Anteprima - Il falegname di Nazareth

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Padre su questa terra per amore - Mario Aldighieri

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Mario Aldighieri

IL FALEGNAME DI NAZARETH

padre su questa terra per amore

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© Il Segno dei Gabrielli editori, 2014Via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona)tel. 045 7725543 – fax 045 [email protected]

ISBN 978-88-6099-242-0

StampaIl Segno dei Gabrielli editori, settembre 2014

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A tutti i “Giuseppe” della mia vita e al caro “nonno” Guido Maria Casullo vescovodella diocesi di Zé Doca nel Maranhão, Brasile

che ora riposa in Cristo accanto a San Giuseppein via Paradiso n. 19

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INDICE

INTRoDuZIoNE 9

Per la protezione nel lavoro 27

Una cronologia tra storia e creatività 28

IL DIARIo DI GIuSEPPE 35

I SoNo GIuSEPPE IL FALEGNAME 37

II L’ATTESA 43

III LA CRISI 47

IV IL SoGNo 52

V AIN KARIM 56

VI LE NoZZE 60

VII IL VIAGGIo 63

VIII LA NASCITA 68

IX LA CIRCoNCISIoNE E LA PRESENTAZIoNE AL TEMPIo 72

X GLI STRANIERI 77

XI MIGRANTI 82

XII L’ESILIo 86

XIII NAZARETH 90

XIV ADoLESCENZA 95

XV IL BAR MITZVAH 98

XVI L’ETÀ ADuLTA 102

XVII IL PADRE DI GESÙ 105

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INtroDuzIoNE

Anni fa, olinto Silva Araujo, patriarca della Vila Ca-naã in Goiânia, Brasile, tornato alla casa del Padre il primo di luglio del 1998, mi aveva ingiunto: “Lei deve scrivere qualcosa su San Giuseppe”. Di primo acchito l’ho considerata una facezia ma poi, riflettendo, l’affer-mazione del caro patriarca si è trasformata in un dove-re, un obbligo, perfino una profezia che doveva pren-dere corpo. Perché non raccontare qualcosa di Giusep-pe? La sua figura mi ha sempre stimolato a tentare di sondare il suo mistero, i suoi sentimenti, i suoi dubbi, la sua fede. Ma come scrivere? Tanti altri hanno scritto già su di lui.

Purtroppo dimenticato dalla tradizione religiosa cat-tolica e dalla devozione popolare, scavalcato da tanti altri santi, era stato ridotto a silenzioso e vecchio cu-stode del figlio di Maria, patrono della buona morte e, quando la problematica sociale è giunta al suo apice, il buon falegname è stato scelto come patrono dei lavora-tori e degli operai, icona della Festa del Lavoro, il pri-mo maggio, per rendere sacra una giornata nata dalle lotte sindacali e, in parte, per annacquare quello spiri-to di lotta per i diritti del lavoratori, alienati nella loro dignità e umanità dal mondo industriale e capitalista, lontano mille miglia dalla vita e dalle preoccupazioni dell’artigiano di Nazareth.

È vero, Giuseppe non è molto presente nei Vangeli. Accenna a Giuseppe soprattutto il Vangelo di Matteo che lo colloca come figlio di Giacobbe, ultimo anello della genealogia davidica partendo da Abramo e come

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“sposo di Maria”(1,18), dalla quale poi è nato Gesù (1,16). L’evangelista lo presenta come l’uomo giusto che non denuncia la maternità di Maria (1,19) perché non venga lapidata secondo la legge, e anche l’uomo di fede, che crede all’annuncio dell’angelo in sogno e as-sume l’impegno di essere il custode di questo bambino (1,20-23). Non è annotato, dall’evangelista, il suo nome accanto a Maria e al bambino quando i magi giungono alla sua casa in Betlemme (2,11-12). Di nuovo, obbe-dirà ai sogni per sfuggire all’ira di Erode e ritornare dopo la morte del persecutore, per abitare non a Bet-lemme ma a Nazareth (2,13-23). Luca colloca invece al centro del suo racconto, Maria, presentata come pro-messa sposa di Giuseppe (1,27), mentre lui è il servi-tore che l’accompagna a Betlemme per un censimento (Lc 2,4) e le sta vicino davanti ai pastori attoniti (2,16). Non accenna a lui, quando Simeone e Anna ricevono con gioia la madre e il bambino, nella presentazione al Tempio, solo annota il suo stupore (Lc 2,29-38). Infine, quando i genitori ritrovano, dopo tre giorni di ricerche, il giovane Gesù nel Tempio a Gerusalemme, è Maria che parla: “Tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo” (2,48). Giuseppe tace e sparisce nel nulla, non si parla più di lui nei vangeli, non sappiamo come abbia educa-to Gesù a crescere come buon ebreo e come lavoratore. Né conosciamo le sue incertezze, i dubbi, le domande sul figlio non suo, ma diventato suo per fede. Forse non c’era più quando Gesù sceglieva la sua strada. Non era presente alle nozze a Cana di Galilea raccontate solo da Giovanni (Gv 2). Solo rimane il ricordo all’inizio della genealogia lucana che comincia con Gesù “figlio, come si riteneva, di Giuseppe” (Lc 3,23) e termina sul-la bocca della gente di Nazareth quando si meraviglia di Gesù che parla con autorità e sapienza, essendo il semplice “figlio di Giuseppe”(Lc 4,22) falegname.

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I vangeli apocrifi, come lo Pseudo-Matteo del IV-V secolo, il Protovangelo di Giacomo scritto nel II seco-lo, la Storia di Giuseppe falegname, il Vangelo Arabo dell’infanzia che semina l’Egitto di soste e miracoli di Gesù, hanno contribuito con il loro bisogno di chiarir-ne il ruolo, a rendere ancor più oscura e inutile la sua figura. Lo presentano come un vecchio, forse perfino vedovo con figli, per risolvere il problema dei “fratel-li” di Gesù (cfr. Mt 12,47; 13,53-58) e salvare così la verginità di Maria. Lo presentano obbligato a sposare la giovane Maria, scelta suo malgrado, dopo il prodi-gio della fioritura del suo ramo secco contro la steri-lità dei rami degli altri contendenti più giovani di lui, come è riprodotto da Raffaello (1504, Sposalizio della Vergine, Milano, Brera). I Vangeli apocrifi riempiono i vuoti lasciati dai Vangeli. Soddisfano il desiderio del-la religiosità popolare di sondare il mistero e la vita di quel bambino, che appena nato, parla, fa piegare i rami della palma per coglierne i frutti, fa scorrere acqua nel deserto, fa morire e poi rivivere, un ragazzo che gioca-va con lui, compie una serie di miracoli, come quello dell’uccellino di fango che al suo soffio prende vita e vola via. Descrivono la vita di quella famiglia come se Giuseppe e Maria avessero già la consapevolezza senza alcun dubbio di aver ricevuto un figlio che è vero Dio (cfr. Ravasi Gf., o.c. 2014, pp. 77-89). Immagini riprese anche dal Corano dove il neonato Gesù difende la Ma-dre dalle accuse dei parenti che la ritengono una pro-stituta per aver generato il figlio fuori dal matrimonio (Sura 19,29-33).

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Giotto, Natività, Cappella degli Scrovegni, Padova

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È interessante accompagnare l’iconografia del san-to per scoprire quale immagine di lui viene offerta ai devoti nel dipanarsi del tempo. Fino al 1200 San Giu-seppe è sempre rappresentato come un personaggio di second’ordine, di lato, seduto o in piedi, spettatore pensoso, con la mano appoggiata sul mento, testimone di un evento-mistero che non lo riguarda direttamen-te. Nel 1300, appare ancora come soggetto aggiunto, nella bellissima predella della Maestà di Duccio di Bo-ninsegna (1255-1318, National Gallery, Washington) e dietro all’asinello che porta Maria con il bambino, an-che se un altro lui stesso, è accovacciato e dormiente e un angelo gli suggerisce di fuggire dal massacro degli innocenti nella Fuga in Egitto, sempre nella Predella della Maestà (Siena, Museo dell’opera). Giotto, nel-la Cappella dagli Scrovegni a Padova (1302-6), pure nella Fuga in Egitto, lo pone davanti all’asinello come colui che guida sulla retta via, mentre, nella Natività dello stesso ciclo, lo colloca accovacciato e dormien-te tra l’asino e le pecore, ignaro del grande evento in cui si trova coinvolto. Iconografia, quella della Fuga in Egitto, che si ripeterà in altre opere giungendo alla ste-sura di Altobello Melone nell’affresco della Cattedrale di Cremona (1518) dove, ancora una volta, Giuseppe, vecchio e stanco, segue l’asinello e si ripara con il cap-pello di paglia dalla luce del sole, mentre Maria e il suo Bambino, che già tende la manina per cogliere qualche frutto dalla palma, vengono guidati dall’angelo. Non c’è da meravigliarsi, però, se in pieno rinascimento il grande pittore tedesco Albrecht Dürer nella xilografia della Sacra Famiglia con tre lepri (1498), mette un Giu-seppe vecchio e barbuto che osserva, di lato, la Vergi-ne e il Bambino, come un pellegrino stanco e estraneo, appoggiato al suo bastone, con il cappello in mano. La novità sempre nel tema della Fuga in Egitto, appare nel

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bellissimo Riposo durante la fuga in Egitto del Cara-vaggio (1595-96, Galleria Doria Pamphilj, Roma), dove Giuseppe sostiene lo spartito all’angelo che suona una musica per il sonno di Maria e del Bambino in braccio a lei. Il protagonismo di Giuseppe si ripete nell’imma-gine dipinta da Federico Baroccio, pittore urbinate del 1500, che ritrae un Giuseppe attivo nel gesto di coglie-re e offrire ciliegie al Bambino che, a sua volta, le of-fre alla madre, scena ripresa da molti altri. Tra questi come non sottolineare la delicatezza del bimbo che, in braccio alla madre, dà la mano al padre Giuseppe che coglie frutti dalla palma nella Madonna della scodella (1530, Correggio, Galleria, Parma) e dello stesso nel Riposo durante la fuga in Egitto con San Francesco (uffi-zi, Firenze) cosi pure nella tela di C. Saraceni a Frasca-ti, nel Santo Eremo dei Camaldolesi e, ancora, nell’af-fresco della Fuga in Egitto di Gian Giacomo Barbelli (1604-1656) nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Crema, dove Giuseppe riceve il Bambino tra le sue braccia mentre Maria scende dall’asinello in una sosta del viaggio.

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Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto

La Chiesa ha continuato questo silenzio e questa marginalizzazione, colpevole per aver messo da parte un uomo ed un fedele di alto valore, forse per l’impor-tanza data alla figura di Maria, come era in parte logi-co fare. La devozione alla Madre è stata propagandata e sostenuta, spesso, al punto da svuotare, in maniera totale, il ruolo del padre Giuseppe. Nel percorso del-la spiritualità e devozione cristiana, Giuseppe appare poche volte, anche se in molti Padri troviamo spunti e riflessioni sulla sua figura e molte abbazie, la prima di essa quella di Winchester che, nel 1030, celebra la sua memoria liturgica, seguita dai Servi di Maria, dai Fran-cescani e dai Carmelitani, già nella data del 19 marzo. Bernardo di Chiaravalle († 1153), lo ritiene “Fedelissi-

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mo cooperatore del suo grande disegno di Dio” (Homi-lia II, super “Missus est” PL 183,69 s.), seguito poi da Tommaso d’Aquino che lo ritiene essenziale nel pro-getto della redenzione attraverso l’Incarnazione. Molto più viva la devozione nella Chiesa d’oriente dove già il suo culto è presente nel IV secolo, e a partire dal VII secolo, la chiesa copta fa memoria della sua morte il 20 di luglio. In occidente le prime aperture su un Giu-seppe, sposo e padre sollecito, le troviamo nelle Rive-lazioni di Santa Brigida di Svezia († 1373) pubblicate nel 1492, in cui il santo appare nella sua umanità e alla pari con Maria nell’adorazione del figlio appena nato. Soprattutto la riscoperta della spiritualità di Nazareth e dell’umanità del Figlio di Dio, veicolata da san Fran-cesco d’Assisi, ha fatto sì che Giuseppe diventasse pre-senza attiva nel mistero dell’Incarnazione. Soprattutto la sua figura come protettore di Maria e di Gesù viene messa in luce da san Bonaventura da Bagnoregio e da Duns Scoto, ed è viva nelle varie confraternite che si sono fregiate del suo nome. La gerarchia inizia a rico-noscerne il valore, anche se tarda a promuoverne uffi-cialmente la devozione. Spetta a Papa Sisto IV (1471-1484) inserire ufficialmente nel breviario e nel messale, la festa liturgica del santo il 19 di marzo. Appaiono già alla fine del ‘300, nelle correnti spirituali, le due linee che accompagneranno la diffusione della devozione a San Giuseppe. Nella prima, Giuseppe è il santo protet-tore della Chiesa lacerata dallo scisma d’occidente, in-tercessore per la sua unità contro le forze del male, così presentato nell’opera Consideration sur Saint Joseph di Jean Gerson, teologo dell’università di Parigi, mentre nella seconda, veicolata dalla corrente francescana di Bernardino da Siena e Bernardino da Feltre, fedeli se-guaci di Francesco, è presentato come il santo delle vir-tù familiari e umane, dello sposo e del padre fedele.

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Lucio Massari (1569-1633) La Sacra famiglia che stendeil bucato, uffizi, Firenze

L’iconografia rinascimentale presenta un Giuseppe ormai più vicino alla realtà: più giovane, padre affet-tuoso di famiglia, come nel Trittico dell’Annunciazione di Robert Campin (1420, Metropolitan Museum, New York,) mentre pulisce e riassetta gli strumenti di lavo-ro: martello, tenaglie, chiodi e sega. Giuseppe falegna-me nel lavoro notturno con Gesù ragazzo che gli tiene la candela accesa nella tela di Georges de La Tour (Giu-seppe falegname, 1641-42, Louvre, Parigi). Giuseppe è dipinto, perfino, con il bambino in braccio e gioca con

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lui davanti a un cagnolino, mentre Maria fila alla co-nocchia nel bellissimo quadro di Bortolomeé Esteban Murillo, La Sacra Famiglia e l’uccellino (1650, Museo del Prado, Madrid). Delicata e commovente la figura di Giuseppe che contempla il bambino in braccio nel dipinto di Guido Reni, dove però la figura di Giuseppe di barba e capelli bianchi è più di un nonno che di un padre. Appare la quotidiana intensità del rapporto tra padre e figlio nel quadro di Gerrit Hointhorst (1620, Hermitage, San Pietroburgo) dove Gesù adolescente guarda ammirato il padre che lavora nella sua bottega, facendogli luce con una candela. Domenico Theotoco-pulos “el Greco” ce lo presenta nella Cappella di San José a Toledo (1597-99), giovane e snello protettore del piccolo Gesù che gli tende la mano, sopra le loro teste un coro festoso di angeli con corone di fiori.

L’umanità di Giuseppe giunge a renderlo quasi pre-cursore dei tempi moderni nella tela di Lucio Massa-ri (1569-1633) agli uffizi di Firenze, in cui Giuseppe, insieme a Gesù giovanetto aiutano la mamma Maria a stendere il bucato. Il Murillo dipingerà ben due vol-te Giuseppe giovane da vero padre con il bambino in braccio.

Giuseppe tocca l’apice dell’umanità ma anche della sua posizione teologica, nella trasposizione iconogra-fica delle Due Trinità, sempre del Murillo, al National Gallery di Londra, dove Gesù adolescente è posto al centro del quadro, sopra il suo capo il Padre e lo Spiri-to Santo, mentre dà la mano a Maria e Giuseppe seduti alla destra e alla sinistra, seguendo la corrente della spi-ritualità francese del ’600 che vede nella Sacra Famiglia l’icona terrena della Trinità celeste.

La pittura moderna tratteggia ormai un Giuseppe diverso. L’iconografia dei pittori dell’800, lo presenta ancor più umano. Nel quadro di John Everett Millais

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(1829-1896, Tate Gallery, Londra) è il carpentiere ma-turo al tavolo di lavoro con i suoi aiuti mentre davanti al tavolo si trova, stranamente, Maria in ginocchio che bacia l’adolescente Gesù. Più ancor vicino alla realtà è Filippo Gagliardi che dipinge Giuseppe giovane al suo tavolo di lavoro aiutato da Gesù giovinetto (Roma, Chiesa del Gesù). Altri pittori lo presentano ormai nel momento della morte circondato da Maria e Gesù se-guendo la tradizione che lo vuole esempio della buona morte, come Domenico Fiasella († 1657) nella Chiesa di S. Giovanni Battista a Chiavari e di Giuseppe Ma-ria Crespi (1715-29) nella Chiesa di Stuffione, Parma. un Giuseppe presentato come buon padre lo troviamo nelle statue dove appare con il “suo” bambino tra le braccia.

Impossibile nello spazio ridotto di questa introdu-zione navigare nelle iconografie del ’900. Accenno solo ad alcuni pittori extra europei, come l’indiano Cyril A. Moilanann che, nelle vetrate della Cattedrale di Gesù Bambino a Quilon nel Kerala, presenta Giuseppe ac-canto a Maria, soli, in contemplazione di Gesù appena nato, e poi, Giuseppe con Gesù piccolo nelle sue brac-cia mentre tende le manine a Maria e, infine, un Gesù giovane apprendista accanto a lui al lavoro nella botte-ga di falegname...

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Cyril A. Moilanann, Gesù apprendista falegname, vetrata nella Cattedrale di Kilon, Kerala, India

Giuseppe, dunque, non è il povero vecchio falegna-me che entra nella storia del progetto di salvezza in se-cond’ordine, ma il saggio e sapiente ebreo conoscitore della Tanach (Torah-Bibbia ebraica) nel trattato Sum-ma de donis sancti Joseph (1522) del domenicano Isido-ro Isolani (Jsolanus). Si tratta di un vero trattato teolo-gico su di lui che ricupera l’apocrifo copto del IV-V se-colo, la Storia di Giuseppe falegname. Il testo descrive la morte di Giuseppe, accudito da Maria e da Gesù, scena che renderà sempre più popolare la devozione al san-

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to come protettore della buona morte. Diventa, nelle riflessioni della spiritualità moderna il sacramento del Padre verso il sacramento del Figlio, custode e maestro di colui che incarna nella sua umanità il mistero del Verbo, l’ultimo dei patriarchi della storia della salvezza accanto a Giovanni il Battista, ultimo profeta. Il teolo-go brasiliano Leonardo Boff nel suo Al cuore del cri-stianesimo (EMI, Bologna, 2013) sostiene che Gesù ha potuto chiamare Dio con il nome di “abbà” padre, pro-prio perché ha assorbito da Giuseppe tale dimensione intima di padre buono e affettuoso giungendo perfino a sondare a fondo la sacramentalità di Giuseppe nei con-fronti della figura di Dio Padre nel mistero trinitario, al punto di affermare che “il Padre si identificò con lui... come Giuseppe si immerse nella paternità del Padre”.

La gerarchia della Chiesa ha tardato nella valorizza-zione di Giuseppe. Solo nel 1621 papa Gregorio XV proclamerà e stabilirà il 19 di marzo come festa di pre-cetto dedicata a San Giuseppe per la Chiesa univer-sale. Clemente X solo nel 1671 introdurrà nell’ufficio divino l’inno Te, Joseph, celebrent, a lui dedicato. Il suo nome verrà inserito nelle litanie dei santi solo nel 1726. Pio IX, l’8 dicembre del 1870, in piena bufera politico-religiosa, di fronte allo sgretolarsi dello Stato Pontificio per l’entrata in Roma delle truppe italiane e per le for-ze incombenti della cultura moderna, classificate tut-te come il male del mondo contro la fede (cfr. Sillabo, 1864), ripropone San Giuseppe come difensore della Chiesa e lo proclama patrono della Chiesa universale. Leone XIII, nel discorso ai cardinali riuniti il 28 ot-tobre del 1878, colloca la Chiesa “sotto la potentissi-ma protezione di San Giuseppe” e, il 15 agosto 1889, gli dedica una enciclica Quamquam Pluries in cui risalta la “doppia dignità” come sposo della Vergine Maria a padre custode del Figlio e nello stesso tempo custo-

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de della Chiesa nascente. Alla fine il papa chiede, nella preghiera A te, beato Giuseppe di allontanare: “la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo, assistici propi-zio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre … e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e dalle avversità...”.

Dunque un Giuseppe padre e custode del Figlio di Dio ma anche muro innalzato contro il mondo che in-sidia la Chiesa, figura umana accanto a quella angelica di Michele con la spada sguainata contro il drago de-moniaco. In questa linea Pio XI nel 1930 consacra la Russia vittima del Comunismo a San Giuseppe. Bene-detto XV, nel 1921 estenderà la festa del santo a tutta la Chiesa universale. Si apre verso una visione nuova del santo, la decisione di papa Pio XII di dare al primo maggio, festa del Lavoro, un significato religioso e li-turgico, collocandolo come patrono della festa e lo ren-de presente, in seguito, nelle varie encicliche sul lavoro e nei discorsi ai lavoratori. Finalmente Papa Giovanni XXIII ha dato maggior valore alla sua figura inseren-done il nome nel Canone romano, con il decreto della Sacra Congregazione dei riti Novis hic temporibus del 13 novembre 1962. Il punto più alto di questo lungo e difficile cammino della devozione e della valorizza-zione di San Giuseppe si deve a Papa Giovanni Paolo II che lo inserisce come protagonista nella storia della salvezza, con l’Esortazione Redemptoris cultus del 15 agosto 1989, presentandolo come colui “che partecipò, come nessun’altra persona, ad eccezione di Maria”, al mi-stero dell’Incarnazione. Depositario del mistero, uomo giusto, sposo e padre, lavoratore, patrono della Chiesa in ogni tempo. Il valore dell’Esortazione pontificia è ancor più significativo se lo si colloca nella sequela del-le encicliche papali: Redemptor Hominis, Redemptoris

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Mater e Redemptoris Missio attorno alla figura centrale di Cristo, figlio di Maria, custodito da Giuseppe e an-nunciato dalla Chiesa.

Ma Giuseppe non è solo importante nella storia della salvezza per essere il responsabile della Famiglia di Na-zareth, ma è, anche, segno sacramentale per ogni cri-stiano e ancor più per chi esercita un ministero nella chiesa. Benedetto XVI, che porta il nome di Joseph, all’Angelus nel giorno della sua festa nel 2011, lo ha presentato come esempio di fiducia nel progetto di sal-vezza di Dio e gli ha affidato tutti i pastori della Chiesa perché lo seguano nel presentare “ai fedeli cristiani e al mondo, l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Gesù”. Se Giovanni Battista è l’ultimo profeta che prepara la via al Messia e che lo addita alle folle come l’“Agnello che toglie il peccato del mondo”, Giu-seppe è l’ultimo e umile patriarca custode della tradi-zione e dell’elezione di Dio per il suo popolo ed è colui che prepara il Figlio di Dio, nella quotidianità del lavo-ro e nella fede, alla grande missione di Salvatore.

Molti hanno scritto su di lui, ma nonostante questo, poco è passato nelle manifestazioni devozionali del po-polo di Dio, pur ricche di spunti. Paolo VI così lo ha tratteggiato nell’omelia del 19 marzo del 1966: “Que-sto è il segreto della grandezza di San Giuseppe che ben si accorda con la sua umiltà: l’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta, l’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava nella Sacra Fami-glia, per farle totale dono di sé della sua vita e del suo la-voro; l’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuo-re e di ogni sua capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua Casa, suo figlio nominale e figlio di Davide, ma in realtà figlio di Maria e figlio di

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Dio. Se mai a qualcuno si conviene questa insegna evan-gelica ‘servire per amore’ a S. Giuseppe la dobbiamo at-tribuire…”. un anno prima aveva messo in luce la sua umanità: “Come ci pare fraterna, e, si direbbe, vicina a tante nostre stature fragili, mediocri, trascurabili, pecca-trici! Come si fa presto a entrare in confidenza con un santo che non sa dare soggezione, che non vanta nessu-na distanza da noi...” Padre Lombardi S.J., nel dare il buon onomastico a papa Benedetto XVI, ha usato al-cuni concetti espressi dal papa stesso in una sua omelia il 18 marzo 2009 a Yaoundé in Africa: “San Giuseppe governava la sua famiglia come colui che serve. Egli inse-gna che si può amare senza possedere e ci svela il segreto di vivere alla presenza del mistero. In lui non c’è sepa-razione fra fede e azione, perché la sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. È un uomo giusto perché la sua esistenza è sempre ‘aggiustata’ sulla parola Dio”.

Per ultimo e finalmente, il nome di Giuseppe entra maggiormente nella liturgia della Messa. Papa Fran-cesco ha reso ufficiale il decreto della Congregazione del Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, firma-to il primo maggio 2013 dal cardinale Antonio Caniza-res Lhovera e dall’arcivescovo Arthur Roche, prefetto e segretario del Dicastero, che stabilisce l’aggiunta nei Canoni II e III, come già avviene nel I Canone, accanto al nome di Maria quello di “Giuseppe suo sposo”.

Provo anch’io, con timore e tremore, a ridonare al volto di Giuseppe la sua umanità, la sua fedeltà. Al-tri hanno già tentato di dargli la parola in vari scritti. Non ho pretese, lascio a chi ha approfondito lo stu-dio su questo grande umile uomo, di svelarne i misteri nell’ambito storico, teologico e spirituale. Tento, inve-ce, di seguire una scelta un po’ folle e spero che non se

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ne dolga il santo, quella, cioè, di entrare nel suo intimo per mettere in luce i sogni e le speranze, i dubbi e le incertezze, il calore umano e la grandezza di chi “per amore e solo per amore”1 ha fatto della sua vita la fedele opera d’arte plasmata dalle dita di Dio.

Ho scelto, per dargli voce, la finzione letteraria del diario, assolutamente irreale, perché San Giuseppe, ne sono certo, non ha mai scritto nulla che si riferisse alla sua vita o ad altro. Non intendo presentare questo mio azzardato tentativo, quasi fossi capace di sondare gli abissi e i segreti di una persona e quale persona! Ma mi metto in un cantuccio accanto a lui e gli chiedo di det-tarmi i suoi sentimenti, anche se vi collocherò del mio, sperando di non fargli troppa violenza.

L’ultima spinta che mi ha fatto decidere di pubblica-re questo scritto, dopo alcuni anni di titubanza, me l’ha data papa Francesco che nell’omelia della festa il 19 mar-zo 2014 ne ha ripreso i tratti con il suo stile che privile-gia l’umanità e la relazione: “Giuseppe è custode perché sa ascoltare, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”. San Giuseppe, custos, custode del mistero del Figlio di Dio, esempio per noi inviati a custodire il creato, custo-dire i fratelli in pazienza, tenerezza e bontà.

Cremona, 19 marzo 2014

1 Da Pasquale Festa Campanile, Per amore, solo per amore, 1983.

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Riferimenti bibliografici

Per questa introduzione, per forza di cose parziale e schematica, mi sono basato su alcuni testi, oltre ai Van-geli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni

I Santi nella Storia, Marzo, 19, San Giuseppe, Direzione editoriale Antonio Tarzia, San Paolo, Cinisello Bal-samo 2006

Boff Leonardo, Al cuore del cristianesimo, EMI, Bo-logna 2013

ravasi Gianfranco, Giuseppe. Il padre di Gesù, San Pao-lo, Cinisello Balsamo 2014

siGnori Lino, Giuseppe di Nazaret mio padre, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano 2014

E alcuni articoli:ravasi Gianfranco, Giuseppe il santo della partita Iva,

“Avvenire - Agorà” 8/03/2013 dordoni annarosa, Giuseppe, sposo di Maria: un

santo molto amato, “La Vita Cattolica”, Cremona, 15/12/2011