“Andiamo avanti con coraggio, amore, audacia e in ...131º della nascita del beato Giacomo...

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“Andiamo avanti con coraggio, amore, audacia e in comunione con tutta la Famiglia Paolina!” (Don Valdir Josè, Sup. gen. SSP)

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“Andiamo avanti con coraggio, amore, audaciae in comunione con tutta la Famiglia Paolina!”

(Don Valdir Josè, Sup. gen. SSP)

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GESÙ MAESTROAprile-Maggio-Giugno 2015 - Trimestrale anno 19Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”DIRETTORE: Don Olinto CrespiDIREZIONE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma

Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DI ROMA n° 76/96 del 20/02/1996 Fotocomposizione e stampa: Tipolitografia Trullo s.r.l. - www.tipolitografiatrullo.it

Via Ardeatina, 2479 - 00134 Santa Palomba Roma - Tel. 06.6535677

Grafica di copertina: Mario Moscatello sspIn copertina: Gesù Risorto di Tiziano - Collezione privata

Messaggio auguraledel Superiore Generale . . . . . . . . . . . . . . 3

EDITORIALECon san Paolouna nuova evangelizzazione . . . . . . . . . . 4

MAGISTERO DELLA CHIESAComunicare la famiglia,ambiente privilegiato . . . . . . . . . . . . . . . . 7

I LUOGHI DELLA GRAZIADELLA STORIA ALBERIONIANAA Narzole feconda attività pastoralee vocazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

VERSO IL CONVEGNOECCLESIALEIl cammino dell’uomo nella storiadella salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

ATTUALITÀ DELLA VITACONSACRATAIl mondo rovesciato. Le sfide della“Vita Consacrata” oggi . . . . . . . . . . . . . 18

ISTITUTO “GESÙ SACERDOTE”

COMUNICAZIONE DEL DELEGATOUn Convegno per ravvivare il dono . . . . 21Uniti nel suffragio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

S O M M A R I O

INSERTOIl Vangelo della famiglia. . . . . . . . . . IX-XII

Perché gli alberi non parlano . . . . . . . . . 27

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”LETTERA DEL DELEGATOLa visione integrale dell’uomoin don Giacomo Alberione . . . . . . . . . . . 28

SPIRITUALITÀ PAOLINAVedere Gesù nel prossimo . . . . . . . . . . . . 32

NOTE DI LITURGIALa “colletta”, preghiera della comunità 35

ELEMENTI DI FORMAZIONEIl silenzio, un’esigenza del cuore . . . . . . 37

GIORNATA MONDIALEDELLA COMUNICAZIONEEducare ai media in famiglia,non solo a parole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

PASTORALE FAMILIAREFunzione materna e paternanello sviluppo umano . . . . . . . . . . . . . . . 42

IN MEMORIADon Gigi Melotto, un sacerdoteinnamorato di Gesù e di Maria . . . . . . . 44Uniti nel suffragio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

NOVITÀ LIBRI E FILM . . . . . . . . . . . . 49

“Andiamo avanti con coraggio, amore, audaciae in comunione con tutta la Famiglia Paolina!”

(Don Valdir Josè, Sup. gen. SSP)

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L’Augurio Pasqualedel Nuovo Superiore Generale SSP

Carissimi fratelli, grazia e pace dal Signore Risorto! (…)Dopo la celebrazione del Centenario di fondazione della nostra Congregazione, vi

invito a riprendere e a ravvivare ogni giorno, nella gioia e nella speranza, il dono dellavita e della vocazione che abbiamo ricevuto. Come diceva don Alberione: «Anime liete,famiglia lieta, apostolato lieto. Le anime liete si fanno anche più presto sante» (Alle Fi-glie di San Paolo, 1946-1949, Roma 2000, p. 502).

Accogliamo la presenza di Gesù Risorto. Egli è vivo anche in mezzo a noi, special-mente nella sua Parola e nell’Eucaristia. A partire da questa esperienza pasquale, pos-siamo costruire un cammino insieme, unendo le forze per portare avanti la missionesulle “quattro ruote del carro paolino” (santità, studio, apostolato, povertà).

Come hanno fatto i discepoli di Emmaus dopo aver riconosciuto Gesù allo spezza-re del pane, allontaniamo da noi i pensieri negativi e lasciamo che la luce del Risortoillumini le situazioni di buio che, alcune volte, cercano di offuscare il cammino.

Andiamo avanti con coraggio, con amore, con audacia e in comunione, proseguen-do sulla strada che don Alberione ha aperto a noi e a tutta la Famiglia Paolina, «sem-pre tenendo lo sguardo rivolto a vasti orizzonti» (Papa Francesco, Discorso alla Fami-glia Paolina, 27 novembre 2014).

Maria, Regina degli Apostoli e san Paolo Apostolo siano i nostri intercessori nellasfida di vivere e di annunziare Gesù Maestro Via, Verità e Vita, in fedeltà creativa al ca-risma ereditato dal nostro Fondatore.

Una santa e felice Pasqua a tutti! Roma, Sabato Santo, 4 aprile 2015

131º della nascita del beato Giacomo Alberione

__________________________Don Valdir José De Castro, SSP

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Editoriale

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Scegliere una spiritualità in grado di favo-rire una santità personale e comunitaria,

che sa tradursi in testimonianza con la stampae gli altri mass media, è stato un impegno lun-go e delicato, come don Alberione ricorda (cfAD 159). I libri Appunti di teologiapastorale e La donna associata allozelo sacerdotale ci possono servireper conoscere, in riferimento alla re-ligiosità di quel tempo, a quale mododi vivere la fede e di evangelizzareera necessario portare dei cambia-menti.

In san Paolo don Alberione trova,anzitutto, il modello di una “integra-lità” di vita cristiana dove “dogma,morale e culto” devono essere pensa-ti, vissuti e proposti nel loro recipro-co completarsi se si intende procede-re a una “nuova evangelizzazione”.La nuova evangelizzazione richiedeuna “cristologia integrale”, doveCristo è riportato al centro e propostocome “Maestro Via, Verità e Vita”per l’individuo e la società, come in-dica Leone XIII nella Tametsi futura(1.11.1900).

Per avere unito predicazione oralee predicazione scritta e per avere,mosso dallo Spirito e con il consensodella Chiesa di Gerusalemme, an-nunciato Cristo ai pagani, san Paolo

predicherebbe oggi con la stampa per “farsitutto a tutti”.

Per l’apostolato della stampa era necessa-ria una spiritualità adeguata: «I tempi aposto-lici rivivono. L’apostolato è rimesso in onore e

Continuando il discorso “In cammino”, trattato dal compianto don Silvio Sassi e pubblica-to nel numero precedente, ci avventuriamo in una forma nuova di evangelizzazione che donAlberione, apostolo dei tempi moderni, ha riproposto alla comunità ecclesiale del ‘900:l’originalità dell’esperienza di fede e di evangelizzazione di San Paolo.

Con san Paolo una nuova evangelizzazione

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Con san Paolo una nuova evangelizzazione

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in fiore dagli impulsi pontifici. …Insegneremocon efficacia la dottrina del Salvatore se pri-ma, come gli Apostoli, ci stringeremo attornoal Maestro Divino per imparare la sua dottri-na e il suo Cuore, e fomenteremo nel nostrocuore la devozione al Divino Maestro. È unadevozione che maturerà in questi tempi di apo-stolato. La Regina Apostolorum è già oggilargamente invocata e Maria sarà quella cheguiderà i nuovi apostoli alle nuove mirabiliconquiste. …La devozione a san Paolo si al-largherà e si ingigantirà pure in questi tempidi apostolato e si diffonderà tra chi vuole vive-re una vita cristiana robusta» (Unione Coope-ratori Buona Stampa, 10 agosto 1922; cf LaPrimavera paolina, p. 456s)

Tra la fine del 1919 e l’inizio del1920, don Alberione fissa la spi-ritualità per l’apostolato stampa,curando con meticolosità anche lerappresentazioni dipinte o scolpi-te: al Sacro Cuore sostituisce Cri-sto Divino Maestro Via, Verità eVita; a Maria Immacolata, MariaRegina degli Apostoli; san Paolo,presente fin dall’inizio, permanedecisamente.

Anche visivamente collega que-ste immagini con l’apostolato stam-pa: il Divin Maestro, all’altezza delcuore, regge con la mano sinistra unlibro aperto con la scritta in latino Ego sum Viaet Veritas et Vita; il Bambino Gesù, sorretto epresentato da Maria Regina degli Apostoli achi si pone di fronte alla statua, stringe nellamano sinistra un foglio di carta bianco arroto-lato; San Paolo, sulla spada impugnata con lamano sinistra, tiene il libro delle Scritture. Il li-bro è presente nelle tre immagini e richiamal’apostolato stampa. Le fondamentali “devo-zioni” paoline sono una sintesi visiva dell’uni-tà tra amore a Dio e amore al prossimo conl’apostolato stampa.

Per un apostolato “docente”,una nuova religiosità

La priorità dell’apostolato stampa è la“predicazione”, «la presentazione della perso-na e dell’insegnamento di Cristo»: la missio-ne è “predicare”, un compito di “docenza”affidato al ministero sacerdotale non per unavisione “clericale”, ma perché richiede la te-stimonianza di una fede vissuta, la proposta dicontenuti sicuri e un’azione pastorale che tie-ne conto dei destinatari. Don Alberione, purpensando e attuando prima del Vaticano II,amplia la realizzazione del “sacerdozio paoli-no” con la categoria di “quasi-sacerdozio” at-tribuita alla suora, al laico consacrato nella se-

colarità e ai laici e laiche sosteni-tori della Famiglia Paolina (cfAD 23-24).

L’apostolato stampa non soloè una missione “sacerdotale”,ma si può attuare anche con unanuova forma di vita consacra-ta: essere santi evangelizzandocon la comunicazione, ma nonin forma isolata, bensì come“comunità di apostoli”. Affi-dando l’apostolato stampa aduna comunità di religiosi (So-cietà San Paolo) e religiose

(Figlie di San Paolo), don Alberione si propo-ne di ottenere due risultati: avere uomini edonne impegnati in una vita cristiana intensa,che permetta una “predicazione”, frutto di unafede vissuta, e disporre di un insieme di perso-ne che assicuri vita, durata e stabilità all’orga-nizzazione apostolica.

I primi due articoli delle Costituzioni de-scrivono rispettivamente il fine generale dellacongregazione, consistente nella santificazionepersonale, e il fine specifico, cioè l’apostolatocon la stampa e successivamente con gli altrimass media.

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Lo stile di vita religiosa paolina è definitodal Fondatore una “terza vita” perché uniscela contemplazione e l’azione, l’amore a Dio el’amore al prossimo con l’apostolato, la sal-vezza individuale e la “salvezzadelle anime”: «Ma vi è una terzavita, quella in cui si unisce laparte di contemplazione, cioè dipietà, alle attività; allora abbia-mo la vita mista che è parte con-templativa e parte attiva» (AlleFiglie di San Paolo. Spiegazionedelle Costituzioni 1961, 21).

La vita religiosa paolina, nelsuo complesso, non è indirizzata auna santificazione solitaria al chiu-so di un convento, ma a diventare“missionaria” con la stampa; lavita comune stessa è in funzione dell’aposto-lato: «Anche per noi la vita in comune è natadall’apostolato ed in vista dell’apostolato»(UPS I, 285). La riflessione del Concilio Va-ticano II e i successivi documenti del magi-stero universale sulla vita consacrata forni-scono i fondamenti teologici, adatti per ap-profondire la descrizione da lui abbozzatapartendo dalle esigenze concrete delle suefondazioni.

La “Famiglia Paolina”

Don Alberione, durante gli Esercizi spiri-tuali del 1960, presenta la composizione del-le Istituzioni da lui fondate e pensate comeuna famiglia, la Famiglia Paolina: 5 Congre-gazioni religiose, 3 Istituti paolini di vita con-sacrata secolare “aggregati” alla Società SanPaolo e i Cooperatori paolini. I vari stati divita, in cui ciascuno vive la propria fede, so-no compatibili, in diversa misura, con gli apo-stolati del carisma paolino: sacerdote (paoli-no), laico consacrato (Discepolo del Divin

Maestro), suora (Figlia di San Paolo, Pia Di-scepola del Divin Maestro, Suora di GesùBuon Pastore, Suora di Maria Regina degli

Apostoli), sacerdote diocesano elaico/a consacrati nella vita se-colare (Gesù Sacerdote, San Ga-briele Arcangelo, Maria Santis-sima Annunziata) e laici impe-gnati nel mondo (Cooperatoripaolini).

In stretto riferimento alle in-tenzioni del Fondatore, il cari-sma paolino si amplia successi-vamente alla coppia di sposi(Santa Famiglia).

Per descrivere in che modole diverse Istituzioni sono “fa-miglia”, il Fondatore precisa:

«Dev’essere uno lo spirito, quello contenutonel cuore di san Paolo, “cor Pauli, cor Chri-sti”; sono uguali le devozioni; e i vari fini con-vergono in un fine comune e generale: dareGesù Cristo al mondo, in modo completo, co-me egli si è definito: “Io sono la Via, la Verità,la Vita”» (UPS I, 20).

Una spiritualità comune, sullo stile di sanPaolo, favorisce la convergenza in unità diapostolati differenti, permettendo alla Fami-glia Paolina di essere “tutta pastorale” e, inse-rita nella Chiesa, trovare la sua unica ragiond’essere nell’evangelizzare «gli uomini di oggicon i mezzi di oggi».

La ricostruzione storica delle fondazionirealizzate dal Primo Maestro, l’insegnamentodella Chiesa dal Concilio Vaticano II al magi-stero universale sulla comunicazione di PapaFrancesco e la fisionomia attuale della comu-nicazione, motivano nei Paolini e nelle Paolinela convinzione che la “comunicazione” è una“via di santificazione e di apostolato” perl’intera Famiglia Paolina.

A cura di don Olinto CRESPI ssp

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Magistero della Chiesa

Il tema della famiglia è al centro di un’appro-fondita riflessione ecclesiale e di un proces-

so sinodale che prevede due Sinodi, uno stra-ordinario – appena celebrato – ed uno ordina-rio, convocato per il prossimo ottobre. In talecontesto, ho ritenuto opportuno che il temadella prossima Giornata Mondiale delle Comu-nicazioni Sociali avesse come punto di riferi-mento la famiglia. La famiglia è del resto ilprimo luogo dove impariamo a comunicare.Tornare a questo momento originario ci puòaiutare sia a rendere la comunicazione più au-tentica e umana, sia a guardare la famiglia daun nuovo punto di vista.

Possiamo lasciarci ispirare dall’icona evan-gelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc1,39-56). «Appena Elisabetta ebbe udito il salu-to di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed escla-mò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e be-nedetto il frutto del tuo grembo!”» (vv. 41-42).

Il grembo che ci ospita

Anzitutto, questo episodio ci mostra la co-municazione come un dialogo che si intreccia

con il linguaggio del corpo. La prima rispostaal saluto di Maria la dà infatti il bambino, sus-sultando gioiosamente nel grembo di Elisabet-ta. Esultare per la gioia dell’incontro è in uncerto senso l’archetipo e il simbolo di ogni al-tra comunicazione, che impariamo ancora pri-ma di venire al mondo. Il grembo che ci ospi-ta è la prima “scuola” di comunicazione, fat-ta di ascolto e di contatto corporeo, dove co-minciamo a familiarizzare col mondo esternoin un ambiente protetto e al suono rassicurantedel battito del cuore della mamma. Questo in-contro tra due esseri insieme così intimi e an-cora così estranei l’uno all’altra, un incontropieno di promesse, è la nostra prima esperien-za di comunicazione. Ed è un’esperienza che ciaccomuna tutti, perché ciascuno di noi è natoda una madre.

Anche dopo essere venuti al mondo restia-mo in un certo senso in un “grembo”, che è lafamiglia. Un grembo fatto di persone diverse,in relazione: la famiglia è il «luogo dove siimpara a convivere nella differenza» (Evange-lii gaudium [EG], 66). Differenze di generi edi generazioni, che comunicano prima di tuttoperché si accolgono a vicenda, perché tra loroesiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di

Il messaggio che Papa Francesco ci ha consegnato per la 49a Giornata Mondiale delle Co-municazioni Sociali, che si celebra il 17 maggio 2015, nel presentare la famiglia come “laprima scuola di comunicazione”, permette al “sociale” di acquistare il suo autentico signi-ficato, perché la prima forma di società è la famiglia. Non è tema fuori luogo, come alcunihanno pensato. Di conseguenza l’episodio della visita di Maria alla cugina Elisabetta diven-ta icona dell’autentica comunicazione.

“Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro

nella gratuità dell’amore”

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queste relazioni, più sono diverse le età, e piùricco è il nostro ambiente di vita.

È il legame che sta a fondamento della pa-rola, che a sua volta rinsalda il le-game. Le parole non le inventia-mo: le possiamo usare perché leabbiamo ricevute. È in famigliache si impara a parlare nella “lin-gua materna”, cioè la lingua deinostri antenati (cf 2Mac 7,25.27).In famiglia si percepisce che altrici hanno preceduto, ci hanno mes-so nella condizione di esistere e dipotere a nostra volta generare vitae fare qualcosa di buono e di bel-lo. Possiamo dare perché abbiamoricevuto, e questo circuito virtuo-so sta al cuore della capacità dellafamiglia di comunicarsi e di co-municare; e, più in generale, è il paradigma diogni comunicazione.

La prima comunicazioneè la preghiera

L’esperienza del legame che ci “precede”fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cuisi trasmette quella forma fondamentale di co-municazione che è la preghiera. Quando lamamma e il papà fanno addormentare i lorobambini appena nati, molto spesso li affidanoa Dio, perché vegli su di essi; e quando sonoun po’ più grandi recitano insieme con lorosemplici preghiere, ricordando con affetto an-che altre persone, i nonni, altri parenti, i mala-ti e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bi-sogno dell’aiuto di Dio. Così, in famiglia, lamaggior parte di noi ha imparato la dimensio-ne religiosa della comunicazione, che nel cri-stianesimo è tutta impregnata di amore,l’amore di Dio che si dona a noi e che noi of-friamo agli altri.

Nella famiglia è soprattutto la capacità diabbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, de-cifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piange-

re insieme, tra persone che non si sono scel-te e tuttavia sono così importanti l’una perl’altra, a farci capire che cosa è veramente lacomunicazione come scoperta e costruzionedi prossimità. Ridurre le distanze, venendosiincontro a vicenda e accogliendosi, è motivodi gratitudine e gioia: dal saluto di Maria edal sussulto del bambino scaturisce la bene-dizione di Elisabetta, a cui segue il bellissi-mo cantico del Magnificat, nel quale Marialoda il disegno d’amore di Dio su di lei e sulsuo popolo.

Da un “sì” pronunciato con fede scaturi-scono conseguenze che vanno ben oltre noistessi e si espandono nel mondo. “Visitare”comporta aprire le porte, non rinchiudersi neipropri appartamenti, uscire, andare versol’altro. Anche la famiglia è viva se respiraaprendosi oltre sé stessa, e le famiglie chefanno questo possono comunicare il loromessaggio di vita e di comunione, possonodare conforto e speranza alle famiglie più fe-rite, e far crescere la Chiesa stessa, che è fa-miglia di famiglie.

Comunicare la famiglia

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La famiglia scuola di perdono

La famiglia è più di ogni altro il luogo incui, vivendo insieme nella quotidianità, si spe-rimentano i limiti propri e altrui, i piccoli egrandi problemi della coesistenza, dell’andared’accordo. Non esiste la famiglia perfetta, manon bisogna avere paura dell’imperfezione,della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisognaimparare ad affrontarli in maniera costruttiva.Per questo la famiglia in cui, con i propri limi-ti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuo-la di perdono. Il perdono è una dinamica dicomunicazione, una comunicazione che si lo-gora, che si spezza e che, attraverso il penti-mento espresso e accolto, si può riannodare efar crescere. Un bambino che in famiglia impa-ra ad ascoltare gli altri, a parlare in modo ri-spettoso, esprimendo il proprio punto di vistasenza negare quello altrui, sarà nella società uncostruttore di dialogo e di riconciliazione.

A proposito di limiti e comunicazione, han-no tanto da insegnarci le famiglie con figli se-gnati da una o più disabilità. Il deficit motorio,sensoriale o intellettivo è sempre una tentazio-ne a chiudersi; ma può diventare, grazie al-l’amore dei genitori, dei fratelli e di altre per-sone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condi-videre, a comunicare in modo inclusivo; e puòaiutare la scuola, la parrocchia, le associazionia diventare più accoglienti verso tutti, a nonescludere nessuno.

In un mondo, poi, dove così spesso si male-dice, si parla male, si semina zizzania, si inqui-na con le chiacchiere il nostro ambiente uma-no, la famiglia può essere una scuola di comu-nicazione come benedizione. E questo anchelà dove sembra prevalere l’inevitabilità del-l’odio e della violenza, quando le famiglie so-no separate tra loro da muri di pietra o dai mu-ri non meno impenetrabili del pregiudizio e delrisentimento, quando sembrano esserci buoneragioni per dire “adesso basta”; in realtà, bene-

dire anziché maledire, visitare anziché respin-gere, accogliere anziché combattere è l’unicomodo per spezzare la spirale del male, per te-stimoniare che il bene è sempre possibile, pereducare i figli alla fratellanza.

Uso saggio dei media

Oggi i media più moderni, che soprattuttoper i più giovani sono ormai irrinunciabili,possono sia ostacolare che aiutare la comuni-cazione in famiglia e tra famiglie. La possonoostacolare se diventano un modo di sottrarsiall’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisi-ca, con la saturazione di ogni momento di si-lenzio e di attesa disimparando che «il silenzioè parte integrante della comunicazione e senzadi esso non esistono parole dense di contenu-to» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46a

G.M. delle Comunicazioni Sociali, 24.1.2012). La possono favorire se aiutano a raccontare

e condividere, a restare in contatto con i lonta-ni, a ringraziare e chiedere perdono, a renderesempre di nuovo possibile l’incontro. Risco-prendo quotidianamente questo centro vitaleche è l’incontro, questo “inizio vivo”, noi sa-premo orientare il nostro rapporto con le tec-

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Magistero della Chiesa

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nologie, invece che farci guidare da esse. An-che in questo campo, i genitori sono i primieducatori. Ma non vanno lasciati soli; la comu-nità cristiana è chiamata ad affiancarli perchésappiano insegnare ai figli a vivere nell’am-biente comunicativo secondo i criteri della di-gnità della persona umana e del bene comune.

La sfida che oggi ci si presenta è, dunque,reimparare a raccontare, non semplicementea produrre e consumare informazione. È questala direzione verso cui ci spingono i potenti epreziosi mezzi della comunicazione contempo-ranea. L’informazione è importante ma non ba-sta, perché troppo spesso semplifica, contrap-pone le differenze e le visioni diverse solleci-tando a schierarsi per l’una o l’altra, anzichéfavorire uno sguardo d’insieme.

Anche la famiglia, in conclusione, non è unoggetto sul quale si comunicano delle opinionio un terreno sul quale combattere battaglieideologiche, ma un ambiente in cui si imparaa comunicare nella prossimità e un soggettoche comunica, una “comunità comunicante”.Una comunità che sa accompagnare, festeggia-

re e fruttificare. In questo senso è possibile ri-pristinare uno sguardo capace di riconoscereche la famiglia continua ad essere una gran-de risorsa, e non solo un problema o un’isti-tuzione in crisi.

I media tendono a volte a presentare la fa-miglia come se fosse un modello astratto daaccettare o rifiutare, da difendere o attaccare,invece che una realtà concreta da vivere; o co-me se fosse un’ideologia di qualcuno controqualcun altro, invece che il luogo dove tuttiimpariamo che cosa significa comunicare nel-l’amore ricevuto e donato. Raccontare signifi-ca invece comprendere che le nostre vite sonointrecciate in una trama unitaria, che le vocisono molteplici e ciascuna è insostituibile.

La famiglia più bella, protagonista e nonproblema, è quella che sa comunicare, parten-do dalla testimonianza, la bellezza e la ricchez-za del rapporto tra uomo e donna, e di quellotra genitori e figli. Non lottiamo per difendereil passato, ma lavoriamo con pazienza e fidu-cia, in tutti gli ambienti che quotidianamenteabitiamo, per costruire il futuro.

Indizione del Giubileo straordinario della MisericordiaCari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione diessere testimone della misericordia. E’ un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbia-mo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo cen-tro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della pa-rola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr Lc 6,36). E questo specialmente per i confesso-ri! Tanta misericordia!Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della miseri-cordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione del-la Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nel-la sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia.Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, po-trà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tut-ti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Non dimentichiamoche Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’oraquesto Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino.

Papa Francesco - 13 marzo 2015

Comunicare la famiglia

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I luoghi della grazia della storia alberioniana

Feconda attività pastorale

Il giovane Giacomo Alberione fu ordinato sa-cerdote nel Duomo di Alba il 29 giugno

1907. Nel mese di febbraio 1908 venne man-dato come viceparroco a Narzole. Nella chiesaparrocchiale di San Bernardo iniziò la sua atti-vità pastorale. Vi operò finoall’ottobre dello stesso an-no. Furono mesi di grandefecondità per le varie realtàdella Famiglia Paolina

Nella storia carismatica“Abundantes divitiæ gratiæsuæ” (AD 82) scrive: «Eglipensò di formare le colla-boratrici dei Pastori: “leSuore Pastorelle”» (AD82). Così diceva loro il sa-bato santo del 1942: «Appe-na ordinato sacerdote fuiinviato come viceparroco inuna parrocchia del Piemon-te. Ero felicissimo; ciò ri-spondeva pienamente aimiei desideri: fare il pastore d’anime… Face-vo del mio meglio in mezzo al popolo, cercan-do di imitare Gesù buon Pastore, e dirigevo,per farmi aiutare, certe suore, che facevanoanche benino ma non erano Pastorelle, ossia

non erano abbastanza preparate e formate perla missione» (Alla Sorgente, anno 1942, pp.27-28).

Da quella fruttuosa esperienza, nonché«per due anni in conferenze settimanali condodici sacerdoti», con i quali «studiava i mez-zi di buona e aggiornata cura d’anime», matu-

rò il libro (1913) Appunti diTeologia Pastorale (cf AD83.85-86).

Inoltre, il ministero pa-storale di Narzole fu fecon-do di ispirazioni per un altrolibro, La donna associataallo zelo sacerdotale, un te-sto in cui si respira il lin-guaggio del tempo, ma cheha anticipato il Concilio Va-ticano II e la “Mulieris di-gnitatem” di san GiovanniPaolo II. Diceva alle Pie Di-scepole: «Vedete, quandoero in parrocchia, a fare laconferenza alle fidanzate oalle madri, chiamavo sem-

pre una donna anziana da Torino. Le donne,parlano meglio alle donne, certe volte; e ilprete parla bene alle donne, ma su certi argo-menti che non su certi altri. Oh, allora, alle-anza, perché noi dobbiamo insieme coopera-

Narzole è una cittadina di quasi 3.000 abitanti in provincia di Cuneo, a una ventina di chilo-metri da Alba; si trova a 325 metri sul livello del mare, sulle colline che sorgono alla sinistradel fiume Tanaro. Rimane ancor oggi famosa per la produzione del vino. A noi interessa in mo-do particolare per le numerose intuizioni profetiche che sono maturate nel breve periodo diattività pastorale che don Alberione ebbe prima di essere chiamato dal Vescovo, mons. Giu-seppe Francesco Re in Seminario con l’incarico di Direttore spirituale dei Chierici.

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A Narzolefeconda attività pastorale e vocazionale

La Chiesa parrocchiale di san Bernardo

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re: Gesù e Maria, Sacerdote e Pia Discepola»(Alle Pie Discepole, anno 1956, pp. 534.535).

Promozione vocazionale

Don Alberione scrisse: «Tenendo presente ilfuturo della Famiglia Paolina, egli pensava alpersonale. E questo, da prepararsi cercandogiovanetti e formandoli. A Narzole… nel 1908trovò fanciulli di buone qualità di mente e dicuore. Tra essi Giuseppe Giaccardo, pio e in-telligente. Lo avviò al Seminario, corrispon-dendone le spese. E quando egli fu trasferito adAlba come direttore spirituale del Seminario necoltivò in modo speciale lo spirito preparando-lo per la Famiglia Paolina» (AD 103-104).

Così, insieme all’esperienzapastorale, don Alberione iniziòla sua esperienza vocazionale.L’incontro del piccolo Pinotucon don Alberione avvenne nelmaggio 1908 quando aveva 12anni. Un vero dono di Maria, di-rà un giorno don Giaccardo delsuo incontro con don Alberione,e scriverà: «La mia vita spiritua-le è cominciata ai tuoi piedi, oMaria, è stata generata da te,nelle mani del Primo Maestro».

Don Alberione stesso rac-contò di un gesto di estrema de-licatezza che Pinotu ebbe neiconfronti del vecchio parrocogià infermo, che a volte si per-metteva un bicchiere di troppo. Era la fine delmese di maggio, celebrato in parrocchia congrande solennità. Dopo la recita del rosario inuna frazione, a motivo del vino bevuto perchéofferto dai contadini, il parroco aveva dato se-gni di malessere: «Rimasi colpito da un gestodi straordinaria prudenza e di squisita bontànei confronti del vecchio parroco… Pinotu tro-

vò modo di fare allontanare alcuni suoi coeta-nei che avrebbero potuto farsene beffe e usòverso quel poveretto lo stesso rispetto che ave-va sempre avuto verso tutti i sacerdoti. Da al-lora lo considerai come un piccolo uomo».

L’attrazione era vicendevole; dopo aver ac-compagnato il parroco in canonica, Pinotu siavvicinò a don Alberione insieme ad altri suoicompagni chierichetti. Nel cuore di don Albe-rione si illuminò il destino di quel ragazzo. Sidiede da fare per trovare persone che lo aiutas-sero economicamente. Ebbe il consenso dellafamiglia, rassicurata dalla bontà di quel giova-ne prete. Nell’ottobre 1908 Pinotu entrò nelSeminario di Alba.

La mamma – donna semplice, laboriosa edi grande fede – sulla porta di casa, continuò a

salutare questo suo figliolo finché il calessescomparve alla sua vista; asciugandosi gli oc-chi, ella pregò nel suo cuore: «Mio Signore,che tutto vedi e tutto puoi, fa’ che questi mieiocchi non si chiudano prima che questo fi-gliolo dica la prima Messa».

Quando nell’ottobre 1918 le venne diagno-sticato un tumore al pancreas, era certa che non

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A Narzole

L’urna del beato Timoteo Giaccardo accolta con grande gioiadalle autorità religiose e civili a Narzole

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sarebbe morta prima dell’ordinazione sacerdo-tale del suo Pinotu. La grazia le fu concessa,grazie ad un’intuizione di don Alberione: eglichiese al Vescovo che l’ordinazione, stabilitaper 27 ottobre 1919, fosse anticipata al 19 ot-tobre. Ordinato sacerdote, don Giuseppe potéassistere con i conforti religiosi la mamma, chemoriva proprio il 28 ottobre.Senza questa provvidenzialepreveggenza, non avrebbe vistosuo figlio sacerdote. «Quando èmorta – ricorda il Beato – le ab-biamo messo il suo vestito dasposa, che lei aveva fatto tingeredi nero, come aveva desiderato.Era quello il suo vestito più bel-lo» (cf Fornasari E., Profeta ob-bediente, p. 25).

L’anno scorso, in occasionedel Centenario di fondazionedella Famiglia Paolina, la salmadel beato Timoteo, tumulata nel-la cripta del Santuario Reginadegli Apostoli in Roma, fu portata trionfal-mente ai luoghi di origine della Famiglia Pao-lina, accolta a Narzole dall’autorità religiosa ecivile, nonché dai cittadini con un accalorato“Bentornato a casa”.

Nella chiesa di san Bernardo, sopra l’altarea sinistra di chi entra, si presenta la ieratica ebenedicente figura del Beato; e nella chiesasan Paolo di Alba, al primo altare laterale allasinistra di chi entra, è posto il suo corpo, ritor-nato finalmente al luogo, in cui sono tanti i ri-cordi della sua presenza e della sua azione.

A Narzole è nato anche Michelino Gagna.Ordinato sacerdote, fu mandato in missione aLeopoldville (Congo). Trovandosi la casa delleFiglie di san Paolo tra due fuochi di un conflitto,dovettero abbandonare l’abitazione; però dimen-ticarono di portare vie le ostie consacrate. Neldesiderio di recuperarle don Michelino, pur dis-suaso dai suoi confratelli, partì. Scrive un con-

fratello, fr. Adriano Cappelletto: «Il giorno 17 di-cembre (era l’anno 1961) , da un Padre belga furiconosciuta in Via Kasenga la macchina di donMichelino: era completamente bruciata…. Den-tro, da pochi resti di ossa carbonizzate, si potédedurre che l’autista, ferito mortalmente, era sta-to distrutto dal fuoco… Assieme ai suoi resti si

trovò la Pisside semifusa: segno che già avevaraggiunta la casa delle Figlie di San Paolo e sta-va ritornando. Ho raccolto quel poco che rima-neva di don Michelino in una piccola scatola».

Don Alberione il 22 dicembre, pochi giornidopo che il sacerdote era stato ucciso, lo definì“martire dell’Eucaristia”: «Aveva otto anni que-sto fanciullo. Io ero andato a Narzole, suo pae-se nativo, per la messa del maestro Giaccardo,prima messa, e il parroco mi fece vedere i chie-richetti; poi c’era là uno, piccolo, al fondo, e miha detto: “Guarda, quello là è fatto per la SanPaolo, sai”… E allora gli ho parlato… quindi èentrato nel 1921. Siamo nel 1961; e così a 51anni di età ha lasciato la terra. E una suora miha detto: “Andava a prendere Gesù, ma Gesùha preso lui e se lo è portato in Paradiso”» (Al-le Pie Discepole, anno 1961, p. 300).

Don Venanzio FLORIANo ssp5 - continua

I luoghi della grazia della storia alberioniana

(Da sinistra, fila in basso) Don Michelino Gagna è il quinto, accantoal beato Timoteo Giaccardo. Al centro il beato Giacomo Alberione

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Verso il Convegno ecclesiale

Il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015. Lo slo-gan “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” ci invita a guardare a Cristo Maestro di umani-tà, quindi al “coraggio di amare l’umano”, a “trasfigurare, non a sfigurare la realtà”, a va-lorizzare l’“umanesimo digitale”: il tutto alla luce di «un’antropologia biblica che vedel’uomo come l’opera più preziosa delle mani creatrici di Dio».L’articolo di don Primo Gironi ssp, biblista, ci aiuta a prendere coscienza di quanto l’Albe-rione, alla scuola di Paolo, abbia fatta sua questa proposta.

Il cammino dell’uomonella storia della salvezza

La storia della salvezza, come ci è presenta-ta nella Bibbia, descrive l’esistenza del-

l’uomo sotto un duplice aspetto. Il primo aspetto è quello che riguarda l’esi-

stenza dell’uomo alla luce della creazione,quando Dio lo plasma dalla terra («Allora il Si-gnore Dio plasmò l’uomo con polvere del suo-lo»: Gen 2,7). È l’esistenza dell’uomo trattodalla terra (dell’uomo terreno, come lo chiamaPaolo [1Cor 15,48]) che si svolgerà sotto il do-minio del peccato, secondo la libera scelta del-l’uomo stesso, come è narrato nell’episodiodel peccato originale (cf Gen 3). E come laterra (in ebraico adamàh) sperimenta i diversifenomeni naturali e at-mosferici che la scuo-tono, così l’uomo (inebraico adàm, perchétratto da adamàh) spe-rimenterà le doloroseconseguenze del pec-cato che opera in lui.

Il secondo aspetto èquello che riguardal’esistenza dell’uomoredento e rinnovatodalla Pasqua di Gesù.L’evangelista Giovan-ni la presenta come

una “nuova nascita dall’alto” operata dalloSpirito (cf Gv 3,7), mentre l’apostolo Paolo lapresenta come una “nuova creazione” operatada Cristo, che fa dell’uomo una “nuova creatu-ra” (1Cor 5,17), perché l’uomo vecchio (quel-lo sotto il dominio del peccato) è stato “svesti-to” per “rivestire” l’uomo nuovo (Ef 4,24).

Il cammino dell’uomo“tratto dalla terra”

La tradizione ebraica si è interrogata a lun-go sulla condizione dell’uomo e ci ha trasmes-so le impareggiabili pagine della creazione, del

Verso un umanesimo anche digitale

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Il cammino dell’uomo nella storia della salvezza

peccato originale, del diluvio e della torre diBabele.

È nata così un’antropologia biblica che ve-de l’uomo come l’opera più preziosa delle ma-ni creatrici di Dio e da lui amata a tal puntoche il Salmo 8, attribuendo l’atto creativo alle“dita” di Dio, non esita a vedere in lui anchela tenerezza “materna” (le “dita” esprimonouna cura più intensa, più attenta a ogni parti-colare, più femminile, piùmaterna): «Quando vedo ituoi cieli, opera delle tue di-ta, la luna e le stelle che tuhai fissato, che cosa è l’uo-mo perché di lui ti ricordi, ilfiglio dell’uomo, perché te necuri?» (Sal 8,4).

Al tempo stesso, però,l’antropologia biblica nonesita a evidenziare la gravefrattura che si è creata tral’uomo e Dio con il peccato.Il progetto originario di Dio,che ha voluto l’uomo e ladonna sua “immagine” e sua“somiglianza” («Facciamo l’uomo a nostraimmagine, secondo la nostra somiglianza»:Gen 1,26), è ora intaccato dalla realtà del pec-cato, che frantuma (sebbene non definitiva-mente) questa stessa “immagine” e questastessa “somiglianza” che l’uomo ha con Dio.

Nella sua concezione antropologica, donAlberione annotava al riguardo: «L’uomo èfatto da Dio a sua immagine e somiglianza… èuna piccola trinità, immagine di Dio Trino…Per la caduta di Adamo ed Eva tutto l’uomo fu“in deterius commutatus” [= trasformato inpeggio]: la mente inclinata all’errore, la volon-tà inclinata al vizio, il sentimento inclinato al-la superstizione, falsi culti e morte eterna» (Utperfectus sit homo Dei, vol. II, p. 149),

Nella mente, nella volontà e nel sentimentodon Alberione vede il centro dell’agire e del

pensare dell’uomo, secondo uno schema antro-pologico tripartito che a lui è molto caro (comesi coglie nella valorizzazione che egli fa deltrinomio cristologico Via, Verità e Vita). Intac-cato dal peccato, questo centro non è più irra-diazione della bontà di Dio creatore, ma fontedel disordine morale e materiale che la Bibbiavede nel caos delle origini («la terra era infor-me e deserta»: Gen 1,1) prima che Dio ordi-

nasse il creato e imprimessela sua immagine e la sua so-miglianza nell’uomo.

L’esistenza dell’uomo, alquale Dio ha donato come“aiuto” la donna («Non è be-ne che l’uomo sia solo: vo-glio fargli un aiuto che glicorrisponda»: Gen 2,18), di-venta ora il cammino dell’uo-mo tratto dalla terra, che spe-rimenta tutte le conseguenzedel peccato, visibili nella vio-lenza (Caino che uccide Abe-le: Gen 4,8), nella globalizza-zione della corruzione (l’epi-

sodio del diluvio: Gen 6,5-9,17), nella sfidaaperta a Dio (l’episodio della torre di Babele:Gen 11,1-9).

Questo uomo, che ormai porta in sé i segnie le ferite del peccato, cammina ora unicamen-te per ritornare alla terra, dalla quale è statotratto («finché non ritornerai alla terra, perchéda essa sei stato tratto»: Gen 3,19). È l’espe-rienza della morte.

Nel suo progetto originario, Dio aveva trac-ciato per l’uomo il cammino della vita. Ma l’uo-mo ha preferito un suo proprio progetto, il cuicammino conduce inesorabilmente alla morte.

Dio stesso aveva detto all’uomo che, al ri-fiuto del suo progetto, il suo cammino sarebbestato quello che conduce alla morte: «Nelgiorno in cui ne mangerai [=allusione al rifiu-to del progetto di Dio], certamente dovrai mo-

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rire» (Gen 2,17). Il Salmista descrive questocammino come “il sepolcro” dell’uomo, la sua“dimora eterna”, la sua “tenda di generazionein generazione” (Sal 49,12). Il pastore cheguida questo cammino non è più Dio (comenel Sal 23: «Il Signore è il mio pastore»), mala morte stessa: «sarà loro pastore la morte»(Sal 49,15):

«Il sepolcro sarà loro eterna dimora, lorotenda di generazione in generazione… Comepecore sono destinati agli ìnferi [= la morte],sarà loro pastore la morte: scenderanno a pre-cipizio nel sepolcro… gli inferi [= il regno deimorti] sarà la loro dimora» (Sal 49,12.15).

In questa visione dell’uomo la Bibbia vederispecchiarsi anche tutto il popolo di Israeleche, sotto il peso delle sue infedeltà e dei suoipeccati, si incamminerà verso l’esilio, immagi-ne di morte e assenza di ogni futuro umano.

Uomo e popolo avvertono perciò un pro-fondo bisogno di ritornare sul cammino trac-ciato da Dio fin dalle origini e di recuperare leradici dell’umanesimo che ha in Dio la sua im-magine e la sua somiglianza. Si profila al-l’orizzonte di questo uomo e di questo popoloil nuovo umanesimo che appare nel Cristo, ve-ra «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15)che redime e rinnova questo uomo che siamotutti noi «che abbiamo portato l’immagine del-l’uomo di terra» (1Cor 15,49).

Don Alberione, ispirandosi all’immaginedel cristiano innestato in Cristo, che Paolo pre-senta nella lettera ai Romani (11,16-24), affer-ma: «Secondo san Paolo… siamo innestati inlui [Cristo], come l’olivo selvatico [l’uomotratto dalla terra] diviene un nuovo e fruttifi-cante olivo [l’uomo che porta l’immagine diDio] per il buon innesto [in Cristo]… L’uomoha tre facoltà che lo distinguono: mente, senti-mento, volontà. L’innesto inserito nell’uomodeve elevare e portare a nuovi frutti la suamente, il sentimento, la volontà, secondo la na-tura dell’innesto e dell’uomo innestato. Ed è

così che Gesù Verità opera sulla mente e con-ferisce la fede; Gesù Cristo è Via e opera nellavolontà; Gesù Cristo èvita e opera sul senti-mento portando una vita soprannaturale. Chese questo innesto è assecondato pienamentedal cristiano, questi potrà dire: “Vivit in meChristus”» (Ut perfectus sit homo Dei, vol. II,pp. 148-149).

Il nuovo cammino dell’uomoin Cristo

Il secondo aspettoche la storia della sal-vezza ci presenta neldescrivere l’esistenzadell’uomo è quello cheriguarda il nuovo cam-mino dell’uomo reden-to da Cristo. In questocammino l’uomo nonsolo viene ristabilito

pienamente nella sua identità di immagine diDio, ma viene anche inserito in un camminointeriore che lo conduce alla cristificazione.

Questo termine, tanto caro a don Alberione(«la santificazione è un processo di cristifica-zione, “finché sia formato Cristo in noi” [Gal4,10]), esprime la centralità di Cristo nellacreazione e nell’esistenza dell’uomo. Questacentralità è visibile nell’incarnazione dove, al-la luce della meditata riflessione che san Paolofa nel secondo capitolo della lettera ai Filippe-si, convergono in Cristo i due cammini che ca-ratterizzano l’esistenza dell’uomo:

«Cristo Gesù…,pur essendo nella condizione di Dio,non ritenne un privilegio l’essere come Dio,ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo,diventando simile agli uomini.

Verso il Convegno ecclesiale

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Il cammino dell’uomo nella storia della salvezza

Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla mortee a una morte di croce.Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,6-9).

Nell’incarnazione, attraverso il suo abbas-samento (che l’apostolo chiama con il signifi-cativo termine greco di kènosis, “svuotamen-to”), Cristo fa suo il cammino dell’uomo trattodalla terra, per poterlo così redimere.

Ecco come presenta questo “abbassamen-to” la Costituzione conciliare Gaudium et spes:«Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unitoin certo modo a ogni uomo. Ha lavorato conmani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo,ha agito con volontà d’uomo, ha amato concuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine,egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto si-mile a noi, fuorché nel peccato» (n. 22).

Si tratta di quella che è chiamata “cristolo-gia dal basso”. In Gesù, il Figlio, si rivela ilvolto dell’uomo che ha sfigurato l’immaginedi Dio e ne ha portato le conseguenze (la fati-ca del lavoro, la violenza, il dolore, la morte).In Gesù, che “si svuotò” della sua dignità di Fi-glio, si rivela la condizione del servo, delloschiavo, che lo rende in tutto simile all’uomotratto dalla terra, fino a farsi “peccato” (comeleggiamo in 2Cor 5,21: «Colui che non avevaconosciuto peccato, Dio lo fece peccato in no-stro favore»).

L’evangelista Giovanni esprime tutto ciòquando dice che l’uomo tratto dalla terra è “diquaggiù” («voi siete di quaggiù»: Gv 8,23), è“di questo mondo” («voi siete di questo mon-do»: Gv 8,23), è “dalla terra” («chi viene dal-la terra, appartiene alla terra»: Gv 3,31) enon è nato dall’alto («se uno non nasce dall’al-to, non può vedere il regno di Dio»: Gv 3,3).

Ma in Gesù si rivela anche il nuovo cammi-no dell’uomo. Egli lo apre rivestito dell’imma-

gine di Dio, come era nel progetto originariodella creazione, divenendo così il modello del-l’uomo perfetto.

Dice al riguardo la Costituzione conciliareGaudium et spes: «Egli [Cristo] è “l’immaginedell’invisibile Dio” (Col 1,15). Egli è l’uomoperfetto, che ha restituito ai figli di Adamo lasomiglianza con Dio, resa deforme già subitoagli inizi a causa del peccato. Poiché in lui lanatura umana è stata assunta, senza per questovenire annientata, perciò stesso essa è stata an-che innalzata a una dignità sublime» (n. 22).

Più avanti nel n. 41 la stessa Costituzioneritorna sulla centralità di Gesù come uomo per-fetto, affermando una delle proposizioni piùincisive del testo conciliare: «Chiunque segueCristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uo-mo». La sequela di Cristo, come ha formato isuoi discepoli storici così diviene il fondamen-to dell’umanesimo cristiano.

È, questa, la “cristologia dall’alto”, che ve-de non più il Cristo che cammina percorrendole tracce dell’uomo tratto dalla terra, ma il Cri-sto che si è “svestito” di questo uomo e si è “ri-vestito” della dignità di Figlio (dignità chePaolo chiama «il nome») che il Padre gli hadato nell’esaltazione della Croce e nella glori-ficazione della Pasqua: «Per questo Dio loesaltò e gli donò il nome che è al di sopra diogni nome» (Fil 2,9).

Anche l’evangelista Giovanni coglie la cen-tralità del “nome” di Cristo proprio al terminedel cammino che lo conduce alla Croce: «E io,quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti ame» (Gv 12,32). E proprio sulla Croce, dove lasua umanità è totalmente sfigurata come quel-la dell’uomo tratto dalla terra, risplende la bel-lezza dell’immagine di Dio sul suo volto di Fi-glio che con la sua obbedienza ha portato acompimento il progetto originario del Padresull’uomo: «È compiuto» (Gv 19,30).

Don Primo GIRONI ssp

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Anno della Vita Consacrata

Impossibile parlare di Vita Consacrata (VC) senza parlare della vita di Gesù, del suo modo diessere e di sperare, della sua umanità e della fiducia incrollabile che Egli aveva nel Padre. Nel-la relazione, tenuta il 25 marzo all’Università Lateranense, don Giuseppe Forlai igs dimostral’urgenza e l’attualità della testimonianza della vita consacrata in “un mondo rovesciato”.

Il mondo rovesciatoLe sfide della “Vita Consacrata” oggi

Il senso della presenzadei consacrati

Scriveva S. Weil che l’uomo religioso si co-nosce non da come parla di Dio ma da co-

me parla col mondo. Usciamo di casa e tenia-mo gli occhi spalancati; togliamoci la svegliadal collo e “svegliamo il mondo”, come dicePapa Francesco. Chiediamo una buona voltaalla gente di rendere ragione delle proprie atte-se, senza dover sempre noi consacrati esseremessi alle corde per giustificare tutto.

Assicuriamoci un primo punto fermo: noiconsacrati esistiamo perché Dio cercavaqualcuno da amare senza altri concorrenti.Siamo semplicemente «il discepolo che Gesùamava» (e non necessariamente «il discepoloche amava Gesù»)... e questo basterebbe. Iconsacrati esistono anche se non sempre sonoutili: siamo un po’ come la fotografia di fami-glia messa sulla grande scrivania di un impren-ditore importante. Sopra di essa ci sono telefo-ni, computer, IPad, IPhone, ecc.... Tutte coseindispensabili per lavorare. Tranne noi.

La fotografia di famiglia non fa andare me-glio il lavoro, ma sicuramente rende più piace-vole la giornata del capo. Dio si rallegra quan-do, guardando noi, riconosce lo stile di vitadel suo Figlio incarnato. E questo lo aiuta asopportare con più serenità la stupidità degliuomini.

I Magi seguirono la stella. Una sola. Ancheper noi la stella è una sola e si chiama Gesù, ilMaestro unico e autorevole. Questo fa sì chesia impossibile dialogare di VC senza parlaredella vita di Gesù, del suo modo di essere e disperare, della sua umanità e della fiducia in-crollabile che egli aveva nel Padre.

Cristologia e sequela sono indissolubili:non solo nel senso che la sequela è modellatasul Cristo (questo dovrebbe essere ovvio!), maanche – questione molto seria posta dal teolo-go domenicano Martinez Diez – che la cristo-logia si investiga fino in fondo solo dal puntodi vista della sequela: può comprendere Cristosolo chi lo segue!

Oggi si tratta molto della crisi della VC, mase siamo onesti dovremmo parlare in alcuniambiti di una vera e propria decadenza chepreannuncia la morte. La crisi è legata alla di-minuzione della vocazioni, all’invecchiamen-to, agli abbandoni (6.000 l’anno!) e alla chiu-sura delle opere. Questi tramonti la VC li hasempre ciclicamente incontrati nel corso deisecoli. Morti e rinascite, trasformazioni e de-perimenti fanno parte del mondo dei vivi. Glialberi prima di rinascere in primavera lascianocadere le foglie secche in autunno. I marminon decadono e non rinascono semplicementeperché non hanno anima. Siamo in crisi perchésiamo vivi; finiremo semplicemente perché ungiorno abbiamo cominciato ad esserci.

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A mio avviso, però, l’unica seria crisi èquella della fede e non è, dunque, superfluochiedersi a cosa credano i consacrati! La ve-ra sciagura è l’occultamento della sequela,l’eclissi della certezza nella bontà del Vange-lo. Alcuni di noi, nel segreto del cuore, si chie-dono se valeva davvero la pena scegliere persempre la VC. Molti si domandano anche se cisia veramente una vita eterna. La crisi che pe-sa è la sfiducia senza voce che nessuna statisti-ca riesce a rilevare. Così come, d’altro canto,le statistiche non fotografano la santità che c’ètra noi. Ecco allora il legame con Cristo: il suoVangelo (unitamente al suo modo di dare ilVangelo) è l’unica risorsa della VC.

Credo che il futuro della VC passi soprat-tutto attraverso la fede nella bellezza di unVangelo vissuto sine glossa, anche a costo diperdere prestigio e antiche ritualità. La storiaci insegna che la prima forma conosciuta di do-nazione all’Unico necessario è stata quella inau-gurata da Antonio Abate, padre dei consacrati ditutti tempo. Come sappiamo dalla vita scritta dasant’Atanasio, Antonio ascoltando il Vangelodel giovane ricco, durante la sinassi eucaristica,decise di lasciare ogni cosa.

Questo particolare ci insegna che la VC nonè tanto contenuta nei Vangeli (rispetto alle for-me storiche specifiche), quanto partorita dallaScrittura... e questo è molto di più. Il Vangelo,quando viene veramente ascoltato e messo inpratica, genera la vita consacrata. Non fac-ciamoci illusioni: la rinascita non può chepassare ancora una volta dal tendere l’orec-chio alla Parola, lasciando anche da parte, senecessario, la retorica stancante e piena dislogans dei nostri capitoli.

Chi pensa di mettere mano alla riforma consemplici ridimensionamenti o accorpamenti dicomunità o intere province è avvertito. Riorga-nizzarsi senza adempiere al primo dovere del-l’ascolto rischia di ridurre i nostri progetti aduna mera operazione estetica. Più che rifarsi il

naso o tirar su le rughe, sarebbe bene ripristi-nare tra noi l’egemonia dalla Parola di Dio, se-me incorruttibile di vita eterna (Dossetti), pas-sando dalle citazioni di circostanza al ragiona-re e scegliere con una mentalità evangelica.Molto si è fatto in questi anni, ma a me sembra

che siamo ancora ad un livello di semplice at-testazione semantica: si cita tanto la Scritturama non si sceglie con i suoi criteri.

La follia di Gesù

Solo dalle pagine dei Vangeli possiamo at-tingere alla ricchezza di grazia che fu e persempre rimarrà l’esperienza storica del Mae-stro di Nazaret. Parlare delle sfide che la VCpuò offrire al mondo non può voler dire altroche ricomprendere le grandi domande che Ge-sù mosse con mitezza e decisione al suo tem-po. Domande, lo ricordiamo bene, rivolte piùai pii credenti di allora che ai pagani.

Nel Vangelo di Marco al capitolo tre si rac-conta che i parenti di Gesù, informati di ciò cheegli diceva e faceva a Cafarnao, esclamarono:«È fuori di sé» (Mc 3,21). La missione del Na-zareno, il suo modo di vivere, di parlare, dioperare, furono percepiti come una follia desta-bilizzante rispetto alla religione dei padri. Ed èa questa follia che noi possiamo guardare percapire quanto è bella la nostra vita. Molto ci sa-rebbe da dire a questo riguardo, ma mi permet-

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Il mondo rovesciato. Le sfide della “Vita Consacrata” oggi

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to di accennare a due notissimi brani del Nuo-vo Testamento dove, a mio modo di vedere, lafollia di Gesù emerge in maniera straordinaria.

Scrive Paolo ai filippesi che Cristo spogliòse stesso. In questo verbo l’Apostolo racchiu-de tutta la vicenda del Gesù storico (o megliodel Gesù “ricordato”, per dirla con Dunn). Nonsolo egli si è fatto servo ma ha rinunciato an-che alla dignità residuale che i servi avevano,morendo come un bandito.

La sequela di Gesù non può che essere unariproposizione nel tempo del suo spogliarsi.Vivere il carisma della VC equivale ad appli-care alla propria esistenza un principio sem-plicissimo che si sottrae a ogni tipo di spiritua-lizzazione: con Dio vince chi perde. Questa èla follia di Gesù, specchio sulla terra della fol-lia che è nel Padre, il quale sceglie ciò che nelmondo è ignobile e disprezzato.

Ai corinzi che giudicavano la comunità inbase ai carismi straordinari o all’affiliazione apredicatori di grido, la strana sapienza di Diocontrappone ciò che non brilla e non arricchi-sce. Seguire Gesù e cercare il consenso o la fa-ma, magari con la scusa di fare il bene, non èlo stile del Vangelo. D’altra parte, già Teresa diGesù Bambino scriveva che «il mondo cercaDio ma non lo trova perché egli si nascondedietro ciò che non brilla».

Gesù veniva percepito come un Maestro sopra

le righe non solo per il suo stile di vita, ma ancheper le sue parole. L’apice del folle insegnamentodi Gesù è racchiuso nello scrigno delle beatitu-dini che uno dei più fecondi fondatori nel panora-ma della chiesa contemporanea, il beato GiacomoAlberione amava chiamare: «manifesto delle ve-rità paradossali e inaudite all’uomo».

Mi piace comprendere le beatitudini secon-do l’interpretazione che ne offre l’esegetaamericano Daniel Harrington: durante la per-secuzione di Antioco IV, Giuda Maccabeo ini-ziò dalla città di Madin la resistenza armata.Coloro che lo seguirono, salendo sui monti,venivano chiamati “i beati”.

Anche Gesù sale sul monte seguito dai suoi,i nuovi beati. Ma mentre al tempo dei Maccabeibeato era chi resisteva all’ellenizzazione forzata(che mirava a sbriciolare le tradizioni dei padri),nella Galilea di Gesù “beato” non chi difende letradizioni ma è chi, nonostante le tribolazionicausate dalla vita o dalla malvagità degli uomi-ni, conserva la fede nella bontà di Dio. Questa èla grande profezia del Maestro: egli è il beatoper antonomasia che ha continuato a credere alPadre, nonostante il pericolo e la morte.

Nelle beatitudini così intese emerge chiarae forte la sfida di una fede che rimane saldanonostante che, tutto ciò che avviene intorno anoi, smentisca le più rosee ed ottimistiche pre-visioni. È appena il caso di ricordare che l’esor-tazione Vita Consecrata al numero 33 professache compito della nostra esistenza è tenere vivanella chiesa la logica delle beatitudini: Dio è unpadre buono anche quando sembra nascondersi,lasciando indifesi i suoi, o permettendo che deiterroristi sgozzino dei cristiani sulla riva del ma-re. La vita consacrata ha la missione di liberarela chiesa dalla paura di pensare che, in fondo infondo, le beatitudini evangeliche non siano pra-ticabili e dalla tentazione conseguente di rele-garle tra i pii e irrealizzabili sogni.

Don Giuseppe FORLAI igs1 – continua

Anno della Vita Consacrata

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Un Convegno per ravvivare il dono

Dall’8 al 10 aprile ad Ariccia, presso la Casa DivinMaestro, si è svolto il Convegno sui Consigli evange-lici, organizzato dall’Istituto “Gesù Sacerdote” perravvivare la consapevolezza del dono ricevuto dal Si-gnore con la professione dei Consigli evangelici nel-l’Istituto.

Come ricordato in varie comunicazioni, il Conve-gno voleva raggiungere anche l’obiettivo di ampliarela conoscenza tra i membri, dato che solitamente ci siincontra e si ha modo di conoscere solo i membri del-la propria zona.

Tenendo presente che non è facile trovare una datautile per tutti ed anche la precarietà di salute personalie dei familiari di alcuni sacerdoti insieme ad emergen-ze varie, la partecipazione è stata buona. Tutti i parte-cipanti hanno espresso vivo e sincero apprezzamentoper la ricchezza dei contenuti, per il clima di fraternitàe per il grande beneficio ricevuto sia da un punto di vi-sta spirituale che pastorale. Se vi è un certo rammaricoè per il fatto che altri sacerdoti, dell’Istituto e non,avrebbero potuto goderne se avessero osato un po’ dipiù, facendo di tutto per partecipare.

Abbiamo avuto anche il dono della presenza di al-cune Ancille che hanno partecipato assieme alla lororesponsabile Amalia Usai, alcuni membri e coppiedell’Istituto “Santa Famiglia” e una ventina di sacer-doti o diaconi non facenti parte dell’Istituto: si sonoveramente sentiti a loro agio. Anzi, nelle varie comu-nicazioni più volte è stato messo in risalto l’importan-za di saper gioire per il dono dei diversi carismi nella

Chiesa e dei diversi doni carismaticidegli Istituti della Famiglia Paolina(promuovendoli anche), ringraziando-ne vivamente il Signore perché i cari-smi sono a beneficio di tutti e dellaChiesa intera.

È quanto ha sottolineato anche ilSuperiore generale don Valdir De Ca-stro che è intervenuto presiedendo unaCelebrazione eucaristica. Ha ribaditocon forza che tutti i membri degli Isti-tuti paolini non sono al margine, madentro e parte integrante del carisma edella missione della Famiglia Paolinaperché così ha voluto il Fondatore.

In questa mia comunicazione vorreievidenziare qualche messaggio stimolan-te dalle relazioni che si possono ascoltarenel sito www.gesusacerdote.org.

Stile apostolico di Pietro e Paolo(sr Elena Bosetti sjbp)

Dalla comunicazione di sr Elenasul tema I Consigli evangelici in chia-ve pastorale: l’esemplarità degli apo-stoli Pietro e Paolo (1Pt; At 20,18ss) èsignificativo il commento che Paolo,Pietro e Cristo stesso fanno all’imma-gine del parto della donna. Se non col-tiviamo la comunione con il Signore,se non gli permettiamo di raccontare lasua storia d’amore nella nostra storia(nostra vita apostolica) corriamo il ri-schio di ritrovarci sterili e infecondinella missione.

ISTITUTO“GESÙ SACERDOTE”

Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

Comunicazione del Delegato

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Siamo chiamati, invece, a diventare padri e madrispirituali che generano e trasmettono vita nuova, illatte nutriente della Parola, prendendoci cura delleanime, facendoci loro modelli. Questa dedizione apo-stolica comporta entrare e vivere il mistero pasquale,cioè operare in debolezza e umiltà, alla maniera di Pao-

lo che incontra sì Cristo risorto sulla via di Damasco,ma poi per tutta la sua nuova vita di apostolo sperimen-ta Cristo crocifisso e se ne vanta, perché Cristo da ric-co si è fatto povero per arricchirci di Lui. È quanto havissuto e testimoniato anche Pietro invitando a seguirele orme di Cristo, pascendo il gregge non per forza, mavolentieri e con amore.

Castità evangelica (p. Raniero Cantalamessa)

I partecipanti hanno trovato molto significative leconsiderazioni di p. Raniero sul tema: “Vi sono alcuniche non si sposano per il regno dei cieli” (Mt 19, 12).Il consiglio evangelico della castità consacrata. Vivia-mo ormai in un contesto sociale in cui, nella difesa del-la propria castità, non si può più far leva su protezionidi tipo esterno, come la separazione dei sessi, un rigo-roso filtro dei contatti con il mondo e tutte le dettaglia-te precauzioni con cui le Regole monastiche e il dirittocanonico circondavano l’osservanza di questo voto.

La facilità delle comunicazioni e degli spostamen-

ti ha creato una situazione nuova; tv,internet, pubblicità e giornali ci river-sano a fiotti il mondo dentro casa, celo cacciano a forza negli occhi. La cu-stodia della propria castità è affidataormai, in massima parte, all’indivi-duo stesso e non può riposare che suforti convinzioni personali, attintedalla Parola di Dio e da un incontroprofondo e vitale con Cristo Maestro,Via Verità e Vita.

La castità evangelica non ha nullaa che fare con l’apatia, la freddezza,la chiusura nei rapporti con gli altri,ma comporta desiderare il bene deglialtri e della missione, attivandosi contutte le energie dell’eros per attuarlo,senza farlo pesare, anzi pagando dipersona e compromettendosi con Cri-sto con gioia e libertà nel saper rinun-ciare ai propri diritti e alle proprieidee. Papa Benedetto XVI in Deus ca-ritas est ci ha aiutati a rivalutare l’eroscome spinta, passione e forza motiva-zionale da integrare con l’agape,l’amore spirituale.

Illuminante è stata anche un’altraconsiderazione, valida pure per glisposi: «In che consiste propriamentela dimensione profetica della verginitàe del celibato per il Regno? Questaforma di vita, con la sua semplice esi-stenza e senza bisogno di parole, mo-stra, fa comprendere profondamentequale sarà la condizione finale del-l’uomo, quella destinata a durare ineterno. Si è tanto discusso, in passato,se la verginità sia uno stato più perfet-to del matrimonio e, se sì, in che sen-so. Io credo che essa non è uno statoontologicamente più perfetto (ognunodei due stati è perfetto per chi vi èchiamato), ma è uno stato escatologi-

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Comunicazione del Delegato

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COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

camente più avanzato, nel senso che è più simile aquello definitivo, verso il quale tutti siamo incammina-ti. “Voi avete cominciato ad essere ciò che noi tutti ungiorno saremo”, scriveva san Cipriano alle prime ver-gini cristiane.

Una tale profezia, lungi dall’essere contro gli spo-sati, va invece loro incontro. Ad essi ricorda che il ma-trimonio è santo, è bello, è creato da Dio e redento daCristo, è immagine dello sposalizio tra Cristo e laChiesa, ma ciononostante non è tutto. È una strutturalegata a questo mondo e perciò transitoria. Quando nonsi potrà più morire, non ci si dovrà più sposare».

Povertà evangelica (p. Raniero Cantalamessa)

Per affrontare il tema “Beati i poveri in Spirito”(Mt 5,3). La povertà evangelica: scelta di santificazio-ne e di apostolato, p. Raniero ha fatto riferimento allalogica delle Beatitudini, ribadendo, prima di tutto cheil concetto di povertà evangelica non è economico nésociologico, ma è spirituale, indica la persona, l’atteg-giamento della persona...

Riguardo al tema della ricchezza e della povertà,nella storia, cominciando dalla Bibbia, vi sono state vi-sioni molto diverse e opposte: dall’esaltazione dellaricchezza-benessere come benedizione di Dio, alla ri-cerca di un pauperismo estremo come segno di devo-zione al Signore.

Una testimonianza autentica e pro-fetica della povertà evangelica consi-ste nel trovare e manifestare un sanoequilibrio tra le due tendenze estreme.Essere per i poveri, vivendo da poveri:cioè ricercare una rinnovata sobrietà,valorizzando tutti i beni della terra,senza disprezzarli.

L’equilibrio nel tener presenti consaggezza le due dimensioni, cioè esserepoveri come Cristo per servire efficace-mente i poveri, scaturisce solo quandosi vive la comunione con Cristo e si ten-gono presenti le regole di vita che ognipersona, comunità, istituzione ha o si dae che risultano diverse, secondo la vo-cazione peculiare di ognuno.

Ha citato poi il n. 8 della LumenGentium: «Come Cristo ha compiutola redenzione attraverso la povertà ele persecuzioni, così pure la Chiesa èchiamata a prendere la stessa via...Come Cristo è stato inviato dal Padrea dare la buona novella ai poveri, aguarire quei che hanno il cuore contri-to, a cercare e salvare ciò che era per-duto, così la Chiesa circonda d’affet-tuosa cura quanti sono afflitti dallaumana debolezza, anzi riconosce neipoveri e nei sofferenti l’immagine delsuo Fondatore, povero e sofferente, sipremura di sollevarne l’indigenza e inloro intende servire a Cristo».

In questo testo sono riunite entram-be le cose: l’essere poveri e l’essere aservizio dei poveri. «La Chiesa – af-fermava san Giovanni Paolo II – sentesempre più forte la spinta dello Spiritoad essere povera tra i poveri, a ricor-dare a tutti la necessità di conformar-si all’ideale della povertà predicata epraticata da Cristo e a imitarlo nel suoamore sincero e fattivo per i poveri».

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Ha poi denunciato che, se per i genitori i figli sonoun motivo costante di privazione, rinuncia, risparmioe quindi povertà, il sacerdote è più esposto a conce-dersi cose e beni, di cui la maggioranza delle personesi privano. Orbene, i bisognosi e le missioni dovreb-bero essere per lui quello che i figli sono per i genito-ri: un richiamo costante alle esigenze della povertà.

Obbedienza evangelica (mons. Arturo Aiello)

Molti conoscono quanto sia stimolante e provocan-te mons. Arturo Aiello, vescovo di Teano, nelle omeliee interventi pastorali: per questo la sua esperienza pa-storale ha molto arricchito il Convegno. Tutti i presen-ti hanno manifestato quanto veramente sia risultato in-cisivo, pratico, illuminante nella sua comunicazionesul tema: Il Consiglio dell’Obbedienza evangelica ediscernimento pastorale (1Tess 5,12-22).

Tutti abbiamo condiviso che il voto di obbedienza,tra i tre Consigli evangelici, è quello più impegnativo edifficile da vivere. Egli ha messo in risalto, in modo ori-ginale e approfondito, che l’obbedienza evangelica ri-chiede senz’altro l’ascolto della Parola e il riferimentocontinuo a Dio, tramite anche i diretti superiori. Risulta-no però molto importanti anche altre dimensioni dell’ob-bedienza che di solito vengono trascurate o poco prese inconsiderazione, come l’obbedienza della vita, della vo-cazione peculiare ricevuta, della Chiesa, dei fratelli.

Per un discernimento pastorale autentico, frutto diuna genuina obbedienza evangelica, bisogna mettersiin ascolto dei segni dei tempi, delle esigenze semprenuove della Chiesa, della “coniugabilità” (così l’hadefinita) tra parrocchia e parroco e anche dei vari or-ganismi di partecipazione.

Il 9 aprile 2015, presso la casa Divin Maestro di Ariccia, si è riunito il Consiglio nazionale del-l’IGS. Si è deciso di riportare a sei, come prevede lo Statuto, i membri del Consiglio dell’Isti-tuto, data la scomparsa di mons. Giuseppe Pasini che ne faceva parte. Il Consiglio ha interpel-lato don Fabrizio Pieri (Vice preside dell’Istituto di Spiritualità della Gregoriana e docente dispiritualità biblico-paolina) che in data 16 aprile ha accettato. Lo ringraziamo vivamente perla sua disponibilità (don Emilio).

Alla fine del discernimento, ognipresbitero e ogni cristiano impegnato,deve abbandonarsi, nella fede, a Coluiche vede più lontano, oltre l’oggi. Nonbasta puntare a valorizzare i talenti, ilsentire o le valutazioni umane. Se sicontempla la morte in croce di Cristoe i suoi trent’anni a Nazareth dovetroviamo la valorizzazione dei talenti?Infatti, se accettiamo le obbedienzeche ci vengono richieste considerandosolo i talenti e il sentire (oppure comeci valutiamo o ci stimano gli altri) nonaccetteremo nessun incarico e rimarre-mo bloccati, perché non si sentiremomai all’altezza dei compiti richiesti.

Non dobbiamo dimenticare il gran-de messaggio biblico rivolto a tutti iprofeti e apostoli di non temere di ser-vire il Signore, perché noi rimaniamosempre deboli, ma c’è Lui che è forte econ il suo Spirito ci rende sempre stru-menti di bene: «Ti basta la mia grazia,la mia potenza si manifesta pienamen-te nella tua debolezza» (2Cor 12,9).

Auguriamoci tutti di entrare e rima-nere in questo mistero pasquale di Cri-sto che ci chiede di coltivare umiltà,semplicità di cuore e spirito di dedizio-ne, ma che si fa sperimentare anchetanta gioia, benedizione del Signore efecondità apostolica.

Don Emilio CICCONI, Delegato [email protected]

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Comunicazione del Delegato

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

Don ANGELO MAZZIA* 29/04/1914 – † 18/01/2015

Diocesi di San Marco Argentano - Scalea

Domenica 18 gennaio 2015 è deceduto mons. Angelo Mazzia; aveva 102 anni d’età e 77 an-ni di sacedozio. Le esequie celebrate nella Chiesa Madre di Roggiano Gravina da lui voluta e co-struita, hanno visto una intensa partecipazione popolare.

Nato il 29 aprile1914 da genitori umili e laboriosi, entra nel Seminario Arcivescovile di Luc-ca, dove, negli anni 1929/1930, compie gli studi ginnasiali; completa la formazione filosofica eTeologica nel Seminario S. Pio X di Catanzaro. Riceve l’ordinazione sacerdotale il 22 agosto1937. È stato membro dell’Istituto di vita secolare consacrata “Gesù Sacerdote” e ha conosciu-to personalmente don Giacomo Alberione. Dopo aver servito la Chiesa come parroco a Cetraroe a Mottafollone, per 34 anni fu parroco di San Pietro in Roggiano Gravina.

Il nome di mons. Angelo Mazzia evoca non solo le opere di pietra, che testimoniano la sua at-tività pastorale, ma soprattutto la testimonianza esemplare di un Pastore profondamente innamo-rato della Chiesa.

Ci ha ricordato la Lettera agli Ebrei: «Ogni sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituitoper il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati».Quale uomo di preghiera, don Angelonon ha mai trascurato l’impegno principale del suo mini-stero, quello di corrispondere in modo rigoroso e affettuoso alla sua vocazione, colta sempre co-me un dono di Dio da vivere servendo, nella totale obbedienza al Vescovo, la comunità a lui af-fidata (dall’Omelia del Vicario episcopale mons. Cono Araugio).

MONS. GIUSEPPE PASINI* 26/12/1932 – † 21/03/2015

Diocesi di Padova

Nasce a Piove di Sacco (PD) il 26 dicembre 1932. Entra in seminario all’età di 13 anni. Vie-ne ordinato sacerdote l’8 luglio 1956. Dal 1956 al 1963 è coadiutore nella parrocchia di San Da-niele a Padova. Dal 1963 al 1967 è animatore pastorale nella nascente zona industriale di Pado-va, che contava più di 300 aziende e settemila dipendenti.

Contemporaneamente insegna Dottrina sociale della Chiesa nella Scuola Superiore di Servi-zio Sociale di Padova e si iscrive alla facoltà di Scienze politiche all’Università di Padova. Nel1967 viene chiamato a Roma come vice assistente nazionale delle Acli, a fianco dell’assistentenazionale mons. Cesare Pagani. Nel 1972 mons. Giovanni Nervo chiede al Vescovo di Padovache mons. Pasini possa collaborare nell’importante istituzione nata da poco per volere del PapaPaolo VI e della quale Nervo era presidente: la Caritas Italiana.

Così, dopo la laurea in scienze politiche, conseguita presso l’Università La Sapienza di Ro-ma, inizia il nuovo impegno come responsabile del settore “Studi, formazione e documentazio-ne” di Caritas Italiana, fino al 1986. In quell’anno la CEI nomina direttore nazionale mons. Giu-seppe Pasini, che ricoprirà questa carica dal 1986 al 1996, per due mandati consecutivi.

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Con mons. Pasini la Caritas consolida la sua presenza, distinguendosi per una forte connota-zione educativa e sociale, con estrema attenzione ai bisogni dimenticati e agli “ultimi della fila”,sia a livello nazionale che internazionale.

Negli anni 1982-2002 mons. Pasini è docente di Pastorale della carità alla Pontificia Univer-sità Lateranense. Dal 1996 al 2000 è direttore del Centro Giuseppe Toniolo di Padova. Dal 2000al 2010 è Presidente dell’Istituto per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Padova. Dal1997 era presidente della Fondazione Emanuela Zancan Onlus, Centro di Studio e Ricerca nelsettore delle politiche sociali, sanitarie, sociosanitarie, educative, cioè dei servizi alla persona.

«La carità – ha sottolineato il vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo nell’omelia fune-bre – è il nome di Dio stesso ed è l’anima e il senso della vita. Noi tanto valiamo quanto la no-stra carità e, alla fine della nostra vita, saremo esaminati e giudicati sulla carità… Egli stesso con-fessa, nel suo testamento spirituale, di aver vissuto gioiosamente e senza rimpianti la sua voca-zione sacerdotale. Il suo forte impegno di vita secondo il Vangelo è testimoniato dalla sua sceltadi adesione all’Istituto Gesù Sacerdote dei Paolini, di cui è stato anche membro del Consiglio.Grazie a questa appartenenza, ha riscoperto il gusto dell’adorazione quotidiana e la gioia dellaconsacrazione con i tre voti di povertà, obbedienza e castità. La carità per essere pura e risplen-dere della sua bellezza divina, ha bisogno di venire purificata come l’oro nel crogiuolo».

Il vescovo ha ricordato inoltre la serenità con cui mons. Pasini ha vissuto la prova dellamalattia, dedicando tempo alla preghiera e alle letture spirituali e offrendo la propria sofferenza«in unione a quella di Cristo, per il bene della Chiesa e, in particolare, per il Santo Padre».

Don GINO FERRARI* 7/10/1923 – † 8/03/2015

Diocesi di Siena

Ordinato il 12 marzo 1949, ha svolto quasi 60 anni di ministero nella parrocchia di Castiglion-cello Bandini, che poi ha aggregato Porrona e Santa Rita: comunità che ha servito con zelo pa-storale e con semplicità di rapporti umani.

Solo ad 84 anni, per gravi motivi di salute si è dovuto ritirare dal ministero, continuandolo inanni di tanta sofferenza sempre sostenuta ed offerta con pazienza e con fede, facendo sua l’espe-rienza di fede apostolica di Paolo: “Non mi vergogno delle catene che sopporto per Cristo”.

Per questo è doveroso ricordare la dedizione instancabile della sua carissima sorella Ilia chegli è stata vicina, fedelmente ed amorevolmente, sino all’ultimo; e di questo dono la ringraziamocon affetto, nella certezza che, a sua consolazione e forza, possa continuare a sentirlo vicino nel-la preghiera. Sentimenti diretti pure a tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato come parro-co e poi qui a Cinigiano.

Sono anche grato per la presenza con noi di don Emilio Cicconi, Delegato nazionale dell’Isti-tuto “Gesù Sacerdote”, al quale don Gino apparteneva. Nella sua vita di sacerdote don Gino hasempre manifestato vivissima gratitudine per la carica spirituale e pastorale che la consacrazionee il carisma dell’Istituto gli faceva sperimentare. Finché la salute lo ha assistito ha partecipato confedeltà ai Ritiri e ai Corsi di Esercizi programmati dall’IGS, ricavandone profondo beneficio spi-rituale e apostolico (dall’omelia del Vescovo mons. Antonio Boncristiani).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

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Sinodo straordinario dei Vescovi (5-19 ottobre 2014)“Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione”

Lo sguardo su Cristo:

il Vangelo della famiglia

29.Il dialogo sinodale si è soffermato su al-cune istanze pastorali più urgenti da af-

fidare alla concretizzazione nelle singole Chieselocali, nella comunione “cum Petro et sub Pe-tro”. L’annunzio del Vangelo della famiglia co-stituisce un’urgenza per la nuova evangelizza-zione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con te-nerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa delCristo. La verità si incarna nella fragilità umananon per condannarla, ma per salvarla (cf. Gv3,16-17).

30.Evangelizzare è responsabilità di tutto ilpopolo di Dio, ognuno secondo il pro-

prio ministero e carisma. Senza la testimonian-za gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiesedomestiche, l’annunzio, anche se corretto, ri-schia di essere incompreso o di affogare nel ma-re di parole che caratterizza la nostra società (cfNovo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodalihanno più volte sottolineato che le famiglie cat-toliche in forza della grazia del sacramento nu-ziale sono chiamate ad essere esse stesse sogget-ti attivi della pastorale familiare.

31. Decisivo sarà porre in risalto il primatodella grazia, e quindi le possibilità che

lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di farsperimentare che il Vangelo della fami-glia è gioia che «riempie il cuore e la vita in-tera», perché in Cristo siamo «liberati dal pecca-

to, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isola-mento» (Evangelii Gaudium, 1). Alla luce dellaparabola del seminatore (cf Mt 13,3), il nostrocompito è di cooperare nella semina: il resto èopera di Dio. Non bisogna neppure dimenticareche la Chiesa che predica sulla famiglia è segnodi contraddizione.

32. Per questo si richiede a tutta la Chiesauna conversione missionaria: è necessa-

rio non fermarsi ad un annuncio meramenteteorico e sganciato dai problemi reali delle per-sone. Non va mai dimenticato che la crisi del-la fede ha comportato una crisi del ma-trimonio e della famiglia e, come conse-guenza, si è interrotta spesso la trasmissionedella stessa fede dai genitori ai figli. Dinanzi aduna fede forte l’imposizione di alcune prospetti-ve culturali che indeboliscono la famiglia e ilmatrimonio non ha incidenza.

33.La conversione è anche quella dellinguaggio perché esso risulti ef-

fettivamente significativo. L’annunzio devefar sperimentare che il Vangelo della famiglia èrisposta alle attese più profonde della personaumana: alla sua dignità e alla realizzazione pie-na nella reciprocità, nella comunione e nella fe-condità. Non si tratta soltanto di presentare unanormativa ma di proporre valori, rispondendoal bisogno di essi che si constata oggi anche neiPaesi più secolarizzati.

È la terza e ultima parte del documento finale del Sinodo straordina-rio dei Vescovi 2014. Sono trattati gli argomenti che il Sinodo ordi-nario ad ottobre 2015 dovrà affrontare con una sensibilità pastorale,che ponga al centro l’annuncio della misericordia. Le prospettive pa-storali enucleate offriranno spunti per il risanamento delle famiglienei vari contesti della vita.

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X

Inserto

34.La Parola di Dio è fonte di vita e spiri-tualità per la famiglia. Tutta la pastora-

le familiare dovrà lasciarsi modellare interior-mente e formare i membri della Chiesa domesti-ca mediante la lettura orante e ecclesia-le della Sacra Scrittura. La Parola di Dionon solo è una buona novella per la vita privatadelle persone, ma anche un criterio di giudizio euna luce per il discernimento delle diverse sfidecon cui si confrontano i coniugi e le famiglie.

35.Allo stesso tempo molti Padri sinodalihanno insistito su un approccio più po-

sitivo alle ricchezze delle diverse esperienze re-ligiose, senza tacere sulle difficoltà. In queste di-verse realtà religiose e nella grande diversitàculturale che caratterizza le Nazioni è opportu-no apprezzare prima le possibilità positive e al-la luce di esse valutare limiti e carenze.

36.Il matrimonio cristiano è una vocazioneche si accoglie con un’adeguata prepa-

razione in un itinerario di fede, con un discer-nimento maturo, e non va considerato solo co-me una tradizione culturale o un’esigenza so-ciale o giuridica. Pertanto occorre realizzarepercorsi che accompagnino la persona ela coppia in modo che alla comunicazione deicontenuti della fede si unisca l’esperienza di vi-ta offerta dall’intera comunità ecclesiale.

37.È stata ripetutamente richiamata la ne-cessità di un radicale rinnovamento

della prassi pastorale alla luce del Van-gelo della famiglia, superando le ottiche in-dividualistiche che ancora la caratterizzano. Perquesto si è più volte insistito sul rinnovamentodella formazione dei presbiteri, dei diaconi, deicatechisti e degli altri operatori pastorali, me-diante un maggiore coinvolgimento delle stessefamiglie.

38.Si è parimenti sottolineata la necessi-tà di una evangelizzazione che

denunzi con franchezza i condiziona-menti culturali, sociali , politici ed eco-nomici, come l’eccessivo spazio dato alla logi-ca del mercato, che impediscono un’autenticavita familiare, determinando discriminazioni,povertà, esclusioni, violenza. Per questo va svi-luppato un dialogo e una cooperazione con le

strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenu-ti i laici che si impegnano, come cristiani, in am-bito culturale e socio-politico.

39.Guidare i nubendi nel camminodi preparazione al matrimonio.

La complessa realtà sociale e le sfide che la fa-miglia oggi è chiamata ad affrontare richiedonoun impegno maggiore di tutta la comunità cri-stiana per la preparazione dei nubendi al matri-monio. È necessario ricordare l’importanza del-le virtù. Tra esse la castità risulta condizionepreziosa per la crescita genuina dell’amore in-terpersonale…

40.Accompagnare i primi anni dellavita matrimoniale. I primi anni di

matrimonio sono un periodo vitale e delicatodurante il quale le coppie crescono nella consa-pevolezza delle sfide e del significato del matri-monio. Di qui l’esigenza di un accompagna-mento pastorale che continui dopo la celebra-zione del sacramento (cf. Familiaris Consortio,parte III). Risulta di grande importanza in que-sta pastorale la presenza di coppie di sposi conesperienza…

41.Cura pastorale di coloro che vi-vono nel matrimonio civile o in

convivenze. Mentre continua ad annunciaree promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodoincoraggia anche il discernimento pastorale del-le situazioni di tanti che non vivono più questarealtà. È importante entrare in dialogo pastora-le con tali persone al fine di evidenziare gli ele-menti della loro vita che possono condurre auna maggiore apertura al Vangelo del matrimo-nio nella sua pienezza…

Nei nn. 42-43 sono elencate le varie si-tuazioni, che «vanno affrontate in manie-ra costruttiva».

44.Curare le famiglie ferite (separa-ti, divorziati non risposati, di-

vorziati risposati, famiglie monoparen-tali). Quando gli sposi sperimentano problemi

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Inserto

nelle loro relazioni, devono poter contare sul-l’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. Lapastorale della carità e la misericordiatendono al recupero delle persone e del-le relazioni. L’esperienza mostra che con unaiuto adeguato e con l’azione di riconciliazionedella grazia una grande percentuale di crisi ma-trimoniali si superano in maniera soddisfacente.Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’espe-rienza fondamentale nella vita familiare. Il per-dono tra gli sposi permette di sperimentare unamore che è per sempre e non passa mai (cf. 1Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chiha ricevuto il perdono di Dio avere la forza peroffrire un perdono autentico che rigeneri lapersona.

Nei nn. 45-49 si evidenzia «la necessità discelte pastorali coraggiose». Per questo«ogni famiglia va ascoltata con rispetto»; inparticolare è ritenuto indispensabile ac-compagnare pastoralmente i separati, i di-vorziati, gli abbandonati. Un grande nu-mero dei Padri ha sottolineato «la necessi-tà di rendere più accessibili ed agili, possi-bilmente del tutto gratuite, le procedureper il riconoscimento dei casi di nullità».

50.Le persone divorziate ma non risposate,che spesso sono testimoni della fedeltà

matrimoniale, vanno incoraggiate a trovarenell’Eucaristia il cibo che le sostenganel loro stato. La comunità locale e i Pastoridevono accompagnare queste persone con solle-citudine, soprattutto quando vi sono figli o ègrave la loro situazione di povertà.

51.Anche le situazioni dei divorziatirisposati esigono un attento di-

scernimento e un accompagnamento di gran-de rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggia-mento che li faccia sentire discriminati e pro-

movendo la loro partecipazione alla vita dellacomunità. Prendersi cura di loro non è per lacomunità cristiana un indebolimento della suafede e della sua testimonianza circa l’indissolu-bilità matrimoniale, anzi essa esprime proprioin questa cura la sua carità.

Nei nn. 52-53 i Padri sinodali hanno ri-flettuto «sulla possibilità che i divorziati erisposati possano accedere ai sacramentidella vita cristiana, che possano ricorrerefruttuosamente alla comunione spiritua-le»; si ipotizza una riflessione sulla possi-bilità che possano accedere anche allacomunione sacramentale.

54.Le problematiche relative ai matrimo-ni misti sono ritornate sovente

negli interventi dei Padri sinodali. La di-versità della disciplina matrimoniale delle Chie-se ortodosse pone in alcuni contesti problemisui quali è necessario riflettere in ambito ecu-menico. Analogamente per i matrimoni interre-ligiosi sarà importante il contributo del dialogocon le religioni.

55.L’attenzione pastorale verso lepersone con orientamento omo-

sessuale. Alcune famiglie vivono l’esperienzadi avere al loro interno persone con orienta-mento omosessuale. Al riguardo ci si è interro-gati su quale attenzione pastorale sia opportunadi fronte a questa situazione riferendosi a quan-to insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento al-cuno per assimilare o stabilire analogie, neppu-re remote, tra le unioni omosessuali e il disegnodi Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondime-no, gli uomini e le donne con tendenze omoses-suali devono essere accolti con rispetto e delica-tezza. «A loro riguardo si eviterà ognimarchio di ingiusta discriminazione»(Congregazione per la Dottrina della Fede, Con-siderazioni circa i progetti di riconoscimento le-gale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

56.È del tutto inaccettabile che i Pastori del-la Chiesa subiscano delle pressioni

in questa materia e che gli organismi interna-zionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesipoveri all’introduzione di leggi che istituiscano il“matrimonio” fra persone dello stesso sesso.

XI

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XII

Inserto

57.La trasmissione del la vi ta e lasf ida del la denatal i tà . Non è diffi-

cile constatare il diffondersi di una mentalitàche riduce la generazione della vita a una va-riabile della progettazione individuale o dicoppia. I fattori di ordine economico esercita-no un peso talvolta determinante contribuendoal forte calo del la natal i tà che indebo-l isce i l tessuto sociale, compromette i lrapporto tra le generazioni e rende piùincerto lo sguardo sul futuro. L’aperturaalla vita è esigenza intrinseca dell’amore co-niugale. In questa luce, la Chiesa sostiene le fa-miglie che accolgono, educano e circondanodel loro affetto i figli diversamente abili.

58.Anche in questo ambito occorre parti-re dall’ascolto delle persone e dar ra-

gione della bellezza e della ver i tà di unaapertura incondizionata a l la v i ta comeciò di cui l’amore umano ha bisogno per esse-re vissuto in pienezza. È su questa base chepuò poggiare un adeguato insegnamento circai metodi naturali per la procreazione respon-sabile… L’adozione di bambini, orfani e ab-bandonati, accolti come propri figli, è una for-ma specifica di apostolato familiare (cf Apo-stolicam Actuositatem, III,11), più volte ri-chiamata e incoraggiata dal magistero (cf Fa-miliaris Consortio, III,II; Evangelium Vitae,IV,93...

59.Occorre aiutare a v ivere l ’af fe t t i-vi tà , anche nel legame coniuga-

le , come un cammino di maturazione, nellasempre più profonda accoglienza dell’altro ein una donazione sempre più piena. Va riba-dita in tal senso la necessità di offrire cammi-ni formativi che alimentino la vita coniugale el’importanza di un laicato che offra un ac-compagnamento fatto di testimonianza viva. Èdi grande aiuto l’esempio di un amore fedele eprofondo fatto di tenerezza, di rispetto, capa-ce di crescere nel tempo e che nel suo concre-to aprirsi alla generazione della vita fa l’espe-rienza di un mistero che ci trascende.

60.La sf ida del l ’educazione e i lruolo del la famigl ia nel l ’evan-

gel izzazione. Una delle sfide fondamentalidi fronte a cui si trovano le famiglie oggi è si-

curamente quella educativa, resa più impe-gnativa e complessa dalla realtà culturale at-tuale e della grande influenza dei media. Van-no tenute in debito conto le esigenze e le atte-se di famiglie capaci di essere nella vita quoti-diana, luoghi di crescita, di concreta ed essen-ziale trasmissione delle virtù che danno formaall’esistenza. Ciò indica che i genitori possanoscegliere liberalmente il tipo dell’educazioneda dare ai figli secondo le loro convinzioni.

61.La Chiesa svolge un ruolo prezioso disostegno alle famiglie, partendo dal-

l’iniziazione cristiana, attraverso comunitàaccoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor piùdi ieri, nelle situazioni complesse come inquelle ordinarie, di sos tenere i geni tor inel loro impegno educat ivo, accompa-gnando bambini , ragazzi e g iovaninel la loro cresc i ta attraverso camminipersonalizzati capaci di introdurre al sensopieno della vita e di suscitare scelte e respon-sabilità, vissute alla luce del Vangelo. Maria,nella sua tenerezza, misericordia, sensibilitàmaterna può nutrire la fame di umanità e vi-ta, per cui viene invocata dalle famiglie e dalpopolo cristiano. La pastorale e una devozionemariana sono un punto di partenza opportu-no per annunciare il Vangelo della famiglia.

62.Conclusione. Le riflessioni propo-ste, frutto del lavoro sinodale svoltosi

in grande libertà e in uno stile di reciprocoascolto, intendono porre questioni e indicareprospettive che dovranno essere maturate eprecisate dalla riflessione delle Chiese localinell’anno che ci separa dall’Assemblea Gene-rale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi previstaper l’ottobre 2015, dedicata alla vocazione emissione della famiglia nella Chiesa e nelmondo contemporaneo. Non si tratta di deci-sioni prese né di prospettive facili. Tuttavia ilcammino collegiale dei vescovi e il coinvolgi-mento dell’intero popolo di Dio sotto l’azionedello Spirito Santo, guardando al modello del-la Santa Famiglia, potranno guidarci a trovarevie di verità e di misericordia per tutti. È l’au-spicio che sin dall’inizio dei nostri lavori PapaFrancesco ci ha rivolto invitandoci al coraggiodella fede e all’accoglienza umile e onesta del-la verità nella carità.

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Perché gli alberi non parlano

Noi alberi ci stupiamo dell’importanza che voi esseri umani date alla parolaper comunicare. La parola vi permette certamente una comunicazione piùsofisticata sulle cose da dire e da fare, ma è sempre sincera e profonda?

La nostra comunicazione, invece, è esclusivamente basata sul silenzio, tanto èvero che l’unica volta che, nella Bibbia, abbiamo preso la parola, come narrato nelcapitolo nono del libro dei Giudici (Si misero in cammino gli alberi per ungere un resu di loro), abbiamo fatto una pessima figura: i migliori di noi si sono dimostratiegoisti, dando la possibilità di emergere al peggiore di tutti. L’ulivo, il fico, la vitenon vollero rinunciare ai loro frutti, defilandosi dalle responsabilità, e così si impo-se il rovo.

Proprio una figuraccia. Che ci ha fatto sentire simili a voi essere umani, che ado-perate sovente le parole per distorcere la comunicazione, usando un tono tanto piùelevato quanto più volete giustificare il vostro comportamento interessato.

Da quel giorno non abbiamo più pronunciata una parola, ma non abbiamo smes-so di comunicare col nostro laborioso e silenzioso esserci.

Con le nostre radici estraiamo dalla terra e dall’humus la vita; con le nostre fo-glie, grazie alla fotosintesi clorofilliana, purifichiamo l’ambiente, cresciamo rigo-gliose e siamo utili, ciascuna secondo la propria specie.

In silenzio mettiamo in comunicazione terra e aria per crescere, senza propagan-dare i nostri risultati e senza lamentarci delle nostre fatiche. In silenzio sopportia-mo pazientemente le avverse condizioni, in silenzio cresciamo insieme formandoimmense foreste, campi dorati di grano e verdissimi prati d’erba, in silenzio accet-tiamo che nessuno si curi di noi; in silenzio ci dispiace di non essere considerati co-me compagni indispensabili di voi esseri umani nell’avventura della vita.

Ma vi confessiamo che siamo lieti di stare presenti al mondo più con il nostroessere che con il nostro parlare, essere più utili per quello che diamo che per quel-lo che pretendiamo, di comunicare a tutti l doni che abbiamo ricevuti mettendoli adisposizione degli altri.

Immergiti nella natura per comprendere che il silenzio è la premessa di una co-municazione profonda: nel silenzio orante saprai perdonare e riprendere il sorriso;nel silenzio è più facile ritrovare le vie della pace e diventare costruttori di pace; nelsilenzio metterai a tacere il tuo io narcisista, nel silenzio eviterai l’offesa che gua-sta la comunicazione, nel silenzio comprenderai le difficoltà del fratello, nel silen-zio invocherai lo Spirito che ti aiuta a scacciare il demonio dell’invidia e della gelo-sia, grandi ostacoli alla comunicazione sincera e fraterna.

Nel silenzio ti renderai conto della necessità di passare dalla comunicazione su-perficiale alla comprensione dell’altro.

Impara a tacere per comprendere, per scendere in quella parte di te, dove ti èpossibile incontrare tuo fratello nella sua e nella tua verità.

P. Pier Giordano CABRA fn

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La relazione dell’uomo con Dio

Il riferimento alla SS.ma Trinità a livello spi-rituale, vissuto da don Alberione, porta an-

che noi a lasciarci guidare e ad aprirci alla re-lazione divina che c’è tra il Padre, il Figlio e loSpirito Santo. Nella spiritualità paolina, infatti,il mistero trinitario è considerato l’orizzonteprimario per comprendere e gustare maggior-mente la missione apostolica di don Alberione:“Dare Gesù Cristo, Via Verità e Vita”.

Non possiamo, pertanto, non citare una pa-gina stupenda, lasciataci dal Fondatore dellaFamiglia Paolina che propone, a tutta la Fami-glia Paolina, di essere un riflesso splendentedella Trinità divina attraverso l’unità dei dieciIstituti paolini:

«L’uomo è fatto da Dio a sua immagine esomiglianza. Dio è Uno e Trino. Nella crea-zione hanno operato le tre Divine persone.Ecco l’uomo uno come persona ed è immagi-ne di Dio Uno; ma le tre Divine Persone han-

Nell’insegnamento del Fondatore il tema “Gesù Cristo e il nuovo umanesimo” è ben rintraccia-bile, dato che la visione dell’“uomo integrale”, modellato su “Gesù Maestro Via, Verità e Vita”, ècostante nei suoi scritti e nella sua predicazione. Ecco a grandi linee il pensiero del Fondatore suquesto aspetto di umanesimo integrale così attuale di fronte a una società frantumata e divisa.

ISTITUTO“SANTA FAMIGLIA”

Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

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Lettera del Delegato

La visione integrale dell’uomoin don Giacomo Alberione

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no qualcosa di proprio e ciascuna è rappre-sentata dall’uomo con le tre sue facoltà: il Pa-dre dalla volontà, il Figlio dalla mente, lo Spi-rito Santo dal sentimento: l’uomo, piccola tri-nità, immagine di Dio Trino.

Per la caduta di Adamo ed Eva tutto l’uo-mo fu “in deterius commutatus”: la mente in-clinata all’errore, la volontà inclinata al vizio,il sentimento inclinato alla superstizione, falsiculti, e morte eterna.

Venne Gesù Cristo, mandato dal Padre,che restaurò l’uomo, facendone una secondaedizione, tanto migliorata. Così l’uomo, pas-sando attraverso a Gesù Cristo Mediatore, sipresenterà a Dio purificato e santo nella suamente, volontà, sentimento… L’uomo divie-ne, così, nuovamente l’immagine restauratadi Dio Uno e Trino” (Ut perfectus sit homoDei - UPS II, 149-150).

La “famiglia dell’uomo”nella storia della Salvezza

Il beato Giacomo Alberione fissa in unasuggestiva immagine l’obiettivo che affida al-la formazione integrale dei membri della Fa-miglia Paolina. È l’immagine biblica del car-ro, presente in una delle visioni del profetaEzechiele (1,15-28): «Noi e tutta la FamigliaPaolina siamo come un carro che ha quattroruote, cioè la parte spirituale, la parte intel-lettuale, la parte apostolica e formativa» (Va-demecum, n. 367).

Il movimento armonioso che, nella visionedi Ezechiele, caratterizza ciascuna delle quat-tro ruote (cf Ez 1,17), ha ispirato al nostroFondatore l’armonia e l’equilibrio che devonoregolare le relazioni tra i momenti formativinecessari per la crescita integrale di tutto l’uo-mo (nella sua identità maschile e nella suaidentità femminile), di tutto il religioso, di tut-to il paolino: «La Congregazione è come un

carro che cammina su quattro ruote: lo spiri-to, lo studio, l’apostolato, la povertà… Sonole quattro ruote del carro che devono procede-re assieme, senza scosse, senza troppi rischiper il peso che trasportano [cioè il Vangeloche annunciamo ai destinatari del nostro apo-stolato]» (Ut perfectus sit homo Dei, II (1962),pp. 117-118).

L’armonia e l’equilibrio tra queste quattroruote sono fondamentali per «ricostruire l’uni-tà dell’uomo [e delle sue relazioni]» (Carissi-mi in San Paolo, p.131).

Ispirandoci a questa immagine, che nonperde la sua viva attualità, anche noi Paolini dioggi, come la giovane israelita che si ispiravaalla “donna perfetta” (cf Pr 1,1ss), semprepronta all’ascolto, aperta alla scuola della sa-pienza e alla formazione, vediamo tracciata lavia della nostra formazione integrale, della pie-na adesione allo spirito del Fondatore della Fa-miglia Paolina.

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LETTERA DEL DELEGATO

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L’uomo, innestato in Cristo Maestro,Via Verità e Vita, viene ricreato“a immagine di Dio”

«La centralità e la devozione a Gesù Mae-stro Via Verità e Vita porta al perfetto culto aDio-Trinità… Tutto l’uomo va a Dio; Dio permezzo di Gesù Cristo si unisce all’uomo»(UPS II, 149-150).

È interessante fermare, allo-ra, la nostra attenzione sul con-

testo dell’espressione ripor-tata qui sopra in quanto è la

presentazione della spiri-tualità paolina, incentratasu Gesù, Divino Maestro,Via e Verità e Vita (Gv14,6). La meta è, secondo

l’immancabile richiamo a san Paolo (Gal2,20), che il Cristo viva in noi. Il che avverràse saremo capaci di ricevere e lasciar fruttare“l’innesto” di Gesù nelle nostre facoltà. Ed ècosì che Gesù Verità opera sulla mente e con-ferisce la fede, Gesù Cristo è Via ed operanella volontà, che si conforma alla volontà diDio; Gesù Cristo è Vita ed opera sul senti-mento portando a una vita “soprannaturale”.

Per qual fine tutto questo? Perché l’uomotorni a splendere con quella luminosità con laquale è uscito dalle mani creatrici della Santis-sima Trinità.

Don Alberione, infatti, afferma: «L’uomo èuna proiezione meravigliosa della Trinità».Dio l’ha voluto creare a sua immagine e somi-glianza e rappresenta le tre divine Persone: ilPadre nella volontà, il Verbo nella mente-intel-ligenza, lo Spirito nel cuore-sentimento.

L’evento mirabile dell’Incarnazione delVerbo ha “restaurato”, con la totalità della suapersona (Via, Verità, Vita), la bellezza integra-le della creatura umana: Gesù-Verità risana lamente, Gesù-Via risana la volontà e Gesù-Vitarisana il cuore, l’affettività.

La persona umana, immergendosi nel Cri-sto Mediatore, viene purificata e santificatanella sua mente, volontà e sentimento. «L’uo-mo diviene nuovamente l’immagine restauratadi Dio Uno e Trino» (Donec Formetur - DF92). Come dice sant’ Agostino: «Cristo è di-ventato uomo, per insegnare all’uomo a diven-tare Dio».

Conclusione

L’essenza del cristianesimo è l’incontropersonale con il Cristo vivente, esperienza mi-steriosamente attraente che precede e fondaogni conoscenza dottrinale e ogni scelta mora-le; tale incontro avviene nella comunità cristia-na, luogo vitale e soggetto educante dei cre-denti in cammino.

Autentico discepolo di Cristo è colui che,per fede, ne abbraccia la causa e lo segue lun-go la via… Il comportamento di Gesù non è

La visione integrale dell’uomo in don Giacomo Alberione

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uno stampo da ricalcare pedissequamente inogni circostanza e in ogni singolo dettaglio; èpiuttosto un modello fondamentale da applica-re in mille modi diversi a seconda del momen-to, del luogo e delle persone.

La fiducia in Cristo Gesù dona pace con Dioe con se stessi. Pur senza scavalcare i problemidel mondo, questa fede rende l’uomo veramen-te umano, in quanto lo persuade ad aprirsi radi-calmente all’altro, a farsi prossimo a tutti.

Al singolo e alla comunità che rispondonoal suo appello, Cristo trasmette con estremaconcretezza un nuovo orientamento e atteggia-mento di fondo; nuove motivazioni dell’agire;nuove disposizioni, opinioni e intenzioni; nuo-ve azioni, segni concreti da porre per l’umaniz-zazione dell’uomo; un nuovo orizzonte, quellodel regno di Dio, che riesce a sostenere anchei risvolti negativi della vita umana.

I cristiani propugnano un umanesimo ve-ramente “radicale”, capace di integrare e su-perare anche il non-buono, il non-vero, ilnon-umano.

Il comportamento di Gesù ha inaugurato nelmondo un nuovo tipo di uomo e di umanesimo,che noi consideriamo il più perfetto che mai siasorto, capace di incarnarsi nella realtà di ognitempo e civiltà senza tradire la sua essenza.

Nella luce e nella forza del Maestro, i suoidiscepoli acquistano la capacità di vivere inmodo più autentico e umano «senza confor-

marsi alla mentalità del mondo presente» (Rm12,2). Sono come i salmoni, che vanno contro-corrente per depositare la vita.

Anche noi, pertanto, per essere autentici,dobbiamo imparare “a stare con il Signore”. Ge-sù ci è necessario per vivere una vera umanità

Cristo è il Vivente, nostro contemporaneo.Il Signore Gesù ci ha indicato la via, ci ha pro-posto la verità, ci ha donato la vita… A noi ilcompito, nella libertà e con creatività, di farneuna storia!

Se Lui è la Via, occorre conoscerlo sempremeglio per camminare sulle sue orme verso ilRegno, presente già qui anche se non ancorain pienezza.

Se Lui è la Verità, non basta conoscerlo,occorre ascoltare la sua voce che parla attra-verso la Parola, le persone e gli avvenimentiquotidiani.

Se Lui è la Vita, non basta conoscerlo eascoltarlo, occorre nutrirsi di Lui, farlo regna-re nel proprio cuore.

Lui è la Via, per questo non bisogna maicredersi degli arrivati.

Lui è la Verità, per questo occorre esseresempre in ricerca.

Lui è la Vita, per questo dobbiamo diventa-re «delle menti pensanti, dei cuori palpitanti,delle mani premurose» (Fausto Negri).

Don Olinto CRESPI, Del. [email protected]

L’importanza degli Atti del Convegno è tutta nel titolo, ricavato dal n. 169 dell’Evan-gelii gaudium di Papa Francesco: “Camminare al ritmo salutare delle relazioni”, il chesignifica cambiare, convertirsi, trovare in noi le ragioni di un fecondo rapporto con Dio,con noi e con gli altri, così che la famiglia sia veramente una casa di comunione.

Nella situazione di disagio di tante famiglie, oltre agli attacchi sempre più nervosicontro l’Istituto Famiglia, le coppie dell’Istituto “Santa Famiglia” hanno ricevuto un do-no e accettato una responsabilità nei confronti della Famiglia Paolina, della Chiesa e del-

la Società. Per questo aspetto gli Atti del Convegno acquistano un grande valore e val la spesa leggerne e as-similarne il contenuto per divenire testimoni di un disegno, che guarda alla situazione con la stessa miseri-cordia del Padre celeste.

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LETTERA DEL DELEGATO

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Siamo sempre nella parte esortativa dellaLettera ai Romani (cc 12-15). Dalle due re-

gole fondamentali, interiorizzate nel numero3/2014 di “Gesù Maestro” (p. 29) – «Non ab-biate alcun debito tra voi, tranne quello del-l’amore vicendevole» (Rm 13,8) e «Accoglie-tevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi»(Rm 15,7) – fioriscono dal cuore di Paolo unaserie di esortazioni, raccolte dagli studiosi inquattro blocchi. 1) Sul primo blocco “Uno di fronte all’altro”,

il più vasto, abbiamo riflettuto sul n. 4/2014(p. 27-29).

2) Su altri due (“Uno con l’altro” e “Per tuttigli uomini”) abbiamo riflettuto sul primonumero di questo anno 2015.

4° blocco: Uno per l’altro

Ora, nel riflettere su questo blocco, ac-quista piena evidenza quella che Papa Fran-cesco chiama “fraterni-tà mistica”, espressa daPaolo nei versetti 1-2del c 15 della lettera. Lecitazioni, prese non dal-la traduzione ufficialema da quella intercon-fessionale, permettonoun ulteriore approfondi-mento dell’amore fra-terno; emerge un aspet-to della fraternità che ciassocia profondamenteal mistero pasquale diCristo, alla salvezzaoperata con la sua passione e la sua morte,nel desiderio di collaborare con Lui alla sal-vezza del fratello.

• 15,1a: «Noi che siamo i forti dobbiamo farci carico delle debolezze di coloro che forti non sono».

Alcuni traducono: «...dobbiamo sopporta-re le debolezze...». Il verbo, usato da Paolo,non ha però il senso di “sopportare” una per-sona nella sua debolezza, ma quello di “su-portare”, “farsi carico”, portare i pesi gli unidegli altri. A questo punto comprendiamo chela solidarietà cristiana non ha limiti, perchénon ha avuto limiti l’amore di Cristo per cia-scuno di noi. “Portare su”, non semplicemen-te “sopportare”; il che significa che ti fai soli-dale con la debolezza dell’altro, con la suasofferenza e la sua fatica, e la porti assumen-dola, e così sentire che sei debole con lui, sof-fri con lui.

Già in Gal 6,2 Paolo affermava: «Fatevicarico gli uni dei pesi dell’altro»; il solito“alleloi” che nella solidarietà può divenire

“alleluia”. Ma il conte-sto della lettera – diconogli studiosi – suggeriscedi attribuire al vocabolo“peso” anche il signifi-cato di “peccati”: «Fate-vi carico gli uni dei pec-cati dell’altro». Quindila solidarietà cristiana ciinvita ad assumere ilpeccato dell’altro, comeGesù che si è fatto pec-cato per noi pur nonavendo peccati.

Come può avvenirequesto se del proprio peccato ognuno è perso-nalmente responsabile? Che cosa significa“farsi carico dei peccati dell’altro”?

Vedere Gesù nel cuore del prossimo

Spiritualità paolina

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1) Evidentemente è sottintesa la realtà dellaChiesa come comunità di peccatori. Quindi sia-mo tutti sullo stesso piano; non ci è assolutamen-te permesso nessun giudizio di condanna, anchese in questo momento posso non aver peccati oquel peccato che vedo nel fratello. Sarebbe ap-propriarsi di un diritto che è proprio di Dio.

2) Paolo richiede qualcosa di più: il pecca-to, non il peccatore, va condannato ed espiato;quindi un giudizio lo devo pronunziare. Ma co-me è avvenuto per Cristo, il giudizio di con-danna non lo emetterò nei confronti del fratel-lo che già porta il “peso” che è il suo peccato;ma lo pronunzio su di me, assumendo quelpeccato e compiendo un’opera espiatoria (laprima espiazione è sempre la preghiera).

In questo modo, nei confronti del fratello, dicui condividiamo il peso, il nostro è sempre ungiudizio: non di condanna, ma di salvezza. È ilgrande ministero dell’espiazione, una verità disempre, che sradicherebbe alla radice la malapianta della critica e della mormorazione, ancheperché i genitori devono espiare i peccati dei figli.

Diceva il beato Timoteo Giaccardo: «Ognivolta che vi confessate bene, sono vere due co-se: prima il perdono per voi, poi il perdono pergli altri. Vedete in quale luce e ministero nuo-vo viene posta la nostra confessione. Non sol-tanto ci avviciniamo come “penitenti” ma co-me “ministri”, e quel perdono concesso a noilo impetriamo agli altri... Vuoi conquistareun’anima? Vatti a confessare. Vuoi conquista-re un’anima all’umiltà? Vai a confessare la tuasuperbia e propizierai per te e per essa, e otter-rai il perdono per te e per quell’anima» (AllePie Discepole, Esercizi spirituali 1940).

• 15,1b: «Evitiamo di compiacere noi stessi».

Non è possibile portare in modo autenticonon solo il “peso” dell’altro, ma il “peso” cheè l’altro se non si smette di pensare a se stessi,se non si smette di agire per compiacere noi

stessi. Risulterebbe un’azione esteriormentebuona, ma “spiritualmente infeconda”, perchéinquinata da un’intenzione egoistica. L’impe-gno di “far tutto per la gloria di Dio” non è so-lo una pia esortazione, ma la ragione per cuioperiamo per non correre il rischio di sentircidire al giudizio: «Non ti conosco». Gesù non cioffre mezze misure: o si fa tutto con lui e perlui o senza di lui.

• 15,2: «Ognuno di noi faccia ciò che ègradito al prossimo, agendo per il suobene e con scopo costruttivo».

È in positivo la massima che nel libro di To-bia è data in negativo nel rispetto della leggedel taglione: «Non fare a nessuno ciò che nonpiace a te» (Tb 4,15). Gesù, instaurando la leg-ge dell’amore, la formula in modo positivo,giustamente definita “d’oro”: «Tutto quantovolete che gli uomini facciano a voi, anche voifatelo a loro» (Mt 7,12; cf Lc 6,31).

Notiamo che “fare ciò che è gradito al pros-simo” non significa cercare l’approvazione de-gli uomini, ma quella di Dio. Difatti “a scopocostruttivo” evidenzia il valore delle nostreazioni: tutto ciò che edifica la comunità fami-liare, sociale e parrocchiale è gradito al prossi-mo, perché risulta gradito a Dio.

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Vedere Gesù nel cuore del prossimo

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Spiritualità paolina

Conclusione

Le esortazioni paoline sono un chiaro ri-mando al discorso della montagna, dove conuna serie di contrapposizioni tra “Fu detto…ma io vi dico” (cf Mt 5,21-48), Gesù porta al-la perfezione la legge dell’amore fraterno, cheabbraccia ogni uomo e tutto l’uomo nel con-fronto deciso e senza scuse con l’amore di Cri-sto per noi. In lui il fondamento dell’amore eda lui la forza per vivere l’amore. Allora con-cludiamo con due brevi riflessioni:

1) Il rifiuto di vivere queste dimensioni del-l’amore all’interno della comunità o del cer-chio di persone con cui condividiamo la quoti-dianità, rende platonico il nostro amore versotutti gli uomini, a cui invita sia Gesù che Pao-lo. È più facile amare e accogliere e anche per-donare quelli che in definitiva non ci scoccia-no più di tanto. L’amore procede per cerchiconcentrici: fiorisce dal nostro cuore nella con-vinzione di essere amati da Dio, e raggiunge ivicini per arrivare anche ai lontani. Santa Tere-sina del Bambino Gesù amava autenticamente

i negretti perché amava madre Gertrude e unaconsorella che le risultava antipatica. E conclu-deva con il dire: «Gesù mi faceva capire che inquesto modo era contento».

2) Cristo ha definitivamente superata “lalegge del taglione”, che ha avuto una sua fun-zione pedagogica e provvisoria, instaurando lalegge della gratuità, la legge dell’amore che hasempre l’iniziativa, la legge dell’amore chevince il male con il bene.

La nuova legge non è pigra rassegnazionedi fronte al male; il che sembrerebbe appuntoperché il bene non si impone, non risponde conla violenza, per cui i tempi di gestazione sonolunghi con l’impressione di perdere continua-mente la battaglia contro il male.

La nuova legge è l’unica arma che vince ilmale. Non ce ne sono altre: la pazienza nelcombattere il male con il bene, nel contrastareil progredire del male innescando la “miccia”positiva del bene avrà di certo la vittoria in tan-te occasioni e in modo certissimo la vittoria fi-nale che è quella che conta.

Don Venanzio FLORIANO ssp

DON EUSTACCHIO IMPERATONUOVO SUPERIORE PROVINCIALE D’ITALIA

Lo ha nominato il Superiore generale don Valdir José De Castro condecreto il 31 marzo 2015.

Don Eustacchio, 40 anni, è nato ad Ercolano (Napoli) il 5 marzo1975. È entrato nella Società San Paolo il 12 settembre 1991, ha emes-

so la prima professione l’8 settembre 1996 ed è stato ordinato sacerdote il 25 giugno 2005.Compiuti gli studi teologici alla Pontificia Università del Laterano, ha conseguito il Baccel-lierato in teologia e la Licenza in spiritualità alla Pontificia Università Gregoriana, inseren-dosi gradualmente nella redazione libri, per la quale ho collaborato alla pubblicazione dei trevolumi dell’opera Password Bibbia giovane.

Dal 2003 si trova nella comunità di Cinisello Balsamo, dove è inserito nell’area editoria-le dei libri. Nel 2009 è stato nominato Superiore della comunità, mandato che gli è stato rin-novato nel 2012.

Un augurio sincero e un ricordo al Signore per il nuovo Superiore Provinciale da parte deinostri Istituti Aggregati.

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Più volte nella Messa ci viene rivoltal’esortazione a pregare, ma questa del-

l’inizio è la più significativa. Dopo aver esor-tato alla preghiera, il celebrante rimane in si-lenzio perché ciascuno offraal Signore le proprie pre-ghiere; poi, conclude riu-nendo la preghiera dei pre-senti con la propria che, ap-punto per questo, si chiama“colletta”.

A Messa si prega vera-mente, se si è già abituati apregare, se si prega in fa-miglia. Per molti la pre-ghiera appartiene alla sferaprivata, per cui ci sono an-che coppie di catechistiche non pregano mai insie-me. Al contrario, la fami-glia, “chiesa domestica”, è ilprimo luogo di preghiera: è là dove si impa-ra a pregare e dove si continua a pregare!Quella in famiglia deve essere la preghieradi tutti i suoi membri: per questo esige unacontinua revisione del meto-do, perché tutti possano real-mente partecipare, dal piùpiccolo al nonno.

Raramente ho trovato fa-miglie che pregano veramen-te, che fanno un’autentica pre-ghiera di famiglia. Non man-cano certo quelle che recitanoalcune parti della Liturgia del-le Ore, alla quale però i figlinon riescono pienamente apartecipare. Ne ho trovata unache viveva un’esperienza par-

ticolare e mi piace comunicarvela con le pa-role stesse della mamma:

«Appena sposati, continuammo a pregarecome avevamo sempre fatto. Le cose, però,

cominciarono a cambiarequando nacquero i figli.Lavoriamo entrambi percui lui ogni mattina va al-la Messa e prega per tutti,mentre io preparo i bambi-ni; poi facciamo colazionetutti insieme e andiamo alavorare, portando prima inostri cinque figli a scuo-la. Alla sera riprendiamo ifigli e giunti a casa, primadi cena, ci sediamo attor-no al tavolo con al centrol’icona della Madonna.Ciascuno prende la pro-pria candela e gliela pone

accesa davanti: solo allora inizia la nostrapreghiera spontanea per dire alla Madonnaciò che si è fatto durante la giornata e affida-re a Lei, persone e situazioni. Abbiamo co-

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Note di Liturgia

La “colletta”, preghiera della Comunità

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minciato quasi come un gioco, ma ora è di-ventata per noi una vera necessità: i bambinipregano per tutto e per tutti e a noi è diventa-to naturale accodarci a loro. Hanno fede e laMadonna non può non ascoltarli, per cui èspontaneo per noi, davanti alle sofferenze di

tante persone che si incontrano durante lagiornata, pensare già al momento della nostrapreghiera serale, quando i nostri bambini affi-deranno tutto alla Madonna».

A curadi don Roberto ROVERAN ssp

La Parola di Papa Francesco

La preghiera dev’essere coraggiosa

«La preghiera per chiedere un miracolo dev’essere una preghiera umile e forte,

che coinvolga tutti. In Argentina una bimba di 7 anni si ammala e i medici le dan-

no poche ore di vita. Il papà elettricista, “uomo di fede”, ha preso un autobus per

andare al Santuario mariano di Lujan, lontano 70 km. E’ arrivato dopo le 9 di se-

ra, quando era tutto chiuso.

E ha incominciato a pregare la Madonna, con le mani sulla cancellata di ferro.

E pregava, e pregava, e piangeva, e pregava e così è rimasto tutta la notte. Ma

quest’uomo lottava: lottava con Dio per avere la guarigione della sua fanciulla.

Poi, dopo le 6 del mattino, è andato al terminal, ha preso il bus ed è tornato al-

l’ospedale dove ha trovato la moglie piangente.

Ha subito pensato al peggio: “Ma cosa succede? Non capisco, non capisco! Co-

sa è successo?”. “Mah, sono venuti i dottori – risponde la moglie – e mi hanno det-

to che la febbre se n’è andata, che respira bene, che non c’è niente! La lasceran-

no due giorni in più, ma non capiscono che cosa è successo!”.

Questo succede ancora, eh?, i miracoli ci sono! Ma è necessario pregare col

cuore. Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare al miracolo…»

(20 maggio 2013)

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La “colletta”, preghiera della Comunità

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Elementi di formazione: le piccole virtù umane

Siamo esausti ormai di tante parole, dellacolluvie di comunicazioni e slogan a cui

veniamo sottoposti ogni giorno senza volerloovunque ci troviamo attraverso radio, tv e glialtri mezzi di comunicazione. È sempre piùdifficile trovare qualche luogo silenzioso, al ri-paro dal rumore e dal potere dei media. Forsequalche chiesa, quando è aperta, oppure la no-stra casa quando decidiamo di stoppare tutto edi concentrarci a riflettere. Ma è rara questaoperazione, pur avendo una grande nostalgiadella calma e della pace.

A dire il vero, però, si trovano anche dei se-gnali in controtendenza. Navigando in Internet,ad es., trovo un blog sul silenzio, un’accademiadel silenzio, un festival del silenzio, il silentparty, la festa del silenzio, addirittura il SilentDisco, dove i giovani ballano indossando unatecnologica cuffia che consente il divertimen-to, ma silenzioso. Mi sembrano esempiperfino un po’ eclatanti del desi-derio mai sopito del cuoreumano.

Il silenzio è unavirtù molto amata erispettata, e talvoltaanche desiderata,ma molto pocopraticata. Se essaè una virtù delcuore, tuttavianon può esserepraticata senza ilconsenso dellamente e di una

ferma decisione da parte della volontà. È il sa-per discernere quali parole è bene pronunciaree quali tacere. È il sapere non parlare inutil-mente, è il saper selezionare parole utili e co-struttive, da quelle inutili e distruttive.

Osserva Romano Guardini: «La parola èuna delle forme fondamentali della vita uma-na: l’altra forma è il silenzio ed è un mistero al-trettanto grande… Le due cose ne fanno unasola: parlare significativamente può soltantocolui che può anche tacere, altrimenti sonochiacchiere; tacere significativamente può sol-tanto colui che può anche parlare, altrimenti èun muto. In tutti e due questi misteri vive l’uo-mo; la loro unità esprime la sue essenza» (Vir-tù. Temi e prospettive della vita morale, Mor-celliana 1972).

Fare silenzio è ben altra cosa che sta-re zitti. «È creare un’abi-

tazione, un luo godentro di sé dove ri-parare quan do sivuole e quando sipuò dall’aggres-sione incessantedei messaggi; do -ve raccogliersi dal -la molteplicità ete-rogenea dei pen-sieri e delle emo-zioni; fare silenzio èriportarsi al centro dise stessi» (G. Co-lombero, Dalle pa-role al dialogo.Aspetti psicologicidella comunicazio-

ne interpersonale,san Paolo 2001).

Il silenzio, un’esigenza del cuore

Amare vuol dire soprattuttoascoltare in silenzio(A. de Saint-Exupéry)

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Il silenzio, un’esigenza del cuore

I due aspetti del silenzio

1) Silenzio relazionale. – Il silenzio ci affa-scina e ci fa paura allo stesso tempo, ci attira eci spaventa perché ci pone dinanzi al misteroche siamo noi, all’inedito che possono esseregli altri, alla realtà che non conosciamo e ci su-pera e che tuttavia percepiamo importante pernoi. È relazionale in quanto nasce dalla rela-zione e apre alla relazione. È condizione per-ché avvenga l’incontro e ci sia l’ascolto. Ilchiacchierone, chi è portato al chiasso, chi siriempie di suoni e di immagini come il teledi-pendente o il “radioattivo” non solo teme il si-lenzio e la solitudine, ma non sa neanche vive-re la relazione perché non crea in sé la condi-zione fondamentale per accogliere l’altro che èappunto il silenzio.

2) Silenzio riflessivo. – È paragonabile adun’abitazione che possiamo creare dentro dinoi; un ricettacolo in cui raccoglierci per difen-derci dai messaggi disturbanti dell’ambiente,per sedimentare il tumulto dei pensieri e delleemozioni, per attingere nuove risorse alle sor-genti della nostra vita. Così inteso il silenzioappare come una dimensione spirituale dellapersona e come una condizione per promuove-re l’unità di tutte le risorse interiori. È il silen-zio della riflessione, dell’uomo interiore che sipiega letteralmente su se stesso, ri-flettendosulla sua realtà e verità per aprirsi poi alla rela-zione interpersonale e alla comunicazione. Al-lora e solo allora può parlare e parlare con ef-ficacia: il silenzio è il contenuto segreto delleparole che importano. Un’anima vale per laricchezza dei suoi silenzi.

I due movimenti, relazionale e riflessivo,sono strettamente interconnessi l’uno con l’al-tro: nel silenzio si prendono le distanze dallarealtà, da un certo modo di vivere la relazione,si fa il vuoto entrando nella solitudine. Ed è intale assenza e tipo di silenzio che nasce la rela-zione con Dio, detta preghiera o contemplazio-

ne e la relazione con gli altri attraverso il dia-logo, l’amicizia e la fraternità.

Nel silenzio si impara a parlare con Dio econ gli altri in quanto ci si conosce profonda-mente.

Riconoscere se stessi

Un uomo si recò da un monaco di clausura.Gli chiese:

– Che cosa impari mai dalla tua vita di si-lenzio? – gli chiese.

Il monaco stava attingendo acqua da unpozzo e disse al suo visitatore:

– Guarda giù nel pozzo! Che cosa vedi?. L’uomo guardò nel pozzo. – Non vedo niente. Dopo un po’ di tempo, in cui rimase perfet-

tamente immobile, il monaco disse al visitatore: – Guarda ora! Che cosa vedi nel pozzo?. L’uomo ubbidì e rispose: – Ora vedo me

stesso: mi specchio nell’acqua. – Vedi, quando io immergo il secchio, l’ac-

qua è agitata – disse il monaco. – Ora invecel’acqua è tranquilla. È questa l’esperienza delsilenzio: l’uomo vede se stesso!

Rischi e cura

Privato del silenzio l’uomo rischia non so-lamente di vivere alla periferia di se stesso, madi ridurre tutte le relazioni umane a delle fred-de e superficiali convenzioni sociali. Possiamogià constatare come, a diversi livelli, l’assenzadi ogni interiorità ha molteplici conseguenzepersonali e sociali: la fragilità e instabilità del-l’individuo, sradicato dalle proprie profondità,ricadono necessariamente sulla vita delle cop-pie, delle famiglie, dei gruppi sociali. Difficol-tà per i bambini di concentrarsi. Carattere su-perficiale delle relazioni. Crescita del consumodi tranquillanti. Disadattamento cronico. Ag-gressività a fior di pelle. Depressione e disper-

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sione. Ricerca disperata dell’evasione nelladroga, nelle sette, ecc.

Quale cura? «Se fossi medico e mi chiedes-sero che cosa consiglio risponderei: fate silen-zio, fate tacere gli uomini!», diceva Kierkega-ard. Forse bisogna davvero istituire delle curedel silenzio disintossicandosi dal rumore andan-do ad ascoltare senza paura il silenzio del mare,della montagna, della campagna, del tramonto,della natura liberandosi da tirannie varie comequella della tv, pc, tablet, smartphone…

Nella relazione di coppia

Il silenzio è come l’amore, è un’esigenzache nasce dal cuore, ma questa esigenza nasceproprio in funzione dell’amore, in quanto lapersona sente sempre di più l’esigenza di unapiù intima unione con l’amato. Per questo chivive il silenzio interiore sa stare a preferenza ditutto a colloquio con Dio, evitando parole ozio-se, pensieri futili, desideri vuoti o peccaminosi,azioni grossolane, senza carità, che non sonocostruttive né per sé, né per colui che le riceve.

All’inizio fare silenzio può sembrare fatico-so per chi non è abituato, ma chi cresce nel-l’amore lo trova facile, poiché diventa un’esi-genza del cuore e non vi è più fatica a praticar-lo, ma anzi l’anima stessa ne è alla ricerca poi-ché in esso trova pace e consolazione.

Chi ama trova nel silenzio un’eccezionaleopportunità di comunicazione con il partner.L’esperienza dimostra che paradossalmente

certi silenzi nella vita di coppia hanno il granpotere di rinforzare la comunione e l’amore,mentre altri, originati dall’indifferenza o dalrancore, la disgregano. La comunicazione nel-la coppia è l’elemento che determina una buo-na o cattiva armonia familiare. I coniugi cheimparano a comunicare bene donano una vitaprolungata e serena alla loro relazione di cop-pia. Ma attenzione perché la comunicazionenon è solo verbale, ma anche fatta di gesti, disguardi, di cura integrale dell’altro e della rela-zione. L’amore espresso a parole si concretiz-za nella dedizione fattiva e responsabile, forsesilenziosa sì, ma certamente reale.

In ambito educativo la preziosità del silen-zio emerge da un adeguato ascoltare i figli per-ché ci stanno a cuore e ci interessa la loro pro-spettiva, il loro sguardo sulle cose, la loro cre-scita graduale. Sono sempre in esubero le no-stre parole e le nostre domande assillanti. Equesto avviene perché siamo convinti di sape-re come la pensano e che combinano solo guai.D’altra parte sappiamo anche che con l’età lerelazioni cambiano e dobbiamo aspettarci che ifigli puntino su altre relazioni, più consone al-la loro età.

Silenzio per ascoltare Dio

Nella Bibbia c’è un episodio significativoche ci indica la necessità di fare silenzio perascoltare Dio che parla. Al profeta Elia Dio simanifesta non nel vento, nel terremoto o nelfuoco ma nel sussurro di una brezza così leg-gera che rischia di passare invano (cf 1Re19,9-18). E don Alberione ha lasciato scritto:«La meditazione porta al silenzio e nel silen-zio parla Gesù… Se tu stai conversando congli altri, il Signore non ti interrompe. Il Signo-re aspetta che tu faccia silenzio». Buon silen-zio a tutti!

Don Roberto ROVERAN ssp

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Elementi di formazione: le piccole virtù umane

Il silenzio favorisce la contemplazionee l’ascolto di Dio

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Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Da quando l’ultimo Concilio ecumenico haistituito la Giornata mondiale delle comu-

nicazioni sociali, per ben otto volte i Papi han-no voluto mettere in evidenza nello specifico ilrapporto tra i media e la famiglia. La lettera-tura sul tema, dunque, è stata finora sovrab-bondante: in particolare si è insistito molto sul-l’educazione dei figli al corretto uso della tele-visione e sul ruolo che dovrebbero avere i me-dia per l’unità e il progresso della famiglia. Sitratta evidentemente di un ambito delicato emolto importante per la Chiesa.

Eppure di fronte a tanta secolare chiarezzae determinazione cartacea, la realtà di tutti igiorni sembra parlare ancora oggi una linguadiversa rispetto a quella dei documenti pontifi-ci. Mi riferisco ovviamente alla situazione ita-liana. A parte isolate iniziative che hanno vistola luce soprattutto nel Nord del nostro Paese,non esiste una vera e propria strategia di edu-cazione ai media per la famiglia. Intere genera-zioni di ragazzi, ormai divenuti adulti, sonostate abbandonate di fronte ai media senza re-gole e senza paure.

Oggi la televisione sta naturalmente perden-do il suo charme di un tempo, per cui viene me-

no l’urgenza di trovare soluzioni educative ri-spetto a questo strumento. Ma la strategia del“non-intervento” sembra ostinarsi a perdurareanche di fronte all’arrivo delle “nuove” tecno-logie. Tanti incontri, convegni ecclesiali, dibat-titi, tavole rotonde e sinonimi vari hanno riem-pito spazi quotidiani con termini del calibro di“nativo digitale”, “v@ngelo”, “crossmediale”,senza apportare alcunché di operativo nellaprassi pastorale delle singole parrocchie.

Parrebbe che dietro alle parole non si av-verta la gravità dell’influenza dei media nellefamiglie, e non solo tra i giovani. Sappiamobene che l’uso sregolato dei social network staprocurando squilibri nei già fragili attuali rap-porti di coppia. Ma non conosciamo ancora be-ne quali siano e saranno gli effetti di un ap-proccio improprio dei giovani con il mondo diinternet. Se è vero che il mezzo è il messaggio,la comunicazione di un telefonino sempre aportata di mano come sta cambiando la nostrasocietà? Cosa dice il comando “reset” all’uo-mo del Duemila? La tecnologia “touch” sta se-gnando un cambiamento epocale? Non si trat-ta di domande banali o provocatorie. E le ri-sposte sono ancora oggi alla portata di pochi.

Educare ai media in famiglia,non solo a parole

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Intervenire per educare è un imperativo ca-tegorico. È affascinante sapere che la preghie-ra è la forma fondamentale di comunicazionedella famiglia, che il perdono è una dinamicadi comunicazione che si impara innanzitutto infamiglia, come ci ricorda Papa Francesco nelmessaggio di quest’anno per la Giornata mon-diale delle comunicazioni sociali.

Ma perché la Chiesa cattolica italiana nonviene incontro all’educazione della fede infamiglia magari semplicemente rivoluzio-nando la comunicazione dell’ora di catechi-smo? L’attuale catechismo per i bambini è lostesso volume che si utilizzava trent’anni faper prepararsi alla prima Comunione, allor-ché non c’erano smartphone, computer e ap-plicazioni varie.

E per quale motivo in parrocchia general-mente non si propongono corsi di formazioneper capire cosa sia un videogioco, da quale età eper quanto tempo un bambino può relazionarsicon un dispositivo digitale, come difendersi dal-la pubblicità, come discernere la verità sul web?

La speranza è che si esca presto fuori dallatentazione di pensare che solo perché si è ca-paci di parlare e scrivere allora ci si possa pro-porre esperti in comunicazione. Con l’augurioche le riflessioni anche intelligenti prodottesul mondo dei media possano finalmente sfo-ciare in risvolti pastorali concreti, che aiutinole periferie esistenziali della comunicazione edella cultura.

(Da Zenit a cura didon F. Indelicato, 27 marzo 2015)

Questo volume di Maria Rosaria Attanasio, Figlia di san Paolo, rappresenta ilprimo tentativo pastorale-catechetico di fondare ed evidenziare l’urgenza di as-sumere, oggi, le nuove linee pedagogiche e le tecnologie informatiche nell’evan-gelizzazione e nella catechesi, nella linea dell’incarnazione e dell’inculturazione.L’approccio all’evangelizzazione e alla catechesi ha seguito la linea ermeneutica,di interpretazione della realtà attuale e della vita delle persone come luogo teo-logico. Si sottolinea l’importanza del linguaggio multimediale nell’educazione al-la fede globale e integrale, partecipativa e creativa, affascinante e attraente.

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Educare ai media in famiglia, non solo a parole

UNA BUSSOLA PER COMUNICARE LA FAMIGLIAPer dare rilievo al tema della 49° Giornata mondiale delle Comunica-

zioni sociali (17 maggio 2015), Comunicare la famiglia: ambiente privi-legiato dell’incontro nella gratuità dell’amore, Paoline e Paolini organiz-

zano la Settimana della comunicazione, giunta ormai alla 10a edizione. Co-me ogni anno, le principali manifestazioni della Settimana sono concentrate nel Festival della co-municazione che si svolge a Cosenza-Bisignano dal 10 al 17 maggio 2015. È convinzione dei pro-motori della Settimana/Festival della comunicazione che la famiglia “risorsa” sia quella che sa co-municare al proprio interno e all’esterno condividendo esperienze con vicini e lontani.

La famiglia, infatti, è come una bussola che orienta la vita di ciascun componente, ma allo stes-so tempo, indica l’orientamento verso una scelta familiare fatta di perdono, incontro, amore, gra-tuità, meraviglia. L’ago calamitato si dirige verso parole quotidiane quali: permesso, scusa, grazie.Le ricorda spesso papa Francesco che nel suo Messaggio di quest’anno sottolinea anche come “Imedia tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare orifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere…,; dove tutti imparia-mo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato”. (Sr Cristina BEFFA)

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Pastorale familiare

Siamo in un tempo di profondo cambiamen-to dell’istituto familiare; la famiglia nella

nostra società non è più quell’entità monoliticache era fino a 30-40 anni fa e non è più cosìscontato che un bambino cresca con la propriamadre e il proprio padre.

Ciononostante funzione materna e paternarestano due dimensioni strutturali che vanno aldi là delle particolari contingenze storico so-ciali e delle inevitabili trasformazioni che ca-ratterizzano la storia.

L’esperienza della psicoanalisi insegna cheil diventare persona non è un dato costituzio-nale, non è qualcosa d’innato: è piuttosto unprodotto, è un effetto che si può attivare o me-no. Come a dire: lo sviluppo avviene in untempo logico successivo alla nascita biologicae affinché questa “seconda nascita” abbia luo-go, essenziale sarà l’incontro che il neonatorealizza con il legame familiare.

Nel 1969 Jaques Lacan, in un breve scrittodal titolo Nota sul bambino, con quello stileenigmatico che è il tratto distintivo del celebrepsicoanalista francese, sosteneva una tesi che,se rapportata al nostro tempo, ha valore clini-co e anche politico.

Diceva: «La funzione di residuo che la fa-miglia coniugale sostiene (e al tempo mantie-ne) nell’evoluzione delle società valorizza l’ir-riducibilità di una trasmissione che è di un or-dine diverso rispetto alla trasmissione dellavita basata sulla soddisfazione dei bisogni.Essa è infatti di costituzione soggettiva, inquanto implica una relazione con un desiderioche non sia anonimo».

Cosa intende Lacan? C’è qualcosa di inso-stituibile nella famiglia ai fini della costituzio-ne dell’individualità del bambino e perché

dunque si realizzi la sua “seconda nascita”: illegame familiare è qualcosa che non può esse-re surrogato da altri istituti differenti da quellofamiliare.

È soltanto nell’incontro con il legame fami-liare che il bambino ha la possibilità di riceve-re una «trasmissione che è di un ordine diver-so rispetto alla trasmissione della vita basatasulla soddisfazione dei bisogni».

Affinché il neonato possa diventare perso-na, affinché passi dall’esser corpo nell’urgen-za del bisogno alla possibilità di diventaresoggetto, è necessario che incontri nel legamefamiliare la trasmissione di qualcosa che va aldi là della vita biologica. In altri termini la vi-ta si umanizza, la vita non si riduce a una pu-ra e semplice coincidenza con il corpo biolo-gico, soltanto se si realizza l’incontro conqualcosa di più del semplice accudimento delbisogno.

Funzione materna e paternanello sviluppo umano

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Ciò che il neonato deve poter incontrare è,dice Lacan, la trasmissione del desiderio.Quale desiderio? Deve trattarsi di un “deside-rio che non sia anonimo”, cioè un desiderioche si incarni in una passione, che sia testimo-niato dalla vita. Possiamo dire che funzionematerna e paterna sono i due modi, attraversoi quali si declina l’incontro fondamentale conil desiderio.

Più nello specifico: il neonato incontra ildesiderio anzitutto nella capacità materna didare «cure che portano il marchio di un inte-resse particolareggiato». In altri termini ilbambino incontra nella funzione materna lacapacità di particolarizzare le cure, cioè di for-nire cure che non siano anonime e impersona-li, ma piuttosto il segno di un interesse parti-colare, specifico, di quella madre per quelbambino.

Questa capacità tutta materna di particola-rizzare le cure è ciò che permette al bambinodi percepire se stesso e la propria esistenzacome qualcosa di prezioso, insostituibile, co-me qualcosa di cui la madre non può fare ameno. Per la psicoanalisi l’amore non è un

sentimento universale, ma particolare: l’amo-re materno non è un sentimento evanescente,non è l’amore per i bambini in generale, ma èamore del nome proprio del bambino, amoredell’essere particolare e irripetibile di quelbambino.

Dall’altro lato possiamo dire che il bambi-no deve incontrare nella funzione paterna, piùprecisamente nel nome del padre, la possibili-tà di una “incarnazione della Legge nel deside-rio”, la possibilità di consentire l’incontro trala Legge e il desiderio.

Cosa significa più precisamente incarnarela Legge nel desiderio? Significa prima di tut-to rappresentare la funzione del limite, dell’in-terdizione che salva la vita del figlio da una de-riva nichilista e mortifera. In secondo luogo si-gnifica testimoniare che, affinché la Legge siacredibile, deve essere mostrata nel desiderio.In altri termini un padre è credibile se essostesso per primo è sottomesso alla Legge e nonidentificato a essa, se non pensa cioè di esserelui la Legge (padre padrone). È in questo mo-do che può mostrare al figlio che solo nellasottomissione alla Legge c’è la possibilità direalizzare il desiderio.

Non possiamo non sottolineare, in conclu-sione, come il nostro tempo sia il tempo nelquale la funzione paterna è entrata in crisi, siail tempo, per citare ancora Lacan, dell’evapo-razione del padre e della conseguente derivanichilistica e mortifera che caratterizza la so-cietà contemporanea.

Anche Papa Francesco in un’Udienza gene-rale ha rimarcato i danni che l’assenza e la la-titanza del padre procurano ai figli: «I giovanirimangono orfani di strade sicure da percorre-re, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani diideali che riscaldino il cuore, orfani di valori edi speranze che li sostengano quotidianamen-te» (28 gennaio 2015).

A cura di don Roberto ROVERAN ssp

Funzione materna e paterna nello sviluppo umano

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74anni di età, 62 di vita paolina, 50 di profes-sione e 40 di sacerdozio. È racchiusa in

queste cifre l’avventura umana, spirituale, religio-sa e sacerdotale di don Luigino Giuseppe Melot-to, per tutti don Gigi.

Nato nel 1941 a Pressana (Verona), è entratonel 1952 nella casa di Alba della Società San Pao-lo, fondata dal beato don Giacomo Alberione.

Compiuto il noviziato ad Ostia, Luigino emisea Roma la prima professione religiosa nel 1964 ela professione perpetua nel 1967. A Vicenza, l’8giugno 1974, ricevette l’ordinazione presbiterale.Lì don Gigi fu insegnante di materie letterarie dal1971 al 1976 e successivamente, fino al 1990,promotore vocazionale. Fu poi Assistente spiri-tuale dell’Istituto San Gabriele Arcangelo (Ga-brielini) per un decennio.

Nella comunità di Vicenza, don Gigi si dedicòcon passione all’animazione spirituale della Fa-miglia Paolina, sparsa nel Triveneto e alla promo-zione vocazionale (2000-2007).

Ricoprì quindi l’incarico di superiore della co-munità di Firenze (2007-2010), dedicandosi an-che qui al servizio dell’animazione spirituale, inparticolare dei gruppi laici della Famiglia Paolina.

Nel 2010 fu trasferito in Sardegna a SantaGiusta come delegato della comunità paolina enel servizio pastorale della vicina parrocchia. Quidon Gigi ha speso con generosità tutto se stesso,senza risparmiarsi, insieme al confratello paolino,fr. Mario Toniolo, dedicandosi a un’intensa attivi-tà di animazione spirituale a servizio della nume-rosa Famiglia Paolina presente in terra sarda.

Alla fine di novembre 2014, in seguito adun’operazione di asportazione di un’adenomaipofisario, è stato colpito da meningite, che lo ha

costretto a passare per diversi ospedali. Consape-vole della gravità della sua situazione, ha accetta-to la sofferenza, ripetendo in tante occasioni: «Of-fro tutto». La sofferenza degli ultimi mesi ha ac-cresciuto in lui il senso dell’offerta in intima co-munione con Cristo Gesù «a favore del suo corpoche è la Chiesa» (Col 1,24).

Questa offerta racconta più di ogni altra paro-la don Gigi. Chi lo ha conosciuto sa della fraternasimpatia che egli ispirava fin dal primo contatto,ricorda le sue convinzioni di fede, segnate dal-l’amore all’Eucaristia e alla Madonna.

Mons. Ignazio Sanna ha indirizzato un mes-saggio di cordoglio: «A nome mio personale edella comunità ecclesiale arborense esprimo il vi-vo sentimento di cristiana solidarietà e umana vi-cinanza per la morte di don Luigi Melotto. Il suoministero sacerdotale speso con passione e gene-rosità nel servizio pastorale della parrocchia diSanta Giusta e nella Famiglia Paolina della Sar-degna ha gettato semi di speranza, che darannofrutti sicuri di benedizione e di grazia. Le moltepersone che hanno trovato conforto spirituale ecoraggio di conversione nella sua preghiera enella sua opera di discernimento conserverannomemore gratitudine e profonda riconoscenza.Confido fermamente che il Signore della vita edella morte, che accoglie don Gigi tra le bracciadella sua misericordia, saprà dare la forza dellafede nel Cristo risorto ai familiari che piangonola sua morte, alla Congregazione che perde un te-stimone credibile della Pia Società San Paolo, atutti coloro che in lui hanno incontrato la gioiadel Vangelo e la felicità della vita»

(Da “L’Arborense”,Vita Diocesana, 8 marzo 2015).

In ricordo

“Un sacerdote innamoratodi Gesù e di Maria”

Per la sua generosa animazione, anche dell’Istituto “Santa Famiglia”, pubblichiamo il profi-lo di don Luigino Melotto che il Superiore provinciale, don Vincenzo Marras, ha presentatonel Giornale diocesano di Oristano con il significativo titolo “Ha offerto la sua sofferenza”.

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

FRANCESCO LOSITO* 15/10/1934 – † 19/01/2015

del Gruppo di Bari

Franco fu fra i primi ad entrare nell’Istituto negli anni Ottanta. Era un uomo semplice, dotatodi una serenità d’animo e di una semplicità di cuore disarmanti. Aveva un cuore puro come quel-lo di un bambino, così come ne parla Gesù nel Vangelo.

La sua presenza era sempre discreta, ma assidua, finché la salute lo ha sorretto, sia ai Ri-tiri che agli Esercizi Spirituali, ma anche alle ore di adorazione eucaristica presso la CasaPaolina di Bari. Tutto ciò gli ha consentito di arricchirsi della spiritualità all’interno delGruppo “Santa Famiglia”, grazie all’aiuto e all’amicizia dei Sacerdoti che si sono sussegui-ti come Delegati.

Non una parola di troppo, non una lamentela, ma sempre col sorriso sulle labbra, sorriso cheinfondeva fiducia e gioia ad ogni incontro, consapevole della missione alla quale lo chiamava ilcarisma paolino: portare Gesù agli altri, attraverso la parola e l’esempio, con il sussidio della buo-na stampa.

Questa la testimonianza di don Francesco Todaro: «È stato un papà nella sua famiglia e nell’Isti-tuto “Santa Famiglia”. Nella semplicità aveva imparato ad espandere serenità, benevolenza e gene-rosità. Ha sempre manifestato stima ed apprezzamento per i sacerdoti e per il loro ministero. L’espe-rienza del servizio di volontariato e di amore nella Casa di Circonvallazione Appia è stato caratte-rizzato da apprezzamento verso il servizio dei Sacerdoti. Solo le anime semplici sono capaci di ac-costarsi e penetrare nelle meraviglie di Dio» (Mimì e Titti Savino, Gruppo di Bari).

ADA AMARANTO in ARAMU* 19/12/1933 – † 10/02/2015

del Gruppo di Oristano - San Gavino

Malgrado il suo stato di salute non è mai mancata ai ritiri mensili e neanche ai ritiri spiritua-li annuali, mantenendo un ottimo rapporto con tutti i membri dell’Istituto. Aveva iniziato il suocammino col marito Efisio durante gli Esercizi Spirituali del 2007; emesso i voti perpetui il 2014,ad Arborea prov. di Oristano. Giorno pieno di gioia e commozione.

Oggi tutti ne sentiamo la mancanza e ci sentiamo vicini al marito Efisio, i figli Maria Laura,Carolina e Simone, ai quali rinnoviamo a nome dell’Istituto “Santa Famiglia” le nostre più sen-tite condoglianze.

BRUNO DAL SANTO* 09/08/1934 – † 10/02/2015

del Gruppo di Vicenza

Dal matrimonio con Concetta sono nati quattro figli, uno dei quali è salito in cielo all’età di 4anni per un incidente. Nel 1991 avevano iniziato il cammino nell’Istituto “Santa Famiglia” contanto entusiasmo, affascinati dalla figura carismatica di don Stefano Lamera.

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Nel giorno della loro professione perpetua a Trieste hanno fatto una festa come fosse stato ilgiorno del loro matrimonio. Bruno e Concetta hanno sempre avuto una sincera amicizia con An-gela Lamera, sorella di don Stefano, con la quale amavano trascorrere qualche domenica visitan-do santuari mariani. Negli ultimi anni Bruno ha dovuto affrontare molte prove, tra le quali il peg-gioramento della sua salute.

Non mancava mai ai ritiri mensili e avervi dovuto rinunciare a motivo della salute fu per Bru-no grande sofferenza.

FRANCA TIDEI in RUBINI* 22/01/1934 – † 14/02/2015

del Gruppo di Grottaferrata

La fede ci insegna che insieme con Cristo, grazie alla “Comunione dei santi” sono presenti anoi tutti coloro che ci hanno preceduti nella Casa del Padre. Questa certezza è per noi motivo difiducia, di conforto, di speranza.

Nessuno ci è tanto presente quanto la nostra cara Franca che ci ha preceduto nella fede. Gra-zie a questa comunione, la nostra debolezza è molto aiutata. Innanzitutto con gli esempi dellasua vita, con i quali ci indica la “via” sicura per avanzare senza incertezze e timori. Poi ci assistecon l’efficacia della sua parola, con i suoi messaggi per mezzo dei quali continua ad illuminarele nostre menti e a confortare il nostro spirito.

La sua presenza, ieri e oggi, chiede a ciascuno di noi di essere custodita nel cuore, perché di-venti testimonianza di vita. È allora cosa buona raccogliere e tenere viva questa eredità che Fran-ca ci ha lasciato. La fede non cancella il dolore del distacco e la sofferenza nei nostri cuori, maci fa dire che tutto ci sarà poi reso dalla misericordia del Padre.

Chiediamo al Signore che dia consolazione ai suoi cari e all’Istituto “Santa Famiglia”, al qua-le Franca ha donato grandissima parte della sua vita insieme al suo e nostro caro Alberto (Grup-po di Grottaferrata).

Un ricordo riconoscente“Dire Franca è dire Sacerdoti e Famiglie”!Franca ha saputo stare vicino, collaborando intensamente, al primo Delegato dell’Istituto “Ge-

sù Sacerdote” e “Santa Famiglia” don Stefano Lamera. Sempre tutto con entusiasmo e tanta gioia,felice di appartenere, assieme al suo indimenticabile marito, Alberto, all’Istituto “Santa Famiglia”.

Oggi siamo particolarmente vicini a lei, nell’ultimo saluto terreno…La presenza di molti membri dell’Istituto manifesta lo spirito di relazione e di comunione del-

le famiglie che si sostengono di fronte alle tante sfide che la famiglia oggi deve affrontare.Franca, in tanti anni di appartenenza all’Istituto, oltre alla sua presenza propositiva e mater-

na, ha avuto un grande merito: quello di organizzare in modo disinteressato tanti pellegrinaggia Lourdes che hanno caratterizzato il cammino degli Istituti “Santa Famiglia” e “Gesù Sacer-dote”. Anche in questo ha mostrato il suo grande cuore!

Carissima Franca, oggi siamo certi che anche quest’ultimo pellegrinaggio verso il Paradisol’hai preparato bene. Grazie della tua ricca eredità spirituale. Nella pace di Dio parla di noi aGesù perché ne abbiamo bisogno. Riposa in pace (don Olinto Crespi).

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

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MARIA NALIN in PERMUNIAN* 27/09/1935 – † 23/02/2015

del Gruppo di Vicenza

23 febbraio 2015, ore 19, mamma Maria si fa trovare pronta all’appuntamento più importante.Anche il dolore, quando è condiviso con gli altri, è più facile da portare. Maria lascia come testa-mento spirituale soprattutto due cose: la sua grande fede nel Signore e la fedeltà al marito Enrico ealla sua famiglia che veniva prima di tutto e tutti, nonostante non siano mancati momenti difficili.

Era quel tipo di persona molto riservata, che lasciava trasparire solo una piccola parte del suogrande tesoro interiore; a volte non sapeva manifestare con le parole le sue intuizioni, ma avevauna tale confidenza con il Signore da sapere, attraverso di Lui, molte più cose di quanto le per-sone potevano dirle.

«Cara mamma, ci manchi moltissimo! La tua dipartita ci ha lasciato tutti sgomenti e nello stra-zio più totale. Te ne sei andata senza disturbare, discreta, come sei sempre vissuta. Nonostante lanon più verde età, stavi bene, vivevi la tua vita accanto a papà, dividendoti tra le tue grandi pas-sioni: vita di fede, attaccamento alla famiglia, il cucito e l’amore per la casa.

Avevi trascorso il pomeriggio mettendo a disposizione del gruppo missionario le tue mani pre-ziose, tornavi a casa dopo essere stata alla Messa con papà e incontrato il Signore nell’Eucare-stia…. A trecento metri da casa si è compiuto il tuo destino!

Non sei tornata a casa con Enrico dove era tutto pronto per la cena, no, sei andata direttamen-te alla Casa del Padre, tra le sue braccia! Non te ne sarai resa conto, o forse, tu ti stavi già prepa-rando al distacco.

I tuoi due pulcini sono cresciuti in fretta e troppo presto hanno lasciato il nido: uno per unascelta di vita militare, l’altro per una carriera sportiva. Ma sempre forte è rimasto il nostro lega-me! Era bello giocare a prenderti in giro quando invertivi i nostri nomi… ti irradiavi di gioiaquando ci riunivamo nella tua casa! Questa casa, pulitissima e perfettamente ordinata, che ora ciappare vuota e fredda.

Dove sei ora potrai rivedere i tuoi amati genitori e fratelli che ti hanno preceduto… ma nonci abbandonare mamma! Cerca soprattutto di restare accanto a Enrico, il tuo compagno di una vi-ta… che ha tanto bisogno di te. Ti vogliamo bene! Sei davvero un dono grande e un privilegioaverla come madre» (I tuoi familiari).

MARIA GRAMAGLIA in BADELLINO* 20/03/1923 – † 24/02/2015

del Gruppo di Bra

Il 24 febbraio 2015 è ritornata alla Casa del Padre la nostra cara sorella Maria, nata a S. Vit-toria d’Alba nel 1923.

Donna di grande fede, generosità e fedeltà all’Istituto “Santa Famiglia”, era entrata a far par-te dell’Istituto con il marito Francesco il nel 1994 ad Alba. Con grande gioia aveva celebrato laprofessione perpetua il 25 giugno 2000 a Vicoforte di Mondovì, dicendo che le sembrava di spo-sarsi un’altra volta.

Dopo la morte del marito nell’anno 2001 aveva proseguito fedelmente il cammino nell’Istituto.

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

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Per tutti era considerata la nonna del gruppo. Non aveva avuto figli, ma per lei ognuno di noiera amato come un figlio. Era gioiosa di appartenere all’Istituto, dandone testimonianza in Par-rocchia. Era solerte alla partecipazione ai vari ritiri dell’Istituto, entusiasta e mai stanca.

Quando le forze cominciarono a venir meno e la malattia impediva di deambulare subito si èattivata mettendo a disposizione la sua casa per gli incontri di preghiera. Desiderava sempre es-sere informata sull’attività dell’Istituto, dedicava molto tempo alla preghiera per i sacerdoti del-l’Istituto (Gruppo “M. Vigolungo” di Bra).

GIOVANNI LA ROCCA* 21/09/1923 – † 25/02/2015

del Gruppo di Salerno

Giovanni era un uomo ricco di fede, di preghiera e di bontà, doti che lo hanno contraddistin-to anche quando, prigioniero nei campi di concentramento lottava per la sopravvivenza e davacoraggio ai suoi compagni di sventura.

Con la sua sposa Candida, che lo ha preceduto alla Casa del Padre, ci ha dato l’esempio di co-me si testimonia l’appartenenza a Cristo con la propria vita e di come si affronta una dolorosamalattia con umiltà, pazienza e offerta della sofferenza.

Quanti lo hanno incontrato ne sono rimasti edificati.Egli rimarrà sempre vivo nei nostri cuori e siamo certi che da lassù ci sorreggerà e pregherà

per tutti noi, per la sua famiglia e per l’Istituto (Isf Salerno).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

OPERA SANTE MESSE PERPETUESi tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gliiscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno diriconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.Norme per l’iscrizione

1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta.2. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro.3. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe• Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: € 10,00.• Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di € 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

ATTENZIONE – Chi desidera offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,all’Istituto Santa Famiglia, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000Intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”IBAN: IT34K0832703201000000034764

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MARIALa madre di Gesù

G. Ravasi – San Paolo

Nel 1958 il teologoortodosso Pavel Evdo-kimov affermò che «unmondo fondamental-mente maschile nelquale la donna non ha

alcuna funzione è sempre più unmondo senza Dio, poiché, senzamadre, Dio non può nascervi». Èappunto alla madre di Dio, in gre-co Theotókos, come la celebrerà latradizione cristiana a partire dalconcilio di Efeso (431), che è dedi-cato questo volume.

Un ritratto abbozzato tra rac-conto evangelico e riflessioni teo-logico-simboliche che nei secolicristiani hanno accompagnato lamadre di Cristo.

MARIA con i piedi per terra

Paolo Curtaz – San Paolo

«Maria è stata unadelle figure di riferi-mento nella mia ricer-ca di fede, proprio per-ché mi sono avvicinatoa lei come madre dei

discepoli. Ho imparato tanto, negli anni

della mia giovinezza, dalle sue mi-surate parole e dai suoi gesti rac-contati con immenso garbo daglievangelisti, e la fede mi ha spalan-cato a una inattesa visione delmondo».

DALLA PAROLAALLA VITA

La famiglia parlaal suo Signore

Francesca Dossi – Paoline

Il testo propone al-cune riflessioni per lafamiglia riunita, se-guendo la scansionedei ritmi dell’anno (ades.: inizio o termine

dell’anno scolastico, natale, prima-

vera ecc.) con una riflessione almese, con domande per la comuni-cazione in famiglia, una piccola at-tività settimanale e una breve pre-ghiera conclusiva. Il linguaggio èsemplice, alla portata di tutti peraccompagnarli nella profonditàdella propria esperienza, dei propripensieri, desideri, gioie e dolori.

IL VANGELODELLA VITA NUOVA

Seguire Cristo, seguire l’uomoPapa Francesco – San Paolo

“Anche la propriafamiglia o il proprioluogo di lavoro posso-no essere quell’am-biente arido dove si de-ve conservare la fede ecercare di irradiarla.

Ma è proprio a partire dall’espe-rienza di questo deserto, da questovuoto, che possiamo nuovamentescoprire la gioia di credere, la suaimportanza vitale per noi, uomini edonne”.

Attento alle condizioni di vitadi ciascuno, specie dei più poveri,Papa Francesco lancia in questovolume un messaggio di cambia-mento e di speranza: il Vangelo èvita nuova per tutti. Alla scuoladella misericordia di Dio che sacurare le ferite, tutti possiamo ini-ziare un nuovo percorso… versouna vita nuova e piena.

IL CARDINALENEWMAN

Un amico che guidaFelicity O’Brien - San Paolo

Un profilo, sinteti-co ma eloquente, di unpersonaggio che ha se-gnato la storia cultura-le e religiosa dell’In-ghilterra del XIX seco-

lo. Uomo di sincera e profondaspiritualità, amorevole dedizioneai più bisognosi, appassionato ri-cercatore della verità «che seguiròovunque mi vorrà portare». Bene-detto XVI lo ha beatificato il 19settembre 2010.

«L’esistenza di Newman ci in-segna che la passione per la verità,per l’onestà intellettuale e per laconversione genuina comporta ungrande prezzo da pagare. La veritàche ci rende liberi non può esseretrattenuta per noi stessi; esige la te-stimonianza, ha bisogno di essereudita» (Benedetto XVI).

MI LASCIAI SEDURREPerché non confessarsi?R. Reyes Castillo – Paoline

Oggi più che maiassistiamo alla cre-scente difficoltà di vi-vere il sacramento del-la riconciliazione.Questo libro nasce daldesiderio di spiegare il

valore del perdono e di quanto bi-sogno abbiamo, noi cristiani e piùin generale tutti gli uomini, di ri-scoprire i tesori che esso nasconde.

L’autore presenta in modosemplice – attraverso una storia,un racconto di vita e di amicizia –la bellezza di ciò che avviene nellariconciliazione. Sullo sfondo, la ri-cerca di una grande libertà: quellache vive nel lasciare che qualcunoti prenda per mano.

COME MUSICAil pentagramma

della relazione di coppiaE. Iafrate e A. Bertoni - San Paolo

«Mi ripeti semprele stesse cose, è comese si fosse rotto il di-sco…»…

Espressioni legateal linguaggio musicaleper parlare di rapporti

di coppia sono servite alle autricinon solo per il titolo ma soprattut-to per esprimere le sfumature dellarelazione amorosa, nella speranzadi sostenere le coppie nel creare laloro propria armonia di coppia e laloro intonata composizione di vita.

Alla fine del volume viene pre-sentata una proposta concreta,l’esperienza dei Percorsi di “Enri-chment Familiare”, con l’obiettivo

Novità Libri e film

Libri

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Novità Libri e film

di potenziare e migliorare compe-tenze e abilità specifiche delle cop-pie che si trovano in fasi partico-larmente delicate della propria vitaconiugale o genitoriale.

COMUNICAZIONEE AMORE

Quale linguaggio in famiglia?Cecilia Pirrone - Paoline

La famiglia è unodei luoghi privilegiati incui si può crescerenell’“arte” del comuni-care con libertà e matu-rità. L’Autrice analizzal’importanza oggi della

necessità della cultura del “fare fa-miglia”, adottando un linguaggio,scevro dalla competizione, ma detta-to dall’amore e dal desiderio di unacooperazione e comunione che è persempre. La famiglia è la “scuola”per eccellenza di comunicazione, at-traverso il linguaggio del corpo, delcibo, del lavoro, della festa, il lin-guaggio virtuale che è proprio degliadolescenti e giovani di oggi.

SIAMO PRONTIPER UN FIGLIO?

Amarsi e diventare genitoriNicolò Terminio - San Paolo

“Siamo davveropronti per un figlio?”Questa domanda ri-suona probabilmentein ogni giovane cop-pia. Alle difficoltà delmondo esterno si

sommano le insicurezze della cop-pia di fronte a un compito che puòsembrare arduo.

Ma la coppia genera non sol-tanto nel mettere al mondo il figlioe nell’offrirgli le cure necessarie,ma anche quando inserisce i figlitra le generazioni e permette la lo-ro realizzazione personale. La “ge-neratività” della coppia si realizza,infine, anche nella sua apertura ailegami sociali, quando fornisceguida e sostegno alla crescita dellenuove generazioni e non solo aipropri figli.

PERCHÉTI FAI CONDIZIONARE?

Adolescenti tra illusione e verità

Marco D’AgostinoPaoline e San Paolo

Loris, protagoni-sta e io narrante delvolume, torna a casaubriaco dalla festa diCapodanno, dove haconosciuto Marina,con la quale ha

scambiato alcune effusioni e si èdato appuntamento per la seradel 1° gennaio. In preda ai po-stumi della sbronza e con i rim-brotti della madre che non vor-rebbe si rivedesse con Marina,trascorre la giornata rimuginan-do sulle esperienze della seraprima e sulla serata che lo atten-de. Anche perché, accettandol’invito di Marina, deve per for-za di cose tirare un pacco a Mar-gherita, la ragazza tutta casa evolontariato con la quale ha unaliaison platonica.

Opta quindi per Marina, ma èlei a tirare il pacco a lui: all’indi-rizzo al quale gli aveva dato ap-puntamento non abita nessunaMarina, la quale probabilmentegli ha dato un nome falso. Con lepive nel sacco Loris torna a casaper trovare una lettera di Marghe-rita...

A TE CHE SOFFRIPreghiere per gli ammalati

Gianni Mattia - Paoline

Il libro presentauna raccolta di pre-ghiere scritte dal-l’Autore in qualità dicappellano ospeda-liero pensando a chiè malato o si trova in

una situazione di sofferenza. Lepreghiere sono suddivise inquattro capitoli, ognuno dedica-to a una tematica che ne costi-tuisce il sentimento ispiratore:amore, fiducia, incoraggiamen-to, speranza.

VIZI & VIRTÙSuggerimenti

per un programma di vitaA. Ortega Trillo – San Paolo

La linea di divi-sione tra il bene e ilmale non separa alcu-ni uomini dagli altri –i “buoni” dai “cattivi”–, piuttosto attraversada parte a parte il cuo-

re di ogni uomo, un cuore che è unmiscuglio di incoerenze e contrad-dizioni.

Proprio per questo l’Autore,più che sradicare le cattive tenden-ze, suggerisce come trarne vantag-gio partendo dalla convinzione chela crescita interiore si basa sull’ar-te di sfruttare le cattive inclinazio-ni per forgiare le virtù.

Audiovisivi e DVD

CoroncinaDIVINA MISERICORDIA

Faustina Kowalska

La preghiera de-vozionale della Co-roncina alla DivinaMisericordia è dive-nuta popolare anche

con il sostegno di san GiovanniPaolo II.

Il CD contiene l’intera recitadella Coroncina, i messaggi di sanGiovanni Paolo II e Papa France-sco dalla loro viva voce, le più bel-le preghiere di santa Faustina reci-tate da Franca Salerno (voce stori-ca delle Radio Vaticana) e due can-ti di Marco Frisina, Jezu Ufam To-bie e Anima Christi.

SINFONIAGREGORIANA

A. Montepaone - Paoline

Alcuni tra i piùcelebri canti grego-riani accompagnatidall’orchestra sinfo-nica. Un’originale

Libri

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operazione artistica in cui la bel-lezza dell’antico canto gregoriano,si sposa con la carica espressivadell’orchestra. Un connubio benriuscito, che non snatura le caratte-ristiche delle tradizionali melodiegregoriane, ma ne sottolinea i co-lori e le atmosfere, rendendole piùaccessibili a tutti, con misura edeleganza.

Le elaborazioni musicali, a cu-ra del M° Andrea Montepaone, so-no state realizzate con la collabo-razione dei cantori della Scholagregoriana Vocalia Consort e deimusicisti dell’Orchestra SinfonicaSupernova.

NASCERE DUE VOLTEDomande e risposte

sul Battesimo

Il Battesimo è ilprimo passo delle vi-ta cristiana, è la deci-sione di immergersiin Cristo, per viveree testimoniare, nellaChiesa e con la Chie-

sa, il suo messaggio come rispo-sta alle domande decisive del-l’esistenza.

Molti genitori chiedono ilBattesimo dei figli senza auten-

tiche convinzioni di fede, maperché “si usa”, perché “cosa di-rebbe la gente?”, perché “vuoidare un dispiacere ai nonni?”;perché “nostro figlio si trove-rebbe a disagio”.

Altri genitori, sempre più nu-merosi, sono - come si dice -“fuori dalla Chiesa”, perché sol-tanto conviventi oppure sposaticivilmente, oppure divorziati.Che fare? Questo sussidio - libroe film concepiti come un unicum- vuole essere un piccolo ma ori-ginale strumento per aiutare i ge-nitori.

Film

VITA DI PIRegia: Ang Lee – Anno: 2012

Pi Patel è cresciuto con la famiglia a contatto con lo zoo paterno in una ricerca costante dellarelazione con Dio. Quando il padre si trasferisce in Canada per vendere lo zoo, Pi ancora non puòintuire cosa lo attenderà nelle vastità oceaniche. Di fronte a una tempesta terrificante, la nave affon-da, lasciando in breve tempo Pi con un’unica compagna di viaggio: la tigre Richard Parker. Pi po-trà fare affidamento solo sulla propria intelligenza per poter sopravvivere e convivere con la tigre.Ma Pi continua il suo rapporto con Dio: «O Dio, ti ringrazio per avermi dato la vita», esclama quan-do crede che la sua fine è vicina.

I sussidi per i nostri Esercizi spirituali 2015

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Novità Libri e film

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Circonvallazione Appia 162 • 00179 ROMATel. 06.7842455 • 06.7842609 • Fax 06.786941

Due Istituti Paolinidi vita secolare

consacrataaggregati alla Società

San Paoloe parte integrante

della Famiglia Paolina,nati dal cuore

apostolico del beatoGiacomo Alberione,

che si propongono come ideale la santità

e la consacrazione della vita sacerdotale

e familiaree come missione

specifical’annuncio

di Cristo MaestroVia, Verità e Vita

con i mezzi di oggiper gli uomini

di oggi.

ISTITUTO

“GESÙSACERDOTE”

ISTITUTO

“SANTAFAMIGLIA”