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Presentazione

La vita di Antonio Socci e della sua famiglia viene travolta nel2009 dal dramma della primogenita Caterina, entrata in coma dopoun inspiegabile arresto cardiaco. Tutto sembra perduto, finchéCaterina si risveglia dal coma. Ma la gioia per questo miracoloviene messa alla prova dall’enormità dei problemi che la ragazzadeve affrontare.

Tuttavia, la forza e la fede con cui Caterina percorre uncammino così duro sono travolgenti per il padre, che scopre anchela bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto dipersone che con il loro coraggio testimoniano un amore e unafiducia più forti del dolore e della morte.

Ne scaturisce una lunga lettera in cui l’autore scrive alla figlianon solo per accompagnarne la rinascita, ma anche per raccontare atutti il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere,perché, come ci ricorda Socci, “non si deve aver paura del camminodella vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché è questobrevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità per sempre”.

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L'autore

ANTONIO SOCCI, senese, giornalista Rai, è direttore dellaScuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia e collabora con“Libero”. Tra i suoi libri disponibili in BUR ricordiamo Il quartosegreto di Fatima (2006), Il segreto di Padre Pio (2007), Indaginesu Gesù (2008), I segreti di Karol Wojtyla (2009), Caterina (2010),La guerra contro Gesù (2011).

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Antonio Socci

Lettera a mia figliaSull’amore e la vita nel tempo del dolore

BUR

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Proprietà letteraria riservata© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano

ISBN 978-88-58-66658-6Prima edizione digitale 2014 da

Prima edizione bestBUR gennaio 2014 Per comunicazioni o ulteriori notizie sull’autore è possibile

consultare il sito www.antoniosocci.com e la pagina Facebook«Antonio Socci pagina ufficiale».

In copertina: foto © Roberto Testi

Art Director: Francesca Leoneschi / theWorldofDOTGraphic Designer: Lorenzo Gianni

Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

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«Salvate le sue labbrasalvate il suo sorrisonon ha vent’anni ancora».

Fabrizio De André (Geordie)

«L’amore sa aspettare, aspettare a lungo,aspettare fino all’estremo. Non diventamai impaziente, non mette fretta anessuno e non impone nulla.Conta sui tempi lunghi».

Dietrich Bonhoeffer1

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Due lettere come prefazione...

«L’inferno dei viventi [...] è quello che è già qui, l’infernoche abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile amolti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al puntodi non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esigeattenzione e approfondimento continui: cercare e saperriconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non èinferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Italo Calvino Natale 2010Caro signor Socci, il «Caso» mi ha portata quest’estate a

leggere il suo libro su Caterina2.È successo come quando si crea una crepa in una diga: da

allora una forza inarrestabile, un fiume in piena mi ha inondatadella vera Vita, della Speranza, della vera Gioia, del vero sensodelle cose.

Ho pianto e riso con voi, ho ascoltato Caterina cantare Ojos decielo e ho capito lo spreco della mia vita passata: quanti annipersi dietro affanni terreni! Quanti giorni sprecati senza nemmenouna preghiera! È un miracolo di Caterina! Uno dei tanti che stacompiendo...

Tutto ha davvero un senso anche se noi non lo afferriamo efatichiamo a volte ad accettarlo... Forse anche ciò che è capitato aCaterina ha un senso ed è parte del disegno di Dio. Grazie ancoracara Caterina per essere il tramite che Dio ha usato per

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«acchiappare» me (e chissà quanti altri...) e grazie a lei signorSocci perché ha voluto condividere la sua tremenda provadonandoci una bellissima testimonianza di Amore e diAccettazione.

Ora sono alle prese con Mistero Medjugorje e le scoperte perla mia neonata vita di fede sono infinite. Ho solo il rimpianto dicosa mi sono persa in tutti questi anni!!!

La prego, mi saluti caramente Caterina, le porti i miei piùsentiti auguri e le faccia sapere di cosa è capace nonostantequello che le è capitato!

Auguro a lei, sua moglie e tutti i suoi cari un santo e feliceNatale assieme!

Manuela Bastelli Gentile signor Socci,nel settembre 2009 sono stata ovviamente colpita da quanto

era successo a sua figlia Caterina: una ragazza sana, della miaetà, fidanzata con un ragazzo conosciuto (seppur di vista) avevaavuto un inspiegabile arresto cardiaco ed era entrata in coma.

La notizia era scioccante, di quelle che fanno fermare apensare, ma, nonostante ciò che accomunava me e Caterina, ciòche ci rendeva «vicine», rimaneva pur sempre un avvenimento chela presunzione della mia giovane età mi faceva vedere «lontano».Una possibilità remota, una, una sola su ennesime possibilità.

Così il trascorrere della mia vita, delle mie cose, ha fatto sì cheil mio pensiero si distogliesse da quell’evento. Quando di tanto intanto ci tornavo su [...] provavo compassione per lei, ma ero sicuradella mia impotenza.

Mi dicevo: «A volte la vita è misteriosa. E come siamo piccoli.Io non posso farci niente».

Quest’autunno ho visto il suo libro in libreria, con quel bel

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sorriso in copertina, e parlando con il mio ragazzo gli ho dettodella mia curiosità a riguardo. Devo averglielo ripetuto spessoperché, per il mio compleanno, me l’ha regalato. Sono sempreaffascinata dalle testimonianze, da libri che parlano di vite vere.Dalla loro lettura mi sento arricchita.

Visto il sottotitolo Diario di un padre nella tempesta credevoche avrei letto di cosa avete passato lei e la sua famiglia, di comecambia la quotidianità, di come si reagisce.

Invece le parole spese in tal senso erano poche, quelleessenziali, perché spiegare una simile angoscia è impossibile. Solochi l’ha provata può capirla e chi non l’ha fatto può soloimmaginare un dolore infinitamente grande, credo peggiore deldolore per una perdita definitiva, per la morte.

Con mio stupore, fin dalle prime pagine ho respirato nondisperazione, ma la sua fede incrollabile, di cui è impregnato tuttoil libro.

Conoscendo il suo pensiero avrei potuto immaginarlo, invece ilmio cuore è stato travolto da quell’ardore, tanto acceso in cosìtante persone.

In questi giorni sento cambiate alcune cose. Ho riscoperto ilvero significato della preghiera (ed è eccezionale!), ho riscopertoil mio ruolo («C’è un uomo più potente di Dio. È l’uomo cheprega»!!!)3 e ho fortemente sentito l’amore di Dio per me [...].

Quando ho letto della vita di Caterina, me ne vergogno, ma hoprovato invidia nonostante ciò che le era successo. Non solo pertutto l’amore che la circonda, ma per la pienezza del suo essere,per la sua devozione, perché una fede grande costituiva gli arginisicuri del suo percorso.

Non ho mai sentito di bambini che si siano chiesti chi avessecreato la meraviglia del tramonto. Dio deve averle donato unasensibilità speciale.

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[...] Troppo spesso noi giovani viviamo vite vuote, povere, senzadare un significato al nostro esistere qui e ora, senza mettere afrutto i talenti che ci sono stati donati. Siamo un corso d’acquafresca, vigorosa, preziosissima che, senza gli argini che laconvoglino nella direzione giusta, va a confondersi con la terra...e diventa melma.

Oggi sento un forte desiderio di «ri–incanalarmi» nel corsod’acqua giusto.

È anche grazie alle sue parole, in fondo grazie a ciò che holetto su Caterina, uno strumento nelle mani di Dio che, immobile inun lettino, ha mosso molti animi.

Adesso siete tutti nei miei pensieri e nel mio cuore [...] e vorreipermettermi di mandare un abbraccio a Caterina. Per ringraziarvinon posso che unirmi nell’accorata preghiera per la sua completaguarigione [...].

Saluto con affetto lei, sua moglie Alessandra e i suoi figli.Flavia

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Dopo il risveglio

«Le lacrime che dai nostri occhiVedrete sgorgareNon crediatele maiSegni di disperazionePromessa sono solamentePromessa di lotta».

Alexandros Panagulis4

Il mio 11 settembre è accaduto il 12.Caterina era la luce della mia vita. Sulle mie giornate splendeva

sempre il sole dei suoi occhi e un destino col cielo azzurro.Caterina, Maria e Michelangelo nel loro fiorire ogni giorno mi

riempivano di stupore, lo stupore grato e inquieto di tutti i padri edi tutte le madri. Come quello che il poeta provò davanti allabellezza di Venezia:

O Dio, quale grande bontàabbiamo compiuta in passatoe scordata,da donare a noi questa meraviglia,o Dio delle acque?O Dio della notte,quale grande dolore ci attende,da compensarci cosìinnanzi tempo?5

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Infatti è arrivato lo schianto inimmaginabile. Di colpo il buio.

Proprio quando il sole splendeva di più e l’orizzonte era piùazzurro. Quando la vita preannunciava gioia.

Come nelle tragedie greche. Del resto tutti gli esseri umani sonoavvertiti sull’inevitabile infelicità della vita:

Nulla appartiene all’uomo Né la sua forzaNé la sua debolezza né il suo cuore E quando credeDi aprire le braccia la sua ombra è quella di una croceE quando crede di stringere la felicità la stritolaLa sua vita è uno strano e doloroso divorzioNon esistono amori felici6.

Nel libro Caterina. Diario di un padre nella tempesta ho

raccontato il crollo delle mie torri, l’esplosione inattesa chetravolge tutto, il dolore che ti scortica le più intime fibredell’anima, la fine del mondo (il mio), lo smarrimento...

E il grido di preghiera di tanti amici – e anche di sconosciuti –direttamente al cuore di Dio.

Caterina era morta. Ed è tornata in vita. Dopo quasi un’ora emezza. Si può dire che è risorta? Non lo so7. Però so quante lacrimeabbiamo pianto e quante e quali implorazioni hanno bussato alleporte del Cielo in quei minuti.

Di fatto è stato come se tutte quelle suppliche avessero ottenutouna sorta di resurrezione: il suo cuore ha ripreso a battere8.

Ma così è cominciata la sconosciuta e terrificante notte delcoma. Una notte, in un certo senso, ancora più buia della morte cheper noi cristiani è l’ingresso nella vita.

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Ci hanno fatto capire che le tenebre del coma con moltaprobabilità non sarebbero mai finite. Ci hanno trafitto con questalama. E io mi sono sentito morire.

Ma come dice la Sacra Scrittura – epistola di san Paolo – Gesù«in tutte le cose può fare molto di più di quanto possiamodomandare o pensare»9. E noi fin dall’inizio di questa vicenda nondesistiamo, ma instancabilmente mendichiamo...

Ci hanno detto – peraltro non richiesti – che la diagnosi erainfausta. Che non avremmo più sentito ridere la nostra Caterina,che non avremmo più ascoltato la sua voce e il suo canto, che maipiù avrei incrociato i suoi occhioni neri e il suo sorriso.

Accennando verso Alessandra dissi a una dottoressa: «A leibasterebbe sentirsi chiamare di nuovo: mamma...»

Gelida la «specialista» sentenziò: «Non credo proprio cheaccadrà!».

Un altro impietoso colpo ai nostri cuori. E quanti altri...Ma per un Suo imperscrutabile disegno scopriremo in seguito

che il Signore della vita, Rex tremendae maiestatis, aveva decisodiversamente o si era fatto vincere dalle nostre preghiere...

Solo che in quel momento non lo sapevamo. Vedevamo chestava chiedendo a Caterina, e a tutti noi, di portare quella croce, diportarla davanti a questo mondo che ha terrore del dolore esoprattutto del coma.

E di farlo amando. Se l’ha chiesto a Caterina significa che lei èspeciale, che l’ha prescelta, amata e armata per questa avventura findal seno di sua madre e poi nella sua giovane vita. E l’ha resa forteper questo come una Giovanna d’Arco moderna.

Significava che, nel suo cuore, nelle sue preghiere, nella suagiovinezza, con la testa sul petto della Madonna, Caterina gliaveva già detto «sì»?

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«La mia natura è fuoco» come diceva un’altra Caterina, la santa– sua patrona –, che lei tanto ama e ammira.

Quante ore, quanti giorni e notti davanti a questa bellaaddormentata, crocifissa su un letto. Che sofferenza quando – perquelli che ai nostri occhi sembravano momenti interminabili –appariva tormentata, sofferente o addirittura terrorizzata; quandourlava – nel buio del coma – o stringeva i denti, si agitava, soffriva.

Dove e come abbiamo trovato tutta quella forza? Non sospiegarmelo. Di certo, non era e non è una forza nostra.

Ho trovato l’unica risposta possibile in questa pagina di sanGiuseppe Moscati:

Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio nonabbandona nessuno. Quanto più vi sentite solo, trascurato,vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso asoccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete lasensazione di un’infinita forza arcana che vi sorregge, che virende capaci di propositi buoni e virili, della cui possanzavi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza èDio10.

Certo, le angosce erano lancinanti. Decisamente peggiori della

morte che volentieri, sia io che Alessandra, imploravamo per noi, incambio della grazia.

Sarebbe sempre rimasta così, imprigionata nel suo corpo? E lasua anima, la sua mente?

E la sua vita? Su tutto sembrava fosse calata un’implacabilemannaia.

La sua tesi, ormai quasi pronta, per la laurea in architettura

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sarebbe rimasta per sempre nel computer? Non avrebbe più cantatocome tanto amava fare?

L’abbiamo cullata con gli occhi e infinite carezze, nel suo lettodi dolore e risentivamo, col groppo in gola, la sua voce cheriecheggiava il compianto di Maria su Gesù deposto dalla croce:

Capo bello e delicatoCome ti veggio stare enchinato...11

Per lunghe ore, giorni, settimane e mesi abbiamo alzato il nostro

grido, giorno e notte, a Colui che tutto può. A Colei che ci ama conuna tenerezza di cui solo le mamme possono dare una remota idea.

E Caterina si è svegliata. Con un sorriso. Anzi con una bellarisata cristallina e contagiosa, proprio la sua. Con la sua allegriameravigliosa.

È stato un momento indescrivibile, quel 7 gennaio 2010. Suamadre che piangeva e rideva, felice di aver ritrovato sua figlia etutti, infermieri, parenti degli altri malati, con le lacrime agli occhiper la commozione, ma col sorriso sulle labbra...

Il primo libro di Caterina arriva qui. A questo secondo miracolo,dopo quello della ripresa del battito. Era, appunto, il gennaiodell’anno di grazia 2010.

Ma dopo? In tanti hanno continuato a scrivermi per chiederminotizie. Per sapere come stava. E se e come si riprendeva.

Dopo il risveglio e la felicità di quella risata, la situazione diCaterina è apparsa terrificante. Questo è il termine che è stato usatoun giorno con noi da uno dei medici.

Caro lettore, forse ti sembra che questo mio racconto passi da unincubo all’altro, che appena ne finisce miracolosamente uno, necominci subito un altro.

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È proprio così. Come se fossimo in una foresta oscura dove,superato un mostro, se ne presenta uno nuovo.

Eppure, anche se può sembrare incomprensibile, siamo passatidi luce in luce, di miracolo in miracolo, di gioia in gioia, di dolorein dolore e di abbraccio in abbraccio. Ma dentro un maresconfinato di sofferenza, di angoscia. Non so come spiegarlo. Forseè la vera felicità che obbedisce a questa legge.

La situazione subito dopo il risveglio appariva dunqueterrificante. Caterina risultava paralizzata. Non riusciva nemmeno atener su la testa o a chiudere le labbra, quando veniva messa sullasedia a rotelle. Inoltre era afflitta da spaventose contrazionimuscolari che le deformavano braccia, mani, piedi e gambe,irrigidendo anche il collo e le spalle e il suo bel viso, in spasmidolorosi.

Non parlava e ovviamente non poteva né mangiare né bere. Mal’incubo più straziante è stato quando ci hanno detto che secondoloro la coscienza sarebbe stata annichilita e così pure la capacitàcognitiva. E altro ancora...

A questo punto l’angoscia che popolava di incubi le nostrenotti e i nostri giorni divenne smisurata.

Non era bastato un grande miracolo: il cuore che avevaricominciato a battere e che poi – addirittura – aveva ripreso afunzionare bene, scongiurando il trapianto che era statoprospettato.

Non erano bastati neanche il piccolo miracolo dell’essereriuscita a superare la devastante circolazione extracorporea di cuiaveva avuto bisogno subito, all’ospedale di Careggi, e poil’operazione d’emergenza per l’infezione e l’emorragia«avventurosamente» scoperte e bloccate quel 13 ottobre, quandoCaterina ha rischiato di nuovo la vita o, in subordine,

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l’amputazione di una gamba.Non era bastato neanche l’immenso miracolo del risveglio di

gennaio.Nonostante tutta questa cascata di grazia inimmaginabile ci

trovavamo dentro un incubo brutto come il primo e tutto quelloche di grande e bello era accaduto rischiava di essere quasi inutile.

Perché poteva essersi svegliata con una coscienza annebbiata.In pratica, poteva non essere più lei, la nostra Caterina.

Eppure...Eppure fin dall’inizio c’erano segni che ci facevano sperare:

leggevamo e rileggevamo quelle pagine del Giovane Holden,quelle battute che avevano fatto scoppiare la risata di Caterina, e cidicevamo che quando si colgono quelle sfumature ironiche si deveben essere intelligenti.

In effetti, le settimane e i mesi che sono seguiti hannoconfermato clamorosamente questa intuizione, con grande sorpresadegli «esperti». Caterina capiva tutto e recuperavaprogressivamente i ricordi.

Ma soprattutto siamo stati sommersi dai segni e dai volti bellidei santi (della Terra e del Cielo) che ci sussurravano e talvolta cigridavano: affidatevi al nostro Re meraviglioso, perché Lui èbuono e potente.

E siate cavalieri certi e luminosi della Regina del cielo. Nonnutrite dubbi e sospetti. I figli non possono dubitare della Madre.Se vi è stata affidata questa grande missione è perché Lei con voivuole conquistare tanti cuori smarriti, per portare luce a moltecreature perdute nel buio, per dare acqua agli assetati.

Scriveva Emmanuel Mounier alla moglie, al tempo dellaterribile malattia della loro piccola Françoise e nella grandetragedia della Seconda guerra mondiale:

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Tu senti le piccole povere voci supplicanti di tutti i bambinimartiri del mondo [...]. Se a noi non resta che soffrire (subire,patire, sopportare), forse non ce la faremo a dare quello checi è stato chiesto. Non dobbiamo pensare al dolore come aqualcosa che ci viene strappato, ma come a qualcosa che noidoniamo, per non demeritare del piccolo Cristo che si trovain mezzo a noi, per non lasciarlo solo ad agire col Cristo.Non voglio che si perdano questi giorni, dobbiamoaccettarli per quello che sono: giorni pieni d’una graziasconosciuta12.

Così è cominciato il nostro lungo cammino con Caterina.

Questo pellegrinaggio nella notte verso Casa.

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Dov’è la vittoria?

«O patria mia, vedo le mura e gli archiE le colonne e i simulacri e l’ermeTorri degli avi nostri.Ma la gloria non vedo».

Giacomo Leopardi Negli ultimi anni, prima del dramma di Caterina, abbiamo

vissuto come in un brutto sogno, in un Paese antico, di unabellezza che faceva gridare, ma ormai in rovina, dove immensecattedrali scoperchiate e dirute erano state invase da erbacce e altreerano diventate centri commerciali o garage a più piani e in certicasi templi di culti solari.

Come scrive Georges Bernanos: «I popoli rompono con Diosenza angoscia, quasi a loro insaputa. Impossibile avvertirli che altermine di tale esperienza c’è l’odio universale»13.

Ci accorgemmo presto in effetti che tutto era nel caos perché perun qualche sconosciuto motivo – come nell’antica Babele – illinguaggio era stato confuso, ognuno attribuiva alle parole ilsignificato che voleva e tutto sembrava impazzito.

Di conseguenza si chiamava bene il male e male il bene, luce ilbuio e buio la luce. Liti furibonde scoppiavano agli incroci enessuno sapeva più dove andava, perché e chi era. Neanche la vitaumana fu più sacra. Accadde l’incredibile.

Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai

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miei giorni! – esclamò Frodo.Anch’io – annuì Gandalf – come d’altronde tutti coloro chevivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere.Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempoche ci è dato14.

La situazione diventò presto angosciante. Si facevano strani

discorsi sulla verità e anche sul dolore, sulla natura, la vita e lamorte. Sembrava il mondo alla rovescia e si scendeva sempre piùgiù.

Così uscimmo da quella città e per sentieri di campagnacercammo di seguire altri orizzonti e di tornare verso casa.

La Casa di tutti, quella della Madre.Quante volte, nei suoi anni di università, Caterina ha fatto – con

tanti amici – il pellegrinaggio nella notte da Macerata versoLoreto, verso la dimora dell’umile ragazza di Nazaret, verso colei dicui cantava la bellezza e gli occhi di cielo...

Questa in cui ci siamo trovati dopo il 12 settembre 2009 però èuna notte più oscura e il cammino è drammatico. La strada è lunga,tortuosa, piena di incognite e di pericoli. Sono in agguato minaccedi ogni genere, sentieri contorti possono farti smarrire, ci sonodeserti da attraversare nella calura estiva e montagne sotto latormenta da scalare d’inverno, fiumi da guadare, serpenti velenosi,insidie impreviste e nemici nascosti da cui guardarsi.

Ogni istante si può precipitare nel burrone ed essere spacciati.Ma sul cammino si trovano anche bellissime abbazie dove è

offerto rifugio e riposo. Angeli che dall’alto delle rocce veglianosui tuoi passi di mendicante–pellegrino, proteggendoti dai mostri.E ci sono santi eremiti che ti accolgono o ti vengono a cercare nellaforesta, quando ti sei perduto, e mirabili cattedrali in cui pregare e

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nutrirsi di bellezza, e villaggi di fratelli in cui trovare una mensa,un focolare e un abbraccio. Ripartendo con la bisaccia piena...

Quando la neve cade alla finestra,a lungo suona la campana serale,a molti la mensa è preparatae la casa bene fornita.Più d’uno nel peregrinarearriva alla porta per oscuri sentieri.Aureo fiorisce della grazia l’alberodal fresco succo della terra.Il viandante entra silenzioso;dolore impietra la soglia.Ma ecco risplende in puro chiaroresulla tavola pane e vino15.

Siamo stati (e tuttora siamo) come una piccola carovana di quei

pellegrini medievali che partivano per la Terra Santa o per Santiagodi Compostela. Senza sapere se mai sarebbero tornati vivi, ma certidi arrivare – in ogni modo – alla reggia del gran Re.

Conoscevamo il luogo dove andare ad attingere le forze. Era unpellegrinaggio alla ricerca del miracolo, ancora una volta, ebisognava attrezzarci. Mettendoci nelle mani della Madre deiviandanti.

Ma dunque cosa si può e cosa si deve portare con noi per uncammino così lungo, così duro e pericoloso?

Quali armi per resistere all’attacco dei lupi delloscoraggiamento, dei briganti della disperazione?

E quali mezzi per scampare a un nuovo e definitivo naufragio

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durante la traversata di questo mare di dolore?

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Il mio mare

«[...] Cécile si avvicinò alla finestra e si sporse un po’.Stette lì alcuni minuti che a Florent sembrarono ore. Allafine si girò verso di lui e gli disse: “Vedo il mare”. Il mare.In effetti, a ben guardare, lo si intravedeva in lontananza.Guardando a destra, oltre la piccola chiesa dellaMisericordia. Lui non se ne era mai accorto. O, piùprobabilmente, quel mare prima non c’era. Nella vitasuccede sempre così. Guardi, scruti, osservi ma non vedi.Per vedere servono persone speciali, come Cécile. E serveche quelle persone siano con te».

Simone Bellucco16

Un padre nella tempesta, ecco come mi sentivo. E con me una

madre, una sorella, un fratello, Stefano (il suo ragazzo), zii e cugini,e gli amici. Travolti dai flutti ci siamo trovati come naufraghi chele onde avevano scaraventato di notte su una spiaggia sconosciuta.Malridotti come Robinson Crusoe. Con la necessità di ricomporre iframmenti di una vita, circondati dai relitti. E con la speranza diriprendere la navigazione per tornare a casa.

Mi piace la metafora del mare perché non contiene solo lapossibilità della tempesta e della morte, ma anche quella della vita.

Il mare divide una terra dall’altra, ma anche le unisce. Tutti incasa, a cominciare da Caterina, amiamo il mare, anche quellod’autunno e d’inverno. È bello quanto il sole, il vento, l’acqua e ilsale dell’estate. Io non so nuotare ed essendo l’unico in famiglia a

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non saperlo fare, sono la barzelletta dei miei (periodicamentericordano – e ne ridono – il mio rischiato affogamento, quando fuipraticamente salvato da Caterina).

Non potendo tuffarmi nel mare aperto mi ci immergo con ilpensiero e lo sguardo. Non so perché avere l’orizzonte spalancatodavanti pacifica l’anima. Così scriveva Vincent Van Gogh alfratello Theo:

Se tutto ciò che facciamo si affaccia sull’infinito, si lavorapiù serenamente17.

Mi piace la macchia mediterranea. È bellissimo camminare sulla

spiaggia deserta, specie d’autunno, su dune dove il vento carezzaginepri, corbezzoli, piante di erica. Lo faceva anche Caterina cheamava stare in silenzio anche se era in compagnia.

Voglio imparare a riconoscere il mirto e il caprifoglio (ilrosmarino è comune e conosco già le tamerici che si riempiono almattino di gocce di rugiada).

Le spiagge toscane sono lo splendido palcoscenico di rossitramonti autunnali, specie sulla costa maremmana, fra i colori caldiche si vedono nelle tele dei Macchiaioli.

Quante volte abbiamo passato ore sulla spiaggia d’inverno coni ragazzi e gli amici. In quei giorni di gennaio, freddissimi e pienidi sole e di cielo azzurro. Quanti ricordi tra la pineta di Castigliondella Pescaia, quella di San Vincenzo e l’oasi di Bolgheri...

Tu, Madre di Dio, che vegli su di noi, ricordi le mie figlie dapiccole. Erano buonissime. Un giorno in Paradiso, dopo che lestelle saranno cadute e gli angeli del Cielo avranno smantellato lascena di questo mondo, rivedremo e rivivremo con Te anche quegliattimi. Perché nessun istante bello sarà perduto.

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Ma sono certo che questa vita ci regalerà ancora momentisimili, da custodire e poi ritrovare nei forzieri del Regno di nostroPadre.

È meraviglioso affondare nella sabbia e lasciare orme fra tronchitorniti dalle onde del mare che riposano sulla spiaggia come relittidi velieri antichi, di storie e avventure dimenticate.

Talvolta passano gruppi di persone a cavallo. E all’oasi diBolgheri si possono sorprendere, d’inverno, splendidi uccellilacustri di passaggio.

Questi tre anni, vissuti in diversi ospedali, sono trascorsilontano dal mare. Ci è mancato quel respiro dell’infinito orizzonte:

Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, faanche ridere, alle volte [...]. Continuerà a chiamarti [...]. Cisarà sempre un mare, che ti chiamerà18.

È Alessandra che ha contagiato tutti noi con la sua passione per

il mare.Ho sempre pensato che esistano delle vie segrete di

comunicazione fra una madre e i figli. Mi è evidente, per esempio,quando vedo lo sciogliersi beato di Caterina abbracciata dallamamma.

In fondo è nel piccolo mare del grembo materno che si vieneconcepiti e lì impariamo a sentire il mondo. Poi dovremo scoprirenoi stessi e questa è un’avventura ancora più straordinaria.

La nostra anima è un territorio sconfinato. Contiene oceanilimpidissimi, fiumi incontaminati, foreste e notti stellate, cimeinnevate, panorami mozzafiato e regni in cui nessuno si è maiavventurato...

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E noi dimentichiamo pure di averla, un’anima. Eppure è lei checi fa restare noi stessi e continua a dire «io» quando tutte le celluledel nostro corpo sono cambiate (cosa che avviene in pochi anni).

Ed è sempre lei che si stupisce e s’innamora, che si rispecchianell’intero creato. Soprattutto il mare somiglia allo spaziosconfinato dell’anima, con tanti tesori nascosti sotto la superficieazzurra, con i moti delle onde, le loro tempeste e le bonacce e fapensare a Dio.

Mi riconosco completamente nelle parole di Pavel Florenskij:

Ricordo le mie impressioni di bambino e non mi sbaglio:sulla riva del mare mi sentivo faccia a faccia con l’Eternitàamata, solitaria, misteriosa e infinita dalla quale tutto scorree alla quale tutto ritorna19.

Il mare – in particolare quello toscano, affacciato a occidente –

esaudisce il mio bisogno di bere la luce del sole fino all’ultima suagoccia e di contemplare l’orizzonte, come se una personaamatissima fosse partita o dovesse arrivare.

Com’è doloroso accorgersi che la vita ti porta via tutto, cheogni volto amato può sparire in un istante. E tuttavia com’è ancheevidente che noi attendiamo, che il nostro cuore indomito noncessa mai di sperare la felicità.

Un giorno don Giussani disse che il sentimento naturale dellavita è la triste malinconia dell’uomo che sulla riva del mare vedesparire verso l’orizzonte la barca con le persone amate. Perché lavita è un continuo addio.

Ma aggiunse che – con l’irrompere di Cristo – il sentimentodella vita era diventato un altro, si era ribaltato: un uomo sulla rivadel mare che da lontanissimo vede avvicinarsi sempre più

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l’imbarcazione con la persona amata.Qualcuno deve averci fatto una tale promessa, lasciandocela

scritta nel cuore dove dimentichiamo di leggerla, sebbene nonsmettiamo mai di aspettare. Anche quando non si sa che voltoabbia la salvezza.

Il mare è l’attesa, come la nostra vita di questi tre anni. Come lavita stessa... Gustave Flaubert ci ha lasciato una pagina memorabilein Madame Bovary:

In fondo all’anima tuttavia ella attendeva un avvenimento.Come i marinai che si sentono perduti essa volgeva di qua edi là degli sguardi disperati, cercando in lontananza qualchevela bianca, tra le nebbie dell’orizzonte. Non sapeva checosa aspettasse, quale caso; né da qual vento questo sarebbeportato, né a qual riva condurrebbe lei; se fosse scialuppa obastimento grande, se carico d’angosce o pieno di felicitàfino alle murate20.

Il mare nasconde continenti inesplorati sotto l’azzurro, a volte

un abisso spaventoso ma pure per questo ci attrae. Quegli abissisono anche un’immensa ricchezza disposta dalla Provvidenza per ilsostentamento di tante creature.

Parlano di vita e di povere famiglie i porticcioli, le barche deipescatori, la salsedine, le reti:

Non avranno mai fine i pescatori, le vele,Mosse da un fiato di vento, con la nebbia in agguato?Non possiamo pensare a un tempo che sia senza oceano,A un oceano che non sia cosparso di rottami,

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A un futuro che non sia capaceD’essere, come il passato, senza destinazione21.

Quello che non sapevo è quale «legno», quale barca sia capace

di attraversare l’oceano della vita. Lo sto cominciando a capire...

Ha stabilito un legno col quale potessimo attraversare ilmare. Nessuno infatti può attraversare il mare di questa vitase non è trasportato dalla croce di Cristo22.

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Il mare di Gesù

«Oh, Maestro che insegni a vivere da eroi...»Una donna a Gesù23

«Sono venuto per rendere agli uomini la loro regalità difigli di Dio, insegnando loro a vivere da dèi».

Gesù parlando a Giuda24

Gli amici di Gesù erano gente di mare. Il Vangelo infatti è

l’avventura di una compagnia che inizia a sbocciare su una piccolaspiaggia:

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Sicominciò a raccogliere attorno a Lui tanta folla che dovettesalire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la follarimaneva sulla spiaggia.Egli parlò loro di molte cose in parabole25.

O voi felici, voi fortunati, giovani pescatori di Betsaida e di

Cafarnao. Avete braccia forti e pronte alla fatica, vi sieteguadagnati il pane fino a quel giorno, col vostro sudore, con unonesto lavoro, come un’allegra brigata, da brava gente e la pescaandava fra alti e bassi. A volte bene e a volte male, fra esattori delletasse e bocche da sfamare. Eravate giovani in gamba...

Ma tu Simone o tu Giovanni, e voi Giacomo e Andrea, quandomai avete meritato una tale incommensurabile, inesprimibile,

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impossibile fortuna?Eppure era ciò che sognarono antichi patriarchi, profeti e grandi

filosofi. Quello che tutti noi, i viventi (o forse sarebbe meglio dire:i morenti) desideriamo, dalla notte dei tempi.

Gesù un giorno lo disse:

Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico chemolti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voivedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma nonl’udirono26.

E per questo:

Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode,Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascostoqueste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.Sì, Padre, perché così a te è piaciuto»27.

Lui infatti era la Verità fatta uomo, la Bellezza fatta carne, il

senso di tutto il creato, la consistenza di ogni atomo...E mentre stavate sulla riva a rassettare le reti lo vedevate

arrivare, lo potevate guardare mentre camminava verso di voi e viparlava, vi chiamava per nome, vi guardava negli occhi.

Con voi ha condiviso il pane e la fatica, il cammino e il riposo.Voi avete potuto guardarlo parlare per giorni e giorni, siete staticon Lui durante le lunghe peregrinazioni, avete dormito dovecapitava, in aperta campagna o nei portici dei villaggi, voi sietestati scelti da Lui come amici, voi che non eravate sapienti, népotenti, né santi, né colti.

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Voi gli avete visto fare centinaia di miracoli inauditi,dappertutto: voi normali, voi giovani come tanti, voi personecomuni, voi pescatori di Betsaida e di Cafarnao: gli amici di Gesù.

Può esserci al mondo fortuna più grande di questa?Voi gli avete visto comandare perfino alla tempesta e al mare,

voi che tante volte lo avete portato da una riva all’altra del mare diTiberiade...

Voi che un giorno, dopo la resurrezione, lo avete trovato adaspettarvi sulla riva del mare di Genezaret e lo avete visto accantoal fuoco perché vi aveva preparato del pesce sulla brace, come unfratello che ha cura di voi, lui che era Dio.

Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi28.

Così dice Péguy, il grande. E noi con lui.Di quel mare di Galilea un giorno un amico mi portò un ricordo

bellissimo: dei sassi levigati raccolti sulla riva.Avrei voluto ritrovarli e tenerli vicini a Caterina, ma non so che

fine abbiano fatto. Immagino quei sassi carezzati dai piedibenedetti del Salvatore che è venuto a cercare noi pecorelle perdutee disperate.

Proprio su quel mare è accaduto un fatto che somiglia tanto allanostra condizione. Lo ha raccontato Matteo che era presente, quellanotte, sul peschereccio di Pietro. Ecco come andarono le cose:

Congedata la folla, [Gesù] salì sul monte, solo, a pregare.Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed eraagitata dalle onde, a causa del vento contrario.Verso la fine della notte egli venne verso di loro

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camminando sul mare.I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati edissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura.Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiatepaura».Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io vengada te sulle acque».Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, simise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando adaffondare, gridò: «Signore, salvami!».E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo dipoca fede, perché hai dubitato?».Appena saliti sulla barca, il vento cessò.Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti,esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!»29.

Papa Benedetto XVI, nell’Angelus del 7 agosto 2011, ha

ricordato i Padri della Chiesa commentando questa pagina:

Il mare simboleggia la vita presente, e l’instabilità delmondo visibile; la tempesta indica ogni sorta ditribolazione, di difficoltà, che opprime l’uomo. La barca,invece, rappresenta la Chiesa costruita da Cristo e guidatadagli Apostoli. Gesù vuole educare i discepoli a sopportarecon coraggio le avversità della vita, confidando in Dio [...].Sant’Agostino, immaginando di rivolgersi all’apostolo,commenta: «Il Signore si è abbassato e t’ha preso per mano.Con le tue sole forze non puoi alzarti. Stringi la mano di

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Colui che scende fino a te». E dice questo non solo a Pietro,ma lo dice anche a noi.Pietro cammina sulle acque non per la propria forza, ma perla grazia divina, in cui crede, e quando viene sopraffatto daldubbio, quando non fissa più lo sguardo su Gesù, ma hapaura del vento, quando non si fida pienamente della paroladel Maestro, vuol dire che si sta interiormente allontanandoda Lui ed è allora che rischia di affondare nel mare dellavita, e così anche per noi: se guardiamo solo a noi stessi,diventiamo dipendenti dai venti e non possiamo più passaresulle tempeste, sulle acque della vita30.

Noi siamo nella condizione di Pietro, che pur avendo davanti

agli occhi la grandezza e la potenza di Gesù e riuscendo pure lui –per grazia del Signore – a fare una cosa tanto prodigiosa, comecamminare sulla acque, quando il vento contrario si fa più forte espaventoso, dubita e comincia a sprofondare.

«Uomo di poca fede» lo rimprovera Gesù, mentre gli tende lamano e lo salva. Anche a noi è chiesto solo di avere fede in Lui.Fidarsi anche se e quando il vento della tempesta si fa piùspaventoso, perché Lui è più potente.

Ma dove e come ottenere il dono di questa fede che fa miracoli?Dice sant’Agostino:

Cerchi la via? Ascolta il Signore; è la prima cosa che egli tidice. Ti dice: «Io sono la via» [...]. Non ti è detto: sforzati dicercare la via per giungere alla verità e alla vita; non ti èstato detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te eti ha scosso dal sonno; e se è riuscita a scuoterti, «alzati e

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cammina!»31. È Lui stesso la via. E ci ha dato un aiuto ancora più vicino a

noi, un faro sicuro che mai ci abbandona nelle tempeste: la sua enostra Madre.

Del mare Caterina ama soprattutto i fari. Nel suo computer hauna cartella piena di foto di fari su scogli rocciosi assaliti – mainutilmente – da oceani in tempesta.

Non so perché la incantino così. Forse la affascinano quellasolitudine davanti all’infinito, la compagnia del vento e deigabbiani, le onde di un oceano sterminato come il dolore ches’infrangono impotenti davanti alla piccolezza e all’umiltà diquelle rocce.

Magari, invece, le piace l’idea che il faro rappresenti una luceper i naviganti nelle tenebre, un aiuto che scongiura disastrosinaufragi sulle rocce, come un angelo che risplende nel buio.

A ben vedere questa torre solitaria ricorda una madre che sullaporta di casa, con la lanterna in mano, aspetta e illumina ilcammino di figli assaliti dalla tempesta e dalla notte. Come untempo, nei paesi di mare, le donne – quando c’era bufera – stavanosulla riva ad aspettare i loro uomini che faticosamente cercavano diriportarsi in salvo con i pescherecci.

Donne in piedi sulla riva come fari di amore. Donne in attesa,trepidanti.

Il faro è come la stella polare o come la stella del mattino, laprima a sorgere e l’ultima a tramontare. È un bel simbolo di Maria,la vera, la bellissima «stella mattutina», Maria la dolce, consolatrixafflictorum, la Madre premurosa, auxilium christianorum, laPietosa che abbraccia e teneramente cura i sofferenti, salusinfirmorum, infine colei tra le cui braccia tutti, proprio tutti, si

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possono gettare certi di trovare rifugio e misericordia, refugiumpeccatorum.

Signora il cui santuario sta sul promontorio,Prega per tutti quelli che sono in mare, quelliIl cui mestiere è di pescare, e quelliIntenti ad ogni traffico legittimoE quelli che li guidano.Ripeti una preghiera anche per leDonne che han visto i loro mariti e i figliPartire e non tornare:Figlia del tuo figlio,Regina del Cielo.Anche per quelli prega ch’erano in navi e il viaggioFinirono sulla sabbia, del mare sulle labbra,O nella gola oscura che non li renderàO dovunque raggiungerli non puòL’eterno angelusDella campana del mare32.

Il mare dei poeti in fondo somiglia a quello dei pellegrini che

partono per viaggi inauditi, per sciogliere voti immensi a rischiodella vita, che implorano grazie impossibili. Viandanti che persecoli hanno solcato l’Europa dalle isole del Nord a Roma e allaTerra Santa, dalle pianure germaniche a Compostela, e che dalporto iberico d’Europa si sono lanciati con Colombo finoall’inaudita scoperta di una nuova Terra Promessa.

Nei moderni, frustrati e delusi, tristi per mancanza di fede, ardesempre il cuore dei loro avi, eroici pellegrini di Cristo. Per questo si

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agitano, sedotti dal mito del viaggiare, e inconsapevoli fanno tantichilometri per andare lontano. Ma lontano da dove?

E il loro cuore vibra davanti a quell’oceano infinito che fasbocciare pure la preghiera del portoghese Fernando Pessoa, comese – nel sangue che viene dagli avi – sentissero la fedenell’impossibile che si è fatta carne:

Nostra Signoradelle cose impossibili che cerchiamo invano,dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,dei propositi che ci accarezzanosulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,al suono europeo delle musiche e delle voci lontane evicine,e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.Vieni a cullarci,vieni e consolaci,baciaci silenziosamente sulla fronte33.

D’altra parte l’etimologia del nome stesso di Maria – secondo

Bernardo di Chiaravalle – è proprio questa: «Stella del mare». È leiche orienta i naviganti nelle tenebre e nella tempesta.

E mi stupisce sempre il pensiero che a Caterina tutto è accadutoun 12 settembre, festa del nome di Maria. Per questo sono tornatomolte volte a rileggere la bellissima meditazione di san Bernardosul nome di Maria, perché ha rappresentato la nostra ancora disalvataggio, la nostra stella:

O tu che nelle vicissitudini della vita, più che camminaresulla solida Terra, hai l’impressione di essere sballottato fra

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tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto dall’infuriaredei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questastella!Se insorgono i venti delle tentazioni, se t’imbatti negliscogli delle tribolazioni guarda la stella, invoca Maria.Se vieni assalito dalle onde della superbia, dell’ambizione,della calunnia, dell’invidia, della gelosia guarda la stella,invoca Maria.Se l’ira, l’avarizia o le lusinghe della carne scuotono lanavicella della tua anima guarda la stella, invoca Maria. Seturbato dall’enormità dei tuoi peccati, confuso per lebrutture della tua coscienza, atterrito dal rigore del giudiziostai per venire risucchiato dal baratro della tristezza edall’abisso della disperazione guarda la stella, invocaMaria.Nei pericoli, nelle difficoltà e nei momenti di incertezza,guarda la stella, invoca Maria.Abbi il suo nome sempre sulle labbra, tienila sempre nelcuore e se vuoi ottenere l’aiuto della sua preghiera, nontralasciare di imitarne gli esempi.Seguendo lei non andrai fuori strada, pregandola nondispererai, pensando a lei non sbaglierai.Se ella ti sostiene non cadrai, se ella ti protegge non avrainulla da temere, se ella ti guida non ti affaticherai, se ti saràfavorevole giungerai alla meta e così potrai sperimentare tustesso quanto giustamente sia stato detto: «E il nome dellavergine era Maria»34.

Il 26 agosto 2012 siamo andati in pellegrinaggio alla Madonna

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di Montenero, protettrice della Toscana, perché questo santuariosopra Livorno, quasi a picco sul mare, da secoli è chiamato proprioStella Maris.

Dall’alto protegge gli uomini di mare come la sola stella a cuiguardare. E infatti nel santuario sono raccolti tantissimi ex voto dimarinai che ringraziano per la protezione. Tappezzano tutte lepareti.

Sopra l’altare del santuario e la statua della Madonna, c’è unavetrata con l’immagine di una nave in acque tempestose,sormontata da una grande stella in cielo: ricorda esattamente labella preghiera di san Bernardo.

Allora la prima cosa preziosa da portare con noi, in questoviaggio, è la protezione della Regina del cielo, Stella Maris, per ipoveri pellegrini, e il pensiero del suo abbraccio come porto sicurodi destinazione.

Altrimenti sarebbe inutile navigare solcando il mare della vita.Come diceva Seneca: «Non vi è vento favorevole per il marinaioche non conosce la rotta».

Per noi l’affidamento a Maria significa il Rosario quotidiano.Ogni giorno che Dio manda in Terra vedrà la nostra mendicanza...

Nella bisaccia dei viandanti, oltre alla corona, ci metteremoanche i bei frutti saporiti che stanno nel cesto dipinto daCaravaggio – uva, mele, fichi, pere eccetera – che per il grandeMichelangelo Merisi, nel solco di san Carlo Borromeo e delConcilio di Trento, erano un’allegoria cristiana dell’eucaristia:l’admirabiles fructus, come lo chiama il Catechismo tridentino.

Il 12 giugno 1583, in una sua omelia, san Carlo spiega: «Ciòche per la primitiva Chiesa era Cristo è per noi l’Eucaristia; anchela sua forza è la medesima: riceverete gli stessi frutti [...]. Figli, ilSignore vi conceda di abbondare nello Spirito, di produrre frutti

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dello Spirito: carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà,longanimità, mansuetudine, fede, modestia, continenza ecastità»35.

Anche la Messa quotidiana è diventata dunque una necessitàcome il cibo e non è passato giorno, in questi due anni, che inqualche chiesa della cristianità non sia stata celebrata almeno unaMessa per la guarigione di Caterina. Così, appena ha cominciato apoter deglutire qualcosa, la nostra dolce principessa ha ripreso afare la comunione.

Ogni giorno. E con quale desiderio e raccoglimento, con qualefame e sete del Signore, lei ogni giorno si è comunicata...

In fondo sant’Ignazio d’Antiochia definisce l’eucaristiaphàrmakon athanasìas, ovvero farmaco d’immortalità. Se infattiGesù è il vero e unico Medico delle anime, lo è tanto più dei corpie ha compiuto tanti segni di guarigione fisica – come spiega nelmiracolo del paralitico – proprio per mostrare che Lui era ed è Diostesso, il Signore dell’universo e la vera vita che non muore.

Anche per questo Gesù salvatore è definito da Nicola Cabasilasil «generatore della salute»36. E il pane e il vino, che sono il suovero corpo e il suo vero sangue, rappresentano il vero, grande«farmaco» della nostra condizione mortale e sofferente.

Gesù ti fai nostro.

Ci attiri verso di te presente, presente in una formamisteriosa. Tu sei presente, come il singolare pellegrino diEmmaus, che raggiunge, avvicina, accompagna, ammaestrae conforta gli sconsolati viandanti nella sera delle perdutesperanze. Tu sei presente nel silenzio e nella passività deisegni sacramentali, quasi che tu voglia tutto insieme velare

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e tutto svelare di te, in modo che solo chi crede comprenda,e solo chi ama possa veramente ricevere.Verso di te ci attiri, o paziente; paziente nell’oblazione di teper l’altrui salvezza, per l’altrui alimento; paziente nellafigurazione del corpo separato dal sangue; paziente finoall’estrema misura del dolore, del disonore, dell’abbandono,dell’angoscia e anche della morte.Così nella misura della pena diviene palese il grado dellacolpa e dell’amore, della colpa umana e dell’amore tuo37.

Cambia veramente tutto se, pian piano, la santa Messa diventa

il centro di ogni giornata. Parlando a Maria Valtorta, la mistica,morta nel 1961, che per decenni visse bloccata su un letto e che –insieme a prove durissime – ricevette grazie soprannaturalistraordinarie, il 18 giugno del 1943, Gesù stesso spiega i tesoriinauditi «nascosti» nel pane e nel vino eucaristici:

Per sostenere le forze fisiche occorre nutrire il corpo [...].Senza il pane è impossibile la vita. Voi siete dei poveri cheavete bisogno di cibo per la vostra anima. Alla vostrapovertà Io ho dato il Pane eucaristico. Esso vi nutre lemidolla dell’anima, dà vigore allo spirito, sostiene le forzespirituali, aumenta il potere di tutte le facoltà intellettuali,perché dove è vigore di vita è anche vigore di mente. Cibosano trasfonde sanità. Cibo vero infonde vita vera. Cibosanto suscita santità. Cibo divino dà Dio38.

E il 19 giugno Gesù dice ancora alla Valtorta:

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Per ottenere veri frutti dall’Eucarestia, non bisognaconsiderare questa come un episodio che si ripete a epochepiù o meno distanziate nel tempo, ma farne il pensiero basedella vita.Vivere pensando a Me–Eucarestia che mi appresto a venireo che sono venuto in voi, facendo dell’incontro un continuopresente che dura quanto dura la vostra vita [...]. Anche quiti propongo a modello Maria [...].Non ci siamo più separati dal momento in cui l’ubbidienzafu santificata sino all’altezza di Dio, ed Io divenni carne nelsuo seno39.

Con questo equipaggiamento, con questo cibo e questa

preghiera noi, insieme a Caterina, abbiamo ripreso il cammino permari e terre sconosciute.

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La lunga attesa

«Vivo alle soglie della mortee una gioia inesplicabile è in me».

Paul Claudel40

Perdute tutte le nostre sicurezze umane, le cose che più amiamo,

ma soprattutto i nostri progetti e i nostri tempi, come gli antichipellegrini ci siamo messi in cammino.

Questa santa insecuritas, questa precarietà è diventata un altrogrande passo della nostra conversione. Ed è un tesoro da conservaregelosamente perché ci ha fatto vedere e ci fa toccare con mano ilsempre nuovo soccorso della grazia.

Lasciare tutto e vivere da pellegrini, sempre nella penombra diforeste sconosciute. Senza alcuna sicurezza umana. Vivere dimendicanza. Ospiti di fratelli che sono il volto più chiaro dellagrazia.

Dovunque sono dovuti andare i miei figli sono stati accolti.Specialmente a Bologna dove sono stati abbracciati, letteralmentecullati dal calore di una comunità bellissima che è nata dal carismadi don Giussani.

Questi amici hanno rappresentato veramente, per noi, la carezzadel Nazareno. Sono stati come il samaritano che si è curvato sulleferite dell’uomo che giaceva per strada e se lo è caricato sulle spallee l’ha medicato, portato in un ricovero, fasciato, curato.

Caterina dopo il risveglio, nel gennaio 2010, aveva cominciatola sua avventura appunto in un centro di riabilitazione di Bologna.

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«Vedi Cate, noi due siamo come due monaci certosini» le disseun giorno sua madre, notando la somiglianza fra il piccolomonolocale con giardinetto di cui disponevano e le anticheabbazie certosine, con le loro singole cellette incollate l’unaall’altra. «Come i monaci dovremo concentrarci sul presente esull’eterno: giorno dopo giorno faremo con diligenza il nostrolavoro e chiederemo alla Madonna di aiutarti a tornare alla tuavita».

È stato confortante per noi ascoltare l’antica sapienza deichiostri. L’abate di Miguel Mañara, per esempio, ci fa capire la vitadei monaci che trascorre fra le mura e gli orti di un monastero. Lorohanno per orizzonte il mondo intero e l’eterno:

Qui le pietre sono piene di una pazienza che attende e diun’attesa che ascolta. L’amore e la precipitazione nonvanno d’accordo. È dalla pazienza che si misura l’amore. Unpasso uguale e sicuro: è questa l’andatura dell’amore, albraccio di una fanciulla o da solo tra due file di tombe. [...]La vita è lunga qui. Occorre un’infanzia e un’educazione,una giovinezza e un insegnamento, una maturità curiosa delgiusto peso delle cose [...]41

C’era in noi la disponibilità alla pazienza, al lungo e lento

camminare del nostro pellegrinaggio. Ma restava sempre, nel fondodell’inconscio, l’angoscia sulla guarigione.

Alessandra diceva: «È come scalare una parete rocciosa inverticale: è un’immensa grazia che non siamo caduti nell’abisso.Ma l’incubo è rimanere bloccati lì, appesi, con il baratro sotto,senza andare né su né giù».

La paura più grande era che il recupero di Caterina si fermasse.

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E ancora una volta il vero nome dell’amore e della fede era lapazienza. La pazienza è l’abbandono confidente a Lui, ai suoitempi: il tempo della nostra conversione. Come se in quei lunghigiorni e in quelle interminabili notti il Signore volesse plasmare ilnostro cuore. E chiedesse un abbandono completo a Lui.

Dice una poesia di Jan Twardowski:

Quando preghi devi aspettareOgni cosa ha il suo tempoLo sanno i profetiContinua a chiedere e lascia ogni aspettativaL’inesaudito matura nel futuroL’inavveratoÈ lì per accadereIl Signore sa già tutto anche in piena notteDove corrono frenetiche le formicheL’amore crederà l’amicizia comprenderàNon pregare se non sai aspettare42.

È la dimensione quotidiana del sacrificio a cui educano le

ascesi e le penitenze della vita cristiana. I «digiuni» di ogni generetemprano per la lotta, rendono forti, padroni di sé, liberi dallaschiavitù degli istinti e più capaci di amare: «Penitenza non èdolore. È amore» dice l’abate di Miguel Mañara43.

Ma l’esperienza più dura di questi anni non è stata l’attesa o larinuncia. È stata ed è quella richiesta di fiducia totale, talora controogni evidenza, che Dio ci fa attraverso gli eventi della vita.

Per esempio, in quei giorni in cui ti sembra di intravederefinalmente una ripresa per Caterina e, imprevista, ti piomba

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addosso un’altra croce. O quando, inaspettata, ne arriva una nuovain famiglia mentre ti sembrava di non farcela più a portare il peso diquella che già c’era.

È capitato nei giorni in cui Alessandra è dovuta correre aoperarsi... O quando è toccato a Maria, la nostra seconda figlia, lamusicista. E poi di nuovo, poco dopo, ancora a Maria. Chetenerezza pensare a queste due sorelle giovani e belle, cresciuteinsieme, legatissime, sempre sane, che d’improvviso per unmisterioso destino, entrambe sono colpite da dure prove.

Che strabiliante forza hanno dimostrato le donne di casa mia,tutte e tre, nell’affrontare il dolore fisico con un coraggio e unaserenità sconosciute a noi uomini (o almeno a me).

Quando si accavallano, una sull’altra, prove così si restaammutoliti. Rimuginare, lamentarsi porta fuori strada e fa soffrire dipiù.

Un grande conforto è stata per noi la pacificante preghiera,ispirata da Gesù, del padre Dolindo Ruotolo44. L’abbiamo recitatae vissuta insieme in queste nuove tempeste. Eccola:

Dice Gesù:«Perché vi confondete agitandovi? Lasciate a me la curadelle vostre cose e tutto si calmerà. Vi dico, in verità, cheogni atto di vero, ricco e completo abbandono in me,produce l’effetto che desiderate e risolve le situazionispinose. Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi,sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi a me una preghieraagitata perché io segua voi e cambiare così l’agitazione inpreghiera. «Abbandonarsi significa chiudere placidamentegli occhi dell’anima, stornare il pensiero dalla tribolazione erimettersi a me perché io solo operi, dicendo: pensaci Tu. È

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contro l’abbandono la preoccupazione, l’agitazione e ilvolere pensare alle conseguenze di un fatto.«[...] Chiudete gli occhi e lasciatevi portare dalla correntedella mia grazia, chiudete gli occhi e lasciatemi lavorare,chiudete gli occhi e pensate al momento presente, stornandoil pensiero dal futuro come da una tentazione; riposate inme credendo alla mia bontà e vi giuro per il mio amore che,dicendomi, con queste disposizioni, pensaci Tu, io ci pensoin pieno, vi consolo, vi libero, vi conduco. «E quandodebbo portarvi in una via diversa da quella che vedete voi,io vi addestro, vi porto nelle mie braccia, vi faccio trovare,come bimbi addormentati nelle braccia materne, all’altrariva. Quello che vi sconvolge e vi fa male immenso è ilvostro ragionamento, il vostro pensiero, il vostro assillo e ilvolere a ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge.«Quante cose io opero quando l’anima, tanto nelle suenecessità spirituali quanto in quelle materiali, si volge a medicendomi: pensaci Tu, e chiude gli occhi e riposa. «Avetepoche grazie quando vi assillate per produrle, ne avetemoltissime quando la preghiera è affidamento pieno a me.Voi, nel dolore, pregate perché io operi, ma perché io opericome credete... Non vi rivolgete a me, ma volete che io miadatti alle vostre idee, non siete infermi che domandano almedico la cura, ma gliela suggeriscono.«Non fate così, ma pregate come vi ho insegnato nel Pater:sia santificato il tuo nome, cioè sii glorificato in questa mianecessità, venga il tuo regno, cioè tutto concorra al tuoregno in noi e nel mondo; sia fatta la tua volontà come incielo così in terra, cioè disponi tu in questa necessità comemeglio ti pare, per la vita nostra terrena e corporale.

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«Se mi dite davvero: sia fatta la tua volontà, che è comedire: pensaci Tu, io intervengo con tutta la mia onnipotenzae risolvo le situazioni più chiuse. Ti accorgi che il malannoincalza invece di decadere? Non ti agitare, chiudi gli occhie dimmi con fiducia: sia fatta la tua volontà, pensaci Tu! Tidico che io ci penso e che intervengo come medico ecompio anche un miracolo, quando occorre. Vedi che lasituazione peggiora? Non ti sconvolgere; chiudi gli occhi ed ì : pensaci Tu. Ti dico che io ci penso, e che non c’èmedicina più potente di un mio intervento d’amore.«Ci penso solo quando chiudete gli occhi.«[...] confidate perciò in me solo, riposate in me,abbandonatevi a me in tutto. Io faccio miracoli inproporzione del pieno abbandono a me, e del nessunpensiero di voi. Io spargo tesori di grazia quando voi sietenella piena povertà. [...] Opera divinamente chi siabbandona in Dio. «Quando vedi che le cose si complicano,dì con gli occhi dell’anima, chiusi: Gesù, pensaci Tu! Facosì per tutte le tue necessità! Fate così tutti e vedretegrandi, continui e silenziosi miracoli! Ve lo giuro per il mioamore»45.

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Luci nella notte

«Il mondo non languirà mai per mancanza di meraviglie,ma soltanto quando l’uomo cesserà di meravigliarsi».

Gilbert Keith Chesterton

«Forti nello spirito e teneri di cuore».Sophie Scholl della Rosa Bianca

Mira è una ragazza piena di vita, intelligente, un cuore grande.

Le fu dato quel nome, da Marco e Aida, suoi genitori, in onoredella Regina della pace, Kraljice Mira, come si è definita laMadonna a Medjugorje.

Lei e la sua meravigliosa famiglia hanno attraversato prove esofferenze molto dure, come la perdita dell’ancora giovane papàMarco e non solo.

Mira è una delle amiche più vicine a Caterina. Ha condivisocon lei giorni e notti, momenti lieti e situazioni dure. Il 19dicembre del 2012, dopo che le avevo chiesto di parlarmi del suorapporto con mia figlia, mi ha scritto una lettera. Molto toccante.

Mi racconta che cinque anni prima («con la ferita che portavonel cuore») aveva chiesto a un sacerdote come fare a sentireconcretamente Gesù Cristo più vicino, come poterlo incontrarequotidianamente. Un grande e bel grido d’amore.

Oggi Mira scrive: Be’, a distanza di pochi anni io ho scoperto questa carnalità di

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Cristo nel volto della Cate. Punto. Non c’è altro da aggiungere.Poterla servire e starle accanto è il massimo.

L’affetto che Mira e le altre amiche hanno per Caterina, in

effetti, esprime proprio questo. Ed è un miracolo la fraternità che siè creata attorno a lei e alla nostra famiglia.

Mira ci scrive: Ognuno di voi è nel mio cuore e io mi sento da voi amata come

una figlia, una sorella, una carissima amica. Poi c’è un altro pensiero che Mira ha voluto confidarmi: Guardo alla Cate e a Stefano e non posso che desiderare lo

stesso. Intende per sé e per il suo ragazzo.Mira si scusa di non riuscire a scrivere di più su Caterina e mi

spiega: Dovrei raccontare di una vita intera, delle cose che

continuamente, stando con lei, ho la grazia di capire e dovrei direal mondo che lei per me ora incarna il volto di Gesù...

Aggiunge un post scriptum: Oggi abbiamo riso un sacco. Quando ride, è ancora più bella!!! Ogni giorno noi vediamo l’ardore e la pazienza di Caterina, la

sua passione per la vita; ogni giorno sentiamo la sua risata

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cristallina e ci colpisce il suo raccoglimento quando fa la santacomunione e insieme a noi recita mentalmente l’Anima Christi, ilVeni Sancte Spiritus e il Memorare, manifestando un vivacedisappunto quando diciamo quelle preghiere troppo in fretta.

Ogni giorno che passiamo con lei è un inno alla vita, un’eroicalotta per la libertà. Caterina è un cuore intrepido, sostenuta dallavicinanza di ragazzi speciali, veramente toccati dalla grazia.

Sembra quasi incredibile trovarci dentro una così misteriosaletizia. Soprattutto pare incredibile al mondo che penserebbe ditrovare, in queste situazioni, un dolore cieco e angosciato. Ilmondo non conosce la grandezza dell’uomo e i misteriosi sentieridella grazia.

Penso poi a tanti coetanei di Caterina incontrati in questi anninegli ospedali o nei centri di riabilitazione. Penso a tante storie dicoraggio e di amore testimoniati da genitori per i figli, da figli, dapadri o da madri per chi è da anni in stato di coma persistente o instato di minima coscienza o anche a migliaia di famiglie che stannovicino a loro cari che portano croci come la Sla e patologie simili.

A causa della vicenda di Caterina ho ricevuto decine dimigliaia di mail e ho conosciuto tantissime storie che davverotrafiggono il cuore, ma anche suscitano ammirazione e stupore perl’eroismo, la forza e la passione per la vita che documentano.Talvolta persino da parte di adolescenti.

Un padre, addolorato, mi ha raccontato il caso di sua figliaLaura che oggi ha sedici anni, l’età più bella della vita.

Da piccola, a tre anni, la bimba inavvertitamente ingerì unasostanza velenosa. Ebbe danni gravissimi46 e «da allora ècominciato il suo e nostro calvario» dice il suo papà. Perché Lauraè rimasta del tutto paralizzata e riesce a muovere solo gli occhi. Edè così da tredici anni.

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Tuttavia questa meravigliosa fanciulla è perfettamentecosciente, anzi di un’intelligenza, una profondità e un coraggio cheincantano e che suscitano invidia se si considera la superficialità dialcuni suoi coetanei e anche di noi adulti.

Due anni fa, a quattordici anni, in un suo tema scolastico, lei sidescriveva così:

Sono molto determinata come ragazza, e ogni giorno cercodi esprimere le mie sensazioni ed esternare tutti i mieipensieri, inutilmente però, perché la mia persona è impeditaa farlo.Vorrei, come tutti, poter esprimere con la voce tutto eriuscire con il corpo a deambulare in modo autonomo perprovare di nuovo sensazioni perdute e dimenticate. Mirestano solo pochi e lontani ricordi.È inutile dire che la mia adolescenza è stata pocoelettrizzante, senza momenti di allegria. Comunque,malgrado tutto, sono un’adolescente, nel mio piccolo,estremamente e decisamente fortunata perché i miei genitorihanno combattuto sempre.Posso dire che, nonostante tutto, rispetto ad alcune storie diadolescenti che distruggono la loro adolescenza nelladroga, nella prostituzione per una semplice ricaricatelefonica o nell’alcool, io mi sento diversa. Dirò cheognuno di noi deve essenzialmente spegnere la suadiciottesima candelina pensando di più alla propria essenzadi essere vivente e non un povero e inutile piccoloadolescente.

Sono pensieri e parole che colpiscono per la dignità, direi quasi

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l’orgoglio, per la forza della personalità. E sono un vero, grandiosoinno alla vita. Bisogna riconoscere che la serietà di questa ragazzanel vivere il dono della sua giovinezza mette un po’ tutti noi con lespalle al muro.

Suo padre mi scrive: «Laura è una ragazza stupenda.Nonostante ciò che ha passato, sta passando e passerà lei dice diessere molto serena. È lei che dà forza a tutti noi»47.

Ecco, sono questi gli eroi del nostro tempo. Per vivere unacondizione come quella di Laura ci vuole ben più ardimento diquanto ne occorra a un soldato per andare in battaglia. Creaturecome questa ragazza sono dei veri angeli, sono i protagonisti dellastoria, coloro che letteralmente reggono il mondo.

Non a caso il Signore ha promesso a loro il posto accanto a Sé,Re dell’universo, nel Suo Regno, quando ogni lacrima sarà da Luiasciugata sul nostro viso. Quando la felicità, che nessuno potràtoglierci, sarà completa e inimmaginabile.

Ma noi, oggi, qui, nel nostro tempo quasi non ci accorgiamo diloro. Nonostante siano un immenso tesoro per tutti, un segno disperanza e di amore.

È incredibile come li ignoriamo e li lasciamo soli. Eppure sonotantissime le famiglie in cui si vive, silenziosamente, questoeroismo quotidiano.

Nell’autunno 2010 un programma televisivo di Fabio Fazio,con la partecipazione di Roberto Saviano, ripropose ed esaltò levicende Welby ed Englaro. Ma quando altri, che vivono il drammadi malattie gravi e lottano per la vita, chiesero di dare la lorotestimonianza, si trovarono la porta chiusa.

Fu un episodio triste ed emblematico.Vi furono non poche polemiche sui giornali. Così il 19

novembre 2010 scrissi una lettera aperta, su «Libero», a Roberto

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Saviano invitandolo a venire a trovare Caterina. [...] Ti accoglierò a braccia spalancate e se magari ne tirerai

fuori l’idea per un articolo, potrai devolvere un po’ di diritti allemigliaia di bambini lebbrosi che sto aiutando tramite i miei amicimissionari i quali li curano nel loro lebbrosario (in un Paese delTerzo mondo).

Vieni senza telecamere, ma con il cuore e con la testa con cuihai scritto Gomorra [...].

Mi scrivesti – ti ricordi? – quando io ti difesi su queste colonneper il tuo bel libro.

Ora io, debole, scrivo a te forte e potente, io padre inerme inlotta con l’orrore (e in fuga dalla tv) scrivo a te, star televisivaosannata, io cristiano controcorrente da sempre, scrivo a te chestimo: vieni a guardare negli occhi mia figlia venticinquenne chesta coraggiosamente lottando contro un Nemico forse piùtremendo di quei quattro squallidi buzzurri che sono i camorristi.

Lei non si arrende all’orrore, come non ci si arrende allacamorra. Vieni a vedere il suo eroismo e quello di tanti altri comelei, che – come dice Mario Melazzini, rappresentante di moltimalati di Sla – sono silenziati dal regime mediatico del politicallycorrect nel quale tu, purtroppo, hai accettato di diventare unastella.

Vieni. Vedrai gli occhi di Caterina...Magari potrai vedere addirittura la felicità dentro le lacrime.

Pensavo che, con una persona in gamba e intelligente comeRoberto, si potesse finalmente parlare in modo diverso di malattia,eutanasia, di «fine vita».

E speravo che il «pensiero unico» che tende a dilagare suimedia potesse permettere infine di dar voce anche a malati che

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implorano di essere aiutati a vivere.Del resto sono tanti a non aver diritto di parola. Penso ai

bambini non nati o ai cristiani perseguitati e macellati a ognilatitudine48.

In quella lettera parlai a Saviano del disprezzo per la Chiesa chedilaga in certi salotti (mediatici, ma non solo): Per la Chiesa che –tu sai bene, caro Roberto – ha lottato contro la camorra e la mafiaben prima di te e con uomini inermi e poveri che ci hanno purerimesso la pelle. La Chiesa che conosce i sofferenti e i miseri, liama e quasi da sola soccorre tutti i disperati della terra [...].

Volli raccontare a Saviano anche un piccolo episodio: Caro Roberto, l’altra sera mia figlia Caterina stava ascoltando

un cd con canti polifonici che lei conosce bene (perché li cantavaanche lei). Era molto concentrata ad ascoltare una laudecinquecentesca a quattro voci che s’intitola: Cristo al morirtendea.

In essa Maria parla di Gesù ai suoi amici, agli apostoli. Equando le sue struggenti parole – cantate meravigliosamente –hanno sussurrato «svenerassi per voi» (si svenerà per voi),Caterina – che non può parlare – è scoppiata a piangere. Questacommozione per Gesù – che nei salotti che oggi frequenti èdisprezzato come nei salotti di duemila anni fa – ha cambiato ilmondo e salva l’umanità.

È la stessa commozione di Asia Bibi, la giovane madrecondannata a morte perché – a chi voleva convertirla all’Islam –ha risposto: «Gesù è morto per me, per salvarmi...»

Ecco, caro Roberto, questa commozione per un Dio che amacosì è il cristianesimo.

E tu hai conosciuto uomini che per l’amicizia di Gesù, per

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amare gli esseri umani come Lui, hanno scommesso la vita, hannodato se stessi. Quando si sono visti quei volti come si puòsopportare di vivere in un mondo di maschere e di recitare nei loroteatrini?

Per maschere intendo le ideologie. La lettera–articolo non ebbe

risposta. Ma non voglio personalizzare il problema. Perché è tuttauna cultura che rifiuta ogni dialogo. Siamo infatti un tempo senzaalcuna, vera speranza.

Viene da ricordare quanto Dio stesso dice per bocca del profetaGeremia: «Se voi non ascolterete, io piangerò in segreto dinanzialla vostra superbia»49.

In quella e altre circostanze analoghe volevamo – io e altri –tendere una mano, iniziare un dialogo, provare a far vederel’eroismo nascosto di tanti e far sentire la voce dei sofferenti...

Perché il mondo ha tanta paura della sofferenza? Perché ha cosìbisogno di chiudere una ferita? Forse perché sconvolge la vita, lenostre visioni, i nostri progetti.

Il dolore chiede amore, tanto amore, e non è facile amare così.Noi uomini non ce la facciamo, bisogna riconoscerlo. Infine essomostra la nostra povertà, la nostra impotenza. E costringe a donarsi,a soffrire con chi soffre...

In questo tempo confuso – come ebbe a dire Enzo Jannacci –avremmo tutti bisogno «della carezza del Nazareno»50.

Noi l’abbiamo sperimentata sul nostro cammino, in questi annidi peregrinazione e l’abbiamo invocata incontrando volti e storiemeravigliose, di padri e madri davvero eroici. Quotidianamenteeroici. Nel silenzio. Con un mare d’amore. Un popolo della vita cheè il popolo di Dio...

Un giorno mi scrive Marco, un tecnico informatico di Roma. Mi

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spiega di aver seguito la storia di Caterina fin dall’inizio e di averpregato per lei, con molti altri, attraverso un social network che hafondato con degli amici, dove si raccolgono intenzioni dipreghiera. Mi dice: «Mi sei venuto in mente perché so che puoicapirmi».

Di che si trattava? Di una cosa semplice, ma al tempo stessosconvolgente. Lui e la moglie, che fanno parte del Camminoneocatecumenale, erano in attesa del loro quarto figlio e avevanoscoperto da poco che era un bambino affetto dalla sindrome diDown.

Così Marco mi ha inviato un videoclip, realizzato da lui con lafamiglia e postato su Youtube. Parole e musiche sono sue. Sivedono i suoi tre figli e la moglie Claudia (col pancione) chegiocano in un piscina e cantano una gioiosa canzone di benvenutoal fratellino Emanuele51.

Marco concludeva: «Vedilo, metti le cuffie e gioisci. Sorridi ecommuoviti con noi... Ti prego di farlo sentire a Caterina, so che lepiacerà».

In effetti il video fa sorridere e commuovere. La mamma e ibambini (scatenati dentro e fuori dall’acqua) hanno volti splendidie sinceri, luminosi e pieni di amore per il piccolo che deve arrivare.È sorprendente che ci siano persone così straordinarie: questo sonoi cristiani. Il mondo facilmente li irride o li guarda concompatimento, come gente un po’ matta o fanatica.

In realtà sono uomini e donne normalissimi, padri e madri chesoffrono, ma hanno trovato un tesoro: Gesù. E, accanto a Lui,hanno visto fiorire la propria umanità.

Basta seguire il racconto di Marco per accorgersene: Da subito circa 9 mesi fa capimmo che le cose per questo

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quarto figlio non sarebbero andate lisce come per gli altri tre.L’ombra di un’alterazione genetica si faceva sempre più grandefino alla conferma che si trattava di una trisomia 21. È statoquello il tempo nel quale abbiamo chiesto più preghiere e nelquale ancora una volta il Signore ci diceva «non temete».

I nostri fratelli (facciamo parte di una comunitàneocatecumenale qui a Roma) sono stati le pietre angolari grazieai quali è stato possibile sperimentare un amore all’altro, che soloattraverso Cristo è possibile. L’avere come figlioccia una bambinacon la sindrome di Down (figlia di nostri fratelli di comunità), evedere come i suoi genitori crescevano con lei, ci dava il coraggio,e ci aiutava a immaginare come sarebbe stato per noi con il nostroEmanuele.

Intanto le ecografie andavano sempre peggio e verso il quartomese il piccolo era pieno di liquido (idrope fetale). Era lì, col suocuore forte, a resistere a quelle acque di morte che locircondavano. Abbiamo chiesto ancora più preghiera, ancheattraverso il social network che indegnamente gestisco[www.pregoperte.com]. Persone mai viste né conosciute cheprendevano la nostra preghiera e quasi l’adottavano, ci hacommosso.

Vedevamo tradursi su di noi quello che Alberto (un nostrofratello di comunità morto a 44 anni per un tumore al cervello)desiderava avere: un luogo virtuale (il web) dove preghiere realiprendevano forma e venivano condivise con gli altri.

Improvvisamente al quinto mese, durante un’ecografia, fuevidente che l’idrope non c’era più. Il bimbo era lì, a ciucciarsi ilditino e a farsi fotografare, sotto la mano esperta e docile di undottore straordinario che esultava con noi per questa vera epropria risurrezione.

Questo figlio ci sta riempiendo la vita di emozioni. Passiamodalla tristezza alla gioia, dall’attesa, alla tenerezza, visibile

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soprattutto in una madre stupenda come Claudia, che non hasmesso mai di parlargli, di comunicare con lui attraverso tantecarezze sul suo pancione.

Gli altri figli sono stati anche loro meravigliosi. Ricordo che alritorno da una visita, un giorno, entrammo in casa e ci videro tristie stanchi. Esausti andammo a stenderci un po’ sul letto. Poco doposentimmo che ci chiamavano. Ci alzammo a vedere, notammo cheavevano steso un filo da un armadio all’altro e scritto su alcunifogli: «Emanuele ti vogliamo bene, stai tranquillo».

L’emozione fu forte e anche lì la tristezza di quel giorno sitramutò in gioia incolmabile. Tutte queste emozioni, questesensazioni, si sono trasformate in musica, parole e video, che poi sisono tradotte nel videoclip che abbiamo pubblicato su Youtube.Un videoclip speciale per un figlio speciale, che si è fatto spaziotra le angosce e le paure del mondo.

Abbiamo cercato di rendere partecipi i bambini a questoprogetto che man mano prendeva forma. Hanno lavorato sulleparole, sulle musiche, e anche sul video, e a me è toccato il lavoropiù duro dell’arrangiamento elettronico, e dell’assemblaggio delvideo.

La nostra intenzione non è quella di far sembrare noi speciali(credimi, non lo siamo affatto) ma di aiutare a superare i confinialcune volte invalicabili della ragione che attinge la sua forzadalla paura della morte, della sofferenza, del cambio improvvisodella propria vita.

Il nostro – anzi quello di Emanuele – è un inno alla vita. Marco e la sua famiglia vogliono «dare voce» ai tanti bambini

mai nati «o che hanno bisogno di essere amati di più perchéfragili». Vogliono «aiutare chi è nel dubbio di una scelta». Evogliono anche parlare a tanti «genitori spinti dalla paura

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irrazionale di rischiare di mettere al mondo un infelice. Sapessi»osserva Marco «quante persone sanissime conosco che sonoinfelici e tristi!».

Marco ha pure qualche parola polemica verso coloro, spessopure medici, che «con atteggiamento di sufficienza attraversoparole forbite scambiano una vita umana per un ammasso dicellule. È stupefacente vedere come già dalle prime settimane divita, si distingue benissimo il profilo e il cuore che batte di tuofiglio».

Marco e Claudia sono perfettamente consapevoli e alla vigiliadel lieto evento mi hanno scritto:

Adesso ci aspetta la parte finale di questa avventura, il parto

di Claudia, e abbracciare questo figlio che sta facendo tantoparlare di sé. Non sappiamo nulla del nostro futuro (abbiamosmesso da un bel po’ di pensarci), potrebbe essere dura, non lo so,ma una cosa è certa... Emanuele sarà veramente DIO con noi.Sosteneteci con la preghiera.

Aveva perfettamente ragione il cardinale Bagnasco che

nell’omelia per la festa dell’Immacolata, l’8 dicembre 2012,esclamava:

Quanto eroismo circola nelle strade della nostra città.Quanta gente, nel segreto dei giorni, vive dentro la luce diCristo. Il mondo non lo vede, ma Dio sorride, vede e si favicino, vede e asciuga le lacrime segrete di quanti, madri epadri, giovani e anziani, portano la vita quotidiana condignità e sacrificio, con grande umile eroismo. Quantoeroismo circola nelle nostre strade, nelle case della nostra

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città, nel nostro popolo, quanto eroismo nell’umiltà dellecoscienze e della vita quotidiana, quanto eroismo. Lafedeltà del matrimonio, l’educazione dei figli, la cura deimalati, propri o di nessuno, il duro e onesto lavoro, ilservizio ai poveri che popolano la nostra città, il serviziosenza neppure la pretesa di servire, sono le meraviglie diDio, sono come tante fiammelle che risplendono.

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Schegge d’eternità

«Forse che il fine della vita è vivere?Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questamiserabile terra?Non vivere, ma morire [...] e dare in letizia ciò che abbiamo.Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna![...]Che vale la vita se non per essere data? E perchétormentarsi quando è così semplice obbedire?»

Paul Claudel È un sabato pomeriggio d’estate del 2010. Siamo nel giardino

della Casa dei risvegli. Il prato, la brezza fra gli alberi e gliuccellini sarebbero idilliaci, ma qua e là diversi giovani stannosulle loro carrozzine, con i parenti o gli amici attorno. E il lorodolore dentro.

Si avvicinano a noi due suore vestite di bianco. Si presentanocon un sorriso e ci dicono che vorrebbero salutare Caterina.

Suor Arcangela, questo il nome di una delle due sorelle, cispiega che hanno seguito la nostra vicenda e che ci sono vicine conla preghiera. Hanno un bel volto sereno e cordiale.

Appartengono all’ordine fondato da don Giuseppe Nascimbenie da suor Maria Domenica Mantovani (entrambi beati), sono lePiccole suore della Sacra Famiglia che negli ospedali bolognesihanno svolto un lavoro eccezionale e tuttora gestiscono la Casa dicura Madre Toniolo.

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«Eravamo anche qui» dice suor Arcangela, indicandol’Ospedale Bellaria (l’ex Pizzardi) che sta proprio davanti alla Casadei risvegli. Incuriosito chiedo il perché e il quando. Cosìscoprimmo dalle suore una storia (sconosciuta a tutti) che ci lasciòstupefatti e commossi, avvenuta proprio fra le mura diquell’ospedale.

In pratica si può sintetizzare con un’istantanea: è la storia di 40ragazze che hanno consapevolmente accettato di morire – per dipiù con atroci sofferenze – per poter curare e (letteralmente) serviredegli ammalati gravi che neanche conoscevano.

Nessuno, nell’Italia che conta, che parla e scrive, sembra si siamai accorto di queste giovani donne straordinarie. Forse perchéerano delle suore? Eppure è accaduto tutto alla luce del sole,addirittura in un’istituzione pubblica di una città importante eattenta ai valori civili (e alla «questione femminile») comeBologna, dove queste ragazze sono vissute e morte fra il 1930 e il1960.

Ecco come si svolsero i fatti. Tutto cominciò ai primi delNovecento quando il marchese Pizzardi, già sindaco della città,donò all’amministrazione degli ospedali il suo patrimonio con loscopo che fosse «costruito un nuovo ospedale con separato repartoper tubercolotici, in località possibilmente lontana da centriabitati»52.

Nacque così a Bologna l’Ospedale e Sanatorio Carlo AlbertoPizzardi, attuale Bellaria, aperto nel 1930 per l’assistenza e la curadelle malattie polmonari, in particolare per tubercolotici.Prevedeva ben 480 posti letto, ma poi i degenti superarono i 600. IlPizzardi, oltre ai lasciti per l’ospedale, «per disposizionetestamentaria stabilì che la sua sepoltura fosse uguale a quella dei

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più poveri fra i poveri»53.Perché tanta attenzione alla tubercolosi? Perché la Tbc era a

quel tempo una malattia mortale, inoltre era assai diffusa,soprattutto dopo la Grande guerra, ed era contagiosissima (sicontraeva per via aerea, anche con uno starnuto, quindi era moltopiù pericolosa, per esempio, dell’Aids di oggi).

La Tbc restò un pericolo pubblico fino agli anni Cinquanta,quando arrivarono dei farmaci capaci di debellare questa malattia eabbatterne enormemente la mortalità.

Ebbene, aprendo l’Ospedale nel 1930, fu richiestadall’amministrazione degli ospedali di Bologna la presenzanell’istituto delle Piccole suore della Sacra Famiglia, per la loro«pietosa missione», cioè per assistere come personaleinfermieristico i degenti.

Arrivarono subito 55 suore e poi, nel corso degli anni, il loronumero giunse fino a 95. Avevano la qualifica di infermierediplomate e infermiere generiche (in totale, dal 1930, hanno servitoal Pizzardi 574 religiose).

Il primo maggio dello stesso anno, le suore arrivarono agarantire assistenza giorno e notte, a continuo contatto con imalati. A quel tempo le suore–infermiere provvedevano a tutto,pure a lavare i pavimenti dei lunghi corridoi, durante il turno dellanotte.

Queste ragazze erano tutte consapevoli di andare a vivere, e aservire, in un ambiente ad altissimo rischio. Infatti delle centinaiache dettero la loro disponibilità e lavorarono lì, circa 40, comeabbiamo già detto, contrassero la Tbc morendone: 32 di loro sonodecedute in età compresa fra 25 e 35 anni. Vorrei sottolineare che sitrattava oltretutto di una morte dolorosa e drammatica. E tuttequeste giovani suore e oblate lo sapevano.

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Nella convenzione che fu stipulata, l’amministrazione degliospedali, considerata la pericolosità della missione, si impegnava,fra l’altro, a «concedere visite mediche» e, in caso di contagio, a«fornire loro i medicinali e in caso di morte un modesto funerale».

Mi dice il dottor Giuliano Rossini, che lì lavorò per anni e futestimone dell’eroismo delle suore, che in quell’ambiente terribile«era più facile che si ammalassero i sani piuttosto che guarissero imalati».

Oltretutto il lavoro delle suore fu reso molto duro dal fatto che idegenti erano in gran parte giovani e il clima spesso turbolento.Erano all’ordine del giorno le proteste per il cibo e perfino per ilfatto che il personale addetto all’igiene dei letti e della biancheria,al cambio di stagione, si proteggeva con una mascherina (a queltempo non esistevano mezzi per disinfettare né lavatrici edelettrodomestici). Era ritenuto offensivo.

Anche quando finalmente arrivarono i farmaci per la cura dellaTbc ci furono momenti drammatici. All’inizio infatti lastreptomicina non bastava per tutti, ma com’è ovvio tutti lavolevano e questo provocava manifestazioni e tumulti.

Negli anni Quaranta e Cinquanta il clima si surriscaldòulteriormente per motivi politici (si formò pure una Commissionedegenti). Le suore dovevano moltiplicare i loro sforzi permantenere un clima sereno, mentre soccorrevano i malati in tutte leloro sofferenze, spesso in situazioni molto critiche.

Il dottor Rossini che le vide all’opera ha lasciato scritto in unamemoria conservata negli archivi: «Non meno grave era la emottisi,specie se soffocante, scioccante non solo per il malato, ma ancheper chi doveva assistere e provvedere con gli scarsissimi mezzidisponibili. Terribile a vedersi e molto di più “intervenire”. In queimomenti mi veniva di pensare: “Oh sante suore, quale amore vi

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tiene inchiodate a quel letto di sofferenza inesprimibile pur diaiutare, salvare quel ‘prossimo’ che forse in altri momenti era statopoco riguardoso o indisciplinato!”. Le suore non tenevano davveroconto del rischio personale o interesse umano alcuno; quante diloro riposano nel cimitero di Castelletto perché avevano contrattola malattia nell’adempimento del loro servizio».

Quale amore, si chiede il dottor Rossini? Sulla rivistadell’ordine suor Arcangela Casarotti risponde: «Le suore inviate alPizzardi di Bologna avevano ben scolpito nella mentel’insegnamento dei Fondatori: “Se nei casi di epidemia, fossenecessario mettere in pericolo anche la vita, io mi immagino cheanche al presente, com’è successo in altri tempi, le Suore del nostroistituto andrebbero a gara per offrirsi vittime della carità. Memoridelle parole del Divino Maestro: ‘Non v’è maggior carità che didare la vita per i propri fratelli’”».

Le suore aiutavano centinaia di malati, perlopiù giovani, nonsolo nelle loro sofferenze fisiche, ma anche in quelle morali. Lasituazione psicologica di tanti giovani ammalati infatti era tale chea volte alcuni arrivavano fino al suicidio. Le religiose li aiutavanoa non lasciarsi andare alla disperazione di una malattia gravissima edi una degenza molto lunga.

Suor Arcangela in quello stesso articolo ha pubblicato qualchememoria dei malati di allora. Liliana per esempio scriveva: «Hopassato tre anni molto belli al Pizzardi pur essendo lontano dallafamiglia perché ero ammalata. Le suore con noi malati avevano unrapporto molto familiare. Esse cercavano in ogni modo di aiutarci amangiare e di alleviare le sofferenze. Quante volte le ho vistepiangere di nascosto per le condizioni gravi dei malati! Io credoche la medicina fece molto per curarmi, ma molto contribuironoanche le parole di conforto e di incoraggiamento delle suore nei

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momenti più tristi».Anche fra i malati vi furono suore che testimoniarono l’ardore

per Gesù Cristo fino all’incredibile. Come suor Maria Rosa Pellesi,Francescana Missionaria di Cristo, che è stata recentementebeatificata.

Suor Maria Rosa in pratica ha trascorso tutta la sua vitareligiosa in ospedale. Una singolare e drammatica missione quellaaffidatale da Dio. Infatti è stata 27 anni ricoverata in sanatorio dicui 24 proprio al Pizzardi. Era una persona straordinaria e morì infama di santità.

Mi dice il dottor Rossini: «Fu, a mio modo di vedere, unmiracolo vivente perché non aveva un organo sano, la tubercolosiaveva devastato il suo corpo. Svolse la sua missione in offerta a Dioper il bene di tutti gli uomini».

Suor Maria Rosa scriveva: «Ho iniziato la mia vita di sanatoriopiangendo; ma ho chiesto al buon Dio di terminarla cantando lesue misericordie e sento che sarò esaudita».

Dopo che ne scrissi su «Libero», nel 2010, mi arrivò la mail disuor Maria Gabriella Bortot, a quel tempo Superiora generale delleSuore Francescane Missionarie di Cristo, che sono appunto leconsorelle della Beata Maria Rosa.

Mi ringraziava per quanto avevo raccontato anche sulle suoreinfermiere, per «la squisita sensibilità nei confronti di questi tocchid’ala d’angelo sui tetti rossi di Bologna». E aggiungeva:

L’ho letto con commozione ma, proprio quel giorno, la visita

alle nostre Missioni d’Etiopia mi ha impedito di scriverLe subito.Eccomi solo ora, con l’intensità di cuore di un mese fa.

L’articolo suo mi ha profondamente toccato... Suor Maria RosaPellesi è un esempio fulgido di «paziente»... Ha saputo trasformare

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la sua sofferenza in un canto d’amore alla Trinità. Mi piacechiamarla Profumiera del Gran Re perché amava con slanciraffinatissimi Colui che la conformava a Sé con patimentiindicibili (pensi, solo che il dottor Rossini ha conteggiato nellasua cartella clinica più di 1700 toracentesi!)54. La beata MariaRosa Pellesi era affezionatissima alle sue suore infermiere ed essela consideravano della loro Famiglia. Quanto fulgore nascosto!Speriamo che venga dedicata loro se non una strada almeno unsentierino, metafora della loro vita e della loro via che portadritto al Paradiso.

Erano semplici ragazze, con le loro storie e le loro speranze, che

lasciarono la famiglia prima per la promessa della vocazione, poiper una missione che le esponeva al martirio.

Suor Celiana Spoldi si ammalò al Pizzardi di Tbc e lasciò laTerra per il Cielo il 22 agosto 1945. La sua povera mamma avevagià perso il marito in guerra e l’altra figlia a causa della meningite.Questa donna straordinaria, alla notizia della figlia malata, si offrìdi lavorare al suo posto, ma per salvaguardarla questo desiderionon fu esaudito55.

Suor Eufrasia Zancan (1919-1998) rimase al Pizzardi fino al1986. Lasciò con grande serenità il suo ruolo di responsabile delreparto durante il passaggio di gestione da Pizzardi a Bellaria.

Nell’immagine del suo cinquantesimo anniversario di vitareligiosa, volle far scrivere le parole di santa Teresa d’Ávila: «Nullati turbi, nulla ti sgomenti, tutto passa, Dio non muta! A chi possiedeDio, nulla manca, Dio solo basta». Di lei raccontano, in unapubblicazione della congregazione, che «portò avanti il suoservizio infermieristico in un quotidiano che sapeva di eroismo».

Anche suor Federica si ammalò di Tbc e ne morì. Il reverendo

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don Albino, suo padre spirituale, al funerale così la descriveva:«Voleva la preghiera, l’amava, la gustava. In ogni difficoltà, comein ogni giorno, il suo ricorso era la preghiera. [...] Il suo dolorepossedeva una qualità personale: dimentica delle propriesofferenze aveva una capacità straordinaria di far sue le sofferenzealtrui».

Suor Zanila morì a 26 anni. Arrivata al Pizzardi si ammalò econdivise la stanza con la giovane suor Alceste. Il padre di Zanila,vedovo, l’aveva lasciata entrare in convento per la sua felicità.Quando seppe che la figlia stava morendo fu «disgustato» dal fattoche ella prestasse servizio ai tubercolotici. Al capezzale suor Zanilagli disse: «Papà, ti ricordo che quando son partita mi hai detto chemi lasciavi andare perché fossi contenta. Ora devi essere contentote, perché vado dalla mamma».

Dopo mezz’ora morì anche la sua consorella Alceste.Leggiamo, infine, le parole di suor Nardina che, prossima alla

morte, scrive ai genitori: «Miei cari, siate forti, non ribellatevi allavolontà di Dio è [...] sono sempre stata contenta di essere inconvento, mi sentivo tanto felice di essere tutta del Signore! Forsetroppo felice... allora Gesù ha voluto unirmi di più a Lui con questamalattia e adesso vuole che io vada in Paradiso, posso dire di no almio Gesù? Con la grazia e l’aiuto Suo faccio volentieri questosacrificio e gli offro i miei 22 anni con tanta pace e gioia in cuore,no... non sono avvilita e triste, anzi! [...] Gesù mi chiama e iobisogna che vada in Paradiso!»56.

Suor Erminia M. Sinigaglia – che ringrazio per la testimonianza– arrivata al Bellaria nel 1967, ha un ricordo per ognuna delleconsorelle che l’hanno educata e preceduta: suor Vitaliana,Paolina, Delfides, Vivina, Virginia Maria, Renata, Stanislaa,Emiliangela, Bonifacia, Anna, Colombana, Eufrasia, Ubaldina.

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Ogni nome, a noi sconosciuto, coincide con una storia, untemperamento, un gesto scolpito nella sua memoria. Le ricordacitando il loro Fondatore, Giuseppe Nascimbeni che ripetevasempre: Caritas Christi urget nos.

Questo eroismo e il martirio di tante ragazze, consapevolmenteaccettato, sono rimasti nell’ombra fino ai giorni nostri. Nessuno haraccontato al mondo la storia delle suore del Pizzardi e ne hacelebrato la grandezza. Di loro ho trovato qualche notizia solo inpubblicazioni dell’ordine e qualche rapido cenno in volumicelebrativi, a ristretta diffusione.

Oggi i media trasformano in divi e miti certi personaggi soloperché canticchiano, tirano calci a un pallone o appaiono in tv,mentre nessuno fa conoscere ragazze così straordinarie e la lorostoria, che svela con quale grandezza si possa spendere la vita.

D’altra parte siamo appena usciti da un secolo in cui sono statiacclamati e glorificati personaggi terribili: a Bologna esiste tuttoraun viale intitolato a Lenin, un tiranno che ha fondato il regime deigulag dove sono stati massacrati milioni di innocenti. Manemmeno un vicolo ricorda queste giovani eroiche che hanno datole loro esistenze per gli ammalati della città.

Perché? Erano delle ragazze innamorate di Cristo, che – proprioper amore di Lui – dedicarono tutta la loro esistenza ai sofferenti,anche a costo delle loro giovani vite. Ma questo non fa notizia.

Forse perché, essendo suore, appartenevano, secondo i nostricriteri mondani, a una categoria umana di serie B? O a unacategoria che è tenuta a sacrificare la propria vita per noi? A volte,a considerare come il mondo tratta i cristiani, viene in mente lafrase di san Paolo: «Siamo diventati come la spazzatura del mondo,il rifiuto di tutti»57.

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Probabilmente anche in altre città e altri ospedali vi sono statesimili storie di eroica carità cristiana che aspettano di essereconosciute. Perché la presenza della suore e più ampiamente lapresenza della Chiesa accanto ai sofferenti, per portare loro lacarezza del Nazareno e per alleviare i loro dolori, è una storiaimmensa e tuttora misconosciuta.

Eppure parla, anzi grida più di tante parole. Che delle ragazzedi vent’anni scelgano la verginità, la povertà, il servizio aisofferenti fino al martirio è la prova che Gesù è veramente risorto.La prova più commovente e sconvolgente.

Annuncia al mondo quello che ogni essere umano cerca easpetta: un amore incondizionato, gratuito e totale. Come dice ilvespro di Natale: «Tutta la Terra desidera il Tuo volto».

Perfino il simbolo di tutti i mangiapreti, Voltaire, dichiarò lasua ammirazione davanti a questo immenso e millenario spettacolodi amore, soprattutto di tante giovani donne cristiane: «Non vi èforse nulla di più grande, sulla terra, del sacrificio della giovinezzae della bellezza compiuto dal gentil sesso – giovani spesso dinobili natali – al fine di poter lavorare negli ospedali perl’alleviamento della sofferenza umana. La vista del qual sacrificio ècosa rivoltante, per il nostro animo delicato. Gli individui che sisono staccati dalla religione romana hanno imitato in modo assaiimperfetto un così alto spirito di carità»58.

Dopo la scoperta della storia dell’ospedale Pizzardi è nato unbel legame di amicizia e di stima con suor Arcangela e le altre suoredel Toniolo, casa di cura in cui, per alcuni giorni, è stata ospitataCaterina stessa. Così abbiamo potuto vederle all’opera, con la loroluminosa cordialità, la loro professionalità, la bontà e il gusto delbello, che in una casa di cura è anche una forma di carità.

Ho pensato con tristezza alle cliniche di oggi in cui si soffre e si

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muore senza un segno cristiano, senza la carezza di una suora e labenedizione di un sacerdote. Vorrei gridare anche alla Chiesa dinon abbandonare mai gli ospedali, di non lasciare mai soli isofferenti e soprattutto i morenti che vivono gli istanti piùimportanti e decisivi della loro esistenza.

Che tutti i morenti abbiano la carità di una preghiera che liaccompagni davanti al trono dell’Altissimo, a quel porto per ilquale sono nati. Che tutti gli esseri umani abbiano questa carezzadi misericordia, perché non è umano morire senza.

Le suore sono forse il segno più dolce di questa misericordia. Soben io a quanti monasteri di clausura (di clarisse, di trappiste, diagostiniane e carmelitane), a quante sorelle di ogni ordine di vitaattiva, dobbiamo gratitudine, per tutta la vita. Che immenso fiumedi preghiera il loro!

«Le chiedo una preghiera per mia figlia» avevo detto a suorMaria Gabriella Bortot alla fine di una mia mail. E lei:

Per delicatezza, non avevo nominato la sua dolce Caterina −perché nulla duole maggiormente dell’udire il nome amato nellabufera − ma ora posso dirle che Caterina... è di casa tra noi. Èproprio quel nome da voi «adorato» che è scritto accanto alsepolcro della nostra Beata. Caterina è nominata nella NovenaContinua che facciamo qui, nella Casa Madre, dal giorno dellaBeatificazione di suor Maria Rosa, i cui resti mortali − schegge dieternità − riposano nella nostra Cappella. La prova di Caterinasta passando di mano in mano, di cuore in cuore. Grazie, carodottor Socci, per avere fatto udire il suo urlo di dolore e il suocanto di speranza: dai monti alle valli scorrono come brivido dibene che implora la ripresa completa.

Faccia a Caterina, La prego, una carezza per me.

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È bello ascoltare suor Maria Gabriella. E mi emoziona quando

parla dei resti mortali della Beata Maria Rosa come «schegged’eternità». E aggiunge: «Ci sono stati consegnati dalla Chiesaperché ogni alba fosse accolta come invincibilmente nuova».

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Atto di speranza

«E quando scenderàdei rischi che verranno la paurastringiTi in noie stringi noi in Te.Facci realtà santarealtà paziente, realtà sicura.E fa’ che noi si siapietra di caritàche oltre la morte dura».

Giovanni Testori Caro Antonio,scusami se mi permetto di darti del tu, ma ti sento come l’amico

della porta accanto, come un fratello, in cui confidiamo e di cuiabbiamo la massima stima e fiducia, anche se io, pur fermamentecredente, devo ammettere umilmente di non aver sempre vissuto unrapporto intenso e partecipativo con la Chiesa.

Ti scrivo perché sto vivendo, alla soglia dei miei 65 anni, ilmomento più travagliato e sconvolgente della mia vita, sia nelcorpo che nell’anima, poiché colpito da un male che spesso nonperdona (ho già delle metastasi), e inoltre mia moglie da tempo èsofferente di depressione, quindi puoi immaginare quanta sia lamia preoccupazione, specialmente per lei che rischia di rimaneresola (non abbiamo figli), così debole e fragile.

Pochi giorni fa, prima del Santo Natale, ho ricevuto per donoda un caro amico il tuo bellissimo libro su tua figlia Caterina e il

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dramma e la lotta che hai dovuto affrontare, con l’aiuto e la forzadella fede e della speranza.

Leggendolo ho provato delle emozioni profonde che hannolasciato il segno nella mia anima smarrita, ho ritrovato sollievocon la preghiera, il cielo cupo della disperazione è stato comesquarciato dalla luce degli occhi di Maria Santissima, il cielo si èrasserenato dandomi speranza, ho sentito i suoi occhi su di me eho pianto, ma è stato un pianto terapeutico e corroborante,specialmente quando ho sentito su Internet la voce dolcissima esublime di Caterina quando canta Ojos de cielo.

Anch’io, in un primo momento, mi son domandato perchéproprio io? Perché tanta sofferenza dopo che tanto avevo soffertodurante la mia adolescenza?

Con il tuo libro ho capito che anche gli eventi dolorosi hannosenso, fanno parte di un disegno divino non contro l’uomo, ma peril riscatto dell’uomo stesso, che l’amore può vincere il dolore, checome Cristo si è fatto inchiodare sulla croce per amore nostro eper salvarci, così noi dobbiamo avere la forza e il coraggio diportare la nostra croce, con la fede e la speranza che tutto nonsarà vano. Anche perché la morte, se dovesse accadere, non è altroche un passaggio breve e obbligato di un più lungo percorso dellanostra vita e dell’anima, che ci dovrà trovare pronti e speranzosinell’abbraccio misericordioso di Cristo, della Madonna e deinostri cari scomparsi prima di noi e che potremo rivedere.

In questo momento mi sento come un bambino speranzoso efiducioso, preso per mano da Maria Santissima, che mi guidalungo la retta via e mi dice: «Chiedi che ti sarà dato, prega e abbifede poiché sarai premiato, supplicami e io ti ascolterò eintercederò per te».

Sono pronto ad accettare tutto, però continuerò a pregare e achiedere pietà a Maria Madre di Dio, affinché, come Caterinanella sua canzone quando dice «occhi di cielo, occhi di cielo, non

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abbandonarmi in pieno volo...», possa continuare il mio camminodi vita, non solo per me, ma anche per mia moglie che ha bisognodi aiuto e di un po’ di serenità nel cuore, dandole il coraggio e laforza di affrontare la vita, qualunque cosa succeda.

Vorrei inoltre continuare ad adoperarmi per gli altri etestimoniare l’amore di Cristo, come ho sempre cercato di fareumilmente e con impegno nella mia lunga attività di sindacalistanel mondo agricolo, da cui orgogliosamente provengo, ancoralegato a profonde radici cristiane, basate sulla solidarietà el’amore per il prossimo.

Tra le tante preghiere che ho trovato sul libro, e che mi hannoparticolarmente toccato, c’è quella di san Germano alla Madonna,che io ho prontamente trascritto e che porto sempre con me e di cuiho fatto delle fotocopie che poi ho inserito insieme agli augurinatalizi che ho spedito a parenti e amici.

Come vedi, caro Antonio, niente avviene per caso, dietro c’èsempre un disegno Divino. Dal dono del tuo libro, fruttodell’amore e della sofferenza per Caterina, è scaturito tanto bene,tanta fede e tanta speranza, come pure tanti ravvedimenti percoloro che non credono e sono scettici, spesso accecati dal falsoedonismo e da cose fatue.

Come diceva umilmente, ma virtuosamente, Madre Teresa diCalcutta, che si paragonava a una semplice goccia del mare,anche noi uomini non siamo altro che dei piccoli atomidell’universo, creati da Dio, a Sua immagine e somiglianza, per farconoscere la parola di Cristo e cercare di amare il prossimo comenoi stessi, accettando ognuno la propria croce e far sì che il benevinca sul male.

Ti ringrazio di cuore per le emozioni e la speranza che mi haisaputo dare.

Scusa se mi sono permesso di scriverti e anche per il nonperfetto italiano, ma il desiderio e il beneficio che ho provato era

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troppo grande e mi sentivo in dovere di farti partecipe dei mieisentimenti di riconoscenza.

Vi abbraccio affettuosamente, te e la cara figlia Caterina,sperando che ritorni a «volare» cioè a cantare e raggiungere, conl’aiuto di Dio e della Madonna, gli obiettivi che si era prefissati.

Non vi dimenticherò nelle mie preghiere, e vorrei tanto, se lasalute me lo permetterà, andare in pellegrinaggio alla Madonnadi Medjugorje e inginocchiarmi ai Suoi piedi perché interceda perme e per tutti coloro che soffrono e che sperano in Lei.

Italo di Stazzema

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In morte di un amico

«Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto,oppure anni, e poi la vita risponde».

Alessandro Baricco Caro Antonio,sono una ragazza di 24 anni di Pisa. Ho iniziato a leggere il

tuo libro [su Caterina, nda] spinta da mia madre, perché daquando un anno fa è morto il mio amico Giacomo, mio coetaneo,ho tante domande irrisolte.

Sarò sincera, ogni pagina del tuo libro mi ha sconcertato. Laforza, la speranza, la fermezza con cui hai vissuto e vivi questigiorni di difficile cammino verso la guarigione di Caterina sonoimpressionanti.

Io sono ancora qui a chiedermi perché sia morto un ragazzo a23 anni, perché sia stato scelto proprio lui, e tu affronti tuttoquesto periodo di sofferenza senza mai sentirti abbandonato, anzila tua fede si è rafforzata ancora di più.

Mi viene da chiederti come può un padre affrontare tuttoquesto con la sicurezza che niente di tutto ciò che accadrà sia unmale per sua figlia!? Credimi, le mie non sono parole di critica oun attacco, ma parole di ammirazione.

La mia fede vacilla tantissimo tra la disperazione per quelloche è accaduto e la preghiera perché Giacomo sia sereno lassù nelCielo e, da quando ho conosciuto la tua storia, ché Caterinaguarisca.

Scusa se sono stata indiscreta o invadente nel dirti alcune frasi

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ma sono veramente sconcertata.Ti auguro che Caterina possa tornare a cantare Ojos de cielo a

gran voce perché sono sicura che in lei ci sia qualcosa di grande,altrimenti non avrebbe dato a una famiglia come voi così tantaforza per vivere questo momento..

Vi ricordo nelle preghiere, con affettoElisa

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Appunti su «sorella morte»

«Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono,loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano aibambini che i draghi si possono sconfiggere».

Gilbert Keith Chesterton Le domande di Elisa sono drammatiche e vere. Chi e come può

rispondere? Dalla notte dei tempi la morte è l’incubo di noi uominiche ci definiamo allo stesso tempo «i viventi» e «i mortali».

Confesso di sentire la morte – insieme al dolore della vita, chene è un’anticipazione – come una profonda ingiustizia. È aberrante.

Noi non siamo fatti per la morte e per la sofferenza. Tutta la vitaè una promessa di felicità.

E invece ci tocca la sciagura. È umano allora avvertire – comeLeopardi che seppe trovare le parole più belle – lo scandalo diquesta delusione e la ribellione istintiva, soprattutto di fronte allasofferenza degli innocenti.

Credo che se non si sente su di sé tutta l’infelicità della nostracondizione, tutta la sua ingiustizia, se non si grida con le nostrelacrime, se non si chiama dolore il dolore e morte la morte, non sipossa neanche accogliere con stupore e vera gratitudine il Verbo diDio venuto a morire per noi, proprio per sconfiggere la morte e ildolore.

Se siamo così anestetizzati da non patire l’incombere delletenebre non si saprà neanche accogliere la grazia, cioè la luce cheun giorno si è accesa in queste tenebre. E che ogni giorno si

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riaccende per ciascuno di noi.Perché è accaduto qualcosa nella storia dell’uomo. Un fatto.

Qualcosa, anzi, Qualcuno che ha capovolto tutto, che avanza lapretesa di salvarci e – come dicevo – perfino di sconfiggere lamorte e il dolore: Gesù di Nazaret.

Innanzitutto è il miracolo della sua umanità che ci affascina e cifolgora, in qualunque condizione noi ci troviamo, in qualunquestato d’animo o situazione di vita. È lo stupore per la suacompassione, la sua diversità, la sua potenza e la sua bontà.

Perché Lui e solo Lui ha la capacità di farci vivere anche la piùdura sofferenza senza esserne sopraffatti e ha anche il potere suogni cosa, fino al miracolo che sana.

«Dio non è venuto a spiegare la sofferenza. È venuto a riempirladella Sua presenza» diceva Paul Claudel. Dio non è venuto a farechiacchiere o sermoni sulla sofferenza altrui. È disceso dal Cieloper sorreggerci, per caricare noi stessi sulle sue spalle, per mostrarciche Lui vince ogni male in noi e per prendersi sulle spalle tutti ipesi di ciascuno.

Per questo a un certo momento della storia, nello sguardo, nelcuore e nelle parole degli uomini è cambiato qualcosa di essenzialea proposito della morte.

Se da qualche remoto pianeta venissero un giorno a studiarel’avventura umana, scoprirebbero che da un certo momento deltempo in poi alcuni uomini, per grazia, cioè per una forza che nonveniva da loro stessi, hanno cominciato a ragionare come se lamorte fosse stata spazzata via o comunque – pur nel dolore – comese fosse stata vinta.

Da allora il giorno della morte è stato chiamato,paradossalmente, dies natalis. Perché è considerato l’inizio dellavita vera.

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E orizzonti diversi si sono aperti e parole nuove sono statepronunciate:

Se mi ami non piangere!Se tu conoscessi il mistero immenso del Cielodove ora vivo; se tu potessi vedere e sentirequello che io vedo e sentoin questi orizzonti senza finee in questa luce che tutto investe e penetra,tu non piangeresti se mi ami.Qui si è ormai assorbitidall’incanto di Dio e dai riflessidella sua sconfinata bellezza.Le cose di un tempo,quanto piccole e fuggevoli, al confronto!Mi è rimastoun profondo affetto per te;una tenerezza che non ho mai conosciuto.Ora l’amore che mi stringeprofondamente a teè gioia pura e senza tramonto.Mentre io vivonella serena ed esaltante attesa,tu pensami così!Nelle tue battaglie,nei tuoi momentidi sconforto e di stanchezza,pensa a questa meravigliosa casa,dove non esiste la morte,dove ci disseteremo insieme

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nel trasporto più intenso,alla fonte inesauribiledell’amore e della felicità.Non piangere piùse veramente mi ami!59

Padre Giacomo Perico in queste righe dunque demitizza la

morte considerandola una momentanea separazione, con laprospettiva del ritorno delle persone amate alla casa del Padre, allafelicità per sempre.

Un genio assoluto della musica come W.A. Mozart ha dato lastessa testimonianza con il suo Requiem. Lo ha sottolineato, nel2010, in un suo discorso Benedetto XVI:

In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ognifrase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anchegli opposti sono riconciliati e la mozart’sche Heiterkeit , la«serenità mozartiana», avvolge tutto, in ogni momento. Èun dono questo della Grazia di Dio, ma è anche il fruttodella viva fede di Mozart, che – specie nella sua musicasacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amoredivino, che dona speranza, anche quando la vita umana èlacerata dalla sofferenza e dalla morte.

Il papa citava poi l’ultima commovente lettera scritta il 4 aprile

1787 da Mozart al padre morente:

[...] da qualche anno sono entrato in tanta familiarità conquest’amica sincera e carissima dell’uomo, [la morte], che lasua immagine non solo non ha per me più nulla di

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terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzantee consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso lafortuna di avere l’opportunità di riconoscere in essa lachiave della nostra felicità. Non vado mai a letto senzapensare che l’indomani forse non ci sarò più. Eppurenessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che incompagnia io sia triste o di cattivo umore. E di questafortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l’auguro ditutto cuore a ognuno dei miei simili.

Racconta Thomas Merton che il grande teologo protestante

Karl Barth, che amava la musica di Mozart, era sempre statoossessionato dal cattolicesimo del genio salisburghese. Mozartinfatti sosteneva che «il protestantesimo è roba per il cervellosoltanto» e che «i protestanti non capiscono che cosa vuol direAgnus Dei qui tollis peccata mundi»60.

La dolce e commovente musica del suo Agnus Dei ce lo facapire. Ci fa sentire che quando Gesù entrava in un luogo, duemilaanni fa, tutto cambiava. Così è accaduto nella storia umana. E cosìavviene oggi, quando entra nella vita di un uomo: tutto s’illumina,anche la morte perde il suo cupo corteo di disperazione e – damacabra fossa di tenebre – si fa umile porticina dell’Eternità,dell’amicizia di Gesù e dei suoi santi, della felicità per sempre.

Non più crudele strega, ma piccola serva di Dio. Non piùmaledizione, ma «sorella morte», come la chiamava san Francesco.

E io devo testimoniare ciò che ho visto: qualcosa distraordinario, nell’ordinaria vita degli uomini sulla Terra. Ognigiorno storie inaudite di persone comuni, ogni giornodimostrazioni di fede e di amore più forti delle difficoltà della vita,

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del dolore e anche della morte.Sono proprio vere le parole che Benedetto XVI pronunci ò a

Loreto, al raduno dei giovani, il 2 settembre 2007:

Con amore e convinzione ripeto a voi, giovani qui presenti,e attraverso di voi, ai vostri coetanei del mondo intero: nonabbiate timore, Cristo può colmare le aspirazioni più intimedel vostro cuore!Ci sono forse sogni irrealizzabili quando a suscitarli e acoltivarli nel cuore è lo Spirito di Dio? C’è qualcosa chepuò bloccare il nostro entusiasmo quando siamo uniti aCristo?...Lasciate che questa sera io vi ripeta: ciascuno di voi, se restaunito a Cristo, può compiere grandi cose. Ecco perché, cariamici, non dovete aver paura di sognare a occhi apertigrandi progetti di bene e non dovete lasciarvi scoraggiaredalle difficoltà.Cristo ha fiducia in voi e desidera che possiate realizzareogni vostro più nobile e alto sogno di autentica felicità.Niente è impossibile per chi si fida di Dio e si affida a Lui.Guardate alla giovane Maria!

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Un popolo diverso

«Molto spesso mi viene in mente di percorrere le universitàd’Europa [...] e di mettermi a gridare qua e là come unpazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che caritàcon queste parole: ahimè, quale gran numero di anime, percolpa vostra, viene escluso dal Cielo e cacciatoall’inferno!»

San Francesco Saverio Otto mesi prima del dramma di Caterina, da Firenze avevo

ricevuto una lettera di Marco, che era allora uno studente liceale.Raccontai la sua vicenda in un articolo. Rileggere quella lettera ele mie considerazioni oggi, dopo la prova di questi anni, mi fariflettere molto. La lettera cominciava così:

Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo

respirato un’aria di morte. Stanotte una ragazza che frequentavail terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La seraprima stava andando in discoteca, era in macchina con altriragazzi [...] la macchina si è schiantata contro un albero. Lanostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte.

Marco rievocava altre tragedie estremamente dolorose e poi

riprendeva: Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e

mesi seguenti... Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce

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meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenzafisica o psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti.

Quando mi ha scritto questa lettera, Marco aveva diciannove

anni e frequentava l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua era solouna cronaca consueta, descriveva ciò che accade quando la mortevisita le nostre giornate e soprattutto un luogo di giovinezza comeè una scuola.

Capita che – dopo lo shock di qualche giorno – gli adulti siaffrettino a richiudere quella feritoia spalancata sull’immenso. Unaferitoia che è insieme ferita e finestra sul mistero dell’esistenza.

Ma è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito ecommosso. Marco è un giovane assetato di verità e di una felicitàche non svanisce in un istante, dunque continuava:

Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo

con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema,attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti orimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la lorostoria si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fededi cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo nonpuò darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parolad’ordine del mondo è «essere» e se non sei nessuno o non appari,rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non durapiù di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la seraquando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemiinsormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando,solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che per noicristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella diricominciare una nuova evangelizzazione?

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Mi ha sorpreso leggere queste parole nella lettera di undiciannovenne. Evidentemente Marco ha visto e sperimentatoqualcosa di così bello e grande che non si dissolve davanti al soffiodi sorella morte. Questa parola, «evangelizzazione», indica infattiun volto e un nome, Gesù, che stupisce e commuove, che suigiovani in particolare esercita un fascino più potente perfino delladesolazione della morte. E parla al loro cuore assetato di vita, difelicità, di amore.

Davanti a due milioni di giovani, venuti a Roma per il Giubileodella gioventù nel 2000, Giovanni Paolo II lo disse:

In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; èLui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello chetrovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae. È Lui che viprovoca con quella sete di radicalità che non vi permette diadattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre lemaschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nelcuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. ÈGesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vitaqualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiutodi lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio diimpegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voistessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Parole bellissime che in fondo sono la vera chiave di lettura di

tutte le storie di questo libro. Parole che illuminano l’eroismo ditanti giovani. Cosicché si comprende perché quella degli amici diGesù sia la più bella gioventù, la primavera del mondo, l’inizio delRegno del Figlio di Dio qui sulla Terra.

La lettera di Marco continuava così:

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Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare

Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire,non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via,dalla nostra parrocchia. È necessario far conoscere alla miagenerazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire perognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Possoassicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi. Pergrazia divina, i miei genitori sono entrati a far parte del Camminoneocatecumenale più di trent’anni fa e questo ha permesso checrescessimo nella fede. Personalmente questo Cammino mi hapermesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei meriti, maper come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuolesolamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostraparrocchia ci siamo ritrovati davanti a tante morti umanamenteassurde, ma paradossalmente le famiglie implicate in queste mortihanno risposto con l’Amore...

A questo punto Marco iniziava un resoconto sconvolgente di

vita quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hannoattenzione più ai gossip che alla concreta realtà, esistono uomini edonne ignoti ai media con una certezza e un amore più forti dellamorte.

Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore

al cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari enon ha conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tuttequeste assurdità, ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorrisoche portava con sé arrivando al catechismo, anche dopo aver fattola terapia. Dalla sua morte, il nostro gruppo di catechismo haricevuto la grazia di restare unito fino a oggi ed è un vero

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miracolo, pensando a dove possono essere adesso tanti miei amici.Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno dei suoi fratelliniera così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il suo corpoal cimitero, si è messo a gridare ingenuamente di volerloraggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpìtutti i presenti, perché non si era detto «addio» a nessuno, si erasalutato un fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoigenitori e per la bellezza e la gioia di quel funerale molte personesi sono interrogate profondamente e forse lo fanno ancora oggi.Quello che colpisce sempre le persone è che i funerali nella miaparrocchia sembrano matrimoni: i canti sono tutti gioiosi e labara è posta sopra il fonte battesimale, che si trova a terra, perchésimboleggia il passaggio dalle acque della morte alla vita nuova.Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo dalmotorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di suamadre che ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato inParadiso. Sul sagrato, un suo amico mi disse che non erameravigliato della risposta di questa madre alla morte del figlio.Mi disse: «Loro sono religiosi». Queste morti sono state per meuna dura prova perché mi hanno diviso da tanti affetti, mi hannomesso davanti al fatto che non siamo eterni, che possiamo edobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vintada Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, mavorrei che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, atutti i miei coetanei che forse non sanno dare un senso alla lorovita; io però sono uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedoquindi aiuto alla Madre Chiesa, in cui confido perché hosperimentato che è davvero madre, che mi dona il perdono e chedavvero da essa passa la mia salvezza.

Marco proseguiva con un accorato appello alle parrocchie della

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sua città, invitandole ad aprirsi alle esperienze più belle di vitacristiana:

[...] perché so che è difficile vivere da cristiani senza una

piccola comunità che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cuisperimenti il perdono, in cui c’è Cristo... Esorto tutte le parrocchiefiorentine ad aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perchéi giovani sono per strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senzaAmore. La loro vita non ha un senso e noi che siamo il sale delmondo abbiamo il dovere di annunciare loro che Cristo li ama eche possono cominciare a sorridere, possono smettere di fingere,possono piangere senza paura di essere giudicati «deboli»,possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di Cristo.Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loroamici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è soloCristo che ci unisce all’altro.

Non è una testimonianza impressionante?Don Giussani diceva che il cristianesimo «è letteralmente una

cosa dell’altro mondo in questo mondo». In effetti il Paradiso iniziagià qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla fine prende ilsopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e illumina leultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro.

Come fa il mondo a non capirlo, a non abbracciare questa luce?Fra l’altro, devo dire con ammirazione, nel Camminoneocatecumenale – e nella stessa famiglia di Marco, numerosa ebella – in tanti scelgono di abbracciare letteralmente la missione diGesù andando ai quattro angoli della Terra, senza alcuna sicurezzaumana, ad annunciare la salvezza. Con lo spirito di queste parole diSant’Ignazio di Loyola: «Ite, inflammate omnia».

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Il racconto di Marco parla della nostra stessa Terra come di unluogo di missione. E coglie in modo drammatico lo spaesamentodei più giovani e lo smarrimento esistenziale che si fa evidentequando la morte irrompe nelle nostre giornate. È proprio così.

Ma in questi anni ho compreso che c’è qualcosa che fa ancorapiù paura della morte: la vita. O meglio: la vita come cammino.

Si vuole tutto e subito, si è spaventati dalla fatica, dal dolore,dalla prova, dalla necessità di cambiare, si è terrorizzati dall’idea dicadere e di doversi rialzare. Insomma si ha tanta paura della vita.

Eppure così si perde la sostanza stessa della nostra esistenza,perché nulla è più evidente di questo: che la vita è un cammino.

Non sai che la vita presente è un viaggio? Sei forse uncittadino di questa terra?No! Sei un viandante.Hai capito ciò che ti ho detto?Non sei un cittadino, ma un viandante e un pellegrino...La cittadinanza è lassù. La realtà presente è un cammino61.

Ma potrei usare anche le parole di un poeta universale come

Fernando Pessoa per dirlo:

Di tutto restano tre cose:la certezzache stiamo sempre iniziando,la certezzache abbiamo bisogno di continuare,la certezzache saremo interrotti prima di finire.Pertanto, dobbiamo fare:

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dell’interruzione,un nuovo cammino,della caduta,un passo di danza,della paura,una scala,del sogno,un ponte,del bisogno,un incontro62.

Infatti siamo affascinati da chi vive la vita come un cammino.

Perché il suo volto parla di una meta sicura e bella. Abbiamobisogno di uomini e donne indomiti che – vivendo col cuore allanostra patria vera – ci mostrano che non si deve aver paura delcammino della vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché èquesto brevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità persempre.

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Chiara ed Enrico

«La vita è la realizzazione del sogno della giovinezza».Giovanni Paolo II

«“Sacrifice” lascia intendere “ça crie: Fils!”, “si grida:Figlio!”».

Fabrice Hadjadj Anche io – come Czesław Miłosz – centinaia di volte, in questi

anni di faticoso cammino, inginocchiato in chiesa o nei «deserti»che abbiamo attraversato, ho chiesto a Dio un segno, e ho capitoche i suoi segni, anche quelli straordinari, arrivano (quasi) sempretramite un volto umano...

Vieni, Spirito Santo,piegando (oppure no) l’erba,mostrandoti (oppure no) con una lingua di fiamma sul capo,al tempo delle fienagioni, o quando il trattore esce per laprima araturanella valle dei boschetti di noci, o quando la neveseppellisce gli abeti storpi nella Sierra Nevada.Sono solo un uomo, ho quindi bisogno di segni visibili,il costruire scale di astrazioni mi stanca presto.Ho chiesto più volte, lo sai, che la figura in chiesalevasse per me la mano, una volta, un’unica volta.Capisco però che i segni possono essere soltanto umani.

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Desta dunque un uomo, in un posto qualsiasi della terra(non me, perché ho comunque il senso della decenza)e permetti che guardandolo io possa ammirare Te63.

Così a fine settembre del 2012 abbiamo «incontrato» la storia

di Chiara Corbella. In diversi me ne avevano parlato e cosìabbiamo voluto saperne di più.

Attraverso di lei – insieme a Enrico, per la verità, perché erano esono una cosa sola –, attraverso la sua storia, il suo volto, le sueparole, il nostro Salvatore ha confortato, illuminato e rafforzato ilcuore di Caterina e di tutti noi.

Chiara è una bella ragazza nata a Roma nel 1984. La suafamiglia frequenta il Rinnovamento nello Spirito Santo in cuianche lei è cresciuta.

A 18 anni, nel 2002, durante un pellegrinaggio a Medjugorje,conosce Enrico Petrillo, un giovane romano come lei, che frequentail Rinnovamento carismatico cattolico. Chiara si innamora subitodi Enrico e dopo pochi mesi sono fidanzati.

Sono due ragazzi splendidi. Il loro è un rapporto vivace e, comecapita fra giovani, è fatto pure di piccole discussioni e spigolosità.«Nel fidanzamento durato quasi sei anni» ha raccontato Chiara «ilSignore ha messo a dura prova la mia fede e i valori in cui dicevo dicredere». C’erano «momenti di sofferenza e ribellione verso ilSignore perché ritenevo non ascoltasse le mie preghiere».

La vicinanza dei frati francescani di Santa Maria degli Angeli,ad Assisi, aiuta i due giovani a fare le scelte decisive.

Proprio lì, attorno alla Porziuncola, il luogo più caro a sanFrancesco, dove lui è vissuto ed è morto, convengono ogni annocentinaia di giovani alla ricerca della propria strada. Chiara edEnrico frequentano appunto un corso vocazionale con molti altri

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coetanei. Ed è per loro illuminante.Si sposano il 21 settembre 2008 ad Assisi. Presto Chiara si trova

incinta. Ma qui accade il primo dramma. Maria, la bambina cheporta in grembo, ha una grave malformazione per la quale nonpotrà vivere al di là della nascita.

Chiara ed Enrico decidono egualmente di accoglierla, con unamore più grande, sebbene molti si stupiscano e suggeriscano unaborto terapeutico.

La bambina nasce, ma muore dopo trenta minuti. Quel giornoChiara disse ai suoi che non importava la durata di una vita: per leiquella mezz’ora con sua figlia era stata uno dei doni più preziosidella sua esistenza.

«Non tutto va come pensiamo» disse Chiara durante unincontro pubblico. L’ecografia non dava speranza alla bimba, ma«io non me la sentivo di andare contro di lei, mi sentivo disostenerla come potevo. Se, quando aspettavo Maria, avessiabortito, non penso che avrei ricordato il giorno dell’aborto comeun giorno di festa. Invece ricordo la gioia del momento in cui ènata. Alle mamme vorrei dire che conta il fatto di aver avuto ildono del figlio, non il tempo che ci è riservato di stare con lui».

Tuttavia, in quella gioia ci fu anche l’immenso dolore di unapiccola figlia che muore.

«Ho pensato alla Madonna» spiegò Chiara. «Anche a Lei ilSignore aveva donato un Figlio che non era per Lei, che sarebbemorto e Lei avrebbe dovuto vederlo morire sotto la croce. Questacosa mi ha fatto riflettere sul fatto che forse non potevo pretenderedi capire tutto e subito e forse il Signore aveva un progetto che ionon riuscivo a comprendere».

Presto arriva una seconda gravidanza. Incredibilmente anchestavolta si annunciano malformazioni gravi (del tutto diverse e

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indipendenti rispetto a quelle del primo figlio, cioè senza alcunacausa genetica).

È un colpo che fa molto male, ma i due giovani si preparanoegualmente ad accogliere Davide come il loro bimbo amato.

Poi si scopre che anche lui non potrà sopravvivere dopo lanascita. E infatti il bambino muore presto.

Più avanti, nel gennaio 2011, Chiara, in un incontro pubblicodirà: «Il Signore ha voluto donarci dei figli speciali, Maria eDavide, ma ci ha chiesto di accompagnarli soltanto fino allanascita. Ci ha permesso di abbracciarli, battezzarli e consegnarlinelle mani del Padre in una serenità e gioia sconvolgenti».

Quel giorno aggiunse una cosa che scioccò tutti, una nuovagravidanza e una diagnosi di tumore per lei:

«Ora ci ha affidato questo terzo figlio, Francesco che sta bene enascerà tra poco, ma ci ha chiesto anche di continuare a fidarci diLui, nonostante un tumore che ho scoperto poche settimane fa checerca di metterci paura del futuro. Ma noi continuiamo a credereche Dio farà anche questa volta cose grandi».

Il piccolo Francesco è nato sano nel maggio del 2011. Chiara,per non perdere il figlio, ha deciso di non curarsi come il carcinomarichiedeva. Solo dopo il parto ha affrontato l’operazione e ledolorose chemioterapie, nella speranza di essere ancora in tempo.

Invece il mercoledì santo del 2012 ha saputo dai medici che iltumore aveva vinto e lei era in pratica una malata terminale. Chiaraè morta a 28 anni il 13 giugno del 2012. In una lettera al suopiccolo Francesco ha scritto: «Vado in Cielo a occuparmi di Mariae Davide e tu rimani con il papà. Io da lì prego per voi».

Poco prima della «nascita al Cielo» Chiara ha ringraziatodicendo: «Vi voglio bene! A tutti!».

Il funerale non è stato un funerale. C’erano più di mille persone.

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C’era una gigantografia del bel volto di Chiara la quale ha volutoche a ciascuno fosse dato il segno di una vita che comincia: tuttihanno avuto un vasetto con una pianticina.

Lei aveva chiesto che le mettessero il suo vestito da sposaperché stava per essere abbracciata da Dio. Ed Enrico ha cantato dinuovo per lei la canzone che le aveva scritto e cantato per il giornodel loro matrimonio.

Il cardinale Vallini, Vicario del papa, ha detto: «Abbiamo unanuova Gianna Beretta Molla».

Si riferiva alla giovane dottoressa morta nel 1962 e canonizzatanel 2004 da Giovanni Paolo II. Anche lei, incinta, avendo scopertoun tumore all’utero, rifiutò le cure che avrebbero fatto male albambino che portava in grembo e dopo il parto morì.

Un paragone impressionante. Chiara era proprio una ragazza delnostro tempo. Era piena di buonsenso, di buonumore e semplicità.Ma era anche molto leale con la verità. Su Youtube c’è un filmatodi venti minuti dove, col suo simpatico accento romano, raccontal’inizio della sua vicenda64.

A un certo punto dice: «Il Signore mette la verità dentroognuno di noi, non c’è possibilità di fraintendere».

Il marito Enrico, alla richiesta di spiegare queste parole diChiara, ha affermato:

«Quella frase si riferisce al fatto che il mondo di oggi, secondonoi, ti propone delle scelte sbagliate di fronte all’aborto, di fronte aun bimbo malato, di fronte a un anziano terminale, magari conl’eutanasia... Il Signore risponde con questa nostra storia che un po’si è scritta da sola: noi siamo stati un po’ spettatori di noi stessi, inquesti anni. Risponde a tante domande che sono di una profonditàincredibile. Il Signore, però, risponde sempre molto chiaramente:siamo noi che amiamo filosofeggiare sulla vita, su chi l’ha creata, e

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quindi alla fine ci confondiamo da soli volendo diventare un po’padroni della vita e cercando di sfuggire dalla croce che il Signoreci dona. In realtà» ha continuato Enrico «questa croce, se la vivicon Cristo, non è brutta come sembra. Se ti fidi di Lui, scopri che inquesto fuoco, in questa croce non bruci e che nel dolore c’è la pacee nella morte c’è la gioia».

Poi ha aggiunto:«Quando vedevo Chiara che stava per morire, ero ovviamente

molto scosso. Quindi ho preso coraggio e poche ore prima gliel’hochiesto. Le ho detto: “Chiara, amore mio, ma questa croce èveramente dolce come dice il Signore?”. Lei mi ha guardato, mi hasorriso e con un filo di voce mi ha detto: “Sì, Enrico, è moltodolce”. Così, tutta la famiglia, noi non abbiamo visto morire Chiaraserena: l’abbiamo vista morire felice, che è tutta un’altra cosa».

Il padre di Chiara, Roberto, imprenditore, che aveva un incaricoin Confindustria, quando ha saputo che le chemio per la figlia nonavevano dato risultato positivo, ha scritto una lettera con la qualeannunciava di ritirarsi da quell’incarico per stare più vicino allafamiglia «ma anche per fare una scelta di vita: aiutare il prossimo».

In una toccante testimonianza a TV2000 (anch’essa reperibilesu Youtube)65 ha raccontato che, paradossalmente, quando, aPasqua, hanno saputo che non c’era più niente da fare è iniziato«un periodo splendido per la nostra famiglia. Abbiamo vissutoinsieme come mai. Tutti uniti per cercare la salvezza di Chiara, chestando alle sue parole è avvenuta in maniera diversa».

Il signor Roberto ha sussurrato: «Ho imparato da mia figlia chenon conta la durata di una vita, ma come la viviamo. Ho capito dalei in un anno più di quanto avevo capito nella mia intera esistenzae non posso sprecare questo insegnamento».

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Poi ha ricordato che Chiara, vivendo «vicissitudini cheavrebbero messo al tappeto chiunque, non ha subìto, ma haaccettato. Lei si fidava totalmente. Era certa che se il Signore ledava da vivere una cosa voleva dire che era la cosa giusta».

Chiara suonava il violino, sorrideva alla vita e amava ripetereun pensiero che trovava entusiasmante (e che in effetti è bellissimoe verissimo): «Siamo nati e non moriremo mai più».

Non ci pensiamo mai, ma è così. La storia di Chiara ce lo facapire in modo emozionante. Lei che voleva «aiutare gli altri adaccettare il dolore, a capire ai piedi della Madonna il senso dellavita qui su questa terra» ha compiuto la sua missione.

C’è un giardino nel mondo dove fioriscono queste meraviglie.Dove accadono cose stupende, inimmaginabili altrove. È la Chiesadi Dio. Nessuno dei potenti e dei sapienti lo conosce.

Per loro e per i loro giornali la Chiesa è tutt’altro. I giornalistrapazzano il Vaticano, Benedetto XVI e la Chiesa.

Ma nella città di Dio fioriscono silenziosamente giovani comeChiara. Ricordate quei due milioni di giovani che a Roma, perl’Anno Santo del 2000, a Tor Vergata, facevano festa attorno aGiovanni Paolo II? Cantavano Jesus Christ. You are my life . Igiornali li sbeffeggiarono. Smalignarono per giorni su di lorodicendo che quella di quei ragazzi era in realtà una fede da stadio,superficiale, di facciata. Ma che poi vivevano come tutti.

Chiara Corbella è la risposta. Lei è una di loro. E con Enricoaveva fatto suo l’affidamento di papa Wojtyla: «Totus tuus».

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Gli occhi di Chiara

«La bellezza salverà il mondo».Fëdor Dostoevskij

C’è una foto di Chiara che da sola demolisce Nietzsche e

duecento anni di filosofie anticristiane. È un’immagine chedimostra senza alcun dubbio che Gesù di Nazaret è Dio, che èveramente risorto, è vivo qui fra noi e ha preparato per noi unafelicità immensa per sempre.

Com’è possibile che una normale fotografia sia così esplosiva?È in effetti un’istantanea molto semplice. Il volto di fanciulla diChiara è in primo piano, con i capelli raccolti sulla nuca chelasciano la fronte scoperta. Ha un sorriso radioso, tiene in mano ilsuo violino e porta una benda bianca sull’occhio destro.

Di certo è un’immagine che colpisce per la bellezza di Chiara eil suo luminosissimo sorriso. Sembra un inno alla vita, alla gioia,alla giovinezza. Chiunque ne resta affascinato.

Ma si rimane sconvolti nello scoprire il motivo di quella benda.Considerando l’espressione raggiante della ragazza a prima vista sipenserebbe che sia dovuta a un trascurabile inconveniente.

Invece Chiara portava quella copertura perché – ci dice Enrico– «il tumore aveva già metastasi dovunque e lei stava perdendoquell’occhio». Oltretutto la metastasi premeva pure sul trigemino ela lingua e la gola avevano ferite profonde per l’operazione. Quindisi può immaginare quali fortissimi dolori doveva avere...

Allora torniamo a fissare quel volto. La foto fu scattata a

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Medjugorje un mese prima della morte. Ora sappiamo che èl’immagine di una ragazza di 28 anni, sposata da poco, con unfiglio di un anno, che sa di dover morire entro poche settimane eche sta già perdendo un occhio per una delle tante metastasi.

Quel sorriso raggiante, stupendo è umanamente inspiegabile. Ilmistero diventa comprensibile solo se, guardando quel volto, siricorda la frase che Chiara amava proclamare al mondo: «Siamonati e non moriremo mai più».

Capite dunque perché dico che quella foto è la prova che Gesùè veramente risorto e che noi siamo destinati a una felicità eterna?Guardando quel volto viene da dire, con san Paolo: «Morte, dov’èla tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?»66.

Soprattutto si desidera essere così, resi forti, lieti e liberi dallapresenza di Gesù. Friedrich Nietzsche, un giorno, sfid ò la Chiesadicendo: «Io crederei all’esistenza del Salvatore se voi aveste unafaccia da salvati». Il volto di Chiara in questa foto è la risposta.Nella Liturgia ambrosiana c’è una frase stupenda che recita:«Renderò nota la potenza del mio nome attraverso la letizia deiloro volti».

Quello che colpisce però è l’assoluta normalità di Chiara, unaragazza del nostro tempo, concreta e vivace, realista e ironica, comesono di solito i romani.

Sia lei che Enrico sono il tipico esempio dei giovani cattolici dioggi che magari crescono in parrocchia, poi frequentano unmovimento ecclesiale, quindi vanno a Medjugorje, vivono laGiornata mondiale dei giovani col papa, partecipano agli incontridei francescani alla Porziuncola, seguendo un proprio camminospirituale che li apre a tutto ciò che di bello e affascinante c’è nellaChiesa di Dio. Senza settarismi e pregiudizi.

Un cammino tanto semplice e ordinario che poi sembra quasi

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inspiegabile lo straordinario eroismo che questi giovanidimostrano. A meno che proprio nell’ordinarietà della vitacristiana, nella sua semplicità, ci sia una misteriosa fonte dieroismo. Di cui si meravigliano gli stessi protagonisti che, quasisenza rendersene conto, diventano spettacolo agli angeli, agliuomini e a se stessi.

È proprio questo che testimonia Enrico, una persona tantosemplice quanto meravigliosa (oggi, mentre si occupa della crescitadel piccolo Francesco, lavora come fisioterapista).

«A noi non sembrava di fare nulla di speciale. Abbiamo accoltodue figli con problemi drammatici. E allora? Cos’altro potevamofare? Neanche c’è passato per la testa di rifiutarli. Li abbiamoaccolti e amati come figli nostri. Era la scelta più sensata, secondonoi. La fede ci è sempre parsa la scelta più intelligente, quella che tifa soffrire di meno. Quindi l’abbiamo fatto anche per noi stessi.Sapevamo che quei bambini poi ci avrebbero aspettato in Cielodove sono felici e che lassù li avremmo ritrovati per sempre. Nellagioia che nessuno può toglierci».

Poi è arrivata una prova ancora più tremenda...«Ma anche per quello che è accaduto dopo» dice Enrico

«eravamo ben consapevoli della nostra debolezza. Non mi piacevaquando mi sentivo dire “beati voi che siete forti”... Ma che forti!Nessuno è forte. Da solo non ce la fai, non puoi sopportare provedel genere. È solo la grazia che ti rende capace di dire ogni giornoil tuo sì. Così abbiamo vissuto l’oggi, dicendo sì senza stare arimuginare sul domani, perché era l’unica cosa sensata da fare.Immagina se Chiara si fosse messa a pensare di dover lasciare me eFrancesco, che era appena nato... Abbiamo chiesto a Dio di noncadere nella trappola di pensare al futuro. Gli abbiamo chiesto diaffidarci completamente a Lui ogni giorno. Ed è stato bellissimo

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scoprire quanto amore Dio aveva messo e stava mettendo nei nostricuori. E anche scoprire come questo amore ci fa una cosa sola... Sai,prima del matrimonio ce lo diciamo che ci sentiamo un cuor solo eun’anima sola, ma è ben più grande trovarsi a scoprire che poi, incerte circostanze, in certe prove, entrambi pensiamo e facciamo lastessa scelta. E così farla insieme».

Enrico e Chiara per queste vie impervie hanno scoperto sestessi, il dono che erano l’uno per l’altra e il segno, latestimonianza che – senza neanche rendersene conto – sono statiper tutti.

«Abbiamo visto costruirsi la nostra storia da sola. Tanto che poici siamo stupiti di sentire quelle parole del cardinale Vallini e disentir parlare di noi in tv o sui giornali...»

Cristiana Paccini, 26 anni, è stata l’amica più vicina a Chiara,quella con cui si confidava di più.

«Ci siamo incontrate ad Assisi, a Santa Maria degli Angeli. Io eil mio futuro marito partecipavamo a un corso vocazionale comeChiara ed Enrico (poi ci siamo sposati a pochissime settimane didistanza da loro due). Lì ad Assisi è nata fra noi un’amiciziaprofonda...»

Cristiana racconta tutto ancora piena di meraviglia, digratitudine e di commozione.

«Chiara portava quelle croci con una naturalezza disarmante,sia durante quelle sue gravidanze sia ai funerali dei bambini.Guardandola quasi ti veniva da dire: “Ma se Dio aiuta così, questacroce la posso portare pure io”. Eppure non è che Chiara fosse o sisentisse una superdonna. Anzi, mi raccontava che fin da piccolaaveva sempre paura di tutto. A scuola, per esempio, non andava maivolontaria alle interrogazioni perché era intimorita... Invece poi haaffrontato prove così smisurate e terribili con quella forza. Com’è è

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possibile che fosse così serena e sicura? Dio era con lei, non c’èaltra spiegazione... E con Enrico, che è come lei, un grande, sisostenevano a vicenda, nella loro unione la loro forza simoltiplicava».

E questa forza aveva un nome semplice: fede. Fidarsi di Dio...«Esattamente. Durante quelle prime due gravidanze, andate in

quel modo misterioso e doloroso, lei ripeteva che doveva liberarsidall’idolatria della “normalità”, dal mito dei “figli normali”, della“famiglia normale”, perché Dio ha disegni più grandi. E poi, inospedale, quando ho visto Enrico che, dopo che era statobattezzato lì nel reparto, stringeva a sé, sorridendo come ogni padrefelice, quel loro bambino, pur sapendo che di lì a poco sarebbemorto, be’ non ci ho capito più niente... Quei due, Chiara edEnrico» dice con un sorriso affettuoso Cristiana «ci hannoletteralmente ribaltato».

Chiedo a Cristiana come ha vissuto, giorno dopo giorno, provadopo prova, questa amicizia con Chiara ed Enrico.

«Sai, accadeva una cosa strana. Quando ero lontana e pensavo aquello che stava capitando a loro due, specialmente con la malattiadi Chiara, mi angosciavo, mi tormentavo. Poi quando ero con lei,stando lì con loro, era così liberante quella croce che quasi ladesideravi... Non che sia desiderabile la sofferenza, certo, ma che ilSignore ti sostenga in un modo così forte».

Immagino che il momento più drammatico sia stato quando, neigiorni della settimana santa del 2012, fu detto a Chiara che nonc’era più niente da fare, che in pratica lei, ventottenne, appenasposata, con un figlio di pochi mesi, doveva morire di lì a pochigiorni. Cosa accadde?

«Le ho dovuto dare io quella notizia» mi dice Enrico. «Le curenon avevano dato esito positivo. L’oncologo ha scoperto che

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Chiara ormai aveva metastasi dappertutto, era una cosaimpressionante. Non sapeva come fare a dirglielo, era accasciato eaveva le lacrime agli occhi. Allora gli ho detto che ci avrei pensatoio. Sono andato di là, da Chiara, l’ho abbracciata, siamo andati incappella e non le ho detto niente perché ha capito tutto da sola,subito... Abbiamo pianto. Però, è incredibile, anche quel giornostavo molto peggio io di Chiara».

Anche Cristiana ha un ricordo di quella svolta terribile. Perchépochi giorni dopo quel verdetto Chiara è andata a fare l’ultimocontrollo ed era lì con l’amica quando le hanno confermato ilresponso definitivo.

«Io non sapevo che dirle» ricorda Cristiana. «Imbarazzata le hochiesto se aveva paura. Lei, mentre faceva quell’antibiotico, mi hadetto con un sorriso disarmante: “Cristiana, ho compreso chesforzarsi di capire il perché di tutte queste cose non serve a niente ealla fine uno impazzirebbe e basta... La cosa da fare è un’altra. Iosono sicura che Dio mi vuol fare un dono e, vedrai, ci stupiràancora una volta. Come Maria anch’io voglio accogliere questoSuo dono”».

Bisogna sempre ricordare che a pronunciare queste parole erauna ragazza di 28 anni, sposata da pochissimo, con due bambinimorti subito dopo la nascita e, a casa, un marito amato e Francesco,un figlio di pochi mesi.

«Poi ha aggiunto: “Cristiana, se me l’avessero detto un mese fanon ce l’avrei fatta. Oggi sì, mi ha preparato...”»

Evidentemente Dio le faceva fare un passo per volta e così lapreparava al passo successivo. Lei si fidava e lasciava che a guidareil cammino fosse Lui. Non è precisamente questa la fede?

«Lo credo anch’io. Chiara si è trovata davanti a prove tali cheproprio non permettevano finzioni né costruzioni di atteggiamenti.

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Sono cose che ti mettono del tutto a nudo. Anche Enrico, suomarito, è straordinario e disarmante. Mentre Chiara stava morendoEnrico stava male e piangeva, ma diceva cose immense: “Io quandomi sono sposato ho chiesto per lei il meglio. E dunque, se oggi vain Cielo dove Dio stesso la ama infinitamente e dove sarà felice,perché dovrei disperarmi?”».

Sono davvero cose dell’altro mondo. In questo mondo però.Come se l’eternità fosse già qui, fra noi...

«Infatti anche in quei momenti, l’ultimo giorno di Chiara sullaterra, piangevamo, ma mi rendo conto che anche allora non eranolacrime di disperazione, ma di commozione. Avevamo pregato etanto per chiedere la guarigione, ma Chiara restava comunquesempre aperta al Mistero, al disegno di Dio. Ci ha colpito» diceancora Cristiana «vedere come lei, alla fine, era davvero felice.Aveva il volto di chi può dire a Dio “ce l’ho fatta”, pur nelladebolezza di tutti noi esseri umani, pur nelle sofferenze di quellamalattia».

Magari si preoccupava più delle sofferenze delle persone amateche delle sue...

«Questo è sicuro. Ad Assisi al corso ci dicevano che il contrariodell’amore è il possesso e quando Chiara ha saputo che non c’erapiù niente da fare, invece di stringersi a Francesco tutto il tempoche le rimaneva, come l’istinto materno le suggeriva, l’ha abituatopiano piano al distacco. Ha rinunciato a ogni forma di umano,umanissimo possesso e ora il bambino è sereno, tranquillo. CosìChiara ha riconsegnato tutto, ha riaffidato tutto a Dio. Ha fattodella sua vita un altare...»

Ascoltando questa storia, invece di cercare la fonte di una talegrandezza, molti diranno: «Eh, ma lei era forte»...

Cristiana protesta: «Chiara si arrabbiava davvero quando la

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facevano passare per quella forte, per una speciale. Lei rispondevasempre: “Macché forte! Si tratta solo di cedere, di affidarsi...”.Anche nel dolore e nelle prove lei vedeva con semplicità e certezzala fedeltà di Dio, che non tradisce mai e non abbandona mainessuno».

C’è però un modo per neutralizzare una testimonianza cosìgrande. Quello di chi dice: «Ma lei aveva la fede, io non ho questafortuna...»

Enrico però ancora oggi obietta: «Certo che la fede è unagrazia, non viene da noi. Anche dal sacramento del matrimonio c’èarrivata una montagna di grazia che ci ha permesso di fare cose dicui noi non saremmo stati capaci. Ma la grazia Dio la dà a tutti. Tudevi solo aprirle il cuore, ma questo devi farlo. E fidandosi di Lui,dicendoGli di sì, si scopre che abbiamo un Padre buono. Anche noiabbiamo avuto tanta paura, ma giorno per giorno Lui ci dava lagrazia per il momento presente e infatti oggi se ci ripenso mi dico:ma com’è stato possibile? Come abbiamo fatto?».

Cristiana, testimone di questa storia mirabile fatta da Dio,aggiunge:

«In questi anni di prove stare vicino a Chiara è stataun’esperienza unica. Era tutto talmente semplice. Enrico è tuttoracosì... Quando si usciva da casa loro ci si rendeva conto che eracome aver bevuto a una fontana di vita stupenda. Eppure non sifaceva niente di speciale, si chiacchierava, si stava insieme... Chiaraaveva la semplicità di parlare anche di cose enormi, come la morte,il Paradiso, come se parlasse delle cose quotidiane, della casa.Quando stavi con loro due capivi che la vita eterna è proprio vera,veniva da dire: “Per favore, portami con te”».

«In effetti» dice Enrico «sai che l’eternità è bella e lassù siamofelici. Quindi la morte non dovrebbe far paura».

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Però c’è il distacco (sia pure momentaneo) dalle persone amate.Chiara ha lasciato quaggiù lui, Enrico, con cui avrebbe volutovivere e invecchiare, e il figlio piccolo, Francesco. Come si vivequesta separazione?

«Ogni mattina» mi spiega Enrico «rinnovo con lui la nostraconsacrazione a Maria. Francesco riconosce dappertutto sua madre.In qualunque foto. Non so come fa. Gli basta un’occhiata e dice:“Mamma!”. Per la verità a volte lo dice anche alla Madonna.L’altro giorno in macchina mi ha fatto veramente commuovere... Hacominciato a dire: “Ciao mamma cielo... Ciao mamma cielo...” ed èandato avanti per dieci minuti, non so perché. Mi sono venute lelacrime...»

Dopo Enrico e Cristiana, ho voluto conoscere anche padre Vito,il francescano che è stato vicino a Chiara ed Enrico in tutto questocammino. È un frate giovane e simpatico. Anche lui, commosso,spiega di essere stato testimone di una storia stupefacente.

Anzitutto sottolinea che è una vicenda misteriosa perché questidue ragazzi sono stati messi davvero alla prova in tutto: «In quelleprime due gravidanze è andato tutto storto. E poi quel tipo ditumore alla bocca, statisticamente, colpisce perlopiù maschiultrasessantenni che hanno molto fumato e bevuto. Chiara eradonna, giovane e non aveva mai né fumato né bevuto. Dunque untumore simile era davvero inimmaginabile».

In tutto questo padre Vito è pieno di meraviglia per Chiara edEnrico: «Mi rendevo conto che da alcuni Chiara era considerata unpo’ strana, anzitutto per aver voluto che questi bambini potesserovenire al mondo... Lei per i figli chiedeva solo che nascessero conparto naturale perché diceva: “Io posso dare loro solo questi novemesi e la sofferenza del parto”. Dopo la prima gravidanza e la mortedella bambina, Chiara non ha mai ritenuto che quella fosse una vita

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che non valeva la pena. Non importa se dura mezz’ora oottant’anni, è sempre la vita di un essere umano e lei era contenta diaver potuto far vivere a sua figlia quella mezz’ora di esistenzaterrena abbracciata da tutto il loro amore».

Certo che è insolito per la mentalità comune...«Assolutamente. Quando è nata Maria» riprende padre Vito, che

era presente per il battesimo, «la tensione si toccava con mano.Erano tutti come intimiditi e c’è stata una forte emozione nelmomento in cui Chiara ha detto: “Posso prendere in braccio miafiglia?”. Tutti ne sono rimasti scossi. Poi Enrico ha stretto a sé labambina e infine l’ha orgogliosamente mostrata ai presenti».

Ma dove e come hanno trovato conforto Chiara ed Enrico?«Dopo il primo parto» racconta padre Vito «siamo andati in

pellegrinaggio a Medjugorje per ringraziare la Madonna. Arrivatilì, siamo andati a sentire una testimonianza di Mirjana e neanche afarlo apposta stava rispondendo a una domanda sull’aldilà. Mirjanadisse: “Guarda, io non so farti discorsi teologici, posso solotestimoniarti che dopo che vedo la Madonna per me è unasofferenza immane tornare sulla terra”. Per Chiara fu comeimbattersi nella risposta che cercava...»

Certo, non c’è consolazione più grande che sapere che i tuoifigli sono felici, fra le braccia della Madonna... È alla Madre di Dioche Chiara ed Enrico sono ricorsi in tutte queste prove?

«Sì. Il mercoledì santo del 2012, quando seppe che non c’erapiù niente da fare, Chiara con Enrico andò a informare i familiari.Ci furono comprensibili scene di dolore e a quel punto lei disse:“Eh no, Signore, questi volti così disperati no, così non ce lafaccio”. Perciò volle che si organizzasse un pellegrinaggio aMedjugorje: “Andiamo tutti lì” disse “per chiedere o la grazia dellaguarigione o la grazia di saper accogliere il Suo disegno che è

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comunque grazia”».Come andò?«Alla fine il papà di Chiara organizzò due voli. Eravamo quasi

trecento e fu un’esperienza eccezionale. Lei stava già male (nonpoteva mangiare, né parlare... Aveva dolori fortissimi). Ma la graziac’è stata davvero, perché tutti hanno vissuto in modo straordinarioquei mesi...»

Anche la morte di Chiara è stata stupefacente...«Sì» dice padre Vito. «Non dimenticherò mai quei giorni. Pur

fra mille sofferenze, anche nelle ultime ore Chiara arrivava a farbattute di spirito per sdrammatizzare. Le abbiamo vissute davverocon la certezza che Chiara stava nascendo alla vita felice. Dove laraggiungeremo tutti».

Anche Enrico conferma: «So di dire qualcosa che sbalordirà, maperfino quel giorno, quello della nascita al Cielo di Chiara, cosìdifficile, tuttavia è stato anch’esso un giorno felice, c’è stata unagrande felicità quel giorno. E io mi sento così fortunato a essere ilmarito di Chiara: è un dono indescrivibile...»

Con un entusiasmo che scioglierebbe qualunque cuore mi haspiegato: «È veramente stupendo avere una donna come leiaccanto. Qualunque cosa accadesse era fortissima e una cosa solacon me».

A Chiara, Enrico ha dedicato una poesia meravigliosa:

Siamo saliti insieme su questa collinaglielo avevamo promessodi amarci per tutti i nostri giorniaspettavamo di vederlo arrivare da lontanosempre con le lampade accese giorno e nottesognavamo di vederlo insieme

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ma Lui voleva di più per noicome la primavera è arrivato in silenziosotto di noi ha fatto nascere i fiorici deve aver accompagnatoda soli non ce la potevamo fareera il suo profumo la pace dei fioriindimenticabilequell’eternità nei tuoi occhili avevo già incontrati ma non ci potevo credereai Suoi occhi nei tuoi e a quella pace[...] mi hai disciolto le neviper rimeravigliare ancora di piùgli increduli quando ci rivedranno tornareancora una voltama questa volta per sempreinsieme.

Ho abbracciato Enrico, quando ci siamo incontrati proprio alla

Porziuncola, e ho stampato la foto di Chiara, quella col suo sorrisotravolgente, regalandola a Caterina. Sta accanto al suo letto.

Tempo dopo ho ricevuto un sms: «Vi accompagniamo».Firmato: «Enrico (e Chiara)».

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Le passioni di Caterina

«Cristo me trae tutto, tanto è bello».Jacopone da Todi

Alessandra e Caterina amano chiacchierare insieme di tante

piccole cose di donne, dalla cucina alla musica, dall’arredo di casaall’abbigliamento. Un giorno la mamma le ha fatto un po’ didomande per capire se e come sono cambiati i suoi gusti. E lei, fra ilserio e il faceto, si è sottoposta ai suoi quiz.

«Ho scoperto» mi dice divertita Alessandra «che Cate vuolebuttare le sue mitiche Converse67 e l’assurdo cappotto a quadri, manon il cappottino rosso. E ridendo mi ha fatto capire che lepiacerebbe archiviare quel suo look bizzarro e finto–trasandato cheaveva adottato negli anni dell’università, per cominciare a vestirsida donna: scarpe, gonna, tailleur eccetera...»

Sono piccole cose di vita quotidiana, ma struggenti, perchéfanno pensare ai giorni belli che desideriamo (e che verranno!).Inoltre dicono anche qualcosa sul cammino e sul cambiamento diCaterina (tutti noi siamo cambiati in questi anni). I dettaglisull’abbigliamento non sono così insignificanti come si potrebbecredere.

Infatti in tutti i nostri gesti – anche i più semplici e quotidiani –grida l’anima, sempre sono un segno del nostro rapporto con noistessi, col mistero di cui facciamo parte e col nostro postonell’universo.

Per una ragazza il rapporto con i propri abiti – oggi si dice col

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proprio look – rivela qualcosa di profondo. Dei disagi che sivivono, delle insicurezze, delle proprie certezze, anche dellapropria creatività.

Caterina, prima di quel fatale 12 settembre 2009, era propriocome l’hanno descritta, nel mio precedente libro, Stefano e Giulia(che è stata per anni, a Firenze, la sua compagna di stanza e distudi). In quel ritratto divertente e tenero c’era tutto un capitolo sulsuo strano modo di vestirsi:

Cate ha uno stile tutto suo... inconfondibile! Non ama, su di sé,

abiti femminili e cose eleganti, (riservati solo a occasioni moltospeciali) ed è terrorizzata all’idea di mostrare le gambe, leginocchia e soprattutto i piedi. Preferisce cose grandi, talvolta dauomo.

Adora i colori vivaci (rosso, giallo, blu) che accosta tra lorosenza troppa preoccupazione, le maglie e i calzini a righeorizzontali coloratissime. Indossa indumenti di taglio e fantasieanni ’60, ’70 vintage. Ama borse di pelle grandi e sciarpe efoulard di ogni colore, fantasia e tessuto.

Porta quasi sempre scarpe da ginnastica di tela colorata, tipoConverse. Solo in occasioni speciali mette i tacchi alti (con grandesofferenza!) e non indossa mai ciabatte (neanche col caldotorrido!), se non rigorosamente con i calzini (indossa comunquesolo Birkenstock).

In inverno ama «infagottarsi» a strati: indossa semprepantaloni molto larghi, maglie abbondanti sopra un numeroindefinito di canotte e magliette a maniche corte e lunghe,rigorosamente in cotone e coloratissime. In estate invece indossaspesso top elasticizzati senza spalline e pantaloni larghi, leggeri,di lino o cotone.

Ci sono giorni in cui esce indossando tutti i colori e le fantasie

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possibili e da anni la prendiamo in giro per questo, chiamandola«Sbirulino». Nonostante l’apparenza (fin troppo casual), Catestudia attentissimamente il suo abbigliamento: si cambia almenotre volte prima di uscire di casa e prova e riprova continuamente ivestiti cercando abbinamenti giusti.

Per le occasioni speciali, predilige toni scuri, quelli nerogrigiocon dettagli e accessori di colori vivaci (spesso rosso). Acquistaindumenti particolari e femminili ma non li indossa mai. Cate amai colori vivaci, in assoluto tutte le sfumature del rosso. Ama moltoanche il giallo, l’arancione, il viola, il blu e in genere tutte le tinteaccese. Si diverte spesso, nel vestire, ad accostare tutti questicolori insieme68.

Non mi stupirei affatto se oggi Caterina, come ha fatto capire a

sua madre, volesse passare davvero dal (picassiano) «periodo rosa»(quello descritto da Stefano e Giulia) a una sorta di «periodo blu»,più solido e sereno.

Quel giovanile sbizzarrirsi creativo di Caterina sulle tonalitàaccese infatti esprimeva la sua passionalità, ma era un po’ anche un«nascondersi negli abiti», un cercare se stessa.

A me sembra che la durissima avventura che Caterina ha vissutoe sta vivendo, con una forza e una serenità che sempre cisorprendono, le abbia fatto superare vittoriosamente l’età dellepaturnie, dell’insoddisfazione di sé e della ricerca della propriastrada.

Anche se – devo dire – trovo incantevoli le fragilità, ledomande e le paturnie delle giovani donne. Sono un tocco digrazia, un presagio di bellezza e una promessa di vita, in un mondoche semina follia e violenza.

Infatti proprio quegli aspetti simpatici e toccanti della

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personalità di Caterina, disegnati da Stefano e Giulia, hannopermesso a tante sue coetanee di ritrovare se stesse, riconoscendosiin una sorta di somiglianza generazionale.

È quel misto di intelligenza, sensibilità, ironia e tristezza che sicoglie, per esempio, nel personaggio principale del film Colazioneda Tiffany.

Ho ricordato, nel mio libro, quanto Cate vada matta per AudreyHepburn e per quel suo film che ha rivisto mille volte. A un certopunto la protagonista di quella pellicola, Holly (che è appunto laHepburn), guardando un povero gattino, dice a Paul (interpretatoda George Peppard):

«Non lo so chi sono. Io e il mio gatto siamo due randagi senzanome, che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene:ecco qual è la verità».

Una nostra amica, Cecilia Matuonto, attrice, dopo aver letto ilmio libro, spiegandomi che condivide con Caterina la predilezioneper questo film, mi scrive una bellissima considerazione:

Secondo me il nome di ognuno di noi è un segno enorme del

mistero e del miracolo che è tutta la vita. E quando penso a questo,mi viene in mente un breve monologo in cui la protagonista diColazione da Tiffany svela molto di sé, e dice pressappoco così:

Povero gatto... Povero gatto, senza nome.Ma io non credo di avere diritto di dargli un nome, perchéin fondo noi due non ci apparteniamo. È stato un incontrocasuale. E poi, non voglio possedere niente, finché non hotrovato un posto che «mi vada a genio» (traduzione nonperfetta per «a place where me and things go together»).Non so ancora dove sarà... Ma so com’è. È come Tiffany. Io

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vado pazza per Tiffany...[...] Sì, sai quando hai le mean reds. . .? (tengo l’inglese,perché la traduzione migliore è quella che fa lei dopo!)[...] No! Le paturnie sono perché ti accorgi che staiingrassando... O perché piove. È diverso. Le mean reds sonoorribili. Improvvisamente hai paura di qualcosa, e non sai diche cosa... Le è mai capitato?[...] Be’, quando mi capita, l’unica cosa che mi fa bene èsaltare su un taxi e correre da Tiffany. È un posto che micalma subito. Quel silenzio, quell’aria solenne... Lì non puòaccaderti nulla di brutto.Se mai trovassi a questo mondo un posto che mi facessesentire come da Tiffany...Comprerei i mobili, e darei un nome al gatto!

Non sto qui a commentarti questo brano. Sarai capace di

capirlo meglio di me... E forse, sicuramente meglio di me, ditrovare sfumature che alla tua Caterina sono care.

Io e Caterina, come tante donne e tanti uomini, siamo come lei,la ragazza senza nome... E questo ci fa essere malinconiche, ci fasognare di partire per posti lontani Into the wild, ci fa domandareardentemente di poter vedere quegli «occhi del cielo» che ciamano e che sono l’unico posto dove troveremo pace.

Ma noi abbiamo ricevuto una grande grazia: la certezza chequel posto c’è, che quegli occhi ci guardano, ci amano, ciaspettano. Per questo possiamo sposarci, costruire una casa, edare un nome ai nostri figli... Perché né la casa né i figli ciappartengono, ma noi apparteniamo a quegli occhi.

Parole molto intelligenti. Che sono anche un ritratto perfetto di

Caterina.

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È questa certezza che (per grazia) l’ha fatta così maturare e cheoggi la fa essere tanto forte e addirittura lieta nella sua provadolorosa.

Caterina è radicale nella fede e in questo somiglia alla sua santapatrona per cui ha un’accesa ammirazione.

D’altra parte non si può che ammirare una giovane donna comeCaterina Benincasa, analfabeta e figlia del popolo, che – inerme, inpieno XIV secolo – attraversa a piedi Italia e Francia per riportare ilpapa a Roma e contagia tutti coloro che la incontrano con il suoardente amore a Gesù.

Si può dire che davvero lei, da sola, cambiò il corso della storia.Come non essere colpiti dalle sue travolgenti lettere dove

esortava papi e cardinali a essere uomini virili e fedeli a GesùCristo anche a rischio della vita. Una testimonianza meravigliosa,questa sua follia d’amore per il Salvatore, specie in tempi dominatidai tiepidi e dalle – sedicenti – «persone assennate».

In effetti con Gesù non hanno senso le mezze misure e leadesioni sciape come un brodino fatto col dado. Nell’estate 2012mi aveva colpito questa pagina di un’altra donna dall’animotempestoso, una scrittrice straordinaria, che arriva alle visceredell’anima, Flannery O’Connor:

Gesù è stato l’unico a risuscitare i morti, [...] e non avrebbedovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all’aria. Se ha fattoquel che ha detto, allora non ci resta che gettar tutto eseguirlo; se non l’ha fatto, allora non ci resta che godercimeglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano:uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa o facendogliqualche altra cattiveria. Non c’è piacere al di fuori della

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cattiveria69. Poco dopo aver postato questa citazione nella mia pagina di

Facebook mi arriva una mail di Giulia, l’amica di Caterina che hocitato in precedenza.

Ciao Antonio,ti scrivo a proposito del post su Flannery di oggi. Un grande

affetto mi lega a lei e alla sua fede schietta. Molte lune fa horegalato a Cate il libro Sola a presidiare la fortezza, grandiosaraccolta di lettere di Flannery.

Ho passato anni a osservare Cate, affaccendata e silente,convincendomi che mai espressione più vera avrei trovato perraccontare di lei: «SOLA A PRESIDIARE LA FORTEZZA».

Flannery mi piace, è un bel tipo. Quando ho regalato il libroho detto a Cate: «Cate, se io e te fossimo una sola personasaremmo Flannery, ha la tua fede coriacea e la mia ironia, fa lecose che faresti tu, raccontandole come farei io».

Nelle lettere Flannery racconta dell’incedere della malattiache la scava piano piano fino a impedirle di camminare: «D’ora inpoi sarò una struttura ad archi rampanti» annuncia quando imedici le comunicano che dovrà affidarsi per sempre allestampelle.

E ancora: «Non sono mai stata altrove che malata. In un certosenso la malattia è un luogo, più istruttivo di un lungo viaggio inEuropa, e un luogo dove nessuno ti può seguire. La malattia primadella morte è cosa quanto mai opportuna e chi non ci passa siperde una benedizione del Signore. Quasi altrettanto isola ilsuccesso, e niente mette in luce la vanità altrettanto bene. Ma daqueste parti la superficie è sempre stata molto piatta. Vengo dauna famiglia dove era rispettabile mostrare un unico sentimento:

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l’irritazione. È una tendenza che per alcuni sfocia nell’orticaria,per altri nella letteratura, per me in tutte e due le cose».

Hai ragione, Flannery arriva alle viscere dell’anima.È inutile che ti dica che Cate me la fa venire in mente ora più

che mai.Credo di aver mandato il libro a Siena tra le cose di Cate...

Sarei curiosa di sapere cosa ha sottolineato.A presto.

Giulia Ho cercato quel libro per vedere quali cose aveva sottolineato.

Purtroppo non l’ho trovato. Invece ho scoperto che quando èaccaduto tutto, il 12 settembre 2009, Caterina stava leggendo ilmio Indagine su Gesù. Allora sono andato a vedere le cose cheaveva evidenziato di quel libro. Eccone un florilegio.

Una citazione di Jean–Jacques Rousseau: «La vita e la morte diSocrate sono quelle di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono diun Dio». Una di Karl Marx giovane che parla di Gesù come«conforto nel dolore». Una di Dostoevskij: «Non c’è nulla di piùbello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e dipiù perfetto di Cristo... Non solo non c’è, ma non può esserci».

Una mia considerazione, dove dicevo che quello dell’umanitàper Gesù di Nazaret «è un innamoramento, un ricordo, unanostalgia che non passa più».

Un’altra poi in cui sostenevo che Péguy disegna «un amore che“crea” e fa crescere, non distrugge nel possesso, un amore chepermane fedelmente e quindi costruisce nel tempo. Un amore cheprotegge, che aiuta e che sostiene è – per dirla con Chesterton – “lapiù straordinaria delle trasgressioni e la più romantica dellerivolte”».

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Un brano dei Cori della Rocca di T.S. Eliot che descrive cosìl’affermarsi del cristianesimo:

Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto delloro essere negativo;Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre,interessati e ottusi come sempre lo furono prima;Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre ariprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce.Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi,tornando, eppure mai seguendo un’altra strada.

Caterina ha sottolineato poi un mio pensiero: «Ecco la

rivoluzione di Gesù. Tutti hanno pensato di cambiare il mondouccidendo. Gesù solo l’ha cambiato lasciandosi uccidere».

E quindi le parole di Edmond Fleg, un importante esponentedell’ebraismo francese: «Come avrei voluto essere là per sentire,Gesù, la tua voce così dolce! Come ti avrei amato se ti avessiconosciuto!».

È rimasta colpita anche da queste parole di Napoleone (scrittedurante l’esilio di Sant’Elena, ripensando alla sua vita): «Dal primogiorno fino all’ultimo, egli [Gesù] è lo stesso, sempre lo stesso,maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce...Gesù non presta mai il fianco alla minima critica... Che parli o cheagisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile».

Infine ha sottolineato un pensiero di Joseph Malègue: «Oggi ildifficile non è l’accettare che Cristo sia Dio; il difficile sarebbeaccettare Dio se non fosse Cristo»70.

Mi rendo conto – scorrendo queste citazioni – di quantogrande, bello e decisivo sia stato il clima in cui è cresciuta Caterina

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e in cui abbiamo vissuto tutti noi.Qualche anno fa lei e Maria, con i loro amici, hanno scoperto la

storia dei giovani della Rosa Bianca – un piccolo gruppo di ragazziinermi che, a Monaco, negli anni Trenta, si opposero all’orrorenazista e furono per questo macellati.

Una di loro, Sophie Scholl, una studentessa intrepida eintelligentissima, in quel clima di feroce barbarie, in quella notted’orrore, mentre stava rischiando la sua vita, si commuoveva per labellezza del creato e seppe fidarsi della vittoria di Dio:

Non è misterioso e insieme inquietante che tutto appaia cosìbello? Nonostante l’orrore. Ultimamente avverto qualcosadi grande e inspiegabile nella mia gioia profonda per tuttociò che è bello: la coscienza del suo creatore. [...] Soltantol’uomo sa essere davvero ripugnante, perché è dotato dellibero arbitrio e può estraniarsi da questo canto di gloria.Spesso sembra che prima o poi riuscirà a soffocarequest’inno con il rombo dei cannoni, le maledizioni e labestemmia. Ma la scorsa primavera in me si è fatta stradal’idea che non ce la farà. Voglio provare a schierarmi dallaparte di colui che vincerà71.

È stato questo il nostro stato d’animo degli ultimi tre anni.

Come proteggere dall’orrore e da un dolore indicibile le personeche si amano e se stessi?

Fissando il cuore sulle cose belle che ci sono date – pur dentrol’orrore – e mettendosi dalla parte di Colui che vincerà anche setutte le evidenze sembrano dire che è sconfitto e che prevale ilmale.

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È proprio quando sembra sopraffatto come sul Calvario, che stavincendo e la forza del Suo amore sta per trionfare:

[Lui] ama ciascuno di noi come se fosse l’unica persona daamare. È morto per ciascuno di noi come se fossimo l’unicapersona per cui morire. È morto su una croce obbrobriosa.Amor meus crucifixus est.

Dopo queste parole John Henry Newman, nel suo romanzo

Callista, aggiunge:

L’amore che Lui ispira dura per sempre, perché è l’amoredell’immutabile. È un amore che appaga perfettamente,perché è inesauribile. Più ci avviciniamo a Lui, più entra innoi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo. Eccoperché è così facile per noi morire per la nostra fede, tantoda stupire il mondo... Sì, malgrado le forze contrarie, icristiani – avendo Cristo nel cuore – sorreggono il mondo,non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, macome un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita aguarire dal di dentro72.

E i volti, le storie e i nomi dei martiri di oggi, di coloro che in

queste ore rischiano la vita o sono già stati assassinati solo perchécristiani sono passati anche dalle tante nostre conversazioni conCaterina e dalle nostre preghiere.

Caterina manifesta un’indignazione vivace per le infamie chesubiscono dai loro aguzzini e ha un gran desiderio di aiutare questipoveri fratelli. Che tutto il mondo snobba.

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Madre coraggio

«Io sono il Signore, tuo Dio,che ti tengo per la mano destra,e ti dico: “Non temere, io ti vengo in aiuto”.[...] I miseri e i poveri cercano acquama non c’è;la loro lingua è riarsa per la sete.Io, il Signore, risponderò loro,Io, Dio d’Israele, non li abbandonerò.Farò scaturire fiumi su brulle colline,fontane in mezzo alle valli;cambierò il deserto in un lago d’acqua,la terra arida in zona di sorgenti».

Isaia 41,13-18 Asia Bibi ha 45 anni ed è madre di cinque figli, di cui uno

disabile. È analfabeta e con il marito Ashiq vive poverissima in unvillaggio del Punjab in Pakistan.

Oltre a occuparsi della numerosa famiglia si sottopone a durilavori come bracciante per una retribuzione misera. Il 14 giugno2009 accade un fatto decisivo.

C’è un sole cocente che picchia sulle donne e anche Asia beveun po’ d’acqua, come hanno fatto le altre che lavorano lì, tuttemusulmane. Queste però cominciano a maltrattarla perché, essendocristiana, secondo loro non può bere nello stesso bicchiere. C’è chiinveisce contro di lei, chi urla, chi la insulta.

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Lei cerca di calmarle. Nella discussione deve spiegare perché siostina a essere cristiana. La controversia si fa concitata e Asia vieneaccusata, senza motivo, di aver offeso il profeta Maometto.

Quindi viene trascinata davanti alle autorità in forza dellaterrificante legge sulla blasfemia, che da anni in Pakistan sottoponela vita di tutti i cristiani e dei loro figli alla mercé dei musulmanipiù fanatici e violenti, i quali in ogni momento possono accusarlidi aver offeso Maometto e ottenere per loro la pena di morte.

Da quel giorno, il 14 giugno 2009, la povera donna è rinchiusanel carcere di Sheikhupura dove continua a subire umiliazioni eatrocità. È in isolamento totale in una cella senza finestre, quindisenza luce del sole e senza aria, una cella umida e gelida, le cuimura sono impregnate di urina e tanto piccola che allargando lebraccia si toccano entrambe le pareti. È stata giustamente definita«una vera e propria tomba», infatti Asia ha scritto: «Qua dentro hoimparato a morire restando viva».

Un giorno, come lei stessa ha raccontato, «un giudice,l’onorevole Naveed Iqbal, è entrato nella mia cella e, dopo avermicondannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca dellasentenza se mi fossi convertita all’islam».

Questa povera mamma coraggio, sepolta viva mentre cinquefigli l’aspettano a casa, gli ha risposto: «Preferisco morire dacristiana, che uscire dal carcere da musulmana. Sono statacondannata perché cristiana. Credo in Dio e nel suo grande amore.Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa disacrificare la mia vita per Lui»73.

Sono parole impressionanti. Specie se consideriamo che Asia èuna povera donna inerme, alla mercé dei suoi aguzzini, che sirivolge così a chi ha su di lei potere di vita o di morte. Sembradavvero di leggere gli Atti dei martiri dei primi secoli cristiani.

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Il caso di Asia non è affatto isolato, ma è quello che ha fatto piùscandalo perché è trapelato all’estero. In Pakistan invece i fanaticihanno assassinato uno dei pochi cristiani importanti come ShahbazBhatti e un saggio governatore musulmano (di idee liberali) comeSalman Taseer solo per aver chiesto pubblicamente l’abolizionedell’assurda legge sulla blasfemia e la liberazione di Asia Bibi.

I fondamentalisti non lasciano in pace neanche la sua poverafamiglia che è stata costretta dalle loro minacce ad abbandonare lasua misera casa e a nascondersi.

Nel 2011 Asia è riuscita a divulgare una sua testimonianzadove, tra le altre cose, dice:

Sono vittima di una crudele ingiustizia collettiva.Incarcerata, legata, incatenata da due anni, esiliata dalmondo, in attesa della morte. [...] Condannata a morteperché avevo sete... Voglio che la mia povera voce, che daquesta lurida prigione denuncia tanta ingiustizia e tantabarbarie, trovi ascolto74.

La vicenda di Asia ha commosso tutti noi, con Caterina che –

rammentando diverse storie di ragazzine cristiane del Pakistansottoposte a ogni forma di violenza – ha voluto che facessimodiverse adozioni a distanza per permettere almeno ad alcune dipoter studiare e sottrarsi alla miseria che le rende facili prede. Sonoignorate dal mondo, snobbate. La stessa Asia Bibi, sebbene il suocaso sia notissimo, non ha provocato nessuna reazione significativanel mondo che conta, quello degli intellettuali, dei giornali e dellatv.

Se si pensa a tutte le iniziative intraprese in difesa di Salman

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Rushdie – che peraltro era al sicuro in Occidente – èimpressionante il nulla che è stato fatto per Asia Bibi. Forse perchéè «solo» una povera donna cristiana? I cristiani sono tornati aessere la «spazzatura del mondo»?

Pensavo a tutti questi poveretti l’8 dicembre 2012, mentreleggevo le parole drammatiche di Asia Bibi pubblicate quel giornosu «Avvenire» e guardavo il papa in televisione.

Tirava un vento gelido quel pomeriggio dell’Immacolata inPiazza di Spagna. Benedetto XVI era andato a portare fiori allastatua della Regina del cielo.

Guardavamo sul teleschermo il volto buono del Santo Padre,che nei giorni precedenti aveva inviato – tramite un sacerdote –una benedizione apostolica speciale a Caterina, a noi familiari e atutte le persone che stanno vicino a lei.

Commossi, con Caterina abbiamo pregato per lui, perché laMadonna lo aiutasse a portare i pesi e a «non fuggire davanti ailupi».

Proprio quel giorno, l’8 dicembre del 2012, con la sua vocemite, Benedetto XVI ha pronunciato parole che toccano nelprofondo i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova, sotto lapersecuzione come Asia Bibi, tutti quelli che credono di essere aimargini della società, esclusi dall’orgia del mondo, o inascoltati datutti e irrilevanti nella storia.

Il Santo Padre ha osservato che «quel momento decisivo per ildestino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvoltoda un grande silenzio. [...] È un avvenimento che, se accadesse ainostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste,perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramentegrande passa spesso inosservato».

Questo già ribalta il nostro punto di vista che normalmente

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s’immedesima con ciò di cui parlano i media, con la loro gerarchiadi importanza. Invece, bisogna capovolgere tutto.

Poi il pontefice ha continuato: «La salvezza del mondo non èopera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – maviene dalla Grazia. [...] Maria è chiamata la “piena di grazia” e conquesta sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita enella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio èpiù forte del male».

Com’è consolante ricordarlo...Il papa ha aggiunto un’altra cosa bellissima: «Maria ci dice che,

per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in bassoper Dio, il quale è disceso fino agli inferi».

È un’immagine che fa pensare a Dostoevskij, a FlanneryO’Connor, alle loro storie di maledetti e alla loro redenzione.

È la meraviglia di un Dio che si è fatto carne, che si è impastatocol nostro fango per portarci fuori dalle sabbie mobili. «Il soffiomite della Grazia» ha continuato Benedetto XVI «può disperdere lenubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anchenelle situazioni più disumane».

Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus ha formulatoquesto bellissimo pensiero, a proposito del «vero grandeavvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei nonnoteranno neppure».

Ha affermato: «Per Dio i grandi della storia fanno da cornice aipiccoli!». È impressionante questo ribaltamento, che si rendeevidentissimo nella storia di Maria. E poi, da allora, di tutti i poveridi Dio...

Com’è confortante sentire la tenerezza dello sguardo di Diosulle nostre faticose giornate, su di noi.

Nell’Evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta, Gesù

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spiega che nel momento della più orribile angoscia, sul Getsemani,la sua consolazione – portata dagli angeli – sono stati proprio inostri volti.

Così dice Gesù:

L’angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza ditutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al miomorire.I vostri nomi! Ognuno m’è stato una stilla di farmaco [...],m’è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna.Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo[...]. Io mi sono ripetuto i vostri nomi. Io vi ho visti. Io vi hobenedetti da allora. Da allora vi ho portati nel cuore. Equando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Iomi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta,giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era natonel mondo e che avrebbe vissuto per Me.Oh! Miei benedetti! Conforto del Cristo morente! La Madre,il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire,ma voi pure c’eravate. I miei occhi morenti vedevano,insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visiamorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché viavevano salvati, o voi che meritaste il Sacrificio di unDio75.

Queste poche righe forse possono far capire perché la lettura dei

dieci volumi dell’opera valtortiana mi ha accompagnato per mesiin questo pellegrinaggio e ha sostenuto anche Caterina.

È davvero il modo più bello di far memoria del nostroSalvatore: Jesus dulcis memoria...

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Quel ramo del lago di Como

«E lì Sam, sbirciando fra i lembi di nuvole chesovrastavano un’alta vetta, vide una stella biancascintillare all’improvviso. Lo splendore gli penetrònell’anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come unlimpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensieroche l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosapasseggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendidabellezza».

John Ronald Reuel Tolkien Nel maggio del 2012 Caterina si trovava a Como, insieme alla

mamma, per fare una serie di accertamenti in una clinicaspecialistica.

Le cose non si stavano mettendo bene e io ero molto nervoso.Perché c’erano pure altre preoccupazioni familiari, sempre sotto lavoce «salute» (non bastavano i guai di Caterina...). E alcuniproblemi di lavoro.

Avevo lo stato d’animo di uno che, proprio quando spera dicominciare a risalire, vede cascargli addosso l’ennesimo accidente,si sente inghiottire sempre di più dalle sabbie mobili e rischia divenire sopraffatto.

Un giorno raggiunsi Alessandra nella città lombarda e fummoinvitati a cena da amici che abitano alla Madruzza, sulla collinettache sovrasta Como e il lago. Nonostante i mille pensieri che mioccupavano la testa, rendendomi cupo e scontroso (e me ne

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rammarico), mi trovai davanti a uno di quegli spettacoli che nonpuò lasciare indifferenti. Eravamo attorno a una grande tavola e –con una decina di adulti – c’erano una quarantina di bambini eragazzi: quella era una famiglia. Sia pure molto sui generis. Ma unavera meravigliosa famiglia che accoglieva tanti bambini, condrammi e problemi, come propri figli.

Il clima era allegro, ma molto ordinato. Alcune ragazze, conabilità, si occupavano di servire in tavola. Al momento dellapreghiera anche i bimbi più piccoli fecero spontaneamente silenzioe, anzi, parteciparono con le loro preghierine. La sala mensa è diuna bellezza originale, un’eleganza che dà serenità.

C’è anche un dettaglio a me familiare: la riproduzione di unaffresco che si trova nell’antico ospedale Santa Maria della Scala diSiena. Rappresenta tanti bambini che salgono una scala per andareda Maria e così hanno l’aria di mettersi in salvo.

L’ospedale di Siena, infatti, uno dei più antichi d’Europa,nacque nel X secolo ad opera dei canonici della cattedrale, davantialle scale del Duomo (da qui il nome), proprio per accogliere ibambini abbandonati. E diventò una grandiosa opera dimisericordia e di promozione sociale dei più poveri.

Mi fece sorridere vedere quell’immagine in una sala piena dibambini del terzo millennio cristiano. Tutti quegli innocenti –dopo dieci secoli – continuavano ancora a trovare rifugio fra lebraccia di Maria e protezione sotto il suo mantello. Facevatenerezza vederli così contenti e affiatati.

Alla fine della cena uscimmo a visitare quella piccola «cittànella città» ed era tutto semplicemente incantevole. Eravamo suuno splendido declivio in fondo al quale si vede la cattedrale diComo e si spalanca il lago. Sulla superficie delle acque, laggiù,brillavano le luci di Cernobbio.

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Ci trovavamo in quella che, fino alla fine degli anni Ottanta, erasolo una cascina in rovina, detta «Brusada», frequentata datossicodipendenti e sbandati. Come e perché uno squallido infernoè diventato il paradiso dei bambini e un trionfo di umanità, dicreatività e di bellezza?

Più avanti parlerò di quella piccola «città» che è diventata«Cometa», con tutte le sue straordinarie opere di accoglienza, dieducazione e i laboratori professionali. È un gioiello che affascinae commuove chiunque vada a vedere (e sono tanti i personaggicelebri che, stupiti e grati, hanno voluto lasciare un segno).

Ma io e Alessandra quella sera, pur avendo visitato tutto, pienidi meraviglia, non ci sentimmo raccontare da quegli amici lagrandezza dell’opera che stavano facendo.

Ci sentimmo testimoniare invece, in una conversazione intima efamiliare, il mistero doloroso, gaudioso e glorioso delle loro storiepersonali dove, incredibilmente, trovammo la risposta a tutte ledomande e le ansie che ci affliggevano in quelle ore (per Caterina enon solo).

Ancora una volta scoprivamo, in volti concreti, quanto Tu, oSignore, ci sei vicino, quanto ci sorreggi prontamente con la tuamano nei momenti di fatica, quanto sei luce nelle nostre notti,quanto hai pietà dei tuoi figli e con quale tenerezza ti prendi curadi noi in ogni momento. Ascoltando le nostre preghiere easciugando le nostre lacrime.

Protagonisti, della serata e della storia, sono i fratelli Figini,Erasmo e Innocente (detto «il Cente») – con le mogli SerenaPalomba e Marina Peschiera – e la sorella Mariagrazia.

L’inizio simbolico di questa vicenda può essere il 1982,quando, al capezzale del vecchio padre, Battista Figini,commerciante di vini, uomo di grande fede, nelle sue ultime ore, in

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ospedale, vengono chiamati uno per uno i tre figli.A Mariagrazia, l’unica che ancora frequentava la Chiesa, il papà

confidò: «Alla fine non ti lascerò nient’altro che la mia fede. Aituoi fratelli non dire niente, ma vedrai si convertiranno ancheloro».

A Erasmo disse così: «Ti affido la mamma, tua sorella esoprattutto il Cente, perché io muoio. Vi lascio la mia fede».

I tre scoprirono presto che a tutti loro aveva ripetuto: «Vivete incomunione». Frase che col tempo si rivelerà misteriosamenteprofetica, ma che allora, soprattutto per Erasmo e il Cente (a queltempo fra i 30 e i 35 anni), non aveva alcun senso perché ormai daun bel po’ loro erano lontani dalla Chiesa e ognuno aveva preso lasua strada. Inoltre, non c’era nemmeno una particolarefrequentazione fra i due fratelli, che oltretutto avevano (e hanno)temperamenti molto diversi.

Erasmo ha genio artistico, una classica personalità da creativo,molto sensibile, passionale, con uno spiccato trasporto per labellezza. Il Cente è un metodico, razionale, pragmatico: è diventatomedico e fa il chirurgo oculistico (oggi è primario all’ospedaleValduce, a Como). Erasmo entra giovanissimo alla Ratti, lamaggiore seteria di Como. Molto presto si fa apprezzare dal signorRatti per la sua creatività nel disegno dei tessuti e poinell’inventare nuove linee di produzione, soprattutto per l’arredodi interni.

In breve si afferma come un autentico talento. Siamo negli anniSettanta. Erasmo – che si sposa ed è innamoratissimo della moglieSerena – si realizza nel lavoro, che lo porta anche in giro per ilmondo. Conduce un’esistenza borghese senza alcun problemareligioso.

È così lontano dalla fede di suo padre che, sposandosi, decide

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con la moglie di non avere assolutamente figli. «A tal puntopretendevo un possesso assoluto della mia vita» mi dice oggi «chenon volevo neanche sentir parlare di figli».

Il suo orizzonte esclusivo sono i suoi progetti, le sue passioni.Finché un giorno del 1984 accade qualcosa che di colpo distruggequesta signoria assoluta sulla propria esistenza. Come quando unovede crollare d’improvviso il proprio mondo.

«Dopo otto anni di matrimonio» ha raccontato in un’intervistaa Stefano Lorenzetto «mi capitò una disgrazia familiare, una diquelle per cui ti interroghi drammaticamente sul senso della vita».

Immerso in questa tempesta esistenziale, un giorno decide diandare in vacanza con degli amici in Jugoslavia, «così, perdistrarmi, come si dice in questi casi».

Erano semplici turisti, ma, una volta là, per pura curiosità lacomitiva volle passare da Medjugorje, di cui tanto si parlava, inItalia, da tre anni, per le «presunte apparizioni» – come dicono gliscettici – della Madonna a sei ragazzi.

E lì, nella chiesa parrocchiale di san Giacomo, accadel’imprevisto, qualcosa di straordinario, che Erasmo, pudicamente(perché è un segreto che vuol tenere per sé), descrive così: «Durantel’apparizione, a cui partecipammo con tanta altra gente, ebbi unsegno inequivocabile, la certezza assoluta dell’esistenza delParadiso. La prova che quella fede cattolica che avevoabbandonato da giovane era vera».

Una folgorazione, come Saulo sulla via di Damasco...«Sì» dice Erasmo. «Ma ripartito da Medjugorje mi chiedevo: e

ora? Quale fosse la verità mi era chiarissimo, ma la strada perviverla?»

In fondo anche Saulo–Paolo, ci mise qualche anno a trovare lasua strada e la sua vocazione dopo quella luce abbagliante in cui

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gli apparve Gesù risorto.Erasmo confida: «Sono stati due anni di ricerca e

inquietudine».Evidentemente, osservo, la grazia del Signore in quel tempo ha

lavorato così, senza che te ne rendessi conto: dopo averti portatofuori dall’Egitto, cioè fuori dalle tenebre, ti ha fatto attraversare dueanni di deserto per far emergere e crescere in te il desiderio dellaTerra Promessa, la domanda di una vita nuova, la decisione diabbracciarla.

«In effetti in quei due anni ne ho provate tante di strade... Allafine la Madonna mi ha accompagnato sulla via che era la mia,preparata proprio per me. L’ho riconosciuta subito, appena hosentito parlare don Giussani...»

Com’è avvenuto?«Nel modo più semplice. Mia sorella Mariagrazia...»Già il nome, faccio notare, dice tutto.«Sì, è proprio così. Perché lei, la più piccola, è l’unica dei tre

fratelli che non aveva mai perso la fede. Aveva incontrato Gioventùstudentesca e quindi viveva l’esperienza di Comunione eliberazione. È stata la compagnia paziente e discreta della Chiesasul nostro cammino. Dunque, un giorno d’autunno del 1986Mariagrazia mi invitò a sentire don Giussani a Milano, allaGiornata di inizio d’anno. Io non sapevo neanche cos’era. Maaccettai l’invito e andai a vedere».

E cosa accadde?«Appena finii di ascoltare quell’uomo fui certo che mi trovavo

esattamente nel luogo che stavo cercando da anni. Infatti ricordoche tornai a casa e appena aprii la porta dissi a mia moglie: “Serena,Dio esiste e oggi ho incontrato un uomo che ne è testimone. Devoassolutamente parlargli”... Ma non fu facile. Mi misi a leggere i

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suoi libri, a partecipare alla Scuola di comunità di Cl, poi unincontro fortuito...»

Ancora il «Caso», o meglio il Signore che manifesta il suodisegno attraverso circostanze quotidiane...

«Esattamente. Conobbi per lavoro una persona dei MemoresDomini76 e – capitato una sera nella sua casa – uscendo miimbattei proprio in don Giussani».

Erasmo non perse certo l’attimo e subito gli espose le suequestioni irrisolte: anzitutto quella – grande come un macigno –sul dolore... E l’altra domanda che riguardava – dopo l’incontrofatto – l’utilità e il significato del suo lavoro.

Don Giussani gli rispose che si sarebbero presto rivisti perchévoleva parlarne con calma e a quattr’occhi. Ma all’ardore di quelledomande, così sofferte, volle dare subito un accenno di risposta.

E sulla drammatica condizione del dolore gli disse: «Erasmo,tutto è positivo, tutto concorre al bene. Ringrazia per questo,perché il Signore ti ha messo nella posizione giusta che è quella delmendicante».

Certo, non è semplice accettare che anche un’atroce sofferenzasia permessa perché porta a un bene. Tuttavia, misteriosamente, èdavvero così. Non solo perché spesso lo si constata anche in questavita. Ma perché il trionfo è sicuro nell’eternità.

La beata Giuliana di Norwich (mistica del XIV–XV secolo)scrive:

«Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto... Esser messo amorte e risorgere il terzo giorno».Nella mia stoltezza, mi meravigliavo che la grande sapienzadi Dio non avesse impedito all’inizio il peccato, poiché secosì avesse fatto, mi sembrava, tutto sarebbe andato bene...

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Gesù mi rispose: «Il peccato era ineluttabile, ma tutto finiràbene, tutto finirà bene, ogni cosa, qualunque sia, finiràbene»77.

Com’è confortante questa promessa, questa certezza che tutte le

nostre pene finiranno presto. E ci aspetta la felicità che nessunopuò toglierci, conseguita anche attraverso le sofferenze, maimmensamente più grande di esse.

San Paolo infatti afferma: «Io penso che le sofferenze del tempopresente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Diomanifesterà verso di noi»78.

Don Giussani poi, dopo quella prima risposta, dissipò ognidubbio di Erasmo relativo al proprio lavoro: «Ricordati che tutti ilavori possono rendere gloria a Dio. Troviamoci e ne riparleremocon calma».

In effetti quanto un mestiere come designer di interni possa daregloria a Dio Erasmo non lo poteva nemmeno immaginare (il buonDio glielo ha fatto capire con il tempo e oggi basta andare a vedereCometa: chiunque lo può constatare).

Quello che fu chiaro a Erasmo appena poté reincontrare donGiussani fu che quell’uomo capiva e condividevaentusiasticamente la sua passione per la bellezza. Perché Erasmo èuno così, uno che vede un tramonto nella campagna ed estasiato tidice: «Ma guarda! Un Dio che ha fatto una tale magnificenza nonpuò volere che i suoi figli vivano nello squallore».

Se c’era al mondo un essere umano che poteva capire questoanelito, se c’era uno che era innamorato della bellezza perfino piùdi lui, questi era proprio don Giussani. Che infatti di slancio loesortò ad andare avanti, pur avvertendolo che non sarebbe stato

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compreso.«Ma io» dice Erasmo «ormai avevo ritrovato la strada sicura:

ero come un figlio scappato di casa che la Madre è andata a cercare,riportandolo nella sua dimora, nel suo mondo».

L’avventura di una nuova vita adesso cominciava e come ilSignore – che ha una fantasia da grandissimo artista: il più grande –avrebbe ricomposto tutte le tessere sparse in un mosaico bellissimonessuno poteva immaginarlo. Ma si sarebbe rivelato presto, con lecircostanze della vita quotidiana.

Infatti pochi mesi dopo, è il 1987, don Aldo Fortunato, unsacerdote di Como che aveva fondato l’Arca (comunità per extossicodipendenti) chiama Erasmo, che è suo amico. Gli chiede diaiutarlo a trovare una famiglia che possa accogliere, in affido, unbimbo di sei anni, sieropositivo. Sua madre è morta e il padre haormai l’Aids conclamata. Erasmo rispose che provava a cercare. Lamoglie, che aveva ascoltato in silenzio quel dialogo, gli disse: «Mache famiglia vuoi cercare? Prendiamolo noi».

Erasmo (che a quel tempo era sui 36 anni) e Serena, avevano giàdue figli e vivevano in un piccolo appartamento. Ma dissero «sì».E poco dopo arrivò il bambino. I due avevano appena iniziato uncammino di conversione e la nuova vita cominciò così, con ungesto di accoglienza.

Naturalmente non fu affatto indolore. In quegli anni l’Aids eraancora un mostro inavvicinabile, che terrorizzava tutti. Erasmo eSerena furono considerati degli irresponsabili da amici e parenti.Ma loro per primi sapevano che era una situazione delicata eproprio per questo – per seguire bene il bambino dal punto di vistadella salute – Erasmo chiese un aiuto a suo fratello Cente che, puroccupandosi di chirurgia oftalmica, era un medico e conoscevacolleghi del suo ospedale che curavano sieropositivi e malati di

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Aids.Il Cente, a sua volta, era un tipo inquieto e alla ricerca. Anche

per lui il 1986 era stato un anno di svolta. Ricorda che in estate, invacanza alle Seychelles, una sera, guardando il tramonto si era resoconto dolorosamente dell’abisso che c’era fra quella bellezza e ilvuoto della sua vita.

Anche per lui l’incontro con don Giussani, nel 1986, segna laconversione e l’inizio di una vita nuova. Con la fidanzata, Marina,decide di sposarsi e, sempre con lei, a sua volta oculista, accoglie eabbraccia il bisogno che gli si presenta col volto di padre AugustoColombo79.

Questo straordinario missionario, da anni in India, nel settembredel 1986 viene a curarsi in Italia. Pensa di essere diventato cieco,ma proprio il Cente scopre che si tratta solo di una cataratta e loopera.

Nell’incontro con quell’uomo però viene a sapere che in Indiaci sono milioni di ciechi (fra cui tanti bambini), soprattutto nelloStato dove vive padre Colombo, l’Andhra Pradesh.

«Cente, perché non vieni giù a operare? Ti potrebbe aiutareMarina» prova a buttar lì il missionario.

Proprio con Marina il Cente doveva sposarsi tre mesi dopo. Egià questo era un impedimento.

«E poi» aggiunge il chirurgo «come si fa a operare laggiù?Manca tutto».

Ma padre Colombo non conosce la parola impossibile:«Troveremo quel che vi serve. Il bisogno è enorme. Si inizia conpoco e, se dovrà andare, andrà».

Il Cente, che è uno fatto della stessa pasta, accetta. E ancheMarina. Così a dicembre si sposano e vanno in viaggio di nozzeproprio in India, dove cominciano a portare attrezzature per

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operare. Col tempo porteranno anche molti colleghi ad aiutarli.Queste missioni del Cente sono andate avanti per ben quindici

anni e hanno coinvolto un numero sempre maggiore di suoi amicimedici. Alla fine sono riusciti a metter su una vera e propria clinicae oggi «ci sono chirurghi indiani che vi operano e specialmente sioccupano della povera gente dei villaggi come desiderava padreColombo».

Ma prima di arrivare a questo storico risultato è successo ditutto. Una volta alcuni banditi assalirono il Cente e altri colleghiitaliani, rubando ogni cosa, rinchiudendoli in una gabbia eportando via padre Colombo. I medici erano scioccati, ma dopodue giorni il missionario tornò, spiegò che tutto era andato bene, sifece una dormita e riprese il suo lavoro come se nulla fosseaccaduto.

In quegli stessi anni, fra l’altro, il Cente e Marina avevanomesso al mondo sette figli. Una bella famiglia.

«Mi ricordo che ogni volta che stavo per andare a Warangal, inIndia, dove passavo due mesi all’anno a operare» dice ridendo ilchirurgo «capitava qualche guaio di salute a uno dei figli. E laggiùnon c’erano telefoni. Era sempre un bailamme. Inoltre dopoqualche anno mi resi conto che la nostra era un’impresa impossibileperché ne operavamo cinquanta al giorno e fuori ce n’erano altritrecento ad aspettare. Anche quando decidemmo di dare laprecedenza a bambini e lebbrosi, era sempre una goccianell’oceano».

Non però per quelli che guarivate, obietto.«Oh certo... Ricordo che quella povera gente ci guardava come

se fossimo dei padreterni: prima erano ciechi e dopo una sempliceoperazione di cataratta ci vedevano... Ma io mi sentivo sopraffattodall’enormità del problema: erano milioni di malati».

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E come hai risolto le tue perplessità?«Un giorno padre Colombo ci ha fatto incontrare Madre Teresa,

che era sua amica. Era il 1990. Fu per me impressionantesoprattutto per la sua umiltà e semplicità. Basti dire che stava lì aservire a tavola. Io le confessai il mio tormento, ma lei mi confortòdicendo: “Non conta quanti malati guarisci, ma la testimonianzache dai: vedono che c’è qualcuno che si prende cura di loro ed èquesto che conta”. Mi sentii rassicurato e proprio da alloracominciò quella collaborazione per cui portammo alcuni indiani aimparare in Italia. Così l’opera è andata avanti con le forze delposto e oggi c’è una clinica. Sono molto contento di essere riuscitoa portare tutti i miei figli giù, a vedere».

Dunque, tornando al 1987 (l’anno in cui il Cente comincia adandare in India), quando il fratello Erasmo gli chiede un aiuto per ilbambino sieropositivo che ha preso in affido, la risposta è «sì» (ilfanciullo poi, crescendo, è guarito).

Da quel momento i due fratelli sono accomunati da qualcosa digrande: l’incontro con don Giussani. E così le loro vite siriavvicinano. Anche Serena e Marina condividono questo camminodi conversione e le loro famiglie cominciano a spalancarsiall’accoglienza di altri bambini con problemi.

Nel 1990 i Figini acquistano un vecchio rudere, la cascinaBrusada, che non interessa a nessuno e la trasformano in un luogofantastico, reinventato dal genio creativo di Erasmo.

Là, due anni dopo, la comunione delle due famiglie diventa unabbraccio che accoglie. E comincia un via vai di persone, bambinie anche adulti in difficoltà.

Ma la decisione di andare a vivere lì tutti insieme è scaturita daun’indicazione molto autorevole. Un giorno infatti i fratelli con lemogli, Marina e Serena, si recarono a parlare con don Giussani che

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dette loro questa prospettiva: «Andate a vivere insieme.L’importante non è che facciate un’opera di carità, perché di operesimili ce ne sono già tante. L’importante è che facciate un’opera dicomunione».

Così, misteriosamente, per vie imprevedibili, dopo anni, ilprofetico testamento del padre si realizzava. Cometa è infatti unafamiglia. Anzi una comunione di famiglie, ognuna con la propriacasa. Perché poi altre se ne sono aggiunte. E c’è anche una casa deiMemores Domini, di cui fa parte pure Mariagrazia.

Ma Erasmo ci tiene a sottolineare che anzitutto la loro è «unacomunione in Cristo, infatti a Lui appartiene quest’opera, non ècerto nostra. Don Giussani ci esortò anche a tenere i nostri lavoriper evitare che l’opera diventasse un nostro possesso. Nostro è soloil “sì” dell’inizio a don Giussani, il “sì” a vivere insieme, quelloche ripetiamo ogni mattina. Ma anche quel “sì” è preghiera escaturisce dalla grazia del Signore. Del resto noi siamo persone cosìdiverse che – quando accettammo di andare a vivere insieme –temevamo che di lì a poco sarebbe saltato tutto in aria. Invece nonè andata così. Il primo miracolo di Cometa è questo. È Lui che fa lacomunione fra noi. È Lui che fa tutto».

Oggi Erasmo e Serena, oltre ai due figli naturali, ne hanno sei inaffido. Nella palazzina accanto (e collegata) vivono il Cente eMarina, insieme ai sette figli naturali, sei in affido e una bimbaadottata. In altri appartamenti attigui vivono altre famiglie: quelladi Mirella e Lorenzo, con tre figli naturali e cinque in affido. Quelladi Paolo e Marilena, con due figli naturali e sei in affido. InfineElisabetta e Marco, che hanno tre figli naturali e cinque in affido.

Tutta questa grande famiglia stava attorno al grande tavolo,quella sera di maggio, ad aspettarci e a chiederci di noi e diCaterina (infatti a cena si ritrovano tutti insieme, mentre a pranzo

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ogni famiglia sta in casa propria).Fuori dalla cittadella ci sono altri nuclei familiari, legati a

Cometa, che hanno diversi altri bambini in affido. Nell’insieme, inquesti venti anni, i figli accolti lì, da un abbraccio di padre e dimadre, e che sono cresciuti, sono molte decine.

Ma Cometa non è solo questo. Se un viaggiatore passasse di làin un qualsiasi giorno feriale vedrebbe infatti più di cinquecentoragazzi in circolazione.

Perché un centinaio di loro – con difficoltà varie – vengono inaffido diurno (nel pomeriggio) a Cometa dove trovano lo spazio ele persone che li aiutano a studiare (e a condividere e a vivereinsieme). La sera poi tornano a casa. Il grosso, però, è rappresentatodai ragazzi che frequentano la scuola Oliver Twist, nata dal cuoredi Cometa.

È una scuola di formazione professionale che vuol dare unagrande opportunità a ragazzi che il normale sistema scolasticoperdeva per strada. Offre corsi sul tessile, la ristorazione e lafalegnameria. Con un liceo delle professioni. È evidente l’improntadi Erasmo.

Quello che colpisce, vedendo la scuola, è anzitutto la suabellezza. E se ne accorgono anche i ragazzi, intuendone ilsignificato. Uno di loro, stupito, ha commentato: «Ma allora voi citenete a noi!».

Insieme alla scuola c’è poi la Contrada degli artigiani,cooperativa di produzione e lavoro costruita nel 2008 fra artigianie ragazzi (comprende quattro botteghe: falegnameria, tappezzeria,restauro e decorazione, infine design)80.

Nel 2002 è nata pure un’associazione sportiva. Un’iniziativache sta diventando grande, ma che è sbocciata da un piccoloepisodio di squallore quotidiano, quando a Erasmo accadde di

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assistere a una partita di calcio fra ragazzi i cui genitori, chefacevano da pubblico, si insultavano a vicenda. Una cosaavvilente. Però emblematica...

«Le cose a Cometa nascono così, semplicemente dagli incontri,dalla vita. Non da un progetto a tavolino, ma dai bisogni chevediamo. Soprattutto» sottolinea Erasmo «nasce tutto dalquotidiano “sì” a Cristo che tutti i giorni ti desta e ti attraefacendoti correre dietro a Lui. È una vita vertiginosa, che sembraprecaria perché non ti fa mai fermare, ma in realtà è vero ilcontrario. È come quando vai in bicicletta: mantieni l’equilibrio sevai e pedali dietro a Lui, se rallenti sempre più e ti fermi, cadi perterra».

Oggi è in costruzione anche una cappella che sarà intitolata aiconiugi Martin, genitori di santa Teresina di Lisieux (loro stessisono stati beatificati). Tutto l’insieme, armonico ed elegante, haveramente l’aspetto di «una città nella città», come dicono aCometa.

In effetti è stato proprio questo uno degli ultimi messaggi didon Giussani: «Costruite una città nella città, che testimoni lacertezza di un bene comune. Perché verranno tempi in cui nonbasteranno più le parole, ma bisognerà vedere luoghi chetestimonino che si può vivere così. Dove, nella semplice vitaquotidiana degli uomini, ci sia la presenza di Cristo».

E la presenza di Cristo, al centro di questa città, c’èsacramentalmente, perché, per decisione del compianto monsignorSandro Maggiolini, vescovo di Como, che a Cometa era davvero dicasa, è stato dato il permesso di custodire il SS. Sacramento nellacappellina interna. Là, ogni mattina alle 6, comincia la giornata diCometa.

Inizia con l’Angelus. Perché dal giorno in cui l’angelo portò

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l’annuncio a Maria, a Nazaret, e risuonò il suo «sì», è entrata nelmondo la salvezza. E il senso di tutte le cose.

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In cammino...

«Eppure il vento soffia ancora:spruzza l’acqua alle navi sulla prorae sussurra canzoni tra le fogliebacia i fiori, li bacia e non li coglie».

Pierangelo Bertoli C’è anche un cammino fisico, accanto a quello esistenziale e

spirituale, che abbiamo fatto per Caterina. È il cammino deipellegrini: nella tradizione cristiana da sempre i poveri di Dio simettono sulla via per mendicare una grazia.

Negli ultimi mesi, oltre al santuario di Montenero – di cui hogià parlato – siamo andati a Ghiaie di Bonate (in provincia diBergamo, dove la Madonna è apparsa nel 1944), a Loreto, allasanta casa di Maria, che era stata meta di tanti pellegrinaggi daparte di Caterina.

Ci siamo recati a San Giovanni Rotondo, da padre Pio. E avenerare l’immagine della Madonna proveniente da Nazaret, doveuna nostra cara amica, Irene, figlia spirituale di padre Pio, ha avutomotivi di conforto certo sulla guarigione di mia figlia.

Negli ultimi giorni del 2012 sono andato in pellegrinaggio aLourdes con gli amici di Cometa. Sono partito perché volevoanzitutto ringraziare la Madonna per il risveglio di Caterina:accadde infatti che Stefano venne a chiedere questa grazia neiprimi giorni del 2010 e tornò il 2 gennaio portando a Caterina, inospedale, una sciarpa bagnata alla fonte di Bernadette. Ebbene, il

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giorno dopo, 3 gennaio, Caterina cominciò a rispondere e quindida quel momento fu dichiarata ufficialmente fuori dal coma.

Volevo dunque inginocchiarmi ai piedi della Santa Vergine diLourdes per questa grande benevolenza. Poi, siccome ringraziaresignifica predisporsi a ricevere nuove grazie, sono andato anche perraccomandare alla Madre di Dio la completa guarigione di Caterinae tutta la mia famiglia che sta attraversando prove dolorose.

Avevo inoltre da portare alla Grotta di Massabielle altresuppliche per tante persone che me lo avevano chiesto: un corteodi sofferenze, vicissitudini, drammi che – a pensarci bene – fannosentire quanto il creato gema drammaticamente nelle doglie delparto...

A volte sembra che noi cristiani, peraltro disprezzati dal mondo,siamo così impotenti davanti all’enormità del male, così irrilevantidi fronte all’oceano dell’ottusità umana che corre verso il nulla,così sommersi da notizie negative, crisi e violenze, che ci si sentequasi abbandonati dal Signore dell’universo.

Uno stato d’animo comprensibile, ma superficiale edestremamente sbagliato. Anche pericoloso. Perché Dio non ci haamati per scherzo, non è venuto a farsi uomo e a lasciarsimassacrare per passatempo.

Gesù ce lo ha detto: «Nel mondo avrete tribolazione, maabbiate fiducia, Io ho vinto il mondo!»81. Infatti ha vinto anche lamorte, è vivo ed è Signore della storia, perciò domina gli eventi eporta i secoli «come chiatte in carovana» verso il loro destino. Etutto obbedisce a Lui, tutto è in suo potere. A Lui tutto è possibile.

Come scrive John Henry Newman:

Quanto più la mano di Dio è segreta, tanto più è potente;quanto più è silenziosa, tanto più è terribile. Approfittiamo

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perciò di quello che ogni giorno, ogni ora che passa ciinsegnano. Il mondo sembra proseguire per il suo corsoordinario. Non vi è nulla di celestiale nelle notizie di ognigiorno, nel volto della massa, nelle azioni dei potenti, nelledecisioni dei superbi. E tuttavia Gesù con il suo Spirito èpresente; la presenza del Figlio eterno, molto più gloriosa,più potente di quando egli era visibilmente sulla terra, è connoi82.

Parto di notte. Mi incontrerò con la carovana di Cometa ad

Albenga, vicino al confine con la Francia. Prendo la direzione diFirenze e subito m’imbatto nelle miniere dove hanno lavorato miononno e mio padre.

Le vedo dalla strada e fanno impressione nel buio, sotto la lucedella luna. Sono come le vedevano loro quando arrivavanoquaggiù, percorrendo a piedi sette chilometri, ogni mattina.

Quante persone sono morte in quelle gallerie, quante fatiche equante atroci sofferenze. Un giorno di febbraio del 1953, a 27 anni,mio padre qui, lavorando, si è tranciato una mano, perdendo duedita, e solo per il freddo, che gli congelò il sangue, non è morto diemorragia (arrivò all’ospedale molte ore dopo, fra dolori disumani).

Doveva sposarsi di lì a poco con la mia futura mamma.Ringrazio Dio di averlo salvato. E di avermi dato un padre così.

Strada facendo m’imbatto in una serie di luoghi che sembranoriassumere tutta la mia vita e i volti e i miei incontri più importanti.Penso che sia proprio bello andare a presentare ai piedi dellaRegina del cielo e della terra tutta la mia esistenza, riempiendo difiori quell’altare nella Grotta...

In auto ascolto un cd di Francesco Guccini che non sentivo da

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tempo. È stato il poeta della mia giovinezza e la colonna sonoradella mia generazione: lo ascoltavamo al liceo negli anni Settantaperché sapeva raccontare l’imponenza delle nostre domande sulsenso della vita, sull’amore e sull’amicizia.

Cara amica il tempo prende il tempo dà... noi corriamosempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chilo sa...83

Nessuno cantava con tanta pietà – e disincantata ironia – le

risacche della vita quotidiana dove si perdevano le nostre utopie,cosicché, dopo esserti illuso di rivoluzionare il mondo, ti svegliavial mattino e... «son lì ad aspettarmi / le mie domande, il mio niente,il mio male»84.

Il tempo che passa e si porta via tutto, come Guccini lo narrava,ci stringeva il cuore. Le sue canzoni sono piene di nostalgia per ciòche si è perduto, ma anche per quello che non si è visto e vissuto,per qualcosa di indefinito che non si è trovato mai, le cui tracceperò si scorgono e sono piene di una promessa. Non mantenuta.

L’insoddisfazione della giovinezza e del presente era unbrancolare alla ricerca dell’«isola non trovata», quella di cuiparlano «le antiche carte dei corsari»85.

Tanti della mia generazione se la fabbricarono artificialmentequell’isola, con la chimica delle droghe, dopo la delusione delleideologie. Altri la trovarono solo nei libri dei poeti o sirassegnarono al «lento scorrere senza uno scopo di questa cosa...che chiami... vita»86.

Ma era così potente, nelle sue canzoni, questo desiderio di unsignificato del vivere, di un luogo dove l’esistenza fosse piena, che

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quando io, a 18 anni, incontrai il Movimento e subito mi folgorò(dissi: «Vi aspettavo da anni! È quello che ho sempre desiderato»),lo volli far sapere a tutti con un volantino pieno di citazioni diGuccini.

Era lui ad aver scavato nell’anima di una generazione e io orausavo le sue poesie per annunciare ai miei coetanei che «l’isolanon trovata» c’era davvero. Io l’avevo trovata!

L’ingenua mia freschezza di quei giorni non era affattoillusoria, perché l’avventura di quella compagnia di amici ancoraoggi mi riempie di gratitudine e di stupore. E dopo tanti anni, fra leferite e i combattimenti della vita, è addirittura più vera e profondadi allora.

Finisce il cd di Guccini mentre attraverso le gallerie delleCinque Terre e – per una bella coincidenza – quando esco da untunnel e mi si spalanca davanti il mare, illuminato dal sole cheirraggia fuori dalla notte, lo speaker di Radio Maria sta leggendoqueste parole di Benedetto XVI: «La nascita di Dio, sole che sorge,inonda la terra di un indicibile splendore».

Sì, era (ed è) proprio Lui l’isola non trovata. Ed è Lui ad avertrovato noi. Quando ad Albenga mi imbarco con la compagnia diCometa, dove ritrovo anche vecchi amici dei primi tempi, come «ilLele», provo una sensazione di familiarità. Mi sento a casa. È lamia gente.

La carovana è fatta di molte familiari e pulmini. Siamo in tuttoun centinaio di persone, fra cui tantissimi bambini e ragazzi. Ilritrovarsi tutti insieme per un pranzo al sacco in un’area di sosta oper fare benzina è sempre all’insegna dell’allegria. I più piccolisono tutti tranquilli. Nessuno di loro fa bizze. Si divertono esembrano non sentire la fatica del lunghissimo viaggio.

Non so perché, ma la comitiva di Cometa mi fa venire in mente

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la bella carovana protagonista del Circo della farfalla87. O forse loso. Ma la somiglianza si può estendere a tutto il Movimento e allaChiesa stessa.

«Veniamo alla Grotta di Massabielle ogni anno dal 2005» mispiega Erasmo Figini «nel solco del pellegrinaggio voluto da donGiussani nel 1992, il quale chiese che tutta Comunione eliberazione andasse in segno di ringraziamento e di supplica aipiedi della Madonna di Lourdes per il decennale delriconoscimento della Fraternità da parte della Chiesa88. Così noitorniamo ogni dicembre, per ringraziare la Madonna dell’annotrascorso e consacrarLe il nuovo».

È un gesto, osservo, che vivete con allegria, ma mi colpisceanche una certa solennità, anzi una commozione...

«Sì. Il pellegrinaggio continua ad accadere sempre nellostupore e nella preghiera che Lei mantenga in noi la semplicità diquel “sì” degli inizi, reso possibile dal Suo “sì”. Andiamo ognianno là per questo».

Ci sono anche dolori che la gente di Cometa chiede allaMadonna di abbracciare e medicare con la sua tenerezza. La feritache Erasmo, quest’anno, sente più acutamente ha il nome di unabimba piccolissima e amatissima.

Quando, a maggio, eravamo andati a Cometa, Serena ed Erasmoci erano apparsi emozionati per l’arrivo di quella neonata in affido,sembravano una giovane coppia di sposi in attesa del primo figlio.Erano sorprendenti quei loro sentimenti, considerando la quantitàdi figli che da anni avevano accolto.

Ma questa era una vicenda molto speciale. L’assistente socialeaveva chiesto loro se, riflettendoci, volevano prendere in affido unabambina cerebrolesa, così gravemente malata che i medici le

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davano pochi mesi di vita: «Ve la sentite di accompagnarla allamorte?».

In effetti le condizioni della bambina risultavano penosissime:era intubata, faticava a respirare, gemeva quasi sempre. Chiunque,credo, si sarebbe tirato indietro, sarebbe fuggito da una similerichiesta...

Erasmo e Serena, invece, hanno pensato di essere stati presceltiper una preziosissima missione. In cuor loro hanno ringraziato Diodi avere la possibilità di riempire d’amore la piccola bambina.Quanta strada avevano fatto da quel loro antico, giovanile rifiutodei figli e della sofferenza.

Non c’è nulla di più gratuito, non c’è amore più puro di quellodonato a una creatura che neanche può capirlo, una piccina che èdestinata a morire di lì a poco e di fronte alla cui sofferenza si ètotalmente impotenti.

Sono passati sei mesi da quella sera di maggio a Como. Siamofinalmente arrivati sulla spianata davanti al santuario di Lourdes ealla Grotta. Erasmo, sotto il cielo azzurro e un bel sole cherisplende sulle sciagure umane, mi parla con commozionedell’arrivo della bambina, della sua breve vita a Cometa e della suanascita al Cielo come dell’avvenimento più importante per lui damolto tempo: «Aver potuto accompagnare la bambina al suo – enostro – destino è stata una grazia enorme che ha illuminato tutto».

Ma è stato drammatico vederla morire (so che Erasmo e Serenahanno sofferto davvero molto)...

«Sapevamo che la sua situazione non aveva, umanamente,alcuna speranza. Ma io ho sperato e ho pregato per un grandemiracolo di guarigione. Quella guarigione fisica non c’è stata. Masono stati sconvolgenti per noi quei momenti della morte dellabambina perché ha spalancato gli occhi come se già vedesse il

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Paradiso... E probabilmente è stato proprio così! Il dottore ci hadetto: “Guardate, guardate!”. Anche lui era emozionato. Io non homai visto occhi così. E ci ha accennato un sorriso. Negli ultimimomenti di una cosa aveva bisogno: di stare fra le nostre braccia.Ed è morta così. In grembo a Serena, mentre io le tenevo i piedini:ha aperto gli occhi su di noi e ci ha colmati di pace nascendo alCielo».

Erasmo ha trovato il senso del misterioso avvenimento che èstato l’arrivo e la partenza della bambina in una lettera di santaTeresina di Lisieux: «Che bella la missione del bambino guerrieroche sparge fiori sul mondo».

Questa bimba, nella sua breve vita, ha sparso fiori e benedizioniche restano sconosciute sulla Terra, ma che stanno scritte nel granlibro della vita e che leggeremo un giorno, il Gran Giorno...

Chiedo ancora: perché dici che questa piccina ha illuminatoogni cosa?

«Perché lei ci ha fatto capire il senso vero di tutte le paternità ele maternità che viviamo con tanti bambini e ragazzi: accoglierlicosì come arrivano, amarli come sono e accompagnarli al destino».

Questa gratuità, che rinuncia a ogni forma di possesso affettivo– paterno e materno – e a ogni forma di gratificazione, è quello chefa dire al Cente che nel dolore di questo distacco si capisce che«anche i figli naturali in realtà sono in affido». Perché affidati a noida Dio, che è il vero Padre. Della cui Casa tutti abbiamo nostalgia.

Anche la famiglia del Cente e di Marina ha vissuto, in questiultimi mesi, una vicenda molto commovente.

I loro sette figli naturali sono sempre più coinvolti nella sceltadi vita dei genitori. Ed è evidente la loro affezione nei confronti deifratelli e delle sorelle in affido, che di volta in volta accolgono incasa e nella loro vita.

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Ma in particolare c’è stata una decisione in cui loro sette hannoavuto un peso determinante: quando per una piccola, splendidasorellina che era stata con loro in affido, una bimba affetta dasindrome di Down, è venuto il momento di partire da Cometa peraltra destinazione, sono stati loro stessi a insistere per l’adozione.

Il Cente e Marina – che lo desideravano in cuor loro – hannofatto presente che il futuro della sorellina sarebbe stato sulle lorospalle. E i figli hanno risposto: «State tranquilli, al futuro dellapiccola pensiamo noi».

In effetti è stato uno spettacolo per me, nei giorni di Lourdes,vedere con quanto amore, con quale premura e attenzione, Lucia,una delle figlie grandi del Cente e di Marina, si è presa cura dellabimba. In ogni momento. Senza alcun problema e con immensatenerezza.

Essere a Lourdes con la gente di Cometa fa capire tante cose.Lele, per esempio, mi fa riflettere su un «dettaglio» a cui non avevomai pensato: attraverso il «sì» di Maria, Gesù è stato dato aGiuseppe («padre putativo») come un figlio in affido, in adozione,affinché noi potessimo diventare figli di Dio.

È dunque una grande storia d’amore. La vera storia d’amore cheva in scena nel teatro del mondo: quella del nostro Dio follementeinnamorato di ognuno di noi. Che è venuto a cercare ciascunocome suo figlio perduto. E i cristiani sono, nel mondo, l’umileriflesso di quell’Amore che cerca i cuori degli uomini.

A Lourdes dove tanti, ogni anno, si caricano sulle spalle le crocidei loro fratelli ammalati, questa cattedrale dell’amore che è laChiesa rifulge in modo specialissimo.

«Il faut aimer sans mésure», bisogna amare senza misura,diceva Bernadette. Io questo amore senza limiti lo conosco. E l’hovisto non solo nei grandi santi della carità come Madre Teresa o nei

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santuari del dolore accolto e redento come Lourdes. Ma l’hosperimentato nel modo in cui sono stato guardato e accolto fin dalprimo momento in cui ho incontrato il Movimento.

Io conosco questo amore gratuito, senza misure, questa carità difarsi tutto con tutti, perché l’ho vista nei primi che ho conosciuto(come Andrea) così come la vedo oggi in questo incontro con lagente di Cometa. Caritas Christi urget nos...

Potrei descriverli esattamente con le parole di sant’AntonioMaria Claret:

La carità di Cristo ci sprona, ci spinge a correre e a volare,portati sulle ali di un santo zelo. Chi ama davvero, ama Dioe il prossimo. Chi è davvero zelante è anche amante, ma inun grado più alto, secondo il grado dell’amore; di modo chequanto più arde d’amore, tanto più è spinto dallo zelo [...]Chi è zelante, brama e compie cose sublimi e lavora perchéDio sia sempre più conosciuto, amato e servito in questa enell’altra vita. Questo santo amore, infatti non ha fine. Lastessa cosa fa con il prossimo. Desidera e procurasollecitamente che tutti siano contenti su questa terra efelici e beati nella patria celeste; che tutti si salvino, chenessuno si perda per l’eternità, né offenda Dio e resti, siapure un istante, nel peccato. Così fecero i santi apostoli etutti quelli che furono mossi da spirito apostolico. Io dico ame stesso: il figlio del Cuore immacolato di Maria è unapersona che arde di carità e dovunque passa brucia. Desideraeffettivamente e si dà da fare con tutte le forze perinfiammare gli uomini con il fuoco dell’amor divino89.

Questo «urgere» dell’amore di Cristo, così evidente nelle

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appassionate parole di don Giussani e nel modo in cui si prendevacura di ciascuno, l’abbiamo sperimentato durante i mesi più duridella malattia di Caterina e anche dopo.

Da parte di tanti cristiani, dalle storie più diverse. E in primisdai nostri amici del Movimento. Quando uscì il libro su Caterinaun lettore mi scrisse: «Ho sempre pensato il peggio possibile deiciellini. Ma se Cl è quello che lei racconta nel libro devo rivedere imiei giudizi».

Altri mi hanno scritto parole simili, aggiungendo che eranocuriosi di capire di più e di conoscere direttamente questa realtà.

Accadeva così anche con i primi cristiani. Tertulliano dicevache i cristiani chiedono solo questo: di non essere condannatiprima di essere conosciuti. Infatti contro di loro si scagliavanoaccuse infamanti, ma poi quando i pagani ne conoscevanoqualcuno, restavano meravigliati e commossi.

D’altra parte il pregiudizio del mondo è colossale e non si èfermato nemmeno davanti a Lourdes. Fior di scrittori e intellettualisi sono cimentati nelle ironie, chiudendosi gli occhi perfinodavanti ai miracoli più straordinari che la scienza stessa dichiaravatali. Perfino quando sono stati testimoniati da scienziati scetticicome Alexis Carrel – futuro premio Nobel per la medicina – che siconvertì proprio in seguito alla clamorosa guarigione immediata diMarie Bailly, l’ammalata grave che stava assistendo, accaduta aLourdes, davanti alla Grotta90.

Èmile Zola definì Bernadette «una povera idiota»91. Lui, cheinvece si riteneva una grande intelligenza, non ammetteva dicredere all’apparizione della Madre di Dio, in questo sperdutoborgo dei Pirenei, a una misera adolescente analfabeta.

Il mondo infatti (e talora pure il mondo ecclesiastico) non

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sopporta che Dio scelga ciò che sulla Terra è piccolo e disprezzato,per confondere i sapienti e i potenti.

E a Lourdes non c’era nessuno più piccolo e disprezzato dellafiglia dei Soubirous, la famiglia più derelitta del paese, costrettaaddirittura a vivere nel cachot, l’ex carcere, un locale tanto umido,malsano e angusto che avevano deciso di non tenerci più nemmenoi galeotti.

Uno della commissione ecclesiastica chiese a Bernadette: «Tisei creduta qualcuno perché ti è apparsa la Madonna?». EBernadette con la sua solita semplicità rispose: «La Madonna èapparsa a me perché sono l’ultima di Lourdes. Se non fossi statal’ultima sarebbe apparsa a qualcun altro».

Proprio così Bernadette si è sempre sentita: «Sono una buona anulla, capace solo di essere malata» disse una volta a Nevers, ormaisuora, dispiaciuta perché si sentiva di peso alle consorelle, con lasua malattia.

Del resto è proprio questa sua umiltà e il modo in cui ha vissutoanche la malattia – non il fatto di aver avuto le apparizioni – chel’ha fatta dichiarare santa (per quella malattia è morta giovanesenza mai chiedere alla Madonna la grazia della guarigione, lei cheaveva scavato la fonte della Grotta proprio per tutti i malati dellaTerra).

I più piccoli sono i più grandi nel Regno dei cieli. Èsignificativo che a Bernadette, a cui tutti davano del «tu» e davanodegli ordini («fai questo, fai quello»), la Regina del cielo si siarivolta dandole del «voi» e chiedendole: «Vorreste avere lagentilezza di venire qui durante quindici giorni?».

La Regina del cielo e della terra che chiede il favore di esserericevuta dalla più derelitta fanciulla di un borgo sconosciuto atutti. Questo è il ribaltamento del mondo. E la giovane Maria di

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Nazaret lo aveva profeticamente annunciato quel giorno: «Egliabbatte i potenti dai troni e innalza gli umili».

A Lourdes tutto è un inno all’umiltà. Anzitutto la Madre di Dioche – con grande scandalo di qualche chierico – appare alla grottadi Massabielle, fino ad allora rifugio per i maiali e luogo di altresconvenienti attività.

Che la Madonna abbia voluto apparire proprio là – luogo cheper tanti versi è una perfetta metafora della storia umana – dàun’idea dell’umiltà di Maria e dell’indicibile umiltà del Figlio diDio che spogliandosi della gloria divina si è fatto uomo, è venutoin una carne mortale, nel fango del mondo.

La povertà della grotta di Betlemme, simile a quella di Lourdes,era solo il segno fisico di questo auto–annientamento. Anche larichiesta fatta a Bernadette di mangiare l’erba è un gesto di umiltà.Ed egualmente il segno scelto dalla Madonna per soccorrere i suoifigli: l’acqua. San Francesco la definisce «umile, preziosa e casta».E così ricorda davvero la Santa Vergine.

La quale a Lourdes parla il dialetto che parlava Bernadette, perimmedesimarsi con lei. Questa carità dice quanto ha avuto pietà dinoi, quanto ci cerca e ci chiama. Quanta compassione ha dei suoifigli sofferenti...

E la Regina del cielo, ond’io ardotutto d’amor, ne farà ogni grazia92.

Anzitutto, sempre, a tutti coloro che le aprono il cuore, la grazia

del perdono di suo Figlio e della conversione. E la sua tenerezza.È delizioso leggere i racconti che fa Bernadette, quando dice ad

Antoinette: «Vi ha guardato a lungo e ha sorriso...» O quando lamadre di Gesù «si è messa a ridere» – come riferisce testualmente

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Bernadette – perché lei, su richiesta della signora Milhet, le hadomandato di scrivere il suo nome su un foglio che le porgeva.

Bernadette spiega ancora che la ragazza, molto giovane, èbellissima e «ha gli occhi azzurri».

Dopo mille domande e obiezioni Bernadette aggiunge ulterioridettagli: «La vedo come vedo voi, la sento come sento voi. Simuove, mi parla, stende le braccia, mi sorride, ride, si rattrista. Èuna persona, è una ragazza, non è una visione»93.

È tutto così semplice. La madre di Gesù è venuta fra noi. È unaragazza molto bella e buona. Dio ha ascoltato il nostro pianto e ciha mandato la più tenera delle madri, per guarirci anzitutto dellanostra malattia mortale (il peccato). Come segno di questo e nostraconsolazione ci solleva dalle nostre sofferenze fisiche conbellissime guarigioni miracolose.

La Madre così indica il potere del Figlio e il Figlio mostral’amore del Padre. Nel tempo della modernità, che punta il ditoaccusatore contro Dio per il male del mondo (male fatto da noiuomini), il Signore ha voluto moltiplicare i segni della sua infinitamisericordia.

Ci ha spiegato Madre Speranza, da Collevalenza:

Il buon Gesù mi diceva che devo arrivare a far sì che gliuomini conoscano Dio, non come un Padre offeso per leingratitudini dei suoi figli [...], ma come un Padre buono chesi adopera con tutti i mezzi e in ogni modo per confortare,aiutare e far felici i suoi figli e che li segue e li cerca conamore instancabile come se non potesse essere felice senzadi loro94.

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Lourdes è uno di questi segni luminosi. Nel pieno inverno diquei giorni di Natale 2012 alla Grotta eravamo quasi solo noi.Affidai alla Madonna, all’altare dove si lasciano le intenzioni dipreghiera, i nomi, le vite e i volti di Caterina e Maria. E poiMichelangelo e Alessandra. Ricordai alla Santa Vergine, quandoero ai suoi piedi, che anni fa proprio lì aveva visto le mie figlie (aquel tempo bambine) e mio figlio nel seno di sua madre.

È bello andare alla Grotta perché si sente di essere proprio sottoil suo sguardo dolce. Lo sguardo di tenerezza della più buona dellemadri.

Affidandole i miei figli e le loro belle anime di giovani eAlessandra, le affido anche tutti i miei amici di Cometa, tutti i lorobambini. E tutti i figli del mondo. E tutti i padri e le madri. E letante persone che ho care. E la Chiesa e il Santo Padre che la guida.

Per una bella coincidenza la fine del pellegrinaggio, domenica30 dicembre, era la festa della Sacra Famiglia. Il Vangelo ciproponeva la pagina dello smarrimento di Gesù al Tempio e il suoaffannoso ritrovamento da parte di Maria e Giuseppe.

Don José Miguel García, che aveva accompagnato ilpellegrinaggio, nell’omelia, osservò: «L’incarnazione è un mistero.E lo è anche il fatto che il Signore ha voluto nascere e crescere inuna famiglia, indicando in essa quel cammino che genera l’umano.Ma nel racconto del Vangelo» aggiunse «si mostra pure che lafamiglia deve essere centrata sull’origine: “Il Padre mio” diceGesù».

Don García concluse: «Gesù fa nuove tutte le cose compiendola missione del Padre. E la lettera di san Giovanni che abbiamoascoltato oggi, riassume tutti i comandamenti in uno solo: cheamiamo Gesù e ci amiamo gli uni gli altri. Di un amore vero e nonpossessivo».

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Tutto questo si impara da Maria. Con Lei, un giorno dopol’altro, si scopre sempre più quanto sono vere le parole di santaGertrude di Helfta, perdutamente innamorata di Gesù:

O vita della mia anima, possano gli affetti del mio cuoreaccesi dalla fiamma del tuo amore, unirmi intimamente a Te.Possa la mia anima essere come morta riguardo a tutto ciòche potrebbe cercare all’infuori di Te.Tu sei lo splendore di tutti i colori, la dolcezza di tutti isapori, la fragranza di tutti i profumi, l’incanto di tutte lemelodie, la tenerezza dolcissima dei più intimi amplessi. InTe si trova ogni delizia, da Te scaturiscono acque copiose divita, a Te attira un fascino dolcissimo, per Te l’anima siriempie degli affetti più santi.Tu sei l’abisso straripante della Divinità, o Re, nobilissimotra tutti i re, o Sovrano eccelso, o Principe chiarissimo, oSignore mitissimo, o Protettore potentissimo. O Gemmanobilissima di vivificante umanità, o Creatore di tutte lemeraviglie, o Maestro dolcissimo, o Consiglieresapientissimo, o Soccorritore benignissimo, o Amicofedelissimo. Tu unisci in Te tutti gli incanti di un’intimadolcezza. Tu accarezzi con soavità, ami con dolcezza,prediligi con ardore, o Sposo dolcissimo e castamentegeloso.Tu sei un fiore primaverile di pura bellezza, o Fratello mioamabilissimo, pieno di grazia e di forza, o Compagnogiocondissimo, Ospite liberale e generosissimo.Io preferisco Te ad ogni creatura, per Te rinuncio ad ognipiacere, per Te sopporto ogni avversità, non cercando inogni cosa che la tua lode.

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Col cuore e con la bocca confesso che Tu sei il Principio diogni bene95.

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Diario di bordo

«Se tu segui tua stella,non puoi fallire a glorïoso porto».

Inf. XV,55-56. Nella primavera–estate del 2010 ci era sembrato di vedere

finalmente la riva, dove già speravamo di trovare il porto sicuro,l’approdo di tutte le nostre fatiche...

Caterina aveva cominciato a dire diverse parole, fisicamentestava un po’ superando il blocco muscolare e cominciava amangiare per bocca... Ma a fine settembre sono arrivati i crampi e idolori fortissimi che, oltre a farla soffrire notte e giorno, rendevanodifficile la riabilitazione e le scavavano quel suo bel volto.

Invece di andare avanti siamo tornati drammaticamenteindietro, su quasi tutto: la tempesta ci ha ributtato in alto mare,come Ulisse nell’ Odissea quando stava per approdare a Itaca...

Poi, dopo un anno di questo nuovo calvario è bastatoreintrodurre un certo farmaco... Ma quante sofferenze atroci, quantotempo perduto, quante risorse morali dissipate! Tuttavia ilcammino di Caterina e il nostro accanto a lei è andato avanti conl’aiuto di Dio e tante splendide persone. Ora il chiarore dell’alba sifa più vicino, ma noi continuiamo a invocare: «Sentinella, quantoresta della notte?»96.

6 agosto 2010Ci sono alcuni che hanno obiettato alla mia richiesta di

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preghiera incessante e alla certezza che il Signore può tutto.Costoro indicano la «rassegnazione» (intesa come desistenza dallapreghiera) come il vero atteggiamento cristiano.

A me pare che non sia davvero così. Dio è un Padre buono e iovoglio implorarlo fino all’ultimo dei miei giorni, con fiducia einsistenza. Poi starà a Lui...

Certamente l’implorazione può esprimersi in lacrime, lamendicanza di ogni respiro diventa grido, ma non può trasformarsiin pretesa, né può cedere all’impazienza.

Tuttavia, questo grido non può finire: è stato Gesù stesso, nelVangelo (come ho ricordato in Caterina), a incitarci a pregare dicontinuo, a «disturbare» senza stancarci mai, indicando l’esempiodel petulante che per la sua instancabile richiesta viene esauditoperfino dal giudice cattivo.

Tanto più il Padre buono ascolterà i suoi figli... Lo documenta ilfiume di grazie che da duemila anni si riversa sull’umanità...

«Figlia mia, il mio cuore si è piegato alle tue suppliche» cosìdice Gesù a santa Faustina Kowalska97.

Dunque Dio si lascia vincere dalla preghiera dell’uomo?È proprio così. La tradizione cristiana lo ha sempre detto e il

popolo cristiano lo ha sempre saputo.Dante stesso, con due terzine formidabili spiega il mistero di

questa «debolezza» dell’Onnipotente:

Regnum coelorum violenza pateda caldo amore e da viva speranzache vince la divina volontade;non a guisa che l’uomo a l’uom sobranza,ma vince lei perché vuol esser vinta;

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e, vinta, vince con sua beninanza98. Provo a «tradurre». Dante ricorda le parole di Gesù: il Regno

dei cieli subisce violenza. Cosa significa? Sono il caldo amore e laviva speranza di chi prega a «violare» i portali del Regno e asaccheggiarne i tesori (ed è la Regina che ci spalanca le porte).

Questi saccheggiatori con la «violenza» della preghieraincessante «vincono» perfino Dio e talora ottengono addiritturache Egli muti i Suoi disegni, non perché Dio soccomba allaprepotenza dell’uomo (come accade nel mondo), ma perché Diovuole essere vinto dall’uomo che prega, in modo da far vincere cosìla Sua misericordia e la Sua bontà.

A noi è accaduto fin dall’inizio di questa storia... 31 agosto 2010Alessandra mi manda queste parole dalle lodi di stamani:

«Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cuiabbiamo visto la sventura. Si manifesti ai tuoi servi la tua opera, latua gloria ai loro figli».

12 settembre 2010Un anno dopo, Caterina c’è! 13 settembre 2010Da ricordare bene. È un pensiero di Madre Teresa di Calcutta:

Il vero amore deve sempre far male. Deve essere dolorosoamare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Potreste dovermorire per lui. Quando ci si sposa si rinuncia a ogni cosa peramarsi reciprocamente. La madre che dà la vita a suo figlio

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soffre molto. Solo allora si ama sinceramente. La parola«amore» è così mal interpretata e abusata.

14 settembre 2010Esaltazione della Santa Croce.Dice san Bernardo: «Le piaghe di Gesù sono altrettante bocche

che gridano: amore, amore». 21 settembre 2010Mi scrive un giovane veneto. Mi parla di un frate francescano

che viveva a Saccolongo, in provincia di Padova, padre DanieleHekic, un uomo di Dio, di carismi straordinari: «È vissuto e mortoin odore di santità... Mistico, umile e letteralmente devotissimo allaMadonna [in particolare affezionato a Medjugorje, nda]. Questosacerdote era pieno di sofferenze, era malato di sclerosi multipla,ma non voleva mai che si pregasse per la sua guarigione perchédiceva sempre che voleva offrire tutte le sue sofferenze a Dio per laconversione delle anime. Solo chiedeva di pregare perché luiriuscisse a sopportare tali dolori».

Il mio interlocutore mi riferisce che padre Daniele – per la cuipreghiera tanti hanno ottenuto grazie e guarigioni straordinarie – èmorto il 26 settembre 2009, due settimane esatte dopo il dramma diCaterina, quando mia figlia era ancora in coma.

Poi il giovane mi informa di un episodio che ricorda benissimo:«Il 24 settembre 2009 eravamo tutti da lui perché gli stavanodando l’unzione degli infermi (stava davvero malissimo) e quelgiorno l’accompagnatore di padre Daniele ci fece pregare tutti, perlei caro Antonio e per sua figlia, perché ci disse che sua figlia stavamolto male, ma che una veggente era andata da lei».

In effetti il giorno 23, per san Pio, come ho raccontato nel primo

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libro, una delle veggenti di Medjugorje venne a trovare Caterina inrianimazione, a Firenze, e lì, nella cameretta ebbe l’apparizione. Ilgiorno dopo, 24 settembre, alla stessa ora (mentre a Saccolongo, dapadre Daniele, pregavano per mia figlia), Caterina ci dette il primoe decisivo segnale di presenza e di risveglio. Quello che spalancòla luce della speranza nel nostro buio.

«Padre Daniele» mi scrive il giovane padovano «è morto duegiorni dopo e ritengo che egli si sia offerto pure per la salvezza disua figlia, anzi, io personalmente ne sono certo, perché abbiamoespressamente pregato per lei lì da lui in quel particolare giorno elui pregava e si offriva sempre per le persone che gli venivanoaffidate».

Cosa posso dire? Gratitudine e stupore per i santi che il Signoreha messo sulla nostra strada. Pregheremo perché il Servo di Dio,padre Daniele, di cui è prevedibile il processo di beatificazione, dalCielo continui a soccorrerci.

9 ottobre 2010Ho ricevuto questa mail dal mio amico Lele: Caro Antonio,un paio di giorni fa, mentre accompagnavo a scuola, come al

solito, i ragazzi [due bambini in affido, nda], il lettore di cddell’auto attacca inaspettatamente le note di Ojos de cielo. Hoavuto un tuffo al cuore e un groppo alla gola mi ha preso mentremi passava davanti agli occhi il volto di Caterina come se quegliocchi di cielo fossero i suoi.

Ma stavolta non lacrime di tristezza, piuttosto di gratitudine,Antonio, a Caterina e a voi tutti per l’immedesimazione con Cristosulla croce che state vivendo per la nostra salvezza.

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Grazie Antonio e Ale perché ci rendete presente quanto ilsacrificio di Cate sia per la salvezza e la conversione di me e diPaola.

Sai, a volte, quando la notte scorre insonne perché il piùpiccino [il terzo bambino in affido, nda] non dorme per le coliche,mi domando se il piccolo sacrificio di questo gesto di accoglienzache abbiamo fatto sia gradito a Gesù e il pensiero va a Caterina eal suo grande sacrificio che Dio ha scelto per lei.

La verità del nostro destino sta nel posto che Dio ha scelto pernoi e il centuplo quaggiù sta nell’abbracciare con gioia quanto ciè stato preparato. Perché la verità di quaggiù è riposta lassù,come diceva Giussani.

Ogni particolare porta con sé la sua verità «nei cieli», segno diun infinito che Gesù ha posto tra noi per sempre. E la verità dellacroce è quel Suo volto bello del Cristo risorto, quella carezza allanostra infermità che sempre perdona e sempre ci risolleva.

Siate lieti, dunque, perché Dio vi ha scelti, vi ha eletti a ungrande compito: la nostra conversione. Siate pieni di quella letiziapasquale di chi vede la realtà per quello che è oltre la miseraapparenza.

Grazie Antonio e Ale per quello squarcio di Paradiso che ilsacrificio di Caterina fa intravedere nel suo corpo martoriatocome quello di Gesù. Date a Caterina un bacio da parte di Lele ePaola, un bacio intenso colmo di affetto sincero, datele unabbraccio di poveri mendicanti di tutto quali siamo e sussurrateleun «grazie, grazie, grazie» perché non si immagina neppure laquantità di miracoli sta facendo Dio attraverso di lei.

Scusatemi se mi sono permesso di dirvi queste cose, ma miaccorgo che scrivendole a voi in realtà le confesso a me stessodomandando a Dio la grazia di essere sempre più assieme a Gesùsu quella croce, unica via per la salvezza del mondo.

Un bacio a tutti voi

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Lele 20 ottobre 2010«Tu dici a Dio come Mosè: o salvi questo popolo o cancella

anche me dal libro della vita». È una frase di don Barsotti che sentomia.

Ricevo un sms di Alessandra:«Michi mi commuove per la sua certezza limpida, è

straordinario: “Bisogna affidarsi a Gesù, qualunque cosa accada,anche una cosa brutta, non ci abbandona... Anche se questo non miconsola, perché voglio le cose belle. La forza di noi cristiani è checi affidiamo a Gesù e a Maria”».

Che bella la (geniale) semplicità dei bambini. 10 novembre 2010Qualcuno ha detto: le persone sono fatte per essere amate e le

cose per essere usate. Se c’è tanto caos in questo mondo è perché lecose vengono amate e le persone usate...

Questo è vero. Ma non è del tutto vero. Perché si possono ancheamare le persone e le cose senza «usarle». Si può contemplarle egustarne la bellezza senza possederle.

Come segno della bellezza indescrivibile del loro Creatore checi sarà data in dono. E questo è forse il possesso più profondo, chemette ordine nella nostra anima e nel mondo.

25 novembre 2010Ricevo questa mail: Carissimo Antonio,

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come certamente saprai il Santo Padre [ieri, nda] ha dedicatol’udienza generale a S. Caterina da Siena. Siccome sono convintache nulla accade senza significato (e so che lo pensi pure tu!), ilpensiero è inevitabilmente volato a... Caterina Socci e, avendoletto ciò che racconti nel tuo penultimo articolo, non ho potutonon soffermarmi, commossa, su questo passaggio:

Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al donodelle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita eprofonda, capacità di commozione e di tenerezza. Nonpochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovandol’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascostoil suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e aldolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, neisuoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime deiSanti si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlatocon toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci:«Abbiate memoria del sangue di Cristo crocifisso, Dio euomo [...]. Ponetevi per obietto Cristo crocifisso,nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevinel sangue di Cristo crocifisso».

Anche nel tuo libro su Medjugorje c’è un passaggio strepitoso

(e vero!!!) sulle «lacrime della Madonna». È un passaggio che horiletto mille volte, su cui ho meditato e che ho regalato a tantiamici.

Le LACRIME della vostra Caterina sono... «queste» lacrime.È «acqua» che irriga e disseta. Che fa fiorire il deserto e che

dà ristoro all’anima.Oggi, 25 novembre, affido tutto di lei e tutto di voi alla Regina

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della pace. So che se ne prenderà teneramente cura.Con affetto... di mamma. In comunione

Luisella Saro Lo stesso giorno ricevo questa mail da Giulia, la compagna di

studi di Caterina: Caro Antonio,ti scrivo per raccontarti che stanotte, in seguito a un incidente

stradale, è morta Manuela Camagni, la «Manu», amica della miafamiglia da sempre che, dopo una vita spesa nelle case deiMemores Domini, a Cesena prima e a Tunisi poi, in situazioni nonfacili, ma sempre sorridente, da anni affiancava Benedetto XVI,come membro della famiglia pontificia.

Ti racconto questo, perché quando, la sera del 12 settembre2009, arrivammo a Careggi con la Cate appesa a un filo, nonchiamai neanche i miei genitori... La prima e unica cosa che riusciia fare fu domandare a un nostro amico di chiamare la Manu perchiedere di pregare per noi, a lei e a tutta la sua «famiglia». Hosempre considerato una grazia avere un’amica che si prende curadella casa del papa e che vive un rapporto di vera familiarità conlui. E, in quel momento di dolore così grande, abbiamoletteralmente implorato la sua vicinanza nella preghiera e, tramitelei, quella del Santo Padre.

Non ricordo esattamente le parole, ma ci rispose qualcosa tipo«missione compiuta»... Mi fece quasi ridere e da allora venneidentificata come «il nostro angelo in Vaticano».

Ci chiese di tenerla sempre aggiornata... So per certo che daquella sera si è presa a cuore come una madre la nostra Cate.

Ieri sera la Manu è stata investita da una macchina sulla viaNomentana... Dopo una notte di agonia si è spenta alle 5 di

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stamattina.Proprio mentre la Manu offriva le sue ultime ore nel dolore, io

– che non sapevo niente – ho fatto un sogno strano: ho sognato diballare con Cate, stavamo andando a una festa, c’eravate tutti, maci aspettavate in fondo a un giardino, vi vedevamo da lontano.Cate camminava accanto a me... E parlava piano piano e rideva...E poi ci siamo nascoste e abbiamo ballato e riso senza farcivedere... Perché lei non voleva che la vedessero arrivare dalontano... Voleva fare una sorpresa a tutti gli amici e mi ha fattopromettere di non dire a nessuno che sarebbe venuta anche lei.

Mi ha svegliato una telefonata che mi comunicava la mortedella Manu.

Ho visto al telegiornale il pensiero di papa Benedetto per lei,pubblicato sull’«Osservatore Romano», insieme all’articolo che lariguarda... Occupava un quadratino minuscolo della prima paginasu cui campeggiava il titolo Il cuore di Caterina con un’immaginedi Caterina da Siena e alcuni passi del pontefice su di leiall’udienza di ieri.

Sono certa che la Manu abbia a cuore, ora più che mai, laguarigione della nostra Cate e che, lei che era il nostro «angelo inVaticano», interceda ora per noi in un luogo ancora più alto!

Ti racconto questo perché Manu è una di quelle persone chesilenziosamente cambiano il mondo... Credo che il suo compito,nella residenza pontificia, fosse quello di stirare e rassettare lestanze... Ma nessuno ne parla... E nel frastuono generale di ora,sono cose che rischiano di andare perdute... È una donna che haofferto veramente la sua vita a Cristo... Anche per Cate... Nonpotevo non scriverti di lei.

Un abbraccio,Giulia

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25 dicembre 2010Povera Caterina. E poveri noi... Un altro Natale in ospedale...

Eppure quanto diverso da quello pieno di angoscia e di trepidanteattesa dell’anno scorso. Gesù nasce e Lui può tutto! La speranza ècertezza.

6 gennaio 2011«Perseverare! Oggi tutto ciò che è essenziale sembra sotterraneo

come la grotta della Natività, come le grotte del cuore. Bisogna cheDio si incontri con l’uomo nel punto più segreto delle sue angoscee del suo desiderio».

Da questo pensiero di Oliver Clément traggo una conclusione:bisogna convertirci. La guarigione di Cate andrà di pari passo conquesto nostro percorso.

10 gennaio 2011Quanto sono belli i sorrisi di Caterina. Che felicità! Starei a

bearmi per ore dei suoi occhi luminosi, eppure è lei stessa arimproverarmi (amabilmente) perché non vuole essere da me troppocontemplata... Mi viene in mente Dante:

Vincendo me col lume d’un sorrisoella mi disse: «Volgiti ed ascolta;che non pur ne’ miei occhi è paradiso»99.

6 febbraio 2011Certi anticlericali parlano di un Dio lontano, indifferente alle

sofferenze umane. Certi credenti di un Dio che non dobbiamodisturbare con le nostre geremiadi altrimenti lo tratteremmo datappabuchi dei nostri meschini problemi.

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Ma è davvero così? No.Il Dio vivente, l’unico vero, che «ha parlato per bocca dei

profeti», è un Dio che piange e singhiozza per me e per te, amico,perché ci vede soffrire e siamo i Suoi figli amati.

A costo di far inorridire i teologi che parlano di «impassibilità»di Dio (e hanno certamente regione), sentite ciò che scrive il profetaGeremia:

Il Signore ha detto:«I miei occhi grondano lacrimenotte e giorno, senza cessare,perché da grande calamitàè stata colpita la vergine,figlia del mio popolo,da una ferita mortale»100.

Capite? È la Sacra Scrittura! Il Libro ispirato direttamente da

Dio! È Lui che parla. I suoi occhi «grondano lacrime, notte egiorno, senza cessare» per tutte le figlie e i figli, per la lorogiovinezza ferita. Per tutti i sofferenti.

E non è solo la Sua parola a dircelo per mezzo del profeta. Loabbiamo visto commuoversi quando è sceso dai Cieli.

Gesù «scoppiò in pianto»101 per la morte del suo amicoLazzaro e c’era dentro il dolore per la sorte di ogni creatura umana.

E così pure pianse per quello che aspettava Gerusalemme e ilsuo popolo. E la Santa Vergine, soprattutto nei tempi moderni, daLa Salette a Siracusa, da Medjugorje a Civitavecchia, non è venutaa noi con le sue lacrime addolorate di Madre che vede correre i suoifigli verso l’autodistruzione?

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9 febbraio 2011Stamani a Messa avevo un certo senso di sconforto. Poi ho

sentito padre Livio che, a Radio Maria, ha letto queste parole diGesù (a santa Faustina): «Le grazie della mia micericordia siattingono con un solo recipiente: la fiducia. Più un’anima hafiducia, più ottiene».

22 marzo 2011Don Giussani dice: «Ciò che vale di un rapporto è ciò che resta

dopo il sacrificio».Quanto è vero! Di quei rapporti parolai che pretendevano di

chiamarsi «amicizia», nel fuoco della prova spesso non rimanenulla. Però non bisogna mai giudicare, ma sempre avercompassione perché siamo tutti poveracci.

2 aprile 2011Mi capita spesso di ricevere mail o telefonate di persone che –

per qualche loro grave problema (soprattutto di salute) – michiedono di fornire recapiti telefonici o mail di Marija Pavlovic’ odi altri veggenti di Medjugorje.

Anche oggi è accaduto. Sono affranto dal dolore che sento inloro. Ma spiego che io stesso non dispongo di un filo diretto e nonsarei comunque autorizzato a render pubblici i loro recapiti.Aggiungo che possono far arrivare le intenzioni di preghiera allaparrocchia di Medjugorje, dove vengono consegnate ai veggenti.

Concludo che – come dicono proprio i ragazzi di Medjugorje –la preghiera personale di ciascuno arriva alla Madonna e al cuore diDio esattamente come quella di Marija, Mirjana, Ivan o dichiunque altro di loro.

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Forse molti ritengono che i veggenti abbiano un rapportoprivilegiato con la Madonna. Non è così. Inoltre il Signore – nellecircostanze che ci fa vivere – cerca il nostro cuore, chiede il nostroamore, non quello di altri.

Il nostro non è un Dio lontano per raggiungere il quale occorreescogitare chissà quali vie faticose. No. Ha già fatto tutto Lui. Èvenuto a cercarci Lui e viene in noi ogni volta che partecipiamoalla Messa e facciamo la comunione. Ed è dentro ogni tabernacoloche ci aspetta, instancabilmente, ogni istante. Aspetta proprio noiin persona.

Questo mistero, che noi di solito teniamo in non cale, è moltopiù importante delle apparizioni della Vergine. Tanto è vero che èla Madonna stessa a ripetercelo.

A Medjugorje, una volta, il 12 novembre 1986, la Regina dellapace disse: «Io vi sono più vicina durante la Messa che durantel’apparizione. Molti pellegrini vorrebbero essere presenti nellastanzetta delle apparizioni e perciò si accalcano attorno allacanonica. Quando si spingeranno davanti al Tabernacolo come orafanno davanti alla canonica, avranno capito tutto, avranno capitola presenza di Gesù, perché fare la Comunione è più che essereveggente»102.

Forse noi cristiani dovremmo capire di più e meglio il«privilegio» che abbiamo...

19 aprile 2011Alessandra uscita dalla Messa mi manda l’sms con le parole del

salmo:

Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,Egli salva gli spiriti affranti.

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Molte sono le sventure del giusto,ma da tutte lo libera il Signore103.

23 aprile 2011Le cronache sono piene di tumulti e catastrofi. Gli analisti

annunciano l’aggravarsi della crisi finanziaria planetaria eprevedono addirittura conflitti potenzialmente nucleari (Iran edintorni). Sembra che da nessuna parte, in questo crollo del mondomoderno, si trovi un segno vero di rinascita e di speranza.

Sembra. Invece un mondo nuovo sta iniziando silenziosamentee nessuno se ne accorge. Accade lontano dai riflettori dei media. Esono segni fragili come le gemme che spuntano ad aprile arinnovare la vita di una foresta. Quelle piccole gemme, dicevaPéguy, sono così minuscole e indifese che chiunque potrebbesradicarle, eppur senza di loro la grande foresta non sarebbe che uncimitero: legna da ardere.

Sembra una gemma fragile e insignificante anche quella che si èvista spuntare in questi giorni a Rimini. Eppure contiene unasperanza immensa per tutta la foresta (ed è per questo che ne hovoluto scrivere sul mio giornale): erano 7000 giovani fra i 15 e i 19anni sulla riva del mare.

Si potrebbe pensare al consueto baccano della rivieraromagnola. Invece chi ha visto questa immensa folla di ragazzisulla sponda dell’infinito ha notato un silenzio insolito ecommosso, che lasciava sentire la brezza e il rumore delle onde.

È accaduto ieri, venerdì santo, dalle ore 13 alle 18. Erano 7000giovani e camminavano dietro a una croce. Parlavano di Colui chelì era stato suppliziato: «Il più bello fra i figli dell’uomo», l’unicoveramente affascinante della storia. Un re umile e potente. L’unicoamico fedele, il solo che ha pietà di noi uomini.

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Sono i nostri figli. Frequentano licei e istituti tecnici. Sononormalissimi studenti italiani dell’anno di grazia 2011. Volticomuni, abbigliamento tipico della loro generazione. Non sonoragazzi che non fanno peccati, sono come tutti gli altri. Ma hannofatto un giorno un incontro che li ha stupiti. Qualcuno che nontradisce mai e che medica le loro ferite, che illumina sul senso dellavita.

Che spiega loro l’esistenza, perché s’innamorano e cosa maipotrà colmare questa loro sete d’amore che è più grande del mare,più immensa, più misteriosa e profonda dei suoi fondali.

Il loro raduno – organizzato da Gioventù studentesca (Cl) – eracominciato il giovedì santo, alla fiera di Rimini, con le immaginidello tsunami in Giappone avvolte da una musica che struggeva ilcuore. Don Eugenio Nembrini ha commentato tutto con unadomanda che mette ognuno con le spalle al muro: «Che cosa sta inpiedi nella vita?».

Tutto infatti è spazzato via dal tempo e dalla morte. Tutto.Anche il potere più formidabile è ridotto in polvere e non restanulla. Perciò sembra che non valga la pena vivere o pare che sipossa vivere solo cinicamente. Ma non è così.

Don Julian Carron ha esortato questi 7000 giovani a nonrassegnarsi: «Sentire urgere dentro di sé le esigenze di felicità, dibellezza, di giustizia, di amore, di verità, sentirle vibrare, ribollirein ogni fibra del nostro essere» e «prenderle sul serio è “la”decisione più grande della vita».

È l’avventura degli audaci: «Per gente viva, libera, capace divolersi veramente bene. Per gente che vuol vivere all’altezzadell’ideale a cui il cuore spinge senza sosta».

Ma c’è qualcosa che non sarà spazzato via dal tempo, che nonsarà distrutto dal dolore, dal male e dalla morte? Il motto degli

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antichi monaci certosini diceva: «Stat Crux dum volvitur orbis».Vuol dire che solo l’uomo della croce rimane invincibile, mentretutto nel mondo passa e tutto crolla.

Resta solo il potere dell’Amore, di «Colui che ha preso sulle suespalle la croce di ognuno di noi, Colui che ha portato tutte le crocidel mondo» come ha detto don Eugenio.

L’infinita Via crucis dei giovani sfilava in silenzio dietro lacroce fra gli alberi del parco Marecchia a Rimini, verso il ponte diTiberio, fra le note sublimi dello Stabat mater di Pergolesi, poidell’antico canto polifonico O cor soave / cor del mio Signore...

Un passante, in bicicletta, si è fermato sbalordito e ha chiesto:«Ma chi siete? Cosa state facendo?». Un ragazzo del «serviziod’ordine» gli ha risposto: «Siamo studenti, è venerdì santo: stiamofacendo la Via crucis». Quell’uomo, commosso, si è messo inginocchio e ha mormorato: «Dio sia benedetto!».

Intanto quel fiume di giovinezza si era fermato a una nuovastazione. Per il lungo cammino qualcuno in fondo si distrae eparlotta. Ma quando viene letto il Vangelo della crocifissione e allafine don Eugenio dice: «Cristo ha dato la vita per noi e muore pernoi» tutti tacciono di colpo e, come per un’onda silenziosa dicommozione, tutti si inginocchiano.

Erano proprio inginocchiati. E sono stati cinque minuti infinitidi silenzio. Che hanno abbracciato il mondo e tutti i destini e tuttoil tempo. Poi il coro, un meraviglioso coro di giovani, ha intonatouna laude cinquecentesca a quattro voci che lacera l’anima: Cristoal morir tendea.

L’intreccio fantastico delle voci ripete le parole che – secondol’autore – Maria rivolge agli amici di Gesù:

Or, se per trarvi al ciel dà l’alma e ’l core,

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lascieretelo voi per altro amore? Prosegue così:

Ben sa, ben sa che fuggiretedi gran timore e al fin vi nascondrete.Ed ei pur come Agnel che tace e muoresvenerassi per voi d’immenso amore.

Quel canto si conclude con questa strofa:

Dunque, diletti miei,se a dura croce, in man d’iniqui e reidà per salvarvi ’l sangue e l’alma e ’l coreLascieretelo voi per altro amore?

È struggente. È uno dei canti prediletti da Caterina che lo

cantava, lei stessa, nel suo coro, e oggi si commuove quando loriascolta. Caterina (con Stefano, Maria, Mira, Laura, Maria Chiara,Giulia, Massimo, Martina e gli altri loro amici) è cresciuta in questastupenda compagnia che fa ardere i cuori dei giovani.

E quando uno tsunami violentissimo ha investito la suagiovane vita e tutti pensavano e dicevano che ormai non c’era piùniente da fare, che Caterina non c’era più, una mano potente l’haafferrata, quella del Re umile che tante volte lei aveva cantato, e lasua mano benedetta e invincibile l’ha fatta riemergere dall’oceanooscuro del coma. Anzitutto attraverso la voce e i volti di chi l’amaperdutamente.

Ora Caterina sta nuotando verso riva. È una traversatadurissima, ma una grande catena umana la sostiene: quella

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compagnia che è il volto e la carezza del Nazareno nel mondo. C’èQualcuno che è più forte di ogni tsunami. E le sue parole sonoverità:

Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò104.

Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da noncommuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche secostoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticheròmai105.

10 giugno 2011Dice Henry Drummond: «La gentilezza è la carità nelle piccole

cose».È verissimo. Quanto devo cambiare! Quanto cammino ancora da

fare! 30 luglio 2011Leggo una pagina formidabile di don Divo Barsotti:

Tutto quello che Dio ci comanda lo può compiere Lui solo.Nulla che sia fatto da noi, che si compia quaggiù è perfetto,è definitivo. La vita presente non è la vita dellarealizzazione. Viviamo soltanto per imparare a desiderare lavita. La nostra vita quaggiù non può essere che la preghiera.Appena vuol essere qualcosa di più nell’incarnazionedell’amore, è subito un tradimento. Devi sentire sempre lapovertà del tuo atto, la tua impotenza. L’unico attoveramente perfetto è la sofferenza – anzi la morte106.

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Quanto è vero ciò che dice don Barsotti. Come tutto è

imperfetto e misero quello che facciamo noi! Perfino un atto dicarità, quanto è ancora inquinato dalle nostre miserie.

Davvero l’unico atto perfetto che possiamo fare è dire «sì» aDio nella sofferenza e nella morte. Forse per quello Egli riconoscetanti meriti al dolore e alla morte offerti, cosicché quella chesembrerebbe la condizione dell’uomo più passiva, più «inutile» esconfitta, diventa nelle Sue mani la più potente, fertile, la piùsublime e grandiosa. La porta della felicità vera. La croce ci rendesimili a Gesù, è la scala per la divinizzazione.

12 settembre 2011Due anni fa l’«incidente» di Caterina.E due giorni fa il vescovo della diocesi di Carabayllo, periferia

nord di Lima, il cappuccino padre Lino Panizza, ha annunciato conuna lettera che nel 2013 sarà aperto il processo di beatificazionedel nostro Andrea.

Noi in fondo lo sapevamo che era santo, lo dicevamo anche conlui scherzando. Ma è sconvolgente che ora, dopo la sua prematurascomparsa, sia la Chiesa a volerlo dichiarare tale e che noi viviamoun evento simile. Sì, abbiamo veramente vissuto con i santi. Conloro abbiamo diviso il pane, il lavoro, la gioia e la festa, la fatica ela vita, i giorni e gli anni. Come fratelli. Ci siamo abbeverati ai lorovolti, ai loro gesti, alle loro parole. Abbiamo sentito palpitare ilcuore alle loro parole.

Di Andrea Aziani ho parlato a lungo nel primo libro suCaterina. Perché è lui che, a 18 anni, mi ha fatto incontrare Cl, è luiche fondò la comunità di Siena, dove poi è nata la mia famiglia. Elui è anche il padrino di battesimo di Caterina a cui voleva

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immensamente bene.Andrea venne a Siena nel 1976 a finire l’università (era iscritto

a Filosofia) su incarico di don Giussani. Era responsabile di Cl allaStatale di Milano dove, nel post ’68, il movimento subiva tuttol’odio ideologico e la violenza fisica di quegli anni da parte deivari gruppi estremisti.

Quando io l’ho conosciuto aveva 24 anni, ma a pensarci adessosembra incredibile, perché la forza della sua personalità e il suocarisma difficilmente oggi si immaginerebbero in unventiquattrenne. E anche la sua determinazione a dare tutto perGesù.

A quel tempo, con barba lunga ed eskimo – come me, del resto–, si sarebbe fatto fatica a distinguerlo da un qualsiasi militanterivoluzionario. Ma lui la sua rivoluzione di bene e di felicità pertanti l’ha realizzata davvero. E spendendosi totalmente per gli altri.

Aveva un’umanità eccezionale, un ardore missionario chericordava i primi gesuiti (quelli di san Francesco Saverio e del filmMission). O addirittura san Paolo (d’altronde era ebreo per parte dimadre e suo nonno aveva subito persecuzioni sotto il fascismoprima perché cattolico, militante del Partito popolare, e poi per leleggi razziali).

Poi Andrea da Siena andò in missione in Perù, nelle miserabilibidonville di Lima. È vissuto vent’anni in quel mare di povertà edè morto d’infarto, letteralmente consumandosi per Cristo e per isuoi fratelli, nel 2008, a 55 anni. Aveva dato tutto se stesso.

Il suo vescovo, monsignor Panizza, nella lettera soprarammentata, scrive: «L’avevo conosciuto una ventina di anni fa quia Lima e mi aveva colpito per la sua preparazione e franchezza...Nel 1998 pensai alla necessità di costruire un’università perpermettere di studiare alle migliaia e migliaia di giovani che mi

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circondavano. Lo cercai e la sua disponibilità» confermata da donGiussani «ci permise di iniziare questa grande opera che èl’Università Cattolica Sedes Sapientiae».

Il vescovo ricorda che Andrea, insieme ad altri amici di Cl, era«l’anima di questa avventura... Febbre di vita era il suo motto, erealmente era una febbre di dedizione che lo portava a volte adimenticarsi di mangiare e di dormire, per non dimenticarsi diCristo e delle persone».

«Oggi questa università» prosegue il vescovo «è una realtà di6000 studenti, con succursali nel pieno della foresta amazzonica ein mezzo alle Ande, nate per rispondere anche lì alla necessità dieducazione e conoscenza di tanti giovani che vivono in situazionidi povertà».

L’università in pochi anni ha permesso a tanti di loro dicostruirsi una vita dignitosa e mettere su famiglia.

Monsignor Panizza conclude: «È difficile descrivere lagrandezza della persona di Andrea perché è stato insieme unmaestro di migliaia di giovani, un padre attento e discreto permoltissimi, un grande uomo di cultura, un rivoluzionario dei cuori.Ma non posso pensare ad Andrea se non come a un santo di oggi.Infatti, appena saranno passati i cinque anni previsti dal dirittocanonico, comincerò la causa di beatificazione, perché l’esperienzache ho vissuto nell’amicizia con lui non si può spiegare senzaarrivare alla fonte della sua umanità, alla sua fede in Gesù».

La prima volta in cui ho letto queste parole del vescovo hopensato che così Andrea sarà il primo santo che abbia vissuto il ’68.Il primo rappresentante di una generazione che voleva darel’assalto al Cielo, ad aver davvero (ufficialmente) conquistato ilCielo. «La vita è la realizzazione del sogno della giovinezza»ripetevano papa Wojtyla e don Giussani.

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Monsignor Panizza aggiunge nella sua lettera: «Era un MemorDomini, un laico consacrato... Nessuno è potuto rimanereindifferente davanti alla sua testimonianza di passione per lepersone, di attenzione ai più bisognosi, di apertura al dialogo contutti, di lavoro incessante per una società più umana. Non havissuto nemmeno un minuto senza dare tutto per il bene deglialtri».

Ora ci aspettiamo che lui, che è stato un terremoto sulla Terra(un salutare ciclone di vita), lo sia anche in Cielo e saccheggi pertutti noi tesori e tesori di grazie. Forza Andrea, aiutaci! Come faceviquando eri qui fra noi. Ora lo sei più di prima.

18 settembre 2011

Chi sei tu, dolce luce,che mi riempie,e rischiara l’oscurità del mio cuore?Tu mi guidi con mano materna,e se mi abbandonassi, non saprei fare più nessun passo.Tu sei lo spazio che circonda il mio esseree lo racchiude in sé.Da te lasciato,cadrebbe nell’abisso del nulla,dal quale tu lo elevi all’essere.Tu, più vicino a me di me stessa,e più intimo del mio intimo,e tuttavia inafferrabile e incomprensibile,che oltrepassi ogni nome:Spirito Santo, amore eterno!107

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4 gennaio 2012«La parola “sein” significa in tedesco entrambe le cose: esistere

e appartenerGli»108. È un pensiero stupefacente di Franz Kafka.C’è dentro tutto.

31 gennaio 2012Di una poesia di Ada Negri, Senza nome, voglio ricordare

l’incipit perché è la fotografia delle nostre anime in questi mesi:

Tu mi cammini a fianco,Signore. Orma non lascia in terra il Tuopasso. Non vedo Te: sento e respirola Tua presenza in ogni filo d’erba,in ogni atomo d’aria che mi nutre109.

E poi un verso successivo che esprime il nostro grido: «Non

abbandonarmi più». Febbraio 2012Grazie a Mira padre Silvio Bovis è venuto a far visita a

Caterina. Mi sono fatto raccontare il mondo stupefacente dellemissioni francescane soprattutto in Africa. Ho scoperto in qualemiseria vive quella povera gente (è del tutto diverso sentirselo direcon i nomi delle persone e magari vedendo i loro volti in foto). Mistupisce sapere quanti frati condividono questa povertà estrema, incondizioni durissime, portando soccorso in tutti i modi possibili esempre con la luce e la misericordia negli occhi. Mi ha colpitoquando padre Silvio ha raccontato il suo primo incontro con unmalato di lebbra e – per la prima volta – ha preso fra le sue mani imonconi dei suoi piedi. È stata una svolta nella sua vita (proprio

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come accadde a san Francesco). Nei loro lebbrosari ci sono tantipoveretti, ammalati di questa terribile malattia che si potrebbesconfiggere con pochissimo (padre Silvio trova qua, in Italia, lemedicine per curarli a basso prezzo). È spaventoso anche saperequanti bambini muoiono per denutrizione o per malaria, tragedieche sarebbe facilissimo scongiurare. Anche in questo caso non sitratta di statistiche, ma di nomi, di volti, di storie.

Padre Silvio era venuto per far visita a Caterina, per portarle deidoni e per pregare con lei e per lei. Ma d’ora in poi la sua famigliadi poveri, di lebbrosi e di bambini è anche la nostra. È deciso.

15 febbraio 2012Alessandra in ospedale... Arrivati in tempo. Ringrazio la

Madonna. Sono ammirato dalla sua tranquillità. Io sarei statoterrorizzato (ho paura perfino a togliermi il sangue).

19 aprile 2012È morto don Giacomo Tantardini, un sacerdote a cui devo

tantissimo. Non credevo che la sua malattia fosse così grave. È unaperdita dolorosissima per me. Ma di certo ho un altro, grande amicoin Cielo.

8 maggio 2012In questi mesi di terremoto, dovunque, di pessime notizie,

sembra che il Signore mi tolga tutti i possibili punti di riferimentoumano. Ogni sicurezza. Vuole che capiamo che solo Lui è laRoccia su cui poggiare. L’unico in cui confidare.

Agosto 2012Significativi progressi di Caterina. Dobbiamo gratitudine a

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medici, terapisti, infermieri e tanti altri. 12 settembre 2012Sono passati tre anni da quel giorno... Scopro che oltre a essere

la festa del Nome di Maria oggi è anche santa Caterina da Genova! 28 settembre 2012Laurea in lettere di Maria. Che brava... Con quale tenacia e

sensibilità continua a studiare violino, pianoforte, composizione. Èsempre stata una cosa sola con Caterina. E si è sempre nascosta, unpo’ dietro la sorella, un po’ dietro la propria ironia. Ma èformidabile. Paradosso femminile: è fragile e pare sempre insicura,ma quel sorriso dolce nasconde un carattere d’acciaio.

8 novembre 2012Quante volte gli sguardi, i volti dei miei figli (o di Alessandra)

mi hanno interrogato, più ancora delle loro parole. Avevo dettoloro – fin da piccoli – che la vita, nell’amicizia di Gesù, eraveramente un «inno alla gioia».

E ora? Com’è facile farsi travolgere dalle prove e disperare.Eccoci, come diceva il papa davanti al terremoto dell’Emilia,«paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibiledistruzione». Poi proseguiva audacemente: «Anche l’ipotesi chesopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci parediscutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontànon arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggiaa distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza».

Quant’è commovente e confortante – nell’Evangelo come mi èstato rivelato – vedere come Gesù è entrato nel mondo:letteralmente accogliendo tutti, abbracciando tutti, ascoltando

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tutti, ma soprattutto guarendo tutti. Proprio tutti. È impressionante.In ogni villaggio in cui Lui entrava Gli portavano i malati e Lui,uno per uno, con tenerezza e una bontà senza limiti, li guariva tutti.Qualunque fosse la loro malattia e la loro sofferenza, manifestavaun potere invincibile e sconosciuto. E, quel che più stupiva, purcosì potente era buono come nessun altro.

Che bello questo Dio! Davanti a tanta potenza e bontà, comescriveva Joseph Malègue, «il difficile non è l’accettare che Cristosia Dio; il difficile sarebbe accettare Dio se non fosse Cristo»110.

Come potevano fare a non commuoversi, a non amarlo? Davantia uno così si è disposti a tutto, a lasciare ogni cosa per seguirlo. Edè veramente strepitoso che Dio si sia manifestato nel mondo comeColui che guarisce, che salva. Del resto, proprio questo è ilsignificato del nome di Gesù: Dio salva.

Che meraviglia un Dio che si manifesta al tempo stesso comeRe umile e povero, e insieme come il giovane maestro Galileo cheletteralmente può tutto, che ha compassione dei sofferenti e perloro vince ogni malattia, ogni male e perfino la morte.

15 novembre 2012Anche Maria è in ospedale. Ancora una volta mi stupisco della

serenità e del coraggio delle donne di casa di fronte al dolore fisicoe alle sale operatorie. Altro che sesso debole!

10 dicembre 2012Leggo e rileggo:

C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine digente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale diTiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser

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guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentatida spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercavadi toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanavatutti111.

Guariva tutti!Chi non desidererebbe incontrarlo, contemplarne i gesti, il

volto, gli occhi, ascoltarlo parlare? Ecco, bisognerebbe potercustodire questo desiderio adorante più a lungo possibile, senzacercare subito la scorciatoia delle «cose–dafare». Perché la salvezzaè in questo lasciarsi andare, nel riempirsi gli occhi e il cuore di Lui,nel gustare il sapore e il profumo della sua presenza...

20 dicembre 2012Oggi sono stato folgorato da queste parole di Gesù, tratte

dall’Apocalisse. Perché sono rivolte a ciascuno di noi: «Ecco, iosto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce ed apre laporta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me»112.

Ci rendiamo conto? Noi che stiamo continuamente a lamentarela lontananza di Dio, noi che sempre recriminiamo di non essereascoltati. Non solo Egli ascolta ogni nostra preghiera, ma è Lui chebussa alla porta del nostro cuore e della nostra vita.

Lui, ben prima di noi. E siamo noi che non Lo ascoltiamo e nonGli apriamo la porta...

Ciononostante Lui è ancora lì e bussa alla nostra porta.È lì oggi, ci sarà domani, senza mai stancarsi.Gesù ci sarà sempre, per noi.Se solo noi vogliamo. 21 dicembre 2012

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Si annunciano nuove prove per la mia famiglia. Eppure sonostupito dalla pace e dalla forza che vedo. Davvero Qualcuno è connoi...

24 dicembre 2012Ancora un Natale segnato da un dolore profondo, ma

abbracciato dal grande Consolatore.Dice Paul Claudel: «Dio non è venuto a spiegare la sofferenza.

È venuto a riempirla della Sua presenza».E lo stupore per Dio, infinito e onnipotente, fattosi piccolo

bimbo vince tutto. Come diceva don Giussani: «Nulla è cosìcommovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo peraccompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il camminofaticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano»113.

25 dicembre 2012Il mio carissimo amico, padre Serafino Tognetti, mi manda un

pensiero del grande don Divo Barsotti sul Natale, che mi ha fattovenire la nostalgia di quel Giorno di Dio, quando faremoun’immensa festa, quando tutto sarà chiaro e tutte le lacrimesaranno asciugate dal Padre e ci ritroveremo nel Regno.

Ho conosciuto don Barsotti da giovane, quando, per «IlSabato», andavo su a Fiesole, a Casa San Sergio, a intervistarlo suLeopardi, su Dostoevskij, sulla Chiesa.

È stato veramente una voce profetica. La sua passione per Cristotraspare nei bellissimi libri che ci ha lasciato. A quel tempoconobbi anche padre Serafino. Siamo rimasti amici, ma in modospeciale ho sentito vicino lui e la Comunità dei figli di Dio(fondata da don Divo) in questi tre anni.

La loro incessante preghiera e la loro autentica offerta di

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sacrifici immensi per Caterina e per la mia famiglia mi hannoprofondamente commosso.

Con la fedelissima e discreta vicinanza paterna e fraterna dipadre Serafino, sono stati una delle consolazioni più potenti inquesto periodo di tempesta. Una vera, meravigliosa «carezza delNazareno».

26 dicembre 2012C’è una memorabile omelia di don Giussani del 1944 (era

appena diventato prete) nel giorno in cui si ricorda il martirio disanto Stefano, cioè il giorno dopo il Natale.

Rileggendola mi rendo conto che svela una grande verità e mifa capire il vero segreto della forza dei cristiani:

Lezione di sacrificio quella di Natale e santo Stefano, maquale il mezzo per poterla vivere? [...] Si potrebbe esprimerecosì: «Non bisogna sentirsi da soli». Quando due sposifedeli si sentono l’uno vicino all’altro; quando i genitori sisentono vicini ai loro figlioli e i figli accanto ai genitori, laloro forza davanti al sacrificio non è forse centuplicata?Quando degli amici veri si sentono solidali e compatti nelloro Ideale, la loro forza davanti ad ogni ostacolo non siingigantisce a dismisura?Oh fratelli, e sposo e genitore e figlio e amici altro non sonoche una espressione sensibile di Cristo benedetto,l’invisibile ma vero sposo e padre e madre e figlio e amico,sempre desto accanto a noi, con affetto infinitamentepremuroso per sostenerci colla sua forza divina.Ma bisogna «credergli». E credere non è appena prestar fedealle sue parole, ma aderire alla Sua Persona, sentire la Sua

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Persona sempre presente, dominatrice di ogni attività dellavita, di ogni relazione sociale, perfino di ogni forma dipensiero e di sentimento interiore114.

28-30 dicembre 2012Pellegrinaggio a Lourdes con gli amici di Cometa.Dalla Madre di Dio mi aspetto ogni grazia. Come dice Lanza

del Vasto: «La disperazione non è non avere niente. È nonaspettare niente».

31 dicembre 2012Per l’anno che comincerà domani, per i tempi che verranno, per

tutto quello che mi aspetterà e per coloro che amo, custodisco nelcuore queste parole ispirate di padre Gaston Courtois:

Sii nella pace. Mantieni l’anima serena anche in mezzo airisucchi dell’attualità, degli imprevisti, degli avvenimenti.[...] Sforzati di decifrare le mie parole d’amore attraversograffiti male delineati. [...] il loro contenuto è sempre:«Figlio mio, io ti amo».Credi nella mia misericordia.Lascia fare a me. Avrai tutte le illuminazioni e gli aiutinecessari, se renderai intensa la tua fusione di volontà conme. Non aver paura. Dammi fiducia. Ti ispirerò in tempoutile le soluzioni secondo il mio Cuore e ti accorderò anchei mezzi temporali per realizzarle.Devi lavorare ancora molto per Me, ma Io sarò la tuaispirazione, il tuo sostegno, la tua luce e la tua gioia. Abbiun solo desiderio: che Io mi serva di te come intendo [...].Non turbarti né per contraddizioni, né per opposizioni,

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incomprensioni, calunnie, né per oscurità, nebbie,incertezze: sono cose che arrivano e passano, ma servono afortificare la tua fede. Ti sono vicino e non ti abbandono. Iosono colui che non delude mai e dona sempre più di quantopromette. Voglio che la tua vita sia una testimonianza difiducia. Perché sono l’Amore e se tu sapessi fin dove puoiessere amato. Poi perché mi servo di te molto di più diquanto non pensi. Non contare su di te, conta su di Me115.

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Lettera a mia figlia

«Mentre ancora parlava, dalla casa del capo dellasinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perchédisturbi ancora il Maestro?”. Ma Gesù, udito quantodicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere,continua solo ad aver fede!”. [ …] Presa la mano dellabambina, le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla,io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò».

Mc 5,35-43 Carissima Caterina,c’è sempre un immenso struggimento in ciò che un padre

vorrebbe dire a una figlia e ancora di più nel nostro caso perchéquello che ci è accaduto e che viviamo ha ingigantito tutti isentimenti e ora non riescono più a stare dentro le parole. Enemmeno dentro ai silenzi.

È difficile per tutti, in questi casi, aprire il proprio cuoreperché quei sentimenti straripano fuori alla rinfusa e cozzano fraloro.

E lo è per me specialmente, perché conosco la tua assolutarefrattarietà a questo tipo di confessioni e dichiarazioni. Checerto tu, per sottrarti alla commozione, bolleresti – con unincurante sorriso – come «enfatiche».

Tu che ridendo mi «ordini» sempre di volerti bene stando zitto.Hai ragione. Ma voglio abbracciarti egualmente con la gioia diqueste parole, perché quel giorno atroce pensai…

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Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;imballate la luna, smontate pure il sole;svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;perché ormai nulla può giovare116.

Mentre oggi che sei tornata, oggi che ci sei stata restituita, su

ogni alba trovo scritto il tuo nome, per me ogni sole a mezzogiornobrilla con i tuoi occhi, ogni brezza mi ricorda il tuo pianto, ogninotte fa riecheggiare il tuo canto e il tuo sorriso illumina e curatutte le mie ferite.

No, la Felicità non si è scordata di noi. È sulla strada, statornando, ci ha già fatto arrivare i suoi messaggeri e io su alid’aquila andrò a cercarla affinché non si attardi.

Perché affretti il suo passo chiederò ai venti di aiutarne ilcammino, alle stelle di segnarle la via, incaricherò la luna di nonfarla assopire, alla primavera domanderò di vestirla a festa.

Colui che ha promesso, Colui a cui sei cara, manterrà la Suaparola, perché essa non può fallire, è stabile più della terra, certapiù della luce del sole. Perché è già realtà.

Supplicherò tutte le schiere degli angeli perché la loro Reginaci renda pronti e degni. Perché affretti i giorni della consolazione.

Mentre noi – che apprendemmo un po’ di umiltà dal dolore –impariamo ora la saggezza dal tuo silenzio, Caterina, la fede daltuo coraggio, la speranza dalla tua allegria, la carità dalla tuapazienza.

Tua mamma un giorno ti ha detto: «Cate, sei un mito, per me.Sei il mio mito!». E tu sai di esserlo per tutti noi. Sei il nostroorgoglio e la nostra forza.

Non finirò mai di ringraziare il Cielo per averci dato una figliacome te. E per averti ridonata a noi quando sembrava che ci fossistata tolta.

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Io ho riempito il mondo del tuo nome, l’ho scritto in cielo e interra, sui libri e nei cuori, lo scriverò su ogni fiore che spunterà laprossima primavera e lo farò sussurrare al mare.

E sono certo che...

Il più bello dei mari è quello che non navigammo.[…] I più belli dei nostri giorninon li abbiamo ancora vissuti.E quelloche vorrei dirti di più bellonon te l’ho ancora detto117.

il tuo babbo

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1) Questo grande e coraggioso testimone di Gesù Cristo, per la suaopposizione agli orrori hitleriani, fu impiccato dai nazisti nel lager diFlossenbürg il 9 aprile 1945, pochi giorni prima dell’arrivo degli Alleati. ↵

2) Antonio Socci, Caterina. Diario di un padre nella tempesta, Rizzoli 2010. ↵

3) È una frase del santo Curato d’Ars, cit. in Antonio Socci, Caterina, cit., p.157. ↵

4) Scritta nelle prigioni militari di Boiati nel febbraio 1972. ↵

5) Ezra Pound, Litania notturna a Venezia, Mondadori 1985, p. 43. ↵

6) Louis Aragon, Non esistono amori felici, in Le più belle poesie di LouisAragon, Crocetti Editore 1997, p. 19. ↵

7) L’8 ottobre 2012 il «Corriere della Sera», commentando il caso di ungiovane «Resuscitato» con 45 minuti di massaggio cardiaco (comerecitava il titolo dell’articolo), interpellava un esperto il quale spiegava chesi trattava di un caso molto raro e aggiungeva che – come limite massimo –nelle persone giovani si poteva continuare col massaggio cardiaco fino aun’ora. Nel caso di Caterina, per quanto mi è stato riferito, il battito èripreso dopo più di un’ora... ↵

8) Nel giro di un mese in altre due circostanze Caterina ha rischiato seriamentedi morire e in entrambe le situazioni è stata salvata in extremis. ↵

9) Ef 3,20. ↵

10) Da una lettera al dott. Cosimo Zacchino del 6 ottobre 1921 (si veda:www.moscati.it/Italiano/It_pensieri.html). ↵

11) Da Voi ch’amate lo Criatore, Laudario di Cortona (sec. XIII). ↵

12) Emmanuel Mounier, Lettere sul dolore, BUR 1995, p. 61-62. ↵

13) Georges Bernanos, I grandi cimiteri sotto la luna, Editore Net 2004. ↵

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14) John Ronald Reuel Tolkien, Il signore degli anelli, Bompiani 2004, pp.87-88. ↵

15) Georg Trakl, Sera d’inverno, in Le poesie, Garzanti 1983, p. 197. ↵

16) La citazione di Simone Bellucco è tratta da un suo romanzo ancora inedito(lo ringrazio per aver accettato di farmi riportare questo brano). ↵

17) Cit. in Roberto Filippetti, Van Gogh. Un grande fuoco nel cuore , Itaca2008. ↵

18) Alessandro Baricco, Oceano mare, BUR 1997, pp. 79-80. ↵

19) Cit. in Avril Pyman, Pavel Florenskij, Lindau 2010, p. 43. ↵

20) Gustave Flaubert, Romanzi, Mondadori 1992, vol. I, p. 155. ↵

21) Thomas Stearns Eliot, Quattro quartetti, Garzanti 1976, pp. 45-47. ↵

22) Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova 2012. ↵

23) Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, Centro EditorialeValtortiano 2006, vol. VIII, p. 263. ↵

24) Ivi, vol. IX, p. 141. ↵

25) Mt 13,1-3. ↵

26) Lc 10,23-24. ↵

27) Lc 10,21. ↵

28) Charles Péguy, I misteri, Jaka Book 1984, p. 53. ↵

29) Mt 14,22-33. ↵

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30) Questa e le seguenti citazioni del papa sono reperibili nel sito Internet:www.vatican.va. ↵

31) Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, cit. ↵

32) Thomas Stearns Eliot, Quattro quartetti, cit., p. 55. ↵

33) Fernando Pessoa, Poesie di Álvaro de Campos, Biblioteca Adelphi 1995,pp. 57-59. ↵

34) San Bernardo, Omelia in lode alla vergine Maria. ↵

35) Debbo questa meravigliosa decifrazione dell’opera caravaggesca e questiriferimenti teologici a Dalma Frascarelli, autrice del saggio Admirabilesfructus. Nuove proposte per una lettura iconologica del Ragazzo con ilcesto di frutta e della Canestra, in Maurizio Calvesi e Alessandro Zuccari (acura di), Da Caravaggio ai caravaggeschi, Storia dell’arte – Collana cari (acura di), Da Caravaggio ai caravaggschi, Storia dell’arte – Collana di studi1–2009. ↵

36) Meravigliosa la meditazione poetica (da cui ho attinto queste immagini) diMassimo Corsinovi, Phàrmakon, Nuova Compagnia Editrice 1995. ↵

37) Preghiera dell’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, inLeonardo Sapienza, Paolo VI e l’eucaristia, Libreria Editrice Vaticana2004. ↵

38) Maria Valtorta, I Quaderni del 1943, Centro Editoriale Valtortiano 2007,p. 84. ↵

39) Ivi, p. 87. ↵

40) Queste parole sono dette da Pietro di Craon a Violaine, nell’Annuncio aMaria. ↵

41) Oscar Vladislas Milosz, Miguel Mañara, Jaca Book 1998, pp. 49-50. ↵

42) Jan Twardowski, Affrettiamoci ad amare, Marietti 2009. ↵

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43) Oscar Vladislas Milosz, Miguel Mañara, cit., p. 52. ↵

44) Don Dolindo Ruotolo (1882-1970), sacerdote napoletano, scrisse molteopere di esegesi, ascesi e mistica. Subì molte incomprensioni dentro ilmondo ecclesiastico, un po’ come padre Pio. Morì in fama di santità. Oggiè venerato dalla Chiesa come Servo di Dio. ↵

45) Padre Dolindo Ruotolo, Gesù pensaci Tu–Atto di abbandono,«Teologica», gennaio–febbraio 2001, p. 30. ↵

46) La diagnosi parla di cerebrolesione profonda, tetraparesiipotonicodistonica. ↵

47) Un piccolo dettaglio. Il padre di Laura termina la sua mail con questadelicatezza: «Le auguro buon lavoro e dia un abbraccio a sua figlia daparte nostra. Le siamo vicini nella preghiera». Ritengo che questasensibilità sia davvero il segno di quanto siano nobili le persone scavate daldolore e di quale affetto fraterno si crei fra coloro che condividono crocisimili. ↵

48) «Si stima che anche quest’anno, nel 2012, siano stati uccisi per la loro fede105.000 cristiani: questo significa un morto ogni 5 minuti. Le proporzioni,dunque, sono spaventose». Così ha dichiarato Massimo Introvigne,coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa in Italia inun’intervista a Radio Vaticana (si veda: «Avvenire», 27 dicembre 2012, p.5). ↵

49) Ger 13,17. ↵

50) Fabio Curti, Caso Eluana, parla l’ateo Jannacci: allucinante fermare lecure, «Corriere della Sera», 6 febbraio 2009. ↵

51) Si veda: «Video clip Emanuele–Inno alla vita»(http://www.youtube.com/9–WJJY–A8xc). ↵

52) Vittorio Sabena, Mario Maragi, Dall’ospedale della Vita all’OspedaleMaggiore, in Sette secoli di vita ospedaliera in Bologna, Cappelli 1960, p.

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90. ↵

53) Si veda: In memoria del M.se Carlo Alberto Pizzardi, StabilimentiPoligrafici Riuniti 1925, p. 4. ↵

54) La toracentesi è la pratica medica con cui, attraverso l’introduzione di unago che trafigge le pareti costali del paziente, si aspira il liquido in eccessoche si è formato nel cavo pleurico. Il dottor Rossini afferma che, puressendo questa «un’operazione dolorosissima, suor Maria Rosa non ha maidetto un “ahi!”. Non si lamentava mai». ↵

55) Ho tratto queste informazioni e le successive sulle altre suore da lettere edocumenti d’archivio che mi sono stati gentilmente messi a disposizionedalla congregazione. ↵

56) Questa lettera è del 23 maggio 1945. Suor Nardina morì 2 giorni dopo. ↵

57) 1Cor 4,13. ↵

58) Cit. in Thomas F. Woods, Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltàoccidentale, Cantagalli 2007, pp. 177-178. ↵

59) Questa preghiera–meditazione è stata scritta da padre Giacomo Perico S.J.(Resta con noi Signore!, Edizioni San Paolo 2001) nei momenti dellamorte di suo padre. ↵

60) Thomas Merton, Diario di un testimone colpevole, Garzanti 1992, p. 13. ↵

61) San Giovanni Crisostomo, Omelie su Eutropio, 2,5-6. ↵

62) Fernando Pessoa, Di tutto restano tre cose, in Nei giorni di luce perfetta,«Corriere della Sera», collana: Un secolo di poesia, uscita n. 4. ↵

63) Czesław Miłosz, Veni Creator, in Poesie, Adelphi 1983, p. 112. ↵

64) Si veda: «Testimonianza Enrico e Chiara»(http://www.youtube.com/watch?v=ZpHOO3IU6Zc). ↵

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65) Si veda: «Cosa ho imparato da mia figlia. La lezione di vita di Chiara–TV2000» (http://www.youtube.com/watch?v=SgD7u3C–VqI). ↵

66) 1Cor 15,55. ↵

67) Sono scarpe da ginnastica di tela colorata (ci sono modelli di vari colori)che Caterina amava portare. ↵

68) Antonio Socci, Caterina, cit., p. 97. ↵

69) Flannery O’Connor, Un brav’uomo è difficile da trovare, in Tutti iracconti, Einaudi 1965. ↵

70) Antonio Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli 2008, pp. 27, 28, 35, 46, 53,57, 72, 75, 77. ↵

71) Annette Dumbach e Jud Newborn, Storia di Sophie Scholl e della RosaBianca, Lindau 2008, p. 40. ↵

72) John Henry Newman, Callista, Edizioni Paoline 1983. ↵

73) Asia Bibi, Scrivo da una cella senza finestre, «Avvenire», 8 dicembre2012. ↵

74) Asia Bibi, Blasfema, Mondadori 2011. ↵

75) Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, cit., vol. X, pp. 37-38. ↵

76) Si tratta di una realtà interna al movimento di Cl, i cui membri fanno votiprivati di povertà, castità e obbedienza e pur lavorando nel mondo vivonoin case comuni seguendo una Regola. ↵

77) Questo brano prosegue così: «Ho capito che questa sofferenza è per unperiodo; ci purifica; ci conduce a conoscere noi stessi e a gridaremisericordia. La Passione di nostro Signore ci fortifica contro il peccato ela sofferenza: questa è la sua volontà. Nel suo tenero amore verso tutticoloro che saranno salvati, il nostro buon Signore li riconforta prontamente

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e amabilmente, come se dicesse loro: “È vero che il peccato è causa di tuttiquesti dolori, ma tutto finirà bene: ogni cosa, qualunque sia, finirà bene”.Queste parole, me le ha dette molto teneramente, senza il minimo biasimo...In queste parole, ho visto un mistero profondo e meraviglioso nascosto inDio. Questo mistero, ce lo rivelerà e farà conoscere pienamente in Cielo.Quando lo conosceremo, vedremo in tutta verità per quale ragione egli hapermesso la venuta del peccato nel mondo. E vedendo, ci rallegreremo perl’eternità» (Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, Ancora 1997,cap. 27). ↵

78) Rm 8,18. ↵

79) Padre Augusto Colombo, missionario del Pime (Pontificio istituto missioniestere), ha vissuto per 60 anni come missionario in India, nello Statodell’Andhra Pradesh. È morto il 30 agosto 2009 in concetto di santità(come molti nella storia del Pime). La sua vicenda è stata raccontata dapadre Piero Gheddo, suo amico e confratello, nel libro Augusto Colomboapostolo dei paria (Edizioni Emi). Padre Colombo, partito dall’Italia a 25anni, nella sua lunga missione, si è dedicato in particolare ai paria (o dalit),i cosiddetti «fuori casta», che sono 160 milioni e sono considerati nellacultura induista meno degli animali. Ha mostrato come il Vangelo davaloro dignità da figli di Dio con l’annuncio e con le opere, costruendopozzi, fattorie per la produzione del riso, laboratori artigiani, «case per ipoveri, cooperative, uffici legali per difendere le terre, assistenza sanitariaai lebbrosi, scuole, ospedali, fino alle università con posti riservati ai dalit».Così scriveva padre Gheddo ricordandolo su «Asianews»(http://www.asianews.it/notizie–it/–È–morto–P.–Augusto–Colombo,–con–lui–ifuori–casta–vanno–all%E2%80%99universit%C3%A016193.html). Inquell’articolo si legge che padre Colombo fra l’altro ha costruito un collegedi ingegneria (Institute of Technology and Science) con 1500 studenti ecinque specializzazioni: il college riserva metà dei posti ai paria e aicattolici che non sono facilmente ammessi nelle altre università (non a casoqui è stata fondata Colombo Nagar, la città di Colombo). Inoltre ilmissionario «ha acquistato a Warangal un modernissimo ospedale appenacostruito con 600 letti, che dovrebbero diventare mille. Accantoall’ospedale c’è un inizio di costruzione dell’università di Medicina, laseconda cattolica in India (la prima a Bangalore)» che però non ha ancorail riconoscimento perché è cattolica. «In precedenza, Augusto ha fondatoun lebbrosario e tre ospedali.» A questo punto padre Gheddo cita il lavoro

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che padre Colombo ha fatto per i ciechi grazie all’aiuto del professorInnocente Figini. E infine il più recente ospedale per la cura dell’Aids.Grazie a missionari come padre Colombo molti dalit negli ultimi decenni sisono convertiti al cristianesimo. ↵

80) Chi vuole saperne di più su tutte le attività di Cometa può vederehttp://www.puntocometa.org/home/IT/195.htm. ↵

81) Gv 16,29. ↵

82) John Henry Newman, sermone parrocchiale IV, 15. ↵

83) Francesco Guccini, Incontro, in Fra la via Emilia e il west, vol. II, 1984. ↵

84) Id., Canzone per Piero, in Stanze di vita quotidiana, 1974. ↵

85) Id., L’isola non trovata, in L’isola non trovata, 1971. ↵

86) Id., Lettera, in D’amore, di morte e di altre sciocchezze, 1996. ↵

87) È un cortometraggio reperibile su Internet(http://www.youtube.com/watch?v=IHdxs1WNHMo). La miainterpretazione, invece, la si trova sul mio sito: www.antoniosocci.com. ↵

88) Tale riconoscimento avvenne l’11 febbraio 1982, anniversario (e festaliturgica) delle apparizioni di Lourdes. Ricordo qui un pensiero di donGiussani in occasione del pellegrinaggio del 1992: «Per il pellegrinaggiodella vita verso il destino, la personalità umana non ha bisogno che di unacosa molto elementare: una grande semplicità del cuore, una povertàdell’animo e dello spirito. La Madonna è il tipo di questo uomocamminatore verso il suo destino, di questo protagonista nuovo del tempo»(si veda: Massimo Camisasca, Quel cero è segno della nostra fede,«Tracce», febbraio 2008). ↵

89) Antonio Maria Claret, L’egoismo vinto, De Propaganda Fide 1869, p. 60.↵

90) Si veda: Antonio Socci, Indagine su Gesù, cit., pp. 296 e ss. ↵

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91) «Nel mio romanzo–inchiesta ho idealizzato Bernadette. In realtà era solouna povera idiota», cit. in Vittorio Messori, Bernadette non ci haingannati, Mondadori 2012, p. 237. ↵

92) Par. XXXI,100-101. ↵

93) Tutte queste notizie su Bernadette e le apparizioni di Lourdes si trovano in:René Laurentin, Bernardetta vi parla, Edizioni San Paolo 1997; Id.,Lourdes, Mondadori 2009; Vittorio Messori, Bernadette non ci haingannati, cit. ↵

94) Si veda: www.collevalenza.it. ↵

95) Gertrude di Helfta, Le Rivelazioni, Edizioni San Paolo 2008, libro III, cap.LXVI. ↵

96) Isaia 31,11. ↵

97) Santa Faustina Kowalska, Diario. La misericordia divina nella mia anima,Libreria Editrice Vaticana 2004, II quaderno, 15.XII.33. ↵

98) Par. XX,94-99. ↵

99) Par. XVIII,19-21. ↵

100) Ger 14,17. ↵

101) Gv 11,35. ↵

102) Messaggio straordinario della Vergine, in Pieto Carletti, Medjugorje. Permano in Paradiso, Roma 2005. ↵

103) Sal 34,19-20. ↵

104) Isaia 66,13. ↵

105) Isaia 49,15. ↵

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106) Don Divo Barsotti, Parola e silenzio, Edizioni San Paolo 2006, p. 117. ↵

107) Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), La mia ultimapentecoste, preghiera allo Spirito Santo scritta nel 1942, poco prima dellasua deportazione ad Auschwitz. ↵

108) Franz Kafka, Diari, Feltrinelli 1994, p. 94. ↵

109) Ada Negri, Senza nome, in Fatalità, F.lli Treves 1982. ↵

110) Joseph Malègue, cit. in Josè L.M. Descalzo, Gesù di Nazareth, Dehoniane1998, p. 13. ↵

111) Lc 6,17-19. ↵

112) Ap 3,20. ↵

113) Don Luigi Giussani, Alla ricerca del volto umano, Rizzoli 2007. ↵

114) Don Luigi Giussani, « Santo Stefano ovvero dell’amicizia di Cristo,«Tracce», 26 dicembre 1944. ↵

115) Padre Gaston Courtois, Quando il maestro parla al cuore, Edizioni SanPaolo 2011. ↵

116) Wystan Hugh Auden, Blues in memoria, in La verità, vi prego,sull’amore, Adelphi 1994. ↵

117) Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, in Poesie d’amore, Mondadori2002. ↵

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