Antologia

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Antologia Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Eugenio Montale

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Montale Eugenio

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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale

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Edizioni di riferimentoG. Bicci - M. Romanelli, Letteratura italiana, 8/Il Novecento, Firenze, G.D’Anna

DesignGraphiti, Firenze

ImpaginazioneThèsis, Firenze-Milano

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3Op. Grande biblioteca della letteratura italiana

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Antologia

Sommario

Ossi di seppia ..................................................... 5I limoni ......................................................... 5

. Falsetto .......................................................... 7Quasi una fantasia .......................................... 9Non chiederci la parola che squadri da ogni lato ...10Meriggiare pallido e assorto .......................... 11Non rifugiarti nell’ombra ............................ 12Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua ..... 13Mia vita, a te non chiedo lineamenti ............ 14Portami il girasole ch’io lo trapianti .............. 15Spesso il male di vivere ho incontrato ........... 16Ciò che di me sapeste ................................... 17Gloria del disteso mezzogiorno .................... 18Il canneto rispunta i suoi cimelli ................... 19Forse un mattino andando in un’aria di vetro ... 20Cigola la carrucola del pozzo ........................ 21Fine dell’infanzia .......................................... 22L’agave sullo scoglio. Scirocco ...................... 26Arsenio ........................................................ 27

Le Occasioni .................................................... 29Dora Markus ............................................... 29La casa dei doganieri .................................... 31Sotto la pioggia ........................................... 32Barche sulla Marna ...................................... 33Notizie dall’Amiata ..................................... 35

La bufera e altro ............................................... 36La bufera ..................................................... 36La primavera hitleriana................................. 37L’anguilla ..................................................... 39

Satura ............................................................... 40Xenia (I) ...................................................... 40La storia (Parti 1-2) ...................................... 42

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Eugenio Montale Ossi di seppia

.Ossi di seppia

I limoni

Ascoltami, i poeti laureatisi muovono soltanto fra le piantedai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosifossi dove in pozzangheremezzo seccate agguantano i ragazziqualche sparuta anguilla:le viuzze che seguono i ciglioni,discendono tra i ciuffi delle cannee mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccellisi spengono inghiottite dall’azzurro:più chiaro si ascolta il susurrodei rami amici nell’aria che quasi non si muove,e i sensi di quest’odoreche non sa staccarsi da terrae piove in petto una dolcezza inquieta.Qui delle divertite passioniper miracolo tace la guerra,qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezzaed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le coses’abbandonano e sembrano vicinea tradire il loro ultimo segreto,talora ci si aspettadi scoprire uno sbaglio di Natura,il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,il filo da disbrogliare che finalmente ci mettanel mezzo di una verità.Lo sguardo fruga d’intorno,la mente indaga accorda disuniscenel profumo che dilagaquando il giorno più languisce.

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Eugenio Montale Ossi di seppia

Sono i silenzi in cui si vedein ogni ombra umana che si allontanaqualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il temponelle città rumorose dove l’azzurro si mostrasoltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.La pioggia stanca la terra, di poi; s’affoltail tedio dell’inverno sulle case,la luce si fa avara – amara l’anima.Quando un giorno da un malchiuso portonetra gli alberi di una corteci si mostrano i gialli dei limoni;e il gelo del cuore si sfa,e in petto ci scroscianole loro canzonile trombe d’oro della solarità.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Falsetto

Esterina, i vent’anni ti minacciano,grigiorosea nubeche a poco a poco in sé ti chiude.Ciò intendi e non paventi.Sommersa ti vedremonella fumea che il ventolacera o addensa, violento.Poi dal fiotto di cenere usciraiadusta più che mai,proteso a un’avventura più lontanal’intento viso che assembral’arciera Diana.Salgon i venti autunni,t’avviluppano andate primavere;ecco per te rintoccaun presagio nell’elisie sfere.Un suono non ti rendaqual d’incrinata broccapercossa!; io prego siaper te concerto ineffabiledi sonagliere.

La dubbia dimane non t’impaura.Leggiadra ti distendisullo scoglio lucente di salee al sole bruci le membra.Ricordi la lucertolaferma sul masso brullo;te insidia giovinezza,quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.L’acqua è la forza che ti tempra,nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo,come un’equorea creaturache la salsedine non intaccama torna al lito più pura.

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Hai ben ragione tu! Non turbaredi ubbie il sorridente presente.La tua gaiezza impegna già il futuroed un crollar di spalledirocca i fortilizîdel tuo domani oscuro.T’alzi e t’avanzi sul ponticelloesiguo sopra il gorgo che stride:il tuo profilo s’incidecontro uno sfondo di perla.Esiti a sommo del tremuloasse,poi ridi, e come spiccata da un ventot’abbatti fra le bracciadel tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razzadi chi rimane a terra.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Quasi una fantasia

Raggiorna, lo presentoda un albore di frustoargento alle pareti:lista un barlume le finestre chiuse.Torna l’avvenimentodel sole e le diffusevoci, i consueti strepiti non porta.

Perché? Penso ad un giorno d’incantesimoe delle giostre d’ore troppo ugualimi ripago. Traboccherà la forzache mi turgeva, incosciente mago,da grande tempo. Ora m’affaccerò,subisserò alte case, spogli viali.

Avrò di contro un paese d’intatte nevima lievi come viste in un arazzo.Scivolerà dal cielo bioccoso un tardo raggio.Gremite d’invisibile luce selve e collinemi diranno l’elogio degl’ilari ritorni.

Lieto leggerò i nerisegni dei rami sul biancocome un essenziale alfabeto.Tutto il passato in un puntodinanzi mi sarà comparso.Non turberà suono alcunoquest’allegrezza solitaria.Filerà nell’ariao scenderà s’un palettoqualche galletto di marzo.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

Non chiederci la parola che squadri da ogni latol’animo nostro informe, e a lettere di fuocolo dichiari e risplenda come un crocoperduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,agli altri ed a se stesso amico,e l’ombra sua non cura che la canicolastampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assortopresso un rovente muro d’orto,ascoltare tra i pruni e gli sterpischiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la vecciaspiar le file di rosse formichech’ora si rompono ed ora s’intreccianoa sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitarelontano di scaglie di marementre si levano tremuli scricchidi cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbagliasentire con triste meravigliacom’è tutta la vita e il suo travaglioin questo seguitare una muragliache ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Eugenio Montale Ossi di seppia

Non rifugiarti nell’ombra

Non rifugiarti nell’ombradi quel fólto di verzuracome il falchetto che strapiombafulmineo nella caduta.

È ora di lasciare il cannetostento che pare s’addormae di guardare le formedella vita che si sgretola.

Ci muoviamo in un pulviscolomadreperlaceo che vibra,in un barbaglio che invischiagli occhi e un poco ci sfibra.

Pure, lo senti, nel gioco d’aride ondeche impigra in quest’ora di disagionon buttiamo già in un gorgo senza fondole nostre vite randage.

Come quella chiostra di rupiche sembra sfilacciarsiin ragnatele di nubi;tali i nostri animi arsi

in cui l’illusione bruciaun fuoco pieno di ceneresi perdono nel serenodi una certezza: la luce.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpidascorta per avventura tra le petraie d’un greto,esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua,o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenuae recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigiesommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma,e che il tuo aspetto s’insinua nella mia memoria grigiaschietto come la cima d’una giovinetta palma...

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Mia vita, a te non chiedo lineamenti

Mia vita, a te non chiedo lineamentifissi, volti plausibili o possessi.Nel tuo giro inquieto ormai lo stessosapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vileraro è squassato da trasalimenti.Così suona talvolta nel silenziodella campagna un colpo di fucile.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Eugenio Montale Ossi di seppia

Portami il girasole ch’io lo trapianti

Portami il girasole ch’io lo trapiantinel mio terreno bruciato dal salino,e mostri tutto il giorno agli azzurri specchiantidel cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,si esauriscono i corpi in un fluiredi tinte: queste in musiche. Svanireè dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conducedove sorgono bionde trasparenzee vapora la vita quale essenza;portami il girasole impazzito di luce.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato:era il rivo strozzato che gorgoglia,era l’incartocciarsi della fogliariarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Ciò che di me sapeste

Ciò che di me sapestenon fu che la scialbatura,la tonaca che rivestela nostra umana ventura.

Ed era forse oltre il telol’azzurro tranquillo;vietava il limpido cielosolo un sigillo.

O vero c’era il falòticomutarsi della mia vita,lo schiudersi d’un’ignitazolla che mai vedrò.

Restò così questa scorzala vera mia sostanza;il fuoco che non si smorzaper me si chiamò: l’ignoranza.

Se un’ombra scorgete, non èun’ombra – ma quella io sono.Potessi spiccarla da me,offrirvela in dono.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Gloria del disteso mezzogiorno

Gloria del disteso mezzogiornoquand’ombra non rendono gli alberi,e più e più si mostrano d’attornoper troppa luce, le parvenze, falbe.

Il sole, in alto, – e un secco greto.Il mio giorno non è dunque passato:l’ora più bella è di là dal murettoche rinchiude in un occaso scialbato.

L’arsura, in giro; un martin pescatorevolteggia s’una reliquia di vita.La buona pioggia è di là dallo squallore,ma in attendere è gioia più compita.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Il canneto rispunta i suoi cimelli

Il canneto rispunta i suoi cimellinella serenità che non si ragna:l’orto assetato sporge irti ramellioltre i chiusi ripari, all’afa stagna.

Sale un’ora d’attesa in cielo, vacua,dal mare che s’ingrigia.Un albero di nuvole sull’acquacresce, poi crolla come di cinigia.

Assente, come manchi in questa plagache ti presente e senza te consuma:sei lontana e però tutto divagadal suo solco, dirupa, spare in bruma.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Forse un mattino andando in un’aria di vetro

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gittoalberi case colli per l’inganno consueto.Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zittotra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Cigola la carrucola del pozzo

Cigola la carrucola del pozzo,l’acqua sale alla luce e vi si fonde.Trema un ricordo nel ricolmo secchio,nel puro cerchio un’immagine ride.Accosto il volto a evanescenti labbri:si deforma il passato, si fa vecchio,appartiene ad un altro...Ah che già stridela ruota, ti ridona all’atro fondo,visione, una distanza ci divide.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Fine dell’infanzia

Rombando s’ingolfavadentro l’arcuata ripaun mare pulsante, sbarrato da solchi,cresputo e fioccoso di spume.Di contro alla foced’un torrente che straboccavail flutto ingialliva.Giravano al largo i grovigli dell’alighee tronchi d’alberi alla deriva.

Nella conca ospitaledella spiaggianon erano che poche casedi annosi mattoni, scarlatte,e scarse capellaturedi tamerici pallidepiù d’ora in ora; stente creatureperdute in un orrore di visioni.Non era lieve guardarleper chi leggeva in quelleapparenze malfidela musica dell’anima inquietache non si decide.

Pure colline chiudevano d’intornomarina e case; ulivi le vestivanoqua e là disseminati come greggi,o tenui come il fumo di un casaleche veleggila faccia candente del cielo.Tra macchie di vigneti e di pinete,petraie si scorgevanocalve e gibbosi dorsidi collinette: un uomoche là passasse ritto s’un muletto

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nell’azzurro lavato era stampatoper sempre – e nel ricordo.

Poco s’andava oltre i crinali prossimidi quei monti; varcarli pur non osala memoria stancata.So che strade correvano su fossiincassati, tra garbugli di spini;mettevano a radure, poi tra botri,e ancora dilungavanoverso recessi madidi di muffe,d’ombre coperti e di silenzi.Uno ne penso ancora con meravigliadove ogni umano impulsoappare seppellitoin aura millenaria.Rara diroccia qualche bava d’ariasino a quell’orlo di mondo che ne strabilia.

Ma dalle vie del monte si tornava.Riuscivano queste a un’instabilevicenda d’ignoti aspettima il ritmo che li governa ci sfuggiva.Ogni attimo bruciavanegl’istanti futuri senza tracce.Vivere era ventura troppo nuovaora per ora, e ne batteva il cuore.Norma non v’era,solco fisso, confronto,a sceverare gioia da tristezza.Ma riaddotti dai viottolialla casa sul mare, al chiuso asilodella nostra stupita fanciullezza,rapido rispondevaa ogni moto dell’anima un consensoesterno, si vestivano di nomile cose, il nostro mondo aveva un centro.

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Eravamo nell’età verginalein cui le nubi non sono cifre o siglema le belle sorelle che si guardano viaggiare.D’altra semenza uscitad’altra linfa nutritache non la nostra, debole, pareva la natura.In lei l’asilo, in leil’estatico affisare; ella il portentocui non sognava, o a pena, di raggiungerel’anima nostra confusa.Eravamo nell’età illusa.

Volarono anni corti come giorni,sommerse ogni certezza un mare floridoe vorace che dava ormai l’aspettodubbioso dei tremanti tamarischi.Un’alba dové sorgere che un rigodi luce su la sogliaforbita ci annunziava come un’acqua;e noi certo corremmoad aprire la portastridula sulla ghiaia del giardino.L’inganno ci fu palese.Pesanti nubi sul torbato mareche ci bolliva in faccia, tosto apparvero.Era in aria l’attesadi un procelloso evento.Strania anch’essa la plagadell’infanzia che esploraun segnato cortile come un mondo!Giungeva anche per noi l’ora che indaga.La fanciullezza era morta in un giro a tondo.

Ah il giuoco dei cannibali nel canneto,i mustacchi di palma, la raccoltadeliziosa dei bossoli sparati!

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Volava la bella età come i barchetti sul filodel mare a vele colme.Certo guardammo muti nell’attesadel minuto violento;poi nella finta calmasopra l’acque scavatedové mettersi un vento.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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L’agave sullo scoglio. Scirocco

O rabido ventare di sciroccoche l’arsiccio terreno gialloverdebruci;e su nel cielo pienodi smorte lucitrapassa qualche bioccodi nuvola, e si perde.Ore perplesse, brividid’una vita che fuggecome acqua tra le dita;inafferrati eventi,luci – ombre, commovimentidelle cose malferme della terra;oh alide ali dell’ariaora son iol’agave che s’abbarbica al crepacciodello scoglioe sfugge al mare da le braccia d’algheche spalanca ampie gole e abbranca rocce;e nel fermentod’ogni essenza, coi miei racchiusi bocciche non sanno più esplodere oggi sentola mia immobilità come un tormento.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Arsenio

I turbini sollevano la polveresui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzideserti, ove i cavalli incappucciatiannusano la terra, fermi innanziai vetri luccicanti degli alberghi.Sul corso, in faccia al mare, tu discendiin questo giornoor piovorno ora acceso, in cui par scattia sconvolgerne l’oreuguali, strette in trama, un ritornellodi castagnette.

È il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.Discendi all’orizzonte che sovrastauna tromba di piombo, alta sui gorghi,più d’essi vagabonda: salso nembovorticante, soffiato dal ribelleelemento alle nubi; fa che il passosu la ghiaia ti scricchioli e t’inciampiil viluppo dell’alghe: quell’istanteè forse, molto atteso, che ti scampidal finire il tuo viaggio, anello d’unacatena, immoto andare, oh troppo notodelirio, Arsenio, d’immobilità...

Ascolta tra i palmizi il getto tremulodei violini, spento quando rotolail tuono con un fremer di lamierapercossa; la tempesta è dolce quandosgorga bianca la stella di Canicolanel cielo azzurro e lunge par la serach’è prossima: se il fulmine la incidedirama come un albero preziosoentro la luce che s’arrosa: e il timpanodegli tzigani è il rombo silenzioso.

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Eugenio Montale Ossi di seppia

Discendi in mezzo al buio che precipitae muta il mezzogiorno in una nottedi globi accesi, dondolanti a riva, –e fuori, dove un’ombra sola tienemare e cielo, dai gozzi sparsi palpital’acetilene –finché goccia trepidoil cielo, fuma il suolo che s’abbevera,tutto d’accanto ti sciaborda, sbattonole tende molli, un frùscio immenso radela terra, giù s’afflosciano stridendole lanterne di carta sulle strade.

Così sperso tra i vimini e le stuoiegrondanti, giunco tu che le radicicon sé trascina, viscide, non maisvelte, tremi di vita e ti protendia un vuoto risonante di lamentisoffocati, la tesa ti ringhiottedell’onda antica che ti volge; e ancoratutto che ti riprende, strada porticomura specchi ti figge in una solaghiacciata moltitudine di morti,e se un gesto ti sfiora, una parolati cade accanto, quello è forse, Arsenio,nell’ora che si scioglie, il cenno d’unavita strozzata per te sorta, e il ventola porta con la cenere degli astri.

Da:Eugenio Montale, Ossi di seppia, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Eugenio Montale Le occasioni

Le Occasioni

Dora Markus

I

Fu dove il ponte di legnomette a Porto Corsini sul mare altoe rari uomini, quasi immoti, affondanoo salpano le reti. Con un segnodella mano additavi all’altra spondainvisibile la tua patria vera.Poi seguimmo il canale fino alla darsenadella città, lucida di fuliggine,nella bassura dove s’affondavauna primavera inerte, senza memoria.

E qui dove un’antica vitasi screzia in una dolceansietà d’Oriente,le tue parole iridavano come le scagliedella triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensareagli uccelli di passo che urtano ai farinelle sere tempestose:è una tempesta anche la tua dolcezza,turbina e non appare,e i suoi riposi sono anche più rari.

Non so come stremata tu resistiin questo lagod’indifferenza ch’è il tuo cuore; forseti salva un amuleto che tu tienivicino alla matita delle labbra,al piumino, alla lima: un topo bianco,d’avorio; e così esisti!

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Eugenio Montale Le occasioni

II

Ormai nella tua Carinziadi mirti fioriti e di stagni,china sul bordo sorveglila carpa che timida abboccao segui sui tigli, tra gl’irtipinnacoli le accensionidel vespro e nell’acque un avvampodi tende da scali e pensioni.

La sera che si protendesull’umida conca non portacol palpito dei motoriche gemiti d’oche e un internodi nivee maioliche diceallo specchio annerito che ti vidediversa una storia di erroriimperturbati e la incidedove la spugna non giunge.

La tua leggenda, Dora!Ma è scritta già in quegli sguardidi uomini che hanno fedinealtere e deboli in grandiritratti d’oro e ritornaad ogni accordo che esprimel’armonica guasta nell’orache abbuia, sempre più tardi.

E scritta là. Il sempreverdealloro per la cucinaresiste, la voce non muta.Ravenna è lontana, distillaveleno una fede feroce.Che vuole da te? Non si cedevoce, leggenda o destino...Ma è tardi, sempre più tardi.

Da:Eugenio Montale, Le Occasioni, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Eugenio Montale Le occasioni

La casa dei doganieri

Tu non ricordi la casa dei doganierisul rialzo a strapiombo sulla scogliera:desolata t’attende dalla serain cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensierie vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie murae il suono del tuo riso non è più lieto:la bussola va impazzita all’avventurae il calcolo dei dadi più non torna.Tu non ricordi; altro tempo frastornala tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontanala casa e in cima al tetto la banderuolaaffumicata gira senza pietà.Ne tengo un capo; ma tu resti solané qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accenderara la luce della petroliera!Il varco è qui? (Ripullula il frangenteancora sulla balza che scoscende...)Tu non ricordi la casa di questamia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Da:Eugenio Montale, Le occasioni, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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Eugenio Montale Le occasioni

Sotto la pioggia

Un murmure; e la tua casa s’appannacome nella bruma del ricordo –e lacrima la palma ora che sordopreme il disfacimento che ritienenell’afa delle serre anche le nudesperanze ed il pensiero che rimorde.

“Por amor de la fiebre”...mi conduceun vortice con te. Raggia vermigliauna tenda, una finestra si rinchiude.Sulla rampa materna ora cammina,guscio d’uovo che va tra la fanghiglia,poca vita tra sbatter d’ombra e luce.

Strideva Adiós muchachos, compañerosde mi vida, il tuo disco dalla corte:e m’è cara la maschera se ancoradi là dal mulinello della sortemi rimane il sobbalzo che riportaal tuo sentiero.

Seguo i lucidi strosci e in fondo, a nembi,il fumo strascicato d’una nave.Si punteggia uno squarcio...Per te intendociò che osa la cicogna quando alzatoil volo dalla cuspide nebbiosarémiga verso la Città del Capo.

Da:Eugenio Montale, Le Occasioni, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Le occasioni

Barche sulla Marna

Felicità del sùghero abbandonatoalla correnteche stempra attorno i ponti rovesciatie il plenilunio pallido nel sole:barche sul fiume, agili nell’estatee un murmure stagnante di città.Segui coi remi il prato se il cacciatoredi farfalle vi giunge con la sua rete,l’alberaia sul muro dove il sanguedel drago si ripete nel cinabro.

Voci sul fiume, scoppi dalle rive,o ritmico scandire di piroghenel vespero che colatra le chiome dei noci, ma dov’èla lenta processione di stagioniche fu un’alba infinita e senza strade,dov’è la lunga attesa e qual è il nomedel vuoto che ci invade.

Il sogno è questo: un vasto,interminato giorno che rifondetra gli argini, quasi immobile, il suo baglioree ad ogni svolta il buon lavoro dell’uomo,il domani velato che non fa orrore.E altro ancora era il sogno, ma il suo riflessofermo sull’acqua in fuga, sotto il nidodel pendolino, aereo e inacessibile,era silenzio altissimo nel gridoconcorde del meriggio ed un mattinopiù lungo era la sera, il gran fermentoera grande riposo.Qui ...il coloreche resiste è del topo che ha saltatotra i giunchi o col suo spruzzo di metallo

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Le occasioni

velenoso, lo storno che spariscetra i fumi della riva.Un altro giorno,ripeti – o che ripeti? E dove portaquesta bocca che brùlica in un gettosolo?La sera è questa. Ora possiamoscendere fino a che s’accenda l’Orsa.

(Barche sulla Marna, domenicali, in corsanel dì della tua festa).

Da:Eugenio Montale, Le Occasioni, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Le occasioni

Notizie dall’Amiata

Tempo primo

Il fuoco d’artifizio del maltemposarà murmure d’arnie a tarda sera.La stanza ha travaturetarlate ed un sentore di melonipenetra dall’assito. Le fumatemorbide che risalgono una valled’elfi e di funghi fino al cono diafanodella cima m’intorbidano i vetri,e ti scrivo di qui, da questo tavoloremoto, dalla cellula di mieledi una sfera lanciata nello spazio –e le gabbie coperte; il focolaredove i marroni esplodono, le venedi salnitro e di muffa sono il quadrodove tra poco romperai. La vitache t’affàbula è ancora troppo brevese ti contiene! Schiude la tua iconail fondo luminoso. Fuori piove.

Da:Eugenio Montale, Le occasioni, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale La bufera e altro

La bufera e altro

La bufera

Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces grand’s merveilles,Leurs mains ne servent plus qu’à nous persécuter ...Agrippa d’Aubigné, À Dieu

La bufera che sgronda sulle fogliedure della magnolia i lunghi tuonimarzolini e la grandine,

(i suoni di cristallo nel tuo nidonotturno ti sorprendono, dell’oroche s’è spento sui mogani, sul tagliodei libri rilegati, brucia ancorauna grana di zucchero nel gusciodelle tue palpebre)

il lampo che candiscealberi e muri e li sorprende in quellaeternità d’istante – marmo mannae distruzione – ch’entro te scolpitaporti per tua condanna e che ti legapiù che l’amore a me, strana sorella, –e poi lo schianto rude, i sistri, il fremeredei tamburelli sulla fossa fuia,lo scalpicciare del fandango, e sopraqualche gesto che annaspa...Come quandoti rivolgesti e con la mano, sgombrala fronte dalla nube dei capelli,

mi salutasti – per entrar nel buio.

Da:Eugenio Montale, La bufera, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale La bufera e altro

La primavera hitleriana

Né quella ch’a veder lo sol si gira...Dante (?) a Giovanni Quirini

Folta la nuvola bianca delle falene impazziteturbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,stende a terra una coltre su cui scricchiacome su zucchero il piede; l’estate imminente sprigionaora il gelo notturno che capivanelle cave segrete della stagione morta,negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.

Da poco sul corso è passato a volo un messo infernaletra un alalà di scherani, un golfo mistico accesoe pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,si sono chiuse le vetrine, poveree inoffensive benché armate anch’essedi cannoni e giocattoli di guerra,ha sprangato il beccaio che infioravadi bacche il muso dei capretti uccisi,la sagra dei miti carnefici che ancora ingnorano il sangues’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,di larve sulle golene, e l’acqua séguita a roderele sponde e più nessuno è incolpevole.

Tutto per nulla, dunque? – e le candeleromane, a San Giovanni, che sbiancavano lentel’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addiiforti come un battesimo nella lugubre attesadell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillandosui ghiacci e le riviere dei tuoi lidigli angeli di Tobia, i sette, la seminadell’avvenire) e gli eliotropi natidalle tue mani – tutto arso e succhiatoda un polline che stride come il fuocoe ha punte di sinibbio...

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale La bufera e altro

Oh la piagataprimavera è pur festa se raggelain morte questa morte! Guarda ancorain alto, Clizia, è la tua sorte, tuche il non mutato amor mutata serbi,fino a che il cieco sole che in te portisi abbàcini nell’Altro e si distruggain Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchiche salutano i mostri nella seradelle loro tregenda, si confondono giàcol suono che slegato dal cielo, scende, vince –col respiro di un’alba che domani per tuttisi riaffacci, bianca ma senz’alidi raccapriccio, ai greti arsi del sud...

Da:Eugenio Montale, La Bufera e altro, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale La bufera e altro

L’anguilla

L’anguilla, la sirenadei mari freddi che lascia il Balticoper giungere ai nostri mari,ai nostri estuari, ai fiumiche risale in profondo, sotto la piena avversa,di ramo in ramo e poidi capello in capello, assottigliati,sempre più addentro, sempre più nel cuoredel macigno, filtrandotra gorielli di melma finché un giornouna luce scoccata dai castagnine accende il guizzo in pozze d’acquamorta,nei fossi che declinanodai balzi d’Appennino alla Romagna;l’anguilla, torcia, frusta,freccia d’Amore in terrache solo i nostri botri o i disseccatiruscelli pirenaici riconduconoa paradisi di fecondazione,l’anima verde che cercavita là dove solomorde l’arsura e la desolazione,la scintilla che dicetutto comincia quando tutto pareincarbonirsi, bronco seppellito;l’iride breve, gemelladi quella che incastonano i tuoi ciglie fai brillare intatta in mezzo ai figlidell’uomo; immersi nel tuo fango, puoi tunon crederla sorella?

Da:Eugenio Montale, La bufera e altro, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Satura

Satura

Xenia (I)

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Caro piccolo insettoche chiamavano mosca non so perché,stasera quasi al buiomentre leggevo il Deuteroisaiasei ricomparsa accanto a me,ma non avevi occhiali,non potevi vederminé potevo io senza quel luccichìoriconoscere te nella foschia.

2

Senza occhiali né antenne,povero insetto che aliavevi solo nella fantasia,una bibbia sfasciata ed anche pocoattendibile, il nero della notte,un lampo, un tuono e poineppure la tempesta. Forse chete n’eri andata così presto senzaparlare? Ma è ridicolopensare che tu avessi ancora labbra.

3

Al Saint James di Parigi dovrò chiedereuna camera “singola”. (Non amanoi clienti spaiati). E così purenella falsa Bisanzio del tuo albergoveneziano; per poi cercare subitolo sgabuzzino delle telefoniste,le tue amiche di sempre; e ripartire,esaurita la carica meccanica,il desiderio di riaverti, fossepure in un solo gesto o un’abitudine.

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Satura

Avevamo studiato per l’aldilàun fischio, un segno di riconoscimento.Mi provo a modularlo nella speranzache tutti siamo già morti senza saperlo.

5

Non ho mai capito se io fossiil tuo cane fedele e incimurritoo tu lo fossi per me.Per gli altri no, eri un insetto miopesmarrito nel blabladell’alta società. Erano ingenuiquei furbi e non sapevanodi essere loro il tuo zimbello:di esser visti anche al buio e smascheratida un tuo senso infallibile, dal tuoradar di pipistrello.

Da:Eugenio Montale, Satura, in Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1977

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Satura

La storia (Parti 1-2)

Parte 1

La storia non si snodacome una catenadi anelli ininterrotta.In ogni casomolli anelli non tengono.La storia non contieneil prima e il dopo,nulla che in lei borbottia lento fuoco.La storia non è prodottada chi la pensa e neppureda chi l’ignora. La storianon si fa strada, si ostina,detesta il poco a poco, non procedené recede, si sposta di binarioe la sua direzionenon è nell’orario.La storia non giustificae non deplora,la storia non è intrinsecaperché è fuori.La storia non somministracarezze o colpi di frustaLa storia non è magistradi niente che ci riguardi.Accorgersene non servea farla più vera e più giusta.

Parte 2

La storia non è poila devastante ruspa che si dice.Lascia sottopassaggi, cripte, buchee nascondigli. C’è chi sopravvive.

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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Eugenio Montale Satura

La storia è anche benevola: distruggequanto più può: se esagerasse, certosarebbe meglio, ma la storia è a cortodi notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondocome una rete a strascicocon qualche strappo e più di un pesce sfugge.Qualche volta s’incontra l’ectoplasmad’uno scampato e non sembra particolarmente felice.Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.Gli altri, nel sacco, si credonopiù liberi di lui.

Da:Eugenio Montale, Satura, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977