Antonio Cassese Diritti Umani e Nazioni Unite[1]

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ANTONIO CASSESE DIRITTI UMANI E NAZIONI UNITE INTRODUZIONE 1. Protezione dei dd.hh e mantenimento della pace: alle origini delle NN.UU. Creazione delle NN UU strettamente collegata con le origini della protezione internazionale dei dd.hh. L’origine convenzionale viene fatta coincidere con il messaggio del pr. Roosevelt al Congresso nel ’41 sulle 4 libertà (di parola, del credo, dal bisogno e dalla paura), indicate come necessarie per ottenere una pace durevole. L’art.1 della UNCh. Indica tra gli scopi dell’organizzazione il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, nonché la salvaguardia dei dd. umani e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione. Con il venir meno dei blocchi della Guerra fredda, dagli anni ’90 i due obiettivi vengono perseguiti assieme; i dd.hh diventano presupposto per il mantenimento della pace. La carta attribuisce obblighi a carico degli stati, ex art.56, di azione e cooperazione con l’ONU, e funzioni agli organi ONU, cui è demandato ex art. 55 la promozione del rispetto e dell’osservanza dei dd e libertà fondamentali. Organo competente ora è il Human Rights Council, che ha sostituito nel 2006 la Commissione dei diritti umani. 2. Dichiarazione universale e affermazione di un International concern in materia di diritti umani non fu accolta la proposta di includere nella UNCh un catalogo dei dd; si potò per l’elaborazione in sede separata della “International bill of rights”, che secondo il progetto originario doveva articolarsi in tre parti: a) dichiarazione di principi b) convenzione internazionale contenente norme vincolanti per gli stati c) misure di applicazione dei diritti. La prima parte fu realizzata ex elaborazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UNDHR) da parte della Commissione ed approvata dall’UNGA a maggioranza il 10/12/1948. la carta è un compromesso frutto dell’influenza da un lato dei paesi occidentali, USA e Fr. in primis, che volevano includere i diritti civili e politici, e dall’altro dei paesi socialisti, che premevano per l’inclusione dei dd. economici e sociali. Le principali ragioni dell’importanza della UNDHR sono: che essa è l’atto fondativo del d.internazionale dei dd. hh., pur essendo solo un dichiarazione solenne di pr (atto

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ANTONIO CASSESE DIRITTI UMANI E NAZIONI UNITE

INTRODUZIONE

1. Protezione dei dd.hh e mantenimento della pace: alle origini delle NN.UU.

Creazione delle NN UU strettamente collegata con le origini della protezione internazionale dei dd.hh. L’origine convenzionale viene fatta coincidere con il messaggio del pr. Roosevelt al Congresso nel ’41 sulle 4 libertà (di parola, del credo, dal bisogno e dalla paura), indicate come necessarie per ottenere una pace durevole. L’art.1 della UNCh. Indica tra gli scopi dell’organizzazione il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, nonché la salvaguardia dei dd. umani e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione. Con il venir meno dei blocchi della Guerra fredda, dagli anni ’90 i due obiettivi vengono perseguiti assieme; i dd.hh diventano presupposto per il mantenimento della pace. La carta attribuisce obblighi a carico degli stati, ex art.56, di azione e cooperazione con l’ONU, e funzioni agli organi ONU, cui è demandato ex art. 55 la promozione del rispetto e dell’osservanza dei dd e libertà fondamentali. Organo competente ora è il Human Rights Council, che ha sostituito nel 2006 la Commissione dei diritti umani.

2. Dichiarazione universale e affermazione di un International concern in materia di diritti umani

non fu accolta la proposta di includere nella UNCh un catalogo dei dd; si potò per l’elaborazione in sede separata della “International bill of rights”, che secondo il progetto originario doveva articolarsi in tre parti: a) dichiarazione di principi b) convenzione internazionale contenente norme vincolanti per gli stati c) misure di applicazione dei diritti. La prima parte fu realizzata ex elaborazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UNDHR) da parte della Commissione ed approvata dall’UNGA a maggioranza il 10/12/1948. la carta è un compromesso frutto dell’influenza da un lato dei paesi occidentali, USA e Fr. in primis, che volevano includere i diritti civili e politici, e dall’altro dei paesi socialisti, che premevano per l’inclusione dei dd. economici e sociali. Le principali ragioni dell’importanza della UNDHR sono: che essa è l’atto fondativo del d.internazionale dei dd. hh., pur essendo solo un dichiarazione solenne di pr (atto non vincolante) che impegna gli stati solo politicamente; ha inoltre esercitato una forte influenza sulla formazione di norme statali in materia di diritti umani ex rinvio diretto della loro legislazione interna alla stessa carta, o indirettamente per quegli ordinamenti che prevedono un adattamento automatico alle norme cons.rie (tra cui quelle derivanti dai pr. della dichiarazione); grazie alla dichiarazione i diritti umani diventano un “International concern” e non più un affare di “domestic jurisdiction”.

3. diritti umani, norme sul trattamento degli stranieri e diritto dei conflitti armatiOriginariamente la protezione dell’individuo in ambito internazionale era limitata a 2 ipotesi:

1) trattamento degli stranieri, con norme a tutela dei loro diritti personali e patrimoniali. In verità l’individuo è beneficiario di norme che regolano rapporti tra stati, per cui sarà facoltà dello stato decidere di agire in protezione diplomatica. Questa è a sua volta condizionata dal previo esperimento dei ricorsi interni, norma nata per tutelare lo stato territoriale da indebite ingerenze esterne. Le norme a tutela dei dd.hh, nate in un contesto differente, finiscono per influenzare anche gli obblighi relativi al trattamento degli stranieri e viceversa (specie in ambito processuale, cfr. regola esaurimento ricorsi interni).

2) Diritto dei conflitti armati, IHL, distinto dai HHRR., comprensivo delle norme aventi ad oggetto la limitazione della violenza bellica e la protezione delle vittime di guerra. Fine comune ai due è la protezione della persona umana da attacchi contro la sua vita, la sua integrità e la sua dignità. Notevoli però le differenze: IHL è d. internazionale sin dalle sue origini, collocandosi nel quadro dei rapporti tra stati vs HHRR solo di recente hanno assunto una dimensione internazionale; differenze vi sono pure circa soggetti beneficiari, destinatari

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degli obblighi, sfera di applicazione territoriale e sistemi di garanzia. Vi sono anche difetti di coordinamento in quanto non si può sostenere semplicisticamente che i HHRR si applicherebbero in tempo di pace e l’IHL in tempi di guerra, lasciando senza copertura le situazioni intermedie.

3. violazione dei ddhh. e delicta juris gentiumNegli stessi anni della UNDHR si pongono le basi per un sistema di repressione internazionale dei delicta juris gentium (crimini internazionali dell’individuo). 2 sono state le vie, inaugurate nel ’40 per punire i crimini del regime nazista:1) internazionalizzazione della loro repressione ex introduzione di una disciplina internazionale per rendere più facile il loro accertamento e punizione da parte delle giurisdizioni statali 2) creazione di organi internazionali di giustizia penale, che operano in via sussidiaria nel caso di insoddisfacente repressione a livello statale. Primo passo furono i processi di Norimberga e di Tokio, nel 45-46, contro i nazisti e i loro alleati giapponesi. Non erano tribunali internazionali in senso proprio (poiché istituiti mediante atti delle potenze vincitrici per condannare i “grandi criminali” le cui azioni delittuose non erano precisamente localizzabili, mentre i “criminali minori” furono condannati da tribunali statali), ma grande fu il loro apporto, specie nell’individuazione di categorie nuove di crimina juris gentium (cfr. art.6 statuto corte di Norimberga che introduce categorie di crimini contro l’umanità, nata poiché molte delle atrocità erano state commesse contro cittadini tedeschi, e contro la pace, che formano con i crimini di guerra la tripartizione classica dei crimini internazionali individuali) e nell’affermazione di alcuni pr. fondamentali di diritto applicabili alla punizione di tali crimini (come l’attribuzione di valore agli ordini ricevuti da un superiore ex teoria dell’autore mediato e ex considerazione di questa come possibile attenuante e mai come esimente). Poco dopo furono adottate diversi strumenti convenzionali per assicurare la punizione di tali crimini, in particolare:

a) convenzione contro il genocidio del ’48, che isituisce un sistema di dubbia efficacia e da una definizione di tale crimine, considerato il più grave dei crimini contro l’umanità: “attività finalizzata a distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso attraverso l’uccisione sistematica dei suoi membri e altri atti rivolti a tale scopo”.

b) Convenzioni di Ginevra del ’49 e protocolli aggiunti del ’77, elaborate dalla CRI ed approvate da una conferenza diplomatica appositamente convocata, che codificano l’IHL, prevedendo una serie di crimini di guerra con relativi obblighi gravanti sugli stati di esercitare la propria giurisdizione sulla base del c.d. “criterio universale” (in verità largamente disatteso).

5. diritti umani e dominio riservato degli stati

l’introduzione di norme che riconoscono internazionalmente i ddhh si collocano in una tendenza più generale del d. internazionale attuale a disciplinare questioni che si pongono all’interno delle società statali. Il riservato dominio di fatto non si configura più come un limite orizzontale, o per materia, tra competenze interne ed internazionali, bensì verticale, riguardante cioè il tipo di relazione oggetto di disciplina internazionale o dell’azione di organi internazionali, le quali non potrebbero oltrepassare la barriera della sovranità statale senza un consenso dello stato stesso.

6. diritti umani e posizione internazionale dell’individuoi diritti individuali riconosciuti dal diritto internazionale sono ora rilevanti anche su un piano interno. Tale soggettività internazionale degli individui è cmq limitata in quanto la tutela avverrà per forza a mezzo degli stati. Gli individui sono piuttosto i soggetti degli ordinamenti giuridici interni dei vari meccanismi internazionali di garanzia dei ddhh.

7. diritti umani e responsabilità sociale delle imprese.Si è assistito ad un ulteriore sviluppo del sistema internazionale di protezione dei ddhh: “la corporate social responsibility”, fondata sulla constatazione che anche dal comportamento dei soggetti economici privati possa dipendere il godimento di alcuni ddhh. Ruolo delle imprese

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multinazionali è centrale, specie se si considera la facilità con cui sfuggono alla giurisdizione dei singoli stati. Nel 2003 la sottocommissione ONU dei ddhh ha adottato le “norme sulle responsabilità delle società multinazionali e di altre imprese in relazione ai ddhh”, che riprendono una serie di regole già contemplate in atti vincolanti e non (d. alla vita, dd. lavoratori, dd, consumatori, rispetto dell’ambiente). Restano difficoltà in ordine all’individuazione dei meccanismi di attuazione, di fronte ai quali sorgono 2 ipotese: a) imporre agli stati obblighi convenzionali di introdurre norme interne indirizzate alle imprese prevedendo regimi efficaci di resp.tà penale e civile b) creare meccanismi operanti sul piano internazionale ai quali gli stati riconoscano piena competenza a svolgere talune attività di garanzia dei ddhh rivolte direttamente alle imprese, ad integrazione dell’azione in tal senso degli stati stessi.

CAP IDIRITTI UMANI: RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE E GARANZIA

1. I DIRITTI

1.1 i due patti sui diritti umani la commissione sui ddhh ha avuto il compito, tra il 1948 e il 1954, di elaborare norme vincolanti che riprendessero i pr. proclamati nella dichiarazione, accompagnate da meccanismi di attuazione. In un primo momento questa si dedicò esclusivamente alla costituzione di un sistema di protezione attraverso atti di carattere generale. I due patti internazionali furono adottati dall’UNGA ed aperti alla firma e alla ratifica solo nel ’66 ed entrarono il vigore nel ’76, 3 mesi dopo il deposito dell’ultima delle 35 ratifiche richieste. Motivo del ritardo nell’adozione fu il clima teso che vedeva contrapposti 2 blocchi di stati, con scarsa intenzione da parte di questi di veder limitata la propria libertà d’azione attraverso l’assunzione di impegni precisi.

1.2 le tre generazioni di ddhh si distinguono inizialmente 2 generazioni, i dd. civili e politici da quelli economico-sociali, frutto della contrapposizione dei due blocchi, che hanno portato alla creazione di 2 distinti covenants. Tale distinzione riguarda altresì gli strumenti giuridici internazionali che li riconoscono. Persino le ONG si distinguono a seconda dell’ambito di operatività in organizzazioni per la cooperazione e lo sviluppo, di carattere più operativo, e organizzazioni per i ddhh., più promozionali.

1) dd. civili e politici, sostenuti dalle potenze occidentali, tra cui sono presenti nell’ICCPR: d. alla vita (art.6), d. a non subire torture o pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (art.7), d. alla libertà e alla sicurezza della persona (art.9), d. spettanti alle persone private della libertà personale (art.10), libertà di circolazione (art.12), dd. processuali (art.14), libertà di pensiero, coscienza e religione (art.18), libertà di espressione (art.19), libertà di riunione (art.21) e la libertà di associazione (art.22).

2) dd. economici e sociali e culturali, sostenuti dal blocco socialista, tra cui sono presenti nell’ICESCR: d. al lavoro (art.6), d. a godere di condizioni di lavoro giuste e favorevoli (art.7), le libertà sindacali (art.8), il d. ala sicurezza sociale (art.9), il d. a un livello di vita adeguato, comprensivo del d. a un’alimentazione, a un vestiario e un alloggio adeguati (art.11), d. alla salute mentale e fisica (art.12), d. all’istruzione (artt.13 e 14), d. a partecipare alla vita culturale, a godere dei benefici del progresso scientifico e al riconoscimento della proprietà intellettuale (art.15).

Ora però ex pr. di indivisibilità ed interdipendenza dei ddhh, affermati nella conferenza di Vienna sui ddhh del ’93, gli uni non possono più derogare sugli altri né si può affermare il primato di alcuni su altri.

3)Sempre ex Conferenza Di Vienna, si fa riferimento ad una terza generazione, che comprenderebbe il d. alla pace, allo sviluppo e ad un ambiente sano e pulito. Tali diritti non sono però individuali.

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Oltre alla distinzione in generazioni, i dd. sono distinguibili per quanto attiene al contenuto a seconda del tipo di obbligo internazionale imposto, mentre per quanto attiene al profilo formale a seconda della derogabilità o meno della norma che riconosce il d.

1.3 diritti umani e differenze culturali. Rileva la questione delle particolari e differenziate condizioni storiche, culturali e religiose, di cui anche l’atto finale della conferenza di Vienna tiene conto. Speciale riguardo deve essere fatto alla religione islamica. Dal punto di vista del d. positivo, la stato che ha scelto di ratificare un accordo internazionale non può addurre l’eventuale contrasto tra questa ed una norma interna per giustificarne il mancato rispetto (art.27 Vienna convention on the law of treaties). Bisogna verificare se il consenso degli stati islamici ad essere vincolati sia pieno. Vi sono infatti dei punti di attrito: d. a cambiare religione, pr. di non discriminazione (specie con rif. Alla parità uomo-donna), previsione di pene corporali e della pena di morte. Alcuni studiosi islamici risolvono la questione dando un’interpretazione conforme ai ddhh. della Shari’a, dando prevalenza ad alcuni passaggi del Corano a scapito di altri. Bisogna altresì tener conto della componente “regionale” del sistema di protezione dei ddhh., nell’ambito della qual è possibile una lettura dei ddhh. che tenga conto della specificità di ciascuna area.

1.4 i diritti delle persone più vulnerabili: i minori dopo l’adozione di cataloghi generali di dd., si è proceduto alla creazione di strumenti di tutela particolari per le categorie più vulnerabili che riconoscono in termini diversi e più ampi diritti già previsti e altresì diritti aggiuntivi rispetto a quelli previsti per la generalità delle persone. In questa categoria rientra la convenzione ONU sui dd. dei bambini dell’89, che riformula regole preesistenti e le integra con alcune nuove creando un insieme organico di norme modulate in funzione dell’interesse specifico del minore; tra i nuovi dd. che riconosce vi sono quello a non essere separato dai propri genitori contro la loro volontà, a meno che ciò non risulti necessario nell’interesse superiore dello stesso minore (art.9), alla riunificazione della famiglia (art.10), all’assistenza speciale del minore privato del suo ambiente familiare e dd. speciali collegati all’adozione (artt.20,21). Vengono poi estesi alcuni dd. previsti in generale: libertà di opinione, coscienza e religione e associazione (artt.12,15). Circondato da particolari cautele data la vulnerabilità del minore è il d. di accedere alle informazioni (art.17). il d. all’educazione è oggetto degli artt.28 e 29. centrali sono anche le norme per la prevenzione e repressione dello sfruttamento minorile in ogni ambito, dal sessuale all’economico (artt.32, 34). A tutte le norme della convenzione si applica il criterio ermeneutico, che consente la loro interpretazione dinamica in base alla quale tutte le decisioni degli organi statali e delle istituzioni riguardanti minori debbono dare primaria considerazione al superiore interesse di questi ultimi (art.3.1). La convenzione comprende 2 protocolli aggiuntivi: 1) partecipazione ai conflitti armati, di cui l’art.38 della conv. si limitava a riprendere una norma contenuta nel protocollo I alla conv. Ginevra, che stabiliva il divieto di reclutamento di minori inferiori ai 15 anni. Il protocollo, entrato in vigore nel 2002 impone l’obbligo di fissare il limite minimo a 18 anni, il divieto tassativo di reclutamento obbligatorio dei minori di 18, l’obbligo di elevare l’età minima di reclutamento volontario dai 15 anni senza però determinare l’età minima diversa. 2) vendita, prostituzione e pornografia infantile. Nucleo consiste nell’obbligo dello stato di esercitare la propria giurisdizione penale e di cooperare per la repressione di tali fenomeni. Marginale nelle disposizioni è il c.d. “turismo sessuale”, di cui strumento preferibile per la repressione appare essere quello di norme interne che permettano di esercitare l’azione penale nei confronti di cittadini che abbiano praticato turismo sessuale all’estero, n applicazione del criterio della nazionalità dell’autore dell’illecito.

1.5 i rifugiati (seconda categoria )i rifugiati sono la seconda categoria oggetto di un regime speciale di protezione. Essi sono cittadini stranieri privi della protezione del loro stato di appartenenza (in primis della protezione diplomatica), anzi da questo perseguitati. Le norme a loro tutela, dal d. d’asilo allo statuto dei rifugiati, costituiscono un parte dei ddhh., ma hanno avuto uno sviluppo autonomo. Principale fonte pattizia in materia è la convenzione di Ginevra del’51 sullo status di rifugiati, integrata dal

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protocollo di New York del’67, che specifica al primo art. chi siano i beneficiari della protezione degli stati parte alla convenzione: tutti coloro che, in virtù di un fondato timore di persecuzione per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per la loro opinione politica, si trovano al di fuori del proprio stato di appartenenza e non possono o, a causa di tale timore, non vogliono avvalersi della sua protezione. 2 sono i principi fondamentali: 1) d. di cercare e di godere asilo dalle persecuzioni (art.14 UNDHR), senza che però la conv. di Ginevra detti a riguardo regole procedurali interne agli stati per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tuttavia i requisiti non potranno essere più severi di quelli imposti dalla convenzione e il loro accertamento dovrà essere individuale, con diritto a un ricorso effettivo contro l’eventuale diniego. 2) pr. “non refoulement”, ex art.33 conv. Ginevra in base al quale “nessun stato contraente potrà espellere o respingere in nessun modo un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sia libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza…”. La portata di applicazione della regola è ampia comportando l’applic.ne del pr. nello svolgimento della procedura di accertamento, la sospensione dell’eventuale provvedimento di espulsione, l’inammissibilità di letture restrittive (es. solo ai rifugiati già presenti nel territorio con l’esclusione di quelli che si presentano alla frontiera).A fronte delle difficoltà trovate nell’applicazione della Conv. è stato istituito un Alto Commissario per i Rifugiati delle NNUU.(UNCHR), con mandato esteso aldilà della materia regolata dalla conv, anche alla protezione e l’assistenza di persone in fuga da conflitti armati, dei rimpatriati, degli apolidi e delle “internally displaced persons” (sfollati nei confini del proprio paese).

1.6 gli accordi relativi a violazioni specifiche: la torturaEx specializzazione del d. internazionale dei ddhh. Sono stati adottati accordi aventi ad oggetto uno specifico diritto o una determinata violazione.In primis vi è la conv. ONU contro la tortura e trattamenti o le punizioni crudeli, inumani o degradanti dell’84 che ha come fine di contribuire, attraverso l’imposizione di obblighi precisi, a sradicare tale pratica vietata dal d. convenzionale e generale. La conv. definisce all’art. 1 la tortura come “ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una persona dolore o sofferenza gravi, sia fisici che mentali, allo scopo di ottenere da essa o da un’altra persona informazioni o una confessione, di punirla per una atto che essa o un’altra persona ha commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione o intimidire o sottoporre a coercizione un’altra persona o per qualunque ragione che sia basata su una discriminazione di qualsiasi tipo, a condizione che il dolore o la sofferenza siano inflitti da o su istigazione o con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale. Non comprende il dolore o la sofferenza che risultino esclusivamente da, o siano inerenti o incidentali rispetto a sanzioni lecite ”. Risultano dalla definizione 4 elementi dell’illecito: a) inflizione intenzionale di dolore o sofferenza gravi (nucleo), che causa difficoltà interpretative in ordine alla misurazione del grado di sofferenza poiché non si può utilizzare un metro di valutazione totalmente oggettivo dovendosi tener conto delle caratteristiche e delle condizioni di ciascuna vittima b) scopo della tortura, prevista dalla conv. in termini assai ampi, non limitati a quello tradizionale di ottenere informazioni c) coinvolgimento dell’apparato dello stato, anche solo per acquiescenza d) inflizione del dolore non deve essere il risultato dell’applicazione di “lawful sanctions”; interpretabile in 2 modi: lecite perché così previste dall’ordinamento penale di ciascuno stato o perché consentite dal d. internazionale, inutile dire che l’unica conforme allo spirito della conv. sia la seconda (anche se all’epoca della codificazione gli stati in maggioranza intendevano la prima). Importante è tale definizione ampia dato il comportamento di molti stati che contravvengono a tale divieto di limitarne la portata ammettendo l’utilizzo di tecniche avanzate miranti a colpire per lo più l’integrità psichica e morale.

1.7 le sparizioni atti internazionali regionali e delle NNUU sono dedicati alle “sparizioni forzate o involontarie”, che consistono nell’arresto e successiva detenzione da parte di organi dello stato o di altri che agiscano per conto o con la connivenza di questi. È una violazione multipla di più dd. internazionalmente riconosciuti (libertà, equo processo…). È stata riconosciuta solo di recente a tale pratica un’autonomia sul piano concettuale; in primis grazie al lavoro del Gruppo di lavoro sulle sparizioni

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forzate e involontarie che ha permesso l’adozione nel’92 di una dichiarazione sulle sparizioni forzate ed involontarie, il cui obbiettivo non è di proibirle, bensì di attribuire al fenomeno un rilievo autonomo rispetto alla somma delle violazioni che lo compongono, creando le condizioni per rendere più incisivo il suo sradicamento. Nel 2006 l’UNGA ha adottato una convenzione aperta a ratifica: la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, contenente una definizione e una lunga serie di obblighi di prevenzione e repressione e la previsione della creazione di un apposito comitato con il compito di vigilare sul rispetto delle sue norme.

1.8 i diritti umani e la pena di morte A livello regionale (UE e America) ed universale sono stati adottati protocolli in tema di pena di morte. Tra di essi si colloca il secondo protocollo aggiuntivo all’ICCPR dell’89, che impone agli stati di abolire la pena di morte, con la possibilità di apporre riserve prevedendola solo per i reati più gravi commessi in tempo di guerra e il divieto di eseguire condanne inflitte al momento dell’entrata in vigore. Da qui il vivace contrasto tra stati abolizionisti e stati mantenitori. Bisogna vedere se il divieto della pena di morte possa altresì essere inserito in quello più generale delle torture o atti inumani, . Gli stati abolizionisti costruiscono la loro teoria su 2 elementi contenuti nell’art.6 dell’ICCPR, che pur non vietando la pena di morte ne auspica l’abolizione e ne limita il ricorso. Nel caso Soering contro regno unito la CEDU (che a differenza della dichiarazione universale esclude espressamente la pena di morte dalle possibili violazioni al d. alla vita ex art. 2) ha stabilito che la pena di morte viola l’art 3 della relativa conv. che vieta torture. Si sono sviluppati in tale contesto europeo degli aspetti specifici a partire da certi metodi di esecuzione particolarmente crudeli.

1.9 l’interpretazione delle norme sui diritti umaniLa fase del riconoscimento internazionale dei diritti non è però ancora completata; bisogna

considerare che il maturare di nuove condizioni culturali, unite al progresso scientifico e tecnologico, porta con sé l’esigenza di riconoscere diritti nuovi; inoltre molte enunciazioni contenute negli atti che riconoscono i diritti sono assai generiche. Da qui l’essenzialità del momento interpretativo.

1.10 gli stati di emergenza: diritti derogabili e diritti inderogabiliTale distinzione ha un’importanza centrale. Ex art.4.1 ICCPR “in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato in un atto ufficiale, gli stati parte del Patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga…”. Il co2 esclude da tale possibilità alcuni diritti (quelli ex artt. 6,7,8,11,15,16,18). Il co3 impone allo stato che intende derogare di informare gli altri stati parte, attraverso l’UNSG, delle disposizioni a cui intende derogare e i motivi per cui deroga (anche se non sempre ciò è avvenuto). Disposizioni simili sono contenute nella conv Europea’50 e Americana del ’69.

2. gli obblighi2.1 obbligo di rispettare e di fare rispettare i diritti riconosciuti

La struttura dell’atto fa sì che il contenuto degli obblighi risulti dal combinato disposto di una norma di carattere generale con gli artt. successivi nei quali vengono enunciati i dd. esempi di norme generali sono quelle degli artt. 2 dell’ICCPR e dell’ICESCR, anche se con diversa formulazione (il primo impegna gli stati a “rispettare e garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel Patto”, mentre il secondo ad “operare, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l’adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel Patto”) a cui si ricollega il differente carattere (precettivo del primo e programmatico del secondo ). È stato sostenuto in passato la natura non vincolante del primo, ma tale posizione ormai superata non risulta condivisibile in quanto ambedue i Patti impongono veri e propri obblighi.Utile è la distinzione tra obblighi self-executing e non self-executing. I primi non necessitano di alcuna attività normativa interna di completamento e specificazione del contenuto della norma

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internazionale, per cui essendo completi sono idonei a trovare applicazione diretta nell’ordinamento. Ambedue sono presenti dei 2 patti. L’obbligo di carattere generale degli artt. 2 , quello di rispettare il rispetto e di assicurare il rispetto dei dd. in essi contenuti, può altresì tradursi in sede interpretativa in obblighi più specifici. 2 sono le conseguenze dell’adozione di obblighi generali: a)imponendo solo un obbligo di risultato lasciano maggiore libertà nella scelta da parte dello stato dei mezzi per darvi attuazione e garantirne il rispetto b) sono oggetto di una continua specificazione del contenuto da parte di comitati e corti dei dd.hh.

2.2 gli obblighi di prevenzione e repressione dei delicta juris gentiumGli accordi relativi a violazioni specifiche invece impongono non lasciano un ampio margine di libertà ai destinatari, prima di ogni specificazione codificando una serie di obblighi precisi di condotta. Tali obblighi specifici sono propri anche degli strumenti per la prevenzione e la repressione di alcune violazioni particolarmente gravi, come ad esempio la Convenzione dell’84 contro la tortura. Tra di essi ricordiamo quello in pr. di “non refoulement”. Ha carattere preventivo in senso lato l’art.15 che vieta l’utilizzo nel processo di confessioni estorte sotto tortura. Ambedue sono state messe in discussione di recente. Gli obblighi di repressione hanno il fine di rendere più efficace l’azione degli stati nei confronti dei delicta juris gentium, che essendo lesivi di valori universali legittimano l’intervento della comunità internazionale a difesa di un suo interesse. Legati allo scopo di evitare la loro impunità è stata estesa la giurisdizione penale facendola diventare universale, riducendo gli stati, data l’impossibilità si svolgere processi penali “in absentia” (in contumacia), ad una scelta: aut ledere (estradare verso un paese che ne faccia richiesta) aut judicare. Tali obblighi possono avere ad oggetto aspetti tanto sostanziali quanto procedurali del modo di essere e di funzionare dei sistemi giurisdizionali statali. Gli obblighi di repressione possono avere anche ad oggetto principi generali del d. penale, ad esempio disponendo l’inapplicabilità di certe cause di esclusione della responsabilità (es. aver obbedito agli ordini di un superiore), di certe immunità per organi dello stato o dei termini di prescrizione previsti.Non sempre però è raggiunto il fine dell’imposizione di tali obblighi, ovvero l’affermare e il dare attuazione concreta alla repressione di tali crimini da parte degli stati, a causa di ostacoli politici e giuridici.

3. le garanzie3.1 garanzie interne dei diritti umani internazionalmente riconosciuti

Non è stato ancora adeguatamente risolto il problema delle garanzie internazionali dei dd.hh.Bisogna però dire che in primis tale garanzia deve essere data dalle norme di d. interno, in quanto la maggior parte degli obblighi internazionali in materia di ddhh sono impongono agli stati di avere o fare funzionare mezzi interni di garanzia, garantendo a livello interno i diritti internazionalmente riconosciuti. Se questi obblighi non sono self-executing potranno richiedere la formulazione di norme interne ad hoc, mentre se lo sono dovranno essere non solo recepite e rispettate nell’ordinamento interno ma anche poter essere invocate davanti ai tribunali interni. Ulteriore conferma del ruolo sono sussidiario della garanzia internazionale risiede nella regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, originariamente prevista dal d. consuetudinario relativo al trattamento degli stranieri. Tale regola richiede la collaborazione dello straniero al fine di ottenere il risultato imposto attraverso l’attivazione dei rimedi interni in caso di violazione da parte dello stato dei suoi obblighi. Originariamente tale obbligo aveva natura sostanziale, per cui il mancato esaurimento comportava l’inesistenza del fatto illecito. Ora invece ha natura procedurale, condizione per fare valere la responsabilità internazionale, non essendo più un elemento che caratterizza il contenuto dell’obbligo in materia, bensì rispondendo allo scopo di far diventare la garanzia internazionale sussidiaria a quella interna.

3.2 garanzie de facto: l’attività svolta dalle ONG La loro importantissima attività di controllo comporta una sorta di garanzia “de facto”, ovvero una garanzia che, pur non essendo stata istituita in attuazione di norme giuridiche, ha nondimeno lo scopo di contribuire al rispetto dei dd.hh. giuridicamente protetti.

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Tre sono generalmente gli elementi che caratterizzano la nozione di ONG: a) essere ONG private dal punto di vista dell’origine e della composizione (vs organi pubblici) b) di non avere scopo di lucro (vs imprese) c) di avere un certo grado di stabilità (vs comitati di natura temporanea). Pur con diversi fini, le ONG impegnate nella tutela dei dd.hh. sono accomunate dall’influenza che esercitano sulle scelte dei governi, sull’opinione pubblica.Le principali attività svolte dalle HHRR ONG sono di: 1) fact-finding, su violazioni di dd.hh. 2) campaining, attività di sensibilizzazione e di mobilitazione dell’opinione pubblica 3) lobbying o advocacy, esercitare pressione sugli organi statali al fine di orientarne le scelte. Tali attività possono poi essere le componenti di un’ulteriore: interazione con IO’s attraverso la promozione di standard di d. sostanziale o nuovi strumenti di garanzia e la funzione di stimolo alle procedure internazionali esistenti di garanzia dei ddhh.

3.3 garanzie dei ddhh. previste nell’ordinamento giuridico internazionale Circa i rapporti tra sistemi pattizzi di garanzia dei ddhh. e garanzie dei ddhh. derivanti dal d. internazionale generale non si può parlare di “self-contained regime” in quanto la violazione di obblighi derivanti da trattati o da norme consuetudinarie relative a settori specifici, che siano accompagnate da regole speciale relative alla loro eventuale violazione, non esclude il ricorso alle misure di reazione all’illecito previste dal d. generale. Il contrario sarebbe assurdo in quanto ridurrebbe l’effettività delle relative norme sostanziali.La discipline dei rapporti tra garanzie pattizie universali e regionali risulterà dal coordinamento delle disposizioni specifiche dedicate alla questione della litispendenza e al pr. del ne bis in idem.

3.4 modalità di funzionamento delle garanzie internazionali dei ddhh. Diverse sono le modalità di funzionamento, le quali sono però accomunate nel contenuto da alcune caratteristiche tipiche del d. internazionale dei ddhh: a) indivisibilità degli obblighi b) mancanza di un interesse governativo in senso stretto (persona oggetto di tutela in quanto tale, a volte contro il proprio stato di appartenenza) (Tali 2 caratteristiche hanno riflessi sulla titolarità ad agire) c) ritrosia degli stati ad ammettere limitazioni alla loro libertà d’esercizio dei poteri di governo, soprattutto nei cfr dei propri cittadini (destinata ad influenzare le modalità di realizzazione delle garanzie).Sotto il profilo del funzionamento le garanzie internazionali si distinguono in: 1) g. di accertamento (del contenuto e dei fatti che hanno portato alla violazione), di fato previste solo a livello regionale 2) g. di attuazione (conseguenze riparatorie e sanzionatorie collegate dall’ordinamento giuridico internazionale ai fatti illeciti in generale), che trovano attuazione nel quadro del d. internazionale generale 3) procedimenti di controllo internazionale (vigilare sull’osservanza delle regole internazionali da parte degli stati).I procedimenti di garanzia in ambito pattizio universale rappresentano altrettante varianti del controllo internazionale, il quale si realizza con modalità diverse accomunate da una caratteristica: non producono effetti giuridici vincolanti .

3.5 controllo internazionale, attività statali di organi internazionali e ulteriori prospettive di sviluppo

All’origine della scelta di modalità di controllo ad esito non vincolante deriva dalla ritrosia degli stati ad ammettere limiti al trattamento degli individui posti sotto il loro potere di governo. Il persistere di violazioni gravi e ripetute da parte degli stati si ricollega all’assenza di talune condizioni minime perché la garanzia possa funzionare. Gli sviluppi novi in materia di garanzia sono riportabili al concetto di attività statale vicaria condotta da organi internazionali, ovvero attività destinate a tenere luogo dell’attività interna o esterna di organi di stati. Tra di esse ricordiamo le attività delle Forze di pace delle NNUU (operazioni di peace-building e le missioni di osservatori civili finalizzate alla protezione dei ddhh), quelle dei tribunali penali internazionali di recente istituzione (cfr. ICTY/ICTR/CPI). Tali attività si distinguono da quelle tradizionali di controllo condotte nel quadro delle NNUU in quanto non si collocano sul piano dei rapporti tra stati, bensì su di un piano interindividuale, frapponendosi al potere di governo. Sono attività eccezionali in quanto il limite verticale del riservato dominio non potrà essere superato se non con il consenso dello stato territoriale allo svolgimento di tali attività dirette alla propria base sociale.

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Non si può escludere per il futuro un ulteriore sviluppo delle garanzie internazionali dei ddhh. attraverso l’istituzione nel quadro ONU di un meccanismo di accertamento ad esito vincolante, così come già avvenuto in ambito regionale europeo, interamericano e ora anche africano.

CAP. 2 I CONTROLLI POLITICI1. la Commissione dei ddhh. Delle NNUU: elaborazione di norme e gestione di meccanismi di

controlloLa funzione di controllo si è basata sin ora soprattutto sull’attività di tale commissione, sostituita nel 2006 dal nuovo “Consiglio dei ddhh.”. La commissione, come ora il cons., aveva una composizione statale. Era composta da 53 stati membri a rotazione per 3 anni con la possibilità di intervenire senza d. di voto ai rappresentanti di stati non membri della commissione e quelli delle ONG con status consultivo presso il Consiglio economico e sociale (C.E.S.). Ad essa era affiancata una sottocommissione composta da 26 membri scelti a titolo individuale, la quale avrebbe dovuto originariamente occuparsi di prevenzione della discriminazione e tutela delle minoranze, ma la cui competenza per materia è stata ampliata fino a coincidere con quella della Commissione.Nei primi 20 anni compito esclusivo è stato quello di discutere ed adottare risoluzioni su questioni di carattere generale, commissionare studi ed elaborare progetti di dichiarazioni o di convenzioni da trasmettere al C.E.S. ed eventualmente all’UNGA, tra i quali ricordiamo da UNDHR, ICCPR, ICESCR, conv contro la tortura/sui dd. del bambino. Tali accordi prevedono una serie di dd. e obblighi nonché meccanismi di controllo, il cui funzionamento è affidato ad altrettanti comitati appositamente istituiti.A partire dagli anni ’60 la commissione ha iniziato ad occuparsi direttamente del rispetto di tali diritti da parte dei singoli stati, attraverso una serie di meccanismi, procedura pubblica/confidenziale/ecc, creati da sue risoluzioni o da quelle del C.E.S. e gestiti dagli organi NNUU/Comm./C.E.S.

2. procedura pubblicaTale procedura, istituita con la ris. 1235/67 del C.E.S. col fine di controllare l’operato di alcuni stati come la R.S.U e la Rodesia del sud (ma di fatto utilizzabile senza limiti geografici), consiste nella discussione in seno alla commissione o alla sottocommissione di informazioni relative a pretese “gross violations” dei ddhh e nell’eventuale adozione di risoluzioni in merito. La limitazione dell’oggetto alle gross violations, con l’esclusione delle simple violations fu una scelta politica. Scelta politica fu anche la eventuale qualificazione in concreto di una situazione come gross violation, dato che la prassi è composta da violazioni diverse per gravità e numero di cui la comm.ne si è occupata. L’assenza di precisi parametri giuridici sostanziali si ricollega alla politicizzazione di questa forma di controllo. La discussione pubblica delle pretese violazioni da parte della Comm.ne viene avviata motu proprio, in maniera del tutto discrezionale e presuppone unicamente che 1 o più stato abbiano presentato ad essa una proposta di risoluzione o abbiano ottenuto che se ne discuta. la situazione specifica sarà condizionata dai rapporti tra stati membri della commissione con gli altri membri delle NNUU, cioè dalla loro maggiore o minore influenza politica. A minori condizionamenti, data la sua composizione individuale, è sottoposto il procedimento dinnanzi alla sottocommissione. Tale procedura è caratterizzata dall’assenza di un esame preliminare circa la sussistenza di rimedi interni ed adeguati disponibili, in quanto la presenza stessa di violazioni dovrebbe escluderla a fortiori. Sarà l’organo controllante, anche implicitamente, a verificare la presenza delle condizioni stabilite dalla ris. istitutiva della procedura.

3.svolgimento del controllo nel quadro della procedura pubblicala discussione si conclude con l’adozione di una risoluzione composta da 2 parti: a) international concern: in cui viene espressa la condanna/preoccupazione della comunità internazionale per le violazioni dei dd.hh. che hanno avuto luogo in un determinato stato b) invito a collaborare con le NNUU per prevenire e porre rimedio alle violazioni. Tale obbligo di cooperazione è sancito in termini generali dall’art.56 UN Ch., per cui potrebbe essere inteso come sua specificazione. In concreto essa può consistere nell’accogliere la visita di un relatore ONU, a tenere conto delle

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raccomandazioni specifiche formulate. Sempre con maggior frequenza la comm.ne nomina un relatore per seguire in maniera continuativa l’evoluzione della situazione dei dd.hh. in alcuni stati intrattenendo un dialogo con le autorità di questi ultimi. Questi “country reporteurs” rendono rapporti annuali alla commissione con informazioni specifiche su eventuali violazioni, valutazioni complessive sui fenomeni considerati nonché raccomandazioni. Essi quindi effettuano visite “in loco”, ponendo in essere attività nell’ambito della sfera di riservato dominio dello stato e per questo necessitano del previo consenso dello stato territoriale (che viene richiesto di volta in volta e che gli stati sono liberi di negare). Non si può infatti far derivare dall’obbligo di cooperazione l’obbligo di acconsentire a visite in loco, come conferma la prassi attuale (spesso l’individuazione del relatore e del suo mandato sono frutto di negoziazioni con lo stato territoriale intese a rafforzarne la disponibilità a collaborare). Nel caso in cui la situazione migliori si può avere un trasferimento dall’ordine del giorno della procedura pubblica al punto relativo ai “advisory services” (anche se l’attività di controllo tende a non cessare del tutto). In questo caso sarà necessaria un’assistenza tecnica allo stato da parte degli organi delle NNUU e vi sarà l’obbligo da parte di questo di cooperare con essi e di considerare perlomeno in buona fede l’offerta di “advisory services”. Nelle sue attività di assistenza la commissione ha più volte nominato degli “esperti indipendenti” con compiti di inventario dei bisogni e di proposta di programmi. Dato il numero crescente di domande non soddisfabili solo dal Centro per i dd.hh. delle NNUU, a questo, che continua ad essere il punto principale di riferimento per l’elaborazione ed il coordinamento dei programmi degli interventi, si affiancano altri organi che vengono coinvolti in fase di attuazione (istituti specializzati e organizzazioni pubbliche e private).Rispetto alla fase finale la nomina o il rinnovo di un relatore indica la volontà di esercitare un controllo più incisivo rispetto alla mera discussione della situazione in occasione delle sessioni annuali della commissione (cfr. risoluzioni con cui la comm.ne ha istituito un relatore speciale che contengono una condanna forte delle violazioni nello stato in questione); come del resto il trasferimento alle discussioni sugli advisory services in contrario. Posizioni intermedie possono essere: la deplorazione per le violazioni non accompagnata dalla nomina di un relatore, l’invito a premettere lo svolgimento di una visita in loco da parte di uno o più meccanismi a tema. Tali scelte naturalmente sono condizionate dalla natura politica dell’organo che le compie.

4.effetti dello svolgimento della procedura pubblica e suoi limitioltre i limiti dovuti alla natura politica dell’organo incaricato, altri derivano dal carattere di mera raccomandazione proprio delle risoluzioni che ne concludono l’iter, poiché questo rientra tra i c.d. “international monitoring procedures” (caratterizzati per l’appunto dall’assenza di effetti giuridicamente vincolanti). Le risoluzioni producono effetti, ma solo politici derivanti dalle pressioni della relativa condanna, potendosi configurare come una sorta di sanzione sociale arrecante danno al prestigio e alla credibilità di quello stato presso l’opinione pubblica interna ed internazionale. Questa può essere annoverata tra le conseguenze dell’illecito in materia di ddhh, come del resto il mero accertamento della violazione da parte di un tribunale arbitrale. Ulteriori effetti derivano dai rinvii operati alla ris. da parte di norme interne che disciplinano la politica di cooperazione allo sviluppo o la politica estera di alcuni stati. Ciò pone un rischio di strumentalizzazione della scelta discrezionale da parte dello stato di reagire con misure di ritorsione alla violazione dei dd.hh. per perseguire fini estranei a questi ultimi. Bisogna altresì sottolineare che tali misure possono essere prese dagli stati in base a prese di posizione di ONG’s. le condanne varranno unicamente per il grado autorevolezza loro attribuita, non dal punto di vista degli effetti giuridici formali. È solo in futuro ipotizzabile che gli stati facciano discendere dalle riss. Conseguenze sul piano dei rapporti bi/multilaterali. Per finire bisogna sottolineare l’incisività del controllo dei relatori poiché tendono a subire di meno il controllo da parte degli stati (rispetto a quando il controllo è affidato unicamente alla discussione in seno alla stessa commissione) e godono di informazioni provenienti da fonti diversificate (specie da ONG’s). Medesimi sono però gli effetti delle ris. adottate su sua proposta.

5.la procedura confidenziale: oggetto, modalità di avvio e ruolo dell’individuo

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dato che immediatamente la sottocommissione adottò due riss. contro stati diversi rispetto a quelli per cui la procedura pubblica era stata concepita, Haiti e Grecia, il C.E.S , vista la preoccupazione suscitata negli stati, concepì una seconda procedura, la procedura confidenziale, destinata a funzionare a porte chiuse, con la ris. 1503/70. l’oggetto era comune: “communications which appear to reveal a consistent pattern of gross and reliably violations violation of HHRR and fundamental freedoms”, richiedendo unicamente in più il fatto che le violazioni fossero “reliably attested”, distinzione che di fatto poi rileva unicamente circa le modalità di avvio. Sempre sotto quest’ultimo profilo massima è la differenza: viene messa in moto ex comunicazioni provenienti da individui/gruppi di persone che si pretendano vittime di violazioni di dd.hh., ONG o chiunque abbia conoscenza diretta di tali violazioni, dando per la prima volta attuazione in seno alle NNUU al d. di petizione degli individui. Finalità della comunicazione però è la stessa della procedura pubblica, cioè di mettere in moto la procedura di controllo, non di ottenere la riparazione per i torti subiti dall’individuo autore della comunicazione. Questa deve essere intesa come mera segnalazione. Il ruolo dell’individuo cessa dopo questa prima fase. Importante però è concedere l’iniziativa agli individui oltre che agli stati, pur essendo gli organi controllanti liberi di non tenerne conto.

6.svolgimento del controllo nel quadro della procedura confidenzialeÈ una procedura che si svolge interamente a porte chiuse e si articola in più fasi: a) UNSG, una volta ricevuta la comunicazione, invita lo stato coinvolto a replicare e inserisce una sintesi della comunicazione, e l’eventuale replica dello stato, in un documento che viene periodicamente distribuito ai membri della commissione e sottocommissione b)Gruppo di lavoro sulle comunicazioni della sottocommissione prende in esame le comunicazioni giunte nel corso dell’anno precedente e trasmette quelle rilevanti (violazioni gravi e sistematiche) alla commissione, con verifica anche del previo esaurimento dei ricorsi interni.c)nuovo esame della commissione che decidere quali abbandonare, quali mantenere al proprio ordine del giorno e quali trasmettere al Gruppo di lavoro sulle situazioni della commissione (il quale a sua volta predispone raccomandazioni in ordine a ciascuna situazione trasmessa dalla sottocommissione).d) situazioni prese in esame dalla commissione, insieme alle relative raccomandazioni, in seduta plenariae)al termine di ogni sessione il pr. della commissione rende noto l’elenco degli stati considerati precisando le situazioni abbandonate e quelle rimaste oggetto di considerazione da parte della commissione. La commissione può chiedere al C.E.S. di rendere pubblica tale situazione. In quest’ultima fase è attenuata la confidenzialità.

7. lo svolgimento della procedura confidenziale e i suoi limitiCome per la procedura pubblica il primo limite è quello della mancanza di vincolatività giuridica, ma con differenze significative, quali il mancato coinvolgimento delle ONG’s e quindi dell’opinione pubblica, visto che si svolge a porte chiuse. Viene così ridotta l’eventualità di una censura pubblica e limitati gli effetti a quelli di mediazione, da realizzarsi ex dialogo, senza alcuna finalità d’inchiesta. La ris 1503 non contempla neppure la possibilità di nominare relatori, privilegiando un dialogo quindi con le autorità statali, con il risultato di non contribuire al miglioramento sostanziale della situazione dei ddhh. in tali stati. Conferma del suo carattere fine a se stesso è dato dal fatto che al termine dell’esame viene deciso semplicemente un ulteriore riesame. Ciò ha fatto si che molti stati abbiano accettato tal procedura dimostrando formalmente di cooperare, impedendo altresì l’istaurarsi di una procedura pubblica.

8. i meccanismi a tema : loro competenza in ordine a violazioni singole dei dd.hh. Nuova forma di controllo inaugurata dalla commissione del 1980 relativa a “single violations”. Finalità dei meccanismi a tema è affermare l’esistenza di un internazional concern relativo a talune categorie di violazioni anche singolarmente considerate con l’analisi dei distinti fenomeni e lo svolgimento di attività intese a porvi fine, attraverso la raccolta e la verifica di informazioni sia su situazioni complessivi che su casi specifici di violazione, dialogo con le autorità e formulazione di raccomandazioni indirizzate sia agli stati sia alla stessa commissione. Ciò non comporta però

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l’erosione del riservato dominio degli stati. Ostacoli alla formulazione di raccomandazioni della commissione derivano solo dalle volontà contrarie degli stati membri della stessa. Vi è un minor condizionamento politico circa l’avvio e lo svolgimento di tali meccanismi. Tra di essi vi è il Gruppo di lavoro, istituito nell’80 sulle sparizioni involontarie, il relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali ‘82, sommarie ed arbitrali, il relatore speciale contro la tortura ’86. attualmente ne sono in funzione 25, tra cui l’Esperto indipendente sulle minoranze.

9. avvio e svolgimento dei controlli a temaÈ uguale a quello della procedura confidenziali, salvo il fatto che gli stessi meccanismi possono oltre a ricevere comunicazioni da individui o ONG’s (to recieve), anche ricercare attivamente info su eventuali violazioni (to seek). Mancando una procedura per la verifica del previo esaurimento dei ricorsi interni, questa è svolta dai relatori o dai gruppi di lavoro durante l’attività preliminare svolta ad acquisire ulteriori elementi sul caso in esame. Una volta procurate le info, i meccanismi la prendono in esame e la sottopongono all’attenzione dello stato, con poi sviluppi particolari e specifici di ognuno circa il modo di operare (cfr. gruppo su sparizioni che chiede anche chiarimenti sulla sorte dello scomparso, a volte con la creazione di procedure speciali (cfr. gruppo sulle sparizioni crea una procedura urgente, per le segnalazione di sparizioni avvenute da meno di tre mesi, e una di pronto intervento per tutelare coloro che possano essere oggetto di intimidazione o rappresaglie). I meccanismi svolgono anche visite in loco, finalizzate al fact-finding o al dialogo con le autorità, e cmq sottoposte al previo consenso dello stato. Essi hanno anche analizzato i casi fornendo raccomandazioni generali alla commissione su come prevenirli, che hanno avuto funzione di impulso nell’elaborazione di nuovi atti internazionali in materia (ad es. per l’elaborazione della dichiarazione sulle sparizioni dell’UNGA).

10.Obiettivi e limiti dei meccanismi tematiciTali meccanismi si differenziano dalle altre procedure perché, oltre ad avere ad oggetto singole violazioni, hanno anche diversi obiettivi: favorire il raggiungimento di una soluzione in ordine alla specifica violazione segnalata, attraverso una raccomandazione rivolta allo stato di porvi fine ed eventualmente di riparare il danno nel caso in cui continui attraverso provvedimenti di riparazione in forma specifica o il versamento di una somma a titolo di risarcimento, il tutto senza passare per il filtro della commissione. Sia le attività ad oggetto singole violazioni che quelle relative a situazioni complessive di violazioni incontrano gli stessi limiti delle altre procedure. Sono condizionati dalle scelte politiche della commissione che li nomina e ne decide il mandato (anche se sono meno condizionati visto che questo è diffuso, non limitato a uno stato soltanto), dalla cooperazione dello stato nel facilitarne lo svolgimento.Gli effetti sono anch’essi essenzialmente politici.12. la prima riforma: l’istituzione dell’Alto commissario delle NNUU per i ddhh.La recente riforma ha portato a sostituire la commissione con il Consiglio dei ddhh. Ancora prima erano state introdotte però novità relative alla componente burocratica del sistema. In particolare nel’93 è stato istituito l’ Alto commissario delle NNUU, definito dall’UNGA come “the UN official with principal responsibility for UNHR’s activities under the direction and authority of the UNSG”. Egli agisce nella cornice delle decisioni e competenze dell’UNGA, del E.S.C. e della commissione. Tra le sue funzioni ricordiamo: a) “carrying out tasks assigned to him by competent bodies of the UN system in the field of HHRR’s and making recommendations to them with a view to improving the promotion and the protection of all hhrr’s”. b) “providing advisory services and technical and financial assistance” c) “engaging in a dialogue with all governments with a view to securing respect for all hhrr’s” d) “coordination of the HHRR’s promotion and protection activities throughout the UN system” e) “rationalization, adaption, strengthening and streamlining of the UN machinery in the field of HHRR’s with a view to improving efficiency and effectiveness f) overall supervision of the Centre for HHRR’s”.

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Il suo fine è di favorire la crescita e la migliore organizzazione delle attività di controllo del rispetto dei dd.hh e di assistenza tecnica nelle materie di competenza della commissione attraverso l’istituzione di tale figura dotata di propria autonomia ed autorevolezza.

13. seconda riforma: la creazione del consiglio dei dd.hh.Punto di partenza sono state le proposte della High-level pannel on threats, challenges and change (nominato dal segretario Kofi Annan), contenute nel rapporto “ a more secure world” del ’04. questo suggeriva tra l’altro di allargare la composizione della commissione e di affiancarvi un comitato consultivo di 15 membri scelti a titolo individuale, di rafforzare la figura dell’Alto Commissario aumentandone le risorse. Sono state criticate dallo stesso UNSG, che nel suo rapporto ’05 “in a larger freedom” ha scelto di non darvi seguito, soprattutto l’estensione della comm.ne a 191 membri, l’inutilità di creare un organi non permanente poiché incontrerebbe le stesse difficoltà della comm.ne nel dare una risposta repentina alle crisi di dd.hh. e perché il pannel lascia la commissione un organo subordinato al E.S.C. nel rapporto 2005 il SG propone la creazione del “human rights council”, organo a carattere permanente e sussidiario all’UNGA (non più al C.E.S.), suggerendo una composizione più ristretta e formata da membri eletti a maggioranza di 2/3 dal’UNGA. La sua creazione è stata decisa dal Summit mondiale del’05, nel cui documento finale veniva dato l’incarico all’UNGA di predisporre il nuovo organo. Il negoziato finì nel ’06 con la sua approvazione a grandissima maggioranza. Aspetti salienti del nuovo organo sono: a) sussidiario dell’UNGA b) 47 membri, 6 meno della commissione c) membri eletti individualmente dall’UNGA a scrutinio segreto a maggioranza assoluta (vs quelli della comm.ne collettivamente e per acclamazione) d) carica di 3 anni rinnovabile 1 sola volta (vs prima ad libitum) e) UNGA può, a maggioranza qualificata, sospendere uno dei suoi membri per continue e gravi violazioni dei dd.hh. e) il Council si riunisce: in sessione ordinaria tre volte all’anno per un tempo complessivo di almeno 3 settimane; in sessione speciale ogni volta che ce ne sia bisogno. f) mantenimento delle special procedures: advisory services, complaint procedures, dei relatori e dei gruppi tematici. E) in più stabilito dalla ris 60/251 la creazione di una nuova procedura denominata “Universal Periodic Review”.

14. le prospettive della riforma e i limiti complessivi dei controlli politiciElementi positivi della riforma solo stati: l’elevazione del rango del consiglio nella gerarchia delle NNUU, la previsione del Human Rights Council in sessione permanente, la riduzione della sua membership, il mantenimento dei risultati delle special procedures.Efficacia della riforma dipenderà però dalle risorse che verranno attribuite all’ alto commissario.Alcuni aspetti degni di modifica non l’hanno ottenuta, come la composizione statale del consiglio, con la relativa influenza politica. Limiti derivano anche dalla scelta stessa dello strumento del controllo internazionale, poiché esso necessita della cooperazione degli stati e le sue decisioni non sono per essi giuridicamente vincolanti.

CAP. III I CONTROLLI GIURIDICI1. I Meccanismi Di Controllo Del Rispetto Dei Ddhh Previsti Da Accordo

I due Patti internazionali impongono a carico degli stati il rispetto di una lista di obblighi e l’adattamento ad essi dei loro ordinamenti interni. Ciò avviene anche in relazione ai cataloghi di diritti spettanti a categorie specifiche di persone, come la conv. Sui dd. dei minori’89. oltre gli accordi a catalogo vi sono anche accordi su violazioni specifiche, che prevedono una serie di obblighi di repressione e prevenzione di comportamenti individuali, condizionando il modo di essere della garanzia interna, come la conv. sulla tortura’84. ambedue i tipi di accordi, accanto alla previsione di norme sostanziali self-executing, prevedono l’istituzione di meccanismi di controllo internazionale del rispetto dei dd.hh affidandoli ad organi ad hoc all’uopo costituiti, i c.d. “ treaty bodies”. Esempi di comitati a tal fine costituiti, che svolgono compiti avendo a disposizione parametri giuridici sostanziali, composti da membri che vi siedono a titolo individuale, sono i comitati sul rispetto delle conv. su: eliminazione della discriminazione razziale’65, di ogni discriminazione nei cfr. della donna’79, contro la tortura’84, dd. dei minori’89, protezione dei

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lavoratori migranti e delle loro famiglie’90, dell’ICCPR, dell’ICESCR. Pur ispirandosi ad un modello sostanzialmente comune, sono però differenze relativamente al loro modo di operare in quanto alcuni accordi prevedono procedure di controllo più ampie e un grado di opzionalizzazione diverso dei meccanismi, alcuni dei quali sono oggetto di una facoltà di opting-in/out. Limite all’applicabilità delle loro norme deriva dalla loro natura pattizia, che li rende vincolanti solo per gli stati firmatari.

2. Caratteristiche degli organi di controllo e loro collegamento con le NNUU Il comitato dei DDHH istituito dall’ICCPR è composto da 18 membri rappresentativi delle diverse civiltà e principali sistemi giuridici e aventi requisiti di alta levatura morale e di riconosciuta competenza campo nel campo dei ddhh. Sono eletti a scrutinio segreto con mandato di 4 anni dagli stati parti ( scelti da un elenco composto da massimo due cittadini designati da ciascuno stato) ed assumono la carica previo dichiarazione solenne di imparzialità nell’ esercizio delle loro funzioni. Simili per composizione sono gli altri comitati (ecc per numero di quello contro la tortura, 10, e contro la discriminazione della donna, 23). Tutti gli accordi istitutivi prevedono un rapporto funzionale tra comitati e ONU. Il comitato sui dd.hh. deve ad esempio presentare ogni anno un rapporto sulle sue attività. Dopo la discussione della terza commissione dell’assemblea viene di solito adottata una risoluzione contenente un apprezzamento per il lavoro svolto ed un’esortazione nei cfr degli stati non membri a ratificare. Vi sono differenze in ordine al loro finanziamento (servicing), ad esempio il l’ICCPR e la conv sui minori pongono a carico delle NNUU tanto il servicing dei comitati quanto gli emolumenti dei suoi membri, mentre la conv. sulla discriminazione razziale pone a carico degli stati i costi degli emolumenti e quella sulla tortura anche i costi del servicing.A differenza degli altri comitati quello per l’eliminazione della discriminazione razziale e dell’ICESCR si distinguono per un collegamento stretto e un rapporto di reciproco condizionamento (che manca negli altri) con l’UNGA; il primo ex raccomandazioni di cui è destinatario, il secondo, che è organo sussidiario del C.E.S. (che ha il compito al posto del comitato di presentare raccomandazioni e un riassunto delle info ricevute dagli stati), ma che cmq riferisce all’UNGA tramite quest’ultimo (peculiarità di tale comitato ex prassi ridimensionate).

3. i rapporti periodici degli stati sull’applicazione degli accordi i sette comitati gestiscono la prima forma di controllo del rispetto dei ddhh: ricevere ed esaminare i rapporti degli stati parti, vincolati a farlo da specifici obblighi pattizzi. In particolare, gli stati parte dell’ICCPR devono riferire in modo dettagliato, non descrivendo meramente il quadro normativo come precisato dal comitato, “sulle misure adottate per dare attuazione ai dd. in esso riconosciuti…sui progressi compiuti nel godimento di tali dd…sulle eventuali difficoltà che influiscano sulla sua applicazione”. La diversità delle formulazioni di fatto però sono annullate nei fatti per effetto delle direttive specifiche che ciascun comitato ha provveduto a emanare. Una volta ricevuto , secondo una prassi generalizzata, il rapporto di uno stato e prima della sua discussione, il comitato elabora una “list of issues”: un relatore/gruppo di lavoro/comitato in seduta plenaria preparano un elenco di punti sui quali si richiedono allo stato info aggiuntive e chiarimenti. Successivamente un rappresentante dello stato illustra il rapporto, dopodiché è di nuovo possibile chiedere info e chiarimenti con domande dal contenuto preciso, le cui risposte potranno essere affidate ad un successivo rapporto supplementare.Ulteriori fonti rispetto ai rapporti degli stati sono utilizzate dai comitati. Problema delicato ne è l’individuazione: il comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale prevede un utilizzo informale delle info prese da istituti specializzati dell’ONU, a differenza di quello per i dd. dei minori che li privilegia e quello per i dd. dei lavoratori migranti (che assegna un ruolo centrale all’ILO); il comitato dei dd.hh. invece col tempo si è sempre maggiormente avvalso delle info delle ONG’s ( che sono solite elaborare “shadow reports”), così come quello dell’ICESCR e della discriminazione nei confronti della donna (che permettono alle ONG’s di inviare info scritta e orale, in apposite audizioni).

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Dopo aver esaminato i rapporti statali il comitato dei ddhh. Trasmette indietro agli stati i propri rapporti ed osservazioni generali. Data la contrapposizione tra tesi minimalista, che voleva limitare tale attività ai rapporti annuali, e tesi contraria, che li voleva che i rapporti giungessero a conclusioni specifiche sull’’attuazione del patto al termine dell’esame di ciascun rapporto, è stata inaugurata negli anni’80 la prassi di affidare tali ultime considerazioni al processo verbale delle sedute. Negli anni ’90 si è passato invece alla possibilità di formulare critiche anche severe su ogni stato oggetto di esame.Non sono sorti contrasti sulle “osservazioni generali”, contenenti chiarimenti circa le modalità di preparazione dei rapporti ed il significato delle norme materiali del Patto, che, insieme alle constatazioni, concludono la procedura avviata mediante ricorso individuale e costituiscono un corpus di precedenti autorevoli attraverso cui specificare il contenuto degli obblighi internazionali in materia di dd.hh.Diverse opinioni circa la conclusione della procedura sono sorte anche in relazione alla conv. sulla discriminazione razziale, a differenza di quello sulla tortura, che prevede espressamente la possibilità di formulare commenti sui singoli rapporti statali, e di quello sui dd. dei minori. Tutti e 7 i comitati in ogni caso formulano ora preziose osservazioni generali e valutazioni collegiali spesso assai critiche dei comportamenti statali.

4. limiti e pregi del sistema di controllo basato sui rapporti statali tale sistema di controllo basato su rapporti periodici deve la sua importanza al fatto che sia previsto come obbligatorio nel HHRR treaty system, basato sui 7 accordi summenzionati. È un procedimento automatico, che non richiede un meccanismo di avvio ad hoc. Molto spesso però gli stati non adempiono all’obbligo di presentare il rapporto, o lo inviano con anni di ritardo, e le reazioni di tali violazioni non sono tanto significative, consistendo in una serie di richiami da parte del comitato o ad un invito a rispettare tali obblighi. Dovrebbero essere maggiori le conseguenze politiche e morali indirettamente esercitate dagli altri stati nei cfr. di quelli inadempienti. La difficoltà di fondo consiste nel disinteresse delle autorità statali che dovrebbero fare rispettare tale obbligo di presentazione. Ulteriore limite è dovuto dal fatto che i rapporti sono cmq elaborati sotto il controllo degli stati, i quali risultano evasivi. Rimedi elaborati dai comitati per farvi fronte sono stati: l’elaborazione di linee-guida indicanti quali info debbano contenere i rapporti ed il ricorso a fonti diverse, come le ONG’s. Se sono superati i due limiti suesposti l’efficacia della procedura resta vincolata al modo in cui i membri dei comitati gestiscono lo scambio con i delegati statali, evitando un contradditorio talmente forte da minare la futura collaborazione dello stato ed indirizzando il dialogo verso un effettivo miglioramento nel godimento dei dd.hh, e alla disponibilità degli stati a tenere conto delle osservazioni formulate. Caratteristica di tale procedura, a differenza delle altre facenti capo ad organi politici delle NNUU (oggetto di grande influenza politica poiché composti da rappresentanti di stati), è data dall’attenuazione dell’elemento della discrezionalità politica, attraverso la predisposizione di parametri giuridici sostanziali; il che li rende più credibili moralmente e giuridicamente rispetto alla commissione. Effetti in sé positivi derivano cmq dall’obbligo posto a carico degli stati di rendere conto internazionalmente, cioè che siano cmq costretti a giustificare il loro operato.

5. le comunicazioni statali Il comitato sui dd.hh. è altresì competente a ricevere ed esaminare comunicazioni “nelle quali uno stato pretenda che un altro stato non adempie agli obblighi derivanti dal patto”(art.41 ICCPR). È una competenza facoltativa essendo ricevibili solo quelle aventi ad oggetto la situazione di uno stato che abbia formulati un’apposita dichiarazione di accettazione, come del resto è previsto per la conv contro la tortura e quelle sui dd. dei lavoratori migranti (vs tale competenza è già prevista in quello per l’eliminazione della discriminazione razziale).Procedimento ex artt.41-2 prevede: 1) fase preliminare: stato deve attirare l’attenzione di quello inadempiente sulla violazione, che ha 3 mesi per dare chiarimenti; se entro 6 mesi non si addiviene ad una soluzione ambedue possono adire unilateralmente il comitato 2) comitato ricerca una soluzione amichevole basata sul rispetto dei dd. e delle libertà fondamentali; redige un resoconto

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dei fatti ed indica l’eventuale soluzione raggiunta. In ambedue le fasi rileva la questione del previo esaurimento dei ricorsi interni; nella prima fase questa deve essere presente nella spiegazione dello stato destinatario della comunicazione, nella seconda la commissione può entrare nel merito solo dopo averne accertato il rispetto. 3) in caso di fallimento di aprono 2 vie: a) comitato presenta un rapporto contenente l’esposizione dei fatti b) ex consenso degli stati coinvolti, nominata una commissione di conciliazione ad hoc per raggiungere una soluzione amichevole entro 12 mesi. Nel secondo caso viene redatto un rapporto circa la soluzione raggiunta o la ricostruzione dei fatti e considerazioni circa una possibile soluzione pacifica. Anche in questa seconda ipotesi gli stati sono liberi.Per quanto riguarda il rapporto con i mezzi usuali di risoluzione delle cv., tali accordi prevedono la possibilità di esperirli. Es: ICCPR, conv sui dd. lavoratori immigranti, attraverso una clausola di salvaguardia; nella conv. contro la discriminazione razziale oltre ad essa, nel caso di fallimento dei meccanismi da essa previsti, è previsto il poter per ciascuno stato di adire unilateralmente la ICJ; la conv contro la tortura prevede una clausola giurisdizionale in base alla quale uno stato potrà cmq sottoporre la cv. relativa all’interpretazione o applicazione della conv. ad arbitrato internazionale, e nel caso di mancato raggiungimento entro 6 mesi di un accordo sulla sua organizzazione la possibilità di adire unilateralmente la ICJ. Queste ultime due convenzioni a differenza delle prime due non si limitano a confermare la loro natura non esclusiva, bensì sono idonei a fondare a giurisdizione della ICJ.

6. fallimento del sistema di controllo basato sulle comunicazioni statali Tale sistema, contemplato dall’ICCPR e dalle convenzioni contro discriminazione razziale, contro la tortura e sui dd. dei lavoratori migranti, non è mai stato utilizzato ex mancanza di interessi degli stati in materia di dd. umani e la loro indisponibilità a compromettere i loro reciprochi rapporti. A causare il fallimento ed il disinteresse sono stati pure “elementi positivi” della procedura: indipendenza ed imparzialità degli organi giudicanti, composti da esperti indipendenti, esistenza di parametri giuridici sostanziali di riferimento. Per questo di scarso rilievo è l’analisi della procedura. Merita rilievo solo la funzione conciliatoria della procedura, dominante su quella dell’accertamento delle violazioni. Nella fase preliminare si vuole infatti trovare sua una soluzione che soddisfi le parti, ma non che sia rispettosa dei dd.hh, cosi come successivamente comitato e commissione ad hoc non sono incaricati di accertare se l’accordo sia stato violato o meno.

7. comunicazioni individuali È il terzo procedimento contemplato facente capo ai comitati per l’eliminazione della discriminazione razziale e di quella contro la donna, dei ddhh., contro la tortura e per i dd. dei lavoratori migranti. Mentre nelle altre convenzioni esso è contemplato da una norma contenuta nello strumento principale (sia pure condizionata ad un’espressa accettazione), nell’ICCPR e nella conv. contro discriminazione femminile esso è contemplato in un protocollo addizionale, e nell’ICESCR e nella conv. sui dd. del minore non lo è affatto. Il primo protocollo dell’ICCPR prevede che sia azionato da individui che “pretendano di essere vittime di violazioni, commesse da quello stesso stato parte, di un qualsiasi diritto enunciato nel patto”. Tale condizione è attenuata se la vittima non sia in grado di inviare personalmente una comunicazione ed in più è previsto che in tale caso, se la vittima è un desaparecido o è impossibilitato a farlo, questa possa essere fatta da familiari.È una procedura a porte chiuse, anche se tutte le decisioni nel merito ed alcune di quelle di irricevibilità vengono pubblicate a fine anno nell’appendice del rapporto annuale del comitato dell’UNGA. Ex prassi si è trasformato in onere la facoltà dello stato di fornire spiegazioni, garantendo così il contraddittorio. Il comitato preliminarmente decide sull’ammissibilità della comunicazione: sua competenza, appartenenza della vittima a uno degli stati parte, violazione riguardi uno dei dd. tutelati dalla conv e che la stessa questione non sia, ex art.5.2 patto, “in corso di esame in base ad un’altra procedura internazionale di inchiesta o di regolamento pacifico” (ex riserva di molti paesi UE, tra cui l’Italia, anche se la procedura si sia conclusa) o, più in generale ex art. 44, di “procedura istituite nel campo

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dei dd.hh. ai sensi o sulla base degli strumenti costitutivi e delle convenzioni delle NNUU e degli istituti specializzati”, che sia avvenuta dopo la ratifica del patto, il previo esaurimento dei ricorsi interni (eccetto se la trattazione dei ricorsi subisca ingiustificati ritardi) con inversione della prova in quest’ultimo caso dalla vittima allo stato accusato. In assenza di norme espresse altresì si deve ammettere il contemporaneo avvio dei procedimenti avviati da individui e dagli stati, senza che il primo sia assorbito dal secondo. Sono irricevibili le comunicazioni anonime, abusive o incompatibili con le disposizioni del patto, che si riferiscano a fatti in tutta evidenza non contrastanti con le norme del tr. o che risultano “manifestamente infondate”.Se dichiarata ammissibile il comitato esamina la comunicazione nel merito e trasmette alle parte le proprie constatazioni, non vincolanti, contenenti una ricostruzione dei fatti, una pronuncia circa eventuali violazioni del patto e raccomandazioni allo stato circa l’adozione di misure riparatorie a carattere sia individuale che generale.Gli altri accordi prevedono un iter assai simile a quello sopra illustrato proprio del prot.add. ICCPR.

8. pregi del sistema di controllo basato sulle comunicazioni individuali È un meccanismo incisivo, confermato dalla facoltatività del suo ambito soggettivo dato il timore degli stati ad un suo utilizzo, specie poiché permette di superare il disinteresse governativo in tale materia. Ciò è confermato dall’altissimo numero di comunicazioni individuali.Vi sono differenze rilevanti con la procedura confidenziale: 1) circa l’oggetto del controllo mentre la procedura 1503 è relativa “a gross and systematic violations”, l’altra riguarda violazioni specifiche subite dagli autori della comunicazione senza estendersi alla situazione complessiva di cui la violazione singola è parte 2) circa il ruolo dell’individuo nella procedura, che nel primo caso è di mero “autore della segnalazione”, mentre nel secondo è di vero e proprio ricorrente 3) Ciò è confermato dal fatto che la seconda procedura mira anche ad una riparazione, mentre la prima unicamente ad accertare la violazione.Modalità di svolgimento del controllo è rigorosa ed imparziale, anche se gli organi si sono mostrati al quanto passivi, non prendendo mai l’iniziativa di compiere indagini sui fatti oggetto di comunicazione, né di tenere udienze (anche se tale ipotesi non è esclusa dagli accordi istitutivi). Contraltare di tale passività, che ha contribuito a ristabilire equità del sistema, è l’inversione dell’onere probatorio, ora gravante sullo stato, circa il previo esaurimento dei ricorsi interni nonché dei fatti oggetto della comunicazione. Questo tipo di procedimenti è del resto l’unico che permetta un contatto diretto tra comitato e base sociale degli stati (reso possibile dalla ratifica da parte di questi ultimi degli accordi istitutivi o dei protocolli annessi agli accordi istitutivi che prevedono tali comitati). Tale contatto è attenuato dalla passività degli organi e da un contatto fondato esclusivamente dalla corrispondenza scritta.L’esito della procedura è positivamente assai ampio, come le questioni in ordine alle quali il comitato si pronuncia. Le sue constatazioni, anche se non vincolanti, sono molto temute e sentite dagli stati, quasi fossero sentenze (e di fatto esse vengono pure pubblicate), e ciò grazie all’autorevolezza morale e giuridica che, pur non essendo organi intergovernativi, tali comitati hanno guadagnato. È difficilmente ipotizzabile, nel caso di reiterati comportamenti di uno stato in violazione delle raccomandazioni, un ricorso agli strumenti di d. internazionale generale, data la mancanza di un interesse governativo in materia. L’efficacia della procedura dipenderà quindi dall’interesse dato dagli stati di apparire gli occhi della Comunità come rispettosi del dd.hh.

9. procedura delle inchieste avviate motu proprio È un quarto meccanismo di controllo introdotto dalla conv. contro la tortura e successivamente, nel 1999, dal protocollo aggiuntivo alla conv. contro la discriminazione della donna (contemplante un meccanismo assai simile).Il comitato contro la tortura può avviare di sua iniziativa il procedimento quanto entri in possesso “di informazioni attendibili secondo cui la tortura sarebbe praticata in maniera sistematica” in uno stato parte, a patto che tale stato non abbia espressamente escluso la sua applicabilità in relazione a fatti accaduti sul proprio territorio (il che è avvenuto assai spesso determinando un applicabilità assai ridotta).

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Meccanismo, ispirato al criterio di confidenzialità, permette al comitato di raccogliere informazioni da altre fonti supplementari (individui, ONG…) rispetto alla versione fornita, su richiesta del comitato, dallo stato accusato. L’attività d’inchiesta potrà anche comprendere, dietro consenso ad hoc dello stato territoriale, l’effettuazione di visite di fact-finding in loco. Una volta terminata la commissione invia allo stato un rapporto in cui sono accertati i fatti e formulate raccomandazioni non vincolanti ed il cui contenuto può essere sinteticamente inserito nel rapporto annuale del comitato all’UNGA.Il fatto che sia avviato motu proprio è estremamente positivo, specie considerando il carattere di indipendenza del comitato che lo svolge. Grande debolezza della procedura risiede dalla non vincolatività del suo esito, acuita dal suo carattere confidenziale che esclude il correttivo risultante dalla pressione pubblica (rimanendo solo la possibilità della sintesi nel rapporto annuale).

10. il Sistema di prevenzione della tortura istituito dal protocollo aggiuntivo alla convenzione dell’84

In primis il protocollo prevede che siano effettuate visite in tutti i luoghi soggetti alla giurisdizione degli stati parte (è l’unica ipotesi di presenza in loco di un treaty body che non richieda un previo consenso ad hoc dello stato, mutuata dall’esperienza europea nel medesimo settore), da parte di una sottocommissione, composta da 10 membri in carica per 4 anni. Gli stati sono altresì soggetti ad una serie di obblighi di cooperazione tra cui: garantire l’accesso in tutti i luoghi di detenzione, fornire tutte le info su persone provate della libertà, consentire colloqui privati coi detenuti… tali visite sono seguite dalla stesura di un rapporto e dalla formulazione di raccomandazioni, che debbono essere tenuto in debita considerazione dagli stati a cui sono indirizzate. Nel caso di persistente mancanza di collaborazione, dietro richiesta del sotto comitato, il comitato può rendere la situazione oggetto di dichiarazione pubblica. Il rapporto resta confidenziale finché lo stato stesso non abbia deciso di pubblicarlo, anche se la prassi della pubblicazione oggi è assai diffusa.Per ultimo è previsto l’obbligo per gli stati che non ne fossero già in possesso, di creare entro un anno dall’entrata in vigore del protocollo negli stati in questione, dei “National preventive mechanisms”, precisando i loro req. minimi di competenza e caratteri.

11. pregi, difetti e limiti dei controlli giuridici. Sfera di applicazione circoscritta dai limiti soggettivi propri degli accordi istitutivi (non tutti che li prevedono tutti e 4) e dalla loro natura per lo più marcatamente opzionale.Problema del concreto avvio del controllo anche se in presenza di una pluralità di meccanismi applicabili. es. di fatto quello su iniziativa degli stati quasi mai adoperato, mentre più positivi gli altri.Problema delle fonti d’informazione: svolgimento dei procedimenti si basa sull’esame dei rapporti statali, spesso incompleti ed evasivi; procedura motu proprio vede le indagini in loco subordinate ad un previo consenso ad hoc dello stato, procedura individuale caratterizzata da passività comitato (anche se vi è un parziale riequilibrio con l’inversione prova).Il meccanismo dei rapporti periodici degli stati e delle comunicazioni individuali rispondono ad un duplice fine: favorire un miglioramento della situazione dei dd.hh. ex dialogo continuo con gli stati, formulare conclusioni su fatti specifici e promuovere misure di riparazione. Il loro raggiungimento dipenderà in buona parte dalla collaborazione statale, che potrà a sua volta essere influenzata dall’opinione pubblica e dalle ONG’s.

Capitolo IV DIRITTI UMANI E MISSIONI DI PACE

1. Protezione dei diritti umani e mantenimento della pace internazionale dopo la fine della guerra fredda

Tra i due vi è un collegamento espresso ex preambolo UNDHR, il quale però è rimasto lettera pressoché morta sino al ’90, grazie alla fine della guerra fredda (e dei veti). La nuova impostazione è enunciata nell’Agenda per la pace del 1992, elaborata dal UNSG e approvata dal UNGA, che vede la nozione di pace estesa da quella strategico-militare a sociale, risultato di uno sistema democratico

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e rispettoso dei dd.hh. ciò comporta l’utilizzabilità da parte degli organi ONU di tutti i mezzi previsti ex UN Ch. o prassi per il mantenimento dello pace al fine di conseguire il diverso scopo di proteggere diritti individuali. UNSC potrà considerare tali violazioni ex art.39 minacce alla pace. Si consideri come dagli anni ’90 le missioni di peace-keeping siano spesso state incaricate di svolgere attività di difesa sei dd.hh. in loco.

2. garanzia dei dd.hh. e operazioni di peace-keeping Oggetto di ampio dibattito è il loro fondamento giuridico: indipendentemente dalla loro riconducibilità alla carta, esso si trova nei poteri generali del UNSC in materia di mantenimento della pace ex. art. 24, piuttosto che nei capp. VI e VII. Pur essendo operazioni concepite ad hoc per affrontare crisi specifiche, esistono dei principi base comuni a tutte: 1) sono operazioni delle NNUU, condotte sotto il comando ed il controllo del UNSG 2) sono concepite ed attuate con il consenso delle parti in conflitto 3) sono imparziali, in quanto le forze ONU non possono servire gli interessi di una delle parti 4) utilizzano contingenti messi volontariamente a disposizione dagli stati 5) uso della forza limitato alla legittima difesa o la misure strettamente necessaria al perseguimento degli obbiettivi assegnati alla missione.Il contesto ed i fini di tali operazioni si sono modificati con il mutamento del contesto internazionale per cui oggi esse tendono ad assolvere una funzione di mero congelamento della situazione e sono parte di una strategia complessiva delle NNUU per il mantenimento ed il ripristino della pace in una determinata area. Per di più alle missioni più recenti sono state affidate, a differenza di prima, funzioni soprattutto interne, con un mutamento altresì del tipo di attività e conseguentemente della composizione del personale delle missioni, dove oggi non è più prevalente l’elemento militare. In seguito proprio a questi mutamenti ora si registra una maggiore attività di protezione dei dd.hh. grazie ad un’interpretazione ampia ed elastica dei possibili compiti da affidare a tali missioni.Le missioni di post-conflict peace building, che delle prime rappresentano una variante assai rilevante, possono avere obbiettivi assai ampi grazie all’Agenda for peace, che comprendono: “disarming previously warring parties and the restoration of the order, the custody and possible destruction of weapons, repatriating refugees, advisory and training support for security personnel, monitoring elections, advancing efforts to protect human rights, reforming or strengthening governmental institutions and promoting formal and informal processes of political participation.”

3. ONUSAL: operazione di peace building in El Salvador Basata sull’accordo di San Jose del 1990, la missione, nell’adempimento del mandato ricevuto (“chargé d’enquêter sur les droits de l’homme en El Salvador,…et de prendre toutes les mesures qu’elle juge appropriées pour promouvoir et protéger lesdits droits”) potrà ricevere comunicazioni, raccogliere info, godrà di piena libertà di movimento nel paese e di incontrare chiunque, potrà formulare raccomandazioni, collaborerà con gli organi di giustizia penale interna e realizzerà programmi di educazione e comunicazione nel campo dei dd.hh. i dd.hh che mira proteggere e promuovere sono sia quelli riconosciuto dal d. interno dello stato, che dagli accordi internazionali di cui El Salvador è parte, con specifico riguardo a quelli previsti dalle dichiarazioni e dai principi in materia dell’ONU e dell’Organizzazione degli stati americani. In un primo tempo l’obiettivo dell’ONUSAL, istituita nel’91, era semplicemente quello garantire il rispetto dei dd.hh. secondo quanto previsto dall’accordo di San Josè, di cui poi la Human Rights division, comprendente il HHRR observer e legal advisors, ne costituiva l’unica componente funzionale. La missione fa uso di una “systematic investigatory procedure”, articolata in più fasi comprendenti: “the receipt of complaints or the reporting of a violation on the mission’s own iniziative; the investigation of inquiry power ”; la chiusura del caso con una constatazione che la violazione non ci sia stata, o nel caso opposto, la formulazione di raccomandazioni (di riparazione e di porre fine alla situazione che ha originato la violazione) e l’esercizio dei good offices e powers of iniziative nei confronti degli organi di polizia e giudiziarii interni, finanche sostituendosi loro in attività tipiche. Si è in presenza di un’integrazione e di un affiancamento agli organi interni attraverso un’attività di controllo interno e quindi pur in assenza di una attività propriamente

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sostitutiva di attività di organi interni, siamo cmq di fronte ad attività statali vicarie di organi internazionali. Le attività di garanzia dei dd.hh. svolte dall’ONUSAL si collocano sul piano dei rapporti tra organi, all’interno dello stato, e di quello tra gli organi prestati alla sfera interna e gli individui, cioè in una sfera relazionale interindividuale. Il fatto che poi tale attività sia sostitutiva o meramente finalizzata a rinforzare l’azione degli organi interni dipende dalla situazione concreta e dal consenso delle parti. Nel caso di specie il governo e l’FMLN si impegnarono a collaborare con le NNUU nel quadro di una frase transitoria, per cui l’ONUSAL ebbe per lo più compiti di controllo interno piuttosto che di sostituzione.Ulteriore aspetto è relativo ai rapporti tra giustizia e pace: istituzione di due distinti organismi per far fronte all’esigenza di contrastare il fenomeno dell’impunità degli individui responsabili di atrocità nel corso della guerra civile: Ad Hoc Commission on the Purification of Armed Forces e Commission on the Truth. Quest’ultima fu incaricata di indagare sulle violazioni commesse tra l’82 e il 90 e di formulare raccomandazioni al governo e all’opposizione (queste ultime attuate solo in parte). Degno di merito è lo sforzo con cui in questo caso si è provveduto affinchè l’accertamento e la punizione di tali crimini non fossero sacrificati interamente alle esigenze di pacificazione nazionale.

4. UNTAC ( UN transitional authority for Cambodia ): l’ambiziosa operazione cambogiana Gli accordi di Parigi ’91, per un regolamento politico globale del conflitto della Cambogia, prevedono anch’essi lo svolgimento di attività statali vicarie in materia di dd.hh. da parte delle NNUU. Funzione della missione è favorire un ambiente in cui siano assicurati i dd.hh., specie attraverso: “la mise au point et l’application d’une programme d’éducation en matière de droits de l’homme; la surveillance générale pendant la période de transition, l’instruction des plaintes faisant état de violations et la prise de mesures pour mettre fin à ces violations”. I diritti da garantire sono quelli formulati nella UDHR e dagli “autres instruments relatifs aux droits de l’homme”. In più la Cambogia è obbligata ad aderire “aux instruments internationaux pertinents aux droits de l’homme” (obbligo dal contenuto positivo, ma troppo generico).Diverse sono poi le funzioni rispetto a quelle dell’ONUSAL. L’UNTAC ha un mandato molto più ampio comprensivo di 7 attività diverse: protezione dei dd.hh.(come l’ONUSAL), questioni militari, l’amministrazione civile, il mantenimento dell’ordine pubblico, la preparazione e lo svolgimento di libere elezioni, il ripristino delle principali infrastrutture del paese e il rimpatrio ed il reinserimento dei rifugiati. Diverse sono anche le modalità in cui operano le due missioni: il Cambogia la presenza di un collasso delle istituzioni statali ha reso obbligatorio per l’UNTAC lo svolgimento di attività in sostituzione agli organi interni, i quali, a differenza che nel Salvador, vengono più che affiancati rimpiazzati.Le altre missioni operative ONU contemporanee a queste due risultano meno sviluppate sotto il profilo dell’azione di garanzia dei dd.hh. Ci riferiamo della UNAVEM II in Angola, ex accordi di Bicesse del’91, e dell’ONUMOZ in Mozambico, ex accordi di Roma’92. Gli accordi in questione assegnano la gestione della fase di transizione post-conflitto ad organismi che necessitano di un consenso ad hoc di volta in volta da parte di tutte le parti coinvolte, che ha determinato il fallimento della missione angolana.

5. MICIVIH: missione di osservatori civili ad Haiti Questa missione, a composizione interamente civile e compiti attinenti esclusivamente alla materia dei dd.hh., presenta caratteristiche in parte diverse dalle operazioni ONU sopra esaminate. La vicenda di Haiti è complessa; comincia con il colpo di stato del’91 che ha rovesciato il pr. Aristide. La prima fase, che vede un primo dispiegamento limitato inviato dal SG ancor prima della UN res. autorizzante la missione, si esaurisce nel ’93 quando il personale ONU è costretto a lasciare l’isola. Nello stesso tempo l’UNSC decide l’invio di una seconda missione, l’UNMIH, con compiti di formazione della polizia e dell’esercito haitiano. L’atteggiamento di questi ultimi però impedisce il dispiegamento dell’UNMIH e causa la sospensione forzata del MICIVIH. Nella prima metà del ’94 vi è un graduale rientro solo delle MICIVIH, a cui fa seguito nel luglio dello stesso anno, una seconda forzata evacuazione. Ciò causa per la prima volta l’invio di una forza multinazionale da

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parte del UNSC ai sensi del Cap. VII della Carta, il quale gradualmente cederà i potere all’UNMIH, ed il ritorno del MICIVIH (che persisterà nel tempo) e del presidente deposto Aristide.Significative appaiono le differenze con le missioni cambogiana e salvadoregna: a) fondamento giuridico della missione: in mancanza di un accordo di pace, fondamento delle operazioni di peace building in Salvador e Cambodia, il consenso delle autorità territoriali (indispensabile per l’avvio della missione) è oggetto di uno scambio di note tra l’inviato speciale ONU, l’Organizzazione degli stati americani e le autorità militari di Haiti (essendo già acquisito il consenso del pr. esiliato). Il secondo rientro della MICIVIH avviene ex consenso della seconda amministrazione Aristide (insediatasi in maniera più stabile ex intervento forze multinazionali). b) Fondamento della MICIVIH è una ris. UNGA, a differenza della UNMIH in una del UNSC. Si è voluto distinguere i due obiettivi assegnandoli a due missioni separate: il mantenimento della pace all’UNMIH, il rispetto dei dd.hh. sull’isola al MICIVIH. Ciò comporta che a decidere d quest’ultima sarà l’UNGA. c) tipo di attività e poteri del MICIVIH: più simile a quella dell’ONUSAL, rispetto che a quella sostitutiva dell’UNTAC, il personale MICIVIH svolge un’attività di controllo interno del rispetto dei dd.hh., riconosciuti dalla costituzione di Haiti e dagli accordi internazionali che ha ratificato, attraverso poteri di: esaminare reclami, formulare raccomandazioni circa i rimedi alle violazioni, sollecitare info su azioni delle autorità statali a seguito di esse, visitare detenuti e avere con essi colloqui personali.

6. la verification mission in Guatemala (MINUGUA) Istituita dall’UNGA nel settembre ’94 in seguito alla ripresa dei negoziati tra governo e opposizione armata “Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca”(URNG), predispone l’invio di 250 osservatori per controllare il rispetto di due accordi, il “Comprehensive agreement on HHRR” e l’ “Agreement on the Establishment of the Commission to Clarify Past HHRR violations and Acts of Violence”. Processo di pace si consolida con l’ “Agreement on a Firm and Lasting Peace” del ’96 a cui l’UNSC accompagna l’invio di osservatori militari per verificare l’effettivo rispetto del cessate-il-fuoco. L’attività di Human rights verification si prolunga fino al 2004.L’attività di MINUGUA è disciplinata dal Comprehensive agreement on HHRR che la incarica di ricevere e seguire i “complaints” su HHRR violations; creare istituzioni statali che investighino autonomamente in conformità con la costituzione dello stato e norme internazionali sui ddhh; determinare se una violazione sia o meno avvenuta. A tale scopo la MINUGUA è dotata di una serie di poteri tra cui: libertà di movimento in tutta la nazione; di intervistare chiunque; visitare uffici governativi e gli accampamenti dell’opposizione senza necessità di previo avviso, raccogliere qualsiasi tipo di informazione necessaria per lo svolgimento del proprio mandato.Il modello è assai simile a quello dell’ONUSAL, con un’attività che affianca e rafforza quella degli organi interni senza sostituirvisi.La missione è stata caratterizzata da luci ed ombre: immenso è stato il lavoro svolto, ma anche se la situazione è migliorata questo non significa che si possa considerare ad oggi soddisfacente. Positiva è stata l’idea di creare una Transition Unit per attuare in Transition Programme comprensivo dell’addestramento dei cittadini allo svolgimento della medesima attività di controllo interno del rispetto dei dd.hh. positiva è altresì la creazione in Guatemala i un ufficio decentrato dell’UNCHR ed il trasferimento di alcune competenze della MINUGUA all’ufficio del nuovo HHRR Ombudsman. Aspetti negativi sono stati l’impossibilità per la Commission to Clarify Past HHRR violations and Acts of Violence di indicare individualmente gli autori delle violazioni, potendo solo descriverle collettivamente (anche se dettagliatamente), nonché il fatto ch molte delle raccomandazioni siano state ignorate dalle autorità del Guatemala.

7. capitolo VII della UNCh e dd.hh. a partire dagli anni ’90 il consiglio ha qualificato come “minaccia alla pace”, ex art. 39 (presupposto per l’uso della forza ex cap.VII), anche situazioni che prescindono dal rischio di un conflitto armato internazionale (presupposto unico ed originario) quali: emergenze umanitarie (condizioni che pregiudicano il godimento da parte di un numero elevato di persone del d. fondamentale di disporre di acqua, cibo, medicine…); violazioni gravi e sistematiche del d. umanitario e dei dd.hh.,

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genocidio. Si pone un altro problema circa il collegamento tra misure che il consiglio può adottare e dd.hh. Con rif. Alle sanzioni di tipo economico “generalizzate” ex art. 41 e agli effetti nefasti che possono causare, si noti come ora ad esse si vadano sostituendosi le c.d. sanzioni “intelligenti”. Altra questione riguarda l’ammissibilità dell’uso della forza ex art. 42 pure in mancanza di una ris. di autorizzazione del UNSC. Cfr. bombardamenti NATO in Bosnia e Serbia. Questo è stato definito come il “dilemma umanitario”.Ulteriore dilemma riguarda l’ammissibilità di una delega, ex ris. UNSC, ad uno o più stati per condurre un’azione militare allo scopo di proteggere i dd.hh.Per finire menzione meritano delle misure atipiche di recente creazione: istituzione di ad interim administrations e di tribunali penai internazionali quali strumento per porre fine all’impunità per gravi violazioni dei dd.hh.

8. UNMIK (UN mission in Kosovo): la interim administration delle NNUU in Kosovo Creata mediante ris UNSC 1244/1999 in seguito all’azione militare NATO contro la Serbia, allo scopo di favorire “substantial autonomy and self-government”, mediante un esercizio provvisorio del potere di governo sul territorio. Non è un operazione di peace-keeping né di peace-building poiché manca un consenso dello stato territoriale. Essa trova fondamento del cap. VII della Carta e viene imposta dal SC. La risoluzione predispone 4 pilastri affidati a 4 diversi organismi: 1) al UNCHR il rientro in sicurezza di rifugiati e sfollati 2) alle NNUU l’amministrazione civile del territorio 3) all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Eu) l’institution building pillar 4) all’UE il pilastro della ricostruzione economica.Tra le numerose missioni dell’UNMIK vi è anche la protezione e la promozione dei dd.hh. nel compimento dell’attività statale sostitutiva, particolarmente delicata specie nel primo momento. Viene anche creato un sistema di controllo interno, facente capo al Legal System Monitoring Section, a sua volta componente del Department of HHRR and Rules of Law dell’OCSE, per verificare il rispetto dei dd.hh. da parte dei membri della stessa missione nell’esercizio delle attività di governo svolte. Tale controllo è stato molto incisivo; ricordiamo i 15 rapporti pubblicati sino al 2006 od oggetto il rispetto dei dd.hh. da parte del sistema giudiziario Kosovaro, comprendenti altresì 200 raccomandazioni alle strutture competenti e dialoghi con essi nello svolgimento dei “buoni uffici”.Bisogna infine distinguere le attività svolte dall’UNMIK, rispetto a quelle del Comitato per i dd.hh: il primo dovrà applicare alla questione del rispetto dei dd.hh. le norme di d. interno, in quanto svolge attività statale vicaria; il Comitato invece dovrà applicare, nel verificare il rispetto dei dd.hh. da parte dell’attuale amministrazione del Kosovo, le norme contenute nel ICCPR, effettuando un attività internazionale in senso stretto avente ad oggetto treaty bodies.

9. missioni internazionali e diritti umani: tra consenso del sovrano territoriale e misure coercitive

riassunto in punti del capitolo finalità di proteggere i dd.hh. ricompresa, insieme a finalità diverse, nella nozione estesa di

mantenimento della pace ex prassi NNUU. Cfr. assorbimento nel fine generale di peace building (el Salvador) o di interim administration (Kosovo). Cfr. fine unico protezione dei dd.hh. (Haiti). Tra human rights division (nell’ambito di un missione più ampia) e human rights operation specifica non è possibile indicare in astratto il modello migliore per la protezione dei dd.hh. il sacrificio di questi a favore di una finalità globale di pacificazione dipende da scelte politiche piuttosto che dal modello scelto.

Fondamento giuridico della protezione dei dd.hh. condotte nel quadro delle operazioni di pace in senso lato: consenso di chi esercita la sovranità sul territorio. Cfr. prassi peace building/keeping operations che si fonda su un previo accordo con lo stato. Ex accordo l’ONU può inviare, ex ris UNGA, una missione operativa per perseguire il fine di proteggere i dd.hh. può invece variare la misura del consenso ad hoc di tutte le parti coinvolte in ordine ai singoli aspetti dell’operazione. In concreto le missioni di maggior

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successo sono quelle in cui il personale ONU ha agito con maggior libertà senza bisogno di consensi di volta in volta di tutte le parte in causa.

2 ipotesi di attività statali vicarie di organi internazionali: grave indebolimento/collasso delle istituzioni statali; regime fondato sulla violazione dei dd.hh. e dell’IHL. Solo nel primo caso le missioni potranno essere fondate sul consenso del governo, essendo difficilmente ipotizzabile tale consenso nel secondo caso. Cfr. Haiti, quando governata dalle autorità militari che avevano rovesciato il governo sono venuti meno i presupposti per portar a termine il mandato del MICIVIH, comportando l’autorizzazione del UNSC di un intervento armato. In seguito alla prospettiva di un imminente imbarco i militari hanno rassegnato le dimissioni permettendo la ripresa della MICIVIH, fondata sul consenso della nuova autorità. Il fondamento della MICIVIH è quindi anch’esso consensuale. Differente da tutte le altre operazioni è l’UNMIK, che ha come fondamento il cap. VII della Carta: ex accertamento del presupposto di una minaccia alla pace il SC ha deciso di creare un insediamento di un’amministrazione provvisoria internazionale, essendo impossibile creare una presenza internazionale su base consensuale. Il Kosovo rappresenta una misura coercitiva atipica, decisa dal UNSC ed attuata dalle NNUU ed altre OI’s (nel cui ambito complesso all’OCSE è stata affidata la tutela dei dd.hh.); mentre Haiti una tipica, autorizzata dal SC, ma attuata da una coalizione di stati avente come effetto quello di creare le condizioni per una successiva presenza consensuale delle NNUU e dell’OSA (nell’ambito della quale sono stati tutelati i dd.hh.).

Modalità di avvio e svolgimento delle attività di garanzia dei dd.hh. sono disciplinate dal’accordo e/o dalle risoluzioni che costituiscono il fondamento della missione. Sotto questo punto di vista si distinguono le attività vicarie propriamente sostitutive di attività di organi statali, che sono simile alle attività giur.li, leg.ve ed esec.ve interne, da quelle di appoggio o sostegno ad organi statali temporaneamente inadeguati, che svolgono un’attività di controllo interno. Le 2 possono anche svolgersi nell’ambito della stessa operazione (cfr. Kosovo).

Parametri giuridici sostanziali dell’attività vicaria: norme dei dd.hh. in quanto applicabili dal punto di vista dell’operatore giuridico interno, poiché gli organi internazionali dovranno tener conto dell’ambito interindividuale in cui vengono ad operare.

CAP. V DIRITTI UMANI E TRIBUNALI PENALI INTERNAZIONALI

1. Garanzia dei dd.hh. e cooperazione tra stati in materia penale Con la fine della guerra fredda vi è stato un rilancio della collaborazione interstatale, specie in materia penale, quale strumento di garanzia dei dd.hh. Resta cmq compito spettante in linea di massima all’ordinamento giuridico interno, fatta eccezione per quelle “gross violations”, ritenuti lesivi di valori universali, che la comunità internazionale ha interesse a punire. In questi casi il coinvolgimento dell’apparato statale tende di fatto a garantirne l’impunità. Viene superato il quadro esclusivamente statale in cui si realizza la garanzia attraverso in primis accordi e convenzioni internazionali. Questi possono imporre agli stati di esercitare la propria giurisdizione statale anche in assenza dei collegamenti giurisdizionali generalmente previsti, a meno che non venga accolta la richiesta di estradizione di un altro stato che intenda esercitare la propria (es. 4 conv. di Ginevra’49 e conv. contro la tortura’84). Altre contengono norme relative ad altri aspetti del funzionamento della giustizia penale statale con riferimento ai delicta juris gentium. Il pr. aut dedere aut judicare non sempre si rivela efficace; occorre introdurre norme interne ad hoc che adattino gli ordinamenti interni agli obblighi contenuti nelle norme internazionali in materia. Alcuni ostacoli derivano da norme di origine internazionale, come quelle in materia di immunità degli organi statali, non sempre coordinabili con l’obbligo di repressione dei delicta juris gentium.

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Da qui la decisione di creare tribunali penali internazionali con competenza concorrente rispetto agli organi giurisdizionali statali, in modo da poter aggirare gli ostacoli derivanti dalla mancanza di volontà politica dei singoli governi. La collaborazione tra stati diventa così da meramente giuridica anche istituzionale. Unici precedenti rispetto all’ICTY/R risultano essere il tribunale di Norimberga e quello di Tokyo, in quanto sono rimasta lettera morta la previsione di istituire un T.P.I. contenuta nella conv. contro il genocidio e in quella contro l’apartheid del’93.

2. istituzione dei tribunali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda Sono stati istituiti dal UNSC ex art. VII. In un primo momento il SC ha incaricato una comm.ne di inchiesta di indagare sulle violazioni di IHL, poi, alla luce del rapporto, ha adottato la ris. 808/93 nella quale considera il mancato accertamento di tali violazioni ed l’impunità dei colpevoli costituire una minaccia contro la pace. Analoga ris., la 955 del ‘94 ha istituito L’ICTR.È discutibile però la scelta del SC di considerare la minaccia alla pace presupposto per l’adozione di una misura specifica come la creazione di un organo competente all’esercizio di un’attività punitiva nei cfr di individui. C’è chi sostiene però che ciò sia conforme allo spirito del cap. VII, pur rimanendone una forzatura. Non è un motivo valido per opporsi a tale scelta addurre il fatto che in molte altre zone del globo con identiche situazioni la comunità internazionale non sia intervenuta altrettanto significativamente. Solleva qualche dubbio il nesso tra mantenimento della pace e protezione dei dd.hh. se si guarda verso il momento in cui i tribunali cesseranno di esistere. Anche se si è rivelato infondato il timore di vedere chiudere battenti ai tribunali in occasione di trattati di pace, stessa preoccupazione rimane a causa della completion strategy (data fissa in cui cessare attività imposta dal UNSC), forse dettata per motivi estranei all’effettivo completamento dell’opera di accertamento e punizione loro affidata. Ulteriore conseguenza dell’istituzione dei due tribunali è il venir meno del consenso degli stati più direttamente coinvolti. In verità però tale consenso pur mancando ad hoc, è presente in relazione a una serie di ipotesi contemplate in astratto il cui verificarsi sarà constato dall’organo internazionale competente. In oltre solo l’attività strettamente processuale si colloca su di un piano interindividuale, poiché gli statuti dei T.I. prevedono nei loro statuti, nella fase precedente e successiva caratterizzate da rapporti di collaborazione tra stati e tribunali, obblighi propriamente internazionali a carico di tutti gli stati delle NNUU.

3. le competenze dei T.P.I. ad hoc la loro competenza ratione materiae corrisponde al duplice fine di realizzare un’adeguata copertura ex individuazione di f.s. idonee dei crimini ritenuti commessi in tali zone, nonché di rispettare il pr. nullum crimen sine lege (sul quale era stata mossa la principale critica al processo di Norimberga). Per questo la competenza delle corti riguardano violazioni di IHL che siano “beyond any doubt part of costumary law”, vincolanti gli stati a prescindere dalla ratifica da parte di questi dei principali accordi in materia: infrazioni gravi delle Conv. di Ginevra,le violazioni delle leggi e degli usi di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità. Differenze tra i due statuti riguardano, oltre quella simbolica che l’ICTR colloca al primo posto il genocidio, la formulazione nella definizione dei crimini di guerra, legate alla natura dei 2 conflitti, misto quello jugoslavo (interno ed internazionale) e interno quello ruandese.Giurisdizione temporale: ICTY competente per i fatti successivi al 1/1/91, senza che sia fissato un termine finale; ICTR è limitato a quei fatti avvenuti tra il 1/1 e il 31/12 del 1994 (che ha comportato il voto contrario del Ruanda nel SC).Giurisdizione territoriale: ICTY con sede all’Aja, competente per quei crimini commessi in tutto il territorio dell’ex Jugoslavia, mentre l’ICTR, con sede ad Arusha, anche per crimini commessi negli stati vicini, purchè da cittadini ruandesi (necessario a causa della particolare area geo-politica teatro del genocidio).

4. il funzionamento dei tribunali penali internazionali ad hoc i tribunali svolgono attività giurisdizionali interindividuali sostitutive di quelle di regola svolte dai tribunali interni e di stati terzi che estendano la propria giurisdizione a certi delicta juris gentium. Tali attività, avviate dal Procuratore, che esercita l’azione penale sulla base di una notitia criminis, sono eventuali, nel senso che le giurisdizioni sono concorrenti (del TI e di quello statale).

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Ex principio della “primazia” però i primi possono avocare a sé processi per i quali si ritengano competenti, chiedendo al trib. statale di rinunciare a pronunciar visi o a rinviarli ad essi. L’ICTY/R in deroga al pr. del ne bis in idem, potranno altresì celebrare un nuovo processo su fatti già presi in esame da una corte nazionale se ritengono quest’ultimo inadeguato il funzionamento dei tribunali è subordinato da una collaborazione degli stati nelle fase antecedenti e successive al processo. Per quanto riguarda la prima, non essendo giudicabili gli imputati contumaci, spetterà agli stati arrestarli e trasferirli; in oltre per quelli nel cui territorio sono avvenuti i crimini sarà essenziale la messa a disposizione degli elementi di prova. Nella fase post-sentenza sarà sempre necessaria la collaborazione, visto che le pene inflitte verranno scontate in uno stato designato dagli stessi tribunali tra quelli stati che avranno dato il loro consenso. Tale collaborazione, per quanto riguarda gli stati ONU, non è rimessa ad una loro buona volontà essendo questa oggetto di obblighi precisi fondati sui poteri del SC ex cap. VII. I due statuti di fatti impongono agli stati ONU di dare seguito senza indugio a ogni richiesta di assistenza proveniente dai due tribunali, comprese le ordinanza riguardanti l’identificazione e l’ubicazione di documenti, l’arresto e la detenzione di persone, la consegna o il trasferimento degli imputati.

5. ruolo complessivo svolto dai tribunali penai internazionali ad hoc la scelta di istituire tali T.I. attraverso misure di tipo coercitivo prescindendo dal consenso delle autorità territoriali è dettata dall’indisponibilità di queste ultime, coinvolte a vario titolo nelle stesse violazioni, a collaborare con le NNUU. Ex carattere vincolante delle ris. UNSC tutti gli stati ONU sono stati costretti a collaborare con i tribunali nei modi specificati dai loro statuti, senza necessità di esprimere una volontà di obbligarsi divenendo parte dell’accordo. Due sono le caratteristiche/limiti di tali tribunali: 1) sono stati creati ad hoc: con riferimento a determinate situazioni concrete e non ad altre 2) creati post factum: in un momento successivo ai fatti che ne hanno reso necessaria l’istituzione. Ciò ha reso evidente l’utilità di creare un T.P.I. permanente.

6. nascita della Corte Penale InternazionalePrimi propositi risalgono alla fine della 2WW, quando si tentò di codificare i pr. di Norimberga, i quali però furono accantonati. Furono ripresi su invito dell’UNGA, dalla commissione di d. internazionale, che in tempi rapidi completò tra il 93-94 il progetto di Statuto di “istituzione penale internazionale”. Il progetto è stata la base dei lavori di un ad hoc Working Group e di un Comitato preparatorio per l’istituzione di una c.p.i.. quest’ultimo è stato a sua volta base di partenza dei lavori della Conferenza diplomatica di Roma 16/6 e 17/7 del 1998, conclusasi con l’adozione dello Statuto della C.P.I.A differenza dei T.I. ad hoc, la C.P.I. è stata istituita utilizzando lo strumento dell’accordo multilaterale., scartando altre ipotesi al tempo avanzate (es. ex emendamento alla UN Ch. inserendo il C.P.I. fra gli organi principali dell’ONU, abbandonato a causa della complessità della procedura di modifica; ex ris. UNGA, ma appare palesemente essere strumento inadeguato; ris. UNSC, ma un tribunale permanente, a differenza di quelli ad hoc, ha un obiettivo slegato dall’accertamento di una minaccia alla pace in una o più situazioni specifiche).Il tr. istitutivo della Corte è entrato in vigore nel 7/2002. Nel frattempo sono stati portati a compimento gli adempimenti indispensabili al suo funzionamento quali l’elaborazione del Regolamento di procedura e prova e di un documento sugli elementi costitutivi dei crimini, quale ausilio per la corte nell’interpretazione ed applicazione delle f.s. criminali contemplate nello statuto (ex. art 9), nonché la nomina dei giudici e del procuratore, completando l’organizzazione della corte.Tre sono state le prime indagini avviate dal procuratore: sull’Uganda, sulla R.D. del Congo, sulla regione sudanese del Darfur (le prime due oggetto di un defferal statale, la terzo di un rinvio da parte del SC mediante la ris. 1593/05). Ulteriore defferal statale che il procuratore ha valutato di aprire riguarda la Repubblica Centroafricana, nel 2008.

7. il carattere complementare della corte rispetto alle giurisdizioni statali

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Come i T.I. ad hoc anche la C.P.I. subentra ai tribunali statali nell’accertamento e la punizione dei crimini solo a determinate condizioni. Il rapporto di complementarietà è oggetto dell’art.17 dello Statuto, in base al quale la corte dichiara l’improcedibilità in tre casi: a) sullo stesso caso siano in corso indagini o sia stata esercitata azione penale da uno stato, a meno che questo non risulti essere “unable or unwilling” nel portare avanti le indagini o l’azione penale b) sullo stesso caso siano state svolte le indagini da uno stato che abbia poi deciso di non esercitare l’azione penale, purchè ciò non sia il frutto di un “unwillingness or inability” c) ex pr. del ne bis in idem (ex art 20), se la persona è già stata giudicata per la condotta oggetto della denuncia. La procedura d’improcedibilità è oggetto dell’art. 18: qualora uno stato abbia informato la corte del fatto che stia conducendo le indagini attinenti a fatti riferitigli dal procuratore, quest’ultimo deve sospendere le proprie (salvo che la camera preliminare non lo autorizzi a proseguirle); ogni 6 mesi, o ogni volta che vi siano stati significativi mutamenti, la sospensione sarà oggetto di revisione ed in più il procuratore potrà richiedere al Pre-trial Chamber il permesso per compiere indagini necessarie allo scopo di preservare prove irripetibili o soggette al rischio di divenire in futuro indisponibili.

8. competenza ratione materiae e ratione temporis e meccanismi di attribuzione della giurisdizione soggettiva della corte

competenza ratione materiae: ex art. 5 competente per i crimini di: genocidio, contro l’umanità, di guerra, di aggressione. I primi tre sono definiti espressamente dagli artt. 6-8, mentre, mancando per ora una definizione di aggressione, la corte eserciterà la sua giurisdizione solo quando tale definizione verrà introdotta nello Statuto mediante emendamento o revisione. La definizione del genocidio ex art. 6 riprende quella contenuta nell’omonima convenzione. Molto lunghe invece le altre due definizioni. Esse sono considerate essere più ampie cmq delle corrispondenti nozioni di d. internazionale generale.Competenza ratione temporis: ex art.11 solo per i crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello statuto o dalla data della successiva ratifica da parte degli stati non facenti parte degli originari firmatari.Giurisdizione soggettiva: ex art.12 la corte sarà competente solo a condizione che vi sia il consenso dello stato sul cui territorio sono avvenuti i fatti criminosi, o dello stato nazionale dell’accusato. Il consenso potrà esprimersi in via generale e preventiva, ex ratifica dello statuto, o ad hoc, mediante dichiarazione relativa al singolo procedimento se lo stato non è parte dello statuto. Vi furono tre proposte durante la conferenza ad oggetto tale consenso: a) britannica: necessità del consenso sia dello stato sul cui territorio era stato commesso il crimine che di quello della nazionalità dell’accusato, ma il consenso dello stato territoriale avrebbe reso difficile l’attribuzione di giurisdizione b) tedesca: giurisdizione universale, svincolata dal consenso degli stati collegati con i fatti criminosi, ma solo dell’avvio del procedimento nelle forme stabilite nello statuto, fallita perché troppo innovativa c) coreana: sufficiente uno dei possibili 4 links: stato territoriale, stato di detenzione, stato nazionale dell’accusato, stato nazionale della vittima; ha il pregio di offrire un ampio ventaglio. Alla fine è stata accolta una soluzione di compromesso: i link dello stato territoriale o di quello nazionale dell’accusato (di per sé meno soddisfacente ma compensata dal fatto che l’accettazione della giurisdizione sia conseguenza automatica della ratifica). Unico residuo del meccanismo di accettazione ad hoc è il sistema di opting out, previsto da una norma transitoria (l’art. 124), per i crimini di guerra commessi da propri cittadini o sul proprio territorio, che consente di escluderli dalla giurisdizione della corte per un periodo di sette anni a partire dalla data di ratifica dello statuto.

9. l’avvio del procedimento il progetto della commissione di d. internazionale prevedeva che la necessità di un ricorso da parte di stati determinati: gli stati prestavano la loro accettazione ad hoc in relazione alle singole ipotesi di crimine, si stabiliva poi l’avvio del procedimento, avviato dal ricorso di uno di tali stati.La conferenza diplomatica allarga in ventaglio a tre ipotesi: a) avvio da parte di uno o più stati parte, avente ad oggetto non specifiche ipotesi di crimine, bensì situazioni nell’ambito delle quali si ritiene che siano stati commessi crimini rientranti nella giurisdizione della corte (sarà poi il

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Prosecutor a formulare accuse specifiche nei cfr. di individui determinati) b) deferral del UNSC c) avvio motu proprio da parte del general Prosecutor.

10. i rapporti fra corte e consiglio di sicurezza il UNSC può avviare il procedimento “acting under chapter VII of the UNCh.”, con un limite quindi ulteriore rispetto ai referrals statali: dovrà inerire al contesto dell’art.39 UNCh. Incompatibile con l’idea di una C.P.I. realmente indipendente è l’attribuzione al SC di un potere di sospensione delle indagini del procuratore per un anno nel caso in cui la Corte si debba occupare di crimini commessi nel quadro di situazioni poste all’ordine del giorno del consiglio. Tale richiesta dovrà essere contenuta in una ris. adottata ex cap.VII (a maggioranza qualificata con voto favorevole di tutti i membri permanenti). Suona migliore della proposta originaria, che prevedeva una vera e propria autorizzazione preventiva del consiglio ogni volta che i crimini su cui voleva indagare la corte, riguardassero situazioni all’ordine del giorno del UNSC. La conferenza ha rovesciato tale meccanismo, finendo per far giocare il potere di veto a favore dell’attribuzione di competenza alla corte.

11. C.P.I., elemento di chiusura del sistema di garanzia dei dd.hh. Il sistema della C.P.I. nasce con significative limitazioni quali: a) quella relativa ai link giurisdizionali b) potere di sospensione del SC. Vi sono però anche elementi positivi, come la possibilità per il procuratore di avviare il procedimento motu proprio.Il successo della corte in concreto però dipenderà dall’atteggiamento degli stati. 2 sono gli ostacoli ipotizzabili: a) che gli stati che hanno ratificato lo statuto poi adeguino i loro ordinamenti interni in vista dell’adempimento degli obblighi imposti dallo statuto stesso (criticabile a riguardo la posizione dell’Italia, la quarta a ratificare, ma che non ha ancora adeguato il suo ordinamento) b) opposizione degli stati non parti dello statuto (specie gli USA, che hanno esso in atto una strategia contro la C.P.I: attraverso accordi bilaterali finalizzati ad impedire l’eventuale consegna di cittadini americani da parte degli stati membri, i Bilateral Immunity Agreements e nel 2002 con la ris. 1422, con la quale si proclama l’immunità per 12 mesi dalla giurisdizione della corte per i cittadini di stati non parte dello statuto impegnati in missioni internazionali delle NNUU o autorizzate dalle NNUU).Il sistema di garanzie di dd.hh. è così completato e si articola in più livelli: 1) garanzia interna dei dd. internazionalmente riconosciuti 2) meccanismi, per lo più sussidiari alla garanzia interna, appartenenti alla categoria dei controlli internazionali (rafforzati poi dal contributo di ONG’s) 3) accertamento dei crimini internazionali dell’individuo ad opera di T.P.I. L’attività della CPI e dei tribunali ad hoc si colloca là dove né la garanzia interna, né i controlli internazionali hanno dato risultati soddisfacenti. La C.P.I. resta un rimedio eccezionale, in quanto destinata ad occuparsi di un numero limitato di casi colmando le lacune della giurisdizione statale. È l’elemento di chiusura del sistema per fare sì che gli autori di tali crimini non restino impuniti.