra

Leggi e gli uomini che le applicano – le Leggi dicono che l’ingiustizia è stata

commessa dagli uomini, non da loro, e per questo vanno rispettate.

Page 40: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

un limite, una fine. E' giunto il momento di morire. Scelta politica della

giustizia, distinguendo Legge da applicazione delle legge, scelta di restare

fermi nella giustizia, di non fuggire. Scelta di non affermare la propria volontà

di vivere; ma di rimettersi alla fine della vita (cfr. Fedone). Questo è il ponte

che ci porta verso il Fedone. Prima di Spinoza è difficile parlare di democrazia

in senso moderno. Potremmo dire che la filosofia [di Platone; ma anche in

generale -- filosofia secondo la nuova accezione di Socrate] nasce dalla

condanna a morte di Socrate. Dopo questo evento, Platone pensa l'utopia della

Repubblica. Da questa esperienza [la morte di Socrate] deriva il costituirsi

della filosofia e il costituirsi di questa in modo antitetico alla politica. Sono le

Leggi di Atene, non tanto il regime democratico o non... Platone andrà a

Siracusa per fondare una nuova POLITEIA... So no [e non l'avrebbe mai fatto].

Socrate è convinto che il luogo e il modo in cui morirà non è indifferente alla

sua vita: deve confermare l'insegnamento della sua vita con la morte. Non è

indifferente.

---

FEDONE (Aleksis)

Difficile definire il tema del Fedone; di solito si dice dialogo dell'immortalità

dell'anima; ma non è solo questo. In realtà ci sono molti temi: è la prima

grande opera filosofica sulla morte. Nessuna opera sulla morte potrà mai

prescindere dal Fedone. Come riferimento, è una pietra miliare. Il tema è

quello della morte del filosofo. Racconto bellissimo e suggestivo del filosofo

che continua a filosofare mentre muore. Già irrigidito e freddo, Socrate

continua a parlare. Si intrecciano molti temi: ad esempio il suicidio. Opera che

delinea il rapporto della filosofia/filosofo con la morte. Filosofare vuol dire

imparare a morire. Siamo qui per imparare a morire. Questo tema viene ripreso

da Cicerone che si rifà al Fedone, da Montaigne, e ancora, nel '900 dallo

Heidegger di Essere e Tempo. Nell'Analitica fondamentale dell'Esserci, questo

è un Essere-per-la-morte, il nostro esistere è per la morte. Filo conduttore dal

Fedro a Heidegger. Anche Moses Mendelsohn, nipote del musicista: filosofo

berlinese dell'illuminismo tedesco. Ha scritto un'opera, Fedone, dove

XVI PARAGRAFO. La scelta di Socrate è mantenersi nella giustizia; non è la

scelta della fuga, ma della morte – non è la scelta di una volontà, ma piuttosto

di rimettersi al limite della vita, alla sua finitezza. È dunque giunto il suo

momento. La scelta politica della giustizia, che implica la distinzione decisa tra

le Leggi e la loro applicazione, di restare quindi presso la giustizia , ad Atene,

è anche la scelta di non affermare la volontà di vivere e di rimettersi alla fine

della vita – ciò si collega al Fedone.

La filosofia nasce dalla condanna a morte del filosofo, di Socrate. Dopo che è

stato condannato Platone pensa al progetto di una politheia, che non si basa sul

potere del demos, ma è un’utopia in cui sono i filosofi a governare – prima

grande utopia politica. Da questa esperienza deriva il costituirsi della filosofia,

che in certi versi è antitetica alla politica, perché sono i filosofi che governano.

È chiaro che però Socrate mantiene la fiducia nelle Leggi della politica di

Atene, a cui si rimette. Cosa sarebbe successo se Socrate fosse andato in esilio?

Avrebbe ucciso le leggi – ma Platone vuole che Socrate testimoni la fiducia in

esse. Platone va a Siracusa, a fondare una nuova polis, ma Socrate resta – il

modo in cui muore non è indifferente rispetto alla sua vita; la morte del

filosofo deve testimoniare con coerenza l’insegnamento della sua vita.

---

FEDONE (Cecilia)

È una delle opere più complesse di Platone. Indubbiamente è il dialogo che

riguarda l’immortalità dell’anima, ma il tema non si riduce solo a questo

aspetto – ci sono molti altri temi importanti, come quello della morte, di cui il

Fedone è una pietra miliare, o comunque la prima celebre opera filosofica sulla

morte, da cui nessuna in seguito può più prescindere. Inoltre è il tema della

morte del filosofo, del racconto soggettivo del filosofo che muore. A questo si

intrecciano molti altri temi, in prima istanza quello del suicidio. Così il Fedone

è un’opera che delinea il rapporto della filosofia con la morte: si dice che

filosofare sia imparare a morire; il tema della filosofia come via per imparare a

morire è ripreso anche da Cicerone, Montaigne, Heidegger (Sein zum Tode),

Mendelssohn – filosofo illuminista tedesco di Berlino che scrive un testo ,

“Fedone”, che riprende il titolo dall’omonima opera di Platone, e in cui si

occupa di un tema dibattuto all’epoca, riguardo l’immortalità dell’anima e

riguardo a cosa avvenga al corpo dopo la morte. Così il Fedone resta un punto

Page 41: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

riprendendo il titolo di Platone, tratta dell'immortalità dell'anima. Questo per

dire che il Fedone è un punto di riferimento. Nella Berlino del '700 era un tema

molto dibattuto. L'Al-di-là della morte è un tema sempre attuale: il limite della

morte. Questione che investe l'etica. Questioni di (bio)etica sulla fine della

vita: quando finisce la vita? c'è un enorme dibattito sull'istante ultimo. Quando

il cuore si ferma o il cervello smette di funzionare? Quali organi sono

interessati? Questioni enormi. Molto dibattuto in Italia. Non è una questione

medica, ma filosofica ed etica. I medici sono in disaccordo sulla "fine della

vita": non è una questione scientifica, ma etica. Il modo di Platone resterà in

Occidente. Importante è che connesse al tema della morte ci sono molte

questioni. La prima è quella del suicidio. Prima dobbiamo dire che nella

cultura greca, nella filosofia, già in quella dei Presocratici, il concetto di limite

(peras) -- da cui apeiron, l'illimitato -- è un concetto positivo. Di conseguenza

l'illimitato (n.b. non è infinito) è un concetto negativo. Peras è positivo, è

addirittura il limite da cui nascono gli enti. Limite anche come inizio della vita.

Tutto ciò che è ON, ente, è limitato. Tutto ciò che è/esiste è limitato. Tutti gli

enti come tali sono limitati. Non dobbiamo dimenticare che per noi si da il

contrario: il limite che concetto negativo e l'illimitato come concetto positivo a

cui aspirare. Se THANATOS è limite, non può essere qualcosa di negativo. C'è

però una concezione tragica, anche in Socrate. Il Fedone è un dialogo animato

da una molteplicità di personaggi: Simmia e Cebete (entrambi pitagorici),

Echecrate, Fedone, etc. C'è un contesto pitagorico ed orfico: separazione netta

tra SWMA e PSYCHE. Immediatamente si ponte il problema del suicidio: la

liceità, accettabilità del suicidio. Si può? Socrate in attesa dell'esecuzione:

perché allora non si suicida? non sarebbe un gesto di libertà? perché il filosofo

giunto al punto estremo, in una situazione estrema, non dovrebbe suicidarsi?

Questa questione, che cronologicamente è la prima, si pone alla riflessione

filosofica. Su questo tema non c'è unanimità nella filosofia. Abbiamo voci

discordanti. Ci sono i filosofi contrari, che articolano la loro posizione, e ci

sono i filosofi favorevoli. Sappiamo che queste sono posizione ampiamente

rappresentate nel dibattito contemporaneo, non solo nella storia della filosofia.

[libro sul suicidio: Levare la mano su di sé] Distinzione tra SELBSTMORD --

uccisione di sé; ma anche uccidersi -- e FREITOD -- libera morte. Nietzsche:

estremamente tragico nel senso greco. Per lui è importante sottrarsi al destino,

alla TUCHE, il caso, il fato, il destino... quindi FREITOD, morte scelta

liberamente: è il soggetto che sceglie liberamente il momento di morire, come

gesto di libertà. Il FREITOD è sottrarsi alla tragicità della TUCHE, ad una

predestinazione destinale, per cui scelgo la libertà di togliermi la vita. Io

di riferimento in tutta la filosofia. La questione del limite della morte è di

grande attualità, e investe campi di studio come la bio-etica – grande dibattito

filosofico ed etico su cosa sia la fine della vita, su quale sia l’istante ultimo. Si

tratta di questioni enormi, oggi dibattute. La fine della vita quindi non si riduce

ad una questione medica o scientifica, è bensì etica e filosofica. Il modo in cui,

nel Fedone, viene posto il problema della morte sarà un punto di riferimento

per la cultura. All’interno del tema della morte ci sono altre questioni, tra cui la

prima è quella del suicidio.

La morte è il limite della vita. Nella cultura e nella filosofia greca (a partire dai

presocratici) il concetto di limite (peras) è un concetto positivo; quindi il limite

non è visto negativamente dai Greci – è bensì l’illimitato ad essere un concetto

negativo in tutti i sensi. Il concetto di peras è positivo, perché è il limite da cui

nascono gli enti, è il limite come inizio della vita – tutto ciò che è “on”, cioè

ente, è limitato, tutto ciò che esiste, tutti gli onta in quanto tali sono limitati.

Per noi si da’ invece la difficoltà di concepire positivamente il limite,

nell’aspirazione a qualcosa di illimitato. Se tanathos è il limite della vita, non

può essere qualcosa di negativo per i Greci; c’è una concezione tragica persino

in Socrate. Allora uno dei primi problemi che si pone nel Fedone, in cui si

riscontra una molteplicità di personaggi, e che si apre a partire dalla riflessione

sulla morte, è proprio il tema del suicidio, in particolare della liceità del

suicidio – il tema si pone perché Socrate, arrivato a questo punto, potrebbe

anche avere il pensiero del suicidio, come possibilità di libertà dalla condanna

ingiusta. Però la questione del suicidio è una delle prima che si pone alla

riflessione filosofica sulla morte; su questo tema non c’è per nulla unanimità in

filosofia, vi sono invece tante voci discordanti – filosofi contrari e altri a favore

(Seneca); posizioni che sono rappresentate anche attualmente. Nietzsche era

favorevole al suicidio – Selbstmord (uccisione del sé) e Freitod (libera morte).

Il soggetto che sceglie il momento in cui morire afferma la propria libertà; si

tratta però di un’affermazione tragica, perché il contesto di Nietzsche è tragico,

anche in senso greco: è importante sottrarsi al destino, alla tuchè (caso/sorte) –

il Freitod è il sottrarsi alla tragicità della tuchè, ad una determinazione

destinale, per cui il sé ha la libertà di scegliere di togliersi la vita. L’io libero

che sceglie di morire non si rimette mai all’andamento della vita, non è l’altro

a ucciderlo. L’atteggiamento di Nietzsche è tragico- il destino imperante non

lascia via d’uscita se non quella della libera morte. La posizione di Nietzsche

ha influenzato la modernità e si distingue da quella di Seneca e degli Stoici –

c’è in Nietzsche una critica radicale al Cristianesimo, perché il suicidio è un

concetto che va contro la posizione di gran parte delle religioni. Così anche la

Page 42: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

decido il momento in cui muoio, e non mi rimetto all'andamento della vita; ma

decido io la fine. Tutto questo è molto greco. Le pagine di Nietzsche sono

coraggiose, epocali, ed il suo pensiero è diverso da quello degli stoici in cui il

suicidio era contemplato. Nietzsche ha influenzato la modernità ed il nostro

modo di pensare a quella libertà di decidere del TOD, della morte. Sono pagine

tutt'altro che religiose. Il contesto è quello di una critica radicale al

cristianesimo, che dal cristianesimo si allarga alle religioni. Ancora oggi molti

filosofi, pur senza citarlo, fanno riferimento a Nietzsche. Non è tanto una

questione di ateismo. Nietzsche critica fortemente Socrate, che gli è opposto.

Per Socrate non c'è liceità del suicidio. Kant: abbiamo, nella modernità, la

contrapposizione tra Nietzsche e Kant. Nella Fondazione della metafisica dei

costumi viene detto che non possiamo servirci del nostro corpo come mezzo,

che invece è fine in sé. Il suicidio quindi non può essere un Imperativo

Categorico. Quello che tu fai può e deve ergersi a massima universale. Nel

caso del suicidio -- Kant su questo oggi è molto criticato -- è possibile che in

alcuni casi sia lecito; in alcune situazioni concrete, kantianamente potrebbe

andare bene. Per l'etica di Kant non possiamo fare nulla che non si erga ad

universale. Il suicidio contraddice l'imperativo categorico. L'argomentazione di

Kant è prettamente teorica e in parte astratta. Astrattezza di Kant. La posizione

di Socrate non è quella di Kant. La posizione di Socrate è una posizione

"religiosa" -- nel senso della religiosità di Socrate. Nietzsche ha ragione a

criticarla. Per Socrate è importante rimettersi al PERAS della vita. Non sono io

che decido. Altrimenti sarebbe un gesto di presunzione, e Socrate sa di non

sapere. Quindi non un gesto di libertà; ma un gesto di presunzione.

Atteggiamento religioso del rimettersi a ciò che deve accadere. Se Socrate, nel

Fedone, decidesse di suicidarsi, cadrebbe di nuovo nell'incoerenza, quindi

inevitabilmente deve accettare che non è lui che determina la fine della vita. La

sua è una filosofia del limite, filosofia per i mortali (Eraclito)... mortali che

devono riconoscere di essere mortali -- qui torna Heidegger. Socrate si rimette

al fine della vita: non siamo sovrani della nostra vita. Diverso da Kant.

Riflessione molto sfaccettata sul suicidio, e le argomentazioni sono diverse:

Kant ha una posizione etica, rifiuto etico del suicidio. L'argomentazione di

Socrate è diversa; è un rifiuto religioso. Chi sono i mortali per decidere l'istante

della loro morte?

Il tema della morte accompagna la filosofia, e il Fedone è un riferimento

obbligato ed una pietra miliare. Abbiamo visto le posizioni discordanti di Kant

e Nietzsche sul tema del suicidio. La morte fa parte della vita. Fra le tante

posizione di Socrate, molto criticata da Nietzsche, è opposta: per Socrate non

si dà la liceità del suicidio. Tra i filosofi contro il suicidio si schiera Kant,

secondo lui non possiamo servirci del nostro corpo come un mezzo, perché il

corpo è fine in sé; inoltre il suicidio non è lecito perché non è un imperativo

categorico – non si può cioè assumere come un universale trascendentale, per

cui ciò che è lecito deve ergersi a massima universale. Il caso del suicidio in

Kant è discusso e criticato: è possibile che in alcuni casi il suicidio sia lecito,

da un punto di vista concreto; ma il problema, per l’etica di Kant, è che l’uomo

non possa fare nulla che non si erga a massima universale – il suicidio

contraddice l’imperativo categorico, ammetterne la possibilità vorrebbe dire

farne una massima universale. L’argomentazione di Kant è teorica e astratta –

questa la critica mossa all’etica di Kant. La posizione di Socrate non si

avvicina neanche a quella di Kant, con essa non ha nulla a che vedere; quella

di Socrate è invece una posizione religiosa: per Socrate è importante rimettersi

al peras della vita, così come vale per la sua sapienza; sarebbe un gesto di

presunzione decidere per sé la propria fine – quindi per Socrate non si tratta di

un gesto di libertà. L’atteggiamento religioso di Socrate è il rimettersi a ciò che

deve accadere – se Socrate, nel Fedone, decidesse di suicidarsi, cadrebbe di

nuovo nell’incoerenza, sconfessandosi. Così egli inevitabilmente deve

accettare di non essere lui a dover decidere il limite della sua vita. Quella di

Socrate è una filosofia del “limite” – i mortali devono riconoscere di essere

mortali e finiti. Dunque la posizione del rimettersi al fine della vita è distinta

radicalmente dalla posizione di Kant, che è più astratta ed etica, nel senso che

il rifiuto etico del suicidio mina la stessa etica kantiana – per Socrate invece si

da’ un rifiuto religioso del suicidio.

La questione del suicidio si delinea a partire dalla grande questione sulla morte

– la morte è un tema che accompagna la filosofia ma su cui domina il

disaccordo. In queste pagine celebri Socrate prende posizione contro il

suicidio giustificando filosoficamente il suo rifiuto. L’argomento del suicidio

si lega come suddetto ad altri temi, tra cui la grande questione del significato

della fine della vita – che cosa significa morire? Per Socrate la morte è la

separazione dell’anima dal corpo, a cui essa sopravvive – ripresa orfica di un

tema che Socrate argomenta filosoficamente: la filosofia è la stessa conferma

che l’anima e il corpo siano separabili. Questa separazione è una delle più

discutibili della metafisica – di contro si staglia la rivalutazione filosofica del

corpo. Invece il Socrate platonico giustifica questa separazione; la filosofia è

un esercizio dell’anima, ed essa non deve avere nulla a che fare con il corpo –

si tratta di una separazione ontologica, per cui l’anima, che sopravvive al

Page 43: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

questioni contemporanee c'è la difficoltà di stabilire il termine della vita.

Apparentemente una questione medica, invece questione fortemente filosofica.

Celeberrime sono le pagine in cui Socrate prende posizione contro il suicidio:

illegittimità del suicidio, che giustifica filosoficamente. Siamo dentro il carcere

e ormai a poche ore dalla morte di Socrate. Il racconto (dialogo raccontato) si

verifica la mattina, al tramonto Socrate deve morire. Il suicidio per il filosofo,

per Socrate, non è lecito: questo argomento si lega a quello della fine della

vita, della morte. Cosa significa morire? per Socrate -- influisce qui il contesto

orfico pitagorico -- significa la separazione dell'anima dal corpo. Questa

sopravvivrà al corpo. E abbiamo un'argomentazione che mira a fondare

filosoficamente la separazione corpo-anima. L'esercizio della filosofia ne è la

conferma: sono separabili anima e corpo. La separazione di anima e corpo è

una delle separazioni metafisiche per eccellenza: oggi la si ritiene discutibile.

Oggi abbiamo di moda una filosofia del corpo: rivalutazione filosofica del

corpo. Platone viene tacciato di metafisica. Il Socrate di Platone giustifica

invece questa separazione. La filosofia come tale non deve avere a che fare col

corpo: la filosofia è esercizio dell'anima. Sono separabili ontologicamente, non

solo distinguibili. La storia del corpo è diversa da quella dell'anima. Questa è il

luogo della filosofia: dove domina il corpo non ci può essere filosofia.

Separazione di carattere metafisico tradizione, oggi molto criticata. L'anima è

separabile (separata dal corpo), e la filosofia è esercizio dell'anima. Questa è la

condizione per mostrare l'immortalità dell'anima. La conseguenza

dell'immortalità: Socrate ritiene che i sensi siano per il filosofo un ostacolo:

fuorviano, deviano. Impediscono la pura teoresi. Impediscono di cogliere

l'essenza delle cose: questo è l'accesso al mondo iperuranio, il mondo delle

idee. Il filosofo è ostacolato dai sensi. Questi non dovrebbe essere esposto a

nessuna sensazione o passione. Accesso al mondo iperuranio: la

contemplazione delle idee. Vedere gli oggetti non è conoscenza, invece lo è

cogliere l'idea dell'oggetto. Iperuranio: il mondo oltre il mondo. C'è una

vulgata di Platone che noi dobbiamo abbandonare per seguire questa

argomentazione. Socrate si prepara a mostrare qualcosa che non è per nulla

scontato: che c'è un mondo oltre il mondo. Il mondo non finisce qui per il

filosofo. Nietzsche qui fortemente critica Platone: Nietzsche propone un

platonismo alla rovescia. Per noi è quasi scontato che ci sia un oltre-il-mondo.

1) un piano religioso, o ancora meglio teologico: per Socrate un mondo aldilà

del mondo di qua; non è solo una questione cronologica, ma anche ontologica:

con questo egli prova l'immortalità dell'anima. Questa vivrà nel mondo al di là.

Aldilà è META. Metafisica, ovvero al di là del mondo fisico. Significato

corpo, è il luogo stesso della filosofia. L’anima è separata dal corpo, la

filosofia è il suo esercizio, ciò vuol dire che questa è per Socrate la condizione

per mostrare l’immortalità dell’anima. Una prima conseguenza della teoria

dell’immortalità dell’anima: i sensi sono per il filosofo un ostacolo, poiché

deviano l’anima, impedendole la pura teoresi e cioè di cogliere l’essenza delle

cose, che è l’accesso al mondo iperuranio, delle Idee – nodo importante della

filosofia di Platone. Il filosofo così non deve essere esposto ad alcun tipo di

sensazione. L’accesso al mondo iperuranio è la contemplazione del mondo

delle Idee – la visione dei meri oggetti non da’ la conoscenza. Bensì, la

conoscenza risiede nella contemplazione di un altro mondo oltre il mondo.

Così Socrate si prepara a mostrare un qualcosa che non è scontato nella

tradizione occidentale, ossia l’esistenza di un mondo oltre il mondo – per i

filosofi il mondo non è questo. Tutto ciò implica diversi piani di riflessione. Il

piano religioso o teologico: per Socrate c’è un mondo di qua e un mondo al di

là (questione ontologica), e ciò gli consente di mostrare l’immortalità

dell’anima, che non muore e continuerà ad esistere nel mondo al di là (metà ta

physikà) – il piano teologico implica che il mondo al di là di cui parla Socrate

sia, più che “dopo”, “oltre” il mondo di qua. Un secondo piano è sicuramente

quello filosofico, importante per la gnoseologia di Platone: l’anima può

accedere al mondo oltre il mondo attraverso la conoscenza, specialmente

attraverso la filosofia, che dischiude questo accesso e che permette di ricordare

le Idee delle cose – gli oggetti sono copie del mondo delle Idee. Il piano

filosofico implica che la vera conoscenza sia solo la conoscenza, la

contemplazione, del mondo delle Idee.

Il dialogo raccontato da Fedone si svolge in un lasso di tempo reale che va

dalla mattina al tramonto, quando Socrate effettivamente muore – Socrate è in

attesa di bere il pharmakon; la riflessione cade sul fatto che egli potrebbe, a

questo punto, compiere un gesto di libertà, il gesto del suicidio.

Page 44: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

religioso/teologico: c'è un mondo oltre. 2) significato intrecciato al primo:

significato filosofico importante per la gnoseologica di Platone: la nostra

anima può accedere al mondo oltre il mondo attraverso la conoscenza, la

filosofia: questa dischiude questo accesso, questa lo permette, ricordando le

idee nelle cose. Nel mondo di qua sono le copie delle idee. Solo chi si solleva

da questo mondo può provare ad accedere al mondo delle idee. La conoscenza

è solo quella delle idee.

VI. Socrate fa esplicito riferimento alla concezione orfico pitagorica del corpo

carcere e dell'anima in esilio (la vita). L'anima si è incarnata in un corpo, il

carcere. Posta questa concezione misterica, non è lecito darsi alla fuga,

svignarsela. Questo è lo stesso atteggiamento che Socrate ha nei confronti del

proprio carcere. Non fugge da Atene = non fugge dal carcere = non commette

suicidio (corpo-carcere). Coerenza di Socrate. Riferendosi a questa concezione

misterica, non è bene darsi alla fuga. Non è bene suicidarsi poiché siamo

possesso degli dei. C'è una distinzione importante tra gli dei, e i mortali

(possesso degli dei). Questo significa non affermare una sovranità, in questo

egli è mortale e non sovrano per definizione della propria vita: sono altri che

decidono. Quando si afferma invece la sovranità del mortale, è ovvio che si

ammette il suicidio -- atteggiamento tipico della modernità. I mortali invece

sono possesso degli dei. Questa è la religiosità di Socrate. Gli dei hanno cura di

noi, e noi siamo loro possesso. Socrate non è di sua proprietà: punto decisivo

della filosofia. Se io penso di essere di mia proprietà, allora posso stabilire la

fine pur non avendo stabilito l'inizio della mia vita. Per Socrate espropriazione

del mortale che riguarda l'inizio e la fine della vita. La questione del suicidio

riguarda la possibilità di definire il limite, il PERAS. Socrate dice di non poter

definire il PERAS della fine, come non ha potuto stabilire l'inizio. Coerenza di

Socrate. Socrate si rimette a quel divino a cui si è già rimesso in Apologia e

Critone, e perciò non può commettere suicidio, perché sarebbe empio. Così

facendo confermerebbe che la condanna sarebbe giusta. Il suicidio sarebbe

empietà. Fino alla fine Socrate vuole dimostrare che l'accusa di empietà è

ingiusta. Obiezione di Cebete: dire che il suicidio è illecito ed empio; ma come

mai il filosofo non si duole di morire? non c'è contraddizione? Socrate aveva

detto con convinzione che il filosofo non si duole di morire; e Cebete insiste

sul carattere contraddittorio di questa e dell'altra affermazione di Socrate. Se

rimettersi agli dei, che sono buoni reggitori, buoni governatori, perché non ti

duoli di morire? Per la prima volta nel dialogo la morte vuol dire l'abbandono

di quelli che restano. La morte è un congedo/abbandono di coloro che restano.

VI PARAGRAFO. La posizione di Socrate, facendo esplicito riferimento alla

concezione orfico-pitagorica (Filolao è un pitagorico), è questa: la vita umana

è un esilio, un carcere addirittura, dell’anima incarnata. Posta questa

concezione misterica, ne segue la non liceità della fuga – il suo atteggiamento

si mantiene costante e coerente rispetto alla sua posizione assunta già nel

Critone e nell’Apologia. Dunque Socrate non fugge da Atene, non fugge dal

carcere e non commette il suicidio: tre elementi coerenti, perché, per la

concezione orfico-pitagorica, non è bene darsi alla fuga e quindi neanche

suicidarsi, poiché l’uomo è “possesso degli Dei” – distinzione tra mortali e Dei

presente anche nel Fedro. Non si da’ quindi una sovranità del mortale sulla

propria vita, sono gli altri e sono gli Dei a deciderne – laddove si affermi la

sovranità del mortale, lì si ammette la liceità del suicidio. Socrate da’ così

prova della sua religiosità, affermando allo stesso tempo un punto decisivo

nella filosofia: gli Dei hanno cura dell’uomo e lo hanno in possesso; qualora

l’uomo pensasse di essere di sua stessa proprietà, ne verrebbe anche la

possibilità, per l’uomo, di stabilire almeno la fine della propria vita – invece

per Socrate c’è quest’espropriazione del mortale, e nell’inizio e nella fine della

sua vita. La questione del suicidio riguarda la possibilità di definire il peras:

Socrate non ha potuto stabilire il peras che ha inaugurato la sua vita, tantomeno

potrà stabilire il peras che la chiuderà – Socrate si rimette al divino, così come

ha fatto anche negli altri dialoghi. Commettere il suicidio sarebbe un’empietà,

e quindi un gesto di conferma nei confronti dell’accusa di empietà che gli è

stata rivolta – ma Socrate vuole mostrare fino alla fine che l’accusa di empietà

è ingiusta.

Page 45: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Perché Socrate non si rammarica di questo? Socrate sta insinuando che la

morte è un viaggio/passaggio nell'Ade, e un andare verso il meglio: verso altre

divinità e uomini migliori di quelli che sono qui. Quando Socrate si interrompe

c'è ironia da parte sua. Ci saranno dei migliori, degli uomini migliori non sa

dire e non è troppo convinto. Qui la speranza di Socrate: spera/ha fede di

andare verso qualcosa che sia per i morti, e che sia qualcosa di migliore per i

buoni che per i cattivi. PASSO IMPORTANTISSIMO. Ci sono molti strati,

quello religioso, quello filosofico... metafora del viaggio: il congedo. Socrate

non fugge in Tessaglia; ma sceglie l'Ade. Socrate non è rammaricato perché ha

fede che per i morti ci sia qualcosa. Platone sostiene le la via non finisce qui, al

di là della vita. Per i morti c'è qualcosa di migliore. Qualcosa di meglio per i

buoni che per i cattivi. Contrapposizione tra l'eone di là, e l'eone di qua. Luogo

dove c'è giustizia: ci sarà qualcosa che sarà migliore per i buoni. Il Fedone ha

un ruolo chiave nel cristianesimo. Non potremmo immaginarci il cristianesimo

senza Platone. è dalla concezione della separazione corpo-anima, vita oltre e

immortalità che trae il cristianesimo. C'è una forma platonica e addirittura

orfica. Fonte orfica del cristianesimo. Anche se nella teologia cristiana, che

corre parallela alla filosofia, questi elementi sono variamente interpretati.

Senza il Fedone non potremmo immaginarci il cristianesimo.

VIII. Simmia a Socrate: non vorrai andartene via senza dirci questa tua

persuasione. La preoccupazione di Critone: si preoccupa di mangiare/bere, etc.

è un mediocre. Non è portato per la filosofia. Egli si preoccupa che Socrate si

stia infervorando, e questo lo preoccupa materialmente: siccome il veleno, il

PHARMAKON, agirà pietrificando, gelando gli arti, allora Socrate infervorato

avrà bisogni di più dosi di cicuta. Questo intervento di Critone serve a

introdurre la "materialità": per Platone la filosofia è la negazione di questa.

Socrate rivendica di aver speso tutta la vita nella filosofia: nesso tra filosofia e

vita. La filosofia è la vita del filosofo. Socrate non può né rammaricarsi né

avere timore, perché ha fede che non troverà nella morte niente di peggio.

VII PARAGRAFO. Obiezione di Cebete: come mai il filosofo, a detta di

Socrate, non si duole di morire, eppure non può osare il suicidio? Cebete

individua una contraddizione nella questione del suicidio. Simmia, invece,

mette in luce il motivo della morte come abbandono di coloro che restano –

perché Socrate, che si rimette agli Dei, buoni governatori, non si duole di

abbandonare i suoi cari?

VIII PARAGRAFO. Socrate dice che la morte è un passaggio nell’Ade ed è un

andare verso il meglio – divinità è uomini migliori. Ironia di Socrate: non è

sicuro infondo che ci siano uomini migliori di quelli di questo mondo; almeno

può dire ci saranno Dei migliori. La speranza di Socrate è che ci sia qualcosa

di migliore per i buoni, dopo la morte, più che per i cattivi – ha “fede” in

questo. Inizia a questo punto una lunga e compressa argomentazione, che ha

motivi religiosi e filosofici, riguardo alla metafora del viaggio (morte). Socrate

non è rammaricato di congedarsi, perché è convinto di andare nel mondo

dell’al di là. Platone con ciò sostiene che la vita non finisce con la morte, ma

che ci sia un al di là della vita e, per i buoni, qualcosa di migliore. La

contrapposizione dei due mondi getta luce sul tema della giustizia:

l’oltretomba è anche il luogo della giustizia. Il Fedone ha un ruolo centrale nel

Cristianesimo, riguardo al tema della separazione anima-corpo, della vita oltre

la morte, dell’immortalità dell’anima, che prende vita nel Cristianesimo, a

partire da questa trama platonica e addirittura orfica. Nella teologia cristiana,

che corre parallela alla storia della filosofia, questi elementi sono variamente

interpretati – questo per dire che senza il Fedone non si può immaginare il

Cristianesimo. Dunque Simmia vuole che Socrate esplichi la sua persuasione.

Page 46: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

IX. Socrate inizia riprendendo la concezione che del filosofo è la più diffusa ad

Atene: che il filosofo è estraneo alla vita, e che perciò in questo

stato/condizione è più vicino alla morte. E sarebbe assurdo avere poi timore di

morire. Socrate riprende un po' la farsa intorno al filosofo: i filosofi moribondi.

Vita ascetica lontano dalle passioni e dal ritmo della vita altrui. Socrate

riprende l'idea sottesa alla farsa: estraneità del filosofo alla vita. Il filosofo

viene preso in giro (pensa al ritratto di Spinoza) come pallido, emaciato, etc. e

come gli altri vedono il filosofo: qualcuno che si allontana dalla vita e quindi si

avvicina alla morte, un moribondo. colui che si estranea dalla vita e dal ritmo

degli altri. Socrate: prendiamo atto che per la maggior parte della gente i

filosofi sono degli estranei, non condividono la vita degli altri. Peculiare

ATOPIA che Socrate rivendica. C'è qualcosa anche di vero. La morte è

qualcosa o è nulla? domanda parmenidea. La morte è qualcosa dice Socrate, e

soprattutto Platone. Qui per la prima volta definizione della morte

importantissima e chiare: separazione del corpo dall'anima, per cui il corpo

rimane per se stante da solo e vice versa. La morte scioglie il connubio ed è

separazione. Socrate da questa definizione, e prosegue legando la morte alla

filosofia: questa è imparare a morire perché questi è sempre vicino alla morte.

Il filosofo deve essere pronto a sopportare la caricatura, perché il vero filosofo

non si cura di mangiare, bere, delle cose d'amore né delle cose belle se non per

la stretta necessità. Il vero filosofo: c'è del vero nella caricatura che Socrate

rivendica. Socrate offre un insegnamento: come dovrebbe essere il vero

filosofo. Lontano dai piaceri del mondo, della materialità, dai bisogni primarii

del corpo: sete fame, sonno -- chi dorme non è filosofo. Lontano dal materiale,

la filosofia è anima. PSYCHE, non SWMA. Qui si condivide l'insegnamento

dei pitagorici: forma di vita all'interno della scuola. Erano i più ascetici, severi,

intransigenti. Questo è l'ideale di filosofia di Platone. Raro trovare il filosofo

che vive immerso nel mondo. Kant ad esempio vive una vita ascetica. Si

Critone, uomo mediocre, dimostra invece che la sua preoccupazione è che

Socrate si stia infervorando, parlando del mondo al di là – si tratta di una

preoccupazione materiale, perché il veleno che berrà agirà pietrificando gli arti

e tutto il corpo, ma se Socrate si scalda, ci vorranno più dosi di cicuta.

L’intervento di Critone è il pretesto per introdurre la questione della

materialità, di cui la filosofia, per Platone, è la negazione. Socrate rivendica di

aver speso tutta la sua vita nella filosofia; la vita del filosofo coincide

pienamente con la sua filosofia, così Socrate non può né rammaricarsi né avere

timore.

IX PARAGRAFO. Inizia l’argomentazione, riprendendo la concezione più

diffusa del filosofo: una figura estranea alla vita, e per questo più vicina alla

morte; sarebbe quindi assurdo sostenere che il filosofo abbia timore di morire –

Socrate in questo modo fa un po’ sua quella farsa che si era costruita nel

mondo greco, specie ad Atene, per cui i filosofi fanno una vita ascetica e si

tengono lontani dalle passioni, sono quasi dei moribondi. L’idea sottesa alla

farsa in questione è quella dell’estraneità del filosofo alla vita, e Socrate

riprende e fa sua questa idea. Il filosofo è pallido ed emaciato agli occhi altrui

– estraneo alla vita e al ritmo usuale della vita degli altri, e vicino alla morte

(moribondo). Per la maggior parte delle persone i filosofi, essendo estranei alla

vita, non condividono la vita degli altri – peculiarità dell’atopia del filosofo,

che Socrate rivendica.

La domanda, quasi parmenidea, è: la morte è qualcosa, o è nulla? La morte è

qualcosa, dice Socrate e dice Platone – per la prima volta c’è in filosofia una

definizione importante della morte. La morte quindi è separazione dell’anima

dal corpo, per cui l’anima ed il corpo rimangono da soli, per se stanti; la morte

scioglie il connubio tra anima e corpo. Socrate dice chiaramente cosa sia la

morte; prosegue legando questo discorso alla filosofia. La filosofia è imparare

a morire, perché il filosofo, più degli altri, è vicino alla morte – rivendica la

caricatura tipica del filosofo moribondo. Il filosofo è pronto a sopportare la

caricatura, in cui c’è qualcosa di vero: il filosofo non si cura dei beni materiali,

ma solo dello stretto necessario, e in sostanza si occupa solo dell’anima.

Socrate ci sta dicendo come dovrebbe essere il vero filosofo, ossia lontano

dalla materialità e dai bisogni primari, dal piacere e anche dalla stanchezza del

sonno – la filosofia difatti sta nella veglia. La filosofia è psychè, non è soma –

riprende e condivide l’insegnamento dei pitagorici.

Nell’antica Grecia la filosofia era un modo di vita insegnato nelle scuole: i

pitagorici erano i più ascetici e intransigenti, rappresentando al meglio questo

Page 47: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

innamorò solo una volta ma fece un passo indietro: celibato del filosofo. La

fama di vita filosofica è il celibato. Per Kant sono tutte misure per vivere la

vita più ascetica possibile. Non ci doveva essere nulla che potesse ostacolare i

suoi pensieri. Questa esigenza della vita filosofica come ascetica, come lontana

dalla materialità... è qui nel Fedone per la prima volta. Fare filosofia è scegliere

una forma di vita. Il filosofo non condivide la vita degli altri, perché deve

allontanarsi dalla materialità, e ciò perché la filosofia ha a che fare con l'anima,

con la PSYCHE. I filosofi, a differenza degli altri che cercano equilibrio tra

anima e corpo, questi NO. solo l'anima. IMP: questo Platone anche in seguito.

I filosofi sono qualcosa a parte: quando parlerà della filosofia nel mito

celeberrimo dirà che i filosofi non sono come/a livello degli altri mortali.

Pensiamo quanto la nostra epoca sia a-filosofica per la sua immanenza nella

materialità. Chi filosofa sta male! rinunzia a quella materialità condivisa dagli

altri. Il volto (perché questa concezione è aristocratica) pensa che il filosofo

non prova piacere alla materialità? Il filosofo prova un altro piacere perché ha

accesso alla PSYCHE. Viene a torto compianto. In questa concezione popolare

il filosofo avrebbe in spregio la vita; ma non è così. Si tratta di scegliere la vita

che si indirizza all'anima e non al corpo, perché altrimenti non potrebbe

mettere quelle ali di cui parla il Fedro.

X. se la filosofia come Platone la delinea: amore per la sapienza, il corpo è un

cattivo compagno? SI'. Passo importante per le conseguenze filosofiche che

avrà: i sensi ingannano, e in particolare vista e udito. Anche se proprio questi

dovrebbero essere i più affidabili, eppure ingannano. Qui ci avviamo verso un

ideale di conoscenza che fa a meno dei sensi: questa concezione dei sensi

attraverserà per secoli la filosofia. Per i greci il senso per eccellenza è la vista.

THEOREIN ha a che fare con la vista. Platone fa dire a Socrate

(coerentemente al rifiuto della materialità) che i sensi ingannano: la

gnoseologia di Platone è tale che i sensi non giocano alcuni ruolo, anzi la

conoscenza si fa come distanza dai sensi. Questo LOGIZESTAI, questo

argomentare/ragionare si da nel congedo dal corpo: questa la condizione del

filosofare. Quindi la filosofia è una forma di morte. La filosofia è un

congedarsi dell'anima dal corpo. 2 profondi significati di filosofia: 1.

congedo/separazione dal corpo; 2. e perché necessità un allontanamento dalla

materialità della vita, così dunque il filosofo non vive. allontanandosi dalla vita

il filosofo non vive. La distanza terribile dagli altri che conducono la vita più

comune: solitudine del filosofo. Nell'antichità c'erano le scuole filosofiche

anche per autodifesa per i filosofi: condividere la forma di vita per proteggersi

modello/ideale del filosofo promosso da Socrate. È raro imbattersi nel filosofo

tutto immerso nel mondo, ed è molto più frequente pensare al filosofo, anche

successivamente a Platone, nella sua vita ascetica. Non si tratta comunque di

un’ideale severo di filosofia, poiché tra i filosofi è piuttosto comune – Kant

adottava una misura di vita molto ascetica, per cui i riti quotidiani sono solo

semplici consuetudini, le più strette necessarie, che non ostacolino i pensieri.

Per la prima volta troviamo questo modello filosofico di vita proprio nel

Fedone. Il filosofo non condivide la vita degli altri, deve allontanarsi dalla

materialità – la vita ha a che fare con la psychè sola. A differenza degli altri

uomini, alla ricerca di un equilibrio tra l’anima e il corpo, al filosofo è dato

curarsi solo dell’anima. I filosofi, ci dice Socrate, non sono come gli altri

mortali – questo dirà Platone quando parlerà della filosofia con il mito, che i

filosofi non sono allo stesso livello degli altri mortali. La filosofia fa star male,

impone la rinuncia della materialità condivisa dagli altri; il volgo pensa che il

filosofo non provi piacere nella materialità; il punto è che egli sa provare un

altro piacere, a cui gli altri uomini non hanno accesso – e per questo viene

compianto. In realtà il filosofo non ha in spregio la vita, avendo

un’inclinazione a morire; ma egli sceglie una vita indirizzata all’anima, non al

corpo.

X PARAGRAFO. In questa ricerca della sophia, il corpo è un cattivo

compagno – i sensi ingannano, specialmente la vista e l’udito, che dovrebbero

anche essere i sensi più affidabili. È evidente che, con questo rovesciamento, ci

si avvia ad un ideale di conoscenza che fa a meno dei sensi – questa

concezione dei sensi attraverserà per secoli la filosofia, e quanto ai greci, che

considerano la vista il senso per eccellenza, ha delle importanti conseguenza. Il

theorein è il vedere – la teoresi ha a che fare con la vista. I sensi che ci

collegano alla materialità non ci portano alla verità, ma ingannano – la

gnoseologia (teoria della conoscenza) di Platone non chiama in gioco i sensi,

anzi, la conoscenza si da’ nella lontananza da essi. Questo loghizomai

(ragionare) si da’ nel congedo dal corpo; la condizione della filosofia è una

sorta di morte, in cui l’anima si separa dal corpo; la filosofia è un congedo

dell’anima dal corpo, come la vera morte, e come tale richiede un

allontanamento dalla materialità. Due sensi profondi di filosofia: chi fa

filosofia non vive, il che implica una distanza terribile dagli altri che

condividono la materialità; quindi per il filosofo si da’ la solitudine.

Nell’antichità le scuole erano una sorta di autodifesa da parte dei filosofi, per

proteggersi rispetto agli altri, e riuscendo a condividere questa forma di vita – è

Page 48: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dagli altri. Un modo per rendere più facile il compito. Anche l'Accademia è

così. Per i greci era importante la forma di vita, lo è anche per Platone. L'anima

ragiona con migliore purezza se non è conturbata. L'esempio della vita di Kant.

L'anima che cerca un accesso alla conoscenza della Verità è quella che si

raccoglie in se stessa (concentrazione dell'anima in se stessa) che noi abbiamo

quasi perduto. Qui Socrate inizia a delineare la dottrina delle idee: è Socrate

che chiede TI ESTI, il che cos'è, e la risposta è la questione dell'essenza. Il

filosofo cerca l'essenza delle cose, cioè una verità che si sottrae ai sensi, una

Verità intima, interna alle cose. La Verità che Socrate cerca è la Verità dietro

alle cose. Noi abbiamo un tale modo metafisico (platonico) di pensare che

questo ci appare ovvio. Come i sensi sono inaffidabili, così il filosofo non può

fermarsi all'esteriorità; ma cerca l'OUSIA, l'essenza. La conoscenza quale il

Socrate platonico qui comincia a delineare è una che va al di là del mondo

apparente. Qui nasce la convinzione che questo sia il mondo apparente. Non

soltanto Platone, ma in quasi tutta la storia della filosofia. Il filosofo non si

accontenta di come il mondo si da nella sua apparenza; ma cerca qualcosa che

si nasconde dietro le cose, una Verità dietro alle cose. Cercare qualcosa di

altro, una Verità altra. Se questi si accontentasse di descrivere il mondo

apparente, non sarebbe più animato dall'aspirazione a scoprire l'Aletheia.

Ormai siamo nel cuore della teoria di Platone. Abbiamo accennato alla teoria

delle idee... incontreremo la parola Verità, che ha avuto una fortuna nella storia

della filosofia. ALETHEIA: parola molto complessa, tradotta con verità, e però

è una parola complessa e su cui dovremo fermarci. non è un caso che sia

introdotta nel Fedone. Parola chiave della filosofia, perché è la prima grande

riflessione sulla Verità in filosofia. Riflessione al limite tra il LOGOS e il

MYTHOS, tra discorso e favola. La ritroveremo nella filosofia di Heidegger,

che egli riprende, e avalla l'etimologia che offre Platone. Questa è costituita da

alpha privativo. La parola inizia con un alpha di significato negativo: 2 rinvii:

1. a LANTHANEIN, dimenticare; 2. al LETHE, fiume che passa nell'Ade. Non

ci stupisce che se ne parli a proposito dell'immortalità dell'anima, e dell'oltre

mondo. Tutto ciò nel solco di Platone.

65b9 quando si dice POTE OUN: parola che ricorrerà ancora e fa parte del

linguaggio di Platone e non di Socrate. Abbiamo affrontato il rapporto tra

filosofia e morte; anzitutto la questione del suicidio, ed abbiamo esaminato in

questo dialogo narrato la posizione molto radicale e decisiva per la tradizione:

morte e filosofia, prepararsi a morire. La filosofia non è una disciplina come le

altre. Oggi è la più reietta, e non è un caso. Per secoli era la regina delle

un modo per rendere più facile il compito di filosofo, che è un percorso di

ascesi. La forma di vita filosofica vuole un’anima non conturbata dalla

materialità, ma raccolta in se stessa; l’anima cerca un accesso alla conoscenza

della verità, nel raccoglimento di se stessa – questo raccogliersi equivale alla

concentrazione, che è il modo per conoscere la verità.

Platone inizia a delineare la dottrina delle Idee – risposta al “ti esti”, la

questione dell’essenza delle cose. Il filosofo cerca l’essenza delle cose, ossia

una verità che si sottrae ai sensi – è una verità intima, interiore, non esterna né

accessibile ai sensi. Il filosofo non si può fermare a ciò che appare e a ciò che

dicono i sensi, se egli cerca la verità interna, l’ousia, l’essenza delle cose. La

conoscenza del Socrate platonico va al di là del mondo apparente; nasce qui la

convinzione che il mondo sia apparente, e che il filosofo debba ricercare una

realtà ulteriore, perché non si accontenti del mondo quale si da’ nell’esteriorità;

così cerca una verità altra, dietro le cose. La filosofia è la ricerca della verità

dietro le cose; se il filosofo si accontentasse di descrivere il mondo apparente

non sarebbe un filosofo, perché non animato dall’aspirazione a scoprire

l’aletheia. Siamo nel cuore della filosofia di Platone, in cui non solo emerge la

dottrina delle Idee ma soprattutto la parola “aletheia” – parola complessa,

tradotta con verità, molto significativa per queste pagine e parola chiave della

filosofia. Si tratta della prima grande riflessione sulla verità nella filosofia, che

nel solco di Platone si situa al limite tra il logos (discorso) e il mythos (favola)

– Heidegger nella sua filosofia riprenderà questo termine nella sua etimologia,

offerta da Platone (a-lethe). La verità comincia quindi con una lettera che ha un

significato privativo e negativo; ci sono anche due rinvii, uno alla parola

“lanthano” (dimenticare) e al lethe (fiume della dimenticanza, che scorre

nell’Ade). La parola aletheia fa parte più che altro del linguaggio di Platone,

non di Socrate.

Fin ora si è affrontata la questione del rapporto tra filosofia e morte, che ha

aperto il problema del suicidio, in un dialogo raccontato che delinea la

posizione di Socrate, radicale e decisiva per lo sviluppo della filosofia su

questo suo legame e nesso fondamentale con la morte. La filosofia quindi non

è una disciplina come le altre; è una forma di vita – separazione della psychè

dal soma, preparazione alla morte (sostrato orfico-pitagorico di Platone)

all’insegna dell’abbandono di tutto ciò che è materiale e della concentrazione

dell’anima su se stessa (posizione connessa con la teoria delle Idee). Per

Platone la verità è opposta all’apparenza sensibile, che inganna la conoscenza

– ciò che appare è appunto apparenza, dietro cui c’è un retro mondo, il mondo

Page 49: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

scienze, pur non essendo una di queste: la filosofia (Platone) è una forma di

vita, di concentrazione della PSYCHE con se stessa e allontanamento dal

SOMA. In questa separazione la preparazione alla morte. Non è uno slogan;

ma la convinzione di Platone con sostrato orfico per cui il filosofo debba

separarsi col corpo di tutto ciò che ha a che fare con la sensibilità.

Concentrazione della PSYCHE con se stessa. Non è un dogma; ma è

strettamente connessa con la teoria delle idee: per Platone la verità è separata e

opposta all'apparenza sensibile che inganna. Anche quando si conoscono gli

oggetti bisogna tenersi alla larga dai sensi. Ciò che appare è apparenza, dietro

c'è un retro mondo che è il mondo vero. Nella filosofia contemporanea questa

separazione corpo-anima viene vista, a partire da Nietzsche, come una

separazione metafisica. Imputando Platone viene fortemente contestata come

ipoteca metafisica. Leitmotiv: la Verità e la conoscenza appartengono al retro

mondo. A differenza di Apologia e Critone, nel Fedone c'è molto più di

Platone e soprattutto la narrazione, il racconto della morte di Socrate è

l'occasione per Platone di delineare la sua filosofia, incominciando a delineare

le sue convinzioni filosofiche. Quando leggeremo le 3 prove fornite per

l'immortalità dell'anima... queste possono convincere o no; ma questo sono a

loro volta il modo per introdurre argomenti filosofici della filosofia di Platone.

Su queste 3 prove fiumi d'inchiostro. Mendelsohn ha scritto a sua volta un

Fedone le riprende. Queste tre prove ritorneranno nella storia della filosofia. In

Gadamer (saggio sul Fedone) questi dice: forse Platone stesso non crede a

queste 3 prove. Per Platone stesso queste sono un esercizio dialettico, forse

sono introdotto per acquietare il bambino che è in noi, che ha timore della

morte; ma ci portano al grande finale della fine del filosofo che è conferma

della filosofia di Socrate, indipendentemente dalle 3 prove. Il valore del

Fedone non è legato alle 3 prove; ma è molto di più.

X. Qui viene introdotto un sospetto, quello del filosofo: quello che distingue la

filosofia dal senso comune: i sensi ingannano, e non ci restituiscono le cose

come sono. Se questo vale per vista e udito, figuriamoci per gli altri sensi. Qui

viene raccolto un dubbio che, come già nei presocratici; ma qui è diversa: il

dubbio che questi restituiscono solo l'apparenza, che è al massimo parte della

Verità. La gerarchia dei sensi resta relativamente intatta nella filosofia a partire

da Platone e Aristotele: vista e udito; ma per i greci, e questo determina la

civiltà occidentale, ciò che conta è la vista, non l'udito, anche se Aristotele

riconosce il nesso di questo col linguaggio. Con poche eccezioni le cose

rimangono oggi ancora così. Il corpo è di impedimento alla ricerca della Verità

del vero, che esiste e dove l’anima trasmigra. Nella filosofia contemporanea, a

partire da Nietzsche, la separazione corpo-anima è vista come metafisica, la cui

colpa è imputata a Platone – ma tale separazione e convinzione che la

conoscenza abbia a che fare con il retro mondo è il Leitmotiv di tutta la storia

della filosofia. Con l’immortalità dell’anima, a differenza del Critone e

dell’Apologia, Platone è sicuramente più presente come filosofo, mentre la

figura di Socrate è più circoscritta – il racconto della morte del filosofo è

l’occasione per Platone per delineare la sua filosofia. Le tre prove a venire

dell’immortalità dell’anima potranno essere più o meno convincenti; ma esse

sono specialmente il modo in cui introdurre argomenti filosofici – su esse è

stato comunque scritto molto. Gadamer, a tal proposito, scrive che forse le tre

prove sono una sorta di esercizio dialettico, introdotte per acquietare il

“bambino” nell’uomo che teme la morte; ma è certo che esse conducono al

grande finale del Fedone, ossia la fine del filosofo – la morte è la riconferma

della sua vita, indipendentemente dalle tre prove, che non esauriscono

sicuramente il valore del Fedone.

Quindi, a questo punto del dialogo, viene introdotto un sospetto, che è il

sospetto del filosofo e che distingue la filosofia dal senso comune: il sospetto

riguarda l’affidabilità dei sensi, che invece sono ritenuti ingannevoli e non

idonei a restituire le cose come sono – ciò vale per la vista e per l’udito, e a

maggior ragione per gli altri sensi. Così viene raccolto un dubbio, la

perplessità, che corre anche attraverso i presocratici, cioè che i sensi

restituiscano solo l’apparenza, la quale è solo una parte della verità. La

gerarchia dei sensi resta relativamente intatta nel corso della storia della

filosofia, a partire da Platone e Aristotele. Per i Greci che determineranno la

cultura occidentale ciò che conta è la vista, non l’udito – anche se già

Aristotele riconosce il nesso tra l’udito e il linguaggio. La gerarchia dei sensi,

al cui vertice c’è la vista, resterà intatta salvo poche eccezioni. Il corpo per

Platone è un impedimento nella ricerca della verità, ossia il cammino della

psychè verso l’aletheia; i sensi sono ingannevoli perché sono corporei.

Passo importante, 65. Tutto è formulato in forma di domanda; le domande

sono diverse rispetto ai primi dialoghi, perché sono più retoriche,

presuppongono già una convinzione. Si sta dicendo qualcosa di paradossale:

per cogliere la realtà ultima di un oggetto la vista non aiuta; ma, anzi, ci si

avvicina alla realtà ultima distogliendo lo sguardo. Questo è ciò che dice

Platone e la maggior parte dei filosofi con e dopo di lui – questo è il cuore

della filosofia, dato che il filosofo è convinto ci sia un retro mondo, un mondo

Page 50: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

-- PSYCHE verso l'ALETHEIA, e in questo il SOMA è di impedimento. I

sensi sono ingannevoli in quanto corporei, e quindi tocca separarsi dal corpo.

PASSO IMPORTANTISSIMO: tutto è formulato in forma di domanda; ma

differentemente ai primi dialoghi, sono domande retoriche. Qui si dice

qualcosa di "paradossale" (da PARA-DOXA). Qualcuno direbbe che è una

follia dire che la vista non permette di conoscere la foglia, la sua essenza, e

anzi distogliendosi si coglie la realtà ultima della foglia. Eppure è così per

Platone e così per la maggioranza dei filosofi con e dopo Platone. Qui il cuore

della filosofia: il filosofo è convinto che ci sia un retro mondo, un mondo

dietro, una realtà ultima dietro l'apparenza. Per nulla conoscenza attraverso i

sensi e nel cammino delle altre scienze il cammino della filosofia è opposto. E

questo quando c'è il sospetto che il mondo non finisca qui, il filosofo è quello

che cerca la Verità dietro le cose. Qui il cuore della filosofia. Sicuramente per

Platone. E vedremo come Platone costruisce si questo la sua filosofia, e la

maggior parte dei filosofi pensa questo. Qui Platone è l'allievo di Socrate

perché questi introduce il TI ESTI, il che cos'è, ad esempio che cos'è la virtù?

Socrate introduce questa domanda che Wittgenstein nel '900... cfr. LIBRO

BLU E MARRONE: "con questa domanda Socrate introduce la metafisica, e

tutta la tradizione di questa". Socrate non si accontenta, ma chiede "che cos'è",

qual è l'essenza, la definizione, la realtà ultima, l'idea. è fuorviante mettersi ad

ispezionare per conoscere: il filosofo si interroga sull'idea, che è l'essenza

ultima. Qui la differenza tra la domanda scientifica e quella filosofica, lo

scienziato guarda ma ha anche una serie di apparecchi e strumenti. Al filosofo

questo non interessa. Il filosofo fa qualcosa di diverso, non è che rinunzia a

qualcosa. Per il filosofo fare quell'altro è una perdita di tempo. Egli si volta e si

concentra nella sua PSYCHE, per cogliere l'idea, l'essenza, per rispondere al TI

ESTI. Qui lo spartiacque tra domanda scientifica e domanda filosofica. Oggi la

filosofia è messa con le spalle al muro, e oggi è succube della scienza, e si

imita il modello gnoseologico della scienza. Per Platone non è così. Platone

non si lascia distrarre, egli non guarda, non si distoglie. Impostazione

completamente differente della filosofia in genere. Solo chi si appresta a

penetrare con il pensiero... i sensi non servono a nulla, sono fuorvianti. La

conoscenza della filosofia è astrazione dal corpo, dai sensi: così si coglie la

Verità. Chi lascia che la sua PSYCHE imperturbata, nella sua purezza, non

contaminata dai sensi: questa si avvicina all'ALETHEIA, solo questa può. Il TI

ESTI richiede un esercizio dell'anima; senza questo non è possibile avvicinarsi

alla Verità.

ultimo al di là della sua apparenza, e che la conoscenza ultima non passi

attraverso i sensi, né per il cammino delle altre scienze, ma per un cammino

opposto e che parte da quel sospetto che invece inaugura la filosofia, ossia che

il mondo non si esaurisca nell’apparenza. Da questo nucleo Platone costituisce

tutta la sua filosofia; Platone è qui l’allievo di Socrate, il filosofo che introduce

la domanda “ti esti” – che cos’è la virtù/la forza/la grandezza? Socrate nei

dialoghi di Platone introduce la domanda filosofica inaugurale, e che i filosofi

del ‘900 gli rimproverano – Wittgenstein nel libro blu e nel libro marrone dice

che con queste domanda Socrate ha introdotto la metafisica e tutta la tradizione

metafisica. Socrate si chiede l’essenza e la realtà ultima delle cose, perché

infondo non si vuole conoscere l’apparenza degli oggetti o gli esempi concreti,

ma l’idea che c’è dietro questi – differenza tra la domanda scientifica e

filosofica. Il filosofo non rinuncia a qualcosa; ma la conoscenza che si perde

nella ricerca di cose concrete è fuorviante; il filosofo si volta, si raccoglie nella

sua anima per capire l’idea dell’oggetto e coglierne l’essenza e quindi

rispondere alla domanda “ti esti” – questo è lo spartiacque tra la domanda

scientifica e quella filosofica. Ora la filosofia è succube del modello

gnoseologico della scienza – per Platone invece si tratta di impostazioni

completamente differenti. Solo chi si appresta a penetrare l’oggetto con

l’interiorità del pensiero raggiunge la conoscenza. La conoscenza del filosofo è

astrazione dal corpo e dai sensi – non servono a nulla e sono fuorvianti. Invece

chi coglie la verità astrae dai sensi e lascia che la sua anima imperturbata e

pura, cioè non contaminata dai sensi, si avvicini all’aletheia. La domanda

filosofica, ti esti, richiede anche un esercizio dell’anima, perché si avvicini alla

verità.

Page 51: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XI. Qui Platone inizia una riflessione estremamente critica del corpo: ostacolo

e impedimento perché ci rinvia, oltre che alla finitezza, anche alla materialità,

ai bisogni corporei, che ostacolano il cammino dell'Anima verso la Verità. La

filosofia è un esercizio per sottrarsi al dominio del corpo. Dove questo corpo

prevale imponendo i bisogni di cui fanno parte anche paure, passioni,

immaginazioni... qui naufragio del pensiero, nel corpo. Il corpo è ostacolo:

tutto ciò che è dettato dal corpo è negativo: come le guerre ad esempio. Per

questo il filosofo è in contrasto col corpo.

66c "bisogna spogliarsi del corpo, e guardare con la sola anima pura, la pura

realtà delle cose". Questa frase è evidente, è una frase in cui Platone rinvia alla

teoria delle idee. Platone, pur non delineandola in quest'opera, vi fa sempre

riferimento. Solo spogliandosi del corpo, si permette, con l'anima, la pura

contemplazione. AGRAPHTA DOGMATA: secondo la scuola di Tubinga...

sviluppi ulteriori della teoria delle idee. Matematizzazione della teoria, come

teoria delle idee-numeri. La filosofia è contemplazione, e non ce ne stupiamo;

THEOREIN vuol dire vedere, contemplare; ma in modo puro, non

contaminato. Guardare non con gli occhi; ma con l'anima pura la pura realtà:

questa è l'idea, ma che cos'è l'idea? L'oggetto è copia dell'idea, imitazione

dell'idea che è il modello di... IDEA rinvia ad EIDOS e a IDEA, che tutto

sommato sono sinonimi. L'idea è l'essenza, la realtà ultima; ma ancora, cos'è

l'idea? certamente per Platone gli oggetti del mondo in cui noi viviamo sono

imitazioni, copie; questo squalifica enormemente il nostro mondo. Imitazione

dell'idea: tutti gli oggetti reali, concreti, sono imitazione dell'idea, e questa è

molto più reale in quanto è essenza pura di... non ci arriviamo però

kantianamente, esaminando il fenomeno, sapendo che c'è sempre un noumeno,

residuo della cosa in sé... Per Platone noi vediamo l'idea. EIDOS ha a che

vedere con la vista, quella dell'anima. La PSYCHE, concentrandosi, vede l'idea

a cui partecipano gli oggetti. RAPPORTO DI PARTECIPAZIONE, oggetto

partecipa dell'idea di... c'è un mondo delle idee, il mondo VERO, dietro il

mondo degli oggetti apparenti che ne sono imitazione. A questo mondo mira il

filosofo; e il filosofo non ha bisogno di passare attraverso gli oggetti concreti:

la filosofia guarda direttamente all'idea, senza ostacoli. Follia? perché lo dice

in queste pagine? perché questo è il mondo oltre. Il mondo oltre il mondo, il

retro mondo. E ha a che fare con l'immortalità dell'anima, perché la conoscenza

è anamnestica, è ricordo di quello che l'anima ha veduto nel mondo al di là. La

concezione della metempsicosi: trasmigrazione (prima prova) serve a Platone

per dare un fondamento mitologico all'anima, che prima di reincarnarsi ha

XI PARAGRAFO. Platone inizia una riflessione molto critica del corpo: esso è

ostacolo ed impedimento, perché rinvia alla nostra finitezza, specialmente alla

materialità, quindi al bisogno, che va contro rispetto al cammino dell’anima in

cerca della verità. La filosofia, a tutti gli effetti, è un esercizio per sottrarsi al

dominio del corpo – paure, sensazioni, persino immaginazione, dove avviene il

naufragio del pensiero. Il corpo è ostacolo e detta ciò che è negativo, anche le

guerre, e tutti quei bisogni materiali rispetto a cui la filosofia non può che

essere in contrasto. Bisogna spogliarsi del corpo, il che permette la pura

contemplazione della pura realtà delle cose – frase in cui Platone rinvia alla

teoria delle Idee, che è una teoria che in realtà lui non delinea mai davvero in

nessuna opera, ma a cui fa sempre riferimento. Si tratta di una teoria, come gli

agrapha dogmata, non scritta – nella scuola di Tubinga si da’ una

matematizzazione della teoria delle Idee. Platone ci dice anche che la filosofia

è contemplazione – il verbo è “theorein”, cioè “vedere/contemplare” in modo

pure e incontaminato. La contemplazione è lo sguardo della psychè, non degli

occhi, e che guarda alla pura realtà – non è la realtà sensibile di un oggetto, la

cui conoscenza passa attraverso i sensi, bensì, la realtà ultima , è l’idea

dell’oggetto, di cui esso è l’imitazione, la copia. La parola “idea” è “eidos” o

“idea”, che sta anche per “modello”, cioè l’essenza intima – ma che cos’è

quest’idea e da dove viene? Certamente per Platone gli oggetti del mondo in

cui viviamo sono imitazioni e copie dell’idea di un dato oggetto – modo per

squalificare il mondo in cui viviamo. L’idea di un oggetto è paradossalmente

più reale dell’oggetto stesso, di tutte le imitazioni, perché ne costituisce

l’essenza ultima. Quest’idea non è qualcosa a cui si arriva kantianamente, per

cui si cerca di conoscere il fenomeno, sapendo che c’è un noumeno. Invece,

per Platone, noi vediamo l’idea di un oggetto – eidos, idea, ha a che fare con la

vista che appartiene alla psychè, che concentrandosi vede l’idea, a cui

partecipano tutte le sue imitazioni. Quindi il rapporto tra l’idea e la copia è di

partecipazione – c’è un mondo delle Idee, dietro il mondo delle cose che

appaiono, che è il vero mondo. il filosofo guarda l’idea; alla filosofia interessa

il mondo delle Idee – il filosofo non passa per gli oggetti concreti (ostacoli) per

arrivare all’Idea. Perché Platone arriva a dire questo? Il mondo delle Idee è il

mondo oltre, al di là del mondo in cui viviamo, il retro mondo, ed ha a che

vedere con il discorso che tratterà l’immortalità dell’anima. La conoscenza è

anamnestica, cioè ricordo di ciò che l’anima ha visto nel mondo al di là –

concezione della metempsicosi che costituirà la prima prova dell’immortalità

dell’anima serve per dare un fondamento mitologico alla sua convinzione, per

cui l’anima, separata dal corpo, ha potuto contemplare il mondo delle Idee e

Page 52: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

potuto contemplare il mondo delle idee, attraversare la PIANURA

DELL'ALETHEIA. Per il filosofo infatti... egli non si accontenta del mondo

che appare, egli si concentra per ricordare le idee che ha visto nel mondo al di

là: LA CONOSCENZA E' RICORDO. Questa contemplazione è stata possibile

in quanto l'anima è stata completamente separata dal corpo, ed è nuovamente

possibile solo se l'anima si scioglie dal corpo.

67a di nuovo la morte acquista un significato di liberazione. Se la filosofia è

sforzo di sciogliere l'anima dal corpo, che solo così ha visto le idee, allora...

Questa concezione della morte come liberazione dal carcere (orfico-pitagorica

e platonica) non è per nulla scontata. Determinerà in modo decisivo la

tradizione filosofica, il cristianesimo, l'Occidente: ha forti ricadute teologiche.

Non è detto che si debba condividere. Fa tutt'uno con l'immortalità dell'anima.

Non troviamo ad esempio questa concezione nell'ebraismo.

p.29 la filosofia è il tentativo continuo e reiterato che l'anima si sciolga dal

corpo, di congedarsi da questo; la morte è il congedo. La morte come evento:

trasmigrazione, e quindi non è un nulla. L'anima va verso il mondo degli dei

dove sarà in compagnia di esseri puri, le idee e potrà contemplare la Verità.

XII. Quando il filosofo è in prossimità della morte non può avere timore,

paura, preoccupazione... solo speranza che si realizzi ciò che ha tentato in vita:

la visione pura delle idee. Estasi di Socrate. I filosofi tentano continuamente di

sciogliere e separare l'anima dal corpo, questo è la morte, e il filosofo gioirà di

questa separazione. Il filosofo si tiene vicino al ??? perché la forma di vita

filosofica è lontana dai sensi, dalle perturbazioni, etc. è quella forma vicina alla

morte. Il filosofo non si rammarica della morte. Per i filosofi una definizione di

filosofia: imparare a morire, avvicinarsi alla morte. Studiando la filosofia si

impara a morire. La filosofia come disciplina ha uno statuto sui generis. Solo la

filosofia ha questo statuto. Per nulla il filosofo può temere la morte. Socrate si

sta preparando alla prova. Superare il limite estremo, deve mostrare agli altri e

a se stesso che egli ha imparato a morire. Mostrarlo agli altri e a se stesso. Se

Socrate fosse preso da paura si contraddirebbe. Nell'Ade c'è ciò a cui ha

sempre aspirato. Socrate si prepara ad affrontare la prova dicendo che il

filosofo è convinto per necessità che dopo la morte troverà nell'Ade ciò che ha

sempre cercato. Il paragone di chi ha perso i cari. Il filosofo troverò nell'Ade la

SOPHIA a cui ha aspirato in vita, altrimenti non è filosofo.

attraversare la pianura dell’aletheia (immagine filosofica della verità). Per il

filosofo non basta il mondo che appare, fatto di copie, ma egli si concentra per

vedere, contemplare e ricordare le Idee che ha visto nel mondo al di là. La

conoscenza è ricordo. Questa contemplazione delle Idee è stata possibile,

quindi l’anima è stata separata dal corpo; è possibile questa contemplazione

quando l’anima si scioglie dal corpo. La morte, per il filosofo, acquista il

significato della liberazione dell’anima dal corpo, per raggiungere la

contemplazione delle Idee – concezione orfico pitagorica, poi platonica, della

separazione anima-corpo, non è scontata, ma determinerà in modo decisivo la

tradizione filosofica occidentale, e soprattutto il Cristianesimo. La concezione

della morte ha forte ricadute teologiche, soprattutto nella teoria

dell’immortalità dell’anima. La filosofia è quel tentativo continuo e reiterato di

far sì che l’anima si congedi dal corpo; invece la morte è il congedo dal corpo

vero e proprio, e come evento costituisce la trasmigrazione dell’anima, che va

verso il mondo delle Idee, in cui sarà in compagnia di esseri liberi e puri, e

dove potrà contemplare la verità.

XII PARAGRAFO. Quando il filosofo è in prossimità della morte non può

avere timore, né può avere altro che la speranza che finalmente si realizzi ciò

che ha tentato in vita – contemplazione delle Idee. I filosofi tentano solo e

sempre di sciogliere l’anima dal corpo, e alla morte gioiranno di questa

separazione. Il filosofo si tiene vicino al morire, perché la forma di vita

filosofica è lontana dai sensi, dalle perturbazioni – quando il morire giunge, il

filosofo non si può rammaricare. Definizione della filosofia: la filosofia è

imparare a morire e avvicinarsi alla morte – la filosofia come disciplina ha uno

statuto sui generis. È evidente che Socrate si stia preparando alla prova:

affrontare il limite estremo della sua vita – deve dimostrare a se stesso e agli

altri che si è esercitato a morire, deve cioè dimostrare il valore della filosofia e

confermare quello che ha detto e fatto in vita, cioè imparare a morire. Infatti, se

egli fosse preso dalla paura, ciò risulterebbe una contraddizione, perché

nell’Ade c’è quel che Socrate ha sempre desiderato – è evidente che Socrate si

prepara alla morte, dicendo che il filosofo è convinto, e non può non esserlo,

che nell’Ade troverà ciò che ha sempre cercato.

Page 53: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XIII. opposizione molto forte tra i più, gli amanti del corpo, che non si curano

e non amano la SOFIA e cedono al corpo, e coloro che la amano e non possono

che scegliere di allontanarsi dal corpo. Elenco delle Virtù.

XIV. Qui cominciano le prove dell'immortalità dell'Anima. La I è la prova dei

contrarii. Ci interessa il modo con cui Platone introduce la prova.

INCREDULITA' e DISINCANTO [non so perché ho scritto Max Weber].

Platone sottolinea l'incredulità che va di pari passo con la paura che l'anima si

dissipi come un soffio al momento della morte. Con l'incredulità si introducono

le prove. Sembra che neanche Platone ci creda alle prove. Sarebbe bellissimo

se l'anima rinascesse tutta racchiusa in se stessa. Le 3 prove dovranno

dimostrare che l'anima continua a vivere conservando potere ed intelligenza.

NB: incredulità che Platone attribuisce agli altri, è l'incredulità di tutti. Platone

introduce le prove; ma sa che il potere di esse è limitato (cfr. Gadamer). Ma le

prove servono a poco. Ciò che dimostra l'immortalità dell'anima è il modo in

cui Socrate muore. Quello che è importante è che Platone riconosca il

disincanto, il "sarebbe bello" dell'anima che contempla il mondo delle idee.

Prove rispetto alle quali Platone stesso è perplesso, e tuttavia sono importanti,

in particolare LA SECONDA: ripresa della teoria della conoscenza delle idee,

dove viene motivato il concetto del ricordo: conoscenza anamnestica. La prima

prova, che come modello di prova filosofica sarà ripresa anche dopo Platone

diverse volte, come modello di riferimento. Questa prova risente delle

riflessioni che noi troviamo nei Presocratici, in particolare la riflessione che

aveva occupato quasi tutti: essere e divenire, e come si può filosoficamente

spiegare il divenire.

XV. L'immortalità dell'anima vuol dire che è possibile che le anime esistano

nell'Ade, nell'oltre-tomba. Questa è una ripresa della teoria della metempsicosi,

della trasmigrazione delle anime. Importantissima in Platone, è importante sia

per il LOGOS che per il MYTHOS: questa una distinzione fittizia in Platone.

La trasmigrazione è il movimento delle anime che da qui vanno nell'Ade, e da

questo ritornano. Non si tratta soltanto del movimento delle Anime all'Aldilà;

ma anche il ritorno di esse qui. Duplice passaggio. Questo complica

enormemente le cose: il passaggio è duplice, non soltanto un passaggio della

vita alla morte, e così nell'immortalità; ma anche dal mondo di là al mondo qui.

Si rigenerano dai morti in nuovi esseri: dottrina orfica complessa. Se i vivi si

rigenerano dai morti, dobbiamo inferire che le anime esistano nell'Ade. Da una

parte si intravede un'esistenza delle anime diversa da quella del corpo, e se

XIII PARAGRAFO. Inoltre c’è una forte opposizione tra i più, che sono

amanti del corpo e non si curano della sophia, cedendo alla materialità, e poi ci

sono coloro che amano la sophia e scelgono di allontanarsi dal corpo.

XIV PARAGRAFO. Cominciano le prove sull’immortalità dell’anima. La

prima prova sarà sui contrari; viene introdotta tramite il discorso sul disincanto

e sull’incredulità – Platone sottolinea che l’incredulità va di pari passo alla

paura che l’anima si dissipi come un soffio e che non sia immortale. Se l’anima

restasse raccolta a contemplare il mondo delle Idee sarebbe bello per Platone –

ma ci crede veramente? Le tre prove dovranno dimostrare che l’anima continua

a vivere e conserva il potere e l’intelligenza dopo la morte del corpo.

L’incredulità di cui parla viene attribuita agli altri, ma in realtà appartiene a

tutti – sa bene Platone che il potere delle prove è limitato, e servono come

esercizio filosofico ad acquietare il “bambino” nell’uomo. Ciò che conta ed è

rilevante è che Platone riconosca il disincanto; e ciò che conta qui è la morte

del filosofo.

Le prime due prove dell’immortalità dell’anima hanno una grande importanza

filosofica, anche se rispetto ad esse Platone stesso esprime le sue perplessità: la

seconda prova è una ripresa della teoria della conoscenza, ossia delle Idee,

dove viene tematizzato il concetto di ricordo; la prima prova invece, come

modello di prova filosofica, dopo Platone sarà un punto di riferimento. La

prima prova risente delle riflessioni già presenti nei frammenti presocratici, e

tra queste in particolar modo la riflessione tipicamente presocratica sull’Essere

e sul divenire – come si può spiegare filosoficamente il divenire.

XV PARAGRAFO. L’immortalità dell’anima implica che le anime esistono

nell’Ade; c’è un’ulteriore ripresa della teoria della metempsicosi

(trasmigrazione), importante per il logos e per il mythos di Platone. “Esistono

anime giunte da qui”: si indica con ciò il movimento delle anime che da qui

vanno nell’Ade e dall’Ade ritornano – duplice movimento della metempsicosi.

Il duplice passaggio complica le cose: esso va non solo dalla vita

all’immortalità, ma anche dal mondo di là al mondo di qui (dottrina orfico-

pitagorica) – l’incarnazione dell’anima implica il passaggio duplice delle

anime. Se dai morti si rigenerano i vivi, si deve inferire che le anime esistono

lì, nell’Ade – non si rigenererebbero se già non esistessero. L’esistenza delle

anime non finisce qui, come quella dei corpi, infatti l’anima continua ad

esistere (esistenza perenne) – la filosofia medievale è modellata su questa

Page 54: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

l'anima non finisce, allora continua ad esistere: esistenza perenne dell'Anima.

La filosofia medievale è costruita su questa prova. Qui la questione si amplia:

la questione riguarda tutti gli esseri che hanno una nascita, e tutto ciò si genera

dai contrarii. Teoria del nascimento: tutto ciò che viene ad essere viene dal

contrario, il contrario dal contrario. Qui il riferimento è Eraclito.

PALINTROPOS ARMONIE: armonia dei contrarii per spiegare il divenire

delle cose. Spiegare che il non-essere ha un valore ontologico, la "concordia

discors". Qui il tentativo di spiegare un concetto ampio di divenire che include

ogni modalità di trasformazione come procede dal contrario: qui riprende da

una parte la dottrina orfico-pitagorica, dall'altra parte Eraclito. Ancora nulla di

nuovo. Il problema di Eraclito, è il problema del divenire: riuscire a spiegarlo

sarà uno dei grandi problemi dell'ontologia antica (studio degli enti e della

mutazione di questi).

p. 41 Abbiamo la veglia e il sonno come metafore de vita e morte. La morte è

considerata vicina, familiare al sonno. Uno stato vicino alla morte. Per spiegare

il rapporto vita-morte e la loro relazione, Platone prende la veglia e il sonno.

Sono contrarii, e si generano l'uno dall'altro. Dove non c'è più il sonno...

comincia la veglia. Dove non esiste più... comincia... e vice versa. Dove finisce

l'uno comincia l'altro. Differenza tra contrarii e contraddittorii, grande

conquista della filosofia greca. Su questo torneremo nel Sofista. Siamo, nel

Fedone, in un ambito in cui Platone stesso ancora non distingue, e da un

primato ai contrarii. I contrarii lo sono ontologicamente, i contraddittorii lo

sono logicamente. Contraddizione ontologica tra sonno e veglia, quando

termina l'uno comincia l'altro. Platone prende sonno-veglia per morte-vita. Il

vivere è contrario all'esser morto. Qui la conferma di ciò che abbiamo detto: se

ciascuna cosa viene ad essere dal contrario... il vivo viene ad essere dal

morto... DUNQUE (e questo è l'argomentare filosofico) il morto si genera dal

vivo, e l'altro (ipotetico) che dal morto si generi il vivo. Del primo non

abbiamo dubbi, perché noi esperiamo la morte, e possiamo constatare

"empiricamente" nella realtà che il morto si genera dal vivo. Se si da il primo,

si darà anche il secondo. Processo bi-univoco tra i contrarii, per cui anche in

questo caso avremo che dal morto si genera il vivo. Questo modo di procedere

è importantissimo, indipendentemente dal contenuto: passi pionieristici della

logica. Altrimenti dovremmo sostenere che solo in questo caso non ci sia:

processo solamente univoco. Dovremo ipotizzare che si dia il processo dal

morto al vivo, e che dunque nell'Ade le nostre anime esistano. Trasmigrazione

delle anime. Possibilità di ritorno e di re-incarnazione: questa è l'immortalità

prova. La questione si amplia: si pensa al problema che riguarda tutti gli esseri,

che nascono – tutto ciò che nasce si genera dai contrari. Teoria del nascimento:

tutto ciò che viene ad essere si genera dal contrario – qui il punto di riferimento

è Eraclito, il filosofo della palintropos harmonia (l’armonia dei contrari), con

cui lui spiega il divenire delle cose. Il grande problema di Eraclito è spiegare il

divenire, e insieme il valore ontologico del non-essere (concordia discors), a

differenza di Parmenide, per cui c’è solo l’essere (esti). C’è il tentativo di

spiegare un concetto ampio del divenire, che include qui la modalità di

trasformazione come un procedere dal contrario – fin qui si tratta di una ripresa

degli orfici-pitagorici e delle riflessioni di Eraclito. Il problema di Eraclito è

quello del divenire e di riuscire a spiegarlo, e questo sarà il grande problema

dell’ontologia (studio degli enti e della loro mutazione) e della filosofia – nel

Sofista Platone spiegherà il non-essere, grande problema della filosofia greca.

XVI PARAGRAFO. Per spiegare il rapporto tra la vita e la morte si serve della

metafora della veglia e del sonno: l’uno si genera dall’altro, sono contrari,

dove non c’è più il sonno comincia la veglia e viceversa – dove non esiste più

l’uno esiste l’altro. Grande differenza tra contrario e contraddittorio, che è una

conquista della filosofia greca: contrari sono il sonno e la veglia, la vita e la

morte; contraddittorio è il predicare di uno stesso oggetto due cose differenti

(bianco e non-bianco). Neanche Platone distingue contrario e contraddittorio,

dando un primato ai contrari – comunque i contrari hanno una dimostrazione

ontologica, i contraddittori, invece, logica. Constatazione empirica di Platone:

dove finisce il sonno inizia la veglia; così il vivere è il contrario dell’esser

morto – conferma di ciò che è stato detto all’inizio, che le cose vengono ad

essere dai loro contrari, per cui il vivo si genera dal morto. Dunque, conviene,

le anime sono nell’Ade. Due processi generativi: il morto procede dal vivo; e il

vivo procede dal morto – sul primo processo non abbiamo dubbi, perché

possiamo constatare empiricamente che il morto si genera dal vivo, esperendo

la morte degli altri. Ma se si da’ uno di questi due processi, si deve dare anche

il secondo; il processo dei contrari è biunivoco, non univoco – dunque il vivo

si genera dal morto. Questo modo di argomentare filosofico costituisce i primi

passi della logica. Se il processo non fosse biunivoco, ma univoco (dal vivo al

morto), allora ammetteremmo che la natura sia zoppa, ma non possiamo;

dobbiamo allo stesso modo ipotizzare un processo che va dal morto al vivo, e

che le anime esistano nell’Ade, perché si dia la possibilità del ritorno, del

passaggio dell’anima dal morto al vivo. Più che vivere allora si dovrebbe

parlare di “rivivere”: i vivi sono generati dai morti – c’è qui un’idea del cosmo

Page 55: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dell'anima, perché è il passaggio dal morire al vivere. Rivivere, più che vivere.

I vivi si sono generati dai morti, vuol dire che anche noi ci siamo generati dai

morti. NB: qui c'è una cosmologia e concezione del cosmo, una filosofia della

storia del mondo, che è prettamente greca e la determina. Le anime dei morti

devono esistere in qualche luogo da cui tornano a rigenerarsi.

XVII. Nietzsche riprenderà il ciclo della natura, idea che si ritrova anche in

altre filosofie -religioni. Ciclo della natura. Qui c'è l'idea della ciclicità della

natura e dell'eternità del cosmo, del mondo. Il mondo non può finire. Riguarda

la ciclicità questa prova: siamo in quanto generati all'interno di un ciclo

cosmico. Hegel riprende questo passo.

cesserebbero di rigenerarsi: noi dobbiamo accettare questo, porci al di là delle

nostra credenza: motivi fortemente ontologici con sfumature cosmologiche ed

escatologiche. Questa è la riflessione sull'estremo ultimo: escatologia. Qui c'è

un cerchio che ruota. Noi siamo in questo cerchio, il tornante, la curva. Se ci

fosse una generazione in senso lineare, ad un certo punto arriveremmo ad un

escaton. Per la cultura greca questo è inammissibile. Bisogna ipotizzare la

ciclicità: perenne e continua generazione nella quale noi sempre siamo. Nel

Timeo, Platone arriverà apertamente a dire che il cosmo non può terminare,

immutabile, non può finire. Non c'è un concetto di fine del mondo.

Esattamente l'opposto di quanto avviene in tutte le religioni monoteistiche. Per

Platone non può finire. Questo è un punto di differenza abissale. Non ci

sarebbe fine della storia, infatti i greci non hanno un concetto di "storia". Non

si da sviluppo in senso rettilineo. Se noi ammettiamo questo sviluppo, allora

necessariamente tutto sarebbe morto... che nulla più esista (escaton). Una sorta

di Trionfo della morte, questa corsa rettilinea senza processo inverso, senza

ciclicità, allora alla fine il NULLA, la morte di tutto. "è una realtà il vivere".

Qui abbiamo piani diversi che si intersecano: piano escatologico, cosmologico,

ontologico, e abbiamo alla fine un piano etico-politico. Per Platone è

indispensabile la ciclicità: la natura è il paradigma di ciò, in quanto questa è

ciclica. Modello, punto di riferimento per i greci. Ci deve essere così anche

ciclicità della vita, della storia, delle istituzioni. Queste due tradizioni si

intersecano nel cristianesimo. E' inaccettabile che alla fine ci sia il nulla e la

morte dalla quale non si possa rigenerare la vita. Questi due paradigmi (lineare

e ciclico) che restano nella nostra cultura e nella nostra vita. C'è in questi tempi

tensione fra i due. Il vivere è una realtà e che i vivi si generino dai morti,

immortalità effettiva dell'anima e che necessariamente le anime buono hanno

una sorte migliore delle cattive. Tutto ciò deriva necessariamente dal

prettamente greca e che determina tutta la filosofia greca.

XVII PARAGRAFO. L’idea del ciclo della natura, che è greca ma anche

orientale, è ripresa da Nietzsche. Platone qui ci dice che se non accettiamo

questa ciclicità, allora ammettiamo che il mondo finisca – i greci credono alla

ciclicità e all’eternità del cosmo. Gli esseri, se non ci fosse ciclicità,

smetterebbero di generarsi; noi dobbiamo accettare questa prova – dai motivi

ontologici che hanno sfumature cosmologiche ed escatologiche (discorso

sull’escaton, cioè l’estremo/ultimo). C’è un cerchio che ruota, dove sono gli

esseri, e non c’è una linea retta, dove l’essere si rivolge al suo opposto senza

tornare indietro compiendo un tornante. Se ci fosse soltanto una generazione in

senso lineare arriveremmo ad un escaton, ad un limite estremo, una fine – per

la cultura greca questo è inammissibile, è dunque necessaria l’ipotesi di una

ciclicità della genesi. Nel Timeo, opera tarda, arriverà a dire direttamente che il

cosmo non può terminare; non c’è un concetto di fine del mondo per i greci –

fine che invece si da’ in tutte le religioni monoteiste, per cui c’è una differenza

abissale da Platone, il quale non possiede un concetto di storia, che è lineare.

Non si da’ in Platone uno sviluppo in senso rettilineo – se ammettessimo

l’ipotesi di questo tipo di sviluppo, sarebbe poi necessario ammettere il limite

estremo, in cui niente più vive; sarebbe un trionfo della morte, a cui tende

questa corsa rettilinea, e ci sarebbe il nulla. “È una realtà il rivivere”: ciò

abbraccia diversi piani, quello escatologico, cosmologico, ontologico (essere e

non-essere) e alla fine anche il piano etico-politico – nella ciclicità, per

Platone, la natura è il paradigma, perché ciclica, e allo stesso modo si ammette

una ciclicità nella vita e nelle istituzioni. Nel Cristianesimo si convogliano la

tradizione greca e quella ebraica, profondamente diverse – due paradigmi che

restano nella civiltà occidentale. Le conseguenze del paradigma della ciclicità,

per Platone: i vivi si generano dai morti, il rivivere è realtà, le anime

continuano ad esistere nell’Ade e le anime buone hanno una sorte migliore di

quella delle anime cattive – ci viene anche detto che nel mondo di là c’è quella

giustizia assente nel mondo di qua. Non a caso con la morte di Socrate

comincia l’idea che nell’Ade ci sia quella giustizia che manca ad Atene –

rivendicazione del filosofo. L’anima è affine alle Idee ed essendo immortale

non cessa di esistere, la sua esistenza è di passaggio in questo gioco dei

Page 56: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

paradigma ciclico. Il mondo di là è migliore perché c'è giustizia, cosa che qui

non accade. Il giusto Socrate è condannato a morte. Comincia con la morte di

Socrate l'idea che evidentemente nell'Ade c'è quella giustizia che manca in

Atene. Rivendicazione e messaggio: l'uomo giusto troverà la giustizia che non

ha trovato in vita.

L'anima è affine alle idee, e anche immortale, non cessa mai di esistere: c'è

solo una trasmigrazione. Il corpo muore veramente. E' un passaggio da ciò che

è morto al vivo: la nascita non è spiegata ex novo dal nulla; ma dalla morte si

passa alla vita. La nascita ex nihilo / ex novo prevede un inizio, cosa che

Platone nega. Dove c'è fine c'è inizio: è stato creato, e quindi finirà. Per

Platone non c'è né inizio né fine. Perciò c'è continuamente passaggio dal vivo

al morto e dal morto al vivo. Il morto è l'inerte, semplicemente THANATOS

rispetto a BIOS. Dal non-è-più torna all'essere -- questione per Platone

prettamente ontologica. Platone non ha una parola per il nulla. Tutta la

filosofia da Eraclito al Sofista di Platone è un tentativo di spiegare il non-

essere e come questo non significhi non-esiste. Per Platone il "morto" è il non-

c'è-più, e il non-ancora, Parmenide ha problemi con questo non-è-più e non-è-

ancora. Per Platone i contraddittorii non sono contrarii. Il non-essere come

contraddittorio rispetto all'essere. Hegel nelle lezioni di storia della filosofia si

ferma su questo. Ciclicità del divenire senza che ci sia mai fine: come c'è il

passaggio dal un contrario all'altro, così si passa dal morto al vivo. Platone non

ha né parola né concetto di "nulla". Per Platone il mondo è perenne, senza

inizio, non si può concepire che ci sia un inizio, perché ipotizzando ciò ci

sarebbe una fine: è perenne in una ciclicità (cfr. Timeo). Il mondo iperuranio è

il mondo immutabile, fermo, mentre il nostro è in divenire, in una ciclicità

senza inizio né fine. L'iperuranio è eterno, è fermo. Il nostro mondo non è mai

fermo. Platone lo spiega con una ciclicità mantenuta saldamente dal mondo

eterno delle idee. Non c'è né inizio né fine. II prova: argomento molto famoso

e affascinante: Platone è oculatissimo nella scelta delle parole, coerente anche

nello sviluppo degli argomenti. Questa prova si basa sulla reminiscenza, sul

ricordo. Per Platone i sensi sono ingannevoli, e per conoscere le essenze non

dobbiamo affidarci ai sensi; ma al contrario dobbiamo concentrarci perché la

PSYCHE possa vedere l'EIDOS di... argomento della reminiscenza,

originalissimo di Platone: che la nostra conoscenza sia anamnestica. La

conoscenza non è dunque esperienza. Per Platone non è esperienza; ma

ricordo. Perché è molto coerente... perché la conoscenza è ricordo, perché

concentrandosi l'anima ricorda l'idea che ha visto e contemplato nel mondo

iperuranio. Bisogno di allontanamento dal corporeo, dal sensibile, e necessità

contrari; il passaggio dal morto al vivo da’ la possibilità di reincarnazione delle

anime – nella reincarnazione la nascita non consiste in una creazione ex nihilo,

ma nel passaggio dal morto al vivo, perché la creatio ex nihilo prevede anche

un inizio (Bibbia). L’anima deve essere immortale, perché le cose non si

possono generare dal nulla. Invece, nella linea retta, il mondo ha avuto un

inizio e avrà una fine; per Platone il mondo segna una ciclicità, che non inizia e

non finisce – la nascita in questo è solo il passaggio dal morto al vivo, e la

morte è il passaggio dal vivo al morto, cioè solo il passaggio dei contrari, la

morte è ciò che non è più ma che torna ad essere. È una questione ontologica

per Platone, per cui non è possibile prescindere dal discorso sull’Essere e sul

Nulla – non c’è il concetto di nulla, ma tutta la filosofia da Eraclito al Sofista è

uno sforzo enorme di spiegare il non-essere, che non vuol dire solo “non-

esistere”. Platone deve sempre ipotizzare il passaggio: il morto è ciò che non è

più e ciò che non è ancora. Il nulla non è un concetto di Platone: mentre il

morto e il vivo sono contrario, l’è ed il non è sono contraddizioni. La questione

ontologica della spiegazione del divenire è un passo importante per Hegel

(Lezioni della storia della filosofia), che spiega la ciclicità del divenire senza la

fine e la cui condizione è quella di poter passare non solo dal vivo al morto, ma

anche dal morto al vivo. Il mondo è perenne nella ciclicità e nel passaggio; il

mondo delle Idee è il mondo immutabile, mentre il nostro mondo è in divenire,

senza inizio e senza fine – quello iperuranio è eterno e fermo, a differenza del

mondo di qua, che tuttavia non corre verso una fine, per questo c’è la ciclicità,

mantenuta salda, grazie alla presenza immutabile del mondo delle Idee.

XVIII PARAGRAFO. La seconda prova è basata sul tema della reminiscenza,

del ricordo. Per Platone i sensi sono ingannevoli e noi non dobbiamo affidarci

alla vista, ma anzi dobbiamo chiudere gli occhi e far sì che la psychè si

concentri su se stessa affinchè veda la realtà ultima delle cose. L’argomento

della reminiscenza, originale in Platone, dice che la conoscenza è anamnestica

– non è un tema scontato. La conoscenza, se la si pensa come esperienza, è

fuorviante; per Platone è bensì ricordo, il ricordo cui l’anima perviene

concentrandosi, e per cui ha ricordo dell’Idee delle cose, che ha visto e

contemplato nel mondo al di là. L’anima si concentra per ricordare le Idee, che

ha contemplato, e per questo ella non ha bisogno di vedere le imitazioni di

queste. La sua teoria della conoscenza come reminiscenza è contraria alla

teoria della tabula rasa. Il ruolo che la memoria gioca nella conoscenza è

decisivo – anche la conoscenza è ciclica e non nasce ex novo. Se apprendere è

ricordare, allora qui è la prova che l’anima sia stata in un luogo altro, in cui ha

Page 57: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

di concentrazione per ricordare cosa ha visto nel mondo al di là: ha

contemplato l'idea, e non ha bisogno di analizzare le copie di quest'idea. Qui

c'è un'idea importantissima, perché è il contrario di quella teoria che è la tabula

rasa. Per questo motivo la concezione di Platone sarà riferimento

importantissimo, più volte ripreso: il ruolo che la memoria gioca nella

conoscenza, per questo in Platone viene espresso in forma mitologica.

L'esempio famosissimo nel dialogo Menone. Ogni nostro apprendimento è

reminiscenza. Quello che apprendiamo è SEMPRE ricordo, reminiscenza e non

esperienza ex novo. Il nostro apprendere è ricordare, e ricordiamo quello che

abbiamo appreso in un tempo anteriore. Questa constatazione è la prova che la

nostra anima è stata in un luogo altro dove ha appreso ciò che ricorda. La

filosofia è l'arte di interrogare, e per Platone è la dialettica: quello che conta è

saper fare domande, non tanto dare delle risposte. Gli uomini rispondono a

quel famoso TI ESTI, riescono a ricordare anamnesticamente l'OUSIA delle

cose perché l'hanno vista nel mondo delle idee.

p.47 Platone introduce la teoria della reminiscenza e Platone è il primo che

lega conoscenza e memoria. Perfino i cognitivisti più scalmanati dicono che

l'esperienza è il ricordo del presente. Ricordo, non quindi tabula rasa.

ANAMNESIS: questa è la seconda prova per l'immortalità, perché se ci

ricordiamo di qualcosa è perché la abbiamo appresa prima, etc. La memoria

per Platone funziona attraverso le somiglianze, le associazioni. Un oggetto ci

rinvia ad un altro, etc. Associazioni che possono essere anche individuali.

Attraverso un'affinità, una somiglianza...

XIX. La ANAMNESIS funziona attraverso somiglianze e dissomiglianze.

Pagina molto bella e diversa dai primi dialoghi: ascesa filosofica

[dell'argomentazione]. Possiamo parlare di uguaglianza e di differenza, perché

abbiamo già l'idea dell'uguale in sé, altrimenti non potremmo fare queste

operazioni di uguaglianza e disuguaglianza. Questo vale anche per il diverso...

etc. Vale per tutto. Tutto ciò che incontriamo risulta carente rispetto all'idea.

L'esempio non è casuale, perché "l'uguale in sé" sarà uno dei generi del

Sofista. Noi abbiamo l'idea dell'uguale in sé, da cui noi muoviamo, che

ricordiamo per poter dire: questo è uguale o non uguale. Questo perché

abbiamo contemplato l'EIDOS dell'uguale in sé, quando eravamo

nell'iperuranio. Noi abbiamo il ricordo dell'uguale in sé. Questo a riprova

dell'immortalità dell'anima: noi abbiamo il ricordo dell'uguale in sé.

Difettano... sono carenti rispetto all'uguale in sé, che è l'idea dell'uguale. Qui è

un rinvio molto chiaro alla teoria delle idee: queste sono enti che esistono per

appreso quello che qui ricorda. La filosofia è l’arte di interrogare, per cui conta

impostare la domanda. Gli uomini ricordano anamnesticamente le cose, perché

ne hanno vista l’ousia. Ora viene introdotta velatamente la teoria della

reminiscenza, attraverso cui Platone è il primo a dire che la conoscenza ha a

che fare con la memoria – grande merito di Platone, da cui la conoscenza non è

più incontro con gli oggetti. La teoria dell’anamnesis è una prova

dell’immortalità dell’anima: se abbiamo ricordo, ci ricordiamo di qualche cosa

che abbiamo appreso; la memoria funziona attraverso le somiglianze, che oggi

diremmo “associazioni”, per dire che un oggetto rinvia ad un altro – così

Platone ci dice che la conoscenza è memoria e che essa si basa sulle

associazioni, per affinità e somiglianze.

XIX PARAGRAFO. L’anamnesis (reminiscenza) funziona attraverso le

somiglianze e dissomiglianze. L’argomento qui riguarda l’Uguale in sé: noi

possiamo fare somiglianze e dissomiglianze, e se noi possiamo, nelle

proposizioni, ravvisare somiglianze o dissomiglianze, è perché possediamo già

l’idea dell’Uguale in sé – non si sta cercando di definire il concetto di

uguaglianza. L’idea dell’Uguale in sé è come l’idea del Diverso in sé: si può

argomentare su un piano di uguaglianza, solo perché abbiamo l’idea

dell’Uguale in sé, da cui muoviamo per dire “questo è uguale a quello”, o il

contrario – allo stesso modo l’anima immortale rende possibile il passaggio

dall’è al non-è. I primi passi della conoscenza si fanno perché si ha il ricordo

dell’Uguale in sé. Gli Uguali che troviamo negli oggetti difettano rispetto

all’idea di cui sono copie, perché l’Uguale in sé è l’idea dell’uguale; ma gli

uguali che riscontriamo nel mondo al di qua sono copie, dunque carenti. Qui

c’è un rinvio chiaro alla teoria delle Idee: le Idee sono enti che esistono per se

Page 58: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

se stessi. Tutto quello che io incontro mi rinvia, restando carente, all'idea degli

oggetti. Se non ci fosse questa carenza non ci sarebbe il rinvio. Siamo

circondati da enti imperfetti e dai quali siamo rinviati all'EIDOS dei logo

oggetti. Chi non si accorge di ciò è in un "sonno ontico", e non è filosofo. Il

filosofo veglia. Il mondo dei filosofi è quello delle idee, la sua PSYCHE tende

a questo. La prova è importante perché questo è un punto nodale per Platone.

La II prova del Fedone non è tanto per l'immortalità; ma permette di introdurre

la questione filosofica dell'uguale in sé che poi troveremo nel Sofista. Platone

introduce alcuni elementi fondamentali della sua filosofia: introduce

CICLICAMENTE la teoria delle idee. La seconda prova è la prova della

conoscenza come ANAMNESIS -- la prima è la prova dei contrarii.

ANAMNESIS: teoria "paradossale" e sorprendente per il senso comune: sensi

ingannevoli, etc. La conoscenza non muove dai sensi per farsi un' "idea"; ma

Platone radicale: la conoscenza ha come protagonista la PSYCHE, che deve

allontanarsi dai sensi perché questi, motivatamente e con fondamento, perché

la conoscenza è ricordo. I sensi non ci insegnano nulla; ma gli oggetti ci

rinviano al ricordo delle idee. Le idee sono quegli enti che racchiudono

l'essenza delle cose, le quali sono copie di queste. Riconferma: le idee sono

eterne e sono immutabili; non sono soggette al processo di generazione che

caratterizza e intacca il mondo. Il mondo è un mondo immutabile; non è stato

creato e questo è ripreso dall'ultimo Platone nel Timeo. Il mondo non ha inizio

né fine, e ugualmente il TEMPO non ha né inizio né fine. Tutto questo in virtù

delle idee eterne ed immutabili. Platone dice che la memoria funziona

attraverso somiglianze e dissomiglianze: ASSOCIAZIONI. Così possiamo

dire, ricordare, che questo è uguale a quello, etc. Possiamo fare questo perché

abbiamo l'idea dell'uguale in sé. Abbiamo già, innate, alcune idee. Abbiamo

innata l'idea dell'uguale in sé; e così procediamo per somiglianze e

dissomiglianze (74-75). "dunque è necessario che non che ??? già un'idea

dell'uguale..." Ce ne serviamo, dell'idea dell'uguale, quando incontriamo gli

uguali ci misuriamo con l'idea dell'uguale che non è imitazione né carente

come quelle [le cose concrete]. Questo passo e l'argomentazione è importante

per la teoria delle idee: la diverse realizzazioni dell'uguale in sé sono inferiori;

sono su un piano diverso rispetto alle idee. Questa uguaglianza e

disuguaglianza di un ente è un uguale concreto, inferiore rispetto all'uguale in

sé, all'idea dell'uguale: quest'idea devo presumere di averla già, perché

altrimenti da dove mi verrebbe? L'idea dell'uguale in sé non è una a cui giungo

per induzione empirica (EPAGOGE); ma ce l'ho già, e che [presumo?] ho fin

dalla nascita. Evidente che è un'idea che mi porto dietro dall'aldilà. Conferma

stessi, e stanno nel mondo iperuranio, eterno ed immutabile – le copie sono

carenti ed imperfette, il realizzato è difettoso, altrimenti non ci sarebbe il

rinvio, difatti le copie sono rinviate al loro eidos. Qualora gli enti non

rinviassero all’eidos, allora saremmo nel sonno ontico – il rinvio per il filosofo

è necessario, e la psychè in generale tende al mondo delle Idee. Punto nodale

per Platone: la seconda prova del Fedone, dato che la questione principale non

è quella dell’immortalità dell’anima, fa emergere che la centralità sta nella

questione filosofica che c’è dietro – qui il nodo è l’Uguale in sé, presente

anche nel Sofista.

Platone, nell'argomentazione delle tre prove, introduce gli elementi

fondamentali della sua filosofia, tra i quali è ciclicamente introdotta la teoria

delle Idee.

La seconda prova è la prova della conoscenza come anamnesis - conosciamo

nella misura in cui ricordiamo. I sensi sono ingannevoli e la conoscenza non

può muovere da essi. Platone teorizza che la conoscenza ha come protagonista

la psychè, che si deve allontanare dai sensi, non perchè ci sia una posizione di

principio, ma perchè c'è il fondamento per cui la conoscenza sia ricordo -

l'unico ruolo degli oggetti è quello di rinviarci al ricordo delle Idee che, dice,

sono quegli enti che raccolgono l'essenza delle cose (copie).

Platone introdurrà altri argomenti, uno è quello per cui le Idee sono eterne e

immutabili, non soggette al processo di generazione, che intacca il mondo - il

mondo per Platone è immutabile, proprio perchè le Idee lo sono; il mondo non

è stato creato, non ha nè inizio nè fine, come il tempo (idea ripresa nel Timeo).

Per Platone la memoria funziona attraverso le somiglianze e dissomiglianze,

ossia un processo grazie al quale possiamo dire che questo è uguale a quello -

noi non potremmo far ciò se non avessimo l'idea dell'Uguale in sè. Il motivo

per cui facciamo "associazioni" è perchè le Idee sono innate nella nostra

conoscenza.

Par. 74 - 75. Abbiamo l'idea dell'Uguale in sè e ce ne serviamo quando

incontriamo gli uguali, misurandoli a questa Idea - gli uguali sono carenti

rispetto ad essa. è un passo e un'argomentazione importante per la teoria delle

Idee: gli uguali, le realizzazioni dell'Uguale in sè, sono inferiori, poste su un

livello diverso, più basso - ci sono gli uguali, diversi e inferiori rispetto all'idea

dell’Uguale, che posso usare nei paragoni, perchè devo presupporre di averla

già. Ho già l'idea innata dell'Uguale, da dove mi proverrebbe altrimenti? Non si

giunge all'idea per induzione empirica (epagoghè); ma è un'idea che ho già e

presumo sin dalla nascita - da dove mi viene? è evidente che me la porto dietro

dall' al di là. L'argomento filosofico della conoscenza come reminiscenza è la

Page 59: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dell'esistenza delle anime prima di noi, nell'Ade, etc. Le anime sono immortali.

XX. Perenne rinascere: questo vuol dire più nascite perenni: siamo destinati ad

una rinascita. Platone addirittura diche che il momento della nascita è quello in

cui dimentichiamo tutto quello che sapevamo: segna la dimenticanza. Quello

che sapevamo viene dimenticato: venendo al mondo, allora oblio.

Dimentichiamo di sapere delle idee: di tutte le idee. Per ricordare... l'incontro

con gli oggetti è l'occasione/opportunità offerta all'anima... questa viene

rinviata dagli oggetti alle idee. Dal concreto all'idea [all'astratto?]. Idee innate:

intende che in realtà le idee precedono noi e la nostra nascita, il nostro perenne

rinascere. Inevitabilmente ricordare è sinonimo di conoscere: ricordare è

conoscere, o anche meglio: conoscere è ricordare. La conoscenza è

reminiscenza; ma non tutti ricordiamo e quindi non tutti conosciamo. Non tutti

riescono a ricordare le idee. Differenza con coloro che non ricordano e non

conoscono. Critica di Simmia: Simmia rappresenta il disincanto; non è

convinto, insinua dubbi.

XXII: sostituisci ESSERI con ENTI. Se esistono questi enti a cui riconduciamo

tutto, allora è necessario che esista la nostra anima. Lo stesso nodo: questi enti,

le idee, che ci pre-esistono... e come queste esistono, così anche esiste la nostra

anima. Li abbiamo contemplati attraverso l'anima. Qui comincia ad introdurre

gradi di realtà differenti: le idee esistono nella realtà, e nel grado più alto di

realtà.

XXIII. [o 33? controlla] conclusa la seconda prova/argomentazione. Qui

Simmia introduce un'obiezione: però in questo modo è dimostrato soltanto che

l'anima è immortale in quanto mi precede; ma non è detto che esista dopo di

me. Noi abbiamo parlato dell'anima che pre-esiste, prima di incarnarsi, e la

prova reale per ciò, per il prima... ma per il dopo? Non è dimostrato con questo

argomento che l'anima sopravviva alla mia morte, e che quindi sia

assolutamente immortale. L'anima verrà pure da uno sfondo immemoriale di

eternità; ma dopo? Questo è il vero cruccio, la vera preoccupazione etico-

escatologico-politica: cosa ne è dell'anima dopo la morte? Simmia sottolinea

un limite nell'argomentazione socratica? Qui Simmia ha sempre un ruolo di

mediazione tra Cebéte, l'illuminista scettico, e Socrate. C'è sempre l'obiezione:

com'è che con la morte l'anima non si disperda? Il dubbio di Cebéte: queste

riconferma che le nostre Anime dono esistite prima di noi, nel mondo al di là -

e ciò vuol dire che sono immortali.

XX PARAGRAFO. "Perenne rinascita": non c'è solo una nascita, ma siamo

destinati ad una rinascita perenne. Il momento della nascita ci fa dimenticare

quello che sapevamo - la nascita segna la dimenticanza, il momento in cui

quello che sapevamo cade nell'oblio, per cui si dimentica il sapere di tutte le

Idee. L’incontro con gli oggetti è l'occasione data all'anima per ricordare, per

essere rinviata dagli oggetti alle Idee stesse di questi. Le Idee ci precedono

anche nel nostro riconoscerle. Inevitabilmente il ricordare diventa un sinonimo

di conoscere - sono equivalenti. Il conoscere non ha a che fare con la

sensorialità, ma con il ricordo, quindi con l'interiorità. La conoscenza è

reminiscenza, che però non riguarda tutti - non tutti riescono a ricordare le Idee

del mondo Iperuranio. Viene introdotta una differenza: ci sono coloro che non

ricordano, e dunque non conoscono; e ci sono coloro che ricordano e quindi

possono conoscere.

XXII PARAGRAFO. Simmia rappresenta il disincanto, insinua dubbi - ora c'è

una sintesi importante, da parte di Socrate. Se esistono gli enti (Idee), a cui

riconduciamo tutto, è necessario allora che esista anche l'anima. Si tratta dello

stesso nodo: questi enti (Idee) ci pre-esistono e, come esistono loro, così esiste

anche la nostra anima, perchè attraverso di essa non li abbiamo contemplati.

Ora Platone inizia a introdurre diversi gradi di realtà: le Idee esistono nella

realtà e, anzi, nel suo grado più alto.

XXIII PARAGRAFO. Si conclude la II prova sull’immortalità dell’anima. Ora

Simmia introduce un’obiezione: egli è convinto del fatto che le Idee ci

precedano, motivo per cui ricordiamo e conosciamo, supponendo anche che la

stessa anima ci preceda; ma Socrate ha dimostrato che l’anima è immortale nel

senso che pre-esiste gli uomini, ma non è detto che essa continui a esistere

anche dopo la morte – il ricordo mi assicura che l’anima esista prima della

nascita. Che ne è dell’anima dopo la morte? Ciò ancora non è dimostrato, cioè

che essa mi sopravviva. L’anima viene da uno sfondo immemoriale – il “dopo

la morte” è un discorso quasi etico. Si sottolinea il limite dell’argomentazione,

per ora. Simmia ha un ruolo di mediazione tra Cebete e Socrate – Cebete è

scettico e Simmia, in questo caso, si schiera dalla sua parte. L’obiezione di

Cebete resta: come può essere che, morendo l’uomo, l’anima non si disperda?

Page 60: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

pagine hanno attualità per la questione di cosa vuol dire in termini medici

morire? qual è l'istante della morte? chi lo decide? Questioni altamente

filosofiche. Ancora oggi è dibattuto il punto di morte. Qui si comincia nella

storia della filosofia il problema sull'istante della morte: il momento per

Platoneè quello in cui l'anima si distacca dal corpo. INFLUENTE. Ma che vuol

dire? La domanda di Cebéte è giusta: se il corpo muore e si decompone, come

facciamo a dire che l'anima continua ad esistere? Nulla vieta che l'anima sia

pre-esistita e che però poi termini. E' possibile che l'anima si perda. Cebéte si

introduce: è fatto metà del lavoro; ma non la seconda metà. Socrate dice,

attenzione, risposta prettamente filosofica, mentre quella di Cebéte è

filosoficamente rozza. Obiezione senza riflessione, perché basta capire che la

prima parte dimostra, in base alla prima prova, anche la seconda parte della

seconda. Obiezione del cazzo. Questo da modo a Socrate di legare le due

prove.

XXIV. Qui inizia una sorta di intervallo tra le prove: Platone lo colloca tra la II

e la III prova. Negli scritti platonici di Gadamer c'è un saggio in cui dice che è

chiaro che Platone è consapevole dei limiti di queste prove che il suo Socrate -

- attendendo il PHARMAKOS -- ...Platone non crede a queste prove, e infatti

la prova dell'immortalità sarà affidata alla fine del dialogo: è la prova per

eccellenza. Questo intervallo -- per Gadamer -- ci deve far riflettere: Platone è

convinto che c'è il bambino che è in noi, e che rappresenta la parte irrazionale

che non si convincerà mai: questi ha paura della morte, e questa paura non

verrà mai meno. La parte irrazionale può solo al massimo prevalere oppure no.

INDICATIVO DI CIO': "siete come i ragazzi..." Si precisa cosa sia la morte

per Platone: quando l'anima esce dal corpo. La morte è il momento dell'uscita

dell'anima dal corpo, che si iscrive nel contesto orfico-pitagorico del carcere e

della liberazione: triplice liberazione: corpo-carcere-polis. La paura del

bambino è la paura che nel momento in cui l'anima esce dal corpo, che l'anima

si dimostra essere come il corpo. Temiamo che all'ESCATON l'anima si

dissolva che non resti, come vediamo che si dissolve il corpo degli ALTRI.

Socrate dunque fa animo ai suoi compagni. Cebéte fa questa battuta; perché

siamo ragazzi? Socrate è vero che fa coraggio ai suoi allievi, ed è questo forse

il compito del filosofo. Il compito del filosofo: far animo (coraggio) agli altri.

Che ci sia l'immortalità davvero è tutto un altro discorso. E' il bambino che è in

– quello che dice il volgo. Queste pagine sono molto attuali perché parlano di

cosa vuol dire morire, di cosa sia l’ultimo istante della morte, non da un punto

di vista medico, ma filosofico. Il problema dell’ultimo istante prima della

morte si pone per Platone in questi termini: esso è il momento in cui l’anima si

distacca dal corpo – questa teoria avrà forti ripercussioni nella tradizione. Se il

corpo si decompone, come facciamo a dire che l’anima continua ad esistere?

Nulla vieta che essa sia pre-esistita, ma forse anche l’anima ad un certo punto

cessa di esistere. Cebete si introduce nel dialogo dicendo che è sistemata la

prima metà del lavoro, ossia dimostrare che l’anima ci precede, ma la seconda

parte della teoria lo interessa di più, ed è ancora sospesa. Socrate dice che

anche questo è già stato dimostrato, dando una risposta filosofica ad

un’obiezione filosoficamente rozza; Cebete non ha riflettuto abbastanza da

capire che, se è dimostrata la prima parte della teoria, allora è dimostrata anche

la seconda. Non ha riflettuto in profondità, e la profondità è necessaria alla

filosofia – la sua non è una vera e propria obiezione, ma una mancanza di

pensiero filosofico. La seconda parte della teoria si lega alla prima prova dei

contrari.

XXIV PARAGRAFO. C’è una sorta di intervallo tra le prove, che Platone

colloca tra la II e la III prova. Gadamer, negli “Scritti platonici”, dice riguardo

al Fedone che è chiaro che è Platone stesso ad essere consapevole dei limiti

delle prove, che Socrate, nell’attesa di prendere il pharmakon, coglie come

opportunità di riflessione – questo è per Platone il valore delle prove. La prova

dell’immortalità dell’anima sarà infatti alla fine del dialogo – la prova per

eccellenza. Questo intervallo, per Gadamer, è significativo: per Platone il

bambino che è in noi, in quanto parte irrazionale, non si convincerà mai delle

prove, perché ha paura della morte, paura che non verrà mai meno, non fino a

quando la parte razionale non prenda il sopravvento. L’intervallo è in questo

senso sintomatico e indicativo. Socrate si rivolge a Cebete: la morte, precisa, è

il momento in cui l’anima esce dal corpo – è quindi una definizione importante

della morte, che appunto consiste nell’uscita dell’anima dal corpo. Ciò

ovviamente si rifà al contesto orfico-pitagorico della concezione per cui il

corpo è il carcere dell’anima – si pensi alla metafora “Socrate è in carcere”.

Socrate dice che c’è un bambino irrazionale in noi, che ha paura che nel

momento in cui l’anima esce dal corpo si dissolva essa stessa con lui; il timore

riguarda l’eskaton, il limite estremo della morte, e il dubbio che l’anima non

resti e si dissolva come si dissolve il corpo. Cebete fa una battuta, dicendo che

Socrate fa animo, fa coraggio, come se tutti loro fossero ragazzi – difatti

Page 61: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

noi che ha paura: dobbiamo ammetterlo. Soltanto così possiamo aprirci e

discutere di morte ed immortalità. Il filosofo deve persuadere a non avere

paura [della morte]. IMPORTANTE: Il filosofo, Socrate, è un incantatore di

paure. Dove andremo a prendere un altro incantatore come te, Socrate, dopo la

tua morte? IMPORTANTE: Socrate dice: cercate nell'Ellade e non per

trovarlo, perché non c'è! modo migliore di spendere i vostri soldi. Compito

completamente diverso dai Sofisti: per questi l'EULEGEIN è la cosa

importante... per difendersi nelle assemblee e nei tribunali. Socrate insegna a

morire. Il filosofo insegna a morire senza paure, incantando il fanciullino.

BELLISSIMO: è ciò che è più lontano dai nostri giorni. Noi viviamo in un

mondo dove la morte è separata dalla vita, dove i malati e i moribondi sono

messi da parte: ospedalizzazione [coatta]. Separazione dei malati dal resto del

mondo. Non si muore più in casa, in un posto... perché c'è la

TABUIZZAZIONE della morte. Morte rimossa, cancellata, messa da parte.

Sempre più "lasco" il rapporto tra la morte e la vita: LEVINAS, HEIDEGGER,

JASPERS. Il '900 è una riflessione sulla messa da parte della morte. I soldi si

spendono per farsi il naso, il viso... si spendono in questa idolatria per il corpo.

Il rapporto si è rovesciato. Oggi sembra ridicolo pagare qualcuno che ci incanti

da questa paura. Lo psicanalista? ha un ruolo diverso! La nostra è un'epoca

prettamente a-filosofica. Proprio quello che dice Socrate ci sembra ridicolo.

Socrate dice: senza badare a denari e a fatiche, per ottenere... imparare a morire

e a non aver paura della morte. Noi siamo fatti di anima E di corpo. La nostra

anima, nel momento in cui esce, continua a mantenere la sua identità? sono io

la mia anima o no? Se l'anima si separa dal corpo per poi re-incarnarsi in un

altro, quando si separa non è più me, e si separerà in un'altra identità. La nostra

identità è fatta di anima e di corpo. Però è anche vero che continuando ad

esistere si porta qualcosa di me. Questo punto vuol dire che resta qualcosa di

noi nell'anima, e questo determinerà la storia successiva di quell'anima. Ci

sono infatti meriti e pene.

XXV. PASSO IMPORTANTE: "la realtà dell'essere [...] permane

invariabilmente costante o è variabile?" Platone introduce l'argomento di

distinzione tra ciò che è composto da elementi e ciò che non lo è: ciò che è

composto, è naturale che si de-componga. Ciò che non è composto non si de-

compone. Ciò che si decompone è variabile, mentre ciò che non si decompone

è perenne. Due differenze fra anima e corpo: l'anima, come le idee, è eterna,

immutabile, invariabile, etc. I corpi invece sono variabili, soggetti ad

alterazione. Qui Platone sta distinguendo due piani di realtà: un piano di

Socrate sta facendo questo, sta cercando di fare coraggio ai suoi allievi, e forse

è questo il compito del filosofo, che ha il merito di avere un rapporto peculiare

con la morte. Il filosofo deve far animo agli altri, deve convincere che c’è

un’immortalità e far coraggio al fanciullino dentro di noi, che ha paura –

dobbiamo ammetterlo e confessarlo, e così facendo possiamo discutere della

morte e dell’immortalità, come può fare Socrate che lo ha ammesso e non ha

paura. Dunque il compito è quello di persuadere a non avere paura; il filosofo è

un incantatore di paure – cosa faranno loro quando Socrate non ci sarà più?

Dove troveranno un altro incantatore come lui? Socrate risponde di cercare

nell’Ellade, anche tra genti straniere, per trovarlo, perché non c’è modo

migliore di spendere il denaro – il compito del filosofo è diverso da quello dei

Sofisti, che si facevano pagare per insegnare a ben parlare, ma Socrate,

l’incantatore di paure, insegna a morire senza paura, incantando il bambino che

è nell’uomo. Questa concezione è molto lontana da quella odierna, che ha

separato la morte e la vita, secondo un processo di “ospedalizzazione”, che

consiste nel mettere da parte i moribondi rispetto al mondo che funziona e alla

sfera della quotidianità – il tabù della morte ha fatto sì che sia stato rimosso il

legame tra la vita e la morte, e tutto il 900 è stato una riflessione sulla morte e

sulla rimozione di questo nesso. Così il rapporto si rovescia, in un’epoca a-

filosofica: si spende il denaro per l’idolatria del corpo, non per qualcuno che

incontri la paura radicale della morte – non si tratta dello psicanalista, che ha

un ruolo diverso da quello del filosofo. Socrate invece sostiene con fermezza

che vivere è imparare a morire e a non avere paura della morte, tutto il

contrario quindi di volerla allontanare.

L’anima si incarna in varie identità, quindi, quest’identità è fatta di anima e

corpo; separandosi la psychè perde l’identità che aveva prima, ma porta

qualcosa di questa con sé, anche dopo la morte; quel che resta di noi

nell’anima determinerà, probabilmente, la storia successiva dell’anima – infatti

ci sono meriti e pene.

XXV PARAGRAFO. Domanda filosofica: la realtà dell’essere rimane costante

o è variabile? Platone introduce la distinzione tra ciò che è composto da

elementi e ciò che non è composto: è naturale che ciò che è composto si

decomponga, e ciò che non è composto (anima) non si decomponga – ciò che

si decompone è variabile, mentre è invariabile ciò che non si decompone.

Come le Idee, l’anima è immutabile ed eterna; mentre, ciò che è corporeo è

variabile e soggetto ad alterazione. Così dicendo Platone distingue due piani di

realtà: uno è quello delle copie/imitazioni, degli oggetti; l’altro piano della

Page 62: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

imitazioni, di copie... "che noi diamo lo stesso nome" (cfr. Cratilo). Come lego

le diverse realizzazioni della cavallinità? attraverso il NOME, che è nodo/nesso

tra l'idea in sé e le copie. Come collego una copia all'idea? col nome, che è

categorizzazione della realtà. Ribadiamo, nominando e parlando, questa

distinzione. Distinzione tra due piani della realtà: il piano delle cose/imitazioni

(il nostro piano, il mondo variabile che si muta e si decompone) e il mondo

stabile delle idee. Queste reggono il mondo, sono le fondamenta del mondo

senza il quale questo non esisterebbe -- CONDIZIONE DI POSSIBILITA'. Il

livello dei sensi, ed il livello psichico (PSYCHE) che è SOVRASENSIBILE

(suggerimento di Platone... siamo più platonici di quanto crediamo; siamo

talmente dentro un universo platonico, sotto l'influsso di Platone, che il

contrario ci risulta difficile). Wittgenstein: "tutto lo sforzo è quello di liberarsi

dal platonismo". Wittgenstein mette in discussione il sovrasensibile, "il luogo

occulto chiamato pensiero ed interiorità". Heidegger intende questo rimettersi

dalla metafisica platonica. Queste lezioni sono "anamnestiche"... per noi è

abbastanza scontato distinguere un piano sensibile ed uno sovrasensibile. Cfr.

Wittgenstein, Osservazioni sulla psicologia. Platone introduce questa

distinzione fra due piani distinti della realtà: sensibile e sovrasensibile,

assumendo il sovrasensibile come gerarchicamente più importante. Questo è il

DUALISMO PLATONICO: introduzione di una suddivisione della realtà in un

piano inferiore, svalutato, e il piano delle idee in sé. Quello che importa sono le

idee, fondamenta degli oggetti-copie. Le idee ??? sono invisibili. Anche il

nome ADE ha a che fare con la vista e indicia un'altra modalità del vedere che

non ha a che fare con gli occhi.

La terza prova è una prova più semplice, dove il discorso si fa più chiaro.

Abbiamo letto l'intervallo sul tacitare/incantare il dubbio che è in noi, il dubbio

che teme la morte. Gadamer: "gli argomenti filosofici sono insoddisfacenti

anche se risulta convincente Socrate; la forza pratica è più forte della

virtù/capacità della dimostrazione logica. Questo saggio, uno degli ultimi sul

Fedone da parte di un filosofo -- linea che passa anche attraverso l'opera di

Mendelsohn. La grandezza del Fedone non sta nella dimostrazione logica delle

prove filosofiche. Le prove non convincono del tutto soltanto noi moderni; ma

neanche gli astanti, neanche Platone stesso, che inserisce questo intervallo: non

c'è solo l'enigma della morte; ma un'enigmaticità della paura della morte.

Platone parla del bambino (parte irrazionale) che non si lascia convincere dal

rigore delle prove logiche. Non saremo mai realmente convinti; lo saremo solo

sul piano del ragionamento; ma non su quello che si sottrae, non convinto, al

LOGISMOS. Gadamer riprenderà il dialogo socratico, la figura di Socrate, etc.

realtà è il mondo delle Idee (Iperuranio). Questo passo si lega al Cratilo: come

lego le diverse rappresentazioni di un’idea? Attraverso il nome, che è il nesso,

il nodo tra l’idea e l’oggetto/le copie; il nome ribadisce la divisione della

realtà, introducendo un oggetto nel contesto dell’idea. Il mondo delle Idee

invece è stabile ed eterno, rispetto al mondo variabile che si decompone – le

Idee reggono il mondo, come fondamenta eterne di esso. Due livelli: il livello

sensibile della percezione; il livello psichico nel senso della psychè, ossia il

livello sovrasensibile – questo è il grande influsso platonico nella cultura

occidentale.

Lo sforzo di Wittgenstein, nei confronti di quest’impronta platonica, sarà

quello di liberarsi del platonismo, disfacendo l’idea di interiorità e di pensiero

– è quasi più difficile concepire l’impresa del 900, che consiste nel superare la

metafisica platonica (Heidegger). Capiamo invece che l’universo è letto

attraverso le lenti di Platone – infatti è quasi scontata la distinzione tra due

realtà, quella sensibile e quella sovrasensibile, introdotta da Platone nella

filosofia. Gerarchicamente per Platone è più importante il piano sovrasensibile.

Noi non vediamo le Idee, se non con gli occhi dell’anima – questo è il

dualismo platonico, che impronta tutta la metafisica. Le Idee, dal punto di vista

sensoriale, sono invisibili – sono visibili sul piano sovrasensoriale. Il dualismo

platonico è molto radicale e verrà articolato nella terza prova, che è anche la

più semplice.

[Intervallo: bambino irrazionale che ha paura della morte]

Gadamer negli “Studi platonici” dice, da filosofo, che le gli argomenti

filosofici delle tre prove sull’immortalità dell’anima sono insoddisfacenti. La

forza poetica del Fedone è più grande della forza logico-argomentativa; la

grandezza di quest’opera non sta nell’argomentazione delle prove, che non

convincono del tutto né Simmia, né Cebete, né Platone e neanche il lettore –

infatti non a caso l’intervalle viene inserito prima dell’argomentazione della

terza prova. Il motivo per cui Platone parla del bambino che è in noi e che non

si lascia del tutto convincere dal rigore logico delle prove è che c’è

un’enigmaticità della paura della morte. Si può essere convinti su un piano

razionale (“loghismos” – “ragionamento”), ma non su quello irrazionale, che

non cessa di avere paura. Gadamer dice qualcosa di nuovo sul Fedone: è

un’opera di un’importanza straordinaria, perché la figura di Socrate morente,

che si staglia alla fine del dialogo, sarà un’alternativa alla figura eroica di

Achille – punto di riferimento per i Greci. Socrate è una figura tragica, ma non

si riduce a questo, altrimenti sarebbe perdente, cioè, morendo, perderebbe la

Page 63: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Gadamer dice che il Fedone ha un'importanza straordinaria perché il Socrate

morente alla fine del dialogo diventerà un'alternativa alla figura eroica di

Achille. La figura di Socrate non è eroica, ma tragica; ma non soltanto tragica,

perché non è una figura perdente. Socrate non perde una battaglia; ma vince

morendo. Socrate accetta la giustizia, la ribadisce, etc. il modo di

dignità/compostezza con cui assume il farmaco: non c'è bisogno di eroi; ma di

filosofi. Socrate antitetico agli eroi, anti-eroe. Non è tragico neppure nella

morte: la morte subìta sancisce il suo modo di vivere, e dunque la sua filosofia.

La forza di questo dialogo straordinario e bello non sta nelle prove,

insufficienti non nel rigore logico; ma nella persuasione... la forza sta nella sua

VIS poetica. Questo intervallo viene interpretato come un dubbio di Platone

che le prove non siano sufficienti. Distinzione tra ciò che si decompone e ciò

che non si decompone. Platone ci dice così che le idee sono eterne ed

immutabili.

79a Dualismo platonico determinante per la filosofia di Platone e dopo. XXVI.

Questo dualismo è molto radicale e forte che Platone articola in questa III

prova. NB: 79a6 ORATON (visibile) e AIDES (invisibile: è l'invisibile che fa

riferimento all'etimologia di Ade, che vuol dire proprio l' "invisibile").

[ORATON con SOMA] [AISTES con PSYCHE] Il dualismo si fa dicotomico.

Il corpo è il visibile. Questo nesso da una parte e poi il nesso di anima con

l'invisibile. Questa distinzione dal punto di vista della natura umana, non da

quello degli dei. Noi infatti non possiamo vedere. Stringe la parete tra ANIMA

e ADE... rinvio continuo. Questa distinzione è introdotta dal punto di vista

della natura umana, perché l'anima non la possiamo vedere.

XXVII. Questo dualismo è decisivo sotto tutti gli aspetti: quando l'anima si fa

dominare dal corpo è "conturbata", AMARTEMA, l'anima erra. Differenza di

AMARTEMA con PSEUDOS, l'errore, lo sbaglio. E' come se l'anima

accettasse di vagare lì dove domina l'incostante, il variare: questo ha delle

ripercussioni etiche, esistenziali. Quando l'anima si affida ai sensi e al corpo

nella sua materialità, va ERRANDO nel variabile. Se si ferma e rimane in se

stessa, questo non avviene. Quelli sono gli aggettivi, 79d2. ATHANATON:

immortale. L'anima, se rimane separata lì dove riesce a restare separata dal

corpo, è già quasi immortale. Allora si dirige dov'è il pure, l'eterno,

l'invariabile, l'immortale. Sono questi dei sinonimi? Sicuramente sì. Per

Platone la purezza dell'anima è già il suo dirigersi verso l'immortalità. Quando

l'anima si raccoglie allontanandosi dal corpo in se medesima, in questo vi è

sua battaglia – Socrate invece, proprio nella sua morte, nell’accettazione del

processo e della giustizia, vince la sua battaglia, mostrando di essere il filosofo,

antitetico all’eroe. Non c’è bisogno di eroi tragici, ma di filosofi; il filosofo

non è una figura tragica, neppure nel momento della morte – la morte di

Socrate infatti non sancisce la sua sconfitta, bensì il suo modo di vivere e

quindi la sua filosofia. La bellezza del Fedone non è dunque nelle prove,

insufficienti nella loro capacità persuasiva, che non è logica, ma essa risiede

nella vis poetica di questo dialogo. In definitiva l’intervallo è interpretato, da

Gadamer, come un dubbio che proviene dallo stesso Platone riguardo alla

sufficienza delle prove a livello argomentativo e persuasivo.

XXVI PARAGRAFO. Vengono distinti due piani, quello del visibile (oraton) e

quello dell’invisibile (aides); il piano dell’oraton (da orao), appartiene al soma

(corpo); il piano dell’aides appartiene invece alla psychè – aides, l’invisibile, è

l’etimologia di “Ade”, l’oltretomba e l’invisibile (importante per Platone).

Questo dualismo (visibile e invisibile) costituisce l’ossatura di tutta la filosofia

occidentale – il corpo è visibile e l’anima è invisibile. È una distinzione fatta

dal punto di vista della natura umana, quindi non possiamo dire che valga per

gli Dei: per gli uomini l’anima è invisibile – si stringe la parentela tra l’anima e

l’Ade.

XXVII PARAGRAFO. Quando l’anima si fa dominare dal corpo è conturbata

e fuorviata – é importante distinguere“amartema” (errore, errare) e “pseudos”

(sbaglio). L’anima erra perché si fa dominare dal corpo, cioè

dall’incostante/variabile. In questo modo il dualismo platonico ha anche delle

ripercussioni sull’etica: l’anima che si affida ai sensi e al corpo erra, lì dove è il

variabile; ciò non avviene se invece l’anima si raccoglie in se stessa, tanto che

può vagare dove è il puro (katharon) e l’immortale (athanaton), l’eterno e

l’invariabile – verso di essi (vari sinonimi) si dirige quando è lontana dal

corpo. Quando l’anima si congeda dal corpo e si raccoglie in sé medesima, è

tale che, essendo congenere al pure e all’immortale, torni lì da dove è venuta. Il

corpo è votato all’erranza e porta l’anima ad errare; l’anima è invece

congenere (sunghenesis) a ciò che è eterno e invariabile, cioè partecipa del

Page 64: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

CONGENERE di questi aggettivi... allora cessa dal suo errare. Il corpo è ciò

che è variabile, che è votato e che porta l'anima all'erranza, ad errare. NB:

differenza tra errore e sbaglio. Il corpo fa parte di ciò che è visibile, etc.

L'anima fa parte/è congenere dello stesso EIDOS, della stessa IDEA, di ciò che

è... congenere vuol dire che partecipa del genere dell'eterno, dell'invariabile,

etc. CONGENERE=SUNGENESIS. Gli oggetti concreti sono copie dell'idea.

Partecipazione all'EIDOS. L'anima partecipa del genere dell'IMMORTALE. E'

possibile partecipare a più generi? sì. Nel Sofista infatti ci sono generi misti.

Dualismo/dicotomia che ha qualcosa di conflittuale per il rapporto

anima/corpo. L'anima, se cede al corpo, è portata in basso. Il visibile è il modo

dabbasso; mentre l'anima è in alto. L'anima, se guidata dal corpo, non erra solo

orizzontalmente; ma anche verticalmente. Rapporto gerarchico, gerarchia che

resterà per secoli. Solo nel '900 questa viene criticata e messa in discussione

come gerarchia "metafisica". Heidegger dice che la metafisica è costruita

intorno a questa gerarchia platonica: è l'anima che deve dominare, altrimenti

erra.

XXVIII. L'anima deve dominare, il corpo deve servire. Qui la dicotomia

assume contorni più precisi, si va precisando: da una parte il visibile è mortale

(il corpo), dall'altra l'invisibile somiglia al divino (l'anima). Questi aggettivi

sono gli attributi dell'Essere parmenideo. C'è costantemente da parte di Platone

continuamente la preoccupazione di salvare nella riflessione la posizione di

Parmenide e di Eraclito. La teoria delle idee è certamente un tentativo di

risposta a Parmenide ed a Eraclito, mantenendo le esigenze di altri. Una serie

di aggettivi che troviamo in forma analoga nel poema di Parmenide. Il

problema di Parmenide: L'Essere è e non può non essere. Se dico OUK ESTI

mi contraddico, perché dico che l'Essere è e non è. Il problema di Platone è il

problema del non-Essere, che qui inizia a uscir fuori. Per i greci, se dico non-è

intendo un valore ontologico; i greci non distinguono tra il valore logico e

ontologico (soprattutto i Presocratici): il problema predicativo è il problema

della predicazione: intendono [solo ???] in senso ontologico. Il grande

problema di Platone è di non cadere in questa grande contraddizione: di non

arrivare all'esito paradossale di poter dire solo ESTI, solo che E'. Per

Parmenide infatti non posso predicare altro, perché sennò già cado nella

contraddizione tra essere e non-essere. Non posso neanche coniugare il verbo.

La filosofia si ferma a dire EST; ma Parmenide stesso [un po'] cede [ed usa

delle metafore]: inconcusso, immutabile, eterno, etc. Cede all'esigenza di

definire l'Essere; ma in realtà si contraddice, e lascia il problema in "eredità" a

genere dell’eterno, del puro ecc. Gli oggetti concreti sono copie delle Idee, cioè

partecipano del loro genere – lo stesso legame di partecipazione sussiste tra

l’anima e ciò che è immortale. Nel Sofista dirà che si può partecipare a più

generi.

Se l’anima cede al corpo è portata in basse, mentre l’invisibile è in alto;

l’erranza non è solo orizzontale, c’è una vera e propria caduta dell’anima –

rapporto gerarchico che resisterà nei secoli, almeno fino al ‘900, quando questa

gerarchia verrà messa in discussione perché metafisica; ma infondo la

metafisica è essa stessa questa gerarchia, è costruita su di essa (Heidegger).

XXVIII PARAGRAFO. L’anima deve dominare, e il corpo obbedire – come il

Dio comanda al mortale. La dicotomia si va precisando, perché Platone

introduce ulteriori distinzioni: c’è il visibile, che è corporeo e mortale; e c’è

l’invisibile, cioè l’anima, che partecipa al divino – contrapposizione mortale-

divino. La serie di sinonimi che appartengono alla sfera del divino sono in

realtà gli stessi attributi dell’Essere parmenideo: c’è, da parte di Platone, la

continua preoccupazione di salvare la riflessione di Parmenide ed Eraclito – la

teoria delle Idee è certamente un tentativo di risposta a Parmenide e ad

Eraclito. Il problema di Parmenide, nell’usare questi attributi, riguarda il

principio per cui l’essere è e il non-essere non è, e quindi l’essere è e non può

non essere, il non essere non è e non può essere – ma gli attributi, questo il

problema, rischiano di inficiare il principio di base. Parmenide dice che

l’essere è (esti), se dico ouk-esti mi contraddico – Platone eredita il problema

del non-essere, che inizia da qui. Per i greci l’ouk-esti ha valore ontologico e

non viene distinto il valore logico – il problema è quindi quello della

predicazione. “Ouk-esti” secondo la concezione greca vuol dire proprio “non-

esiste”, per cui non si può predicare di una cosa che esiste (esti) e che non

esiste (ouk-esti). Il problema di Platone è quello di non cadere nella

contraddizione – Parmenide trova la soluzione nell’affermazione che l’essere

“è”, cioè dell’essere posso dire solo che è; la stessa filosofia, per Parmenide, si

ferma a dire l’esti. Però poi Parmenide si ritrova con la necessità di doverlo

Page 65: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Platone, il quale lo analizza nel Parmenide e lo risolve nel Sofista: qui il

parricidio, la necessità di risolvere il problema del non-essere, capire cosa vuol

dire "non-è". Con la teoria delle idee Platone sta già cercando una risposta: ha

ragione Parmenide; ma anche Eraclito (il mondo del mutare), che Platone pone

dove c'è il nostro mondo e il SOMA. La teoria delle idee è una risposta ad

entrambi nel farsi carico delle esigenze di entrambi. Platone può in questo

modo usare senza contraddizione gli aggettivi di Parmenide. Necessità di

definire l'istante della morte. Il cadavere si disfa. La nostra esperienza è sempre

del disfacimento del corpo dell'altro. La morte è uno svanire nel nulla -- corpo

[sicuramente]. Le mummie: se queste resistono, perché non l'anima? Questo il

parlare (???) al bambino. Il grande problema della morte: che ci sia qualcosa

che rimanga oltre il nulla entro cui svaniamo. L'anima, congenere all'invisibile,

ritorna all'Ade (ricorda l'etimologia), da dove è venuta, e tornerà

reincarnandosi. Platone introduce il motivo che tanto più ho provveduto in vita

a separarmi dal corpo, tanto più è leggera la mia anima al momento della

morte, e tanto più facilmente riesce a liberarsi dal corpo. Tanto più l'anima ha

vissuto lontano dal corpo, lì dove non domina il corpo, tanto più con la morte

potrà volare verso l'Ade, da dove è venuta.

XXX. Platone da indicazioni: 2 forme di vita che si contrappongono... quella

del dominio del corpo, che influisce non solo al-di-qua ma anche al-di-là. Farci

dominare dal visibile, dalla luce. La forma di vita filosofica invece è votata

all'oscurità, all'invisibile. Questa forma di vita è quella apparentemente più

difficile nell'al-di-qua perché è più lontana dal visibile, e si lascia invece

dominare dalla PSYCHE verso ciò che è più oscuro. La prima è appesantita dal

corporeo. Ripercussioni ed esiti di questa condizione già nell'istante della

morte: l'anima è appesantita dal corpo, fa fatica ad elevarsi e a ritornare da

dove è venuta. L'anima del filosofo ha provveduto invece già in vita a

purificarsi ed è già pronta, nell'istante della morte, a ritornare da dove è già-

venuta. Importante andamento ciclico degli aggettivi, i quali ritornato. Gravità

del corpo. Distinzione terra-cielo. Corpo inchiodato alla gravità della terra.

Questione ripresa da Mendelsohn nel '700. Che cosa avviene dell'anima

all'indomani della morte? Questione anche teologica dai confini labili. Platone

riprende dottrine orfico-pitagoriche anche qui, e mescolate di un sapere

"popolare". L'anima che è rimasta impura, che non è riuscita a liberarsi dalla

pesantezza, è inquieta e non può tornare all'Ade (invisibile) e quindi resta

intorno alla tomba (il SEMA): etimologia che troveremo nel Cratilo, tomba-

segnale. L'anima resta appesantita intorno alla tomba. Idea che l'anima impura

definire, con gli attributi, ma si contraddice. Così Platone eredita il problema di

Parmenide e lo risolve nel Sofista (Parricidio), ossia la questione del non-

essere e di doverlo definire (grande problema filosofico di Platone). Eraclito

ammette invece un variare, che Platone ammette solo per il corpo – mentre le

Idee sono immutabili ed eterne. Così Platone finisce per farsi carico delle

esigenze di entrambi, facendo del non-è un essere-altro/diverso, dal punto di

vista logico, della predicazione.

XXIX PARAGRAFO. È evidente che il cadavere si disfa – esperienza della

morte altrui. La morte è disfacimento e svanire nel nulla – ma al di là del nulla

c’è qualcosa che resta del corpo, questo è il problema della morte; perché

allora non dovrebbe resistere l’anima? Platone parla al bambino che è in noi: la

parte della psychè ritorna all’invisibile (Ade – aides). Ribadisce che la

preparazione alla morte consiste nel separarsi dal corpo durante la vita.

Introduce un motivo: quanto più l’anima ha provveduto in vita a separarsi dal

corpo, tanto più è leggera e riesce a separarsene al momento della morte.

XXX PARAGRAFO. C’è una forma di vita, il di qua, che è dominata dal

corpo e dal visibile, dalla luce; la vita filosofica è invece votata all’oscurità – si

tratta di una forma di vita più difficile nel di qua, perché è anche quella più

lontana dal corpo, ma dominata dall’anima e che guarda a ciò che è oscuro. La

distinzione ontologica di questi due piani non ha certo i suoi esiti nella vita

terrena, ma ha ripercussioni nell’al di là: nella morte, l’anima, appesantita dai

resti del corpo, fa fatica ad elevarsi e a ritornare lì da dove è venuta; invece

l’anima del filosofo ha provveduto in vita a purificarsi, quindi è più leggera e

pura. I sinonimi seguono un andamento ciclico: ciò che attiene al corpo è

pesante, terreno, grave e visibile. Tale questione è ripresa da Mendelssohn, che

apre un dibattito nel ‘700: cosa avviene all’anima all’indomani della morte –

non nell’istante della morte. La dottrina orfico-pitagorica è la fonte del

pensiero di Platone: l’anima, che è rimasta impura ed appesantita dal corpo, è

inquieta e non può tornare immediatamente all’Ade, e dunque resta intorno alla

tomba (sema), perché non riesce a sollevarsi – c’è l’idea che l’anima impura

sia inquieta ed appesantita, perciò resta accanto alla tomba e al corpo. A

Mendelssohn, filosofo ebreo, interessano le due questioni, riguardanti il

distacco dell’anima dal corpo e l’istante della morte – due momenti diversi, la

morte e il congedo dalla morte, che per Mendelssohn avviene dopo un mese.

Page 66: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

sia l'anima inquieta, appesantita, che resta accanto al corpo, alla propria tomba.

Mendelsohn è interessato all'istante della morte e del distacco dell'anima: due

momenti differenti e ben distinti. Cfr. tradizione ebraica. La morte è diversa

dal congedo/dipartita dal corpo e dalla tomba. Per Mendelsohn ci vuole un

mese. Anche Platone distingue bene i due momenti. L'anima del filosofo si

solleva immediatamente e non resta nell'inquietudine, e per Platone c'è una

continuità tra al-di-là e al-di-qua. Questo perché si è preparata in vita. Le

anime appesantite non solo sono inquiete; ma partecipano ancora del visibile,

ancora sono visibili. Qui c'è una distinzione tra i buoni e i malvagi: queste

anime sono costrette a vagare, ad ERRARE e così pagano la loro pena. Il

filosofo ovviamente non ha alcuna sete né fame del corporeo. Qui abbiamo

un'idea che avrà grande fortuna nella teologia cristiana: pene e premii, in una

continuità o metempsicosi, etc. A seconda di quello che ha fatto in vita... non

si parla di peccati in senso religioso: a seconda delle abitudini in vita... prende

forma animale (cfr. Timeo). Per i greci questa è una forma inferiore a quella

dell'uomo: i malvagi finiranno per incarnarsi in un animale. Perfino un

cittadino temperante diventerà forse ape, forse vespa o forse [ma non credo

proprio] uomo. Qui c'è l'idea di GIUSTIZIA e una risposta del Socrate di

Platone all'ingiustizia che ha subito. Qui, di qua, può esserci ingiustizia; ma di

là ci sarà la GIUSTIZIA. Spartiacque che segna la filosofia e la tradizione

occidentale. C'è un nesso tra il modo [o mondo ???] di qua e là si paga ciò che

si è fatto: là non ci può essere ingiustizia, perché la giustizia ci sarà e ci dovrà

essere. Le anime si reincarneranno in base a quei caratteri. La metempsicosi

non è una teoria neutrale; ma si coniuga con l'idea della giustizia: la TUCHE

dell'anima dipende dalle scelte fatte in vita. Questo è il modo di Platone per

mantenere l'idea di giustizia. In questo modo assume a voce la fiducia di

Socrate che la giustizia ci sia: non sarà in questo mondo [o di questo mondo];

ma ci sarà. Una giustizia corrispondente alla condotta di vita che si è scelta qui:

le scelte non sono un niente.

XXXII. Rivendicazione fortissima della filosofia. Solo il filosofo può ambire

ad un premio, perché la sua anima già in vita si è congedata dal corpo. Solo il

filosofo, nessun altro. Per i bravi cittadini sono sappiamo... risposta molto forte

anche nei riguardi di chi ha condannato Socrate. Il filosofo non purifica la

propria anima per altri fini: non è guidato da secondi fini; ma lo fa per la

filosofia stessa, per la filosofia e basta. Altrimenti non è un vero filosofo, e per

il filosofo la vita è la filosofia. C'è una differenza tra il filosofo e i bravi

cittadini (cfr. Repubblica). Solo i filosofi possono dirigere la POLITEIA. Il

Anche Platone distingue bene i due momenti e, nella sua concezione, l’anima

del filosofo non resta nell’inquietudine, perché si è preparata in vita –

continuità tra la vita di qui e la vita di là; ciò che si è fatto nella vita terrena ha

ripercussioni nella vita dell’al di là. Le anime inquiete è come se partecipassero

ancora del visibile, per questo anch’esse, come i resti del corpo, sono ancora

visibili, non essendo riuscite a levarsi allo stadio dell’invisibile. Segue da ciò

una distinzione tra buoni e malvagi: le anime dei malvagi sono costrette a

pagare le pene della loro vita, l’insaziabilità del corporeo, vagando ed errando

– il filosofo non ha mai fame di corporeità.

XXXI PARAGRAFO. L’idea delle pene e dei premi avrà fortuna nella

teologia, che sarà una ripresa della teoria della metempsicosi di Platone e degli

orfico-pitagorici – l’anima a seconda delle abitudini della sua vita terrena, dato

che ancora non si parla di peccati, assume le sembianze di un animale, che per

i greci è una forma inferiore all’uomo. C’è un’idea di continuità, soprattutto di

giustizia – qui, la giustizia ultraterrena, è la risposta del Socrate platonico

all’ingiustizia che ha subito; ci può essere ingiustizia qui, ma non nell’aldilà.

Spartiacque che ha segnato la filosofia e la tradizione occidentale: nel mondo

di là si paga, secondo giustizia, quello che si è fatto nel mondo di qua, dove

domina l’ingiustizia. Le anime quindi si reincarnano a seconda delle loro

abitudini in vita – la metempsicosi non è una teoria neutrale, ma si coniuga con

l’idea della giustizia. Platone assume la fiducia di Socrate che la giustizia ci

sia, che non sia di questo mondo, ma del mondo al di là – la giustizia è

rispondente alla condotta di vita.

XXXII PARAGRAFO. C’è una fortissima rivendicazione della filosofia – non

solo Socrate avrà giustizia, ma solamente il filosofo può ambire ad un premio,

perché in vita si è congedato dal corpo. Il filosofo non è preoccupato da altri

fini; c’è chi si astiene dal corpo per avarizia, ma il filosofo non è guidato da

secondo fini, è bensì guidato unicamente dalla sua vocazione filosofica – i

bravi cittadini hanno secondi fini, per questo solo i filosofi, secondo Platone,

possono dirigere la politheia. Il filosofo è padrone di sé ed agisce per amore

della sophia, la quale è una vera forma di vita – la forma di vita filosofica è

Page 67: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

filosofo è padrone di sé perché la sua anima si diparte dal corpo. Lo fa per la

filosofia, per quell'amore per la SOFIA che assume i contorni di una forma di

vita dove domina la PSYCHE, e dove non ci sono cedimenti. Grandi

conseguenze di questo nella POLITICA: proiezione di questa visione oggi

molto contestata (cfr. Repubblica). Più si è vicini alla concretezza del SOMA,

meno si può governare [non solamente se stessi], e vice versa. FRONESIS: qui

non è usato in modo tecnico (Aristotele), ed è più nell'accezione del lessico di

omero: quindi non c'è oculatezza semantica (termini tecnici), ma si è nel

linguaggio quotidiano.

Architettura del dialogo: prima di seguire l'andamento della III prova, ci sono

diverse interruzioni da considerare: la prima è questo mito escatologico

dell'anima e del destino dell'anima: di quello che la attende per il suo

comportamento di qua; ce ne sono altre [di interruzioni]. Piccoli intermezzi: il

canto del cigno. Socrate si fermerà a rispondere alla prima obiezione di

Simmia, e poi a quella di Cebéte. Questo prima della terza prova, che riepiloga

le prime due. Perché non ci sbrighiamo? perché Platone non ci dice subito la

sua tesi? perché non ci dice invece la tesi di Socrate? perché non andiamo al

dunque? Perché tante esitazioni, questo continuo fermarsi? perché leggiamo

argomenti al limite del mitologico? perché non c'è apoditticità? Questa è una

giusta domanda: perché queste interruzioni, questo soffermarsi su argomenti

che non hanno tanta attinenza e peso sulla posizione di Socrate e Platone? La

risposta sta nel dialogo platonico, nel modello di dialogo che Platone assume!

Questo punto sarà di differenza sostanziale tra Platone e Aristotele: questi non

scrive dialoghi. Aristotele scrive trattati: stile apodittico, dimostrativo, stile

dimostrativo. L'etica a Nicomaco pure ha uno stile apodittico. Lo stile in

filosofia non è indifferente; ma è fondamentale. Scegliere uno stile influisce

sul modo di pensare: scegliere uno stile dialogico fa una bella differenza:

Platone mantiene sempre, fino alla fine, uno stile e un andamento dialogico

(del pensiero). Lo stile di Aristotele è uno stile dimostrativo. E' evidente che

col Fedone Platone ha anche un intento dimostrativo; ma non solo

[dimostrativo], e non ci vuole arrivare direttamente attraverso l'apodissi. Ci

obbliga a fermarci: è un percorso di tornanti, curve, soste inattese. Questa per

Platone è la filosofia: la filosofia è dialogo. Questo non è qualcosa di esteriore;

ma invece di costitutivo. Da questo consegue che nello stile apodittico, che

sarà lo stile vincente, non conta il confronto con l'altro: opinione dell'altro non

è un punto di riferimento. Viene considerata tacitamente. Si prendono in

considerazione le possibili obiezioni; ma tacitamente. Platone da voce

all'Altro. Le obbiezioni vengono prese in seria considerazione, al punto che il

dominata dalla psychè. Conseguenze sul piano politico: la politheia è un

progetto politico contestato, ma è la proiezione di questo pensiero – più si è

lontani dalla concretezza più si è in grado di governare.

[Architettura del Fedone]

Prima delle terza e ultima prova vi sono diverse interruzioni nel dialogo: la

prima interruzione riguardava il mito escatologico dell’anima e del destino

dell’anima, di ciò che l’attende al di là, a seconda della sua condotta di vita; un

altro intermezzo importante è quello del “canto del cigno”; Socrate poi si

fermerà a rispondere alle obiezioni di Simmia e Cebete; infine la terza prova

riepilogherà le prime due. Perché Platone non arriva subito al punto esponendo

la tesi dell’immortalità dell’anima e le tesi di Socrate? Negli intermezzi vi sono

argomenti al limite tra il filosofico e il mitologico, non si è ancora giunti ad

una vera tesi filosofica; le interruzioni e il soffermarsi su argomenti che non

sembrano poter cambiare la posizione di Socrate e di Platone hanno, in realtà,

ragione di essere nel modello del dialogo platonico. Questo è un punto di

differenza sostanziale tra Platone e Aristotele: Aristotele non scrive dialoghi,

ma trattati, opere filosofiche che hanno uno stile “apodittico”, cioè

dimostrativo – “L’etica a Nicomaco”, intesa concretamente, ha uno stile

apodittico. Lo stile è fondamentale in filosofia, non è un dato irrilevante,

perché influisce sul modo di pensare; per questo c’è una differenza decisiva tra

Aristotele e Platone, il quale mantiene, sino alla fine, salvo poche eccezioni,

uno stile ad andamento dialogico del pensiero – mentre Aristotele mantiene

uno stile dimostrativo. Questo non vuol dire che Platone non abbia un intento

dimostrativo, ma il suo compito filosofico non si riduce a questo, non vuole

arrivare alla dimostrazione per la via diretta dell’apodissi; è dunque con il

dialogo che Platone imposta un percorso che obbliga a fermarsi e ad attendere

– la filosofia si costituisce proprio nell’andamento del dialogo. Da questa

prima differenza, tra Platone e Aristotele, ne consegue un’altra: nello stile

apodittico di Aristotele, che sarà il modello vincente nella filosofia, non conta

il confronto con l’altro e con la sua opinione, cioè non sono punti di

riferimento – sono considerati solo tacitamente, a mo’ di possibili obiezioni.

Nel dialogo socratico di Platone, invece, viene data voce e parola all’altro – le

obiezioni di Simmia e Cebete sono seriamente prese in considerazione, tanto

da interrompere un discorso, e come stessa opportunità per il pensiero

filosofico. La loro posizione è quasi “illuministica” (Gadamer), perché non

credono a quel che dice Socrate, eppure vien data loro la parola – l’accordo, il

consenso dell’altro costituisce l’andamento del dialogo. Il dialogo è sì

Page 68: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dialogo si interrompe. Sia Simmia che Cebéte rappresentano il disincanto

(Gadamer dice: illuministica, illuminismo greco). Non credono a Socrate; ma

viene data comunque loro la parola. IMPORTANTE: il consenso dell'altro, il

dare la parola all'Altro. Dialogo artistico e per questo artificioso: non è a posto.

E' pilotato da Socrate e diretto da Platone. Proprio l'andamento dialogico fa si

che NOI veniamo coinvolti dall'argomentazione. Siamo disorientati. L'apertura

c'è, entro i limiti di un dialogo scritto. Certamente noi siamo abituati ad uno

stile lontano dal dialogo platonico, di fatto nella scrittura non lo è.

XXXIII. [già ??? della forma di vita filosofica (82c)]

Socrate ripete quello che ha già detto sull'anima del filosofo. Ritorna la

concezione negativa dei sensi. L'anima di questo già prima della morte lo

libera dal carcere: l'anima che si contrae -- metafora del concentrarsi,

restringersi dell'anima che permette di pensare. L'anima che si affida alle

sensazioni: qual è l'errore che commette? Attraverso il piacere e il dolore è

portata a credere che ciò che esiste nel visibile esiste ed è vero; mentre in realtà

non è... è ERRARE, perché il vero mondo è il retro mondo delle idee. Ritorna

il Platone parmenideo, ritorna Parmenide e l'esigenza parmenidea e i suoi

aggettivi. L'anima che soggiace alle sue affezioni momentanee è quella che si

fa contaminare dal corpo: non c'è un giudizio etico; ma ontologico. L'anima

che diviene simile al corpo è quella che non segue la sua aspirazione

ontologica; ma si fa incatenare all'immanenza ontica del corpo, e non tende al

dove da cui è venuta: il mondo ontologicamente superiore. Qui c'è un giudizio

ontologico: l'anima si degrada, accetta una degradazione ontologica del mondo

in divenire, non dell'Essere. Esigenza parmenidea, e distinzione tra il mondo

apparente e il mondo dell'Essere che per Platone non è un mondo al singolare

(niente monismo parmenideo); ma pluralità; ma tuttavia è il mondo dell'essere.

Platone risponde all'esigenza parmenidea. L'anima aspira ad appartenere al

mondo dell'Essere. Questa la tesi di Platone: l'anima appartiene al mondo

dell'Essere e per questo è immortale.

XXXIV. Penelope fa e disfa la tela. Questa metafora perché Socrate diche che

l'anima del filosofo non deve fare e disfare: l'anima non deve cadere

nuovamente nelle passioni, affezioni sensazioni. L'anima si disfa perché si

allontana dal compito della filosofia e quindi dalla meta dell'anima. La

filosofia è liberazione, redenzione, scioglimento dalle catene. Se l'anima non è

fedele, si disfa. Lavora per tendenza opposta. Il dramma escatologico

artificioso e pilotato da Socrate e diretto da Platone; noi non possiamo entrare

nel dibattito, ma certo è che l’andamento dialogico coinvolge, ci disorienta

rispetto alle posizioni dei vari personaggi – in realtà l’apertura c’è, nel rispetto

dei limiti del dialogo trascritto. Lo stile della scrittura filosofica odierna è

molto lontana dal dialogo platonico.

XXXIII PARAGRAFO. Si ripete che l’anima del filosofo lo tiene lontano dai

sensi – ritorna sempre la concezione negativa dei sensi e la visione dell’anima

come liberazione dall’incatenamento del corpo. E ancora, l’anima si contrae e

si restringe per potersi allontanare dal corpo e pensare. Al contrario l’anima

che si affida alle sensazioni erra, perché attraverso il piacere ed il dolore è

portata a credere che ciò che esiste nel mondo visibile esista come realtà più

vera, quando invece il vero mondo è il retro-mondo, il mondo delle Idee –

questo è l’errore più grande che l’anima può commettere. Ritorna il Platone

parmenideo, ossia l’esigenza parmenidea del pure e dell’uniforme – ora,

l’anima che soggiace alle affezioni sempre variabile è l’anima che si fa

convincere dal corpo. Non c’è un giudizio etico di Platone, ma ontologico:

l’anima che diviene simile al corpo è l’anima che non segue la sua aspirazione

ontologica, ma si fa incatenare nell’immanenza/sonno ontico del corpo; non

c’è una riprovazione morale, come nel Cristianesimo, invece il giudizio è

ontologico perché riguarda la degradazione dell’anima che soggiace alla

variabilità del mondo in divenire. Quindi, l’esigenza parmenidea riguarda la

distinzione tra il divenire del mondo apparente ed il mondo dell’Essere, che

tuttavia non è monistico, non è un mondo al singolare (Parmenide), ma al

plurale (Idee) – Platone risponde così a quest’esigenza che continua a far

valere. La tesi di Platone: l’anima partecipa al mondo dell’essere, non del

divenire – questa è l’immortalità dell’anima.

XXXIV PARAGRAFO. Penelope fa e disfa la tela: la metafora della tessitura è

inserita perché Socrate dice che l’anima del filosofo non deve fare e disfare,

cioè cadere nuovamente nelle affezioni e sensazioni, perché in questo modo

l’anima “disfa”, cioè si allontana dal suo scopo, che è anche lo scopo della

filosofia, ossia liberare l’anima – la filosofia è liberazione/redenzione e

scoglimento dell’anima dalle catene. Se l’anima del filosofo non fosse severa,

Page 69: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dell'anima è quello di rivelarsi un NULLA, che dopo la morte si dissolva, sia

nulla. Dice Socrate -- inattuale -- che il nutrimento dell'anima, ciò che le da

vita, è ciò che proviene/è affine a ciò che è vero, divino, uniforme e

inconcusso. Tutto ciò che è corpo toglie vita all'anima: il benessere del corpo è

malessere dell'anima. Il benessere viene dalla teoria dell'Essere, del divino. Più

l'anima si è esercitata nella vita filosofica che le consente la separazione dal

corpo, più con la morte potrà librarsi senza il pericolo di diventare nulla: il

dramma del NULLA attraversa tutto il Fedone. Il timore di Simmia e Cebéte

che la morte non sia solo la morte, ma il NULLA. Angoscia. Socrate è ben

consapevole di questo timore: che tutto si dissolva nel nulla.

XXXV. Questo conferma che il dialogo è fatto di pause, di interruzioni, di

silenzii. Pause di silenzio... il dialogo si interrompe. Il dialogo diventa

racconto: Fedone racconta che Simmia e Cebéte discutono tra loro a bassa

voce. FRASE DI SOCRATE IMPORTANTISSIMA: qui Socrate vede Simmia

e Cebéte che parlano tra loro e prende in considerazione le loro perplessità:

loro dubbi: modestia di Socrate che sa di non sapere. Certamente qui si

potrebbero sollevare dubbi; ma c'è un rigore di Socrate: se le difficoltà si

riferiscono a questo, INTERVENITE! Il ritegno di Simmia e Cebéte: non sono

convinti per nulla, e si danno di gomito... avrebbero voglia di interrogare

Socrate... ma come fanno in un momento così brutto. Loro ricadono

nell'opinione, nella concezione negativa della morte, e per Socrate non è così.

Interruzione del canto del cigno: i cigni, animali sacri ad Apollo, sono

"indovini". Il legame di Socrate con Apollo, il legame con la divinazione.

Paragone col canto del cigno, devoto ad Apollo: gli uomini fraintendono, per

paura della morte, il canto del cigno. Socrate paragona le sue parole al canto

del cigno: il canto del filosofo. Simmia e Cebéte sono pronti a parlare, ad

obiettare. Qui inizia un punto importantissimo: Socrate da loro la parola. Le

obiezioni loro sono quelle dei potenziali lettori del dialogo. L'abilità/grandezza

di Platone sta nel rendere dialettico il dialogo: dare la parola (apertura

dialettica) per fare di loro protagonisti da prendere in considerazione.

ZATTERA DEL MARE DELLA VITA: metafora che inizia qui e ritroveremo:

la seconda navigazione di Socrate. Qui preludio importante: si dice che quando

gli argomenti sono complessi, ci sono tre possibilità: apprendere da altri,

trovare da sé, oppure una terza via: la via di Socrate e Platone. Diversa dalle

prime due, accoglie quel LOGOS che sia il migliore e il meno confutabile. Noi

ci muoviamo tra argomenti complessi: non abbiamo a che fare con calcoli, con

agirebbe come Penelope.

Il dramma escatologico dell’anima è quello di rivelarsi nulla – grande timore

che dopo la morte l’anima si dissolva e sia nulla. Dice Socrate che, per

l’anima, tutto ciò che è affine al vero e al divino, è vitale e il suo nutrimento;

ma tutto ciò che ha a vedere con il corpo toglie la vita all’anima – il benessere

del corpo è il malessere dell’anima. Il benessere dell’anima viene dalla teoresi,

dalla contemplazione del vero e divino. Così, più l’anima del filosofo si è

esercitata nella forma di vita filosofica che la separa dal corpo, più potrà

librarsi nell’aria e sciogliersi dal corpo né più potrà rischiare di divenire nulla –

il dramma del Fedone è il Nulla, il dramma espresso da Simmia e Cebete che

la morte sia questo nulla e che tutto si risolva in esso.

XXXV PARAGRAFO. Il dialogo è fatto di pause; il dialogo si interrompe e

segue il silenzio degli interlocutori di Socrate. Qui si fa più che altro il

racconto di cosa succede: Simmia e Cebete discutono tra loro a bassa voce.

Irrompe Socrate, con una frase importante: Socrate vede Simmia e Cebete che

parlano tra loro e prende in considerazione le loro perplessità e i loro dubbi,

qualora ce ne fossero – Socrate esprime anche una grande modestia, lui che

sempre sa di non sapere. Lo sa che si potrebbero sollevare dubbi e obiezioni,

ma se le difficoltà riguardano quanto è stato detto, a maggior ragione Socrate

invita i suoi interlocutori a intervenire. Simmia parla, dicendo che non sono

convinti ed esprimendo allo stesso tempo il loro ritegno, perché vorrebbero

interrompere Socrate, ma considerando il momento delicato in cui egli si trova,

hanno anche paura di disturbarlo – in questo modo Simmia e Cebete ricadono

nella concezione negativa della morte, come se essa fosse un male, ma Socrate

non è disturbato dalla morte e, per questo, essi si sbagliano. L’interruzione del

canto del cigno: Socrate ribadisce che per lui non è un momento malaugurato;

ma riconosce di non riuscire a persuaderli di ciò. Il cigno canta il suo canto più

lungo e bello prima di morire, per la gioia di “ritornare al Dio a cui è devoto”.

Inoltre i cigni sono sacri ad Apollo e sono indovini; anche Socrate ha un

legame con Apollo e con la divinazione – qui è il nesso. Il cigno è legato ad

Apollo, ma la paura della morte, negli uomini, è tale, che essi fraintendono il

suo canto, e ne fanno un lungo lamento – il canto in realtà è per la gioia della

liberazione: così Socrate paragona le sue parole, fraintese anch’esse, al canto

del cigno. Simmia e Cebete ora sono pronti a muovere le loro obiezioni, che

rappresentano anche quelle dei potenziali lettori – l’abilità di Platone è di

rendere dialettico il dialogo e di dargli un’apertura. Viene introdotta un’altra

metafora: la zattera che serve attraversare il mare della vita – metafora che

Page 70: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

verità del calcolo; ma con la verità filosofica: ALETHEIA. Non è una verità

come quella della matematica. E' la verità del LOGOS che appare il meno

confutabile e migliore. Il LOGOS è come una zattera di salvataggio: è il

LOGOS che condividiamo con gli altri che ci fa navigare nel mare della vita.

NB: perché torna nella seconda navigazione: la fuga nei logoi. E' una

navigazione più che una fuga. La filosofia è affidata al LOGOS, è affidata al

"discorso": il valore semantico di LOGOS indica un valore LINGUISTICO,

LOGICO e ONTOLOGICO. Valore triplice. A questo è affidata la Verità

platonica. O c'è la divina rivelazione, o -- altrimenti -- c'è la zattera.

XXXVI. Obbiezione di Simmia: in questa obbiezione l'anima viene paragonata

ad un accordo. L'accordo musicale quando gli strumenti cessano non rimane.

Quindi l'anima non resta. Quell'accordo (armonia) che l'anima è per il corpo...

XXXVII. Socrate non risponde immediatamente; ma da la parola a Cebéte.

Cebéte ha ragione nel dire che stiamo battendo sempre lo stesso chiodo: non

andiamo avanti perché non siamo convinti che l'anima resti una volta

decomposto il corpo. Riemerge l'argomento di Cebéte. Nessun problema con la

prima parte dell'argomento; ma sì, con la seconda parte, Cebéte, ed egli è meno

poetico di Simmia: fanculo all'accordo musicale, ed è qui più prosaico.

Abbiamo girato intorno allo stesso punto: andamento ciclico del dialogo anche

attraverso queste interruzioni. Cebéte non condivide la posizione di Simmia:

l'anima non è sullo stesso piano del corpo -- quindi in ciò ha ragione Socrate --

- e ha una più lunga durata. Cebéte anticipa la domanda di Socrate. Le

posizioni sono differenti; mai due interlocutori uguali con posizioni uguali:

non c'è mai nei dialoghi un fronteggiarsi unico contro Socrate. Immagine di

Cebéte: fino a che punto è lecito servirsi in filosofia di immagini? Nel corso

dei secoli viene delineandosi una dicotomia tra immagine e concetto. Hegel: la

fatica del concetto è la peculiarità della filosofia. Differenza con la letteratura.

E' vero che attraverso i secoli la presenza delle immagini nell'argomentazione

filosofica: fino a che punto il concetto è superamento dell'immagine, o fino a

verrà utilizzata quando si parlerà della seconda navigazione di Socrate. Questo

è un preludio ed un punto importante per Platone; quando si trattano complesse

argomentazioni, ci sono tre possibilità di soluzione: nell’apprenderla dagli

altri; nel trovarla da sé; oppure nell’accogliere quel logos che sia il migliore ed

il meno confutabile, che è la via intrapresa da Socrate e Platone. Platone quindi

ci sta dicendo che ci muoviamo tra argomenti complessi e verità che non

appartengono al calcolo, ma alla filosofia – la verità filosofica è complessa, è

la verità del logos, quello che appaia il meno confutabile ed il migliore. Il

logos è come una zattera di salvataggio; il logos che condividiamo con gli altri

ci fa navigare nel mare della vita – metafora che ritorna a proposito della

seconda navigazione di Socrate, altrimenti detta “fuga dai logoi”. La verità

filosofica è, dunque, affidata al logos, che ha un valore triplice: linguistico,

logico ed ontologico – non c’è una traduzione privilegiata. L’alternativa si

gioca tra la divina rivelazione o la zattera del logos.

XXXVI PARAGRAFO. L’obiezione di Simmia, che fa un paragone tra

l’anima e l’accordo musicale, il quale svanisce e non rimane, cade sempre

sullo stesso punto, cioè viene messa in dubbio la sopravvivenza dell’anima. Il

paragone significa che quell’armonia che l’anima è per il corpo, come gli

accordi musicali, svanisce quando il corpo non c’è più.

XXXVII PARAGRAFO. Socrate non risponde subito a Simmia, ma lascia che

Cebete articoli la sua obiezione. Secondo Cebete si è rimasti alla stessa

questione e non si va avanti, rimanendo il dubbio se l’anima resti dopo la

morte del corpo; non si procede perché si fa sempre, in sostanza, lo stesso

ragionamento. Cebete non ha problemi con la prima parte dell’argomento,

sull’esistenza dell’anima prima del corpo; il problema irrisolto riguarda la

permanenza e la sopravvivenza dell’anima, una volta dissoltosi il corpo.

Cebete è meno poetico di Simmia, che ha cercato un paragone, infattiè più

prosaico e va al dunque. L’andamento del dialogo è ciclico, perché, attraverso

gli intermezzi, si torna sempre allo stesso punto. Cebete non condivide la

posizione di Simmia: l’anima non è sullo stesso piano del corpo, ma è di

moltissimo superiore ed ha più lunga resistenza – qui si trova in accordo con

Socrate. Cebete anticipa una domanda di Socrate: se anch’egli sostiene che

l’anima sia superiore al corpo, perché non si convince della sua immortalità?

Le posizioni dei personaggi, nel dialoghi, sono sempre differenti e mai

completamente uguali; neanche quelle di Simmia e Cebete possono costituire

un unico fronte contro Socrate. Cebete, tuttavia, come Simmia, ha bisogno di

Page 71: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

quanto sono due alternative? Nel caso di Platone: linguaggio particolarmente

pieno di immagini -- uso addirittura del mito -- e dove questo uso viene detto

apertamente. Il caso di Aristotele è opposto, esente da immagini nello stile: cfr.

Organon. Il greco degli Analitici è facilissimo: è il greci che cerca di essere

vicino ad un uso logico-strumentale della lingua. Il Fedone è pieno di

immagini e di paragoni: qui (nel passo) c'è la rivendicazione di un uso non di

soppiatto. Cebéte HA BISOGNO dell'immagine: questa fa parte della filosofia.

Il paragone e la metafora fanno parte della filosofia. Possibilità di argomentare

filosoficamente: Nietzsche è il primo a porla (???) rivendicando l'autonomia

dell'immagine rispetto al concetto (poi tutto il '900). Platone è il modella del

filosofo che usa l'immagine. Vecchio tessitore morto: si riprende l'immagine di

Penelope, del tessere, la vita come tela (Cfr. Cratilo): la vita viene/va tessuta e

quindi l'anima è paragonata ad un vecchio tessitore morto. NB: ragionamento

logico importantissimo. Cebéte mira a rovesciare l'argomento di Socrate: il

corpo dura più dell'anima, e l'ultimo mantello resta per altro incompiuto.

Questa parte del Fedone, sulle obbiezioni... e dalle domande di Simmia e

Cebéte... abbiamo a che fare con dei veri esercizi di logica: e ne troveremo

molti altri. Ci sono già qui le prime prove di logica nella filosofia greca da cui

verrà la logica predicativa di Aristotele. Qui c'è la concretezza dell'esempio, da

cui Aristotele astrarrà. Eravamo al dubbio di Cebéte, alla sua similitudine

(metafora): ripresa della tela di Penelope: ciascuna anima tesse molti corpi. Il

problema dell'ultimo vestito. Cosa succede quando il tessitore muore? rapporto

di questo con l'ultimo vestito. Cebéte è interessato a mostrare che egli non ha

niente contro la persuasione di Socrate che l'anima pre-esista; ma non che

l'anima sopravviva al corpo. Diverso da Simmia: per Cebéte l'anima è diversa

dal corpo; ma anche l'anima muore. L'anima trasmigra da un corpo all'altro e

nella vita dell'anima arriva alla sua fine e deve lasciare l' "ultimo corpo". Il

rapporto è come quello del tessitore e dell'ultimo mantello. 87d: come si

consumano tanti vestiti, si consumano tanti corpi: corpo-vestito.

Necessariamente l'anima muore prima dell'ultimo corpo che incarna. Anche se

è evidente che il corpo imputridirà. Che la fiducia di Socrate non sia assurda...

[infatti] noi non possiamo sapere che il nostro non sia l'ULTIMO corpo

incarnato. O si dimostra che l'anima è immortale in tutti i sensi

(ATHANATOS); ma se si dimostra solo per la prima parte, allora resta il

dubbio che l'anima perisca nella sua trasmigrazione: allora non possiamo mai

sapere se il mio sia l'ultimo corpo. Cebéte rimane perplesso. La fiducia di

Socrate potrebbe essere assurda e mal riposta. Sono esercizi di logica

importanti, poiché servono a che piano piano si delinei la struttura della logica.

servirsi di un’immagine. Una grande questione in filosofia riguarda proprio la

liceità dell’uso delle immagini; infatti nel corso dei secoli si delinea una

dicotomia tra immagine e concetto – la fatica del concetto di Hegel è in realtà

la peculiarità della filosofia, distinta dalla letteratura, che non conosce la fatica

del concetto. Ma rimane la questione della presenza delle immagini

nell’argomentazione filosofica, questione che riguarda la liceità e la distinzione

tra le due cose. Il caso di Platone offre un linguaggio ricchissimo di immagini,

specialmente nel ricorso al mito, tanto che, a questo punto del dialogo, viene

esplicitata la necessità del ricorso all’immagine, da parte di Cebete – Aristotele

è il caso opposto, il suo stile è esente da immagini. Anzi, proprio nel Fedone e

proprio in questo punto c’è la rivendicazione dell’immagine: Cebete, per farsi

capire, dice che ha bisogno dell’immagine e la rivendica alla filosofia –

l’immagine è il paragone, la metafora, che fa parte dell’argomentazione

filosofica. La questione dell’immagine in filosofia è posta anche da Nietzsche,

che rivendica l’autonomia dell’immagine. Platone invece è il modello del

filosofo che fa uso delle immagini per filosofare. L’immagine proposta da

Cebete, dunque, è quella di un”vecchio tessitore morto”; si rinvia in questo

modo alla metafora della tessitura, ripresa anche nel Cratilo – la vita è una tela

che viene tessuta. L’anima è paragonata da Cebete ad un vecchio tessitore. Il

ragionamento logico sottostante è importante: stando alla visione di Cebete, è

come se Socrate dicesse di un vecchio tessitore morto che è vivo e vegeto;

Cebete ha anche l’intento di rovesciare l’argomento di Socrate, perché risulta

infine che sia il corpo a durare più dell’anima – Socrate dice il contrario. Il

tessitore tesse un mantello dopo l’altro, per poi giungere a tessere l’ultimo suo

mantello, che sopravvive al tessitore – allora è l’anima che termina prima del

corpo, perché, dopo di lei, resta l’ultimo mantello, che è incompiuto.

Il passo di Cebete costituisce uno dei tanti esercizi di logica presenti nel testo;

è importante il nesso tra analogia e logica, infatti l’analogia che lega il

mantello ed il corpo è una delle prime prove di logica della filosofia greca,

prove che in seguito delineeranno la logica vera e propria – uno dei suoi

sviluppi è la logica predicativa di Aristotele. Con Platone si rimane alla

concretezza degli esempi e non si ha ancora quel processo di astrazione che

sarà la logica aristotelica.

La similitudine di Cebete è chiara e riprende la metafora della tela di Penelope,

dicendo che ciascuna anima tesse molti corpi. Il problema che si pone Cebete

riguarda l’”ultimo mantello” – cosa avviene all’ultimo mantello quando il

tessitore muore? La dimostrazione filosofica di Cebete, che non ha nulla contro

la persuasione di Socrate che l’anima preesista al corpo, mette in luce che il

Page 72: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Non sono ridicoli da questo punto di vista. Cebéte un po' produce uno

smarrimento: mette in dubbio quella fiducia ottimistica alimentata da Socrate.

XXXVIII. L'effetto delle parole di Cebéte è di smarrimento: producono il

dubbio: egli è l'uomo del dubbio che attraversa gli astanti. Socrate non dubita.

E' Cebéte che infonde il dubbio. Si fa strada la MISOLOGIA: la sfiducia nei

LOGOI, nei ragionamenti, che appaiono capziosi (intricati, cavillosi,

"ingannevoli": c'è l'idea del raggiro). Viene instillato il dubbio e la sfiducia nei

LOGOI. Fra poco Socrate riflette sulla MISOLOGIA. Echecrate acuisce il

dubbio: a quale ragionamento potremo ancora prestar fede? Il LOGOS di

Socrate ci aveva convinti, eppure è stato smontato. Il ragionamento capzioso ci

ha instillato questo dubbio. Echecrate dubita ed ha bisogno che qualcuno lo

convinca che l'anima non muoia col corpo. Qui c'è una NARRAZIONE di

Fedone. Echecrate partecipa alla narrazione. Echecrate è quasi un personaggio

ulteriore perché partecipa alla narrazione: come ha reagito Socrate? Fedone:

non l'ho mai ammirato tanto come l'ultima volta. ULTIMO TUTTO: CORPO,

VESTITO, VOLTA. Socrate non si è smentito, avrebbe potuto farlo: perché se

tutto finisse con la morte del corpo, cosa gli importerebbe dell'ultima volta?

perché dovrebbe comportarsi bene? perché non si smentisce davanti al nulla

della morte? che ti frega delle ultime ore se tutto finisce e nulla resta? Socrate

non si smentisce e con la morte conferma la sua vita, fermo nelle sue

problema, tuttavia, riguarda la possibile sopravvivenza dell’anima al corpo –

Cebete non è convinto. Egli crede, a differenza di Simmia, che l’anima sia

superiore al corpo e più duratura di esso, ma che, ad un certo punto, anch’essa

muoia; trasmigrando da un corpo all’altro, nel corso della sua vita, anche

l’anima infine giunge a morire – qual è il rapporto tra l’anima e l’ultimo corpo,

e quindi, tra il tessitore e l’ultimo mantello?

[87 d]. L’anima consuma tanti corpi; avviene necessariamente che, alla fine,

l’anima muore prima dell’ultimo corpo che incarna – questa la similitudine

rispetto al tessitore e al mantello. La fiducia di Socrate, per Cebete, potrebbe

essere assurda: non possiamo sapere che il nostro corpo non sia l’ultimo

incarnato dall’anima – al momento del congedo dal corpo, l’anima potrebbe

morire. O si dimostra che l’anima è a-tanathos in tutti i sensi, ossia che preceda

e che sopravviva al corpo; oppure si dimostra solo la prima parte

dell’argomentazione – e così persiste il dubbio che l’anima perisca, il dubbio

che, nella trasmigrazione, il mio corpo sia l’ultimo. Cebete rimane perplesso;

la fiducia di cui Socrate si nutre, ossia che l’anima sopravviva al corpo, può

darsi che sia mal riposta. A tale obiezione di Cebete, che è un esercizio di

logica, sopraggiunge un generale smarrimento che mette in dubbio la fiducia,

quasi ottimistica, che Socrate aveva alimentato.

XXXVIII PARAGRAFO. Le parole di Cebete producono un effetto di

smarrimento – Cebete è l’uomo del dubbio, e il dubbio è il risultato; Socrate,

invece, non ha mai dubitato che la morte sia una liberazione. Si fa strada

intanto ciò che, più avanti, verrà chiamata la “misologia”, cioè la sfiducia nei

logoi, nei ragionamenti che appaiono capziosi, intricati e inviluppati – Socrate

rifletterà sulla misologia.

Parla Echecrate, che acuisce maggiormente il dubbio: il logos di Socrate è stato

smontato; pur nella sua capziosità, il logos di Cebete è riuscito ad instillare il

dubbio nei confronti del logos di Socrate – Echecrate ha bisogno, dubitando,

che qualcuno lo convinca che l’anima non sia mortale. Echecrate partecipa alla

narrazione, interrompendo Fedone che racconta; così egli si fa personaggio

ulteriore del dialogo, perché interviene e al contempo dubita anche lui; in

particolare, Echecrate chiede quale sia stata la reazione di Socrate. Fedone

ritorna a parlare, iniziando con il dire che lui stesso ha sempre ammirato

Socrate, e mai come quell’ultima che parlò. Ritorna il concetto di “ultimo”

(ultimo istante, corpo, mantello) – se tutto finisse con la morte del corpo, cosa

importerebbe a Socrate dell’ultima volta, o di condurre bene la sua vita, di non

smentirsi dinnanzi al limite estremo? L’ultima volta è importante, proprio

Page 73: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

convinzioni e nella sua condotta. L'ho ammirato per la BENEVOLENZA con

cui ha accolto i LOGOI di Simmia e di Cebéte: poteva anche non farsi

interrompere da questi LOGOI capziosi, cavillosi... eppure Socrate li ha

accolti. E la penetrazione con cui si è accorto del turbamento altrui... e per il

modo in cui riesce a parare il colpo, a porre RIMEDIO, esortando gli altri a

riesaminare il ragionamento con lui. Fedone è di Elide, è uno straniero e ha

l'abitudine straniera di portare i capelli lunghi: non ti tagliare i capelli per il

lutto, gli dice Socrate. Socrate ribadisce così che la sua anima è immortale e

non c'è motivo di tenere lutto. Fino alla fine Socrate farà anche dei gesti come

questi che dicono: la mia anima non morirà. IMPORTANTE: Socrate dice: noi

entreremo nel rito del lutto (tagliare i capelli) se ci morirà il ragionamento.

Questo conta davvero. E se non potremo farlo rivivere [il ragionamento]: c'è il

timore che si possa perdere la fiducia nel ragionamento e perdere il

ragionamento stesso. Questa sarebbe la perdita definitiva. Perché proprio qui la

preoccupazione per il LOGOS? perché è dalla PSYCHE che scaturisce il

LOGOS, è la fonte del LOGOS, e se il LOGOS sopravvive alla morte... quindi

l'anima sopravvive grazie al LOGOS (questa è la reciproca). E' il LOGOS, che

mantiene l'anima, che va al di là della morte, e qui [finalmente direi] qualcosa

di nuovo. E non per caso a partire da 89d inizia la parte celeberrima dedicata

alla MISOLOGIA. Proprio quando subentra la sfiducia nel LOGOS (valore

semantico ampio), proprio qui interviene Socrate non solo per salvare il

LOGOS, ma per introdurlo saldamente nel dialogo: da qui in poi il ruolo

importantissimo. Socrate pensa l'immortalità attraverso il LOGOS, grazie al

LOGOS. Ciò che resta dell'ANIMA è il LOGOS.

XXXIX. MISOLOGIA: prendere in odio i LOGOI, i "discorsi" -- cattiva

traduzione. REALE traduce con "ragionamenti". IMPORTANTE: parallelo

con la MISANTROPIA, che è un guaio... come si finisce per odiare gli

uomini... così... quando ci affidiamo completamente per poi scoprire che

abbiamo riposto male la nostra fiducia... e poi facciamo di tutta l'erba un

fascio. Questo inconveniente può sorgere anche con i LOGOI. 90b Riferimento

agli Eristi: si dicono tali la seconda generazione dei Sofisti. Li incontriamo nel

Sofista. Eutidemo, Dionisodòro, etc. Platone dedica ad Eutidemo un dialogo

omonimo: è impossibile leggere il Sofista senza far riferimento a questo e ai

Sofisti. Nell'ultimo decennio dibattito sui Sofisti: cfr. Barbara Cassin. Su di noi

pesa il giudizio di Platone e Aristotele: giudizio molto negativo. Quando però

Platone e Aristotele li hanno di mira e non li nominano... non si riferiscono

tanto a Protagora, a Gorigia o a Prodico, padre nella "sinonimica"... non sono

perché non finisce tutto; la morte di Socrate, ulteriormente e fino all’ultimo,

conferma la sua vita, per cui la sua condotta rimane salda. Fedone ha ammirato

Socrate per vari motivi: la benevolenza con cui ha accolto i discorsi degli altri,

cui avrebbe potuto anche non interessarsi, se si considera il fatto che sono stati

logoi cavillosi e che hanno instillato il dubbio; inoltre Socrate ha accolto il

turbamento prodotto negli altri; infine Socrate ha saputo porre rimedio,

esortando gli altri a riesaminare con lui il ragionamento.

Fedone propone una scena concreta: Socrate dice a Fedone di non tagliarsi i

capelli, poiché era usanza quella di tagliarsi i capelli durante il lutto, e il lutto è

un rito – Fedone è di Elide, è uno straniero ad Atene, e soleva portare i capelli

lunghi. Socrate dice che non ci sarà bisogno di tagliare i capelli, perché non ci

sarà lutto, dato che la sua anima è immortale – Socrate sino alla fine compirà

gesti come questo, gesti che vogliono dire che la sua anima non morirà. Tutti si

taglieranno i capelli, entrando nel rito del lutto, se morirà il logos, che è ciò che

conta davvero; se non riusciranno a far rivivere il logos allora saranno in lutto,

per questo Socrate propone di riesaminare il ragionamento – in questa fase c’è

il timore che si possa perdere il ragionamento, il logos stesso, e ciò sarebbe

decisivo. In questo punto del dialogo c’è l’insistenza sul timore di perdere il

logos – nesso tra la morte e il logos. Infondo il timore c’è perché è l’anima che

ragiona; è dalla psychè che scaturisce il logos, per questo il fatto di perderlo

sarebbe un lutto. C’è vuol dire che anche il logos sopravvive alla morte e

l’anima sopravvive grazie al logos, e il logos, allo stesso tempo, scaturisce

dalla psychè; è il logos che va al di là della morte, che sopravvive e che

mantiene l’anima – questo è qualcosa di nuovo nel Fedone.

XXXIX PARAGRAFO. Inizia la parte dedicata alla misologia. Sta avvenendo

qualcosa di nuovo: quando sembra subentrare la sfiducia nel logos, in questo

momento interviene Socrate per salvarlo e per introdurlo saldamente nel

dialogo. A partire da qui il logos svolge un ruolo importante, perché Socrate,

grazie al logos, pensa all’immortalità dell’anima; ciò che resta dell’anima è

logos – per questo viene introdotta la riflessione sulla misologia.

C’è un inconveniente, cioè quello di diventare misologi – la misologia è

prendere in odio i logoi (non è sufficiente dire “ragionamenti”). La misologia e

la misantropia nascono allo stesso modo; la misologia è un guaio al pari della

misantropia – parallelo importante. Come si finisce per odiare gli uomini, così

si finisce per odiare i logoi: si diventa misantropi quando si ripone in qualcuno

la propria fiducia, quando si fa completamente affidamento su qualcuno, per

poi capire che quella fiducia è stata riposta male, e rischiare di estendere questa

Page 74: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

tanto i primi sofisti ad essere bersaglio, quanto la seconda generazione: gli

Eristi. Questi determinano uno spostamento della Sofistica, abbandonando

alcuni temi cari ai primi sofisti, come l'EULEGHEIN e le analisi linguistiche...

Protagora si era in impegnato (o ingegnato?) nello studio della lingua omerica:

nasce la grammatica... Gli Eristi [invece] si specializzano nelle DISPUTE:

rendere più forte il discorso più debole e avere la meglio nella disputa:

IMPORSI più che accettare il LOGOS altrui. Un conto è il dialogo socratico,

un conto è la disputa: differenza abissale. Al tempo di Socrate la MAIEUTICA

veniva preso per una DISPUTAZIONE ERISTICA. Il dialogo ne è l'opposto

perché c'è accoglienza del LOGOS dell'altro, anche se capzioso, ridondante, di

interruzione... Socrate si deve distanziare qui dagli Eristi. Il "dialogo": sempre

all'insegna del "so di non sapere". Per l'Erista il rapporto con l'altro è

AGONALE: c'è qualcosa di violento. Gli Eristi eccedono nella necessità di

avere la meglio: ma la cosa è più profonda. Eutidemo sviluppa dei LOGOI

elencati da Platone che costituiranno dei veri problemi logici: PARADOSSI

FILOSOFICI E LOGICI: il mentitore, il sorite... quasi irrisolvibili. Gli Eristi

metteranno in dubbio la possibilità della predicazione: estremizzando

Parmenide mettono in dubbio la possibilità stessa del LOGOS. Giungono a

minare il LOGOS. Sviluppano degli argomenti basati sulla LOGICA

ARCAICA (cfr. Guido Calogero), logica basata sui fondamenti filosofici dei

Presocratici. [Anche] socratici minori. Gli Eristi si incontrano con i Cinici, coi

Cirenaici e finiscono per convergere in questo intendimento di minare il

LOGOS, che sarebbe "unità del molteplice", e quindi contraddizione! infatti si

pretenderebbe di tenere insieme essere e non-essere. Per Platone è un problema

enorme: o egli risolve il problema della predicazione o la filosofia finisce e si

chiude con l'ESTI di Parmenide. Se non si salva il LOGOS, non si salva la

filosofia. Qui si gioca l'immortalità del LOGOS. Nesso anima-LOGOS-

filosofia. Nel "Sofista" c'è la risposta di Platone al problema della

predicazione, e non si tornerà più indietro: pietra miliare anche dal punto di

vista logico-linguistico. Come è possibile l'unità del molteplice e quella

contraddizione parmenidea? cfr. Sofista. Per Socrate gli Eristi perdono il loro

tempo: non c'è né salvezza né verità in questi. L'alternativa drammatica tra

l'ESTI di Parmenide (l'unico discorso vero e reale) e la posizione degli Eristi

(per cui nulla è vero né saldo): da una parte una verità monistica, ferma, troppo

salda, che esclude tutto il resto, e dall'altro il VORTICE degli Eristi. Tutto

diventa un VORTICE in cui non c'è più Vero e Falso. Da una parte la violenza

(perché definitivo) di Parmenide, dall'altro degli Eristi che con la loro

imperizia (?) / vertigine / gioco (?) fanno passare il Falso per Vero e vice versa.

sfiducia a tutti gli uomini – lo stesso inconveniente può sorgere con i logoi.

[90 b]. “Quei tali che perdono il lor tempo a ragionare pro e contro”:

riferimento ai Sofisti e, in particolare, alla seconda generazione dei Sofisti, gli

Eristi – Protagora, Gorgia e Prodico non furono Eristi. Tra i più famosi Eristi

vi sono Eutidemo e Dionisodoro –“Eutidemo” è anche un dialogo di Platone. I

Sofisti non godono di buona fama, nonostante il dibattito dell’ultimo decennio

che ha portato ad una rivalutazione della Sofistica, ma per noi pesa il giudizio

di Platone ed Aristotele, estremamente negativo. In realtà, quando loro

prendono di mira i Sofisti, pur non nominandoli, come accade in questo passo

(“quei tali”), si riferiscono ai Sofisti di seconda generazione, che determinano

uno spostamento della Sofistica, quindi un abbandono di alcuni temi filosofici

cari a Protagora e a Gorgia – tema dell’euleghein e le analisi linguistiche e

grammaticali (Protagora si occupa dei testi omerici). Gli Eristi invece sono

specializzati particolarmente nelle dispute, nel rendere più forte il discorso più

debole; non hanno interesse a cogliere il logos dell’altro, ma a prevalere

sull’altro. Il dialogo socratico è quanto mai lontano dalla disputa sofistica; ma,

ai suoi tempi, venendo Socrate preso per un Sofista, anche la sua maieutica

filosofica passava per una disputa eristica – c’è la costante necessità da parte di

Socrate di prendere le distanze dall’Eristica. Nel dialogo socratico, infatti, c’è

tutt’al più l’accoglienza del logos dell’altro, anche se questo risulta capzioso e

provoca turbamento – infondo è sempre un dialogo all’insegna del “so di non

sapere”, per questo Socrate da’ sempre ragione all’altro. Il rapporto tra l’Erista

e l’altro, al contrario, è agonale, conflittuale, quasi violento: l’Erista deve tener

conto di ciò che vuole far prevalere, e basta; così il linguaggio è una sorta di

arma; la sola necessità è avere la meglio su tutti. Gli Eristi, come Eutidemo,

hanno sviluppato dei logoi, che vengono elencati, e che costituiscono dei veri e

propri problemi logici, dei paradossi filosofici – paradosso del mucchio e del

mentitore (risolto nel ‘900). I paradossi logici non sono solo capziosi, ma quasi

irrisolvibili, e questo è un problema per Platone. In particolar modo, gli Eristi

mettono in dubbio la possibilità della predicazione e del logos, estremizzando

la posizione di Parmenide. Gli Eristi sviluppano argomenti logici, basandosi

sulla logica arcaica (argomenti logici dei presocratici) – studi di Guido

Calogero in merito. Non a caso gli Eristi condividono con alcune scuole

socratiche minori (Cinici, Cireneici) questo intendimento: il logos non è

possibile, perché esso è l’unità del molteplice, la quale a sua volta non è

possibile; inoltre il logos è sempre in contraddizione, perché con esso si

pretende di tenere insieme essere e non-essere – questo è un problema per

Platone, e le soluzioni possono essere solo due: o si risolve il problema della

Page 75: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Per Platone questi instillano la sfiducia nei LOGOI e non sanno ragionare:

Platone eredita (?) il problema della misologia che uccide la filosofia. Questa

non può esserci se c'è quella. La misologia è più grave della misantropia, e gli

Eristi provocano sfiducia nella filosofia: la stravolgono. Con Cebéte finiamo

per avere sfiducia per il LOGOS e la filosofia: se c'è sfiducia nel LOGOS non

ci può essere filosofia. Il filosofo si ferma per fare questo richiamo. Per Platone

la filosofia è fatta di LOGOI (NB) e d'altra parte gli Eristi sono sicuramente un

problema che Platone eredita da Socrate: deve trovare una via d'uscita dal

dramma: Parmenide (l'unico LOGOS vero e reale è quello che dice ESTI) VS

gli Eristi (tutto e il contrario di tutto, a seconda dei casi). SEVERINO: è un

parmenideo, ha rilanciato Parmenide... PARMENIDE: concetto monistico e

violento di ALETHES. Qui Platone si trova davanti ad un'alternativa (molto

attuale): Verità monistica o la molteplicità degli Eristi, che giocano col Vero e

col Falso. Platone mira ad una Verità altra (o alta?) che non mira a farsi

dissolvere eristicamente; ma neanche parmenidea. Verità affidata al LOGOS

salvato, affidata al dialogo socratico.

XL. Non dobbiamo fare come gli Eristi che non si riconoscono la colpa, ma

incolpano i ragionamenti. Gli Eristi non sono veri filosofi: non hanno

un'educazione filosofica, perché vogliono avere ragione a tutti i costi. Quando

discutono di un argomento... il rapporto che hanno con la verità... Socrate ha il

predicazione, oppure la filosofia si chiude con Parmenide. Se non si risolve il

logos non si può salvare la filosofia – il problema riguarda anche l’immortalità

dell’anima, connessa a quella del logos: se non si salva il logos, non si salvano

né l’anima né la filosofia. Il nesso si complica, perché implica il logos, l’anima

e la filosofia. L’excursus sul logos è la risposta che da’ Platone al problema

della predicazione, e da cui non si tornerà più indietro – pietra miliare anche

dal punto di vista logico-linguistico.

Per Socrate gli Eristi argomentano pro e contro e perdono tempo, senza che in

questo ci sia saldezza e verità. L’alternativa di Socrate è drammatica, perché i

suoi due termini sono: l’esti di Parmenide (discorso unico) o la posizione degli

Eristi, ai quali sembra che nulla sia vero e saldo; quindi da una parte c’è una

verità troppo salda, monistica, che esclude le altre e che si impone con una

certe violenza, mentre dall’altra parte ci sono gli eristi, per cui tutto diventa

una specie di vortice, e con la cui imperizia fanno passare il vero per il falso e

viceversa – è un gioco, una vertigine. Gli Eristi sono colpevoli, perché non

sanno ragionare, addossando ingiustamente questa colpa allo stesso logos, che

sarebbe per loro una contraddizione; gli Eristi instillano la sfiducia nei logoi, la

misologia – ma dove c’è la misologia non c’è filosofia. Essi sono colpevoli di

produrre l’odio verso i logoi, dicendo di essi che sono contraddittori. La

misologia, per Socrate, è quasi più grave della misantropia. Quei tali

producono, con ragionamenti capziosi, la sfiducia nella filosofia –

inevitabilmente coinvolgono la filosofia. Il risultato, l’inconveniente, è che non

solo si ha sfiducia nei logoi, bensì, la misologia, comporta al contempo la

sfiducia nella filosofia – la filosofia è fatta di logos. Socrate si ferma per fare

questo richiamo. Per Platone la filosofia è fatta di logoi; per questo rimane

nell’esigenza di trovare una via d’uscita dal dramma di avere da una parte la

verità di chi dice “esti” (unico logos vero e reale), e dall’altra la vertigine di chi

dice tutto il contrario di tutto, del vero che è falso e del falso che è vero, di chi

relativizza la verità a seconda delle circostanze – ma vero è “alette”, quello

violento ed esclusivo di Parmenide. Socrate si trova di fronte ad un’alternativa,

che è molto attuale. Platone invece mira ad un’altra aletheia, che non si riduca

all’esti, e che non dissolva eristicamente; questa verità sarà affidata al logos

(salvato), cioè al dialogo socratico.

XL PARAGRAFO. Non bisogna agire come gli Eristi, che non sanno

ragionare e danno la colpa ai logoi, proiettando su questi la propria mancanza,

e rendendosi maggiormente responsabili. Secondo punto: gli Eristi non sono

veri filosofi, perché chi ha educazione filosofica non vuole aver ragione a tutti

Page 76: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

rispetto per la Verità, mentre quelli non si curano di questa [la verità] in ciò di

cui stanno ragionando; ma di imporsi personalmente facendo passare/apparire

vere le loro tesi: non ricercano la Verità. Al filosofo interessa di ricercare la

Verità nella comunanza con gli altri, nel dialogo; mentre quello [l'Erista] ha

bisogno dell'altro solo per avere ragione su di lui. Socrate vuole distanziarsi da

questi: e la differenza sta in questo (nel rapporto con la Verità). E' più

importante la Verità di Socrate stesso; il contrario vale per gli Eristi. IL

GUADAGNO (frase importante). Se è Vero è bene persuadersene, se è Falso

l'inconveniente è nullo, tutto sommato porta un beneficio per la buona morte.

Socrate dice: "io vivrò": quindi o dice il Vero, oppure non ne viene nulla di

male, anzi, perché non ha angustiato gli amici con la propria morte. [parallelo

con la scommessa pascaliana]. La disposizione d'animo di Socrate è la

"serenità": quello che conta è la Verità. QUI PRESA DI POSIZIONE IN DUE

PARTI: 1. quello che Socrate sostiene è un'idea di immortalità che è legata al

LOGOS: di Socrate resterà il LOGOS. Idea di immortalità molto vicina a noi.

Socrate si affiderà al LOGOS e non ne verrà male: lascerà i suoi amici

dialogando. 2. La Verità che sostiene Socrate chiede il consenso agli altri:

TERZA VERITA' rispetto alla posizione di Parmenide e a quella degli Eristi.

Verità che scaturisce dal dialogo con gli altri, che non ci può essere senza

l'accordo con gli altri. L'intermezzo sulla MISOLOGIA è importante, da qui il

dialogo prende una nuova piega. Non sono importanti le prove, perché è al suo

LOGOS che è affidata la sua immortalità, LOGOS affidato ai suoi amici. E da

qui l'importanza del LOGOS.

L'obiezione di Cebéte e risposta di Socrate: la risposta è importante perché qui

si trova una delle testimonianze decisive della posizione di Socrate: il congedo

dai fisiologi... con Socrate la filosofia entra nella POLIS. Socrate parla in

modo autobiografico -- la filosofia di Socrate ha sempre riferimenti

autobiografici -- e Socrate è critico nei confronti dei fisiologi: contro

Empedocle, Anassagora, Archelao. In generale è critico nei confronti di tutta la

filosofia precedente, lasciando da parte i sofisti, bersaglio invece della

misologia. Socrate prende posizione prima nei confronti dei sofisti (e resterà in

eredità a Platone e Aristotele) e poi nei confronti dei fisiologi, i Presocratici.

Non tanto Eraclito e Parmenide, ma di quelli altri: la filosofia ateniese prima di

Socrate; nello specifico: Anassagora e Archelao. Dopo aver criticato questi,

Socrate parlerà della sua conversione/abbandono delle ricerche naturalistiche

per rivolgersi alla seconda navigazione (nome enigmatico): seconda

navigazione o fuga nei LOGOI. Le traduzioni sono molto fuorvianti: LOGOS

come "concetto" o "postulato": proprio NO! la scelta di Reale è coerente con la

i costi; il vero filosofo ha rispetto della verità; gli Eristi si curano soltanto di

imporsi personalmente, di far apparire veri i loro discorsi, ma non si

interessano di ricercare la verità. Al filosofo interessa cercare la verità, ma

questa si trova nel dialogo, nella comunanza con l’altro; l’Erista ha bisogno

dell’altro esclusivamente per far apparire vere le proprie tesi. Per il filosofo è

più importante la verità di Socrate; per l’Erista è più importante l’Eutidemo

della verità. Poi Socrate, con la sua ironia, parla di “guadagno”: se quello che

lui dice risulta vero, allora è bene persuadersene; se non fosse vero, comunque

l’inconveniente non ci sarebbe, anzi, si avrebbe un beneficio – infondo non si

sta lamentando con gli amici, perchè Socrate si rimette tranquillamente alla

giustizia. La sua anima vivrà, questo dice: se fosse vero tanto meglio

persuadersene; se fosse falso allora nulla di male, perché in nessun modo ha

angustiato/infastidito i suoi amici. Resta il fatto che la sua disposizione

d’animo è per la verità. Socrate prende posizione in due modi: 1) quello che lui

sostiene è l’idea dell’immortalità dell’anima, sempre più legata al logos – quel

che resterà di Socrate è il logos, e Socrate si dispone in modo da affidarsi ad

esso, senza infastidire gli amici, ma solo parlando; 2) la verità che lui sostiene

richiede il consenso degli altri, scaturisce dallo stesso dialogo con gli altri – si

tratta di una terza verità, rispetto all’alternativa tragica fra gli Eristi e

Parmenide.

L’intermezzo sulla misologia serve a dare un nuovo slancio al dialogo: non

sono poi così importanti le tre prove, ma ciò che è saldamente importante è di

certo il logos, a cui è affidata l’immortalità di Socrate, poiché la sua parola è

affidata agli amici – qui è il nodo dell’immortalità.

La risposta di Socrate all’obiezione di Cebete è importante, in quanto è la

testimonianza decisiva della posizione di Socrate – congedo dai physiologoi ed

ingresso della filosofia nella polis. La filosofia di Socrate ha sempre degli

elementi autobiografici. La sua critica si rivolge in particolare a tre filosofi:

Empedocle, Anassagora e Archelao – in generale è critico nei confronti della

filosofia che lo ha preceduto, a parte i Sofisti, bersaglio della precedente

risposta. In questa parte del Fedone Socrate prende posizione prima contro i

Sofisti (eredità che lascia a Platone e Aristotele) e poi contro i physiologoi,

cioè i presocratici, eccetto Eraclito e Parmenide. Quella che è la “filosofia

ateniese”, prima di Socrate, è in particolar modo la filosofia di Anassagora e

Archelao. Dopo aver criticato i physiologoi, Socrate parlerà della sua

conversione, cioè l’abbandono delle ricerche naturalistiche, per rivolgersi alla

“seconda navigazione”, anche detta “fuga nei logoi” – denominazione

enigmatica. In greco i “logoi” non sono la stessa cosa che “logos”: qui si parla

Page 77: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

sua interpretazione: vede in Platone il fondatore della metafisica e sostenitore

della teoria dei principii. Noi manterremo il termine greco di LOGOS in tutta

la sua estensione e ambiguità. Qui vi è una scelta decisiva da parte di Socrate,

che abbandona non solo le indagini naturalistiche; ma anche la ricerca delle

cause. Abbandona anche una imitazione della scienza: invece Socrate

rivendica l'autonomia della filosofia: Verità non riducibile al percorso

scientifico. 95a: confutazione del dubbio di Cebéte. 95c: ricapitola l'esigenza di

Cebéte. 95d: ... La perplessità di Cebéte riguarda il fatto che l'anima fosse

sottoposta ad un processo di generazione e corruzione: serpeggiata (?) in tutto

il dialogo: la questione è quella del DIVENIRE. Questa implica il passaggio da

ESSERE a non-ESSERE, e vice versa. Sulla base dei principi ontologici di

Parmenide è impossibile il divenire: questo passaggio costituisce un problema

per tutta la filosofia Presocratica. Il grande problema del non-Essere nella

filosofia greca. Che cosa vuol dire non-Essere? se questo ha valore ontologico,

non si spiega il passaggio. Ripercussioni logiche e linguistiche. Il problema dei

contrarii ontologici ha queste conseguenze: è inspiegabile la predicazione e la

SUMPLOCHE'. Socrate per rispondere inizia a criticare i fisiologi: Socrate

non spiega la generazione e la corruzione; ma parla della sua

esperienza/delusione come filosofo. Indagine sulla natura: PERI FUSEOS era

uno dei titoli preferiti dai Presocratici. FUSIS diverso dal nostro NATURA. I

greci intendono il principio da cui tutti gli enti derivano: quindi due questioni

distinte: 1. sull'essenza. 2. sull'origine di tutte le cose. FUSIS = essenza e

origine. Anche Socrate fu affascinato da queste ricerche: Socrate allievo di

Archelao. Socrate ha avuto a che fare con quella filosofia naturalistica --

massimo esponente Anassagora -- esportata dalla Magna Grecia ad Atene. Qui

rimembranza degli anni passati. L'impostazione delle ricerche naturalistiche: la

domanda sulla causa, per sapere perché ciascuna cosa si genera. ATTUALE.

Impostazione causalistica: interrogarsi sulla causa. Esempio su Maurizio

Ferraris: impostazione causalistica... si interroga su "perché". Ad esempio: la

causa della percezione. Fortemente influenzato dall'impostazione scientifica:

causa-effetto. Risalire dall'effetto alla causa. Socrate critica questo -- pagina

spartiacque -- e fa una sorta di DOSSOGRAFIA, riepilogo delle varie

posizioni. Socrate ci dice che i fisiologi si sono posti la questione degli

elementi: esigenza di trovare un principio unitario a partire dal quale spiegare

la natura di tutte le cose. Quello che Socrate qui contesta/critica -- al di là di

identificazione della FUSIS con gli elementi -- è l'impostazione che vale per

l'EPISTEME ma non vale per la filosofia. Linea di demarcazione tra scienza e

filosofia tracciata da Socrate. Non contesta una dottrina precisa di questa

di “concetti” o “postulati”, ma sono traduzioni che non rendono – Reale

traduce con “postulati”, perché, vicino alla scuola di Tubinga, segue la sua

interpretazione di Platone (metafisica e teoria dei principi), vedendo nella

“seconda navigazione” un’esigenza di rigore filosofico. La seconda

navigazione è una via che porta verso i logoi – complessità semantica – è la

scelta decisiva dell’abbandono delle indagini naturalistiche, del procedere per

causa-effetto, si una sorta di imitazione della scienza – visione riduzionista

della filosofia. La scelta della seconda navigazione è la rivendicazione

dell’autonomia della filosofia e di una verità non riducibile alla ricerca

scientifica.

XLIV PARAGRAFO. [95 a – c]. Inizia la terza prova e la risposta a Cebete.

Socrate ricapitola l’esigenza avanzata da Cebete, il quale pensa che, nella

trasmigrazione dell’anima, l’anima termini – dubbio sulla fiducia del filosofo

riposta nella vita al di là; l’anima è sottoposta ad un processo di corruzione,

come il corpo. Cebete dunque pone una questione che era latente nel corso di

tutto il dialogo, ossia la questione del “divenire”, più che della corruzione: il

divenire implica il passaggio dall’essere al non-essere e viceversa, e, sulla base

di principi ontologici sostenuti specialmente da Parmenide, è impossibile il

divenire, perché non è dato il passaggio dall’essere al non-essere – problema

della filosofia presocratica. Il grande problema della filosofia greca è il non-

essere – se il non-essere non ha, come invece l’essere (Parmenide), un valore

ontologico, non si spiega il passaggio. Il problema dei contrari sul piano

ontologico, ha ripercussioni anche sul piano linguistico e logico; risulta

inspiegabile l’intreccio di essere e non-essere nel logos e nella predicazione.

Socrate risponde alla questione, iniziando a criticare i filosofi naturalisti; lui

non spiegherà a Cebete la generazione e la corruzione, ma inizia a raccontargli

la sua personale esperienza come filosofo, che in realtà fu una delusione –

indagini naturalistiche. “Perì physeos” è il titolo più usato dai presocratici; dire

“natura” è fuorviante, piuttosto i Greci intendono il principio da cui gli enti e

tutto ciò che è derivano. Questa accezione implica due questioni: la questione

dell’essenza e la questione dell’origine – ma non sono scindibili. La

“physiologia” prevedeva indagini sul mondo e sul cosmo; lo stesso Socrate era

rimasto affascinato da queste ricerche – risulta che sia stato allievo di

Archelao, che insieme ad Anassagora è un esponente della filosofia

naturalistica , che dalla Magna Grecia è arrivata ad Atene, quindi anche

Socrate ha avuto a che fare con questi studi. Socrate va direttamente alla sua

esperienza, al ricordo degli anni passati. L’impostazione delle ricerche

Page 78: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

DOSSOGRAFIA; ma qualcosa di più profondo, fondamentale: contesta il

modo di porre la domanda. La domanda sulla CAUSA è scientifica, ma non

filosofica. Socrate non contesta la scienza; ma che la filosofia possa ridursi alla

ricerca naturalistica, che la domanda filosofica sia uguale a quella scientifica.

Socrate si ritiene NON IDONEO: ironia di Socrate: è un campo che lascio ad

altri, non fa per me. Qui riferimento ai filosofi precedenti (DOSSOGRAFIA):

Empedocle, Anassagora... com'è possibile che mangiando pane aggiungo carne

alla carne? è una domanda ontologica: com'è possibile che dal pane che non è

carne (non-carne) si generi la carne? Apparentemente è una domanda

scientifica, invece rientra nella questione ontologica dei Presocratici: passaggio

di un contrario all'altro nella nutrizione. Per questo Socrate fa questi esempii.

Empedocle: figura leggendaria nel pieno del V secolo; è di Agrigento. Vive

nella Magna Grecia e già avanti negli anni si trasferisce nella Ionia: la

leggenda narra che si gettò nell'Etna. Egli, vivendo nella Magna Grecia, fu

influenzato dalle teorie orfico-pitagoriche che abbraccia: convinto

dell'immortalità, della metempsicosi... e fa dei salti mortali per conciliare la

sua filosofia con l'orfismo. Anche Empedocle fa parte di quella teoria che si

interroga di NASCITA e MORTE di tutte le cose -- grandi temi pei Greci. Dal

punto di vista di Eraclito e Parmenide: come si danno se sono passaggio di

ESSERE in NON-ESSERE e vice versa? Se non si possono spiegare

ontologicamente, allora sono solo apparenza. Empedocle radicalizza questa

apparenza: quello che noi non vediamo è l'incessante menomarsi delle quattro

radici che rimangono sempre identiche a loro stesse, e che si mescolano.

Empedocle la spiega mediante concordia e separazione (2 forze): la concordia

unisce, la separazione fa nascere la particolarità. Vicenda cosmologica del

tutto. Goethe lo amò. Tentativo estremo di salvare il mondo dell'apparenza di

fronte all'ontologia radicale di Parmenide. Anche Nietzsche lo amò. Questa

vicenda cosmologica del tutto ripresa anche da Anassagora: la figura di

filosofo più importante ad Atene prima di Socrate. V secolo. Subisce un

processo e fugge. Coinvolto nelle vicende politiche di Atene. A noi interessa il

suo PERI FUSEOS: sostiene l'irrealtà del nascere e del morire. Riprende la

problematica eleatica e Parmenide. Implicano quel passaggio non spiegabile. 2

fatti dell'apparenza sensibile. Socrate e Platone in questo sono influenzati da

Anassagora: Platone è iscritto in questa linea dossografica: trovare elementi

immutabili nel mondo dell'apparenza sensibile. Anassagora e la nutrizione:

com'è possibile quella cosa del pane e della carne? Introduce due punti

importanti: la dottrina degli elementi, le Omeomerie, i semi di tutte le cose:

tutte le cose costituite da particelle simili (OMOS): questo spiega il paradosso

naturalistiche segue diversi principi: la domanda sulla causa, che implica la

domanda sulla generazione, corruzione ed esistenza delle cose –

l’impostazione causalistica resta fino ad oggi, ed è la domanda sulla causa;

infatti l’impostazione tipicamente scientifica procede secondo l’andamento di

causa-effetto. Socrate critica quest’impostazione. Egli fa una sorta di

dossografia, riepilogando varie posizioni. I physiologoi si son posti la

questione della causa, interrogandosi sull’essenza e sull’origine degli elementi

– per Talete è l’acqua, per Anassimandro è l’apeiron, per Anassimene è l’aria.

Quindi si fa avanti l’esigenza di trovare un principio unitario per spiegare la

natura di tutte le cose. Socrate, al di là dell’identificazione della physis con un

determinato elemento, critica l’impostazione che vale per l’episteme (scienza),

ma che non vale per la filosofia. Socrate traccia una linea di demarcazione tra

la scienza e la filosofia; non contesta una dottrina precisa nella dossografia che

sta delineando – contesta qualcosa di fondamentale, cioè l’impostazione, il

modo di porre la domanda. La domanda sulla causa è scientifica e non può

essere filosofica – contesta che la filosofia si possa ridurre alla ricerca

naturalistica, la sua domanda non è sulla causa. Con la sua ironia Socrate,

inoltre, dice di non essere idoneo a quel tipo di ricerche, è un campo che lascia

ad altri, perché ha scoperto di non essere adatto – ironia del “so di non sapere”.

C’è un riferimento a tre filosofi che lo hanno preceduto, i presocratici, che si

interrogano sulla physis di tutte le cose – alcuni si pongono, ad esempio, la

domanda ontologica sul processo della nutrizione: come è possibile che dal

pane, che non è carne, si generi la carne (e così via)? Apparentemente si tratta

di una domanda scientifica, in realtà rientra nella riflessione ontologica che

attraversa la filosofia presocratica – è un esempio del passaggio da essere a

non-essere, da un contrario all’altro.

Empedocle è una figura leggendaria, che vive, come Anassagora, nel pieno del

V sec.; è di Agrigento, rimane sempre nella Magna Grecia, e solo alla fine

della sua vita si trasferisce nella Ionia. È una figura leggendaria perché si dice

che si buttò nell’Etna – furono trovati i suoi calzari, a prova del fatto che si

gettò nel fuoco. Empedocle, vivendo nella Magna Grecia, fu molto influenzato

dalle teorie orfico-pitagoriche, ed è convinto delle teorie dell’immortalità

dell’anima e della metempsicosi – cercò sempre di conciliare la sua filosofia ,

“perì physeos”, con l’orfismo. In ciò che resta della sua opera (Perì Physeos) si

capisce come Empedocle si interroghi sulla nascita e sulla morte delle cose

(grande tema della filosofia greca), dal punto di vista di Eraclito e Parmenide –

come possono darsi la nascita e la morte , dato che sono un passaggio

dall’essere al non-essere e viceversa? Se non si possono spiegare

Page 79: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

di prima: nel pane e nella carne sono presenti le stesse particelle simili. In ogni

ente prevalgono alcune particelle (quantità-qualità). Anassagora introduce il

NOUS (IMPORTANTISSIMO): Mente non va bene, INTELLIGENZA? se le

particelle si possono riunire e separare, questo è dovuto all'opera e al

movimento del NOUS: mente ordinatrice: produce e sovraintende l'ordine

cosmologico e ontologico. Se c'è una mente che ordina, allora c'è un finalismo:

fine, TELOS, e non "a caso". Il NOUS introduce il TELOS: ordina in vista di

un fine. Si tratta quindi di una TELEOLOGIA. Per Socrate quindi la domanda

deve essere coerente, e quindi la domanda da causalistica deve diventare

finalistica. Questo Socrate lo ritrova in Archelao, allievo di Anassagora e

maestro di Socrate. Archelao insiste nel passaggio di Essere in Non-Essere e

vice versa. La grande delusione di Socrate nei confronti della filosofia di Atene

(Anassagora e Archelao) è quella di una mancata domanda finalistica. Critica

feroce ad Anassagora, e quindi al modello della scienza applicato alla filosofia.

L'impostazione causalistica è tale per cui in realtà mentre aveva trovato un

principio ordinatore monistico... Anassagora poi ricade nelle cause legate agli

elementi: ricade nella dottrina dei primi filosofi (cfr. 98b-c). Questa delusione

nei confronti dei fisiologi (i filosofi che studiano la FUSIS, i naturalisti) è tale

che Socrate si convince della necessità della seconda navigazione: 99d.

ontologicamente, la nascita e la morte sono apparenza (Parmenide ed Eraclito)

– questa posizione è radicalizzata da Empedocle, secondo cui il mondo è

costituito da un incessante mescolarsi dei quattro elementi, che rimangono

identici a se stessi, cosa che noi non riusciamo a vedere. Egli spiega la

mescolanza con la concordia, che unifica gli enti, e la separazione, da cui

nascono gli enti che si separano – i quattro elementi, secondo queste due forze

che agiscono, determinano l’universo e l’andamento del mondo. Empedocle fu

molto amato da Goethe, perché egli esprime il tentativo di salvare il mondo

dell’apparenza, rispetto all’ontologia radicale di Parmenide.

Empedocle spiega il mondo come una vicenda cosmologica, cosa che viene

ripresa anche da Anassagora, il quale è stato la figura più importante ad Atene

prima di Socrate. Anche Anassagora subisce un processo e, non accettando la

condanna, fugge. Ciò che ci interessa di Anassagora è la parte della sua opera

“Perì physeos”, in cui sostiene l’irrealtà del nascere e del morire – riprende la

problematica eleatica. Il nascere e il morire non si spiegano, come non si

spiega il passaggio dall’essere al non-essere – sono due fatti che appartengono

all’apparenza sensibile, ma sono irreali. Anche Platone si inscrive all’interno di

questa linea dossografica, nella ricerca di elementi stabili, di contro al continuo

divenire del mondo (apparenza) – Platone è influenzato da Anassagora.

Anassagora si interroga sul nutrimento e altre questioni, dando una spiegazione

per certi versi simile, per altri dissimile, a quella di Empedocle: Anassagora

introduce una dottrina degli elementi, che chiama “Omeomeria” – tutte le cose

sono costituite da particelle/semi simili, e ciò spiega quel passaggio fra i

contrari. Egli arriva anche a spiegare le differenze di quantità e qualità nel

mondo dell’apparenza, che dipende dal prevalere di alcune particelle su altre.

Inoltre, Anassagora introduce il Nous, di difficile traduzione (mente,

intelligenza), che altri filosofi prima di lui non introdussero. Se le omeomerie

si possono riunire o separare, ciò è dovuto all’opera e al movimento prodotti

dal Nous, in quanto mente ordinatrice (prima volta in filosofia) – la mente che

sovrintende l’ordine ontologico e logico delle cose. Anassagora spiega come,

per opera del Nous, si sono separate terra ed aria – l’aria è più leggera. Per

Socrate è importante l’introduzione del Nous, perché l’idea di una mente che

ordina implica il finalismo; ciò che si produce non è in base al caso, ma in base

ad un telos, un fine, secondo cui opera il Nous. Quindi, Anassagora non fa solo

una cosmologia e un’ontologia, ma anche una teleologia. Il problema che si

introduce è questo: la domanda non è più sulla causa, ma sul fine, è quindi una

domanda finalistica. Ma proprio qui naufraga l’impostazione di Anassagora,

cioè qui si ferma, ed egli torna a riproporre un’impostazione causalistica.

Page 80: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

XLVIII. Socrate abbandona le indagini naturalistiche: non sono soltanto una

perdita di tempo; ma c'è il pericolo che la sua PSYCHE diventi completamente

cieca. L'anima si accieca perché queste indagini richiedono l'uso dei sensi. Per

Socrate non sono necessari i sensi per arrivare alla Verità. LOGOI: cos'è

questa seconda navigazione o fuga nei LOGOI? questo spartiacque tracciato da

Socrate viene ripreso nel '900: spartiacque per due tipi di filosofia: una che

riguarda all'EPISTEME, e una che segue Socrate. Filosofia ANALITICA e

CONTINENTALE. Ermeneutica filosofica di Gadamer. Già Heidegger che

però aveva il problema che Platone è il padre della metafisica: è un problema

far riferimento a Platone e al suo Socrate. E' l'Ermeneutica che rivendica

questa fuga nei LOGOI, la filosofia, che non ha come modello l'EPISTEME.

Per Gadamer Socrate è il filosofo per eccellenza: Socrate modello inimitabile

ma da imitare. I filosofi della natura pretendono di avere un accesso immediato

alle cose. II navigazione è una metafora: il caso estremo in cui si rema non

essendoci vento. Per Gadamer questa fuga nei LOGOI è un passaggio epocale,

perché è il congedo delle indagini naturalistiche anche da parte di Platone, etc.

La filosofia non sarà più come quelle dei Presocratici. Ma [decisione] decisiva

anche per la filosofia continentale: è questa fuga che la differenzia dalla

filosofia analitica. "Seconda" è importante perché vuol dire "ulteriore".

Attraverso i LOGOI non si pretende l'accesso immediato alle cose: varco

attraverso il linguaggio (i LOGOI) per l'intellegibile. "nel modo in cui noi

parliamo delle cose è in ciò la verità delle cose"... Gadamer che traduce il

Fedone. La II navigazione è il modo in cui noi parliamo delle cose (i LOGOI).

I discorsi della quotidianità (???). Se traduco POSTULATI re-introduco

un'istanza epistemologica. Vuol dire anche un'Apertura verso l'Altro che è il

È un problema che Socrate riscontra anche nel suo maestro Archelao, allievo di

Anassagora. Il giovane Socrate va a scuola da Archelao, ma ne riceve una

delusione: egli pensa che, pur occupandosi di cosmologia, si possa pervenire

alla domanda sul fine, ma questo, per Socrate, non avviene – critica feroce ad

Anassagora che Platone mette in bocca a Socrate. L’impostazione causalistica

è tale, secondo il Socrate platonico, che Anassagora, pur avendo trovato il

principio monistico e ordinatore nel Nous, sia ricaduto comunque

nell’impostazione causalistica, quella che aveva costituito la dottrina dei primi

filosofi.

[98 b – c]. Socrate parla di questa delusione nei confronti dei physiologoi e

della filosofia ad Atene, motivo per cui egli si convince della necessità della

seconda navigazione.

XLVIII PARAGRAFO. La decisione di Socrate è quella di abbandonare le

indagini naturalistiche; non perché siano senza effetto, ma perché in esse si

insidia il pericolo per la psychè di diventare completamente cieca. L’effetto

delle indagini naturalistiche è l’accecamento dell’anima, perché esse

richiedono i sensi, soprattutto la vista, la quale non è necessaria, invece, per la

ricerca filosofica. È per questo che Socrate si rifugia nei logoi.

Che cos’è questa fuga? È uno spartiacque che traccia Socrate, ripreso anche

nel ‘900, per differenziare due tipi di filosofia:una che guarda all’episteme, ed

una invece che pensa che la via da seguire sia la seconda navigazione di

Socrate, ossia l’ermeneutica filosofica (Gadamer) – anche Heidegger faceva

riferimento alla seconda navigazione, ma rimane che per lui Platone sia il

padre della metafisica. L’ermeneutica filosofica rivendica la fuga nei logoi,

rilanciando una filosofia che non abbia come modello la scienza. Socrate è

importante per Gadamer e per la filosofia continentale, divisa dalla filosofia

analitica, proprio per questo motivo; Socrate è il filosofo per eccellenza per

l’ermeneutica filosofica – per l’amore per la sophia, la veglia.

Il timore di Socrate è quello di accecare la propria anima, come fanno i filosofi

della natura, che si avvalgono dei cinque sensi e pretendono di avere un

accesso immediato alle cose, che è la percezione. La seconda navigazione è

una metafora con cui i Greci si riferivano al caso estremo in cui la nave, per

assenza di vento, non poteva che essere spinta dai remi – è una navigazione

altra, meno diretta, che nel Fedone diventa la fuga nei logoi. Per Gadamer si

tratta della svolta epocale della filosofia greca, perché è il congedo dalle

indagini naturalistiche, da parte di Socrate, Platone e la filosofia successiva –

passaggio cruciale per la filosofia greca e anche per quella continentale. La

Page 81: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

dialogo socratico: DIALETTICA nasce da questa fuga nei LOGOI -->

DIAIRESIS. Nel Fedro si ritorna su queste cose. A Socrate non interessa

l'impostazione causalistica, gli interessa l'impostazione finalistica. Gli interessa

fare questa domanda attraverso i LOGOI = DIA LOGOI (cfr. Sofista). Non c'è

un accesso immediato agli enti; ma li conosciamo attraverso il modo in cui ne

parliamo con gli altri: questo importante per Heidegger. La domanda filosofica

ha una sua autonomia sulla domanda scientifica. Domanda sul SENSO, sul

FINE; ma non sulla CAUSA. Questa questione divide ancora il campo della

filosofia.

Questione dell'anima nel contesto dell'argomentazione dei contrarii:

immortalità dell'anima ricavata dall'argomento dei contrarii. 2 parti: 1. mito

escatologico di come Platone si figura la terra. Stravagante con dei passi che

preludono al mito della caverna nella Repubblica. 2. le pagine dedicate alla

fine di Socrate. Scorsa volta: fuga nei LOGOI. Decisivo per il Platone

dialettico. Ora una sorta di frattura. Stacco. Da notare. 101: rinvio alla

"dottrina" delle idee (Reale: principii) sottesa all'argomento dei contrarii. La

dottrina ritorna ciclicamente: dottrina cardine della metafisica di Platone per

cui gli ONTA (enti) di questo mondo sono nella misura in cui partecipano alle

idee. Idea della PARTECIPAZIONE (avere parte). C'è una priorità ontologica

delle idee (EIDOS) sugli enti che le partecipano. L'oggetto concreto ha

ONOMA (nome) perché partecipa all'idea di... Il nome sancisce l'appartenenza

dell'ente all'idea. Partecipazione sancita dal nome.

Categorizzazione/articolazione della realtà attraverso l'idea e il nome. Ogni

idea ha un nome. Rapporto idea-nome. La dottrina delle idee è relativamente

semplice: mentre è complicata l'argomentazione sui contrarii. 102b (L): il tema

delle idee contrarie che si escludono a vicenda: qui c'è la tesi che ciascuno di

noi partecipi ad esempio all'idea di "uomo", però ciascuno di noi partecipa

anche ad esempio all'idea di grandezza/piccolezza e non in relazione con gli

altri. Essere al contempo più grande e più piccolo non costituisce un problema,

a seconda delle relazioni in cui compaio. Ciascuno di noi partecipa a più idee,

o meglio, a più generi (Platone). Partecipare contemporaneamente a grandezza

e piccolezza non è contraddizione. Ciò non toglie che grandezza e piccolezza

siano contrarii. Però la grandezza non può partecipare del suo contrario. Limite

della partecipazione. Se la grandezza deve rimanere tale, non può partecipare

del suo contrario. Obiezione di uno (cerca chi): ma non viene così smentita la

generazione? Platone risponde: ci sono sempre due piani: il piano degli enti

concreti che possono partecipare a contrarii assieme e poi il piano dei contrarii.

La filosofia è fatta di finezze. Prima parlano degli enti, ora del contrario in sé.

seconda navigazione si distingue dalla prima, perché quest’ultima è la pretesa

dell’accesso immediato alle cose; la seconda passa per i logoi (linguaggio) e

tende all’intellegibile. Gadamer traduce questo passo dicendo che lui si rifugia

“nel modo in cui noi parliamo delle cose” e in ciò risiede la verità delle cose.

La fuga nei logoi è l’anamnesi del linguaggio – la filosofia non presume più di

vedere le cose nella sua immediatezza, ma è un dialogo, la fede nella parola

dell’altro – questa è l’ispirazione dell’ermeneutica. Così la filosofia entra nella

polis, scoprendo la sua vocazione etico-politica. I logoi sono i discorsi – perché

se dico “postulati” faccio valere l’istanza epistemologica – sono i discorsi della

quotidianità, e qui è la verità. La seconda navigazione è l’ingressi della

filosofia nella polis, e soprattutto è un’apertura verso l’altro, apertura che passa

per il dialogo socratico e nella dialettica di Platone – nel Fedro ritornerà questo

discorso. La dialettica nasce da questa fuga nei logoi; la “diareisis” (dialettica

platonica) non può fare a meno dell’altro. A Socrate non interessa

l’impostazione causalistica e la domanda sulla causa; bensì è interessato alla

domanda finalistica – questo ha imparato dai filosofi ateniesi. La domanda

passa attraverso i logoi – “dia-logoi” (dialoghi); non c’è un accesso immediato

agli enti, alle cose; ma li conosciamo nel modo in cui li incontriamo e ne

parliamo con gli altri. Questa è la grande differenza tra Socrate e i presocratici;

e lo stesso spartiacque vale anche oggi – la domanda filosofica ha una sua

autonomia rispetto alla domanda scientifica.

Temi: argomentazione sui contrari, per la questione dell’immortalità

dell’anima; II mito escatologico, cioè la narrazione del modo in cui Platone si

figura la terra, passi che preludono al mito della caverna (Repubblica); infine

c’è l’ultima parte sulla morte di Socrate.

Pag. 101. C’è qui uno stacco, dopo la parte sulla II navigazione. C’è un rinvio

alla dottrina delle Idee, che ritorna ciclicamente nel dialogo, e che è sottesa

all’argomentazione sui contrari – dottrina cardine della filosofia platonica. Gli

enti del mondo sono nella misura in cui partecipano delle Idee; è importante

l’idea della partecipazione, perché sottolinea la priorità ontologica dell’eidos

sugli enti che vi partecipano. Gli enti hanno un nome perche partecipano delle

Idee: l’onoma sancisce l’appartenenza dell’ente all’Idea; l’articolazione della

realtà avviene attraverso i nomi, che corrispondono alle Idee. La dottrina delle

Idee è relativamente semplice; complicata è l’argomentazione sottostante.

PARAGRAFO L. Il tema è quello delle Idee contrarie. Per la prima volta

incontriamo la tesi per cui ciascuno di noi partecipa all’Idea, ad esempio, di

Page 82: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Platone si avvia verso la distinzione ontologica importante per il rapporto coi

Presocratici: distinzione tra gli enti concreti e le idee. Inconciliabilità delle idee

contrarie (dei contrarii ideali). Un contrario non può essere mai contrario di sé

stesso/medesimo. Qui ne va della filosofia: altrimenti finirebbe la filosofia.

Non siamo ancora alle fatiche di Aristotele che per primo formula il principio

di non-contraddizione. Caldo/Freddo sono principii; mentre neve/fuoco sono

enti. E' una questione non solo logica; ma ontologica. Platone fa un esempio

ricavato da due elementi naturali: non a caso per il loro ruolo nei filosofi

Presocratici. Estensione del principio: neve vs. caldo. Esempio del dispari e del

pari: tanti significati per la filosofia di Platone. I numeri sono importanti per

Platone. Nella formulazione di Platone incontro importantissimo coi Pitagorici.

La scuola di Tubinga: le idee di Platone non si riducono ai generi sommi; ma

alle idee numeri: 1 e la diade (2). Il dispari e il pari sono principi ontologici da

cui si ricava tutto. Il problema dell'incontro di 1 e diade. Filosofia dei principi

matematici. Nell'esempio rinvio ai pitagorici. Dispari/pari = sono contrarii.

Non si possono conciliare. L'idea si costituisce attraverso il nome: il

mantenimento del nome è il mantenimento dell'idea. I due principi di Platone:

en=uno, duas (o dias???)=due o diade. Tutto deriva da qui. il tre deriva dall'uno

e dalla diade. en=l'idea dell'unità; unità anche dell'idea. Mantiene unita l'idea.

Forse il due può essere addirittura più grande dell'uno? Sono numeri e non solo

numeri: sono anche principii. 3=1+2, però apre la serie numerica; dischiude la

serie numerica. è meno importante del 1 e del 2. Tra 1 e 2 e il resto c'è uno

scarto anche ontologico. La filosofia di Platone è una filosofia del 2, della

diade. IMPORTANTE per tutta la filosofia greca e per la filosofia della

matematica. Il 3 è già moltitudine, molteplice, il molteplice. Dopo i principii 1

e 2 vengono i molti: le molte altre cose. Il dispari e il 3 non sono la medesima

cosa. Il 3 partecipa del dispari, così come la neve partecipa del freddo. E così il

5 e la metà [dispari] della serie numerica. Esempio calzante del 3: partecipa del

dispari pur non identificandosi col dispari, comunque vale il principio dei

contrarii: come neve e fuoco. Il 3 non può partecipare del pari. Se il 3

partecipasse del pari, perderebbe la sua OUSIA, la sua essenza. Differenza di

predicati essenziali e accidentali. L'idea del dispari inerisce in modo essenziale

al tre: non sarebbe più tre se partecipasse al pari. L'anima partecipa all'EIDOS

della vita in modo essenziale; non può partecipare all'EIDOS della morte. La

questione dei contrarii. La questione della distinzione tra inerire

essenzialmente e inerire non essenzialmente. Aristotele costruisce su basi

platoniche. Il piano filosofico è il bisogno del concetto di 2, di diade. Sono

principii. Il 2 ha connessione col diverso, con l'eteron, se l'1 invece è l'identico.

uomo; ma allo stesso tempo ciascuno partecipa, per esempio, anche all’idea di

grandezza e piccolezza, per cui si può essere messi in relazione con gli altri –

si è più piccoli o più grandi rispetto a qualcuno – e il fatto di essere più grandi

e più piccoli allo stesso tempo non costituisce alcun problema, perché dipende

dalla relazione in cui ci si trova. Questa è la prima constatazione: ciascuno

partecipa a più Idee, o a quelli che Platoni chiama generi. Seconda

constatazione: non è un problema partecipare al contempo a due Idee – non c’è

contraddizione. Ma è vero che la grandezza e la piccolezza sono contrari: le

Idee non possono partecipare ciascuna al proprio contrario – se la grandezza

partecipasse all’Idea della piccolezza verrebbe meno e viceversa [fino a 103 a].

PARAGRAFO LI. Cebete obietta: prima si diceva che le cose si generano dai

contrari; ma quelli sono in realtà gli enti concreti – distinzione del piano degli

enti, che possono partecipare ai contrari, e il piano delle Idee che è già il piano

dei contrari. Cebete non ha colto la finezza delle due argomentazioni – grande

coerenza di Platone. Allora si parlava della generazione degli enti dai propri

contrari; qui si parla del contrario in sé. Platone si sta avviando ad una

distinzione ontologica importante, che sarà una risposta a questioni poste dai

presocratici (Parmenide ed Eraclito). Si conviene quindi sul punto che il

contrario non può mai essere il contrario di sé medesimo – Aristotele sarà il

primo a formulare il principio di non contraddizione – altrimenti non ci

sarebbe il loghizestai, né il parlare, ed è ciò che volevano i Sofisti.

PARAGRAFO LII. Ora i due principi sono il caldo e il freddo e gli enti che vi

partecipano sono il fuoco e la neve: la neve non può incontrare il caldo, se no

perirebbe, e lo stesso vale per il fuoco, che non può partecipare del freddo –

questione ontologica. Questo esempio è ricavato da due elementi naturali, che

non sono scelti a caso, perché rinviano alla tradizione presocratica. Quindi, la

neve, partecipando dell’Idea del freddo, tanto da prenderne la forma, non può

partecipare all’Idea del caldo: a partire da ciò si introduce un altro esempio,

quello dei dispari e dei contrari. Essi sono importanti per il significato che

hanno nella filosofia di Platone; i numeri son sempre stati una preoccupazione

di Platone – l’incontro con la filosofia pitagorica è stato determinante. Secondo

l’interpretazione della scuola di Tubinga, le Idee di Platone non si riconducono

ai generi sommi, ma alle Idee numero – l’uno e la diade, cioè il dispari e il pari

– in quanto principi numerici e ontologici da cui si ricava tutto. Per Platone si

tratta di far incontrare l’uno e la diade – problema lasciato dalla filosofia

pitagorica. Gli esempi della neve e del fuoco, ripresi dai physiologoi, e del

Page 83: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

Il 2 dischiude l'1. La diade è quasi più importante dell'1: dalla diade scaturisce

la molteplicità degli enti e il divenire. L'ultimo Platone è una riflessione sui

principii matematici (bravi quelli di Tubinga). L'anima è immortale perché è

connessa essenzialmente (in questo caso all'OUSIA) della vita. Quindi

Immortale, Imperitura, Incorruttibile. 106b: dove vanno a finire le anime? se

l'anima non è immortale allora 'sti cazzi di prendersene cura. Valenza etico-

politica. Se è immortale ha un destino oltre il corpo. è la totalità del tempo che

conta; non solo questo breve [tempo] della mia vita. Il tempo del mondo in cui

si svolge il destino etico dell'anima dopo la morte ---> 107c. Se l'anima

terminasse, ci guadagnerebbero i malvagi. Essendo imperitura, si porta dietro

con sé ciò che ha compiuto. L'anima attesta ciò che io ho fatto. Sincretismo di

filosofia e teologia cristiana. la partita non si gioca qui; ma al di là, e quella lì è

molto più importante di questa. Argomento capitale dal punto di vista

teologico, etico e politico. cfr. Jacob Taubes. Questa corrente orfico-

pitagorico-platonica si innesta nell'ebraismo (a cui è estranea) e da luogo alla

teologia cristiana dell'immortalità dell'anima. Qui inizia una riflessione

cosmologica che guarda soprattutto alla terra. Per i primi fisiologi la terra era

piccola, e galleggiava su un'immensa distesa d'acqua. 109a: la terra è

straordinariamente grande. Noi abitiamo in una cavità della terra. Da qui nasce

il mito della caverna. La filosofia è uscire dalla caverna. Noi abitiamo in

caverne senza esserne consapevoli. Ma l'interesse qui non è geografico; ma

esistenziale. Solo ai filosofi è dato uscire. Interessante il paragone con il mare:

nel mare filtra il sole e non si immagina che ci sia un confine/limite del mare.

Noi abitiamo dentro una sorta di cupola e non vediamo cosa c'è al di là del

limite. Il cielo è chiuso da una volta, non è infinito. Oltre il cielo c'è

l'Iperuranio. Il cielo è finito, è una sfera... dopo il cielo c'è l'etere. 113d (LXII):

chiarissima l'idea di pene/meriti eterni; c'è anche un luogo di espiazione --->

purgatorio ante litteram. Tartaro=Inferno. La proporzione riguarda il diritto

greco. Questo si proietta/traduce nel destino dell'anima. Per i greci uccidere

con ira era una scusante/attenuante. Il riscatto è possibile anche dopo. L'anima

può essere purificata. Per trovare un riscatto: salvata, sanata. La questione

teologica della salvezza dell'anima. Il destino migliore non è del santo; ma del

filosofo. Questi si è preparato alla morte nell'esercizio della filosofia che

allontana dal corpo e anticipa la purificazione. Questi la compie già durante la

vita. Questo differenzia il filosofo dal non filosofo, perché l'anima del filosofo

è già purificata. Il premio è l'anima pura con un grande destino o la filosofia

stessa? il filosofo partecipa della SOFIA; ma il premio? Platone non risponde.

Domanda inquietante.

dispari e del pari, ripresi dai pitagorici, non sono casuali. Il dispari non si

concilia con il pari, perché sono contrari. L’idea si costituisce attraverso il

nome: il mantenimento del nome è il mantenimento dell’idea – per cui il

dispari dovrà sempre avere questo nome. Per Platone i principi sono: “en”

(uno) e “duas” (diade, due) – tutto deriva da qui. Lo en è importante: è l’idea

dell’unità; l’uno tiene ferma l’’Idea. Ma il due ha un ruolo altrettanto o anche

più importante. Essi sono numeri e sono principi; dopo viene il tre, la somma

dell’uno e del due, ma è anche il numero che apre la serie numerica, e che è

possibile perché vi sono l’uno e il due. Vi è uno scarto ontologico, per Platone,

tra l’uno, il due e il tre. La filosofia di Platone è la filosofia della diade,

concetto importante della filosofia greca e della matematica. Dopo l’uno e il

due c’è la moltitudine, il tre. Il dispari ed il tre non sono la medesima cosa; il

tre è un numero dispari, che partecipa del dispari, così come la neve partecipa

del freddo – e dopo il tre anche l’intera metà della serie dei numeri partecipa

del dispari. Si dipartono due serie di numeri: il pari e il dispari. Il tre partecipa

del dispari, pur non identificandosi con esso – vale il principio dei contrari,

come per la neve, che non può incontrare il caldo, e così il tre non può

partecipare del pari. L’esempio del tre è calzante; la stessa ousia del tre è il

dispari; infatti, se partecipasse del pari, si dissolverebbe nella sua essenza – poi

Aristotele chiarirà questo problema, introducendo la distinzione tra i predicati

essenziali, che ineriscono all’essenza di un ente, e i predicati accidentali, che

non ineriscono all’essenza. Quindi, la partecipazione del tre al dispari è

essenziale. La questione è sollevata quasi strumentalmente, per dire che

l’anima partecipa all’eidos della vita in modo essenziale, per cui non può

partecipare all’eidos della morte. La grande questione dei contrari si lega

quindi alla questione di ciò che inerisce essenzialmente o meno – due punti che

avranno enormi sviluppi.

In che modo il numero due è filosoficamente interessante? Il due ha attinenza

con la questione dei contrari. Il due/la diade è necessario come concetto,

filosoficamente, posto accanto all’uno – non può esserci soltanto l’uno, che si

somma, poiché per farlo ho già bisogno del principio della diade. Il due è

l’eteron, il diverso, mentre l’uno è l’identico – la diade introduce la differenza

rispetto all’identico. In questo senso la diade, per Platone, è più importante

dell’uno, perché da essa nasce il divenire, rispetto alla quale resta solo la

staticità dell’uno. La riflessione di Platone, in questo senso, è sui principi

matematici – Tubinga.

[106 b]. Ora il tema si sposta nuovamente sull’anima, che partecipa dell’Idea

della vita e non può essere connessa alla morte – quindi è imperitura e

Page 84: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

incorruttibile. Questione che ci si pone: dove vanno a finire le anime? Discorso

etico: bisogna curarsi dell’anima, proprio perché è immortale e non mi è

indifferente; essa ha un destino ulteriore rispetto al corpo, per questo è

importante averne cura. Conta la totalità del tempo, non il tempo irrisorio della

vita terrena; nel tempo del mondo l’anima rischia di preservarsi uno specifico

destino, a seconda di come mi comporto.

PARAGRAFO LVII. Se l’anima terminasse come termina il corpo, questo

sarebbe un guadagno per i malvagi; ma l’anima, che è imperitura, porta con sé

ciò che essa stessa è e che ha fatto di importante – questo è il punto cui attinge

il Cristianesimo, riguardo alle pene e ai meriti eterni. Il discorso è di natura

etica, poiché la partita si gioca non nel mondo terreno, ma nell’al di là, per cui

conta il tempo totale del mondo; si tratta di un discorso capitale dal punto di

vista teologico, etico e politico – la ricompensa futura diviene un’arma politica

di riscatto. La corrente orfico-pitagorica e platoni si innesta poi nell’ebraismo

dando lluogo alla visione cristiana – l’immortalità dell’anima è estranea

all’ebraismo. Platone sostiene ci sia un percorso, benché invisibile, verso

l’Ade.

Inizia ora una riflessione cosmologica – da “kosmos” (“ordine”) – cioè una

riflessione sull’ordine del mondo; in questo caso Platone guarda soprattutto

alla Terra. I primi physiologoi si immaginavano la terra come una piccola

superficie galleggiante su di una immensa distesa d’acqua.

PARAGRAFO LVIII. La terra, poiché ferma, è esempio di equilibro, per

Platone; essa è straordinariamente grande, mentre gli uomini occupano una

piccola parte della sua superficie; la Terra è formata da cavità, e gli uomini ne

abitano una – da qui nasce il mito della caverna, che ha un valore gnoseologico

ed esistenziale. Prima che la filosofia liberi l’essere umano, egli vive nella

condizione di chi sta dentro la caverna e guarda il fondo, sui cui scorrono le

ombre, che l’uomo crede siano enti reali; la filosofia costituisce l’uscita dalla

caverna, dopo di cui l’uomo rimane accecato dal sole e scopre che ciò che

vedeva sul fondo della caverna non erano che pervenze, ombre degli oggetti

che stavano fuori. Questo mito indica la condizione ontologico-esistenziale

dell’uomo, che abita, qui si dice, in una cavità della terra; solo ai filosofi spetta

di uscire dalla caverna. L’uomo non è consapevole di abitare in una cavità, ma

pensa di abitare sulla superficie della Terra. Viene fatto un paragone con il

mare; chi vive nelle profondità del mare pensa che il cosmo sia quello, perché

filtra la luce del sole, quindi non immagina ci sia un confine del mare. Platone

Page 85: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

LXIII. (la morte di Socrate che testimonia fino all'ultimo la sua scelta di vita.

La sua morte è una testimonianza). Tiro a lungo il mio MUTHOS, la mia

favola. Socrate non crede alle prove e lascia intuire che non crede ad

un'immortalità effettiva; ma crede a quella affidata al LOGOS e a quelli che

restano e che porteranno la mia testimonianza. Socrate non ha da temere nulla,

come chi ha curato la sua anima, studiando, apprendendo, e guardando a quei

valori che sono ornamento dell'anima: le virtù cardinali. FARMAKON

ambivalente: medicinale, rimedio; ma è anche il veleno. Critone si preoccupa

delle ultime volontà di Socrate. Socrate risponde che non c'è bisogno di fare

promesse: nulla di nuovo (???), prendendovi cura di voi. Ironia si Socrate:

l'anima del filosofo, pura, vola via e si congeda, e non viene presa/intrappolata

al corpo che si vuole seppellire. La domanda sulla sepoltura ha per tema il

corpo, non l'anima: quindi è una domanda futile. Critone torna sempre alla

questione del corpo... quando Socrate pensa a tutt'altro. Per Critone è come se

prevalesse il pericolo della morte: vede il cadavere, la sua oggettualità, e lo

pensa/confonde per Socrate. Critone insiste e non si convince che Socrate sarà

è convinto che noi si abiti in una sorta di cupola e non immaginiamo questo

limite; il cielo non è l’infinito, perché oltre esso vi sono l’etere e l’iperuranio, il

luogo delle Idee.

PARAGRAFO LXII. È chiara l’idea che ci siano delle pene e dei meriti eterni,

soprattutto l’idea che esista un luogo di purificazione dell’anima – che nella

teologia cristiana è il purgatorio, dove l’anima espia le sue colpe. La

preparazione riguarda il diritto greco: a seconda della gravità della colpa esiste

una diversa pensa – così vale per la condotta dell’anima in vita, a cui spetta, a

seconda delle circostanza, una pena o un merito diversi. Il riscatto è possibile

anche in seguito alla morte, perché l’anima può essere purificata e sanata – da

qui si apre la grande questione teologico-cristiana sulla salvezza dell’anima. Il

destino migliore in assoluto è quello del filosofo – vi è una sorta di “santità”

del filosofo. Egli è colui che si prepara alla morte, tramite l’esercizio della

filosofia, che allontana dal corpo, un percorso di purificazione operante già in

vita. L’anima del filosofo è quindi già staccata dal corpo, perché la filosofia è

questo stesso percorso di purificazione – che le altre anime dovranno compiere

nella vita al di là. Per questo il destino migliore è quello dell’anima del

filosofo. Platone non spiega se la filosofia sia questo mezzo per raggiungere la

salvezza o se essa non sia già un premio del filosofo. Questa domanda resterà

ad inquietare i filosofi.

Epilogo. La morte di Socrate testimonia la sua scelta di vita fino all’ultimo e

senza ombra di titubanza.

PARAGRADO LXII. “Tiro a lungo la mia favola (mythos)”: Socrate non

crede veramente alle tre prove, ma sicuramente crede all’immortalità affidata

al logos, portato come testimonianza da quelli che restano dopo di lui. Non ha

da temere nulla chi in vita ha curato la propria anima, che ha guardato a quei

valori che sono ornamenti dell’anima, non del corpo – giustizia, fortezza,

libertà e verità. “Pharmakon” è un termine usato nella sua ambivalenza: è il

medicinale, il rimedio ed anche il veleno.

PARAGRAFO LXIV. Critone si preoccupa delle ultime volontà di Socrate,

che risponde che non c’è bisogno di fare promesse, ma basta avere cura di se

stessi e nulla di nuovo. “Purchè riusciate a prendermi”: ironia di Socrate, in

quanto l’anima del filosofo è quella che vola via e si congeda dal corpo. La

domanda di Critone in merito alla sepoltura ha, ancora una volta, il corpo come

Page 86: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

altrove dopo aver bevuto la cicuta. Socrate un po' è vero che "consola", non

credendo effettivamente all'immortalità [dell'anima]. La difficoltà di Critone è

quella di separare/pensare Socrate dal corpo. L'identità di Socrate è nell'anima

e non resta nel corpo. Questo conferma l'insignificatività del corpo. Perché

preoccuparsi del corpo, se non è più Socrate? L'identità di Socrate. Ritorna la

questione dei LOGOI e della fuga nei LOGOI. Fa male all'anima. Il lavarsi è

un atto ???: chi per tutta la vita si è purificato mediante la filosofia. Socrate lo

fa perché altri non debbano lavare il suo corpo. Affiora questo pensiero: Noi

che restiamo pensiamo alla nostra sventura. Il confronto con la morte del

maestro e dell'amico: saremo orfani. Il tramonto del sole, preparazione alla

dipartita. Le donne e i bambini fanno parte di un mondo dell'immanenza, della

quotidianità che non fa parte della filosofia, e quindi rimante coi suoi amici

filosofi. Le donne e i bambini fanno parte della dimora domestica. Romane coi

filosofi. Al tramonto doveva bere la cicuta. Socrate non se la piglia col messo

degli Undici. Socrate è quello che porta la filosofia nella città, nell'Agorà:

capace di parlare con tutti, anche col suo carceriere (il messo). Tensione tra il

destino che incombe: nesso tragico di tragedia (in senso greco) e

l'atteggiamento non tragico di Socrate. Qui una svolta nella filosofia e nella

cultura greca, segnata dal tragico destino che incombe, dal quale non c'è via

d'uscita o scampo: il singolo resta muto. Il tragico incombe sul messo, sugli

amici, mentre in Socrate resta una serenità non soltanto come scelta

temporanea, ma filosofica e contro il tragico: si sottrae alla tragicità

continuando a parlare con gli amici, affidando[si?] attraverso il LOGOS, a

loro, ai suoi amici. La parola è la via d'uscita dal tragico. Platone non potrà più

prescindere da questo. Con quanta serenità Socrate parla del veleno. Critone fa

notare che c'è ancora un po' di tempo. Socrate potrebbe ancora godere dei

piaceri della vita prima di morire. Socrane non cede MAI. Altri godono perché

pensano diversamente da Socrate: ma questi crede che l'anima sia immortale e

la morte è una liberazione. Non ha senso indugiare, cosa assai ridicola.

LXVI. L'unica preghiera di Socrate è che il trapasso/il transito/la liberazione

avvenga felicemente. C'è questa discrepanza/tensione tra coloro ce lo

circondano, che restano, e Socrate. La differenza nel tragico. La tragedia isola,

separa. Si piange la propria sventura nel venir abbandonati, nel rimanere soli

dall'amico che muore. Critone addirittura va via... il pianto, atto di egoismo...

va via e abbandona Socrate. Socrate li sprona, li esorta. Siate forti e state

quieti. Sta sopraggiungendo il rigor mortis. L'effetto è a partire dalle estremità,

tema, e non l’anima – Critone ritorna sempre al problema del corpo. Per

Critone prevale il pensiero della morte di Socrate come cadavere; vede

l’oggetto e non più la persona di Socrate, ma la sua oggettualità. Critone pensa

come se Socrate volesse consolare se stesso e gli altri – anche se il dialogo ha

in fondo il senso di una consolazione. La difficoltà di Critone è quella di

separare l’anima dal corpo e di concepire il fatto che Socrate non è nel corpo

che verrà sepolto – l’identità di Socrate non è più nel corpo, ma nell’anima,

che abbandona il corpo e lo lascia insignificante. Questione dei logoi: parlare

scorrettamente non è solo una cosa brutta (Sofisti), ma fa male all’anima.

PARAGRAFO LXV. Socrate si va a lavare – atto ulteriore di purificazione.

Per la prima volta affiora il pensiero che la morte di Socrate sia una sventura;

rimangono tutti pensierosi. Anche il tramonto del sole è simbolo della dipartita.

La visita dei figli e delle donne è il simbolo della materialità che resta – anche

questo fa parte della preparazione al congedo dal mondo immanente della

quotidianità. Il messo riconosce che Socrate non si adira con lui, ma con chi ha

emesso la condanna. Socrate porta la filosofia nella polis, è capace di parlare

con tutti, anche con il suo carceriere, che lo andava a trovare – c’è una tensione

nel testo, tra il destino che incombe e l’atteggiamento di Socrate, che non è

tragico. Questa è una svolta nella filosofia e nella cultura greca della tragedia,

in cui il tragico è il destino che incombe e il singolo resta muto perché non ha

via d’uscita. La tragedia e l’angoscia della morte di Socrate incombe su tutti,

ma in Socrate resta sempre la serenità di una scelta filosofica, contro la

tragicità: egli si sottrae alla tragicità continuando a parlare con gli amici,

attraverso il logos – parlare è la via d’uscita alla tragicità, che Socrate ha

trovato. Critone fa notare che manca ancora un po’ di tempo prima che Socrate

beva il veleno – c’è chi prima di morire si gode gli ultimi piaceri della vita, ma

Socrate di nuovo non mostra cedimento. Coloro che pensano diversamente da

lui si godono la vita sino all’ultimo, ma Socrate non ha bisogno di indugiare,

perché sa per certo che continuerà a vivere nell’al di là.

PARAGRAFO LXVI. L’unica preghiera di Socrate è che il trapasso dalla vita

alla morte avvenga felicemente – discrepanza tra la sua serenità, pur prossimo

alla morte, e il senso tragico a cui cedono coloro che resteranno. La tragedia

isola, separa: i suoi amici piangono la loro sventura, piangono se stessi, perché

abbandonati da Socrate – il pianto di Critone, che va via, è quasi un atto di

egoismo. Socrate esorta i suoi amici ad essere forti e quieti. Sopraggiunge il

rigor mortis e Socrate si irrigidisce; il corpo si ferma e al contempo la prigione

Page 87: Apologia Critone Fedone Sinottici Completo

perde sensibilità. Il corpo si irrigidisce e il carcere viene meno implodendo e

disgregandosi. Il cuore è l'organo che decide la morte. Quel'è il punto in cui si

muore? Qui è chiarissimo per Platone. E' Critone che chiude gli occhi e le

labbra di Socrate. Socrate ha parlato fino all'ultimo. 118a7: leggi in greco la

frase sul gallo ad Asclepio. Socrate è debitore di un gallo ad Asclepio perché è

guarito. Compendio icastico di tutto il dialogo. Socrate non è che ha

fronteggiato la morte; ma è guarito perché è passato a miglior vita, la vita del

dopo, di ciò che ci sarà. Le ultime parole sono una conferma di ciò che ha detto

per tutto il dialogo. Valgono più queste parole che tutte le argomentazioni e

prove sull'immortalità dell'anima: il filosofo muore assecondando, sereno,

rimettendosi a ciò che avviene: la morte. Il modo in cui Socrate muore è

effettivamente la prova migliore dell'immortalità dell'anima: non le prove

logiche; ma ciò che egli fa e dice alla fine. Questo episodio resterà come

riferimento immortale. Le prove sono "esercizi" filosofici. Cosa resta di

Socrate: la sua testimonianza, per altro orale, dacché non ha mai scritto niente.

Socrate affida il proprio LOGOS, che durerà se si continuerà il dialogo. Sono

legittime anche altre interpretazioni: c'è chi legge le argomentazioni alla lettera

e non vede titubanza e ironia nell'atteggiamento di Socrate.

---

del corpo viene meno – duplice accezione. L’ultimo organo intaccato nel

momento della morte è il cuore.

Socrate ha parlato fino all’ultimo, pronunciando parole importanti: “dobbiamo

un gallo ad Asclepio”. Asclepio era il dio della medicina; per i greci, quando si

guariva, era abitudine donare un gallo in tributo al dio – così Socrate, che è

guarito e si è liberato dal carcere del corpo, dice che sono debitori ad Asclepio.

Queste parole sono un compedio di tutto; Socrate non ha fronteggiato la morte,

bensì l’ha assecondata, perché è guarito passando all’al di là – per questo le sue

ultime parole sono ancora la conferma di tutto ciò che ha detto e fatto in vita.

Ciò vale più delle prove: il filosofo muore assecondando la morte, senza

ribellione, ma con serenità e con l’atteggiamento di chi si rimette a ciò che

avviene. Il modo in cui Socrate muore, le sue ultime parole, sono la prova

migliore dell’immortalità dell’anima; non sono realmente importanti le prove

logiche, ma ciò che concretamente ha fatto e ha detto sino all’ultimo – questa

scena resterà nella storia della filosofia. Socrate è ironico e titubante nei

confronti delle prove; affida l’immortalità al logos, alla testimonianza orale –

non sostituisce però l’immortalità dell’anima con quella del logos. Il logos, se

custodito, durerà.

---