Antonio Masala - Crisi e rinascita del liberalismo classico

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  • Edizioni ETS

    Crisi e rinascitadel liberalismo classico

    Antonio Masala

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  • www.edizioniets.com

    Copyright 2012EDIZIONI ETS

    Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected]

    DistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

    ISBN 978-884673385-6

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  • A zge

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  • Prefazione

    Questo lavoro prende le mosse da una serie di importanti proble-mi di filosofia politica, sollevati con forza negli anni del secondo dopo-guerra da alcuni grandi pensatori del Novecento. Questi autori erano convinti che il mondo occidentale si trovasse in uno stato di profonda crisi morale e spirituale e che la filosofia politica, una disciplina a loro giudizio quasi scomparsa, fosse corresponsabile di quella crisi, perch non pi capace di riflettere sul problema del buon ordine politico. Il liberalismo era considerato tra le cause di quella crisi. Esso veniva, in forme diverse, accusato di essere diventato relativista e di proporre una semplicistica soluzione del problema politico con mezzi economici. Agli occhi di molti dei suoi critici il liberalismo non rifletteva pi sulla necessit di un innalzamento morale e spirituale delluomo come via necessaria per trovare la migliore soluzione al problema della conviven-za civile, ma riteneva che per raggiungere un tale obiettivo bastasse un miglioramento del tenore di vita, ottenibile con la tecnica.

    Al di l di quanto quelle analisi riguardo alla crisi dellOccidente e quelle critiche al liberalismo fossero attendibili e fondate, esse rap-presentano un interessante punto di partenza per riflettere su cosa sia la teoria liberale, quale sia la sua idea di un giusto ordine politico e di come un tale obiettivo si possa perseguire. Il problema non dunque (solo) quanto quella crisi fosse reale e quanto il liberalismo ne fosse ve-ramente responsabile, ma (soprattutto) nella sfida che quelle riflessioni lanciano al liberalismo. Lintento di questo lavoro dunque cercare di capire in cosa consista la filosofia politica del liberalismo classico, e in che termini la sua rinascita, che per molti versi anche una rivisitazione dell antica tradizione, sia anche, per quanto in maniera indiretta, una risposta a quei problemi e a quelle critiche. E questo in ragione del fatto

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  • 10 Crisi e rinascita del liberalismo classico

    che il liberalismo classico pu essere prima di tutto interpretato come una riflessione intorno a quello che forse il problema paradigmatico della filosofia politica, ossia il problema di come sia possibile la forma-zione e lo sviluppo dellordine, che visto come un ordine sociale prima che politico, cosa che peraltro impone una ridefinizione della politica e dei suoi compiti.

    Si proceduto dunque seguendo un filo logico che passa anche per la ricostruzione del pensiero degli esponenti del liberalismo classi-co, ma che vuole sempre essere funzionale alla trattazione di cosa sia, e come sia realizzabile, il buon ordine per la teoria liberale. Dopo lanalisi di alcune critiche al liberalismo come corresponsabile della crisi della filosofia politica si dunque passati ad analizzare il mutamento avvenu-to allinterno della stessa teoria liberale, guardando alla lenta e graduale modificazione dei princpi del liberalismo classico a favore di un nuo-vo liberalismo, edificato su basi completamente diverse. Questo nuovo liberalismo, nelle sue diverse diramazioni, diventa presto il mainstream liberale ed al contempo conseguenza e causa dellidea che il vecchio liberalismo, e con esso il laissez-faire e in parte la stessa libert economi-ca, fossero ormai superati dalla storia. Proprio questo aver abbandonato i vecchi princpi trasforma il liberalismo in qualcosa di diverso, e tale trasformazione spiega perch si reso necessario da una parte parlare di rinascita e dallaltra usare il termine liberalismo classico. Si parla di rinascita perch, anche proponendo una diversa interpretazione delle cause della crisi storica del liberalismo, a partire dagli anni del dopo-guerra si apre la strada a un ripensamento della teoria e della pratica li-berale, un ripensamento che consiste per in un recupero, e non in una negazione, delle proprie radici. E si usa il termine liberalismo classico proprio perch si vuole mettere in luce il recupero di queste radici, e il ritorno ripensato ad esse, cosa che invece non pu essere realizzata dai termini neo-liberalismo o new right.

    Dopo aver analizzato le trasformazioni del liberalismo, e il modo diverso in cui i liberali stessi hanno visto la crisi della teoria liberale, viene presa in esame la critica del totalitarismo, essenziale da un duplice punto di vista. Da un lato dimostra come i pensatori liberali, scrivendo negli anni della guerra alcune grandi opere, si siano saputi confronta-re con il male che si affaccia nella storia, smentendo cos, almeno in parte, la tesi della crisi della filosofia politica. Da un altro punto di vista tale critica essenziale anche nella individuazione del fondamento della societ libera; guardando al totalitarismo, alle sue cause remote cos

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  • 11Prefazione

    come ai rischi attuali di una penetrazione della mentalit totalitaria nel-le societ democratiche, gli esponenti del liberalismo classico ragionano sui presupposti, sui pregi e sulla necessit di un ordine politico liberale, e su cosa sia necessario fare per sventare il pericolo di una sua scom-parsa o per cercare di ripristinarlo. anche un ragionamento sul cosa comporti il voler attribuire allo stato un carattere etico, qualunque sia letica a cui si fa riferimento, cosa che porta con s la ridefinizione di un altro concetto classico della filosofia politica, quello di societ buona. In stretta continuit con quelle riflessioni si pone il confronto con la teo-ria democratica, confronto che deve necessariamente partire da una (ri)definizione del concetto di libert che a fondamento del liberalismo stesso, per valutarne la compatibilit con la democrazia. Il riconoscer-ne la necessit della democrazia non deve infatti far dimenticare che il fondamento delle due teorie politiche, liberale e democratica, rimane comunque diverso, e che la felice combinazione tra le due non il frutto di una necessit logica, ma un bene per il quale costantemente neces-sario lottare, anche con le armi della riflessione filosofica. E dimenticare i molteplici rischi che una versione non liberale della democrazia com-porta un pericolo che molto difficilmente sembra destinato a cessare.

    Lultimo capitolo affronta infine in maniera organica tutta una serie di concetti e di problemi introdotti in precedenza, in particolare quale sia la soluzione liberale classica al problema dellordine, quali ne siano le origini e perch essa sia diversa da altri modelli di ordine, a cui pure attingono altre importanti correnti del liberalismo del Nove-cento. Allinterno della tradizione liberale infatti possibile tracciare una distinzione tra due diversi modelli di ordine. Da una parte vi la teoria per la quale lordine necessariamente artificiale, va costruito dalluomo usando la sua ragione e le sue paure. il modello che ha in Hobbes il suo ideatore, e che si basa sullidea che luomo lasciato a s stesso vivrebbe in una perenne guerra di tutti contro tutti. Una corren-te del liberalismo ha accettato, pur trasformandola radicalmente nella forma e nella realizzazione, la soluzione hobbesiana dellordine politico: esiste un sovrano capace di identificare il bene comune e di farlo rispet-tare, si tratta del sovrano democratico, che governa e produce norme per volont del popolo e nel suo interesse, ed limitato costituzional-mente nelle sue scelte al fine di tutelare la libert individuale. La secon-da teoria sostiene invece che lordine non conseguenza di un progetto umano, ma invece il risultato inintenzionale di azioni umane che sono rivolte ad altri fini, e ha il suo iniziatore in Mandeville. Per questa tra-

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    dizione di pensiero lordine si forma partendo proprio dai limiti della ragione, riconoscendo che i migliori vantaggi si traggono da processi di cui luomo non consapevole, e che non in grado di dirigere deli-beratamente. Non quindi una buona soluzione quella di una mente ordinatrice, e bisogna invece guardare ad un ordine che sia il risulta-to di unevoluzione che ha lasciato in vita le regole universalizzabili, quelle che rendono prevedibili i comportamenti altrui e creano meno conseguenze indesiderate, e che ha eliminato le altre. Questa soluzione quella propria del liberalismo classico, e qui si tenta un confronto con i suoi pregi e i sui difetti, cercando si spiegare perch essa non pu essere considerata relativistica e dedicando attenzione alla tensione ir-risolta tra evoluzionismo e diritto naturale, ma anche al significato e al ruolo, entrambi spesso fraintesi, del diritto di propriet nella tradizione liberale.

    La riflessione del liberalismo classico intorno al problema della convivenza civile e del miglior regime politico si presenta sempre, anche quando non risulta per molti versi convincente, con caratteri di forza e di notevole originalit. E questo sia rispetto alla trattazione canonica della filosofia politica sia rispetto alle soluzioni proposte dalle altre cor-renti del liberalismo contemporaneo. Questa riflessione, anche per il non ritenere (quasi) mai legittimo luso della coercizione, porta a un ri-pensamento e a una rivisitazione di molti dei temi classici della filosofia politica, che non pu essere letta come una semplicistica riduzione della politica alleconomia. Anche per il liberalismo classico il ruolo della po-litica rimane fondamentale, ma esso viene ripensato nei suoi fondamenti e nei suoi compiti, e la politica, intesa come processo capace di pro-durre buone regole, non si identifica pi semplicemente con lo stato o con le scelte collettive. Tutti motivi che inducono a sostenere che forse proprio a partire dalla rinascita del liberalismo classico che si pu data-re una nuova e intensa stagione della riflessione filosofica sulla politica.

    Molte persone devono essere ringraziate se questo libro, dopo unincu-bazione lunga e carica di ripensamenti, e nonostante tutti i possibili limiti e manchevolezze di cui solo lautore responsabile, ha visto la luce.

    Raimondo Cubeddu, Giovanni Giorgini, Flavia Monceri, Giovanni Or-sina ne hanno seguito levoluzione negli anni, accompagnandola con preziosi consigli, suggerimenti ed incoraggiamenti. Un ringraziamento particolare va anche ad Alberto Mingardi, direttore dellIstituto Bruno Leoni, con il quale ho discusso molti dei temi qui trattati.

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  • 13Prefazione

    Le lunghe e istruttive conversazioni con gli amici e colleghi Maria Elena Cavallaro, Carlo Cordasco, Francesco di Iorio, Stefano Gattei, Andrea Gian-naccari, Carlo Lottieri, Eugenio Pizzimenti, sono state un costante stimolo alla riflessione, cos come lo sono stati i commenti dei miei studenti dei vari cicli di dottorato allIMT Alti Studi Lucca, che durante le lezioni e i seminari hanno ascoltato molte delle idee contenute in questo libro.

    Due soggiorni di studio negli Stati Uniti sono stati possibili grazie alla generosa ospitalit del Mises Institute di Auburn, Alabama, e della Foundation for Economic Education di Irvington, New York. Durante quei mesi intensi non solo stato possibile raccogliere materiale e consultare archivi, ma anche conoscere tanti appassionati studiosi del pensiero liberale, dai quali molto ho imparato.

    Leonardo Amoroso, Paolo Cristofolini, Adriano Fabris, Alfonso M. Iacono, Stefano Perfetti, hanno accettato di ospitare questo lavoro nella loro collana, e di questo sono loro grato.

    Un ringraziamento di tipo diverso ma altrettanto importante, va poi a mia moglie zge, a cui il libro dedicato, a mia madre, a Giovanna, a Josephi-ne, a Fabiana e alle piccole Emma e Paoletta.

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  • Capitolo Primo

    LIBERALISMO E FILOSOFIA POLITICA

    A partire dagli anni della Seconda guerra mondiale, anche se alcune riflessioni affondavano le radici nel periodo precedente, si svilupp tra i filosofi politici un intenso dibattito su quella che veniva considerata una profonda crisi della teoria politica. Qui si intende ripercorrere, pur senza pretesa di esaustivit, quel dibattito, con lintento di mettere a fuoco le critiche rivolte alla tradizione liberale, la quale era spesso ritenuta respon-sabile o almeno corresponsabile non solo della crisi della teoria politica ma anche dello stato di decadenza della civilt occidentale, testimoniato dalla guerra e dai totalitarismi. Al di l di quanto le si trovino attuali o convincenti, quelle critiche rappresentano una pagina importante della filosofia politica contemporanea, e hanno comunque il pregio di indivi-duare dei problemi aperti allinterno della tradizione liberale; problemi ai quali il liberalismo del Novecento, che si avessero in mente o no quelle critiche, cercher di dare delle risposte. Esse dunque rappresentano un punto di partenza, non necessario ma possibile, per verificare se e quanto vi sia stata nel dopoguerra una rinascita del liberalismo e una revisione di alcuni dei suoi princpi, se non anche un recupero di alcune delle sue origini dimenticate. Un punto di partenza per cercare di capire meglio cosa sia il liberalismo e per mettere ordine riguardo a una tradizione di pensiero tanto ricca quanto varia, e anche per questo alle volte conflittuale al proprio interno.

    1. La crisi della filosofia politica

    noto come la fine della Seconda guerra mondiale segni uno spartiacque in termini storici e politici. Lo spartiacque fu anche, e non poteva essere altrimenti, nella riflessione teorica sulla politica. Allaffer-

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    marsi degli Stati Uniti sulla scena mondiale corrispondeva laffermarsi di una disciplina relativamente giovane, la scienza politica, la quale por-tava con s metodi, tecniche e obiettivi nuovi nello studio della politica. Si poneva dunque il problema di cosa rimanesse della grande tradizione precedente, ossia di quale fosse il ruolo della filosofia politica, una disci-plina pi europea che americana, e che a molti sembrava porsi domande vecchie in un mondo che invece era prepotentemente cambiato.

    La filosofia politica doveva in un certo senso fare i conti con s stessa, e non solo dimostrare la propria utilit, ma anche riflettere su quali fossero le proprie responsabilit rispetto a eventi storici tragici, che si erano verificati proprio l dove la sua influenza sembrava essere stata pi presente. Lo sterminio, non solo in operazioni belliche, di milioni di uomini, era qualcosa di cos terrificante da rendere necessaria una rifles-sione profonda su quale fosse il fondamento della convivenza civile. Tale fondamento sembrava essere messo in discussione anche dal fatto che i regimi totalitari erano riusciti ad avere almeno lassenso, se non anche il consenso attivo, di una grande parte della popolazione. Inoltre, proprio i leader di quei movimenti che negavano il concetto stesso di civilt, sem-bravano almeno in parte essere andati al potere con gli strumenti della democrazia, e in ogni caso non avevano dichiarato di esserne la negazione ma semmai il superamento, linveramento e quantaltro.

    La fine della guerra poi, non aveva coinciso con la fine dei rischi per la civilt. Il mondo era diviso in due blocchi contrapposti, e se uno appariva totalitario laltro, almeno dal punto di vista filosofico, attra-versava una crisi profonda. Librido liberal-democratico, che muoveva allora i primi passi, era soggetto a critiche riguardanti entrambi i pa-radigmi da cui era composto. La democrazia appariva a molti come un semplice strumento, di per s non sufficiente a garantire dai rischi del totalitarismo e lidea che lestensione del suffragio fosse una soluzione ottimale del problema politico, per il suo consentire di contare le teste anzich tagliarle, sembrava essere inficiata dalla realt storica. Infatti ci che era avvenuto che prima si era proceduto ad una conta, e poi, e in parte anche guardando a quella conta come ad una giustificazione, si era proceduto al taglio. Al liberalismo si imputava invece, da pi parti, la responsabilit di aver condotto a un relativismo di valori che veniva indicato come una delle principali cause della crisi che aveva coinvolto la civilt occidentale. Tutto questo indusse Walter Lippman, convinto sostenitore della democrazia liberale, a scrivere: viviamo in unepoca, in cui si delineata una massiccia controrivoluzione popolare a danno

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    della democrazia liberale. una reazione allinsufficienza dellOcci-dente ad affrontare le miserie e le angosce del secolo: le democrazie liberali sono chiamate in causa, per la loro incapacit a governare con efficienza, in un periodo di guerre e sollevazioni, ma altres per la loro scarsa idoneit a difendere e conservare la filosofia politica che sostanzia il costume di vita liberale1.

    A preoccupare Lippman era il fatto che il cessare della riflessione sui valori, riflessione tipica della filosofia politica, facesse venire meno ogni solido fondamento della democrazia, la quale, se non si basa su valori radicati nelle coscienze prima ancora che nelle istituzioni, difficilmente potr sopravvivere a lungo. Criticando il relativismo egli indica la crisi della societ occidentale nel fatto che le democrazie abbiano smesso di accogliere le tradizioni di civilt in cui hanno avuto origine e svi-luppo i vari indirizzi liberali e democratici della societ buona. Esse sono oggi come escluse da quella filosofia della coscienza pubblica e da quelle arti politiche, che sono necessarie al governo di una societ liberal-democratica2.

    Una sensazione di crisi investiva dunque decisamente la filosofia politica, una disciplina che a molti, negli anni Cinquanta e Sessanta, appariva ormai deceduta. Si era infatti radicata, tra molti di coloro che pure continuavano a considerarsi studiosi di quella disciplina, la con-vinzione che ormai da tempo la filosofia politica non fosse pi in gra-do di produrre idee innovative e visioni del mondo, e si fosse ormai adagiata nella contemplazione del proprio passato. Questa sensazione fu espressa ad esempio nel 1959 da Leo Strauss, secondo il quale la filosofia politica ormai si trova in uno stato di decadenza e forse anche di putrefazione, qualora non sia del tutto scomparsa3, e da Sheldon Wolin, il quale nel 1960 nota che in molti circoli intellettuali esiste una profonda ostilit, se non addirittura un disprezzo, nei confronti della filosofia politica nella sua forma tradizionale4.

    Una delle pi note opinioni al riguardo proveniva da Cambridge,

    1 W. LIPPMAN, The Public Philosophy, Little Brown and Company, New York 1955 (trad. it. La filosofia pubblica, Milano, Comunit, 1955, p. 63).

    2 Ivi, (trad. it. cit. p. 93-94).3 L. STRAUSS, What is Political Philosophy?, Free Press, Glencoe 1959 (trad. it. Che

    cos la filosofia politica?, Argalia, Urbino, 1977 p. 42).4 S. WOLIN, Politics and Vision. Continuity and Innovation in Western Political

    Thought, Little Brown, New York 1960 (trad. it. Politica e visione. Continuit e innovazio-ne nel pensiero politico occidentale, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 9).

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    e fu espressa nel 1956 da Peter Laslett nellintroduzione di Philosophy, Politics and Society, la prima raccolta di saggi di una serie che sarebbe andata avanti negli anni, rappresentando un importante punto di ri-ferimento per gli studi di teoria politica. Egli ricorda come le grandi opere del pensiero politico si erano spesso avute in corrispondenza dei momenti di crisi e come risposta a essi, dalla caduta dellImpero roma-no, con la De Civitate Dei di SantAgostino, alla guerra civile inglese, con il Leviathan di Hobbes. Ma, a suo dire, nella sua epoca non ha pi senso ritenere che esistano ancora filosofi politici; dopo la tragedia della guerra mondiale e la bomba atomica, non si intravedeva nessuna seria e originale teoria sul fondamento dellobbligazione politica. La tradi-zione forse un giorno sarebbe ripresa, ma indubbiamente da tempo si era interrotta e cos, egli commenta: for the moment, anyway, political philosophy is dead5. Altrettanto chiaramente Laslett indica chi a suo giudizio ha assassinato la filosofia politica: the Logical Positivists did it6. Il positivismo logico, ispirandosi al metodo delle scienze naturali, riteneva che si potesse arrivare a una soluzione dei problemi filosofici combinando indagine empirica e analisi del linguaggio, e che dunque la filosofia dovesse essere non un sapere speculativo ma un sapere em-piricamente fondato. I positivisti logici, con il loro rifiuto di accettare la possibilit che vi possa essere una teoria politica prescrittiva, sono per Laslett coloro i quali hanno messo la parola fine alla filosofia politica come tradizionalmente intesa.

    Questa tesi fu, nelle due successive raccolte di saggi, progressi-vamente modificata. Nel 1962 si disse che certo la filosofia politica non poteva dirsi resuscitata, but the mood is very different and very much more favourable7. Nella raccolta del 1967 si mostr un ancora maggio-

    5 P. LASLETT (ed.), Philosophy, Politics and Society, First Series, Basil Blackwell, Ox-ford 1956, p. vii.

    6 Ivi, p. ix.7 P. LASLETT, W.G. RUNCINAM (eds.), Philosophy, Politics and Society, Second Series,

    Basil Blackwell, Oxford 1962, p. vii. La raccolta si apriva con un saggio di Isaiah Berlin dallemblematico titolo Does Political Theory still Exist? Berlin ripercorrendo le doman-de classiche della filosofia politica esprimeva preoccupazione per la condizione in cui si trovava la teoria politica, e indicava come si sarebbe dovuta ritrovare la fiducia nella possi-bilit di indagare razionalmente le scelte umane, le quali non si devono mai ritenere com-pletamente assoggettate allideologia, come invece troppo spesso avviene. Rationality rests on the belief that one can think and act for reasons that one can understand, and not merely as product of occult casual factors which breed ideologies, and cannot, in any case, be altered by their victims. So long as rational curiosity exist [] political theory will

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    re ottimismo, facendo riferimento ai primi saggi di Rawls sulla teoria della giustizia, la quale promises to be a major contribution to con-temporary political philosophy8. Infine, nella quarta serie, del 1972, le pathological metaphors non erano pi ritenute utilizzabili, come a dire che lantica tradizione si era completamente ristabilita. Questi attestati di morte e di resurrezione, rilasciati nellarco di tre lustri, furono in seguito, e forse non a torto, criticati in modo aspro, e definiti una parochial comedy in realt volta a richiamare maggiore atten-zione sulla filosofia politica stessa9. Qualunque possa essere il giudizio in proposito bisogna in ogni caso ammettere che, sia pure con accenti molto diversi, uno stato di crisi della teoria politica10 era richiamato de-cisamente da pi parti, e non semplicemente con annunci pi o meno eclatanti, ma anche con analisi assai articolate. Le differenti analisi sul declino della teoria politica tendevano a identificare come responsabili della crisi il positivismo e lo storicismo, da cui deriverebbero lavaluta-tivit e quel relativismo in grado di paralizzare ogni giudizio morale e dunque ogni forma di autentica filosofia politica.

    Ancora dieci anni dopo la famosa affermazione di Laslett, Ales-sandro Passerin dEntrves si confrontava con lo stesso problema, chie-dendosi se esista ancora oggi, o possa ancora esistere, una disciplina che rechi questo nome, o se la nostra epoca non sia proprio caratteriz-zata dal fatto che, alle domande che quella si poneva, altre discipline rispondono, oppure le stesse domande non si pongono pi11. Passerin dEntrves riteneva che gli scienziati politici e i filosofi che egli chia-ma fautori del non cognitivismo etico tendessero a occupare il campo che tradizionalmente era stato proprio della trattazione filosofica della politica. Entrambi avevano in fondo la stessa caratteristica che Laslett indicava come propria dei positivisti logici: proponendosi di descrivere

    not perish from the earth, p. 33.8 P. LASLETT, W.G. RUNCINAM (eds.), Philosophy, Politics and Society, Third Series,

    Basil Blackwell, Oxford 1967, p. 1. 9 A. DE CRESPIGNY, K. MINOGUE, (eds.), Contemporary Political Philosophers, Mead

    & Co, New York 1975, p. x e ss.10 Nonostante il termine filosofia politica indichi un ambito pi definito rispetto al

    termine pi generale di teoria politica, ai fini di questanalisi essi possono essere conside-rati come sinonimi.

    11 A. PASSERIN DENTRVES, Scopo e necessit di un insegnamento di filosofia politica, Il Politico, n. 3, 1966, p. 401, concetti simili vengono espressi dallo stesso autore anche nella voce Filosofia della politica del dizionario di politica N. BOBBIO, N. MATTEUCCI, G. PASQUINO (a cura di) Dizionario di politica, UTET, Torino 1990, pp. 392-399.

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    la realt politica cos come essa , rifiutano ogni domanda e ogni spe-culazione sul perch dei fenomeni politici, e cos rifiutano ogni risposta al problema dellobbligazione politica che non sia la semplice consta-tazione che unautorit esiste e che le leggi vengono rispettate. La crisi della filosofia politica era dunque legata con un doppio nodo allidea, propria della filosofia analitica prevalente nel secondo dopoguerra, che fosse impossibile fondare una teoria politica su un qualche principio filoso-fico, e che alle domande tradizionali di quella disciplina (perch bisogna obbedire alle leggi e allautorit, ossia qual il fondamento dellobbli-gazione giuridica e politica, come possibile definire il miglior regime politico, come si realizza lordine politico e sociale) non fosse possibile dare risposta. Le domande dello studioso di politica dovevano dunque essere altre, e inerenti pi al funzionamento che al fondamento dei si-stemi politici, domande su come operano le pratiche politiche e non domande sul significato delle medesime.

    Ad essere incriminata come causa della crisi della filosofia politica era dunque innanzitutto la scienza politica, una disciplina che in quegli anni si era fortemente innovata con la cosiddetta rivoluzione compor-tamentista (behavioral revolution). Rispetto alla scienza politica tradi-zionale (la quale aveva posto al centro della propria ricerca i concetti di stato e potere, cercando di elaborare rispetto a essi teorie generali che fossero sia descrittive sia esplicative) i comportamentisti operano una vera e propria rivoluzione, che prima di tutto una rivoluzione epistemologica. Lobiettivo arrivare a una conoscenza oggettiva e cer-ta dei fenomeni politici, la qual cosa poteva essere fatta osservando, in base a procedure rigorose, il comportamento degli attori politici e il funzionamento dei sistemi politici, i quali presentano delle regolari-t che appunto possibile osservare. I dati empirici vengono raccolti con nuove tecniche di indagine, in particolare interviste e sondaggi, e si tenta di emulare il rigore scientifico di altre scienze sociali, quali leconomia e la psicologia. Infine i dati confluiscono in teorie pi ampie, e tali da costituire un nucleo di conoscenze universalmente valide e con-divise, sullesempio delle scienze naturali, come la fisica o la biologia. Due importanti corollari di questa impostazione sono la costruzione di un linguaggio scientifico e lavalutativit, consistente nel distingue-re fatti e valori, analisi e prescrizioni, una caratteristica che a giudizio dei comportamentisti non avevano n la scienza politica tradizionale n la filosofia politica. Certo il comportamentismo non fu un movimento perfettamente omogeneo, basti pensare a come lintero approccio possa

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    variare a seconda del se e quanto si ritenga prevedibile il comporta-mento individuale, tuttavia le conseguenze di quella rivoluzione nello studio della politica erano indubbiamente tali da mettere in discussione la filosofia politica stessa come disciplina.

    In uneccezione ristretta il comportamentismo nasce come para-digma della psicologia americana nei primi anni del Novecento, ma solo dagli anni Trenta che gli psicologi comportamentisti vengono in-fluenzati dal neopositivismo. La versione classica ottocentesca del po-sitivismo il semplice utilizzo del metodo scientifico quale unica fonte legittima per la conoscenza dei vari aspetti della vita umana era stata sostituita nel Novecento dal cosiddetto neopositivismo o positivismo lo-gico, una versione pi raffinata e articolata, che tuttavia non ne cambia-va lassunto fondamentale: esiste un unico metodo, valido anche per le scienze dello spirito, il metodo delle scienze naturali. Tale metodo era considerato in grado, combinando indagine empirica e analisi del lin-guaggio, di portare anche nelle scienze sociali un sapere certo, perch empiricamente fondato. Il positivismo logico ebbe la sua prima e massi-ma espressione durante gli anni Venti e Trenta nel celebre Wiener Kreis, molti dei cui esponenti emigrarono negli Stati Uniti dopo lavvento del nazismo, influenzando fortemente il comportamentismo e la scienza politica americana12. Dagli anni Quaranta, e poi soprattutto negli anni Cinquanta, molti scienziati politici americani13 abbracciano di fatto un

    12 Come noto il Wiener Kreis, sul quale esiste una letteratura assai ampia, si svilupp a partire dal 1922, per spegnersi definitivamente nel 1936 dopo linvasione dellAustria da parte di Hitler. Tra i suoi principali esponenti che hanno avuto un rilievo per i temi qui trattati si ricordano Rudolf Carnap e Otto Neurath, ma anche Karl Menger (figlio di Carl, il fondatore della Scuola austriaca) e il matematico Richard von Mises (fratello del liberare Ludwig).

    13 Vanno almeno ricordati H. LASSWELL, A. KAPLAN, Power and Society, Yale Univer-sity Press, New Haven 1950, i quali innestarono lidea neopositivistica di una conoscen-za fattuale su quei metodi di ricerca empirica che la scienza politica americana aveva sviluppato, cercando di emulare leconomia, la scienza sociale che a loro giudizio aveva raggiunto i migliori risultati. Ma va ricordato anche Herbert Simon, il quale si occup di come rendere scientifico il linguaggio della scienza politica. Particolarmente significativa lidea di Simon secondo cui non si avranno mai progressi nella teoria politica sino a quan-do essa continuer a utilizzare un linguaggio metafisico e un grado di rigore scientifico che non passerebbe un elementare corso di logica. Il passo di Simon citato a p. 235 da J.G. GUNNELL, The Descent of Political Theory. The Genealogy of American Vocation, University of Chicago Press, Chicago 1993. Al capitolo 10 di quellopera si rimanda anche per un quadro generale sul comportamentismo nella scienza politica americana e sulle sue implicazioni per la filosofia politica.

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    approccio di tipo neopositivistico, sulla scia dei tentativi di rinnova-mento scientifico che a Chicago, sin dagli anni Venti, aveva portato avanti Charles Merriam. Attraverso la visione che della scienza aveva il neopositivismo, alcuni comportamentisti andarono paradossalmente alla ricerca di una giustificazione filosofica al superamento della filosofia politica. Questa idea era in linea con la convinzione dei positivisti di aver trovato una filosofia per por fine a tutte le filosofie14, e consisteva in definitiva nel credere che una scienza politica empirica avrebbe, di fatto, superato tutti i problemi dei valori e dei giudizi morali caratteri-stici della filosofia politica tradizionale.

    Lidea che stava alla base di una tale visione era che la democrazia si fosse ormai consolidata a tal punto da aver posto fine alle discus-sioni sul miglior regime politico o sul fondamento dellautorit e del potere, e trovasse invece una legittimazione proprio nel sapere tecnico della scienza politica, capace di razionalizzare il rapporto mezzi-fini e quello costi benefici15. Concepita in tal modo la scienza politica appare frontalmente contrapposta alla filosofia politica, la quale non si rif al comportamento concreto degli uomini e alla volont di produrre una conoscenza oggettiva, ma si propone invece come una riflessione (an-che) normativa sulla politica.

    14 H. FEIGL, The Wiener Kreis in America, in Perspective in American History, 2, 1968 (trad. it. Il Circolo di Vienna in America, Armando, Roma 1980, p. 16)

    15 In forme diverse questidea si sarebbe dimostrata duratura, basti pensare alla tesi sostenuta da Daniel Bell, in un libro che negli anni Sessanta ebbe grande influenza: D. BELL, The End of Ideology. On the Exhaustion of Political Ideas in the Fifties, Macmil-lan, London 1962 (seconda edizione rivisitata). A suo giudizio nelle societ occidentali (ma la sua analisi si concentra sugli Stati Uniti), il ruolo delle grandi ideologie politiche (liberalismo, conservatorismo e marxismo) si ormai esaurito, poich si era esaurita la loro capacit di suscitare emozioni e adesione. Parimenti si sarebbero esauriti gli scontri ideologici che da questo derivavano, e si sarebbe andato consolidando il consenso intorno ad alcuni valori. Il posto delle ideologie ottocentesche sarebbe infine stato preso da nuove parochial ideologies e soprattutto da technological conoscenze e scelte. Secondo Bell dunque bisogna concentrare gli sforzi su questioni pratiche e concernenti il buon funzio-namento delle democrazie, abbandonando le riflessioni sulle visioni del mondo e sui fondamenti ultimi della convivenza politica. Le tesi di Bell, nonostante fosse chiaro che i fatti sembravano smentirle, continuarono a suscitare un grande interesse ancora negli anni Settanta e Ottanta.

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    2. Liberalismo e relativismo

    Chi per si confront con maggiore decisione con lidea che il li-beralismo fosse responsabile della crisi della filosofia politica fu Strauss. Egli vedeva coincidere la crisi del mondo contemporaneo con la crisi della filosofia politica, una disciplina che a suo dire aveva perso la con-sapevolezza del suo compito e dei suoi princpi. In ragione della durezza della sua critica, che investe tutta la modernit prima ancora che il libe-ralismo e i regimi politici contemporanei16, Strauss si pone come un pas-saggio obbligato nel momento in cui si tenta di indagare se veramente dopo la Seconda guerra mondiale il liberalismo si trovasse in uno stato di crisi, teorica prima che pratica17. Pur prendendo le mosse da lontano, la critica di Strauss al liberalismo e alla democrazia ha un punto di rife-rimento costante in un fatto storico a lui assai vicino, sia nel tempo sia perch lo coinvolgeva direttamente in quanto ebreo.

    A suo giudizio lesempio pi chiaro della mancata soluzione, da parte del liberalismo, di quello che egli chiamava il problema politico per eccellenza, ossia il problema della convivenza civile, la questione ebraica, che egli definisce come il simbolo pi palese del problema umano dal momento che un problema sociale e politico18. Durante la repubblica di Weimar si tent di risolvere il problema ebraico seguendo i princpi del liberalismo, ossia concedendo agli ebrei i pieni diritti ci-vili e politici, in modo tale che essi divenissero semplicemente cittadini tedeschi di fede ebraica. Poich la democrazia liberale vede nella mo-ralit umana universale il legame della societ, mentre la religione relegata a fatto privato, la soluzione consisteva nel fatto che le differenze religiose non dovevano essere rilevanti e i cittadini ebrei sarebbero do-vuti essere cittadini come tutti gli altri.

    Naturalmente ci non fu una vera soluzione, poich si arrecava

    16 Interessanti considerazioni a tale proposito si trovano in F. MONCERI, La filosofia politica fra relativismo e nichilismo. La critica di Leo Strauss a Friedrich Nietzsche e Max Weber, in Filosofia politica, n. 2, 2000, pp. 223-248.

    17 La letteratura sulla critica di Strauss al liberalismo e alla democrazia estremamen-te ampia, per indicazioni bibliografiche cfr. C. ALTINI, Introduzione a Leo Strauss, Laterza, Bari-Roma 2009 e R. CUBEDDU, Tra le righe. Leo Strauss tra Cristianesimo e liberalismo, Co-stantino Marco, Lungro di Cosenza 2010. Per una ampia panoramica sulla sua riflessione e sulla sua eredit si veda su tutti S.B. SMITH (ed. by), The Cambridge Companion to Leo Strauss, Cambridge University Press, Cambridge 2009.

    18 L. STRAUSS, Spinozas Critique of Religion, Schoken, New York 1965 (trad. it. in Liberalismo antico e moderno, Giuffr, Milano, 1973, p. 285).

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    al massimo eguaglianza legale, ma non eguaglianza sociale; logicamente non aveva alcun effetto sui sentimenti dei non ebrei19. Che la soluzione liberale non abbia funzionato provato dal fatto che alla repubblica di Weimar segu il regime nazionalsocialista e la persecuzione degli ebrei. La vicenda per Strauss il simbolo dellincapacit del liberalismo di risolvere il problema politico:

    Il liberalismo si regge o cade sulla distinzione tra stato e societ o sul riconoscimento di una sfera privata, protetta dalla legge ma a essa impenetra-bile, con lintesa che, soprattutto, la religione, vista come religione individuale, appartiene alla sfera privata. Cos come lo stato liberale non discriminer certo contro i cittadini ebraici, con altrettanta certezza sar costituzionalmente incapace e perfino riluttante a impedire discriminazioni contro gli Ebrei da parte di singoli o gruppi. Il riconoscimento di una sfera privata nel senso in-dicato consente la discriminazione privata, la protegge e favorisce. Lo stato liberale non pu offrire una soluzione al problema ebraico, poich una tale so-luzione richiederebbe la proibizione legale di ogni specie di discriminazione, cio labolizione della sfera privata, labolizione dello stato liberale.20

    La tesi di Strauss dunque che, contrariamente a quello che so-stengono i liberali, non possono bastare delle buone regole, universali e astratte, quindi non discriminanti, perch si abbia un buon ordine poli-tico. Quello di cui c bisogno anche lindividuazione di un contenuto di queste norme, che sia volto a distinguere tra bene e male: bisogna dunque realizzare la virt nellanimo dei cittadini prima ancora che nel-le leggi. Un regime politico liberaldemocratico che proibisce le discri-minazioni legali, ma consente quelle private, poich rispetta ad esem-pio lidea di chi disprezza determinate persone, ha delle fondamenta di sabbia ed quindi costantemente soggetto al rischio di essere sostituito da un regime che, dando voce a tutti coloro che vogliono operare tali discriminazioni, si pu macchiare dei pi grandi delitti, come appunto fece il regime nazista. La soluzione del problema politico non va dunque cercata in forme legali, istituzionali, ma in princpi che devono essere interiorizzati dagli uomini prima ancora che espressi in leggi formali.

    Queste considerazioni vanno lette insieme alle riflessioni di Strauss sulla filosofia politica classica e sulla religione, ossia quei due elementi che davano un fondamento stabile alle idee di giusto e ingiu-

    19 Ivi, (trad. it. cit. p. 283).20 Ivi, (trad. it. cit. p. 285). Questo naturalmente non gli impedisce di rilevare che la

    soluzione liberale del problema ebraico superiore alla soluzione comunista (ivi).

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    sto, creando il legame della comunit su princpi e valori stabili, e non su una male intesa moralit umana universale. Il fatto che oggi, anche a detta di Strauss, quelle due esperienze non possano essere ripropo-ste, non vuole naturalmente dire che il problema della convivenza civile abbia trovato una soluzione. Tale soluzione Strauss la cerca, pur non nascondendo le numerose difficolt, in una riproposizione del diritto naturale, riproposizione che consiste prima di tutto nellaffermazione dellidea (e qui egli appare vicino, paradossalmente, se si accetta la sua critica del liberalismo, ad alcuni teorici liberali) che non possibile considerare tutto il diritto come diritto positivo, ossia come prodotto di legislatori e tribunali21. infatti necessaria unidea archetipica del giusto e dellingiusto indipendente dal diritto positivo e pi alta di esso: una pietra di paragone che ci permette di giudicare il diritto positivo22. Tale idea non pu essere legata ai diversi ideali che di volta in volta si sono affermati nelle varie civilt, poich essi sono per definizione con-tingenti e mutevoli, ma deve essere un criterio superiore, che consenta proprio di giudicare il valore dellideale che in un dato momento sem-bra affermarsi in una societ.

    A tale obiettivo sembra aver rinunciato, a dire di Strauss, il libera-lismo contemporaneo che, a causa della sua unione personale con la scienza sociale avalutativa (la moderna scienza politica)23, accetta la di-stinzione weberiana tra fatti e valori, ritenendo conseguentemente tutti i valori degni di rispetto e dunque abdicando alla difesa del diritto natura-le. La scienza sociale avalutativa ha infatti come unico compito lo studio del rapporto tra mezzi e fini, ma si rifiuta esplicitamente di distinguere tra fini legittimi e illegittimi e dunque tra bene e male. Ne segue che i nostri princpi hanno come unico fondamento le nostre preferenze, le quali de-

    21 Cfr. L. STRAUSS, Natural Right and History, Chicago University Press, Chicago 1953 (trad. it. Diritto naturale e storia, Il Melangolo, Genova 1990), in particolare lintroduzione.

    22 Ivi, (trad. it. cit. p. 7).23 La critica di Strauss alla moderna scienza politica una delle parti pi conosciute

    della sua riflessione, ed egli la riteneva un passaggio fondamentale anche per fare chiarez-za sui compiti della filosofia politica. infatti dallimpossibilit di concepire una scienza politica veramente value-free che Strauss prende le mosse per dimostrare la necessit di un confronto con le domande classiche della filosofia politica, cfr. soprattutto L. STRAUSS, What is Political Philosophy? op. cit. (trad. it. pp. 33-54). La sua critica della moderna scienza politica stata accuratamente ricostruita da N. BEHNEGAR, Leo Strauss, Max Weber and the Scientific Study of Politics, Chicago University Press, Chicago 2003, il quale con-clude, in modo solo apparentemente paradossale, che quella di Strauss indubbiamente una trattazione scientifica della politica.

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    terminano le nostre scelte, che diventano tutte ugualmente legittime. Il liberalismo ha accettato questa visione delle cose perch ha voluto porta-re alle conseguenze estreme, cos stravolgendolo, il concetto di tolleranza: lunico principio ultimo da riconoscere il rispetto per la diversit o individualit, ogni altro limite va rigettato. Poich il diritto naturale im-poneva dei limiti allindividualit, il liberalismo lo ha infine rifiutato per scegliere il culto senza pi freni della personalit individuale, e cos la stessa tolleranza apparve come un valore o un ideale tra molti, e non come intrinsecamente superiore al suo contrario. In altre parole lintolle-ranza apparve come un valore uguale in dignit alla tolleranza24.

    La tolleranza assoluta dunque irrealizzabile, poich destina-ta a partorire il suo opposto. Una tolleranza senza limiti incompatibile con quella che secondo Strauss la vera tolleranza, quella basata sui canoni del diritto naturale, che fissa i parametri per distinguere tra bene e male. In tal senso i liberali dovrebbero, contrariamente a quello che fanno oggi, recuperare la lezione dei classici, per educare gli uomini non alla tolleranza assoluta ma alla virt e al vero rispetto degli altri: i veri liberali oggi non hanno dovere pi pressante che contrastare il liberali-smo pervertito, che pretende che vivere sicuri, felici e protetti, ma per il resto senza regole, la meta pi semplice, ma suprema delluomo e che dimentica qualit, eccellenza o virt25.

    Contrariamente a ci, lunione personale tra liberalismo e scien-za sociale avalutativa ha condotto a tentare di difendere la democrazia liberale con unanalisi in cui non c posto per i valori. La democrazia liberale difesa non per i valori che professa ma perch, ad unattenta analisi del rapporto mezzi fini, si dimostra, sotto questo unico aspetto rilevante, il regime politico pi razionale. Inutile dire che per Strauss una difesa di un sistema politico che prescinda dalla difesa dei valori che stanno alla base di quello stesso sistema, destinata non solo a re-stare lettera morta, ma a facilitare la degenerazione delluomo e del mo-dello politico che si vorrebbe difendere. Ed un concetto che Strauss esprime con particolare durezza:

    24 L. STRAUSS, Natural Right and History op. cit. (trad. it. cit. p. 10).25 L. STRAUSS, Liberalism Ancient and Modern, Basic Books, New York-London 1968

    (trad. it. Liberalismo antico e moderno, Giuffr, Milano, 1973, p. 85); la citazione fatta da Strauss da E.A. HAVELOCK, The Liberal Temper in Greek Politics, Yale University Press, New Haven, 1957, p. 374.

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    Mentre la nuova scienza politica diviene sempre meno capace di vedere la democrazia o di essere un modello per essa, riflette sempre pi le pi pe-ricolose tendenze della democrazia e perfino le rafforza. Con linsegnare lu-guaglianza di tutti i desideri, insegna in realt che non vi nulla di cui luomo debba vergognarsi; distruggendo la possibilit dellauto-disprezzo, distrugge, con la migliore delle intenzioni, la possibilit dellauto-rispetto. Insegna lu-guaglianza di tutti i valori, nega che vi siano cose intrinsecamente alte ed altre intrinsecamente basse e negando la differenza fondamentale tra uomini e bru-ti, contribuisce senza volerlo alla vittoria della melma. [Ecco che allora, della moderna scienza politica] si pu dire che essa si trastulla mentre Roma brucia, ma scusata per due motivi: non sa di trastullarsi e non sa che Roma brucia. 26

    Il tema del relativismo dunque per Strauss il grande problema del liberalismo, ed egli lo tratta anche facendo esplicito riferimento al concetto chiave di questa tradizione, il concetto di libert27. Una delle pi note formulazioni del problema della libert quella fornitaci da Isaiah Berlin, che definisce la vera libert come libert negativa, ossia lassenza, o almeno il minor grado possibile, di interferenza, la quale naturalmente interferenza da parte di altri uomini, di persone che con delle loro azioni ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi28. Il discorso di Berlin in apparenza non relativista, poich egli indica lesistenza di certe frontiere di libert che non possono essere in nes-sun caso oltrepassate e vanno considerate sacre e inviolabili. Vi sarebbe dunque una sfera della libert individuale da considerare assoluta, oltre la quale non concessa intromissione da parte di altre persone.

    A giudizio di Strauss tuttavia, il modo di concepire questa asso-lutezza non tale da consentire di rifiutare il relativismo, nel quale la concezione di Berlin ricade. Egli infatti, nel delimitare le frontiere della libert, ci dice che esse sono inviolabili solo in quanto ampiamente ac-cettate e fondate nellattuale natura umana, e quindi non importa se

    26 L. STRAUSS, Liberalism Ancient and Modern op. cit. (trad. it. cit. pp. 275-276).27 L. STRAUSS, Relativism, in H. Schoek, J.W. Wiggins (eds.) Relativism and the Study

    of Man, Van Nostrand, Princeton 1961; (trad. it. in Gerusalemme e Atene. Studi sul pensie-ro delloccidente, introduzione di R. Esposito, Einaudi, Torino, 1998, pp. 319-334). Sulla critica di Strauss al liberalismo, e al relativismo che a suo giudizio esso aveva accettato, si veda S. HOLMES, Anatomy of Antiliberalism, Harvard University Press, Cambridge, (Mass.) 1993 (trad. it. Anatomia dellantiliberalismo, Comunit, Milano 1995, pp. 103-105 e pp. 114-117).

    28 Su questa definizione, contenuta in I. BERLIN Two Concepts of Liberty, Clarendon Press, Oxford, 1958 (trad. it. Due concetti di libert, Feltrinelli, Milano 2000), si torner nel quarto capitolo.

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    verranno considerate come valide a-priori o identificate con fini soggetti-vi o sociali29. Berlin indica dunque lesigenza di una base assoluta per la difesa della sfera privata, ma poi sostiene che in realt questa sfera non ha una base assoluta, poich le si pu dare una qualunque base, magari fondandola su una volont collettiva ampiamente accettata. Tuttavia in futuro lideale dellesistenza di una sfera privata potrebbe scomparire o non essere considerato importante, e di conseguenza la necessit di una sfera di libert individuale non andrebbe pi riconosciuta e difesa. Lideale della libert negativa dunque valido solo relativamente, solo ai giorni nostri e non in eterno. Secondo Strauss dunque, Berlin implicita-mente ammette che tutte le convinzioni, anche quella volta a difendere la libert negativa, sono relative e circoscritte nel tempo, ma nonostante ci tenta una difesa facendo riferimento a una base assoluta di quella libert. La sua la ricerca di una regione intermedia tra relativismo ed assolutismo, dettata dallidea che sia impossibile raggiungere un punto di vista assoluto riguardo alla natura umana e dunque giungere a delle verit non relative.

    Per Strauss una tale posizione una caratteristica testimonianza della crisi del liberalismo, una crisi dovuta al fatto che il liberalismo ha abbandonato la propria base assolutistica e sta cercando di diventare interamente relativistico30. Anche nellanalisi di Berlin, considerata al tempo una delle pi nette nella difesa della libert individuale, Strauss riscontra dunque quellincapacit di distinguere tra bene e male che caratterizza il liberalismo contemporaneo, immobilizzandolo e renden-dolo incapace di degenerare nel suo opposto, ossia quellintolleranza che, come nel caso della Germania nazista, conduce la societ verso il male assoluto.

    Ma quella che per Strauss la crisi del liberalismo, che si sostan-zia nella sua (supposta) incapacit di trovare una soluzione al problema politico, in gran parte anche il frutto della crisi della filosofia politica, intesa come disciplina che mira alla conoscenza della natura delle cose politiche e dei grandi fini dellumanit e dunque del buon ordine politico31. Tale crisi si manifestata da molto tempo e per ondate pro-gressive, ed arrivata a uno stadio tale che la filosofia politica ormai si trova in uno stato di decadenza e forse anche di putrefazione, qualora

    29 Cfr. L. STRAUSS, Relativism op. cit. (trad. it. cit. pp. 321-324).30 Ivi, (trad. it. cit. p. 234).31 L. STRAUSS, What is Political Philosophy? op. cit. (trad. it. cit. pp. 34 e ss.).

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    non sia del tutto scomparsa32. Per Strauss la crisi della filosofia politi-ca dunque in gran parte imputabile a quella che lui chiama scienza sociale positivistica, che con un processo di emancipazione o di astra-zione dai giudizi morali sostiene che la sordit morale la condizione necessaria alla analisi scientifica33. Insomma, la filosofia politica sem-bra, a causa del suo rincorrere la scienza sociale positivistica, aver defi-nitivamente dimenticato linsegnamento dei classici e la loro riflessione su cosa sia e come sia realizzabile il miglior regime politico. Un atteggia-mento per Strauss incomprensibile, tanto pi dopo che il grosso evento del 1933 ha dimostrato che luomo non pu abbandonare la questione della societ buona, e che non pu liberarsi dalla responsabilit di ri-spondervi col deferirla alla Storia, o a qualsiasi altro potere diverso da quello della propria ragione34.

    3. Liberalismo come economicismo

    Il riferimento costante nellanalisi di Strauss dunque alla rifles-sione filosofico-politica dei classici, i quali ritenevano che il fine della vita umana e sociale fosse la virt e non la libert, la quale ultima intesa come fine qualcosa di ambiguo, perch parimenti libert dal male come dal bene35. La virt a sua volta pu emergere solo tramite le-ducazione, che la formazione del carattere e lacquisizione delle abitudini; un processo complesso, che richiede tempo e disponibilit economiche36. Ma mentre i classici rifiutavano la democrazia, proprio perch la ritenevano un sistema poco adatto allemergere della virt, in tempi pi recenti si ritenuto che, mediante leducazione universale, la democrazia potesse divenire la forma di governo di uomini educati. Per leducazione universale presuppone il passaggio dalleconomia della scarsit alleconomia dellabbondanza, e leconomia dellabbon-danza presuppone lindipendenza delleconomia dal controllo morale e

    32 Ivi, (trad. it. cit. p. 42).33 Ivi, (trad. it. cit. p. 44).34 Ivi, (trad. it. cit. p. 54).35 Ivi, (trad. it. cit. p. 66).36 Considerazioni importanti a tale riguardo si trovano in T. FULLER, The Comple-

    mentarity of Political Philosophy and Liberal Education in the Thought of Leo Strauss, in S.B Smith (ed.), The Cambridge Companion to Leo Strauss, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pp. 241-262.

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    politico37. Ecco allora che, cambiando la valutazione della tecnologia, non pi considerata inferiore e dunque subordinata alla morale e alla politica, non si arriva a risolvere il problema delleducazione ma anzi a un peggioramento: la tendenza alla disumanizzazione delluomo, la tendenza al conformismo e lo scambiare la semplice istruzione e la propensione alla cooperazione con la vera educazione, che formazione del carattere. Si perde cos anche la propensione per la vera conoscenza, che conoscenza dellintero, ossia dei fini che rendono piena la vita delluomo e dunque dellanima umana.

    A questo abbandono del problema delleducazione come inteso dai classici, ossia educazione alla consapevolezza dei problemi fonda-mentali e permanenti delluomo, corrisponde anche, come si detto, lo snaturamento della filosofia politica, che da Machiavelli in poi nega lesistenza di un fine naturale delluomo e di una morale universa-le, staccata dalle contingenze, cercando di risolvere il problema del giusto ordine politico solo facendo leva sulle passioni e sui desideri degli uomini. Per Strauss le responsabilit dei filosofi politici moderni sono enormi, e la crisi attuale in gran parte imputabile proprio al fatto che la filosofia politica ha smesso di riflettere su quali debbano essere i fini delluomo e su quale sia il giusto ordine politico. Se tutta la filosofia politica moderna soggetta a una critica durissima, non ri-mane certo fuori da questa critica la filosofia politica liberale la quale, prima con Hobbes, considerato da Strauss come il vero padre sia del liberalismo sia del totalitarismo, e poi con Locke, ha fortemente con-tribuito allabbassamento dei fini verso cui luomo dovrebbe tendere38. Locke, accettando linsegnamento di Machiavelli e di Hobbes, ritiene che il problema dellordine vada risolto appellandosi alle passioni e ai desideri degli uomini, ed identifica il desiderio su cui fare perno non nella passione per la gloria (Machiavelli) o nel desiderio di auto-conservazione inteso come paura della morte violenta (Hobbes), ben-s nellautoconservazione intesa come emancipazione dalla povert e nellattitudine allacquisto. Si tratta di una passione completamen-te egoistica, la cui soddisfazione non richiede versamento di sangue e il cui effetto il miglioramento della sorte di tutti. In altre parole, la soluzione del problema politico mediante mezzi economici la soluzione pi elegante una volta accettata la premessa di Machiavelli: leconomi-

    37 L. STRAUSS, What is Political Philosophy? op. cit. (trad. it. pp. 66-67).38 Cfr. Ivi, (trad. it. cit. p. 80 e ss.), e L. STRAUSS, Natural Right and History op. cit.

    (trad. it. cit. pp. 217 e ss.)

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    smo il machiavellismo divenuto adulto39. La soluzione del problema politico mediante mezzi economici

    da Strauss attribuita anche a Burke, e la sua critica sembra per tanti versi la logica continuazione della critica a Locke. In realt Strauss, critican-do Burke, sembra voler criticare alcuni esponenti del liberalismo a lui coevi, e pi in generale sembra prendere di mira tutta quella tradizione di pensiero che, guardando alleconomia, ritiene che lordine politico si possa formare spontaneamente, ossia senza ricorso alla volont deli-berata degli uomini. Dimostrazione ne in particolare questo passo, in cui appunto si critica Burke, ma che potrebbe, forse anche pi propria-mente, essere indirizzato a Mandeville, che come si vedr il capostipi-te di quella corrente del liberalismo che intende lordine politico come ordine spontaneo.

    Ci che dopo venne chiamato processo storico era ancora per lui causalit fortuita, o meglio causalit fortuita corretta da una manipolazione prudenziale degli avvenimenti, a mano a mano che essi sorgessero. Cosicch lordine politico sano era per lui, in ultima analisi, il risultato inatteso di una causalit fortuita. Egli applic alla formazione dellordine politico sano ci che leconomia politica moderna gli aveva insegnato sulla creazione della prospe-rit pubblica: il bene comune il prodotto di attivit che non sono di per s ordinate verso il bene comune. Burke ammette il principio delleconomia po-litica moderna, che diametralmente opposto al principio classico: ammette che lamore del guadagno, questo naturale, ragionevole principio, la grande causa della prosperit di tutti gli stati. Lordine buono o razionale il risultato di forze che di per s stesse non tendono verso lordine buono o razionale.40

    una prospettiva che Strauss rifiuta con forza. La presunta so-luzione economica del problema politico non in realt una soluzio-ne, e ha come prodotto solo scatenare passioni egoistiche e soddisfare impulsi inferiori, allontanando sempre pi gli uomini dalla virt e dal diritto naturale, ossia dalla vera soluzione del problema dellor-dine politico. Con Locke e Burke dunque, si accelera notevolmente quel processo che conduce al relativismo dei valori, al nichilismo e

    39 L. STRAUSS, What is Political Philosophy? op. cit. (trad. it. p. 81, corsivo aggiunto). Per una ricostruzione e analisi di questi problemi si veda R. CUBEDDU, La soluzione del problema politico tramite mezzi economici. Economia e modernit nellinterpretazione di Leo Strauss, in S. Maffettone e A. Orsini (a cura di) Studi in onore di Luciano Pellicani, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 137-163.

    40 L. STRAUSS, Natural Right and History op. cit. (trad. it. cit. pp. 338-339).

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    quindi al totalitarismo. La filosofia politica moderna, in particolare quella liberale, ha la responsabilit di aver ridimensionato le aspira-zioni delluomo, indicando come unico obiettivo il conseguimento di soddisfazioni materiali e dunque esaltando legoismo come una virt. Contigua a queste osservazioni anche la critica nei confronti della scienza moderna, che spesso i moderni hanno preso a modello com-piendo un grosso errore, poich essa consente un falso dominio della natura, ma senza offrire alcun tipo di guida morale. Il mondo occiden-tale sembra dunque segnato da un inesorabile declino, dovuto al fatto che ha dimenticato, complice il liberalismo moderno, il proprio scopo universale (lunit del genere umano), e a tale declino ha fatto seguito la ricomparsa di quello che il rischio costante della vita associata, la tirannide. Ma questa volta essa pu disporre dei mezzi della scienza moderna ed quindi infinitamente pi temibile, e il fatto che nella Seconda guerra mondiale i regimi tirannici siano stati sconfitti appare a Strauss poco pi che una circostanza fortuita, perch quella vittoria non certo stata causata dalla (n a sua, volta ha causato la) fine della crisi della modernit e della filosofia politica.

    Ma se la critica di Strauss nei confronti del liberalismo moderno assai netta, altrettanto netta la sua convinzione che a una qualche forma di liberalismo si deve guardare se si vuole uscire dalla crisi. Il liberalismo a cui egli pensa per il liberalismo dei classici, un liberalismo che cercava la virt prima ancora che la libert. Essere liberale, nel significato originario, significa praticare la virt della li-beralit. Se vero che tutte le virt, nella loro perfezione, sono inse-parabili luna dallaltra, luomo veramente liberale identico alluomo veramente virtuoso. In questo senso la filosofia politica classica liberale41. Per questo importante aspetto dunque, la sua concezione del liberalismo intimamente legata al problema delleducazione42, e egli guarda positivamente ai regimi liberali, in quanto ancora capaci di lasciare quello spazio per la discussione e la ricerca che aveva ca-ratterizzato il mondo classico e che lunica via per la soluzione del problema politico. Leducazione liberale allora concepita come an-tidoto contro la cultura di massa e come possibilit di formare uomi-ni virtuosi, capaci di guidare la societ secondo giusti princpi, perch

    41 L. STRAUSS, Liberalism Ancient and Modern op. cit. (trad. it. cit. p. 4).42 Sullimportanza delleducazione in Strauss, e su come questo sia il suo importante

    insegnamento e lascito alla cultura liberale, si veda G. GIORGINI, Liberalismi eretici, Edi-zioni Goliardiche, Trieste 1999, pp. 25-31 e p. 80.

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    sanno affrontare il problema del miglior regime politico, fondando lordine non sul relativismo, ma sui valori e sulla distinzione tra bene e male. Leducazione dunque la sola risposta al sempre pressante problema, al problema politico per eccellenza, di conciliare un or-dine che non sia oppressione con una libert che non sia licenza43. Ma al di l di questa parziale rivalutazione, resta la netta condanna del liberalismo, bollato come impossibile soluzione economica del problema politico.

    Queste riflessioni di Strauss rappresentano una parte importan-te di quella Weimar conversation sulla crisi della liberal-democrazia che fu esportata negli Stati Uniti dagli esuli tedeschi. Un dibattito fortemente condizionato dallesperienza storica del nazismo, talvolta vissuta in prima persona con pesanti conseguenze personali, come nel caso di Strauss, ebreo tedesco. Se davvero quel dibattito era un prodotto europeo esportato dallEuropa negli Stati Uniti non si pu negare che esso attecch bene nel nuovo mondo. La cosa dimostrata non soltanto dalle posizioni di prestigio guadagnate, dentro laccade-mia e nel dibattito culturale in generale, dagli migrs, ma anche da quanto importanti pensatori americani condividessero quelle posi-zioni, e non solo avessero accettato lidea della decadenza della teoria politica, ma ne attribuissero la responsabilit al liberalismo. Emble-matica a tale proposito la posizione di Wolin, che nel 1969 scrisse Politics and Vision, uno dei pi importanti studi di teoria politica del suo tempo. Egli intitola il decimo capitolo Liberalism and the Decline of Political Philosophy44, e in esso traccia un quadro del liberalismo moderno a partire da Locke. In unanalisi articolata e non pregiudi-zialmente ostile al liberalismo stesso, Wolin pone laccento su come il pensatore inglese, distinguendo la societ dal governo, abbia dato inizio a quel processo che relega lelemento politico a uno spazio sem-pre pi ristretto, finendo con lidentificarlo semplicisticamente con il minimo di coercizione necessaria a garantire le transazioni sociali. Guardando a un ordine che, sullesempio delleconomia, si costituisce senza coercizione, egli elabora un modello non politico di societ45,

    43 L. STRAUSS, Natural Right and History op. cit. (trad. it. cit. pp. 36-37).44 S. WOLIN, Politics and Vision op. cit. (trad. it. cit. pp. 413 e ss.).45 Lidea che il liberalismo pensi a un ordine che faccia a meno della politica stata

    in anni recenti ripresa, in una prospettiva diversa da quella di Wolin, da Richard Bellamy in due importanti volumi R. BELLAMY Liberalism and Pluralism, Routledge, London-New York 1999 e Rethinking Liberalism, Pinter, London 2000.

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    dal quale ha origine lattuale crisi della filosofia politica. Il decli-no delle categorie politiche e lascesa di quelle sociali costituiscono i tratti distintivi della nostra situazione attuale in cui la filosofia po-litica stata eclissata da altre forme di conoscenza. Oggi per noi naturale rivolgerci alleconomista o al sociologo in cerca di ricette per combattere i mali della societ, assumendo che siano loro, e non i filosofi politici, a possedere il tipo appropriato di conoscenza46.

    Con Locke ha anche inizio quella revisione verso il basso dei compiti della filosofia che, a giudizio di Wolin, caratterizza il libera-lismo contemporaneo. Infatti mentre i filosofi politici classici, Aristo-tele e Platone su tutti, si proponevano come compito il miglioramento delluomo, quasi a raggiungere la perfezione, Locke relega luomo in uno stato di mediocrit e adegua i compiti della filosofia politica a queste capacit limitate. La filosofia politica liberale divenne allora filosofia dei limiti delle capacit umane e dei limiti dellazione politi-ca. La conseguenza che ci a cui essa deve mirare non pi, come per i classici, il raggiungimento del sommo bene e della vita buona, bens lacquisizione di una conoscenza pratica che consenta di sfrut-tare il mondo naturale, preoccupandosi del miglioramento della vita quotidiana. Da Locke prenderebbe dunque avvio quella riduzione della filosofia politica alleconomia che contraddistingue il liberali-smo: leconomia diventa la scienza della societ, societ che viene intesa come una rete di attivit svolte da attori che non riconoscono alcun principio di autorit47. La societ dunque un ordine spon-taneo, e in tal modo viene tendenzialmente meno quella necessit dellautorit e del potere politico che invece aveva caratterizzato sino ad allora la teoria politica. Bisogna dunque eliminare tutto ci che in passato, ritenendo erroneamente la politica una attivit creativa, era stato fatto, e lasciare libero campo allazione economica e sociale, da cui pu venire la soluzione per gli affari pubblici. Proprio in que-sta concezione, e in questo carattere minimale dellordine politico, consiste quel declino della teoria politica che caratterizza, secondo Wolin, la riflessione contemporanea48.

    46 S. WOLIN, Politics and Vision op. cit. (trad. it. cit. p. 421).47 Ivi, (trad. it. cit. p. 435).48 Wolin muove anche unaltra importante critica al liberalismo, che pu essere sinte-

    tizzata nellidea per la quale il liberalismo ha trovato, o almeno cercato, nel conformismo sociale un surrogato per il perduto senso della comunit, facendone lelemento che con-sente, una volta eliminata lautorit, la convivenza tra le varie libert.

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    Quello che Wolin pi critica una visione disgregatrice della teoria politica, che ha come esito il non vedere pi la societ come un tutto che trova la sua espressione nella forma politica, e che ha in parte origine proprio con il liberalismo. A suo giudizio si avuto uno scadimento del concetto alto di ordine politico, causato anche dal definire come politiche tutta una serie di forme di associazione che riguardano solo aspetti particolari della vita associata. Estendendo oltre misura lorizzonte della politica si smesso di identificare ci che politico con ci che generale per una societ, e la teoria po-litica e sociale si concentrata su un orizzonte pi circoscritto. I suoi valori non sono pi generali ma locali, riferiti non a tutta la societ ma a gruppi o associazioni pi piccole49. Si cos ridotta lassociazione politica a livello delle altre, mentre queste ultime venivano ridotte al rango di ordine politico e dotate di molte delle sue caratteristiche e dei suoi valori50. Ci che allora Wolin propone il ritorno allarte della politica, da intendersi come arte volta a orientare e integrare gli individui in un senso pi ampio rispetto a qualsiasi gruppo o or-ganizzazione cos da tornare a concepire la teoria politica come quella forma di conoscenza relativa a ci che comune e che svolge una funzione integrativa per gli uomini51.

    49 Ivi, (trad. it. cit. p. 630).50 Ivi, (trad. it. cit. p. 631).51 Ivi, (trad. it. cit. p. 636). Lobiettivo di Wolin, in contrapposizione al liberalismo

    e a quelle che egli ritiene essere le sue conseguenze, dunque riaffermare il valore della comunit. In questo egli vicino a un altro autore che negli stessi anni era uno dei prin-cipali artefici del ritorno alla comunit come riferimento supremo della politica: Carl J. Friedrich. A giudizio di Friedrich la comunit va considerata come il dato principale della vita e dellanalisi politica, poich luomo stesso non pu essere compreso se non come membro di una comunit. Nonostante anchegli, al pari di Wolin, non fosse un au-tore pregiudizialmente ostile al liberalismo, arriva a una condanna del liberalismo perch ritenuto responsabile della crisi della teoria politica. Difendendo limportanza della comu-nit come elemento primo per la comprensione dellesperienza politica, egli infatti critica il liberalismo per il suo aver ribaltato lordine delle cose, ossia per aver posto lindividuo prima e a fondamento della comunit stessa. Su questi ed altri temi si veda la raccolta C.J. FRIEDRICH, Luomo, la comunit, lordine politico, Il Mulino, Bologna 2002 [1948-1969].

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    4. Liberalismo e positivismo

    A studiare levoluzione interna della tradizione liberale cercan-do di capire come e quando essa avesse perso i suoi riferimenti etici anche, e prima di Wolin, un altro studioso americano, John Hallowell. Egli scrisse nel 1943 un libro che dest notevole interesse, The Decline of Liberalism as an Ideology52, nel quale si concentra sullesperienza della Germania (il sottotitolo della sua opera With Particular Reference to German Politico-Legal Thought) ritenendo che da quel caso specifico si potessero trarre delle conseguenze generali per la teoria liberale. In due opere successive53, anchesse piuttosto note, Hallowell, con estrema coerenza, arricchisce la sua analisi e rafforza le sue convinzioni, quelle di un credente che non esita a individuare nella perdita della fede in Dio la causa di quella che egli considera, al pari di Eric Voegelin e Wilhem Rpke, la grande crisi sociale e spirituale del mondo contemporaneo.

    Hallowell rilegge la storia del liberalismo, e con esso la storia della civilt occidentale, come un processo di degenerazione, e nel fare que-sto distingue tra due tipi di liberalismo. Il primo quello che chiama integral liberalism, il liberalismo delle origini, basato su valori ritenuti immutabili e sulla legge naturale, un liberalismo che affonda le sue radi-ci filosofiche nellantica Grecia e le sue radici spirituali nel Cristiane-simo. Il secondo, il formal liberalism, invece una forma degenerata di liberalismo che, sotto linfluenza dello storicismo e del positivismo, ha perduto ogni riferimento ai valori, ogni capacit di distinguere tra giusto e ingiusto ed anche ogni interesse al contenuto delle norme, pen-sando solo alla forma che esse devono assumere. La critica di Hallowell investe certamente la tradizione liberale, ma diviene anche una dura condanna delle democrazie contemporanee e del percorso intrapreso dallintera civilt occidentale. Ripercorrerla pu certamente aiutare a

    52 J.H. HALLOWELL, The Decline of Liberalism as an Ideology: with particular reference to German Political-Legal Thought, Kegan Paul, London 1943, il libro, frutto della tesi di dottorato, ebbe molte e importanti recensioni, tra cui quelle di Hans J. Morgenthau, Ge-orge H. Sabin, una decisamente elogiativa di Voegelin e una non molto positiva di Hayek, che gli rimprovera una certa superficialit.

    53 J.G. HALLOWELL, The Moral Foundation of Democracy, University of Chicago Press, Chicago 1954 (trad. it. Il fondamento morale della democrazia, Giuffr, Milano 1995) e J.G. HALLOWELL, Main Currents in Modern Political Thought, Holt, Rinehart and Win-ston, New York 1960. Da ricordare anche un breve ma denso saggio pubblicato ne Il Ponte, con cui Hallowell present le sue tesi ai lettori italiani, J.G. HALLOWELL, Il libera-lismo doggi, in Il Ponte, fascicolo iv, 1948.

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    gettare luce su alcuni punti critici del liberalismo, ma anche su quale sia il suo rapporto con la tradizione democratica.

    A giudizio di Hallowell il liberalismo integrale caratterizzato dal credere nellesistenza di una legge naturale (natural law), in grado di offrire degli standard immutabili di riferimento. Non si tratta pi della legge naturale cristiana, rivelata, poich il concetto di legge naturale aveva subto una lenta evoluzione, gi con gli scritti di Grozio. Quella che Hallowell chiama legge naturale moderna (e che forse avrebbe pi correttamente potuto chiamare diritto naturale), cui appunto fa rife-rimento il liberalismo, un insieme di verit e valori eterni che vengono scoperti dalla ragione. Il liberalismo nasce dopo che dalla disgregazione dellordine feudale, nel quale non vi era una separazione netta tra sfera pubblica e sfera privata, tra stato e societ, emerge lo stato moderno, e la nascita di un ordine politico impersonale, rispetto al quale gli individui acquisiscono una sfera di autonomia sconosciuta al mondo medievale. Ecco allora che al vecchio problema medievale del rapporto tra autorit ecclesiastica e autorit secolare si sostituisce il problema del rapporto tra stato e societ, o meglio ancora tra la sfera dellautorit po-litica e quella dellautonomia individuale54. Il liberalismo una filosofia basata sullindividualismo, e nasce come risposta specifica a questo problema, e solo davanti a un problema come questo esso ha senso. La risposta consiste nel ritenere che lindividuo debba essere unicamente sottomesso allautorit di una legge impersonale, imparziale ed eter-na, ossia della legge naturale concepita come derivante dalla natura umana. Come si detto tale legge ha un contenuto che pu essere sco-perto dalla ragione, ed poi responsabilit degli individui rendere la legge positiva conforme alla legge naturale55. Lindividuo veramente libero quando obbedisce a una tale legge naturale, e lo strumento che consente di riconciliare la libert naturale dellindividuo con la legge naturale del genere umano il senso di obbligazione derivante dalla coscienza, che la vera chiave di volta di tutta la costruzione. Infatti solo se si crede allesistenza di verit oggettive e di valori che trascendono luomo si pu avere un ordine giusto.

    Questo primo e, secondo Hallowell, autentico liberalismo emerge dai valori e dallambiente culturale del Cristianesimo che si ritrovano chiaramente tanto nella concezione politica di Locke, per il quale non

    54 J.G. HALLOWELL, The Moral Foundation of Democracy, op. cit. (trad. it. cit. pp. 80 e ss.) J.H. HALLOWELL, The Decline of Liberalism, op. cit., pp. 6 e ss.

    55 Ivi, pp. 6 e ss.

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    solo il sovrano ma anche i parlamenti sono vincolati da una legge supe-riore, di natura religiosa, quanto in quella economica di Smith, secondo il quale senza la provvidenza la libert degli individui si trasformerebbe in anarchia56. Nellet del liberalismo integrale si afferma lidea, espres-sa da una celebre frase di Voltaire, secondo la quale la libert consiste nellindipendenza da tutto fuorch dalla legge, idea che si incarna poi nel costituzionalismo inglese come nel Rechtsstaat germanico. Un ruolo importante lo hanno gli eventi storici, con la classe commerciale che ri-vendica attivamente le libert individuali a essa indispensabili come dei diritti naturali validi per tutti, e con il liberalismo che, dice Hallowell, diventa ideologia dominante. Egli dedica poi grande importanza al di-ritto di propriet, e a come nellet del liberalismo integrale esso fosse concepito diversamente da come venne poi concepito nel Novecento. Al tempo di Locke il diritto di propriet era infatti un attributo della personalit, il diritto riconosciuto a ognuno di potersi emancipare con il proprio lavoro, e non il diritto di ricevere dividendi azionari. I primi liberali avevano la consapevolezza che senza la sicurezza economica la libert priva di significato, e in questottica legavano appunto il diritto di propriet, inteso come diritto ai frutti del proprio lavoro, alla vita e alla libert57.

    Tuttavia per Hallowell il liberalismo non coincide con il libero mercato; nonostante riconosca che tra i due vi uno stretto legame e che essi si sviluppano simultaneamente, egli ritiene che il liberalismo non sia solo una filosofia economica, ma prima di tutto una filosofia politica, sociale e intellettuale, oltre che una way of life. Egli guar-da, come molti altri pensatori della sua epoca, con una certa diffidenza a quelle che considera le esasperazioni dellet del laissez-faire, a un liberalismo che sembra solo preoccupato delle questioni economiche e a un capitalismo finanziario in cui i monopoli hanno preso il posto della libera impresa. Esprime insomma in maniera articolata una con-vinzione diffusa quando dice che la borghesia divenuta politicamente dominante ha sostituito quelli che nel liberalismo delle origini erano diritti naturali (e sostanziali) delluomo con diritti formali del cittadino. E che il liberalismo della borghesia dominante non guarda pi al diritto come espressione di princpi di giustizia, universali ed eterni, ma solo come strumento per garantire la sicurezza e cos gli interessi della classe

    56 Ivi, pp. 27 e ss. 57 Ivi, pp. 30-31 e 73-75. Ma anche J.G. HALLOWELL, Main Currents op. cit., p. 107 e ss.

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    dominante58. Egli individua insomma chiaramente una serie di proble-mi della tradizione liberale assai importanti e controversi, sui quali si torner in seguito.

    Ma, oltre a questi problemi di carattere storico, Hallowell indi-vidua anche delle cause filosofiche della crisi del liberalismo, cause che rimasero a lungo latenti ma che poi esplosero fragorosamente. Il fatto che il liberalismo integrale fosse dominante storicamente mise a lungo in ombra come esso, molto lentamente e gradualmente, si stesse allontanando dalla sua origine cristiana, ossia si stesse allontanando da Dio per lasciare sempre maggiore spazio alluomo, perdendo cos alcune delle sue caratteristiche pi importanti e aprendo la porta alla sua degenerazione. Gi nel liberalismo delle origini infatti vi uno spostamento importante rispetto alla radice cristiana: Dio rimane s il creatore delluniverso ma non ne pi il reggitore, poich luniverso considerato una sorta di meccanismo in grado di autoregolarsi, con il quale bisogna interferire il meno possibile59. Ma soprattutto vi sono nel liberalismo integrale due concezioni dellordine e della legge le quali, fuse dalla forza degli eventi storici, non apparvero da subito come logicamente distinte e tra esse incoerenti. Da un lato vi una concezione atomistica che vede la societ come composta da individui autonomi e indipendenti, e per la quale la legge sar risultato delle volont in-dividuali e lespressione di interessi soggettivi e la sua origine sar naturalmente nella volont individuale. Dallaltro vi la credenza che vi siano alcune verit eterne che trascendono gli individui e la loro vo-lont, e la legge non sar altro che lincarnazione di quelle verit eterne, che possono essere comprese dalla ragione e applicate con luso della coscienza60. Nella prima concezione la legge si regge solo sulla mera

    58 J.H. HALLOWELL, The Decline of Liberalism, op. cit., pp. 57 e ss. e 70-72. 59 Ivi, pp. 14 e ss. Interessante a tale proposito sarebbe un confronto con il pensiero

    di Bastiat, come sviluppato in F. BASTIAT, Harmonies conomiques, 1850 (trad. it. Armonie economiche, Introduzione di F. Ferrara, UTET, Torino 1965). La tesi di Bastiat era che lordine divino si sarebbe realizzato nel mondo se gli uomini, o meglio gli uomini politici, non interferissero continuamente con la sua realizzazione, e poneva questa idea alla base della sua concezione liberale. A questo riguardo si veda R. CUBEDDU, A. MASALA, Natural Rights, providence and Order. Frdric Bastiats Laissez-faire, in Journal des Economistes et des Etudes Humaines, XI, nn. 2-3, 2001, pp. 331-336.

    60 Il concetto prima espresso in J.H. HALLOWELL, The Decline of Liberalism, op. cit., p. 35 e poi con maggiore forza e chiarezza in J.G. HALLOWELL, The Moral Foundation of Democracy, op. cit. (trad. it. cit. p. 84). Ma si veda anche J.G. HALLOWELL, Main Cur-rents, op. cit., pp. 90 e ss.

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    coercizione dellautorit, mentre nella seconda il riconoscimento razionale della giustezza del contenuto a costituire lobbligo61. Cos in un caso il fondamento della legge, della sua validit, un fondamento formale, mentre nellaltro sostanziale.

    Queste due concezioni della societ e della legge riuscirono a con-vivere bene piuttosto a lungo: alla potenziale anarchia della prima con-cezione faceva da contraltare la fede in verit trascendenti e oggettive, che la coscienza individuale (il dovere morale) e luso della ragione con-sentivano di riconoscere e rispettare. Tuttavia lappello alla coscienza con il passare del tempo si dimostr insufficiente; il suo riferimento era ai princpi cristiani, i quali per dopo la divisione tra fede e ragione e il declino dellautorit della Chiesa rimasero sostanzialmente inermi: divelta dalle sue radici nella fede, la ragione fin per abbandonarsi alla corrente delle opinioni, ormai incapace di distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo, il giusto dallingiusto62.

    Se questo problema filosofico e religioso era alla radice della de-generazione del liberalismo, vi furono anche altri fattori decisivi per il suo declino. Dalla fine del Settecento infatti si assistette al progressivo affermarsi dello storicismo prima e del positivismo poi. Pur nella loro diversit questi movimenti di pensiero ebbero in comune lindividuare nello studio della storia e di fatti specifici lelemento da cui partire per spiegare il diritto e lordine. NellOttocento infatti lattenzione si sposta dalluomo al suo ambiente e dallideale allempirico. Cos il Romantici-smo ritiene che il diritto non possa avere un contenuto universale, ma al contrario sia un qualcosa di legato a particolari e specifiche circostanze di tempo e di luogo, con caratteristiche nazionali anzich universali. Lordine costruito a partire dallattivit individuale, e lo stato, che ha unessenza spirituale, incarna lo spirito del tempo e crea il diritto del suo tempo; lordine non pi basato sulla natura delle cose, o sulla natura umana, ma sulla storia63. Con laffermarsi dello storicismo nel campo giuridico non si afferma ancora lidea che il diritto venga creato, e si continua a ritenere che esso venga scoperto, tuttavia in tale processo di scoperta non si guarda pi alla natura umana, bens alla storia, e cos le stesse idee di libert e giustizia non sono pi legate a valori trascendenti ma sono il prodotto di unevoluzione storica. La Scuola storica secondo Hallowell vede luniverso come una macchina capace di autoregolar-

    61 J.G. HALLOWELL, The Moral Foundation of Democracy, op. cit. (trad. it. cit. p. 84). 62 Ivi, p. 86.63 J.H. HALLOWELL, The decline of Liberalism, op. cit., pp. 50 e ss.

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    si, e ritiene che i gruppi sociali si evolvano come organismi biologici. In questo modo accetta il diritto come frutto dellevoluzione, e non si interessa pi alla comprensione del contenuto di esso, ma solo al come si sia venuto a creare, a come sia emerso64. In parte come reazione allo storicismo, ma tuttavia utilizzando il suo stesso metodo, si afferma poi lutilitarismo, che nella sua versione (collettivistica) tedesca, assai di-versa da quella (individualistica) inglese ha il suo massimo esponente in Rudolf von Jhering e nella sua idea che lo stato sia lunica possibile fonte di diritto. Hallowell in realt sembra ignorare alcune differen-ze assai rilevanti tra le diverse correnti utilitaristiche, ma la sua analisi pone un problema reale quando afferma che lutilitarismo in un certo senso chiude il percorso dello storicismo: il diritto non pi un fine in s (e dunque non ha in s dei princpi di giustizia), ma uno strumento per raggiungere altri fini. Dopo la distruzione del diritto naturale del liberalismo integrale, i liberali utilitaristi (Bentham e John Stuart Mill sopra tutti) cercano un nuovo fondamento per la libert, e pensano di poterlo trovare nellutilit sociale. Cos si giustifica lo stato in termini non pi morali ma edonistici, per la sua utilit, e il metodo per arrivare a una teoria politica diventa lo scientific empiricism65.

    Ma a segnare la definitiva degenerazione del liberalismo fu il po-sitivismo, e la sua esaltazione del metodo scientifico da applicare anche alle scienze umane al fine di scoprire, non con la ricerca delle cause ma con la pura descrizione empirica, delle leggi universali. Queste leggi universali non sono pi la legge naturale, basata su standard morali, ma una law of nature dimostrabile empiricamente, la quale il contrario della legge naturale. La conseguenza che la possibilit di un diritto sostantivo, basato su verit universali, per sempre minato, e lunica possibilit che rimane quella di un diritto che sia solo descrittivo della realt, e non prescrittivo in accordo con un contenuto di giustizia. Con la scienza si ha la convinzione di aver eliminato i problemi metafisici e i giudizi di valore, distruggendo cos ogni credenza in valori trascenden-ti e in ultima analisi anche ogni possibile riferimento ai diritti naturali. I diritti vengono equiparati agli interessi, ed esistono solo in quanto creati e garantiti dallo stato. Ai natural rights del liberalismo integrale si sostituiscono i legal rights, e la legge cessa di essere concepita come uno standard ideale e diviene solo un prodotto della volont. Non conta pi

    64 Ivi, pp. 56 e ss.65 Si vedano a questo proposito i capitoli 7 e 9 di J.G. HALLOWELL, Main Currents, op. cit.

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    il contenuto della legge, ma solo che essa assuma una forma determina-ta. Lefficienza tecnica sostituisce la giustizia, e i diritti naturali degli uo-mini sono sostituiti dai diritti dei cittadini concessi dallo stato, salvo il fatto che, commenta Hallowell, se sono concessi dallo stato non sono veri diritti ma appunto solo concessioni. Inoltre si afferma la convinzio-ne che grazie al progresso nelle scienze sia possibile scoprire delle leggi certe del progresso sociale, e che esso possa essere determinato proprio grazie allapplicazione di metodi e ricerche pi sofisticati.

    Con limporsi del positivismo non rimane pi nulla del vecchio liberalismo integrale, e si afferma definitivamente il liberalismo formale. Il vocabolario del liberalismo rimane lo stesso, ma il modo di intende-re i concetti fondamentali cambia completamente. Ritenendo il metodo empirico della scienza naturale lunico metodo va