“Una scuola di formazione per sconfiggere il crimine ......Gian Carlo Caselli La “richiesta di...

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ANNO XIX - N. 3 GIUGNO 2011 Giovanni Castaldi Il riciclaggio e l’UIF: il bilancio di tre anni Pag. 4 Alberto Perduca Tra realismo e speranza: le cose da fare Pag. 10 Marcello De Cecco I grandi sommovimenti derivanti dai movimenti di capitale. Pag. 2 Maria Rosaria Ferrarese Globalizzazione e interconnessione del mondo Pag. 3 Gian Carlo Caselli La “richiesta di mafia”, il sistema finanziario e il Paese dell’Antimafia Pag. 7 Atti del convegno SIBC su “Economia di mercato e Autorità di Controllo” “Una scuola di formazione per sconfiggere il crimine” intervista a Gian Carlo Caselli di Alberto Antonetti Si sono appena spente le luci in sala. Gian Carlo Caselli ci ringrazia per aver organizzato un convegno in cui “c’era voglia di capire, voglia di approfon- dire le questioni”. E’ arrivato la mat- tina da Bruxelles, e tra poco dovrà in- volarsi di nuovo, destinazione Pri- stina (Kosovo). La sua battaglia per la legalità non conosce frontiere. Invece di fermarsi un attimo, ci regala questa intervista piena di spunti di rifles- sione, per tutti. Nei giorni scorsi, un procuratore della Repubblica di Milano ha soste- nuto che “una parte dell’imprendito- ria ha interesse a fare affari con le or- ganizzazioni criminali”. Questo spie- gherebbe una parte della difficoltà dello Stato nel contrasto effettivo della criminalità. Mi viene naturale collegare questa affermazione a un passaggio del suo straordinario te- sto “Le due guerre”. In esso, lei con- stata amaramente che l’Italia è molto conosciuta all’estero come il “paese della Mafia”. Ma, a parziale conforto del lettore, aggiunge pure che all’estero l’Italia è riconosciuta e apprezzata come il “paese dell’An- timafia”. Ora, quel che mi sembra necessario capire meglio è ciò che sta in mezzo fra i due estremi, quell’enorme area grigia italiana che non è mafiosa ma non sembra vivere così male se c’è la mafia. Come rapportarsi a quest’area e portarla su una scelta di legalità? Ci sono due problemi di fondo, preli- minari. Il primo è quello della scarsa considerazione che la legalità regi- stra nel nostro Paese al giorno d’oggi. Le regole sono considerate - da una parte consistente del nostro Paese, temo persino maggioritaria - “roba per gli altri”, e gli altri vengono molte volte considerati fessi. Le regole non valgono per se stessi, e ognuno pensa esclusivamente a se stesso e a far prevalere i suoi particolari inte- ressi. Gli altri, e le regole che sono in sostanza null’altro che la disciplina del rapporto con gli altri, sono un ostacolo al perseguimento di questi interessi. Un ostacolo da scavalcare, se non peggio. segue a pag. 12

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ANNO XIX - N. 3 GIUGNO 2011

Giovanni CastaldiIl riciclaggio e l’UIF: il bilancio di tre anni

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Alberto PerducaTra realismo e speranza: le cose da fare

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Marcello De CeccoI grandi sommovimenti derivanti dai movimenti di capitale.

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Maria Rosaria FerrareseGlobalizzazione e interconnessione del mondo

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Gian Carlo CaselliLa “richiesta di mafia”, il sistema finanziario

e il Paese dell’Antimafia Pag. 7

Atti del convegno SIBCsu “Economia di mercatoe Autorità di Controllo”

“Una scuola di formazione per sconfiggere il crimine”

intervista a Gian Carlo Casellidi Alberto Antonetti

Si sono appena spente le luci in sala.Gian Carlo Caselli ci ringrazia per averorganizzato un convegno in cui “c’eravoglia di capire, voglia di approfon-dire le questioni”. E’ arrivato la mat-tina da Bruxelles, e tra poco dovrà in-volarsi di nuovo, destinazione Pri-stina (Kosovo). La sua battaglia per lalegalità non conosce frontiere. Invecedi fermarsi un attimo, ci regala questaintervista piena di spunti di rifles-sione, per tutti.Nei giorni scorsi, un procuratoredella Repubblica di Milano ha soste-nuto che “una parte dell’imprendito-ria ha interesse a fare affari con le or-ganizzazioni criminali”. Questo spie-gherebbe una parte della difficoltàdello Stato nel contrasto effettivodella criminalità. Mi viene naturalecollegare questa affermazione a unpassaggio del suo straordinario te-sto “Le due guerre”. In esso, lei con-stata amaramente che l’Italia èmolto conosciuta all’estero come il“paese della Mafia”. Ma, a parzialeconforto del lettore, aggiunge pureche all’estero l’Italia è riconosciutae apprezzata come il “paese dell’An-timafia”. Ora, quel che mi sembra necessariocapire meglio è ciò che sta in mezzofra i due estremi, quell’enorme areagrigia italiana che non è mafiosa manon sembra vivere così male se c’è lamafia. Come rapportarsi a quest’areae portarla su una scelta di legalità?Ci sono due problemi di fondo, preli-minari. Il primo è quello della scarsa

considerazione che la legalità regi-stra nel nostro Paese al giorno d’oggi.Le regole sono considerate - da unaparte consistente del nostro Paese,temo persino maggioritaria - “robaper gli altri”, e gli altri vengono moltevolte considerati fessi. Le regole nonvalgono per se stessi, e ognunopensa esclusivamente a se stesso e afar prevalere i suoi particolari inte-ressi. Gli altri, e le regole che sono insostanza null’altro che la disciplinadel rapporto con gli altri, sono unostacolo al perseguimento di questiinteressi. Un ostacolo da scavalcare,se non peggio.

segue a pag. 12

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Che noi fossimo grandi esperti di movimenti di ca-pitali si vide da subito. I banchieri italiani comin-ciarono molto presto a muovere capitali, fino al1700. Poi, la cosa venne presa in carico da olandesie inglesi, e ora ci sono stati nuovi cambiamenti. Mai movimenti di capitali hanno sempre causatogrossi problemi, ad esempio due riforme prote-stanti: quella di Lutero e quella del re d’Inghil-terra. La prima riguardava la “vendita delle indul-genze”, finalizzata a reperire capitali per la costru-zione della basilica di San Pietro. Vuol dire chedalla Germania, paese della cristianità, arrivavanocapitali attraverso i banchieri italiani per pagare la“fabbrica di San Pietro”. Per la seconda, si samolto del divorzio del re d’Inghilterra, ma si samolto meno che l’intero traffico del denaro perce-pito dagli inglesi nei commerci internazionalidell’epoca era in mano ai banchieri italiani, e que-sto è stato un motivo di contrapposizione alla“sede di Pietro”, dove all’epoca siedeva Leone X.Quindi l’expertise è in casa, forse oggi questa spe-cializzazione è un po’ decaduta come attività dellenostre banche, ma altre “istituzioni italiane”hanno preso il compito dei banchieri, come vi spie-gheranno bene i nostri colleghi della magistratura.

Oggi si ragiona come se la libertà di circolazionedei capitali fosse una sorta di legge di natura, manon è così. Basta esaminare il trattato di BrettonWoods del 1944 per constatare che allora si pen-sava in maniera completamente diversa. Il trattatodi Bretton Woods è concepito in maniera assolu-tamente dirigistica, e si basa sull’assunto che imovimenti di capitale a breve termine - che hannocausato gravi problemi dalla vigilia della primaguerra mondiale fino agli anni della seconda - deb-bano essere repressi. Un articolo nel progetto ini-ziale parlava esplicitamente della necessità di con-trollare questi movimenti, per impedire che la pos-sibilità di spostare capitali data all’1% della popo-lazione mondiale arrecasse danni all’altro 99%.Quindi la visione era punitiva, fortemente punitivafino ai primi anni ‘60 e in particolare fino alla crisipetrolifera.

Poi, siccome l’aumento dei prezzi del petrolio al-l’inizio degli anni ‘70 comportò la concentrazionedi grandi capitali presso paesi poco “commer-cianti”, si pensò di liberalizzare i movimenti di ca-pitali per permettere a quei Paesi di muovere il de-naro senza difficoltà presso le banche dell’Occi-dente. Le prime banche attive nel settore furonofrancesi, ma ancor di più quelle inglesi e ameri-cane. Questi due Paesi ritennero sostanzialmentedi poter far quadrare la propria bilancia dei paga-menti con un’attività bancaria internazionale chein quel momento si concentrava nel riciclaggio deipetrodollari, poi degli eurodollari, con successiveliberalizzazioni del mercato dei capitali, sia a brevetermine che per investimento. Pochi Paesi resistet-tero, come invece fece il Giappone fino a pocotempo fa per evitare che le multinazionali ameri-cane si stabilissero in quel Paese e facessero con-correnza ad aziende giapponesi. Ma l’azione diconvincimento delle autorità anglo-americane perestendere a tutto il resto del mondo il principio

della liberalizzazione è stata molto forte. Fino allacrisi asiatica di fine anni ’90, gli Stati Uniti lavora-rono in stretto raccordo con il Fondo Monetario In-ternazionale, che ne è stato un po’ l’agente.Quando un paese aveva bisogno di aiuto, il FMIconcedeva aiuti solo in cambio di liberalizzazionial mercato dei capitali.

Poi arrivò la gigantesca crisi, e il Fondo Monetarioentrò in crisi, perché accusato di aver predicato epraticato liberalizzazioni forzose su Paesi chedopo aver subito le liberalizzazioni ne subirono su-bito conseguenze negative. Oggi lo spirito è più equilibrato, tanto che si può

addirittura discutere di tasse sulle transazioni invaluta. Anche perché chi non ha creduto al modellodi sviluppo propugnato dal Fondo, come la Cina, èandato avanti con un modello economico dirigi-stico in cui lo Stato ha una grandissima impor-tanza, e ora si trova nella posizione di vincitoredella concorrenza internazionale degli ultimi 20anni. Chi invece ha creduto alle liberalizzazioni dicapitali come volano per lo sviluppo ha visto che,molto spesso, i risultati non sono stati confacenticon le previsioni.

Il problema, messo in luce sin dagli anni ‘20, è neivelocissimi tempi di reazione di questi capitali: inparticolare quelli a breve termine sono estrema-mente rapidi, basta pensare all’enorme quantitàdi denaro che arriva per piccole variazioni dei tassidi interesse. Al contrario, i mercati delle mercisono molto più lenti e ciò crea difficoltà notevolis-sime per la gestione della politica economica neidiversi Paesi. Questo fu messo in luce già nel 1907,quando il prof. Luigi Luzzatti scrisse un articolo perun giornale straniero, spiegando che il movimentidi capitale stavano mettendo in crisi l’intero com-mercio e gli equilibri internazionali. Bisognava, se-condo Luzzatti,  impedire che venissero messe incrisi le bilance dei pagamenti solo perché un Paesedecideva di aumentare il tasso di interesse, adesempio perché in pericolo di inflazione. Ancora adesso, l’ultimo dibattito all’interno dellaUE si basa sull’assunto che i Paesi che vanno in de-ficit devono mettersi a posto, mentre gli altri - che

ritengono di essere virtuosi - chiedono ai primi dimettersi a posto da soli. Sono sempre quelli chesoffrono per la fuga dei capitali che devono rime-diare. Rimane ancora oggi il ragionamento, diffuso anchesui giornali: chi ha il deficit ci deve badare, chi hail surplus va bene. Assomiglia a una filosofia delMezzogiorno d’Italia di quando ero piccolo, si di-ceva “tu hai la femmina, tu ci devi badare”. Valevasia per le persone che per gli animali, perché “iguai succedono a te. Io c’ho il maschio...”.Qui si ragiona esattamente nello stesso modo, unpo’ strabico: sarebbe la natura stessa a dire chechi ha il surplus è virtuoso, capace di esportare equindi il problema è solo di chi ha il deficit. Ma inrealtà sono due facce della stessa medaglia.

Rimane però il fatto che nel corso della grandeesplosione della liberalizzazione dei decenniscorsi si è arrivati - anche da parte degli angloa-mericani - a costituire delle “localizzazioni” parti-colari che sono i centri offshore, i paradisi fiscaliche badano a mettere al sicuro capitali che ven-gono dai Paesi diciamo “meglio guardati”. Bastipensare che la gran parte degli strumenti finan-ziari moderni più a la page inventati negli ultimi20-30 anni si basa su movimenti tra centri off-shore e Paesi “regolari”, per così dire. Ci sono mo-menti della costituzione di strumenti derivati chequasi sempre hanno bisogno di un passaggio neicentri off shore per motivi fiscali o finanziari.

In realtà, le cose non cambieranno fino a quandouna metà dell’opinione pubblica, e fra essa la granparte dell’opinione qualificata del mestiere che ioprofesso, rimarrà convinta che i capitali non deb-bano essere controllati. Ma questo dato è suscet-tibile di modificazioni, tanto è vero che negli anni‘30, ‘40 e ‘50 si erano tutti convinti del contrario.Resta il fatto che la qualità della reazione dei mer-cati di capitale, come messo in luce negli anni ‘20in Germania, è così veloce rispetto agli altri mercatida rappresentare una difficoltà per il funziona-mento dell’economia presa nel suo insieme. Que-sto è un argomento scientificamente importante einfatti coloro che lo hanno messo in luce sono eco-nomisti che hanno un certo nome.L’attività finanziaria si svolge con un byte elettro-nico, mentre le merci hanno bisogno di tempo permuoversi per le strade, con gli aerei, le navi, i treni.L’attività di un impresa richiede molto tempo, ilfattore lavoro per aggiustarsi richiede ancora piùtempo, e quindi mi pare giusto chiudere con Key-nes per cui “non si capisce perché debba soffrireil 99% delle genti del mondo per dare all’1% deipiù benestanti la possibilità di fare quello chevuole.”

Marcello De Cecco è professore ordinario di Storiadella finanza e della moneta presso la Scuola Nor-male di Pisa. Si è laureato in economia all’Univer-sità di Cambridge, dove ha poi conseguito un PhD.Ha proseguito gli studi e le ricerche sia in Italia cheall’estero.

...I movimenti di capitali

hanno semprecausato grossi

problemi, ad esempiodue riforme

protestanti: quelladi Lutero e quella

del re d’Inghilterra.

Marcello De CeccoI grandi sommovimenti derivanti dai movimenti di capitale

Atti del convegno SIBC su “Economia di mercato e Autorità di Controllo”ANNO XIX - N. 3 GIUGNO 2011

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Maria Rosaria FerrareseGlobalizzazione e interconnessione del mondo

Questo mio intervento vuole avere un carattereintroduttivo, per delineare il quadro generale incui si inserisce il processo di liberalizzazione deimercati dei capitali. Parlando di globalizzazione, viene la tentazionedi intestare questo enorme processo che ha coin-volto tutto il mondo al Dio Mercurio, il Dio deicommerci e della comunicazione. Proprio i com-merci e la comunicazione sono gli ingredientiessenziali della globalizzazione, che altrimentinon esisterebbe.Quando mi chiedono in che modo si possa sinte-tizzare il processo di globalizzazione,io trovo che il termine più appropriatosia “interconnessione”: interconnes-sione del mondo. Vi sono due meta-fore che hanno via via accompagnatoil processo di globalizzazione nel suosignificato di “interconnessione delmondo”.La prima è la metafora della farfalla.Fu molto utilizzata nel periodo delleprime crisi asiatiche negli anni ‘90,quando si cominciò a pensare che ilbattito di ali di una farfalla potesseprovocare un spostamento di ariadalle conseguenze avvertibili anche acentinaia di migliaia di chilometri.L’altra metafora è invece più acqua-tica. La metafora del “siamo tuttinella stessa barca”. Quando unabarca attraversa una tempesta, tuttiquelli che stanno su quella barca sonosoggetti a rischi, e da come la barca si inclina di-pende chi resta a bordo, chi incontra difficoltà echi cade dalla barca.Questa metafora della barca si può applicare al ge-nerale tema della liberalizzazione dei capitali, e an-che agli avvenimenti più recenti, in cui la barca si èinclinata e alcuni ne sono effettivamente caduti.Uso questa metafora per avvicinarmi alla metaforadella liquidità, immagine molto nota agli economi-sti e molto condivisa fra gli studiosi del processoglobale. Come sapete, un importante studioso,Zigmunt Bauman, ha usato molto questa imma-gine per descrivere la “modernità liquida”, chesta proprio a indicare questo processo di “lique-fazione” del mondo, di creazione di contesti sem-pre meno racchiudibili dentro confini precisi.Tutto il contrario degli Stati, che hanno segnato lanascita nell’era moderna e le cui dinamiche veni-vano svolte all’interno di confini delimitati. La globalizzazione, in qualche modo, rimette ingioco la logica dei confini. La “liquefazione delmondo”, per quello che riguarda le relazioni eco-nomiche, si traduce in un enorme processo di mol-tiplicazione delle relazioni commerciali. CarlSchmidt, altro importante studioso, raccontò in unlibretto come l’Inghilterra dal ‘500, nell’intrapren-dere la via del mare, avesse avviato un processodi liberalizzazione ante litteram. Con l’estensionedel proprio spazio attraverso la via del mare, sisceglieva progressivamente un tipo diverso di ci-viltà giuridica, politica e economica. Ovviamente,più orientata verso le possibilità piuttosto che

verso i controlli e i limiti. Nel frattempo, la partedell’Europa che restava aggrappata alla terra nonseguì l’Inghilterra, come invece fecero gli StatiUniti. Ma, con il tempo, le logiche della globaliz-zazione hanno toccato tutto il mondo, con le con-seguenti incertezze proprie di una civiltà basatasul mare piuttosto che sulla terraferma.Con la globalizzazione, si verifica un progressivosmantellamento delle sicurezze che l’Europaaveva costruito: la sicurezza sociale, la sicurezzadei confini statuali, poi fatta propria da tutto ilmondo. La globalizzazione rompe la società deiconfini, non solo territoriali ma intesi in senso con-

cettuale. La cultura dei confini  era infatti estrema-mente rigida in Europa, non solo politicamente,ma anche come scenario intellettuale. I modelli diconoscenza del reale erano rigidamente delineati.Negli Stati Uniti gli approcci culturali sono semprestati diversi.Cos’hanno a che fare le cose che ho detto con laprogressiva perdita dei confini nel mondo bancarioe con la liberalizzazione dei capitali?E’ evidente che, in questo caso, possiamo dire chele crisi sono venute dopo che questa enorme liqui-dità di denaro si è riversata nel mondo. La storiadelineata dal prof. De Cecco, in qualche modo, èla storia dell’abbattimento dei confini, dal mo-mento che gli Stati avevano poteri importanti nelcontrollo dei movimenti di capitale. Invece noi citroviamo in una situazione in cui non soltanto è ve-nuto a cadere questo confine, ma è caduto ancheil confine concettuale tra le banche di investimentoe le banche commerciali. Distinzione a suo tempoinstaurata negli USA con una legge del 1933, dopoche una situazione di grande confusione fra i dueruoli aveva creato enormi problemi, scatenando lacrisi del 1929. Nella legge si parla esplicitamentedella necessità di instaurare una barriera fra que-ste due categorie. Una barriera che è stata poi ab-battuta nel 1999, quando si è nuovamente per-messa, sotto l’ondata del liberismo, una confu-sone fra i due ruoli. L’abbattimento del confine tradue categorie di intervento bancario è avvenuta inun momento in cui, come dice Guido Rossi, i mer-cati sono diventati teatri di un’enorme liquidità.

Una massa di liquidità monetaria che si aggiravaper il mondo, pronta ad essere utilizzata anche perspeculazioni finanziarie di breve termine. Lo shorttermism è stato un cambiamento molto impor-tante, un fattore che spiega molti disastri che nesono derivati. Ma per  spiegare i disastri, anche gliistituti di credito sono stati attori di primo piano,con confusione fra i ruoli e quei conflitti di inte-resse che Roosvelt aveva voluto evitare.

E qui va espresso compiacimento per il fatto chealcuni settori del mondo bancario, ad esempioquello italiano, si sono sottratti a certi coinvolgi-

menti. O l’eccezione cinese, che vedela Cina essere uscita bene dalla crisi,tanto da essere attiva nei creditiverso i Paesi del Terzo mondo inmodo importantissimo. Addirittura, iprestiti fatti dall’istituto di creditostatale verso paesi del terzo mondosuperano i 110 mld di dollari, a frontedei 100 mld erogati dalla World Bank.Proprio coloro che non erano staticoinvolti in giochi speculativi pos-sono ora permettersi mosse che altrigiocatori non si possono permettere.I prestiti concessi dalla Cina raggiun-gono ambiti territoriali molto diversifra loro: Canada, Argentina, Brasile,Venezuela, Russia. Questi dati ci rac-contano anche di una ristrutturazionedel potere nel mondo, compreso ilpotere di soccorso che una volta si

supponeva accentrato presso istitu-zioni internazionali come la World Bank, e invecevede anche altri players.

Cosa impariamo da tutte queste crisi? SusanStrange sottolineava l’esistenza di un vuoto dispiegazione teorica sui periodi di espansione cre-ditizia. Per quel che se ne sa, tuttavia, i periodi diespansione del credito vengono di solito accom-pagnati anche da una grande depressione succes-siva. Una sorta di sindrome maniaco depressiva,sostanzialmente inguaribile. Difficoltà nella solu-zione di questi problemi derivano dal fatto che ilconcetto di potere di mercato è un concetto sfug-gente, un concetto difficile da mettere sotto il con-trollo di metodi di analisi, e questo vale anche peri mercati di capitale. Il mercato è quindi libero, maè anche avviluppato in una serie di vincoli come iconflitti di interesse, che rendono difficile scio-gliere i nodi. Alla base di tutto, c’è anche il fattoche la crisi dei mercati finanziari va vista in con-nessione con una teoria generale del mercato chele teorie liberiste avevano spinto fino a livelli di im-probabilità. C’era chi si domandava, già nel 2004:non sarà che l’economia sta vivendo al di sopradelle proprie possibilità? Vigeva però una sorta distatuto da “superscienza” che l’economia liberistaaveva assunto, relegando in secondo piano ancheil diritto,  diventato una sorta di cavalier serventedelle teorie economiche, una sorta di succursaledella ratio economica.Quanto vi ho raccontato è l’origine e la conse-guenza di una paradossale combinazione di aper-

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Marcello De Cecco e Maria Rosaria Ferrarese

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tura e di chiusura, di vincoli e di possibilità, chevanno studiate con attenzione quando si vuolepensare a riformare i meccanismi di regolazione dimercati così potenti. Certo, rimanendo in tema diliquidità, è difficile pensare che si possa tornareindietro, come lo è per il dentifricio già uscito daltubetto. Non si può tornare alla logica statuale delpassato, ma gli Stati e altri attori, come gli organi-smi internazionali, possono recuperare uno spazionella regolamentazione. Quel che è più importantelo disse un liberista pentito, che ha scritto “The fai-lure of capitalism”, rivalutando Keynes e - dalpunto di vista istituzionale - scrisse cose impor-tanti, anche sul tema dell’expertise. Ristrutturareil controllo significa poter contare su doti di ex-pertise che, tuttavia, risiedono quasi sempre insoggetti pesantemente coinvolti nelle vicendedella liberalizzazione del commercio finanziario.Quindi, come si fa a stabilire un giusto grado di in-dipendenza? E’ più facile che gli stessi regolatoriabbiano un carattere bipartisan piuttosto che ve-

ramente indipendente. Le vicende americane di-mostrano moltissimo questo aspetto: nonostantealcune differenze, tutti e due gli orientamenti sonostati pesantemente coinvolti nella logica di libera-lizzazione, nei termini in cui si è svolta e nelle pe-santi conseguenze a cui abbiamo purtroppo assi-stito.

Maria Rosaria Ferrarese è professore ordinario nel-l’Università di Cagliari, e docente stabile nellaScuola Superiore della Pubblica Amministrazione(SSPA), dove si occupa di ricerca e di progetta-zione didattica per la formazione dei dirigentidella P.A.

Rispetto alle generali politiche di lotta alla crimi-nalità, la prevenzione e il contrasto del riciclaggiosi caratterizzano per l’ingente quantità di risorseimpegnate e per il coinvolgimento di una larga fa-scia di soggetti privati, appartenenti a varie cate-gorie economiche e professionali. Questa partico-larità è motivata sia dalla pericolosità sociale delreato sia, soprattutto, dalle modalità della suaesecuzione.

Il riciclaggio consente di ren-dere disponibili i proventi dialtri reati precedentementecommessi (cd. “reati presup-posto”), trasformando da po-tenziale in effettivo il potered’acquisto derivante da attivitàcriminali. Attraverso il riciclag-gio la criminalità si insinuanell’economia legale e la con-tamina. Essa accresce in talmodo il proprio potere, affian-cando al controllo palese-mente violento del territoriouna più subdola influenza,realizzata attraverso il potereeconomico, che tutto può con-dizionare e corrompere. E’ diffi-coltoso stimare realisticamentel’entità della ricchezza acquisita in modo illecito.Non v’è dubbio però che le risorse siano ingenti,sia in valore assoluto sia se rapportate al prodottointerno lordo. I flussi di denaro illecito incidono,pertanto, anche sul piano macroeconomico e illoro impiego è suscettibile di generare gravi distor-sioni nell’economia legale, alterando le condizionidi concorrenza e il corretto funzionamento dei

mercati. Ne può risultare influenzata la stessa sta-bilità del sistema economico.

La necessità per la malavita di trasferire i proventidei reati nel circuito legale attraverso il “ponte”rappresentato dagli intermediari finanziari o da al-tri operatori economici offre una ghiotta occasionedi arricchimento a soggetti privi di scrupoli. Se loStato riesce a ottenere la collaborazione attiva

degli operatori onesti, trasformandoli in guar-diani degli accessi al sistema economico legale,il riciclaggio può essere ostacolato. E’ questa lascommessa su cui punta tutta la più recente nor-mativa nazionale e internazione di prevenzione econtrasto del riciclaggio: indurre gli stessi opera-tori a vagliare costantemente operazioni e clientiper individuare eventuali indizi di riciclaggio. Un

sistema antiriciclaggio efficiente accresce per il cri-minale il rischio di essere intercettato e scoperto,aumenta il costo del riciclaggio e riduce, quindi, lapropensione a delinquere.

Nell’attuazione nazionale di questa strategia, ild.lgs. 231 del 2007, che ha recepito la terza diret-tiva comunitaria in materia, segna un punto disvolta. Esso ha potenziato e reso più efficienti i tra-

dizionali strumenti del-l’azione di prevenzione e con-trasto del riciclaggio, appli-cando obblighi di collabora-zione, sia passiva che attiva,a una più vasta platea di sog-getti qualificati. La prima èvolta a garantire una cono-scenza approfondita dellaclientela e la tracciabilitàdelle transazioni; la seconda,avvalendosi dei risultati dellaprima, ha lo scopo di indivi-duare e segnalare le opera-zioni sospette.

Il corretto adempimentodell’obbligo di eseguirel’adeguata verifica della

clientela distingue gli opera-tori onesti e collaborativi da quelli che, pur con-sapevoli del possibile riciclaggio insito nelle ope-razioni veicolate, non si tirano indietro, entrandoin quella zona oscura, che spazia dall’indifferenzafino alla complicità nel reato.

La segnalazione di un’operazione sospetta nonrappresenta una denuncia di reato. Essa è espres-

Giovanni CastaldiIl riciclaggio e l’UIF: il bilancio di tre anni

...Ristrutturare il controllo

significa poter contare sudoti di expertise che,

tuttavia, risiedono quasisempre in soggetti

pesantemente coinvoltinelle vicende dellaliberalizzazione del

commercio finanziario.

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Giovanni Castaldi e Gian Carlo Caselli

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sione – come altri obblighi di segnalazione previstidal nostro ordinamento (ad es. in materia ambien-tale) – di un dovere civico di solidarietà e di colla-borazione attiva con i poteri pubblici, finalizzatoalla repressione di condotte che attentano a benio valori universalmente considerati irrinunciabilidalla collettività. Al segnalante non è peraltro ri-chiesta alcuna indagine in ordine alla natura delreato eventualmente commesso. In tale prospet-tiva non viene fatta alcuna distinzione sotto il pro-filo segnaletico fra il riciclaggio e il c.d. autorici-claggio (che si concretizza quando il riciclaggio èposto in essere dal medesimoautore del reato presupposto)nella ovvia considerazioneche il potenziale segnalante –che valuta sulla base di evi-denze finanziarie non è di re-gola in grado di conoscere ilreato presupposto e chi ne sial’autore.

L’obbligo di segnalazionesorge anche se l’ipotesi di ri-ciclaggio non è del tutto ac-clarata; ciò in quanto il legi-slatore ha stabilito che anchela presenza di “motivi ragio-nevoli per sospettare” fa scat-tare l’obbligo di comunica-zione all’Unità di informa-zione finanziaria.

Oltre ad accrescere gli oneri imposti alla compo-nente privata del sistema di prevenzione – rappre-sentata da intermediari, professionisti e altri ope-ratori economici tenuti alla segnalazione – il d.lgs.231 ha rivisitato anche la componente pubblica delsistema stesso. La responsabilità delle politiche inmateria di prevenzione del riciclaggio è attribuitaal Ministro dell’Economia che si avvale, a tal fine,del Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF), in cuisono rappresentate tutte le istituzioni impegnatenella lotta al riciclaggio e al finanziamento del ter-rorismo.

Le Autorità di vigilanza di settore (Banca d’Italia,Consob, Isvap) sovrintendono al rispetto delle re-gole da parte dei propri vigilati e disciplinanol’adeguata verifica del cliente; la registrazione deirapporti e delle operazioni; l’organizzazione, leprocedure e i controlli interni finalizzati alla pre-venzione del riciclaggio. Tra Vigilanza bancaria efinanziaria e controlli antiriciclaggio sugli inter-mediari si sviluppano proficui rapporti di comple-mentarità e di integrazione: sia pure a diversi fini,entrambe le attività concorrono a promuovereun’adeguata valutazione dell’affidabilità dellaclientela. Tra le autorità di carattere tecnico, l’Unitàdi informazione finanziaria (UIF) svolge un ruolo dicollegamento fra la componente privata del si-stema (da cui riceve le segnalazioni), gli altri sog-getti dell’apparato pubblico di prevenzione, con-trollo e repressione del riciclaggio e il sistemadelle 120 Financial Intelligence Units (FIU), con cui

scambia informazioni in modo diretto e informale,senza necessità di una cornice di trattati interna-zionali o di relazioni intergovernative.

La realizzazione del sistema di prevenzione “dise-gnato” dal d.lgs. 231 ha richiesto a tutti gli attori –e in particolare alla neocostituita UIF – un impegnonon indifferente. Dopo tre anni dall’avvio del nuovosistema, è possibile fare un primo bilancio, che seè motivo di soddisfazione per gli obiettivi raggiunti,costituisce nel contempo uno sprone per interveniresulle criticità che l’esperienza ha posto in luce.

In questi anni, l’UIF si è collocata al centro di unafitta rete di collegamenti con i diversi attoripubblici e privati, nazionali ed esteri coinvoltinell’attività di prevenzione e contrasto del riciclag-gio. E’ stata così realizzata la volontà del legisla-tore, tesa a valorizzare al massimo la collabora-zione tra UIF, autorità di vigilanza, organi investi-gativi e AG per garantire efficienza ed efficacia al-l’intero sistema. Sono stati sottoscritti protocollidi collaborazione con la Vigilanza della Bancad’Italia, con la Guardia di Finanza, con la DIA, conalcuni ordini professionali e sono prossimi alla de-finizione anche accordi di collaborazione con altreautorità di vigilanza di settore. I rapporti di colla-borazione con la Guardia di Finanza e con la DIAsono sempre più stretti e improntati alla ricerca dimodalità di collaborazione e di integrazione infor-mativa sempre più efficienti e avanzate.

Particolarmente efficaci si stanno dimostrando leforme di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria,che contribuiscono a coordinare l’attività di pre-venzione con quella di repressione (cfr. articoli 2,comma 6, e 9, commi 7 e 10 del d.lgs. 321/2007).A partire dalla sua costituzione, la UIF ha prestatouna intensa e crescente collaborazione alle Pro-cure, fornendo spesso un qualificato ausilio tec-nico e un valido contributo a rilevanti e delicateindagini. Gli scambi informativi sono frequenti:sono pervenute 53 richieste di informazioni nel2008, 94 nel 2009, 118 nel 2010. Le verifiche car-tolari e ispettive hanno determinato la denuncia di

31 fattispecie di possibile rilevanza penale nel2008, di 89 nel 2009 e di 210 nel 2010.

Consapevole della dimensione transnazionale delriciclaggio, la UIF, oltre alla fattiva partecipazioneai numerosi organismi internazionali che seguonola materia (GAFI, Gruppo Egmont, MoneyVal, Co-mitato europeo per la prevenzione del riciclaggioe del finanziamento del terrorismo), intrattiene in-tensi rapporti di collaborazione con le FIU estere:nel 2010 ha inviato 126 richieste di informazione eha dato esito a 625 domande pervenute da altri

Paesi.

La possibilità di attingere auna molteplicità di fonti in-formative offre alla UIF unosservatorio privilegiato perla rilevazione delle tecnichee delle prassi criminali. E’opportuno che questo patri-monio sia messo a disposi-zione dei segnalanti per ac-crescerne la “capacità dia-gnostica” delle fattispeciesospette. A tal fine, l’UIF ela-bora “indicatori di anoma-lia”, volti a facilitare l’indivi-duazione dei più ricorrenti fe-nomeni che devono richia-mare l’attenzione dei segna-lanti. Gli indicatori non esau-

riscono le casistiche sospette,ma vanno considerati uno strumento utile, da in-tegrare alla luce dell’intero patrimonio informativoa disposizione di ciascun segnalante. Su propostadella UIF sono stati finora diffusi gli indicatori peri professionisti (decreto del Ministero della Giusti-zia del 16 aprile 2010) e per gli intermediari finan-ziari (provvedimento della Banca d’Italia del 24agosto 2010).

Alla formazione dei segnalanti concorre anche l’at-tività ispettiva. Dal 2008 sono state effettuate circa70 verifiche (cfr. articoli 47 e 53 d.lgs. 231/2007),che hanno spesso originato l’avvio di procedureper l’irrogazione di sanzioni amministrative.

Sotto il profilo quantitativo, la risposta del si-stema finanziario alla nuova disciplina antirici-claggio è stata imponente: le 12.500 segnalazionidel 2007 si sono triplicate, superando nel 2010 le37.000. Il trend di crescita è in continua accelera-zione: +16% nel 2008, +44% nel 2009, +77% nel2010. La reazione dei professionisti e degli altrioperatori è stata invece finora deludente: a frontedi una platea di potenziali segnalanti, che contadiverse centinaia di migliaia di soggetti, nel 2010sono pervenute solo 223 segnalazioni.

Tutte le segnalazioni acquisite – dopo essere stateincrociate automaticamente con le informazionigià presenti nei database interni – vengono as-soggettate a un primo livello di analisi che indi-vidua le priorità di trattazione secondo criteri

Atti del convegno SIBC su “Economia di mercato e Autorità di Controllo”ANNO XIX - N. 3 GIUGNO 2011

Massimo Dary, Segretario Nazionale Responsabile del SIBC

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basati sul rischio. La relazione tecnica che accom-pagna le segnalazioni è il precipitato della de-scritta attività istruttoria, la cui intensità è ovvia-mente commisurata al diverso peso attribuito allesegnalazioni. Ove durante l’istruttoria emerganonotizie di reato, si procede alla denuncia secondole modalità prescritte dall’art. 331 c.p.p. La vertig-inosa crescita del numero di segnalazioni hamesso a dura prova i processi di analisi, che ven-gono costantemente adeguati per accrescerne l’-efficienza e la capacità di individuare con prioritàle segnalazioni più rischiose. Tale opera dimanutenzione ha finora consentito di accresceredi anno in anno – a risorse invariate – il potenzialedi analisi di oltre il 40%: a fronte delle 11.500 seg-nalazioni analizzate nel 2007, nel 2010 ne sonostate esaminate quasi 28.000.

Per lungo tempo le segnalazioni di operazionisospette sono state tacciate di fornire uno scarsocontributo alla lotta al riciclaggio. Tale percezionepuò considerarsi oggi superata per effetto dellenumerose e importanti indagini, originate o sup-portate da segnalazioni, di cui anche la stampariferisce con sempre maggiore frequenza. Il con-tributo delle segnalazioni all’individuazione di casidi riciclaggio, o dei reati che dello stesso costitu-iscono il presupposto, risulta sempre più evidente.Dalle anticipazioni sull’attività del 2010, fornite il26 gennaio scorso dal Comandante Generale dellaGuardia di Finanza, in occasione di una audizionepresso la Commissione Finanze della Camera deiDeputati, apprendiamo che nel corso dell’annosono state “circa 4.700 le segnalazioni confluite inprocedimenti penali aperti presso le procure dellaRepubblica competenti ovvero che hanno permessodi attivare nuovi procedimenti penali per casi di ri-ciclaggio, usura, estorsione, abusivismo fi-nanziario, frode fiscale, truffa”. I dati più completiriferiti al 2009 indicano che in quell’anno, su18.800 segnalazioni trasmesse dall’UIF allaGuardia di Finanza (di cui 4.000 archiviate sotto ilprofilo dell’analisi finanziaria), oltre 11.000 hannoavuto un seguito investigativo.

Se i risultati di questi primi tre anni sono motivodi soddisfazione, ciò non deve indurre a trascu-rare i profili di criticità. È anzitutto evidente che alfunzionamento del sistema partecipano fattiva-mente solo gli intermediari finanziari e, tra questi,soprattutto le banche. Come ho ricordato, nel 2010professionisti e operatori non finanziari hanno tra-smesso poco più di 200 segnalazioni; davvero po-che rispetto al numero dei potenziali segnalanti eal ruolo che essi svolgono nella vita economica delPaese.

Ma anche nella collaborazione degli intermediarifinanziari emergono profili critici. Gli intermediariche non inviano segnalazioni sono ancora molti:oltre 200 banche – più di un quarto – del sistemanon hanno effettuato segnalazioni negli ultimidue anni.

Tra gli altri intermediari finanziari, poi, la per-

centuale dei non segnalanti è molto più elevata.La crescita complessiva delle segnalazioni è ali-mentata – oltre che dall’effettivo aumento dellasensibilità al problema del riciclaggio dal timoredelle sanzioni. Ciò porta spesso a segnalare a finicautelativi più che collaborativi, adottando criteridi valutazione poco selettivi, che intasano inutil-mente il sistema. A questo proposito, faccio pre-sente che la UIF si limita, in genere, a contestaresolo comportamenti omissivi gravi, quasi sconfi-nanti in ipotesi di concorso.

Le segnalazioni, inoltre, sono spesso carenti nelladescrizione dei fatti e pervengono con eccessivoritardo. E’ quindi necessario un miglioramento del-l’organizzazione interna degli intermediari in

quanto la qualità e la tempestività delle segnala-zioni costituiscono il principale obiettivo del nuovosistema segnaletico, che sarà operativo dal pros-simo mese di maggio. L’utilizzo del canale telema-tico favorirà la tempestività, la completezza e la ri-servatezza dei flussi informativi.

Anche sul piano legislativo sono emerse neltempo diverse criticità che permangono, in parti-colare, in campo sanzionatorio, ove è necessariorimuovere quanto prima talune incoerenze e di-scrasie. La formulazione di diverse fattispecie de-littuose e contravvenzionali risulta lacunosa, cre-ando incertezze applicative. Molte sanzioni penali,inoltre, colpiscono con minime pene a rapida pre-scrizione condotte di modesta potenzialità lesiva,addebitabili spesso a disattenzione o a disfunzioniorganizzative. Sarebbe invece preferibile limitarela reazione penale alle condotte più gravi, perse-guendo le violazioni meno rilevanti con sanzioniamministrative pecuniarie appropriate ed efficaci.

Per quel che concerne le sanzioni amministrative,le principali criticità riguardano quelle per omessasegnalazione di operazioni sospette. Il d.lgs. 231punisce le omesse segnalazioni con una sanzionepecuniaria dall’1 al 40 per cento dell’importo delleoperazioni (art. 57, comma 4). A carico dell’ente diappartenenza della persona fisica sanzionata èprevista poi una responsabilità solidale, con dirittodi regresso nei confronti dell’autore della viola-zione (art. 6 L. 689 del 1981). Questo regime de-termina non pochi problemi applicativi ascrivibili,da un lato, all’imputazione della responsabilità ai

dipendenti; dall’altro, all’entità della sanzione.Quanto all’individuazione del dipendente respon-sabile, essa può costituire un esercizio tutt’altroche agevole nelle organizzazioni complesse comequelle bancarie. Sono infatti necessarie una rico-gnizione accurata delle regole interne, l’individua-zione delle competenze e la valutazione criticadella condotta dei dipendenti interessati.

L’imputazione di singole frazioni della condottaomissiva a più soggetti, in caso di concorso dicompetenze o di avvicendamenti temporali, rendeancor più arduo il compito di chi estraneo all’orga-nizzazione – è chiamato ad accertare le responsa-bilità. Spesso può inoltre non risultare equo impu-tare la condotta omissiva al solo responsabile diprimo livello, il cui comportamento può esserestato condizionato da pressioni più o meno palesi,riconducibili al perseguimento di obiettivi azien-dali o a modalità di remunerazione ispirate a logi-che di budget. Considerate queste difficoltà, l’isti-tuto della responsabilità solidale può risultareinapplicabile: ove non sia possibile imputare spe-cifiche responsabilità alle persone fisiche, nonsarà infatti sanzionabile nemmeno la persona giu-ridica. Ciò può risultare paradossale nei casi in cui,ad esempio, il dipendente dimostri di non esserestato in grado di adempiere agli obblighi di segna-lazione perché l’ente di appartenenza non ha as-solto correttamente gli obblighi previsti in materiadi formazione, organizzazione e procedure interneper la prevenzione del riciclaggio.

Quanto alle omesse segnalazioni, ritengo che unacomplessiva rivisitazione del sistema sanzionato-rio dovrebbe incentrare la relativa responsabilitàper “culpa in eligendo o in vigilando” sulla per-sona giuridica. Questa, attraverso le struttureaziendali, sarebbe senz’altro in grado di meglio ac-certare e misurare le singole responsabilità indivi-duali, con diritto di regresso solo nei confronti deisoggetti dei quali venga dimostrata un’effettiva re-sponsabilità personale.

A fronte delle criticità che ho richiamato, l’im-pegno delle autorità nel promuovere il correttofunzionamento dei presìdi antiriciclaggio deve es-sere massimo; ogni proficua forma di collabo-razione, ogni occasione di dialogo e di confrontocostruttivo, assume un valore fondamentale. L’o-biettivo deve essere quello di promuovere l’ulte-riore crescita della cultura antiriciclaggio e losviluppo quanto più possibile coerente delquadro normativo di riferimento. In questo campoanche l’apporto del sindacato può essere signi-ficativo.

Giovanni Castaldi è stato titolare del Servizio Con-correnza normativa e affari generali della Bancad’Italia. Dal 2007 è Direttore dell’Unità di Infor-mazione Finanziaria per l’Italia, alla quale la leggeattribuisce il compito di prevenire l’utilizzo del sis-tema finanziario e di quello economico per fini diriciclaggio.

...Oltre 200 banche

- più di un quarto delsistema - non hanno

effettuato segnalazioninegli ultimi due anni

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Gian Carlo CaselliLa “richiesta di mafia”, il sistema finanziario e il Paese dell’Antimafia

Ringrazio per l’opportunità offerta a me e al collegaPerduca di esporvi alcune considerazioni. Nelle re-lazioni che abbiamo finora ascoltato c’è un convitato- implicito nella relazione De Cecco e Ferrarese,molto esplicitato in quella di Castaldi - che non è unconvitato di pietra perché al contrario è un convitatomolto attivo. E’ il convitato dell’economia illegale. Diquesta, soprattutto di questa vorrei parlare nel miointervento, premettendo che esporrò mie persona-lissime opinioni - che non valgono più di tanto - daconfrontare con le tante, diversissime opinioni chesui temi che stiamo trattando si possono facilmentetrovare.Premetto ancora che si tratta di problemi assai com-plicati, come si può riscontrare nel lavoro di uno sto-rico di mafia fra quelli che considero tra i più valenti,e forse il mio preferito: Salvatore Lupo. Nel fare unbilancio del contrasto e della lotta alla mafia nel no-stro Paese, Lupo ha recentemente constatato che sisono ottenuti risultati importanti. E però - è questala sua tesi - questi risultati sono frutto di un gruppocomposto di rappresentanti dell’opinione pubblica,di uomini delle istituzioni e di uomini della politicaprobabilmente minoritari in tutti e tre i settori, ep-pure capaci di raggiungere risultati importanti. A di-mostrazione che la mafia si può sconfiggere, quan-tomeno ciclicamente.Il fatto che questi risultati positivi siano parziali, sol-tanto parziali, si spiega - secondo Lupo - anche colfatto che ci sarebbe una vera e propria “richiesta dimafia”, in settori della società civile, dell’impren-ditoria, della politica, nel sistema finanziario edeconomico, di certi poteri costituiti. Un richiesta dimafia presente ormai non soltanto in Italia, ma an-che in altre parti del mondo, grazie a quella interna-zionalizzazione delle mafie che ne è la moderna ca-ratteristica.Un’altra complicazione delle cose che andiamo di-cendo deriva dal fatto che si pensa che si tratti diquestioni di una certa parte del nostro Paese, chenon riguardano più di tanto chi vive in altre parti delPaese stesso. E’ un pericoloso errore, per rimediareal quale spero basti citare un’intervista del 1982 chel’allora prefetto di Palermo Dalla Chiesa rilasciò aGiorgio Bocca di Repubblica. Un’intervista rilasciatail 10 agosto 1982, che precede di pochissimi giorni il3 settembre, giorno in cui il generale Dalla Chiesa,la moglie Emanuela Setti Carraro e l’autista Dome-nico Russo furono trucidati dalla mafia in via Carinia Palermo. Pochi giorni prima di questa strage, il pre-fetto Dalla Chiesa ebbe a dire a Bocca esattamentequeste parole: “la mafia ormai sta nelle maggioricittà italiane, dove ha fatto grossi investimenti edi-lizi o commericali o magari industriali. A me inte-ressa conoscere questa accumulazione primitivadel capitale mafioso, questa fase di riciclaggio deldenaro sporco, queste lire rubate ed estorte che ar-chitetti e grafici di chiara fama hanno trasformatoin case moderne, o alberghi, o ristoranti a la page.Ma ancor più mi interessa quella rete mafiosa dicontrollo che - grazie a quelle case, a quelle im-prese, a quei commerci, magari passati a mani in-sospettabili e corrette - sta nei punti chiave, assi-

cura i rifugi, procura le vie del riciclaggio, controllail potere”.Parole chiarissime, come si vede, pronunziate 30anni fa, che oggi vanno quindi moltiplicate per chissàquanto, non solo perché solo passati trent’anni, maperché in questi trent’anni sono cambiate un’infinitàdi cose. Si è verificata la globalizzazione di cuistiamo parlando, che ha comportato un’estrema fa-cilità di circolazione, rispetto al passato, di uomini edonne, beni e servizi, denari.

Già nel 1982, le parole di Dalla Chiesa ci parlanodell’esistenza, nel DNA delle mafie, di un’espansivitàche è nell’ordine naturale e fisiologico delle cose ma-fiose. Mentre ora, che siamo dentro l’era della glo-balizzazione, si continua troppe volte a non voler ve-dere, a non voler capire, ciò che una sociologa di Pa-lermo, Alessandra Dino, ha sintetizzato così: “la ma-fia è un’organizzazione in continua mutazione, ingrado di mimetizzarsi e scomparire, una struttura cri-minale che cambia, pur nella radicale continuità conse stessa, che mantiene il localismo territoriale purconducendo ormai attività illecite a livello globale.”

E allora, proviamo a fare l’elenco delle attività ille-gali realizzate nel mondo dalle numerose e diversemafie che sono presenti: un elenco sterminato, fattodi nuove schiavitù, inestricabilmente intrecciate conl’immigrazione illegale, corruzione di ogni genere,falsi di ogni genere, frodi, pirateria, cybercrimine,predazione delle risorse naturali, ecomafie, prosti-tuzione, gioco d’azzardo, turismo sessuale, furtid’arte, traffici di droga, di animali esotici, di tabacco,di armi e di rifiuti tossici.Un elenco sterminato, per certi profili paradossale,per l’intreccio di profili modernissimi come il cybercrimine con altri che pensavamo definitivamentescomparsi (la pirateria, la schiavitù). E’ la spia delfatto che le mafie non si negano nulla, e sono ope-rative ovunque ci sia la possibilità di consolidare lapropria forza economica e quindi il proprio poteretout court.

Il bilancio complessivo di queste molteplici attivitàillegali delle mafie nel mondo è un saccheggio glo-bale, che è il lato oscuro della globalizzazione. Que-sto saccheggio globale comporta l’accumulazionedi una vera e propria montagna di denaro, di ric-chezze illegali con conseguenti gigantesche dimen-sioni del riciclaggio. Il quale riciclaggio è sempre piùun riciclaggio internazionale e finanziario, con effettiperversi sul sistema, che determina anche compli-cazioni e difficoltà qualche volta insuperabili per ilprofilo investigativo e giudiziario. Basti pensare che,da un lato, la moneta telematica consente di spo-stare capitali immensi da una parte all’altra delglobo anche più volte in uno stesso giorno, con dif-ficoltà obiettive di ricostruzione dei flussi di denaro;dall’altro, l’esistenza di paradisi fiscali, di cui è giàstato detto e su cui poi ritornerò, rende le indagini avolte difficili, a volte le uccide, le affossa senza pos-sibilità di recupero.

Le imprese criminali globali, e l’economia illegaleglobale che ne è conseguenza, hanno dimensioni eimplicazioni immense, perché godono e ingrassanoovunque ci siano guerre o conflitti. Se non ci sonoguerre o conflitti, li provocano, per godere e ingras-sare, e regolarmente si lasciano dietro un deserto dimiseria e disperazione. Rubano il futuro di intere ge-nerazioni per l’arricchimento di pochi, perché avve-lenano l’economia e conseguentemente la politica,costringendole a piegarsi ai loro interessi. In ultimaanalisi, contribuiscono a sviluppare un’ingiustizia,praticata con metodo e costanza, dalla quale nascela rabbia, che può degenerare - e facilmente dege-nera - in violenza e terrorismo. In estrema sintesi,queste imprese crimiali globali sono le peggiori ne-miche della giustizia e della convivenza regolare equindi della pace.

Ma attenzione, siamo impreparati anche soltanto acapire come stanno davvero le cose, a causa dellaconfusione delle informazioni se non per effetto diuna vera e propria disinformazione. Le televisioninon trascurano i fenomeni più aberranti, non trascu-rano questi fatti, ma nei telegiornali queste notiziefiniscono frammiste a moltissime altre, magari incoda a una partita di calcio o magari interrotte daspot pubblicitari che promettono crociere meravi-gliose che magari fanno scalo proprio nei porti dovesi commettono le atrocità appena esposte nel tele-giornale. In questo modo, i telespettatori si abituanoe si anestetizzano. L’indignazione non è più nellecorde del nostro mondo, le analisi scarseggiano e,alla fine, l’effetto di questa “anestetizzazione”porta a pensare che tutto sommato è così che va ilmondo. Che non c’è niente da fare. Mentre invece,se riuscissimo a vedere come un insieme unico tuttele attività di predazione che avvengono contempo-raneamente nel mondo, e non come episodi distintiche è il modo in cui ci vengono presentate, ecco cheil saccheggio globale ci farebbe drizzare i capelli intesta e, forse, riusciremmo a reagire all’istante. In-vece la confusione, la disinformazione e la frammen-tazione creano apatia.

...Ci sarebbe una vera e propria “richiesta di

mafia”, in settori dellasocietà civile,

dell’imprenditoria, dellapolitica, nel sistema

finanziario ed economico,di certi poteri costituiti.

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Sul piano investigativo e giudiziario, l’incontroverti-bile verità dei fatti è che il crimine organizzato intutte le sue articolazioni, si tratti di terrorismo o dimafie, vive perfettamente inserito nel XXI secolo,perché sa sfruttare fino in fondo tutte le opportunitàofferte dal progresso tecnologico, mentre le attivitàdi contrasto sono ferme al XIX secolo, indietro di duesecoli. Non è poco. Perché dico questo? Perché l’ab-battimento delle frontiere, la globalizzazione, hannofatto sì che uomini, donne, merci e - soprattutto - ca-pitali potessero circolare con grande facilità in tuttoil mondo. In Europa, in particolare, tutte le persone,criminali compresi, possono di fatto spostarsi legal-mente da uno Stato all’altro della Comunità, senzamolti limiti.L’unica eccezione è costituita da poliziotti e magi-strati nell’esercizio delle loro funzioni, perché per leloro inchieste le frontierenazionali sono un osta-colo, se non invalicabile,sicuramente robusto. Re-centemente è stato detto,con fedele aderenza allarealtà, che mentre le atti-vità criminali si muovonocon una Ferrari, quelle isti-tuzionali di contrasto simuovono, se tutto va bene,con un’utilitaria.E allora ecco che le inchie-ste spesso incontrano an-cora oggi ostacoli pesanti.A dispetto dell’internazio-nalizzazione del crimineorganizzato, persiste an-cora un assetto nazionaledelle normative penali.Una differenza che deter-mina interventi sclerotiz-zati, con enormi vantaggiper il crimine organizzatoche arriva a praticarequello che gli esperti chia-mano il jurisdiction hop-ping, il salto continuo digiurisdizione. Un metodoche prevede di coinvolgere il massimo numero pos-sibile di nazioni in un’attività criminale, così da co-stringere investigatori e giudici ad affrontare unamassa ingarbugliatissima di complicazioni legali in-ternazionali, tanto da rendere - se non impossibile -molto difficile risalire ai veri responsabili. Un quadro che registra punte di assoluta, inquie-tante evidenza sul versante del circuito finanziariomondiale, perché questo circuito è pieno di problemisistemici e leggi vetuste che rendono i controlli inef-ficaci e comunque tali da favorire il radicamento, ladiffusione e lo sviluppo - in condizioni di sostanzialeimpunità - di ogni manifestazione criminale e diquelle finanziarie in particolare.Questo è possibile perché il mercato non contemplaregole ferree e dettagliate, e non contempla puni-zioni esemplari capaci di mettere fuori gioco chiun-que bari. Le regole del mercato sono piuttostoquelle del Monopoli: un imprevisto, e magari finisciin prigione, ma paghi un tot e ti ridanno tutte lestrade, tutte le case, tutti gli alberghi, perfino lastessa pedina con cui giocavi prima e con la qualepuoi continuare a giocare, come se non fosse suc-cesso nulla.Per tutti questi motivi è assolutamente ne-cessario poter contare su una strategia glo-

bale di contrasto, armonizzata a livello inter-nazionale.La strada da percorrere è ancora tantissima, ma sipossono registrare alcuni primi ma significativipassi, sia sul piano internazionale sia su quello eu-ropeo in particolare. Sul primo versante, va ricordatala Convenzione delle Nazioni Unite contro il CrimineOrganizzato Transnazionale, firmata a Palermo neldicembre 2000. Sottoscrivendo questa Convenzione,la stragrande maggioranza degli Stati nel mondo haassunto l‘impegno a inserire nel proprio ordina-mento una serie di misure pensate con riferimentoalla realtà specifica delle organizzazioni criminali.Misure pensate anche con riferimento all’esperienzadi contrasto registrata in Italia: noi siamo un paesecon molti problemi di mafia, ma orgogliosamentepossiamo rivendicare di essere anche il Paese

dell’antimafia. Paese dell’antimafia perché espor-tiamo, anche a livello Onu, quello che abbiamo ela-borato e sperimentato sul campo, e non soltanto alivello investigativo-giudiziario propriamente detto,ma anche per quanto riguarda la cosiddetta antima-fia sociale. L’antimafia dei diritti. Cito a esempiol’esperienza di Libera, con le terre e i beni confiscatiai mafiosi, che non rimangono improduttivi ma che -in forza di una legge appoggiata da un milione difirme - possono essere destinati a fini socialmenteutili. Creando così nuove opportunità di lavoro,nuove opportunità di iniziative imprenditoriali, de-terminando le condizioni per un riscatto di “cittadi-nanza effettiva” - e non più di sudditanza rispetto alpotere mafioso - di un numero crescente, ora quasiimponente di giovani. E’ l’antimafia sociale, il fioreall’occhiello della nostra antimafia, studiata al-l’estero come punto di eccellenza della nostra anti-mafia e che in Europa - con una direttiva europeachiaramente orientata in questo senso - si cerca diimitare. Anche la convenzione ONU di cui vi parlo in-troduce, fra le principali misure: la previsione comereato della partecipazione a un gruppo criminale or-ganizzato, reato associativo, l’estensione della re-sponsabilità alle persone giuridiche coinvolte in reatinel gruppo, la punizione del riciclaggio e della cor-

ruzione, la confisca dei beni dell’associazione, laprotezione dei testimoni e l’assistenza alle vittime,l’incentivazione dei pentimenti con sconti di penafino all’immunità (ma il nostro ordinamento non loprevede), forti limitazioni del segreto bancario.Insomma: questa convenzione è molto importante

e si accompagna a iniziative consistenti avviate dallaComunità Europea. Per fronteggiare le sfide della cri-minalità sempre più indifferente alle frontiere, dellacriminalità che anzi approfitta della caduta dellefrontiere, l’Unione Europea ha cercato di realizzaremodalità di intervento che privilegino sempre più ildialogo e l’intesa fra gli Stati e fra le istituzioni co-munitarie, non essendo più sostenibile l’autarchianelle scelte di politica sulla criminalità. Ha cercatodi privilegiare il ciclo di affidamento, in modo da con-trastare la indifferenza e l’ostilità ancora presenti fra

stati e fra stato e comu-nità. In più, L’Unione Euro-pea ha messo in campouna serie di iniziative con-crete per migliorare la coo-perazione fra giudici e pro-curatori di stati membri,dando risposte operativeai problemi di coopera-zione: ecco allora i magi-strati di collegamento, larete giudiziaria europea,l’ufficio europeo di lottaantifrode OLAF di cui ildottor Perduca ha fattolungamente e meritoria-mente parte, ecco EURO-POL, ecco EUROJUST:qualcosa di efficace, final-mente!Una specie di rivoluzionecopernicana. Questi sono iprimi passi per l’avvio diun linguaggio comunedella lotta al crimine orga-nizzato, che sappia ridurregli interstizi e le zone gri-gie della modernità, entrocui le mafie sanno benis-

simo come incunearsi.Attenzione però, mai dimenticare un discorso anti-patico e per certi profili odioso: ma se non ne par-lassimo anche in questa sede, parleremmo d’altrorispetto alla realtà concreta dei problemi. Le mafie,per realizzare i loro affari, hanno bisogno di com-mercialisti, immobiliaristi, direttori di banca, fun-zionari di amministrazioni pubbliche, politici, ma-gistrati. Hanno bisogno di quella che viene oramaidefinita “borghesia mafiosa”. Il che non vuol dire chela borghesia è mafia, ma significa che nella borghesiaci possono essere persone che, con la mafia, intrat-tengono rapporti di vario tipo. Il che rende difficile,molte volte, tracciare un confine tra legalità e illega-lità. Spiace dirlo, è difficile dirlo, e però va detto: leistituzioni legali e alcuni ambiti delle organizzazionicriminali molto spesso convivono. Si contrastano,certo, ma - sembra di poter dire - senza un’effettivavolontà di annientarsi, perché misurano continua-mente i propri rapporti di forza, i propri equilibri, a se-conda delle reciproche esigenze a seconda dellespinte nazionali e internazionali, a seconda degli in-teressi in gioco, interessi che sono talora convergentie raramente, quasi mai, del tutto incompatibili.Mentre persiste, ed è un altro dato inquietante dellasituazione, la difficoltà di vedere le cose come

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Gian Carlo Caselli

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stanno davvero, perché si dice che “pecunia nonolet”, perché “l’economia non è farina per ostie”,perché “l’economia non può essere governata coipaternoster”, perché “gli affari sono affari”, perché“importa che l’economia giri”, specialmente in pe-riodi di grande difficoltà come questi, e se per farlagirare ci sono anche momenti di opacità, adesso“pazienza, perché ce ne occuperemo poi, ma forse il“poi” sarà troppo tardi. E così, non riusciamo a ve-dere ciò che per sua natura tende strutturalmente anon farsi vedere, fa di tutto per mimetizzarsi e na-scondersi.E qui il discorso va alla ‘ndrangheta. Fenomeno cheesiste da oltre un secolo, e che è sempre stato con-siderato un fenomeno criminale minore, quand’an-che ne fosse ammessa l’esistenza come fenomenocriminale. Frutto di una società che si è sempre vo-luto considerare chiusa, legata a valori arcaici e,quindi, incapace di cambiamenti profondi. Mentreinvece questi cambiamenti ci sono stati, nascosti an-che grazie a un cono d’ombra che su questo feno-meno criminale come la ‘ndrangheta è sempre statomantenuto, e facilitato dal fatto che quasi tutta l’at-tenzione era concentrata sui corleonesi stragisti diPalermo e dintorni. E, intanto, la mafia ‘ndrangheti-sta ha dimostrato di essere una mafia “liquida” perusare la metafora della professoressa Ferrarese, unamafia capace di penetrare ovunque, in ogni piegadella società, in ogni piega dell’economia e della po-litica , e anche in qualunque luogo geografico, fi-nendo per realizzare quella che l’ex presidente dellacommissione parlamentare antimafia Forgione hadefinito una “colonizzazione del nord Italia e di moltipaesi stranieri”.La strage di Duisburg del ferragosto 2007 ha se-gnato per la ‘ndrangheta una sorta di linea di con-fine, una sorta di spartiacque, un prima e un dopo:sei ragazzi trucidati nel cuore industriale e produt-tivo della Germania hanno fatto scoprire la ‘ndran-gheta al mondo ma forse non altrettanto al nostroPaese. Perché ancora pochi mesi fa abbiamo regi-strato che parlare di mafia al nord per qualcuno si-gnifica eresia. Eppure abbiamo visto insieme che lapenetrazione delle mafie oltre il perimetro di tradi-zionale insediamento storico sia una verità ovvia,quasi una conseguenza logica del loro modo di strut-turarsi in un certo modo che comporta necessaria-mente una forte dosa di espansione. Per cui, stupirsidella diffusione della mafia e della penetrazionedella mafia anche oltre le regioni di tradizionale in-sediamento è come stupirsi del fatto che la pioggiabagna. Ma ci si stupisce perché si rimane ancoratial folclore anacronistico di coppole e lupare, mentreoggi la scena della mafia è globale. Globale! Ma sequesto è vero, ed è vero, negare che da questo pro-cesso sia escluso per miracolo solo ed esclusiva-mente il nord del nostro Paese è un po’ provinciale.

La loro missione è anche il riciclaggio, e dove questamissione si localizza la mafia accumula, ogni giorno,quantità imponenti di denaro. Per poterne godere ef-fettivamente, questo denaro sporco va ripulito, inve-stendolo senza che se ne scopra l’origine illecita. Laverità è che questa attività di riciclaggio si indirizzanaturalmente verso le aree più ricche del nostroPaese, nord in testa. Il denaro riciclato si mimetizzapiù facilmente dove ne circola molto. Se il mafiosoinvestisse in un deserto, si scoprirebbe subito. I ma-fiosi fanno di tutto per non farsi notare e quindi è cer-tamente arduo individuare i loro investimenti, maspesso lo è perché proprio non li si vuole vedere.L’economia illegale si insinua ovunque e cerca di in-

serirsi dappertutto, anche perché l’imprenditoremafioso - rispetto a quello onesto - gode di vantaggienormi, dispone di capitali a costo zero, è ricchis-simo di suo per le attività illecite che quotidiana-mente gli gonfiano il portafoglio. Quindi, se vuoleintraprendere un’attività economica, non ha bisognodi andare in banca a farsi prestare i soldi, e il vantag-gio del denaro a costo zero - lo sapete 1000 volte me-glio di me - è un vantaggio davvero importante. Manon è l’unico vantaggio, anzi ce n’è un altro ancorapiù cospicuo, perché essendo il mafioso ricchissimo

di suo, quando decide di intraprendere un’attivitàeconomica, non ha bisogno di produrre altra ric-chezza, di produrre altri profitti nell’immediato o nelbreve periodo. E’ già ricco: può accontentarsi di con-trollare fette di mercato, praticando magari condi-zioni che la concorrenza non è in grado di reggere. Efinalmente, altro vantaggio per il mafioso che vuolfarsi imprenditore, se ha dei problemi sa benissimoquali sono le scorciatoie che gli consentono di risol-verli. Queste scorciatoie sono nel suo DNA: sono lacorruzione, l’intimidazione, se necessario la vio-lenza. Questi vantaggi spiazzano ogni concorrentepulito, ne comprimono gli affari e lo espellono dalmercato, oppure lo spolpano fino a svuotarlo, con-sentendo ai mafiosi di impadronirsi di quell’attività.Come Giovanni Castaldi ha ricordato un attimo fa,con maggior competenza di quella che posso espri-mere io.Così il libero mercato e la libertà di concorrenza di-ventano scatole vuote. Quando Confindustria sici-liana, con il supporto di Confindustria nazionale, de-cide di espellere i suoi associati che pagano il pizzo,e lo sta facendo effettivamente, non sta facendo solouna cosa buona e giusta. Sta facendo una cosa chesi può leggere ricorrendo alla categoria della legit-tima difesa. Confindustria siciliana, col supporto diConfindustria nazionale, è secondo me ben consa-pevole che bisogna porre un argine a questo dila-gare dell’economia illegale, che spiazza e rendesempre più difficile l’attività dell’economia pulita. Ederige questo argine dicendo ai suoi associati: bastacon l’ambiguità. O di qua o di là. Chi paga il pizzo fadel male prima di tutto a se stesso e agli altri asso-ciati di Confindustria e quindi non ha più cittadi-nanza in questa associazione. Legittima difesa.

Ma accanto ad azioni di contrasto positive e convin-centi, soprattutto sul piano della politica e dell’am-ministrazione, l’azione della mafia registra compli-cità e atteggiamenti  di sostanziale lassismo, cheuno storico delle cose di mafia, in un saggio nel1900, chiamava “fiaccona”. Finché resiste la “fiac-cona”, la mafia vince. Questa “fiaccona” la possiamoriscontrare con riferimento a quei paradisi fiscali di

cui ci ha parlato Marcello De Cecco. Un problemagravissimo, rispetto al quale si fanno in generegrandi proclami, ma poi in concreto poco o nulla.Qualcosa si è fatto quando si sono accorti che ancheil terrorismo islamico - che come ogni organizzazioneinternazionale ha problemi di finanziamento - si av-vale, esattamente  come i capitali che scaturisconodalla corruzione e dalla mafia, dei circuiti internazio-nali in tutte le loro articolazioni - paradisi fiscali com-presi. Gli USA cercarono di porre un freno a tutto ciòcon misure drastiche, di cui beneficiarono anche leazioni di contrasto all’economia illegale mafiosa.Ma poi, tutto sembra essersi molto diluito, se nonarenato. I paradisi fiscali imperversano, se non tantoquanto prima, in maniera abbastanza simile. Nono-stante fior di organismi internazionali qualificatichiedano e propongano concretamente rimedi, chese fossero attuati potrebbero rivelarsi efficaci. Adesempio, l’esclusione dalle transazioni internazio-nali, una sorta di embargo economico finanziario -l’embargo è previsto dall’ordinamento e dal dirittointernazionale, e già oggi viene praticato in modogiusto o sbagliato sull’Iran, su Cuba, sulla Palestina.Praticarlo anche su paesi che tollerano al loro in-terno la presenza di paradisi fiscali sarebbe una mi-sura efficace, per questi organismi internazionali chelo propongono.

Concludo, scusandomi se ho sforato il tempo asse-gnato, dicendo che di questi problemi e dei loro pro-tagonisti - le mafie, la ndrangheta - non dobbiamofare un feticcio. Sono criminali, ma non sono supe-ruomini. Sono forti non tanto loro virtù - sostanzial-mente inesistenti - e neanche per il loro potere or-ganizzativo che pure esiste, e va conosciuto per po-ter essere adeguatamente fronteggiato. E’ una forzache sta soprattutto nelle nostre insufficienze, inca-pacità, debolezze, miopie, amnesie quando non - eci sono anche queste - complicità.Queste mafie, in Italia e oltre i confini nazionali,esprimono un potere sia dal versante militare che daquello economico, costituendo così un potente fat-tore di corrosione della democrazia. E nell’elaboraremisure di contrasto, bisogna tenere conto anche diquesto, anche della potenziale corrosione della de-mocrazia che le mafie rappresentano. La classe po-litica in generale deve tenerne conto. Invece, lascia-temelo dire, la nostra classe politica si preoccupa an-che - se non soprattutto - di limitare gli strumenti diindagine in mano ai magistrati. E qui il discorso va,come avete capito tutti, alle intercettazioni.Bisogna invece tenere i riflettori accesi, anche ope-rativamente, su questi problemi. Colpendo soprat-tutto i patrimoni, ma anche mai dimenticando che larisposta deve essere repressiva, ma non può esseresoltanto repressiva. Alla ‘ndrangheta bisogna con-trapporre modelli credibili. Nel nostro Paese (e nonsolo), l’illegalità e il rifiuto dei controlli - come chiha introdotto i nostri lavori, Massimo Dary ci ha ri-cordato - hanno molte volte più spazi di quanti,forse, sarebbe giusto aspettarsi che abbiano.Grazie

Gian Carlo Caselli, magistrato in prima linea controil terrorismo negli anni di piombo, è stato Procu-ratore della Repubblica di Palermo dove ha conse-guito importantissimi risultati nella lotta contro lamafia. Dal 2008 è Procuratore Capo della Repub-blica di Torino.

...Le mafie, per realizzare

i loro affari, hanno bisognodi commercialisti,

immobiliaristi, direttoridi banca, funzionari di

amministrazioni pubbliche,politici, magistrati.

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Grazie per l’invito. Riprendendo quanto appenadetto, ci muoviamo tra un approccio lucidamenterealistico e la speranza. L’approccio realistico diceche, a tutt’oggi, ci troviamo in una situazione in cuiuna giustizia penale, ossia una giustizia di repres-sione, contrassegnata da strumenti legati a un de-terminato territorio, si trova a dover contrastare fe-nomeni globali internazionali. Aggiungo soltantoche l’Unione Europea, sotto questo aspetto, stacercando di colmare il gap tra dimensione nazio-nale autarchica delle giustizie penali e dimensionetransnazionale, globale dei fenomeni criminali e -in particolare - del riciclaggio. Il tentativo sta avve-nendo attraverso la creazione di uno spazio giuri-dico e giudiziario europeo. Uno spazio dove non solo i lavoratori, non solo lemerci, non solo i professionisti, non solo i cittadinionesti, non solo i criminali possono circolare libe-ramente, ma anche gli investigatori, anche i pubbliciministeri, anche i giudici, così come avviene all’in-terno di uno spazio nazionale. E’ un processo cheha già raggiunto tappe positive come il mandato diarresto europeo, strumento che ha drasticamenteabbattuto ad alcune settimane lunghe procedureche duravano mesi, o anni, per la consegna di per-sone ricercate da uno Stato all’altro.Altre iniziative si stanno realizzando, ma l’obiettivoè ancora lontano. Il 31 marzo 2010 la Procura di To-rino ha chiesto la trasmissione di informazioni rela-tive ad operazioni finanziarie all’autorità giudiziariadi un paese vicinissimo, con lunga e consolidata tra-dizione di collaborazione. Siamo all’11 febbraio2011, quasi all’anniversario, e la Procura di Torino -per una serie di ragioni pratiche legali e procedurali- non ha ancor ricevuto l’integralità di quanto avevachiesto. Ci muoviamo in una prospettiva di cui es-sere fieri, ma viviamo in una realtà in cui la velocitàdel crimine e la velocità dei tempi della giustizia

ricorda la gara tra la tartaruga e Achille. Stabilitevoi chi è Achille e chi la tartaruga.Detto questo, e venendo a problemi di casa nostraper quel che riguarda la risposta giudiziaria e re-pressiva al fenomeno del riciclaggio, vorrei partireda un paradosso. Da un alto abbiamo una norma-tiva penale e repressiva severa - di cui parlerò bre-vemente - dall’altro abbiamo (nonostante i pro-gressi segnalati dal dott. Castaldi) un numero assailimitato di indagini, di incriminazioni, di processi, dicondanne per fatti di riciclaggio. Qualsiasi relazionedi un operatore di questo settore deve partire daquesta constatazione. Purtroppo, l’armamentariorepressivo penale previsto dal legislatore non haancora dato risultati adeguati alla gravità del feno-meno.Come spiegare questo paradosso?Partiamo anzitutto dall’arsenale repressivo, da ciòche è previsto nel nostro sistema.  Il nostro sistemadi repressione del riciclaggio prevede essenzial-mente due fattispecie delittuose. C’è il riciclaggioche consiste nell’occultamento di denaro o di altrautilità proveniente da delitto, nella sua dissimula-zione e trasformazione, e c’è un delitto autonoma-mente previsto, sempre riconducibile alla categoriaampia del riciclaggio, che prevede la punizione dichi reimpiega in attività economiche lecite denaroo altri beni provenienti dal delitto. Sono quindi duereati che fotografano le due fasi principali del feno-meno del ricicilaggio, da un lato l’occultamento e ladissimulazione, ossia il mettere un filtro fra l’originecriminale e il denaro stesso, e poi la fase successiva,quella del reimpiego in attività lecite, con tutti i fe-nomeni di inquinamento dell’economia legale di cuihanno parlato il dott. Castaldi e il Procuratore Ca-selli.Sono due reati puniti durissimamente, con pene chevanno dai 4 ai 12 anni. Per i non tecnici, sono numeriche forse non vogliono dire moto, ma se compa-

riamo le sanzioni medie per i reati previsti dal co-dice penale, questi due reati appartengono alla ca-tegoria dei delitti puniti più gravemente. Ho fattouna piccola ricerca comparativa. Molto brevemente:pensate che l’estorsione è punita fra i 5 e i 10 anni,la rapina semplice tra i 3 e i 10 anni e la banda ar-mata, ossia il terrorismo eversivo, fra i 5 e i 15 anni,quindi con una sanzione superiore, ma non dimolto, a quella del riciclaggio.Nel nostro sistema, sanzioni pesanti non significanosoltanto un rischio penale elevato, almeno inastratto, per i responsabili del reato stesso, ossiaper i riciclatori. Significano anche - stante la con-nessione fra il codice penale e quello di procedurapenale - che a fronte di reati gravi come quello delriciclaggio le autorità giudiziarie e di polizia che in-dagano hanno a disposizione un ampio ventaglio distrumenti di indagine, che non sono a disposizioneper ogni tipo di reato. Per ogni tipo di reato è possi-bile ascoltare testimoni, disporre perquisizioni, se-questrare documenti attinenti al reato, accederealla documentazione esistente presso la PubblicaAmministrazione e gli istituti bancari. Ma soltantoper i reati più gravi sono previsti strumenti più in-vasivi nella lotta al crimine, come le intercettazionitelefoniche e, a partire dal 2006, la possibilità dicompiere da parte delle forze di polizia operazionidi copertura. Operazioni di copertura che consen-tono - attraverso una procedura strettamente con-trollata per evitare abusi - di entrare in contatto coni riciclatori e intrattenere rapporti economici, al finedi ottenere prove dell’attività di riciclaggio. Propriola gravità delle sanzioni previste per le due ipotesidi reato legate al riciclaggio consente di intervenirepesantemente, anche durante la fase dell’inchiesta,sulle libertà personali. E’ previsto l’arresto facolta-tivo, in caso di flagranza di reato (anche se la fla-granza di riciclaggio finanziario non è proprio all’or-dine del giorno), il fermo da parte delle forze di po-

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Alberto PerducaTra realismo e speranza: le cose da fare

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Alberto Perduca

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lizia per i sospetti di riciclaggio, ed è consentito alpubblico ministero di chiedere al giudice per le in-dagini preliminari una misura coercitiva, fino allaprivazione totale delle libertà personali con custo-dia in carcere per le persone gravemente indiziatedi riciclaggio.Non solo, ma sotto la spinta della normativa inter-nazionale, ci sono state varie correzioni per affi-nare gli strumenti in materia di contrasto al rici-claggio. E’ prevista la confisca obbligatoria dei pro-dotti e dei profitti del riciclaggio (ovviamente unavolta che i riciclatori sono stati condannati) e - no-vità molto interessante - è prevista anche la “confi-sca per equivalente”: Il che vuol dire che nel mo-mento in cui il riciclatore viene condannato, e vieneindividuato il prodotto o il profitto del riciclaggio,se quell’oggetto del riciclaggio non è aggredibile -perché è stato speso, o trasferito in un trust delleisole Cayman e nessuna autorità giudiziaria italianariuscirà mai a mettere le mani sulla somma messaal sicuro - è possibile ottenere dal giudice la confi-sca per equivalente. Per dire: se non riesco a pren-dere il malloppo messo al sicuro alle Isole Cayman,ti posso confiscare un appartamento di valore equi-valente.

Ci troviamo quindi di fronte a delle previsioni nor-mative che dal piano sanzionatorio sono assai gravi,severe, sintomatiche di una volontà di risponderecon decisione al fenomeno. Azioni severe che per-mettono alle autorità investigative e giudiziarie diintervenire con un arsenale robusto di strumenti,ma - come dicevo - ci troviamo di fronte alla con-statazione del numero inadeguato di inchieste diincriminazioni, di processi e di condanne per fattidi riciclaggio.Come spiegare questo fenomeno?Si possono tentare alcune spiegazioni. La primacausa di questo scarto tra arsenale teorico-astrattoe capacità di incidere in concreto sul piano repres-sivo sul fenomeno è probabilmente dovuto a unagenerale, insufficiente attenzione e professionalitàda parte delle forze di polizia e dell’autorità giudi-ziaria rispetto ai flussi finanziari prodotti dai delittigravi. Tutti i giorni esprimiamo delle eccellenze sulpiano investigativo per quanto riguarda la prova pe-nale, cioè la prova per stabilire la responsabilitàdelle persone, non sempre questa eccellenza si ri-scontra nella capacità di cercare i flussi finanziarida reperire e da assicurare alla giustizia. Non solole persone, quindi, ma anche il prodotto e i profittidel riciclaggio.E qui credo, prendendo punto dalla relazione tec-nica, preziosissima, del dott. Castaldi, che sia ne-cessario il contributo da parte di organi tecnici comel’UIF per incrementare questo processso di forma-zione di sensibilità sia di autorità di polizia chedell’autorità giudiziaria, un grosso aiuto di assi-stenza potrebbe venire, e credo ci siano già espe-rienze sul piano della formazione.Altra spiegazione dello scarto di cui vi parlavo: unindagine nasce a seguito del ricevimento da partedell’autorità giudiziaria della cosiddetta notitia cri-minis, un’informazione che rende plausibile l’esserestato commesso un reato, in questo caso un reatodi riciclaggio. Per quanto riguarda il riciclaggio, aldi là di fonti generiche come la denuncia di un pri-vato cittadino, ci sono canali di informazione quali-ficata. Uno di questi canali è la segnalazione di ope-razioni sospette, di cui parlava il dott. Castaldi.Debbo dire, sulla base dell’esperienza torinese,

spesso la segnalazione di operazioni sospette ar-riva - per tempi tecnici ineludibili - a distanza note-vole dai fatti, talora anche di anni. Questo costitui-sce obiettivamente un handicap per avviare in modoefficace un’inchiesta. Ma molto spesso l’innescodell’indagine per fatti di riciclaggio nasce nell’am-bito dell’indagine e delle investigazioni sul fattoproduttivo del riciclaggio. Faccio l’esempio del nar-cotraffico. Se si indaga nei confronti di un gruppo dipersone dedite al traffico di sostanze stupefacentia livello internazionale, prima o poi ci si imbatte inqualche traccia relativa ai guadagni di quest’attivitàcriminale. E di qui, inizia anche l’attenzione volta aripercorrere i flussi finanziari e patrimoniali generatida questa attività di narcotraffico, con l’intento direperire ed eventualmente sequestrare i profitti.

Ora, praticare questo doppio binario di indagine, daun lato indagare nei confronti del reato presuppo-sto, generatore del profitto, e dall’altro indagare neiconfronti del profitto, per reperirlo e sequestrarlo,non sempre è semplice. Senza entrare in tecnicismi,è difficile tenere insieme questi due binari, perché ireati sono diversi, i termini delle indagini preliminarisono diversi, molto spesso entriamo nella dimen-sione internazionale già esplorata, molto spessol’indagine sul flusso finanziario del profitto dell’at-tività di narcotraffico ci porta inevitabilmente al-l’estero. E se ci porta all’estero, è necessario chie-dere l’assistenza giudiziaria internazionale nei con-fronti di autorità giudiziarie e di polizia estere, as-sistenza sui cui tempi non abbiamo nessuna possi-bilità di controllo. Noi facciamo richiesta per saperese nella banca X è arrivata una certa somma di de-naro, ma non siamo in grado di controllare i tempidi risposta. I tempi possono essere immediati, raro,tempi di mesi, può succedere, altre volte i tempi sidilatano ancora, altre volte può succedere che l’au-torità giudiziaria straniera non risponde affatto.Tanto più nei paesi ad alto segreto bancario, o adalta agevolazione fiscale; per non parlare dei cosid-detti paradisi fiscali!Questo spiega perché l’indagine sui due binari di-venta a volte impraticabile, e per non sacrificare l’in-dagine penale, l’incriminazione e la condanna del-l’indagato, si tralascia la parte finanziaria e ci si con-centra esclusivamente sulla prova penale necessa-ria per ottenere il rinvio a giudizio e la condanna.

Ultima causa che spiega la distanza fra severitàdella normativa e ancora insufficiente efficacia del-l’intervento repressivo è la stessa formulazionedelle norme. Descrivere un reato è un esercizio nonbanale, perché si tratta di catturare l’essenza, ilcuore del fenomeno deviante che si vuole repri-

mere. Si tratta di coglierne tutti gli aspetti, ma sol-tanto quelli. In tal modo si consente a ogni cittadinodi sapere cosa è lecito e cosa non è lecito, e si con-sente l’attività degli inquirenti e dell’autorità giudi-ziaria che devono stabilire se quel reato è avvenutooppure no. E tuttavia, in entrambe le fattispecie - ri-ciclaggio da occultamento, riciclaggio da reimpiego- ci troviamo davanti una clausola che i tecnici chia-mano “il privilegio dell’autoriciclaggio”. Mispiego: per come sono costruite entrambe le fatti-specie di reato, è impedito di ritenere responsabiledi riciclaggio l’autore del reato che ha prodotto ilprofitto e il riciclaggio. In altre parole, se io sono unnarcotrafficante, e grazie alla mia attività accumuloun milione di euro e lo trasferisco attraverso una se-rie di operazioni in un conto corrente cifrato di unpaese a fiscalità favorita, io - in quanto autore deldelitto che ha prodotto questo profitto - non ri-spondo di riciclaggio. C’è una clausola nella formu-lazione della legge che ci impedisce di considerarecome riciclatore colui che ha prodotto il reato amonte del riciclaggio stesso. In questo modo si li-mita grandemente la possibilità di applicare questefigure di reato, pur severe in astratto.Rimanendo nell’esempio del narcotraffico, noi ab-biamo di fronte una realtà associativa, in cui c’è chicontatta i fornitori colombiani, chi si occupa dell’or-ganizzazione logistica, chi si occupa della distribu-zione all’interno del territorio nazionale e poi ab-biamo anche l’esperto - chiamiamolo il “ragioniere”- che si occupa di mettere al sicuro i profitti di que-sta attività. Siccome normalmente l’accordo fra as-sociazione e “ragioniere” avviene prima dell’iniziodell’attività del narcotraffico - perché l’associazionedeve essere sicura che il proprio profitto vengamesso al sicuro - ebbene per le regole della respon-sabilità penale previste in Italia, il “ragioniere” ri-sponde di concorso in narcotraffico e quindi - con-correndo nella responsabilità per il delitto di narco-traffico che ha prodotto il profitto - non risponderàpiù in modo autonomo di quel segmento di attivitàconsistente nel mettere al riparo e al sicuro i pro-venti del reato. Quindi noi ci troviamo di fronte a unambito di applicazione di questa normativa in ma-teria di riciclaggio estremamente limitato.Debbo dire che qualche tentativo - mi riferisco al di-segno di legge del 2004 sulla tutela del risparmio.Nei lavori preparatori di quel disegno di legge, ci fuun tentativo per eliminare questa clausola (del pri-vilegio dell’autoriciclaggio) e consentire - così comeprevisto in molti paesi di common law - che l’autoredel delitto a monte sia poi anche responsabile delriciclaggio del profitto che produce.Questo tentativo di abolire la clausola di privilegiodell’autoriciclaggio, purtroppo, non andò in porto.A onor del vero, le varie convenzioni internazionalinon sembrano far divieto di questo privilegio, me ècerto che la normativa comunitaria che vale all’in-terno della UE sarebbe invece favorevole all’esclu-sione di questo privilegio, quindi all’introduzione -come nei paesi di common law - della possibilità diincriminare anche per riciclaggio colui che ha pro-dotto il profitto riciclato con altro delitto. Non credoperò che questa sia la stagione più propizia per unintervento di questo tipo, certo è che il problema ri-mane e rimane con forza. Grazie.

Alberto Perduca è magistrato della Procura dellaRepubblica di Torino, capo dell’EULEX Justice Com-ponent con sede a Pristina dal 2008 e membrodell’OLAF (European AntiFraud Office)

...Ci troviamo di fronte allacostatazione del numero

inadeguato di inchieste, diincriminazioni, di processi e

di condanne per fatti diriciclaggio. Come spiegare

questo fenomeno?

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Atti del convegno SIBC su “Economia di mercato e Autorità di Controllo”ANNO XIX - N. 3 GIUGNO 2011

intervista a Gian Carlo Casellidi Alberto Antonetti

segue da pag. 1

Questa cultura diffusa, che si nutre anche di cattiviesempi “in alto” - e non parlo dei comportamenti diquesto o di quello, ma piuttosto di alcuni profilidella nostra legislazione, i condoni tombali, loscudo fiscale e via seguitando - questa diffusa cul-tura certamente non aiuta a percepire il pericolodelle organizzazioni criminali mafiose. Queste ul-time sono l’estrema realizzazione delle forme di il-legalità, ma fanno parte di un discorso complessivoche riguarda l’illegalità come tale prima di tutto.

Qual’è il secondo problema?L’altro problema andrebbe superato soprattuttograzie all'opera degli agenti di formazione e infor-mazione prima di tutto, dei media, delle varie formedi espressione artistica, della scuola, della chiesa.Parlo del limite culturale del nostro Paese in baseal quale, da sempre, quando si parla di Mafia, sipensa esclusivamente alla Mafia come una que-stione di cui occuparsi soltanto quando uccidono,quando fanno notizia tanto clamorosa da riempirele prime pagine dei giornali, per poi dimenticarsene,subito dopo. Troppo spesso ci si dimentica che cosasia la Mafia e cosa rappresenti, specie quando laMafia - come di questi tempi - attua una strategiadi inabissamento: per non fare notizia e poter altempo stesso tessere una fitta rete di interessi,niente più attacchi diretti allo Stato, come facevanoinvece i corleonesi. Percepire la Mafia esclusiva-mente come un problema di ordine pubblico è un li-mite culturale che ci impedisce di vedere nella Mafiaun sistema criminale-economico con fortissimi ri-svolti politici, che non è possibile circoscrivere adalcune aree geografiche. E’ una questione nazionalee una questione di democrazia che non è percepitacompiutamente, proprio per quel limite culturale dicui dicevamo prima.Superare questo limite culturale e al tempo stessocreare una maggiore cultura di legalità è conditiosine qua non per poter rendere l’opinione pubblicapiù avvertita e superare quella zona grigia, quellazona di indifferenza, quella sorta di palude di cui leidiceva nella domanda.

Se penso al tema in discussione nel nostro conve-gno, noi abbiamo da un lato criminali, estorsori,mafiosi, evasori che sfruttano mille strumenti fi-nanziari per occultare proventi illeciti. Dall’altrolato ci sono una molteplicità di autorità di controllocon diverse competenze: chi sugli intermediari, chisul rispetto delle leggi penali: Consob, Bankitalia,UIf e magistratura. In mezzo, per tornare alla fa-mosa “area  grigia”, ci sono - fra gli altri - gli inter-mediari finanziari. In che modo convincerli ad agirenon come soggetti neutri - quasi disinteressati achi prevale tra guardie e ladri - ma come soggettiattivi nel contrasto al crimine organizzato?Lei intravede possibili modifiche normative chepossano dare incentivi maggiori agli operatori fi-nanziari per schierarsi in modo deciso verso la le-galità?Modifiche legislative che affinino l’opera di contra-

sto sono sempre possibili, persino auspicabili. Qui,però, c’è un importante riflesso specifico di quantoabbiamo appena detto in un particolare ambito pro-fessionale. Deve crescere la cultura e la consapevo-lezza che rimanere neutrali -  magari ragionando intermini di “gli affari sono affari”, “l’economia devecomunque girare” “io devo fare il mio mestiere enon devo preoccuparmi d’altro, dell’altro se ne oc-cupi chi ha competenza, le istituzioni”, e così via -finisce di fatto col contribuire indirettamente al

mantenimento e  al rafforzamento di un sistemache, nel medio lungo periodo, finisce per essere pe-ricoloso se non micidiale per tutti. Micidiale, perchéè un sistema che cambia le regole di funzionamentodel mercato, che altera nel profondo la concorrenza,che inquina l’economia. La conseguenza è che in unsistema sempre più inquinato certi operatori chehanno “il pelo sullo stomaco” faranno affari ancorapiù vantaggiosi, mentre gli interessi generali - quellidell’economia sana, pulita, dell’economia che abbiaanche solo in parte l’ambizione di fare qualcosa cheserva non soltanto ai singoli operatori, ai capitali diquesto o di quello ma anche a un migliore governodella collettività - vanno a farsi benedire.

Veniamo alle questioni più vicina alla Banca d’Ita-lia. Lotta alla mafia, vuol dire anche lotta agli in-genti flussi di denaro che derivano dalle attivitàcriminali.L’integrazione fra i diversi ruoli di Banca d’Italia,Consob, UIF, magistratura non potrebbe essere inqualche modo amplificata dalla creazione di unasorta di “Scuola” di personale delle diverse Istitu-zioni, che si scambi idee sui “sistemi di investiga-zione” in senso lato, sia a livello centrale che ter-ritoriale?Ma io penso proprio di sì! Mentre partecipavamo alconvegno, ci scambiavamo delle osservazioni sot-

tovoce con il mio collega Alberto Perduca. Una diqueste osservazioni era: approfittiamo di alcunepresenze fra i relatori per cercare di fare formazionedel nostro personale. A maggior ragione, la sua ideadi fare formazione circolare e collettiva è indispen-sabile. Uno scambio di saperi, esperienze e sensi-bilità in un tema che necessariamente coinvolgeuna pluralità di saperi, esperienze e sensibilità, puòessere importante e anche decisivo.Quindi potremmo pensare a inventarci una nuova

struttura che metta tante informazioni a fattor co-mune, e si occupi di diffondere il sapere?A noi servirebbe certamente una maggiore forma-zione su aspetti specifici al nostro interno, a mag-gior ragione rendendo la cosa circolare avrebbe ef-fetti positivi!

In Francia spopola un piccolo testo “Indignezvous”, scritto da un partigiano francese di appena94 anni, che vede nell’ “assuefazione al peggio” ilvero rischio delle società contemporanee. Ha ven-duto milioni di copie: un moto collettivo di ribel-lione rispetto al degrado delle società contempo-ranee. C’è speranza anche in Italia, o questa tradu-zione dal francese è troppo complicata?Quando in Italia comparisse un testo simile, oquando verrà tradotto questo testo francese (èstato successivamente tradotto, ndr), avremmo su-bito una valanga di recensioni, interventi più omeno saccenti, più o meno paludati, per dire chesono “cose vecchie”, “sorpassate”, “d’altri tempi”,che è “moralismo d’accatto”, che oggi “bisognaprendere atto di una realtà in continuo movimentoe progresso”(sono effettivamente uscite recensionidi questa levatura, ndr). Se l’immagina, no? La cosaavvilente in Italia è che chi osa dire che non tutto vabene viene tacciato di essere persino un po’ anti-italiano, e questo - come dire? - non è bellissimo.

Alberto Antonetti, Segretario Nazionale del SIBC, con Gian Carlo Caselli

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