ANTISETTICI - MINERVA MEDICA

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ANTISETTICI PROTOCOLLI APPLICATIVI PER UN CORRETTO UTILIZZO NEL WOUND CARE

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ANTISETTICIPROTOCOLLI APPLICATIVI

PER UN CORRETTO UTILIZZONEL WOUND CARE

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R. CASSINO - A. CORSI

EDIZIONI MINERVA MEDICA

ANTISETTICIPROTOCOLLI APPLICATIVI

PER UN CORRETTO UTILIZZONEL WOUND CARE

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ISBN: 978-88-7711-800-4

© 2014 – EDIZIONI MINERVA MEDICA S.p.A. – Corso Bramante 83/85 – 10126 Torino (Italia)www.minervamedica.it / e-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.

Roberto CassinoMedico Geriatra, Presidente di Vulnera (Centro Vulnologico Italiano per la Formazione e la Ricerca in vulnologia), docente al Master in Vulnologia dell’Università degli Studi di Torino, membro dei board editoriali di Interna-tional Wound Journal e Acta Vulnologica. Lavora presso l’Ambulatorio Vul-nologico dell’Istituto Clinico Città Studi (ICCS) di Milano ed è responsabile del settore vulnologico di A.QU.A. Onlus Milano (Assistenza Quotidiana per Anziani a domicilio). Si interessa di vulnologia dal 1989 e ha al suo attivo circa 350 pubblicazioni e oltre 280 corsi come docente. Ha ricevuto quattro premi per lavori clinici pubblicati, di cui tre internazionali (European Wound Management Association negli anni 1998, 2000 e 2007) e uno nazionale (As-sociazione Italiana Ulcere Cutanee nel 2008).

Alessandro CorsiMedico, specialista in Chirurgia Generale, Dirigente Medico presso l’Ospeda-le Santa Maria Nuova in Firenze, diplomato al primo Master in Vulnologia dell’Università degli Studi di Torino, Master specialistico dell’Italian Academy Wound Care. Si interessa da oltre 15 anni di ulcere cutanee e da oltre 5 anni è coinvolto nello studio sulla Terapia Fotodinamica applicata al trattamento delle lesioni cutanee croniche, per i cui risultati, presentati in congressi interna-zionali europei e americani, la AAWC americana (Association for the Advan-cement in Wound Care) gli ha attribuito nel 2013 a Las Vegas un premio per la qualità del lavoro eseguito.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di peri-odico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

In copertina:Lastra di marmo raffigurante Filottete sofferenteMuseo Archeologico di Brauron (oggi Vravrona, Grecia)

Quest’opera è nel pubblico dominio negli Stati Uniti e in tutti i Paesi nei quali il copyright ha una durata di 100 anni dopo la morte dell’autore o meno. Questo file è stato identificato come libero da restrizioni conosciute riguardanti le leggi sul copyright, compresi tutti i diritti connessi e vicini.

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Prefazione

La peggior complicanza in vulnologia è sicuramente l’infezione, un even-to che, oltre a bloccare la riparazione tissutale, comporta peggioramento della situazione locale, incremento dei costi, prolungamento dei tempi di cura, fre-quente ospedalizzazione e, soprattutto, aumento della sofferenza del paziente in termini di dolore ed equilibrio psichico. La persona con lesione cutanea si trova spesso nella situazione di variare tipologia di cura, sia intesa come medi-cazione, sia come trattamento generale, sottoponendosi cioè a terapie antibio-tiche lunghe e, molte volte, infruttuose; spessissimo lo spirito ottimistico con cui molti affrontano il (purtroppo) lungo iter di cura dell’ulcera viene sostitui-to da profonda delusione per una guarigione che stenta ad arrivare o, peggio, un peggioramento che vanifica in pochi giorni i progressi raggiunti a fatica in settimane: rassegnazione e perdita di fiducia sono la logica conseguenza.

Sofferenza, solitudine e rassegnazione sono la compagnia del paziente con l’ulcera infetta; non a caso abbiamo scelto come copertina una scultura raffigu-rante Filottete, il soldato di Ulisse che, al ritorno dalla battaglia di Troia, venne abbandonato su di un’isola deserta perché la sua ferita “fetida ed infetta” non poteva più essere tollerata dal resto dell’equipaggio. Nulla potrebbe essere più significativo trattando di piaghe infette!

Abbiamo quindi sentito il bisogno di fare una revisione abbastanza detta-gliata della “letteratura dell’infezione”, dagli inizi ad oggi, cercando di impara-re (lo si dovrebbe far sempre e tutti) da errori e intuizioni geniali di chi ci ha preceduto, riportando successi e delusioni, confrontandoci continuamente con colleghi e pazienti, riportando infine le nostre esperienze, nel bene e nel male.

Con questo lavoro, fatto col cuore e tanta voglia di “complicare la vita” ai batteri, speriamo di dare il nostro piccolo contributo a tutti gli operatori vul-nologici che, giornalmente, combattono sempre la stessa battaglia: scongiurare (o eradicare) l’infezione, infondendo fiducia e speranza al paziente.

Alessandro CorsiRoberto Cassino

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La vulnologia è una branca della medicina che sta sempre più creando in-teresse, proprio perché molte sono le persone coinvolte nel problema, sia dal punto di vista dell’utenza, sia da quello degli operatori dedicati, e anche perché la ricerca sta aprendo nuove prospettive d’approccio a questo tipo di paziente. L’argomento è stato sempre trattato sommariamente, pensando che, in fondo, il paziente affetto da lesione cutanea non ha una vera patologia, ma “soltanto” una ferita; ma quando “aver soltanto una ferita” significa sconvolgere le abitu-dini di vita proprie e delle persone che fanno parte del proprio mondo, allora forse è il caso di soffermarsi a considerare le notevoli dimensioni di un pro-blema troppo spesso sottovalutato e, a volte, scotomizzato. Sono tantissimi i pazienti (oltre 2 milioni) e quindi altrettante le risorse da impiegare, sia umane sia materiali. E il problema non è certo uno solo: chi cura, chi decide, chi pre-scrive, cosa si usa, come si usa ecc., tutte domande legittime cui non abbia mo la presunzione di saper dare una risposta. Possiamo solo sperare di riuscire a dare qualche buon consiglio dettato dall’esperienza, qualche suggerimento per ottimizzare il lavoro di ogni giorno e sperare, con questi nostri appunti, di con-segnare al lettore un piccolo strumento di lavoro, soprattutto pratico e fruibile, senza complicare il già difficile quotidiano.

Nel 1998 Vulnera nasce anche per questo: fare formazione, ma soprattutto informazione; fare ricerca, ma soprattutto implementare le conoscenze vulno-logiche che stavano allora emergendo; riunire tutti coloro che avessero l’intento di prendere in carico questi pazienti che il mondo intero non conosceva (o che aveva dimenticato?), ma che ora sta riscoprendo. La voglia di prendersi cura di queste persone ci ha fatto superare tanti ostacoli, sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista politico: ciarlatani, sognatori, “piagologi”… Questi alcuni “titoli” che ci hanno attribuito! Ma dopo quasi 15 anni siamo ancora qui, di-nanzi ad una vulnologia in continua crescita… Vulnera oggi è anche questo…

Presentazione

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VIII ANTISETTICI – Protocolli aPPlicativi Per un corretto utilizzo nel wound care

Vulnologia pratica: per fare e saper fare… Abbiamo voluto chiamare così questa collana, particolarmente dedicata a infermieri e operatori socio sani-tari (ma fisioterapisti e medici potrebbero comunque trovare buoni spunti tra queste pagine), per esprimere quale fosse la volontà di base, cioè l’intenzione di essere accanto a chi deve “fisicamente” fare un lavoro che non è per nulla semplice, ma che può dare soddisfazioni insperate. Provate a chiudere gli occhi e a ricordare il sorriso del vostro ultimo paziente guarito.

RobeRto Cassino

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Prefazione   ............................................................................................................................................................................................   V

Presentazione   ...............................................................................................................................................................................   VII

Cenni storici   .......................................................................................................................................................................................   1

Concetto di infezione   ..............................................................................................................................................................   4

Il biofilm   ..................................................................................................................................................................................................   5

Diagnosi   ..................................................................................................................................................................................................   9

Gli antisettici   ..................................................................................................................................................................................   13

Classificazione degli antisettici   .................................................................................................................................   16

Antisettici non a base di argento   ...........................................................................................................................   17

Agenti ossidanti   ....................................................................................................................................................................   17

Alogeni   ...........................................................................................................................................................................................   18

Coloranti   .......................................................................................................................................................................................   19

Chlorexidina   .............................................................................................................................................................................   20

Polihexanidi (polyhexamethylenebiguanide, PHMB)   ............................................................   20

Acido acetico   ...........................................................................................................................................................................   21

Alcool   ...............................................................................................................................................................................................   21

Tribromofenati   .......................................................................................................................................................................   21

Ammoni quaternari   .........................................................................................................................................................   21

Altri   ......................................................................................................................................................................................................   21

Derivati dei metalli pesanti: mercurio e argento   ...........................................................................   22

indice

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X ANTISETTICI – Protocolli aPPlicativi Per un corretto utilizzo nel wound care

Argento: tra mito e scienza   ..........................................................................................................................................   22

Antisettici a base di argento   ........................................................................................................................................   24

L’equilibrio batterico nella wound bed preparation   .........................................................................   26

La detersione e l’antisepsi   ............................................................................................................................................   27

Medicazioni antisettiche   ..................................................................................................................................................   29

Argento tecnomolecolare   ...............................................................................................................................................   34

Casistica   ..............................................................................................................................................................................................   36

Bibliografia   .......................................................................................................................................................................................   37

Caso clinico 1   ..............................................................................................................................................................................   43

Caso clinico 2   ..............................................................................................................................................................................   46

Caso clinico 3   ..............................................................................................................................................................................   48

Caso clinico 4   ..............................................................................................................................................................................   51

Caso clinico 5   ..............................................................................................................................................................................   53

Caso clinico 6   ..............................................................................................................................................................................   56

Caso clinico 7   ..............................................................................................................................................................................   59

Caso clinico 8   ..............................................................................................................................................................................   62

Caso clinico 9   ..............................................................................................................................................................................   65

Caso clinico 10   ...........................................................................................................................................................................   67

Caso clinico 11   ...........................................................................................................................................................................   70

Caso clinico 12   ...........................................................................................................................................................................   73

Caso clinico 13   ...........................................................................................................................................................................   75

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Cenni storiCi“La fine del XIX secolo sa di acido fenico”

G.B. Shaw

Fin dall’antichità è stata evidente la necessità di trattare le lesioni cutanee al fine di controllare il dolore e il sanguinamento, rimuovere i tessuti danneg-giati e ridurre l’edema. Le varie strategie messe a punto si sono affiancate al fondamentale bisogno di controllare e ridurre le infezioni, al fine di per-mettere la guarigione della lesione e la sopravvivenza del paziente.

Di volta in volta, diversi prodotti e rimedi (miele, fitoderivati, causti-canti) sono stati utilizzati, empiri-camente, con risultati talvolta sor-prendenti, ma è soltanto dalla fine del 1800 che si sviluppa una “co-scienza scientifica” del concetto di infezione e antisepsi.

Lister (Fig. 1) e Semmering ini-ziarono in quel periodo i loro studi sui processi di sterilizzazione dello strumentario chirurgico (fino ad allora utilizzato in modo promi-scuo da un intervento al successivo, senza preoccuparsi di rimuovere, se non superficialmente, i residui dei

antisettiCi

Fig. 1� – Joseph Lister, 1902.

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liquidi biologi) e sull’antisepsi del campo operatorio e del personale impegna-to nelle sale, individuando che l’alta percentuale di infezione peripartum (del neonato e della madre) era correlata strettamente al trasferimento di microor-ganismi dalle sale dissettorie a quelle dedicate alle gestanti da parte degli stessi operatori, che non seguivano alcuna metodica di detersione e disinfezione del-le mani muovendosi tra i due ambienti. Del resto gli interventi erano eseguiti in sale anfiteatro a cui il pubblico (studenti e osservatori) aveva accesso senza alcun controllo degli abiti e delle calzature indossate e la sola precauzione per ridurre la complicanza infettiva (del resto ancora non chiara) era la copertura della ferita per evitarne il contatto diretto con l’aria.

Semmelweis aveva individuato nella “febbre puerperale” la causa dell’altis-sima mortalità perioperatoria e peripartum, senza però capirne la reale origine, e lo stesso Lister parlava di “cancrena dell’ospedale”, avendo notato che questo tipo di complicanza era più frequente in ambiente ospedaliero (tanto più se cittadino rispetto ai posti di medicazione delle campagne) che non al di fuori. Questo aspetto lo portò a ipotizzare che non fosse l’aria la causa principale della necrosi tissutale (il cosiddetto “miasma”) ma proprio una trasmissione diretta attraverso operatori e strumenti (Fig. 2).

Sono di quel periodo gli studi di Pasteur sulla fermentazione batterica e sull’utilizzo del calore per bloc-care questo fenomeno. A Lister va riconosciuta l’intuizione delle analogie tra quanto Pasteur aveva scoperto nei suoi “brodi di coltu-ra” e i processi di necrosi a carico delle lesioni.

I primi tentativi di riduzione delle infezioni furono effettuati con l’applicazione di acido fenico sulle fratture esposte (fino ad al-lora gravate da altissima mortali-tà e/o percentuale di amputazio-ne degli arti), inizialmente usato puro a impacco (con conseguen-ti, e allora imprevedibili, effetti collaterali sulla cute perilesionale con macerazione e comparsa di dermatiti), successivamente dilu-ito in acqua (per detersione) od olio (a impacco prolungato e con

Fig. 2 – Set per amputazione del XIX secolo. Londra, The  Operating  Theatre  of  Old  St.  Thomas  Hospital (1821-1862).

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copertura impermeabile); solo più tardi si capirà che l’effetto dell’acido fenico è quello di far precipitare le proteine della membrana batterica.

Seguirono le prime zaffature degli ascessi tubercolari con garze imbevute di acido fenico e il trattamento preventivo della cute, sempre con lo steso prodot-to, prima dell’intervento chirurgico. Sono dello stesso periodo i tentativi di di-sinfezione “aerea” dell’ambiente operatorio con spray contenenti l’acido fenico, per evitare la contaminazione aerea delle ferite (Fig. 3); oltre che nebulizzato, il fenolo venne usato per il lavaggio dello strumentario chirurgico.

Qualche anno dopo fu introdotto l’uso dei guanti in lattice su un’idea di Halsted (e creati dalla Goodyear) e dei cappellini da sala operatoria.

Il 16 marzo 1867 Lister pubblicò i risultati su questo nuovo metodo di cura delle fratture sul “Lancet” (Antiseptic Principle of the Practice of Surgery) e proprio in questo lavoro fu utilizzato per la prima volta il termine “antisepsi”.

Gli effetti collaterali dell’acido fenico (soprattutto dermatiti) divennero tut-tavia un importante problema che rallentò (insieme alla naturale diffidenza di molti chirurghi, che ritenevano questa pratica di disinfezione lunga e inutile) il diffondersi dei processi di antisepsi. Per questo lo stesso Lister pensò a una pro-tezione della cute perilesionale dall’irritazione dell’agente disinfettante, utiliz-zando quest’ultimo in miscele con le sostanze più diverse (guttaperca, caucciù, destrina, amido, gomma arabica e guscio d’uovo, seta oliata, paraffina e cera), tra le quali possiamo riconoscerne alcune tuttora in uso.

Con la scoperta di Pasteur del bacillo del carbonchio, si passò velocemente

Fig. 3 – Intervento chirurgico con nebulizzazione di acido carbolico a scopo antisettico.

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dal concetto listeriano di antisepsi (cioè la distruzione dei microorganismi) a quello di asepsi, una condizione in cui la sepsi (quindi la presenza di microor-ganismi) era assente: era nato il concetto di infezione! Riportando questa idea alle conoscenze attuali, significava abbattere la carica batterica sulla ferita con la pulizia di questa (detersione e disinfezione) e prevenirne la contaminazione usando accorgimenti (antisespsi del materiale) su strumenti, mani e ambiente operatorio (disinfezione dello strumentario).

Alcuni anni dopo è cominciata l’epoca degli antibiotici, ma l’utilizzo pres-soché casuale e indiscriminato ha portato, come noto, alla rapida comparsa di ceppi resistenti (spesso multi-resistenti), fenomeno tuttora presente e sempre più condizionante e limitante.

ConCetto Di infezioneCome noto, partendo dal concetto fondamentale che nessuna ferita può

considerarsi sterile, la relazione tra microorganismo e ospite, secondo quanto suggerito da Sibbald nel 2000, prevede una prima fase cosiddetta di “equilibrio batterico” (contaminazione e colonizzazione), in cui nessun segno e sintomo di infezione interessano la lesione e il paziente e, durante la quale, il processo di guarigione non subisce alcuna interruzione (se non per altre cause).

È soltanto quando questo equilibrio viene meno che compaiono gli effetti della presenza in elevato numero di microorganismi: a valori critici di carica batterica si nota un rallentamento dei processi riparativi, fino al loro completo stallo e al peggioramento della lesione stessa, mentre l’ulteriore incremento del-la concentrazione di microorganismi comporta la comparsa di fenomeni della vera e propria infezione, con generalizzazione della clinica che accompagna il peggioramento delle condizioni locali (per ipossia e distruzione tissutale), do-vuti alla persistente produzione di mediatori della flogosi e metaboliti tossici e all’aumentata azione dei leucociti neutrofili, con produzione di massicce quan-tità di radicali liberi e induzione di fenomeni di citolisi.

Considerando che non tutti i microorganismi possiedono la stessa capacità di contrastare le difese dell’ospite, e che, del resto, non sempre quest’ultimo è in grado di attuare una sufficiente difesa immunitaria, si può asserire che l’in-fezione è quindi direttamente proporzionale alla carica batterica e alla viru-lenza del ceppo presente, e inversamente alla resistenza dell’ospite; nell’equa-zione devono però anche essere considerati gli aspetti relativi alla sinergia dei microorganismi, al Quorum Sensing (cioè la capacità dei microorganismi di comunicare tra loro, con scambio di informazioni sulla resistenza agli anti-microbici) e al biofilm (cioè la capacità dei batteri di creare un rivestimento mucopolisaccaridico in grado di rendere le colonie inattaccabili e resistenti).

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iL BiofiLMIl biofilm (microfouling) è una aggregazione complessa di microorganismi

contraddistinta dalla secrezione di una matrice adesiva e protettiva. Le princi-pali caratteristiche del biofilm sono: – adesione a una superficie, sia di tipo biologico sia inerte; – eterogeneità strutturale; – interazioni biologiche complesse; – matrice extracellulare di sostanze polimeriche, spesso polisaccaridiche.

Gli organismi unicellulari, solitamente, mostrano due distinte modalità di comportamento: la prima è la forma fluttuante, o planctonica, nella quale le cellule separate fluttuano o nuotano indipendentemente in un supporto liqui-do; la seconda è lo stato aggregato, o sessile, in cui le cellule sono strettamente vincolate e fermamente attaccate l’una all’altra e, solitamente, a una superficie, (come ad esempio il letto di ferita).

La formazione di un biofilm inizia con l’ancoraggio di microorganismi flut-tuanti a una superficie; questi aderiscono inizialmente alla superficie attraverso deboli e reversibili forze (denominate forze di Van der Waals). Se questi batteri non vengono immediatamente staccati dalla superficie, possono ancorarsi più stabilmente facilitando l’arrivo di altre cellule che iniziano a costruire la matri-ce che implementerà l’integrità e la resistenza del biofilm. Una volta iniziata la colonizzazione, il biofilm cresce anche tramite l’integrazione con batteri esterni e di altre specie. Se rifornito di risorse sufficienti, un biofilm crescerà fino a diventare macroscopico in poco tempo; questa eventualità è abbastanza rara in vulnologia, anche se non può essere esclusa, mentre è abbastanza frequente in al-tre situazioni (corsi d’acqua, superfici esposte a liquidi o sommerse, Fig. 4).

Batteri e funghi formano biofilm a determinate con-dizioni; quando un gruppo di questi si accumula su di una superficie, raggiungen-do una particolare densità cellulare, i microorganismi ini ziano a secernere una sostanza polimerica che si Fig. 4 – Biofilm in natura: stratificazione organica su liquidi e 

solidi esposti all’acqua e/o immersi.

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compone di polisaccaridi, proteine e DNA, formando una matrice in cui le cellule batteriche o fungine sono fortemente radicate (Fig. 5).

I biofilm sono di solito costituiti da molte specie batteriche; un biofilm con-tenente differenti specie prende il nome di “consor-zio batterico” ed è di più frequente riscontro rispetto ai biofilm composti da sin-gole specie, molto più rari e difficilmente presenti sulle lesioni cutanee. Ogni specie “partecipante” al consorzio svolge differenti funzioni metaboliche e presenta, solitamente, diverso trofismo e diverse richieste di ossigeno; in questo modo il consorzio è più efficiente, senza che le diverse specie entrino in conflitto tra loro.

Il biofilm è tenuto insieme e protetto da una matrice di composti polime-rici; tale matrice è tanto forte che protegge le cellule all’interno e ne facilita l’intercomunicazione tramite segnali chimici o fisici. In alcuni biofilm sono stati rinvenuti canali d’acqua che contribuiscono a distribuire i nutrienti; allo stesso modo, questi canalicoli convogliano verso la periferia sostanze di scarto ed eventuali esotossine.

I batteri che vivono nel biofilm hanno proprietà significativamente diffe-renti dai batteri delle stesse specie che vagano liberamente; l’ambiente denso e protetto permette loro di cooperare e interagire in varie maniere, traendo importanti benefici quali l’aumentata resistenza a detergenti e antibiotici. In alcuni casi la resistenza agli antibiotici può aumentare di 1 000 volte.

I biofilm permettono la sopravvivenza delle cellule batteriche in un am-biente ostile; le cellule planktoniche sono più esposte ad agenti avversi come batteriofagi o protozoi in natura, agenti biocidi nei dispositivi industriali e, nel nostro caso, ad anticorpi, fagociti e agenti antimicrobici (antisettici). Il biofilm è dunque il perfetto esempio di comunità (peraltro assimilabile ai tessuti degli organismi superiori) che deve necessariamente creare problemi all’ospite per il proprio fine di sopravvivenza e sviluppo.

Nonostante la formazione di biofilm sia stato un aspetto ampiamente do-cumentato della fisiologia batterica da oltre 100 anni, solo ora si sta iniziando

Fig. 5 – Biofilm pluribatterico in via di organizzazione.

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a comprendere questo processo a livello molecolare, attribuendogli le giuste importanza e criticità (Fig. 6).

Abbiamo già segnalato che biofilm misti sono predominanti; eppure quel-li monospecie hanno un forte interesse medico dal momento che possono formarsi sulla superficie di svariati device. Il più studiato tra i batteri gram-negativi che formano biofilm singoli è lo Pseudomonas aeruginosa, seguito da Escherichia coli e Vibrio cholerae; tra i gram-positivi più analizzati troviamo Sta-phylococcus epidermidis, Staphylococcus aureus ed Enterococchi.

I biofilm sono composti principalmente da cellule microbiche e da matrice extracellulare (extracellular polymeric substance, EPS); la percentuale di EPS si aggira tra il 50% e il 90% ed è considerata la materia prima del biofilm. È principalmente composta da polisaccaridi, può essere altamente idratata, ma in alcuni casi l’EPS può anche essere idrofobica. La composizione e la struttura dei polisaccaridi determinano la conformazione primaria della matrice: alcuni biofilm si costruiscono uno scheletro che conferisce maggiore rigidità, minore deformabilità e, talvolta, ne influenza la solubilità. La composizione dell’EPS non è uniforme: può variare spazialmente e temporalmente e la sua quantità cresce con l’età del biofilm; può associarsi con ioni metallici, cationi divalenti, proteine, DNA e lipidi; per la sua elevata idratazione previene l’essiccamento e può contribuire alla resistenza agli antibiotici.

Gli studi bioingegneristici più recenti hanno evidenziato che i batteri all’in-terno del biofilm possono essere eliminati da antibiotici convenzionali solo se la struttura di queste comunità sessili viene perturbata da ultrasuoni o da

canale d’acqua

molecolesegnale

dispersione

batteri planctonici

molecole segnale

chemiotassi

sostanzapolimerica

extracellulare

adsorbimento

attaccoirreversibile

crescita e divisione

formazione microcoloniamatura

consorzi multispecie

Fig. 6 – Schema di formazione del biofilm.

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campi elettrici: è stato infatti dimostrato che, a parte il debridement chirur-gico, non esistono medicazioni che attualmente possano rimuovere il biofilm; gli unici sistemi incruenti efficaci sono rappresentati da Induzione Elettrica e Onde d’Urto (extracorporeal shock wave therapy, ESWT).

Tutti i biofilm sono strutturati per consentire la respirazione e lo scambio di liquidi e sostanze nutritive, mentre impediscono l’accesso alle cellule immuni-tarie dell’ospite come i fagociti; riducono inoltre le concentrazioni degli agenti antimicrobici, impedendo a questi di raggiungere i microorganismi. Il risultato di queste proprietà è che le infezioni conseguenti alla formazione di biofilm sono notoriamente difficili da eradicare, richiedono l’uso di alte concentrazioni di agenti antimicrobici, la rimozione dei tessuti colpiti o la combinazione di questi trattamenti.

La formazione di biofilm sembra essere disciplinata dalla secrezione di mo-lecole particolari, secondo un processo denominato quorum sensing. Il quorum sensing è un processo di comunicazione autoindotto tra cellule batteriche che consente ai microorganismi di attuare una serie di cambiamenti fisiologici che consentono la formazione del biofilm extracellulare. Ad esempio, a seguito del quorum sensing autoindotto, i microorganismi possono iniziare la produzio-ne superficiale di polimeri extracellulari adesivi e di biosurfattante, la sporu-lazione, la bioluminescenza e la secrezione di sostanze nutritive. In pratica il quorum sensing è un sistema di comunicazione “interbatterico” con il quale i microorganismi si passano informazioni assolutamente vitali per la colonia, rendendola molto più resistente ad antibiotici e antisettici; proprio per questo motivo talvolta i batteri presenti in un biofilm possono essere fino a 4.000 vol-te più resistenti agli antibiotici rispetto allo stesso organismo allo stato libero.

La produzione di biofilm ha evidenti specifiche implicazioni in medicina: la placca dentale è un biofilm, prodotto dai batteri presenti nel cavo orale (Strep-tococcus sanguis); biofilm possono crescere sulla superficie di impianti (protesi, mezzi di sintesi); lo Staphylococcus epidermidis può produrre biofilm sui cateteri venosi; biofilm possono crescere anche su lenti intraoculari (cristallini artificia-li) non ben sterilizzate; il biofilm si produce anche in corso di infezioni della vagina e in seguito all’impianto di IUD; comunissime anche le infezioni del tratto urinario dovute a batteri produttori di biofilm.

Pseudomonas aeruginosa (Fig. 7) e Staphylococcus aureus (Fig. 8) sono i prin-cipali responsabili del “biofilm vulnologico”; i macrofagi non sono infatti in grado di contrastare la presenza di biofilm, ma solo di generare un’infiamma-zione cronica: ciò spiega perché la guarigione delle lesioni cutanee rallenta sino a bloccarsi.

Attualmente si stanno proponendo diversi protocolli di trattamento per in-tervenire sulle lesioni “bloccate” e quindi sospettate “biofilmate”; nella nostra

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esperienza, la maggior effica-cia riscontrata è quella attri-buita a un trattamento con collagenasi, previa detersio-ne e antisepsi con soluzione elettrolitica clorossidante i so-tonica a base di ipoclorito di sodio allo 0,05%, mediante impacco della durata variabi-le da 2 a 10 minuti: il tem-po di applicazione dipende dai segni di flogosi/infezio-ne presenti (più segni clinici presenti, maggiore il tempo di applicazione).

DiaGnosiL’infezione è la più grave

complicanza in vulnologia e causa importanti ripercus-sioni sull’andamento della lesione cutanea: oltre a pro-vocare intensa sofferenza al paziente, particolarmente in termini di dolore, è respon-sabile di un blocco nella normale evoluzione della ri parazione tissutale, di un possibile aumento dell’area di lesione, di un ulteriore prolungamento del tempo di risoluzione (e quindi un rafforzamento dello stato di cronicità) e di una significativa lievitazione dei costi di gestione, sia dal punto di vista generale, sia da quello locale. Per punto di vista generale si intende l’intervento farmacologico: spesso, infatti, è necessaria una terapia antibiotica che, stanti le recenti linee guida infettivologiche internazio-nali, dovrebbe essere prolungata per almeno 25-40 giorni, a seconda dei segni di flogosi e dei batteri responsabili dell’infezione; per punto di vista locale si inten-de, ovviamente, la scelta di una diversa medicazione, certamente antisettica, ma sicuramente di comprovata efficacia e, molto spesso, tecnologicamente evoluta, quindi costosa. Teniamo a precisare che, parlando di terapia generale, non dob-

Fig. 7 – Biofilm monobatterico da Pseudomonas Aeruginosa.

Fig. 8 – Colonie di MRSA.

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1�0 ANTISETTICI – Protocolli aPPlicativi Per un corretto utilizzo nel wound care

biamo dimenticare la necessità di ricovero per terapie antibiotiche impegnative e, spesso, per trattamenti chirurgici specifici; tra i motivi di ricovero in vulnolo-gia, l’infezione ne è responsabile per il 95-98%! Questo, evidentemente, si riper-cuote sui costi di gestione globali, per cui non è inverosimile parlare di un peso economico variabile da 15.000 a 25.000 euro annui per lesione: moltiplicando questa cifra per il numero di pazienti con ulcera cutanea, possiamo giustificare il dato che, a livello di budget sanitario nazionale, la cura delle lesioni cutanee croniche rappresenta una voce di spesa pari al 3-4% circa.

Diventa quindi fondamentale procedere a un’impostazione di cura che ten-ga presente la possibilità di prevenire l’evenienza “infezione” o, comunque, il raggiungimento di una diagnosi precoce, cioè il sospetto d’infezione alle prime avvisaglie sintomatologiche.

Come già ricordato in precedenza, l’infezione è un’entità clinica che rap-presenta la complicanza all’interno di un procedere di eventi che regolano la fisiologica guarigione, e come tale presenta dei criteri identificativi specifici: la diagnosi non viene infatti raggiunta con esami strumentali o di laboratorio, bensì con una corretta valutazione clinica.

Prima delle valutazioni da mettere in pratica per raggiungere o escludere una diagnosi di infezione, è importante ricordare che i batteri vivono nor-malmente sulle ferite, ma che questo non significa necessariamente che ogni lesione sia infetta. Nella tabella I sono elencati i gradi di popolazione batteri-ca che determinano l’infezione locale (definita anche colonizzazione critica) e l’infezione franca (cioè quella che sta già interessando i tessuti perilesionali), che non si manifesta solo con segni locali, ma anche con segni generali quali febbre, brividi, disidratazione e shock.

Tabella I. – Grading della popolazione batterica sulle lesioni cutanee (mod. Falanga, 2003).

Contaminazione Presenza di batteri senza moltiplicazione

Colonizzazione Moltiplicazione batterica senza host reaction

Colonizzazione critica Deposizione e moltiplicazione di organismi nei tessuti con host reaction associata, limitata alla lesione

Infezione Deposizione e moltiplicazione di organismi nei tessuti con host reaction associata, coinvolgente anche i tessuti perilesionali

Quando la popolazione batterica raggiunge un grado di sviluppo tale da causare una reazione dell’ospite (host reaction), allora si realizza lo stato di in-fezione, dapprima locale (Fig. 9), poi, se l’intervento terapeutico non viene attuato tempestivamente e congruamente, generale. Gli eventi caratterizzanti l’infezione, infatti, non sono causati dall’azione diretta dei batteri, bensì dal-l’interazione tra aggressione batterica e reazione dell’organismo ospitante: la

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