ANNO XIII - NumerO 1 - febbrAIO 2015 - Noi di Santa Monica · all’uomo Severino Poletto?...

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Terza puntata HELEN KELLER / Continuiamo a raccontare le vicen- de di donne speciali. In questo appuntamento conosceremo Helen Keller, scrittrice e attivista politica sordo-cieca. Nacque in Alabama, il 27 giugno 1880, e morì a Easton il 1º giugno 1968. Incontrò tutti i Pre- sidenti degli Stati Uniti, da Grover Cleveland a Lyndon B. Johnson, e divenne la beniamina di personalità come Charlie Chaplin e Mark Twain. Sono arrivati alla rubrica “Caleidoscopio di parole” altri sug- gerimenti per la quinta puntata conclusiva in cui rievocheremo la fi- gura di un’eroina italiana (vedi ultima pagina). Grazie a tutti. Il 6 marzo 1887, Annie Sullivan, maestra ipovedente di appena vent’anni, viene chiamata a fare da istitutrice alla piccola Helen Keller. È l’inizio di un rapporto intessuto di genialità e amicizia che durerà oltre mezzo secolo. Helen ha sei anni. A causa di una meningite, contratta a soli diciannove mesi, è completamente cieca e sorda. Vive in un mondo tutto suo e la fami- glia non sa come affrontare la situazione. La bambina si esprime solo con due gesti per dire «ho fame» e «ho sete». La madre, non volendo rinchiuderla in un istituto per malati mentali, dopo lun- go cercare le ha finalmente trovato una insegnante. Annie esce da un’infanzia difficile, da orfana. È ipovedente, ma ha studiato molto e ha un carattere fortissi- mo. Tra docente e allieva s’instaura un legame basato su affetto, severo esercizio e ferrea disciplina. L’isti- tutrice comincia a metterle in mano alcuni oggetti: una bambola, una matita, un cucciolo di cane; e per ciascuno le scrive sulla mano le let- tere della parola corrispondente. Helen impara a riprodurre il segna- le e a rimandarlo. Talvolta, quasi d’istinto, poggia l’altra manina sul- le labbra dell’insegnante per cogliere la vibrazione delle parole. Il 20 marzo Helen cerca di comunicare con il suo cagnolino scrivendogli sul- la zampa. Il 31 marzo ha imparato diciotto sostantivi e tre verbi, ma la strada è ancora in salita. Una mattina, mentre Annie la lava, Helen chiede il nome del- l’acqua, e la maestra come al solito scandisce le sillabe. Poi porta la piccola sotto il rubinetto e, quando l’acqua scende sulla mano, sull’altra le picchietta con le dita la parola a ritmo cadenzato. Helen sembra perplessa, poi improvvi- samente s’illumina e sillaba la parola «acqua» sulla mano di Annie. La Keller scriverà da adulta: «In quell’istante si accese in me un lampo di pensiero. Mi si manifestò il “segreto della parola”: avevo capito che “ac- qua” era quel qualcosa di fresco che scivolava sulle mie dita. Quella parola destò la mia anima, le diede luce, speranza, piacere, sciolse le mie catene. Im- provvisamente, in qualche modo, il mistero del linguaggio mi si era rivelato». Ecco la descrizione di Annie di quel momento: «Si accovacciò, toccò la terra e chiese come si chiamasse, poi la pompa dell’acqua, il cancello… Quindi si voltò verso di me e chiese il mio nome… Come un elfo volava da un oggetto all’altro, chiedeva il significato di ogni cosa e mi baciava per la gioia». Helen impara a leggere e a scrivere in caratteri Braille. Sogna di diventare scrittrice. Nel 1890, legge la storia di Ragnhild Kåta, una ragazzina norvegese sordo-cieca che ha imparato a parlare. Il successo di Raghnild spinge Helen, che all’epoca ha solo dieci anni, a esprimersi nella sua lingua con vo- ce gutturale. Annie, nel frattempo, usa con lei il metodo Tadoma: ascoltare toccando le labbra e il collo di chi sta parlando. Più tardi, Helen imparerà a leggere in Braille anche il francese, il tedesco, il gre- co e il latino. Dopo aver frequentato la Perkins School per ciechi, nel 1894 si trasferisce con Annie a New York per fre- quentare la Wright-Humason School e, nel 1898, entra alla Cambridge School del Massachusetts. Due anni dopo, viene ammessa alla Radcliffe University, dove si laurea magna cum laude a 24 anni. Diventa così la pri- ma persona sordo-cieca a ottenere il dottorato in un college. Si dedica alla scrittura. I suoi articoli – in cui racconta avventure e progetti personali – sono molto richiesti. Il libro Storia della mia vita diventa un bestseller in- ternazionale tradotto in varie lingue e in Braille. È il primo di una serie di pubblicazioni che la consacreranno autrice e oratrice acclamata nel mon- do. Si impegnerà, da avvocato, nelle cause per i diritti dei disabili e in nu- merose lotte progressiste, battendosi per il voto alle donne e contro lo sfruttamento degli operai. Nel suo libro l’Ottimismo (1903) affermerà: «Ogni ottimista si muove nel solco del progresso, affrettandolo, mentre i pessimisti vogliono mantenere fermo il mondo. La conseguenza del pessimismo nella vita di una nazione è la stessa nella vita di un individuo. Il pessimismo uccide l’istinto che spinge a combattere contro la povertà, l’ignoranza e il crimine, esaurendo tutte le fonti della gioia. L’ottimismo è la fede che porta alla conquista». Nelle fotografie: Helen Keller, a 6 anni, con la maestra Annie / Una scena dal film Anna dei miracoli (1962), che racconta la storia di Annie Sullivan (interpretata da Anne Bancroft, Oscar migliore attrice protagonista) e di Helen Keller (interpretata da Patty Duke, Oscar migliore attrice non protagonista). ANNO XIII - NumerO 1 - febbrAIO 2015 La vignetta di Roberta Quei Presepi negati... Una luce è spuntata per il giusto, una gioia per i retti di cuore. Gioite giusti, nel Signore, della sua santità celebrate il ricordo (dal salmo 96-97) Gesù è la nostra luce, il nostro punto fermo laggiù all’orizzonte… Per i musulmani è un profeta… / Maria, sua madre, intercede per noi… Le donne musulmane si affidano a lei per avere figli… Questi sono solo due dei punti in comune tra le due religioni più diffuse nel mondo, ma i più riescono solo a trovare punti di disaccordo e pretesti per odiare ed uccidere. È inutile ricordare quanto ci dicono i giornali in questo periodo. Ogni anno nel periodo precedente il Natale ci ritroviamo a vivere il problema “Presepe sì, Presepe no”. Quest’anno siamo riusciti a senti- re addirittura che un Presepe è stato vietato in una scuola per problemi di sicurezza! Sicurezza di chi? Del dirigente scolastico? Dell’impian- to anti-incendio? Degli alunni? Della morale? Pensare che basterebbe usare un minimo di buon senso per riuscire a convivere sotto lo stesso tetto! Quando sento queste cose mi viene sempre da pensare alla professo- ressa di religione della Peyron (sede). In un triennio ha avuto in classe alunni rappresentanti diversi credo religiosi. Cattolici cristiani, orto- dossi, valdesi e musulmani. Ha usato questa opportunità per una reale integrazione. Ognuno ha spiegato ai propri compagni il proprio credo, l’ha messo al corrente delle proprie feste e le celebravano tutti insie- me. Si entrava in quella classe e si trovava di tutto e nessuno ha mai avuto nulla da ridire se vedeva o meno un Presepe, un albero di Natale o altri oggetti che rappresentavano le altre religioni. Ecco, la nostra società – e soprattutto tutte le altre scuole – dovrebbero imparare da questo. Rispetto per tutti! Peccato non aver avuto anche un compagno ebreo! Giulia Mondo Dal 19 aprile al 24 giugno prossimi – in occasione del bicentenario della nascita di don Bosco – nel Duomo di To- rino si svolgerà un’ostensio- ne straordinaria della Sindo- ne, che porterà di nuovo a Torino moltissimi pellegrini. Il 21 giugno è anche prevista la visita di Papa Francesco. Nel 2013 (già durante il man- dato dell’attuale arcivescovo di Torino monsignor Cesare Nosiglia) ci fu un’ostensione solo televisiva del Sacro Lino, mentre l’ultima ostensione pubblica della Sindone risale al 2010. In quell’anno l’arci- vescovo di Torino era il car- dinale Severino Poletto e pro- prio a lui, che ricopriva la ca- rica già nell’anno dell’osten- sione del Giubileo 2000, Il Ponte ha voluto porre alcune domande su questa straordi- naria esperienza. Quali sono i motivi per cui viene de cisa un’ostensione della Sin- done? Il motivo è principalmente quello di offrire ai fedeli la possibilità di vede- re questo telo sindonico che la tradi- zione – per me invece è certezza – di- ce essere il telo che ha avvolto il cor- po di Gesù Cristo nel sepolcro. Quin- di il vedere come nella Sindone ci siano tutti i segni della Passione di Gesù come sono descritti nel Vange- lo; il sapere che il sangue del costato è un sangue cadaverico, mentre il sangue sulla fronte per la corona di spine e quello sul corpo sono di un vi- vente, sono tutti aspetti e prove che Signore con questo? Che noi do- vremmo guardare un po’ di più a Lui e tenere in conto che se custodiamo qui nella nostra città un segno – io la chiamo una reliquia, ma comunque si può chiamare icona, immagine, ma io la chiamo reliquia perché mi pare che lo sia, come ho detto prima a livello personale, ma non è ufficiale la mia opinione –, dovremmo domandarci il significato di un’ostensione, il fatto che essa sia un evento spirituale e non turistico, mediatico… Capisco che le autorità cittadine spingano per fare frequenti ostensioni, però io sono del parere che debbano essere un pochi- no più rare, per il motivo che bisogna farle desiderare le cose, perché se uno le mette lì tutti i momenti… allo- ra perdono di mordente, di valore. È chiaro che porta anche un beneficio ai commercianti perché tutti vanno a prendere un caffè… questo è chiaro, ma non è quello lo scopo. Lo scopo è condurre la gente a incontrare Gesù Cristo. Come ha parlato quell’immagine all’uomo Severino Poletto? Quell’immagine a me personalmente ha sempre fatto un effetto di grande commozione, direi anche di affetto nei confronti di Gesù. Quando ci fu nel 2000 un convegno scientifico mondiale di 3 giorni a Villa Gualino, prima però abbiamo portato tutti gli scienziati davanti all’icona della Sin- done nella nuova sacrestia inaugurata dopo l’incendio, non dentro al vetro, così davanti al telo. Lì abbiamo fatto leggere a un ebreo un brano del pro- feta Isaia, poi ho chiesto a tutti di la- sciarmi da solo di fronte alla Sindo- ne. Sono usciti tutti e sono stato un quarto d’ora a pregare da solo davan- ti alla Sindone. Chiesi al professor Baima Bollone se potevo baciare il volto di Gesù, proprio sulla tela che non aveva nulla davanti. Chiesi se era una cosa che procurava danno. Lui mi ha risposto: “No, al massimo fra 2000 anni qualcuno troverà il suo Dna…”. Allora ho preferito stare da solo davanti alla Sindone senza il ve- tro… in diretta, proprio perché come Arcivescovo di Torino il mio legame con questo Segno della sofferenza di Gesù era un legame che mi responsa- bilizzava più ancora rispetto ai miei sacerdoti e ai miei fedeli. Questo non lo scriveremo… ma lei si sente privilegiato per questo particolare che ci ha descritto e per aver potuto baciare il volto di Cristo? Si, si! C’è un’ostensione che l’ha segna- ta in modo particolare? Le due ostensioni che ho fatto le ho vissute con grande trasporto, grande entusiasmo. Ad ogni ostensione l’Ar- civescovo decide un motto, uno slo- gan. Adesso monsignor Nosiglia ha deciso L’Amore più grande, poi ha scritto anche una lettera pastorale su questo. “Amore più grande” di chi dà la vita per la persona amata non c’è, non c’è amore più grande di questo. Io avevo messo nel 2000 Il tuo volto Signore io cerco per dire che biso- gnava vedere la Sindone per vedere il volto di Gesù. È una sua costante. Anche quan- do venne in visita a Santa Moni- ca disse: “Desidero vedere i vo- stri volti”. Questa è una cosa che lei sente in modo particolare? Sì, quando venni in visita pastorale… Mi pare di ricordare agli inizi del 2007. Invece nel 2010 abbiamo fatto una cosa molto più preparata coin- volgendo la Diocesi. Avevo scelto il questa cosa bella, pronta come deci- sione ma da organizzare. Ecco perché nel 2000 nella Piazzetta Reale ho vo- luto un prefabbricato predisposto per metà per l’Adorazione continua tutto il giorno – la mattina veniva portato il Santissimo e la sera veniva riposto in Duomo – e per metà con 12 confes- sionali, in tutte le lingue, perché la gente si potesse confessare. Perché il dire “andate a cercare i confessori nelle chiese” è un modo per mettere in difficoltà le persone, anche perché non sanno dove andare se sono pelle- grini che vengono da fuori. Invece se tu gli offri l’Adorazione e la Peniten- zeria… mi sembrava importante per- ché si vedeva che dopo la visita alla Sindone la gente sentiva il bisogno di chiedere perdono a Dio dei propri peccati. Questo è il segnale che un’o- stensione se ben preparata porta frut- to spirituale. La decisione per una ostensione viene presa solo dal Papa in per- sona? No. Il Papa, come sapete, è il proprie- tario della Sindone perché Umberto II morendo l’ha lasciata al Papa che l’ha lasciata ovviamente a Torino, non va a portarla a Roma. Anche se una volta monsignor Dziwisz, il se- gretario di Giovanni Paolo II, per scherzo mi disse: “La portiamo a Ro- ma?”. Io risposi: “No, non tiri fuori questo discorso, perché i torinesi…”. L’ostensione viene combinata in To- rino dall’Arcivescovo, che è il Custo- de Pontificio della Santa Sindone, e dalle autorità cittadine, le quali sono loro che tante volte insistono… Pensi che Chiamparino (questo però non lo scrivete…) voleva che durante le Olimpiadi io facessi una ostensione. Ho detto no, perché chi viene per le Olimpiadi viene per vedere lo sport, questo è un evento spirituale. Poi l’abbiamo fatta nel 2010. Ma non è il Papa, cioè si decide a Torino, poi si fa richiesta al Papa, se lui è d’accordo… e se lui poi viene. Cosa ha significato per lei, come Arcivescovo e come uomo, essere per alcuni anni il Custode Ponti- ficio della Sacra Sindone? Ma… io, l’ho detto anche in un’ome- lia, noi torinesi dovremmo doman- darci cosa il Signore ci dice, dice a noi torinesi avendo disposto che la Sindone finisse da noi. Cosa ci dice il mi fanno dire… [NdR “che mi fanno credere”]. Però non dobbiamo di- menticare che Giovanni Paolo II, quando venne nel 1998, disse che non tocca alla Chiesa stabilire l’autentici- tà della Sindone, ma agli scienziati e agli storici. Allora lui la chiamò Specchio del Vangelo. Si fa vedere la Sindone perché uno contemplando questa icona, questa im- magine – ripeto che per me è autentica, ma non lo posso proclamare io, non tocca a me giudica- re – possa confrontarsi con la Passione di Gesù. Vedere quanto Gesù, soffrendo sulla croce e immolandosi per noi, ci abbia amati. E quindi suscitare una risposta di amore. Io ero stato pel- legrino nel 1978 con i miei parrocchiani di Ca- sale quando il cardinale Ballestrero aveva orga- nizzato quella ostensio- ne e facemmo lunghe code in piazza San Gio- vanni. Poi nel 1998, co- me vescovo di Asti con il pellegrinaggio dioce- sano, quando il cardina- le Saldarini inserì il “percorso di prelettura” e avevo notato che mol- ta gente usciva dal Duo- mo e domandava dove poteva confessarsi, per- ché davanti alla Sindone il fedele contempla l’a- more di Cristo e il prez- zo di sofferenza che Gesù ha pagato per salvarci e sente anche il bisogno del pentimento dei peccati. Poi nel 1998, quando il Papa concesse il per- messo dell’ostensione, disse anche che si sarebbe dovuta tenere nuova- mente nel 2000. Nel frattempo sono arrivato io nel 1999 e mi sono trovato

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Terza puntata HELEN KELLER / Continuiamo a raccontare le vicen-de di donne speciali. In questo appuntamento conosceremo HelenKeller, scrittrice e attivista politica sordo-cieca. Nacque in Alabama, il27 giugno 1880, e morì a Easton il 1º giugno 1968. Incontrò tutti i Pre-sidenti degli Stati Uniti, da Grover Cleveland a Lyndon B. Johnson, edivenne la beniamina di personalità come Charlie Chaplin e MarkTwain. Sono arrivati alla rubrica “Caleidoscopio di parole” altri sug-gerimenti per la quinta puntata conclusiva in cui rievocheremo la fi-gura di un’eroina italiana (vedi ultima pagina). Grazie a tutti.

Il 6 marzo 1887, Annie Sullivan, maestra ipovedente di appena vent’anni,viene chiamata a fare da istitutrice alla piccola Helen Keller. È l’inizio diun rapporto intessuto di genialità e amicizia che durerà oltre mezzo secolo.Helen ha sei anni. A causa di una meningite, contratta a soli diciannovemesi, è completamente cieca e sorda. Vive in un mondo tutto suo e la fami-glia non sa come affrontare la situazione. La bambina si esprime solo condue gesti per dire «ho fame» e «ho sete».La madre, non volendo rinchiuderla in un istituto per malati mentali, dopo lun-go cercare le ha finalmente trovato una insegnante. Annie esce da un’infanziadifficile, da orfana. È ipovedente, ma ha studiato molto e ha un carattere fortissi-

mo. Tra docente e allieva s’instauraun legame basato su affetto, severoesercizio e ferrea disciplina. L’isti-tutrice comincia a metterle in manoalcuni oggetti: una bambola, unamatita, un cucciolo di cane; e perciascuno le scrive sulla mano le let-tere della parola corrispondente.Helen impara a riprodurre il segna-le e a rimandarlo. Talvolta, quasid’istinto, poggia l’altra manina sul-

le labbra dell’insegnante per cogliere la vibrazione delle parole.Il 20 marzo Helen cerca di comunicare con il suo cagnolino scrivendogli sul-la zampa. Il 31 marzo ha imparato diciotto sostantivi e tre verbi, ma la strada èancora in salita. Una mattina, mentre Annie la lava, Helen chiede il nome del-l’acqua, e la maestra come al solito scandisce le sillabe. Poi porta la piccolasotto il rubinetto e, quando l’acqua scende sulla mano, sull’altra le picchiettacon le dita la parola a ritmo cadenzato. Helen sembra perplessa, poi improvvi-samente s’illumina e sillaba la parola «acqua» sulla mano di Annie.La Keller scriverà da adulta: «In quell’istante si accese in me un lampo dipensiero. Mi si manifestò il “segreto della parola”: avevo capito che “ac-qua” era quel qualcosa di fresco che scivolava sulle mie dita. Quella paroladestò la mia anima, le diede luce, speranza, piacere, sciolse le mie catene. Im-provvisamente, in qualche modo, il mistero del linguaggio mi si era rivelato».Ecco la descrizione di Annie di quel momento: «Si accovacciò, toccò la terrae chiese come si chiamasse, poi la pompa dell’acqua, il cancello… Quindi sivoltò verso di me e chiese il mio nome… Come un elfo volava da un oggettoall’altro, chiedeva il significato di ogni cosa e mi baciava per la gioia».Helen impara a leggere e a scrivere in caratteri Braille. Sogna di diventarescrittrice. Nel 1890, legge la storia di Ragnhild Kåta, una ragazzina norvegesesordo-cieca che ha imparato a parlare. Il successo di Raghnild spinge Helen,che all’epoca ha solo dieci anni, aesprimersi nella sua lingua con vo-ce gutturale. Annie, nel frattempo,usa con lei il metodo Tadoma:ascoltare toccando le labbra e ilcollo di chi sta parlando. Più tardi,Helen imparerà a leggere in Brailleanche il francese, il tedesco, il gre-co e il latino.Dopo aver frequentato la PerkinsSchool per ciechi, nel 1894 si trasferisce con Annie a New York per fre-quentare la Wright-Humason School e, nel 1898, entra alla CambridgeSchool del Massachusetts. Due anni dopo, viene ammessa alla RadcliffeUniversity, dove si laurea magna cum laude a 24 anni. Diventa così la pri-ma persona sordo-cieca a ottenere il dottorato in un college. Si dedica allascrittura. I suoi articoli – in cui racconta avventure e progetti personali –sono molto richiesti. Il libro Storia della mia vita diventa un bestseller in-ternazionale tradotto in varie lingue e in Braille. È il primo di una serie dipubblicazioni che la consacreranno autrice e oratrice acclamata nel mon-do. Si impegnerà, da avvocato, nelle cause per i diritti dei disabili e in nu-merose lotte progressiste, battendosi per il voto alle donne e contro losfruttamento degli operai.Nel suo libro l’Ottimismo (1903) affermerà: «Ogni ottimista si muove nelsolco del progresso, affrettandolo, mentre i pessimisti vogliono mantenerefermo il mondo. La conseguenza del pessimismo nella vita di una nazioneè la stessa nella vita di un individuo. Il pessimismo uccide l’istinto chespinge a combattere contro la povertà, l’ignoranza e il crimine, esaurendotutte le fonti della gioia. L’ottimismo è la fede che porta alla conquista».

Nelle fotografie: Helen Keller, a 6 anni, con la maestra Annie / Una scena dal filmAnna dei miracoli (1962), che racconta la storia di Annie Sullivan (interpretata daAnne Bancroft, Oscar migliore attrice protagonista) e di Helen Keller (interpretatada Patty Duke, Oscar migliore attrice non protagonista).

ANNO XIII - NumerO 1 - febbrAIO 2015

La vignetta di Roberta

Quei Presepi negati...Una luce è spuntata per il giusto,una gioia per i retti di cuore.Gioite giusti, nel Signore,della sua santità celebrate il ricordo (dal salmo 96-97)

Gesù è la nostra luce, il nostro punto fermo laggiù all’orizzonte… Peri musulmani è un profeta… / Maria, sua madre, intercede per noi… Ledonne musulmane si affidano a lei per avere figli… Questi sono solodue dei punti in comune tra le due religioni più diffuse nel mondo, mai più riescono solo a trovare punti di disaccordo e pretesti per odiareed uccidere. È inutile ricordare quanto ci dicono i giornali in questoperiodo.Ogni anno nel periodo precedente il Natale ci ritroviamo a vivere ilproblema “Presepe sì, Presepe no”. Quest’anno siamo riusciti a senti-re addirittura che un Presepe è stato vietato in una scuola per problemidi sicurezza! Sicurezza di chi? Del dirigente scolastico? Dell’impian-to anti-incendio? Degli alunni? Della morale? Pensare che basterebbeusare un minimo di buon senso per riuscire a convivere sotto lo stessotetto!Quando sento queste cose mi viene sempre da pensare alla professo-ressa di religione della Peyron (sede). In un triennio ha avuto in classealunni rappresentanti diversi credo religiosi. Cattolici cristiani, orto-dossi, valdesi e musulmani. Ha usato questa opportunità per una realeintegrazione. Ognuno ha spiegato ai propri compagni il proprio credo,l’ha messo al corrente delle proprie feste e le celebravano tutti insie-me. Si entrava in quella classe e si trovava di tutto e nessuno ha maiavuto nulla da ridire se vedeva o meno un Presepe, un albero di Nataleo altri oggetti che rappresentavano le altre religioni. Ecco, la nostrasocietà – e soprattutto tutte le altre scuole – dovrebbero imparare daquesto. Rispetto per tutti! Peccato non aver avuto anche un compagnoebreo!

Giulia Mondo

Dal 19 aprile al 24 giugnoprossimi – in occasione delbicentenario della nascita didon Bosco – nel Duomo di To-rino si svolgerà un’ostensio-ne straordinaria della Sindo-ne, che porterà di nuovo aTorino moltissimi pellegrini.Il 21 giugno è anche previstala visita di Papa Francesco.Nel 2013 (già durante il man-dato dell’attuale arcivescovodi Torino monsignor CesareNosiglia) ci fu un’ostensionesolo televisiva del Sacro Lino,mentre l’ultima ostensionepubblica della Sindone risaleal 2010. In quell’anno l’arci-vescovo di Torino era il car-dinale Severino Poletto e pro-prio a lui, che ricopriva la ca-rica già nell’anno dell’osten-sione del Giubileo 2000, IlPonte ha voluto porre alcunedomande su questa straordi-naria esperienza.

Quali sono i motivi per cui vienede cisa un’ostensione della Sin-done?

Il motivo è principalmente quello dioffrire ai fedeli la possibilità di vede-re questo telo sindonico che la tradi-zione – per me invece è certezza – di-ce essere il telo che ha avvolto il cor-po di Gesù Cristo nel sepolcro. Quin-di il vedere come nella Sindone cisiano tutti i segni della Passione diGesù come sono descritti nel Vange-lo; il sapere che il sangue del costatoè un sangue cadaverico, mentre ilsangue sulla fronte per la corona dispine e quello sul corpo sono di un vi-vente, sono tutti aspetti e prove che

Signore con questo? Che noi do-vremmo guardare un po’ di più a Luie tenere in conto che se custodiamoqui nella nostra città un segno – io lachiamo una reliquia, ma comunque sipuò chiamare icona, immagine, ma iola chiamo reliquia perché mi pare chelo sia, come ho detto prima a livellopersonale, ma non è ufficiale la miaopinione –, dovremmo domandarci ilsignificato di un’ostensione, il fattoche essa sia un evento spirituale e nonturistico, mediatico… Capisco che leautorità cittadine spingano per farefrequenti ostensioni, però io sono delparere che debbano essere un pochi-no più rare, per il motivo che bisognafarle desiderare le cose, perché seuno le mette lì tutti i momenti… allo-ra perdono di mordente, di valore. Èchiaro che porta anche un beneficioai commercianti perché tutti vanno aprendere un caffè… questo è chiaro,ma non è quello lo scopo. Lo scopo ècondurre la gente a incontrare GesùCristo.

Come ha parlato quell’immagineall’uomo Severino Poletto?

Quell’immagine a me personalmenteha sempre fatto un effetto di grandecommozione, direi anche di affettonei confronti di Gesù. Quando ci funel 2000 un convegno scientificomondiale di 3 giorni a Villa Gualino,prima però abbiamo portato tutti gliscienziati davanti all’icona della Sin-done nella nuova sacrestia inauguratadopo l’incendio, non dentro al vetro,così davanti al telo. Lì abbiamo fattoleggere a un ebreo un brano del pro-feta Isaia, poi ho chiesto a tutti di la-sciarmi da solo di fronte alla Sindo-ne. Sono usciti tutti e sono stato unquarto d’ora a pregare da solo davan-ti alla Sindone. Chiesi al professorBaima Bollone se potevo baciare ilvolto di Gesù, proprio sulla tela chenon aveva nulla davanti. Chiesi se erauna cosa che procurava danno. Luimi ha risposto: “No, al massimo fra2000 anni qualcuno troverà il suoDna…”. Allora ho preferito stare dasolo davanti alla Sindone senza il ve-tro… in diretta, proprio perché comeArcivescovo di Torino il mio legamecon questo Segno della sofferenza diGesù era un legame che mi responsa-bilizzava più ancora rispetto ai mieisacerdoti e ai miei fedeli.

Questo non lo scriveremo… malei si sente privilegiato per questoparticolare che ci ha descritto eper aver potuto baciare il voltodi Cristo?

Si, si!C’è un’ostensione che l’ha segna-ta in modo particolare?

Le due ostensioni che ho fatto le hovissute con grande trasporto, grandeentusiasmo. Ad ogni ostensione l’Ar-civescovo decide un motto, uno slo-gan. Adesso monsignor Nosiglia hadeciso L’Amore più grande, poi hascritto anche una lettera pastorale suquesto. “Amore più grande” di chi dàla vita per la persona amata non c’è,non c’è amore più grande di questo.Io avevo messo nel 2000 Il tuo voltoSignore io cerco per dire che biso-gnava vedere la Sindone per vedere ilvolto di Gesù.

È una sua costante. Anche quan-do venne in visita a Santa Moni-ca disse: “Desidero vedere i vo-stri volti”. Questa è una cosa chelei sente in modo particolare?

Sì, quando venni in visita pastorale…Mi pare di ricordare agli inizi del2007. Invece nel 2010 abbiamo fattouna cosa molto più preparata coin-volgendo la Diocesi. Avevo scelto il

questa cosa bella, pronta come deci-sione ma da organizzare. Ecco perchénel 2000 nella Piazzetta Reale ho vo-luto un prefabbricato predisposto permetà per l’Adorazione continua tuttoil giorno – la mattina veniva portato ilSantissimo e la sera veniva riposto inDuomo – e per metà con 12 confes-sionali, in tutte le lingue, perché la

gente si potesse confessare. Perché ildire “andate a cercare i confessorinelle chiese” è un modo per metterein difficoltà le persone, anche perchénon sanno dove andare se sono pelle-grini che vengono da fuori. Invece setu gli offri l’Adorazione e la Peniten-zeria… mi sembrava importante per-ché si vedeva che dopo la visita allaSindone la gente sentiva il bisogno dichiedere perdono a Dio dei propripeccati. Questo è il segnale che un’o-stensione se ben preparata porta frut-to spirituale.

La decisione per una ostensioneviene presa solo dal Papa in per-sona?

No. Il Papa, come sapete, è il proprie-tario della Sindone perché UmbertoII morendo l’ha lasciata al Papa chel’ha lasciata ovviamente a Torino,non va a portarla a Roma. Anche seuna volta monsignor Dziwisz, il se-gretario di Giovanni Paolo II, perscherzo mi disse: “La portiamo a Ro-ma?”. Io risposi: “No, non tiri fuoriquesto discorso, perché i torinesi…”.L’ostensione viene combinata in To-rino dall’Arcivescovo, che è il Custo-de Pontificio della Santa Sindone, edalle autorità cittadine, le quali sonoloro che tante volte insistono… Pensiche Chiamparino (questo però non loscrivete…) voleva che durante leOlimpiadi io facessi una ostensione.Ho detto no, perché chi viene per leOlimpiadi viene per vedere lo sport,questo è un evento spirituale. Poil’abbiamo fatta nel 2010. Ma non è ilPapa, cioè si decide a Torino, poi si farichiesta al Papa, se lui è d’accordo…e se lui poi viene.

Cosa ha significato per lei, comeArcivescovo e come uomo, essereper alcuni anni il Custode Ponti-ficio della Sacra Sindone?

Ma… io, l’ho detto anche in un’ome-lia, noi torinesi dovremmo doman-darci cosa il Signore ci dice, dice anoi torinesi avendo disposto che laSindone finisse da noi. Cosa ci dice il

mi fanno dire… [NdR “che mi fannocredere”]. Però non dobbiamo di-menticare che Giovanni Paolo II,quando venne nel 1998, disse che nontocca alla Chiesa stabilire l’autentici-tà della Sindone, ma agli scienziati eagli storici. Allora lui la chiamòSpecchio del Vangelo. Si fa vedere laSindone perché uno contemplandoquesta icona, questa im-magine – ripeto che perme è autentica, ma nonlo posso proclamare io,non tocca a me giudica-re – possa confrontarsicon la Passione di Gesù.Vedere quanto Gesù,soffrendo sulla croce eimmolandosi per noi, ciabbia amati. E quindisuscitare una risposta diamore. Io ero stato pel-legrino nel 1978 con imiei parrocchiani di Ca-sale quando il cardinaleBallestrero aveva orga-nizzato quella ostensio-ne e facemmo lunghecode in piazza San Gio-vanni. Poi nel 1998, co-me vescovo di Asti conil pellegrinaggio dioce-sano, quando il cardina-le Saldarini inserì il“percorso di prelettura”e avevo notato che mol-ta gente usciva dal Duo-mo e domandava dovepoteva confessarsi, per-ché davanti alla Sindoneil fedele contempla l’a-more di Cristo e il prez-zo di sofferenza che Gesù ha pagatoper salvarci e sente anche il bisognodel pentimento dei peccati. Poi nel1998, quando il Papa concesse il per-messo dell’ostensione, disse ancheche si sarebbe dovuta tenere nuova-mente nel 2000. Nel frattempo sonoarrivato io nel 1999 e mi sono trovato

Il sostantivo “vecchio” è davvero voluto perché da anniqueste figure hanno emozionato e arricchito tanti Natali,collocate in modi diversi tra la “cappella” e la chiesa. Èanche vero che in certe occasioni – quando l’iniziativa diqualche “gruppo” ha contribuito a creare un Presepe di-verso – sono rimaste in solaio ad aspettare... Ma ognivolta che c’è stato bisogno di loro sono scese per scalda-re i cuori non solo di Santa Monica!

2 Anno XIII - Numero 1 - Febbraio 2015

MI PIACE... TI PIACE?Il Museo del Carcere

(capire per non dimenticare)

Mi piace… beh, mi piacciono tante cose,ma oggi scelgo di parlare di un museo che,nonostante l’abbia visitato molte volte, è,per me, sorgente inesauribile di emozionee riflessione: il Museo del Carcere. Situa-to all’interno dell’ex carcere giudiziario diTorino, conosciuto con l’appellativo “LeNuove”, in via Borsellino 3, di fronte alPala Giustizia, fu inaugurato nel 1870 sot-to il regno di Vittorio Emanuele II e rima-se in funzione fino al 1986 quando fu so-stituito dal più moderno carcere LorussoCotugno costruito alle Vallette.Perché è interessante? Per diverse ragioni.Il percorso storico museale è uno specchiodella società dall’Unità d’Italia all’iniziodel terzo millennio. Permette di capire co-me si vive privati della libertà in una cella(la visita viene proposta spesso ai ragazzioltre che a scopo didattico, anche educati-vo) e soprattutto è testimonianza viva del-la sofferenza e del sacrificio della vita diuomini e donne che patirono reclusione,torture e condanne a morte per l’afferma-zione della libertà e della democrazia ita-liana. Le celle per la segregazione individuale,la rotonda ortogonale costruita secondo ilsistema panottico, i cubicoli nella cappel-la centrale (utilizzati dai detenuti in asso-luto silenzio) prendono vita sotto i nostriocchi attraverso i racconti appassionatidelle guide molto ben preparate e ci inter-rogano. Ci interpellano sul come e quantoamiamo la nostra Patria, se siamo consa-pevoli del fatto che la nostra libertà – chetroppo spesso bistrattiamo, intendiamo eusiamo male – è costata il sangue a perso-

ne e intere famiglie. Questo percorso cirende urgente la custodia della memoriaper non dimenticare, per tramandare, rac-contare ai nostri figli e ai figli dei nostri fi-gli per dare loro ali per volare alto nel lorofuturo.Infatti qui, tra queste mura, accanto a notee meno note storie criminali, risuona fortela testimonianza della lotta antifascista,storie della Resistenza nel famigerato

braccio tedesco, di condannati a morte(l’ultima esecuzione capitale in Italia av-venne proprio qui), delle vittime del terro-rismo delle Brigate Rosse (ben quattroagenti caddero sotto i loro colpi).E si respira il profumo di padre RuggeroCipolla, francescano, cappellano a “LeNuove” nel periodo della guerra fino al1976. Padre Ruggero, insieme ad alcunesuore coraggiose e all’impegno impavidodi volontari esterni, salvò numerose vitesoprattutto di bambini. Accompagnò allamorte ben 72 condannati. Fu fondamenta-le, con il suo instancabile lavoro e amore,per il miglioramento delle condizioni car-cerarie dei detenuti. Durante il percorsovengono raccontati fatti che hanno vistoprotagonista questo forte e tenero france-scano e che aprono il cuore e commuovo-no. Storie di vita. Che non ci lasciano indiffe-renti, ci cambiano. Quando si esce ci sitroverà un po’ diversi da come si è entrati,certamente accompagnati da domande eriflessioni nuove. Vorrei soltanto aggiungere che nel 2010,durante le opere di manutenzione del per-

corso storico mussale, è stato rinvenutocasualmente un bunker che presenta carat-teristiche architettoniche e storiche uni-che, essendo all’interno di un carcere, adiciotto metri di profondità. È stato ripulito dai volontari del Museo emesso a norma. L’apertura di questo rico-vero conferma le testimonianze di alcunidetenuti politici e ci dice che “le radicidella nostra Costituzione repubblicanaraggiungono la profondità del dolore spe-rimentato in questo luogo inimmaginabi-le, simbolo del male dell’uomo” (Museodel Carcere).Non compreso nel percorso museale, da-vanti al braccio femminile, c’è un edificiobasso, rosso: è stato luogo di detenzionedelle brigatiste rosse negli Anni ’80 con-dannate al 41 bis, regime di carcere duro.Oggi è sede dell’Eremo del Silenzio: natocome luogo di segregazione forzata è oradivenuto un luogo di soggiorno/isolamen-to, in piena libertà, per stare nel “silenzio”con Dio.

Anna BoanoPer info: Museo del Carcere 011-7604881 / 011-3090115.

I CONSIGLI DEL DOTTOR...La natura in farmacia

(rimedi fitoterapici ed erboristici)

“Ogni cosa che puoi immaginare la natu-ra l’ha già creata” (A. Einstein). Conquesta citazione intendo incominciare unmini itinerario che ci porterà alla scopertadi alcuni dei più interessanti rimedi fitote-rapici ed erboristici. Fin dall’antichità ilmondo naturale è stato un’ottima fonte disostanze in grado di apportare benefici incaso di malattie e piccoli problemi legatial benessere dell’organismo.Risalgono all’età del rame e del bronzo ri-trovamenti di noccioli di Prunus Spinosa,bacche di Sambuco e semi di Papavero de-stinati ad uso curativo-salutistico. Gli egizisfruttavano e apprezzavano le virtù di pian-te come la Cassia, il Cardamomo, la Senapee l’Iris. Volgendo lo sguardo a Oriente s’in-dividuano basi ancor più solide riguardantil’arte della fitoterapia: il Pen T’sao è un trat-tato nel quale sono elencate più di millepiante e di ciascuna di esse sono riportati ildosaggio e il campo terapeutico di utilizzo. Il Medioevo, costellato di guerre, vede laperdita di molta parte del sapere antico;l’erboristeria e la medicina vanno pro-gressivamente scemando nel mondo laicoe diventano sempre di più appannaggiodella Chiesa, sopravvivendo solo graziealla protezione delle mura dei monasteridove comincia a diffondersi l’usanza dicoltivare orti di erbe medicinali. Nascecosì la figura del monaco-farmacista chepresiedeva alla composizione delle pozio-ni medicamentose da somministrare aimalati. Ancora oggi, partendo da questaantica tradizione, i farmacisti sanno consi-gliare rimedi naturali per risolvere in mo-do dolce i piccoli disturbi del quotidiano.

La Rosa Canina, per esempio, è una fontericchissima di vitamina C con proprietàbenefiche in caso di influenza, stati febbri-li e raffreddori; inoltre, essendo la vitami-

Cari lettori, ci è stato gentilmente chiestodi condividere con voi la nostra espe-rienza di neo genitori di cuore (genitoriadottivi) di un meraviglioso bambinoafricano che ha da poco compiuto tre an-ni. Non è facile descrivere il lungo e fati-coso cammino che ci ha portati a incon-trare nostro figlio, ma speriamo che que-sta testimonianza serva a farvi conosceremeglio un altro modo, non meno bello,di essere famiglia.Il desiderio di adottare un bambino ma-turò piano, dopo aver vissuto per tre vol-te la grande gioia di aspettare un figlio elo straziante dolore della perdita improv-visa di ciascuno di questi figli mai nati,ma tanto amati e desiderati. Come potete immaginare, abbiamo sof-ferto molto e fatto una fatica incredibilead accettare l’amara realtà e ci siamochiesti tante volte quale fosse il progettodi vita che Dio aveva pensato per noiche, amando molto i bambini, avevamosempre sognato di poter un giorno averedei figli. Poi, grazie all’aiuto della pre-ghiera, al sostegno dei familiari e al no-stro amore che il dolore ha reso più pro-fondo, capimmo che potevamo trasfor-mare la nostra sofferenza in una risorsapreziosa donando tutto l’amore cheavremmo dato ai nostri figli ad un bam-bino rimasto senza genitori. Così iniziammo a pensare all’adozione,sempre più convinti che era questo il pro-getto di famiglia che Dio aveva pensatoper noi. Sia io che mio marito, avendo infamiglia cugini adottati, sapevamo che ladecisione di adottare un figlio richiedevanon solo la disponibilità ad amare unbambino che ha sofferto per il distacco daigenitori che gli hanno dato la vita, ma an-che la capacità di affrontare col sorriso ledifficoltà senza scoraggiarsi. Ed è con questa consapevolezza che nelmaggio 2012 abbiamo frequentato ilcorso organizzato dalla Regione Pie-monte per le coppie che intendevano da-re disponibilità all’adozione.

Il corso era articolato in due giornateconsecutive dove esperti nel settore (as-sistenti sociali, psicologi, neuropsichia-tri infantili) illustravano a noi, aspirantigenitori di cuore, fasi e problematichedel delicato iter adottivo. Furono duegiornate emotivamente intense e coin-volgenti. Per rompere il ghiaccio un’as-sistente sociale ci chiese subito se ci pia-cevano le strade in salita su ripidi sentie-ri di montagna e se eravamo disposti adaccettare le sfide.Ricordo che mio marito ed io ci guar-dammo negli occhi perché fin da ragazziamavamo fare lunghe passeggiate inmontagna ed in quel momento provam-

mo la sensazione che la strada dell’ado-zione era il cammino che il Signore ave-va pensato per noi. Altro momento significativo fu quando,durante un lavoro di gruppo gestito dapsicologhe, fu chiesto ad ogni coppia diraccontare le motivazioni che li avevanoportati a pensare di adottare un figlio.Per noi fu difficile raccontare a delle per-sone sconosciute il nostro triste vissutoed in quell’occasione non riuscimmo a

trattenere le lacrime spiegando quantoavevamo sofferto e il nostro desiderio ditrasformare il dolore in un dono di amoreper un bimbo abbandonato. Dopo aver parlato, fummo imbarazzatiper aver mostrato la nostra emotività, male psicologhe ci aiutarono subito a ritro-vare il coraggio e la determinazione fa-cendoci riflettere sul fatto che la soffe-renza che provavamo ci avrebbe aiutati acapire meglio un bambino che avrebbeportato in sé il grande dolore per la perdi-ta e il distacco dai genitori naturali. Do-po questo corso, pur essendo convintidella scelta di adottare, avemmo bisognodi una pausa di riflessione per trovare innoi la forza d’animo e la serenità utili perintraprendere il lungo cammino.Ricordo di aver scritto su un foglio letappe da affrontare, di aver chiesto a miomarito se saremmo stati in grado di rag-giungere il nostro sogno che allora cisembrava quasi irrealizzabile, ma sape-vamo entrambi che non avremmo potutovivere col rimpianto di non aver avuto ilcoraggio di accettare questa nuova sfida.Nel mondo c’erano tanti bambini cheavevano bisogno di un papà e di unamamma e noi non potevamo perdere al-tro tempo prezioso.

Il 2 gennaio 2013 presentammo al Tri-bunale dei Minori di Torino i documen-ti necessari per dichiarare la nostra dis-ponibilità ad adottare un minore italia-

no o anche di nazionalità straniera.Due settimane dopo iniziò la fase istrut-toria: visite mediche ed esami clinici peraccertare il nostro stato di salute, collo-qui di coppia e individuali con psicolo-ghe e assistenti dei Servizi Sociali Terri-toriali per capire se eravamo in grado diaccogliere, mantenere ed educare unbambino garantendogli un ambiente fa-miliare sereno. Ci venne chiesto di rico-struire la nostra storia familiare, dall’in-

fanzia alla adolescenza, al nostro primoincontro, al matrimonio… Un tuffo nelpassato che ci servì a conoscerci meglioe a risvegliare ricordi. Altri colloqui fu-rono dedicati alle aspettative che aveva-mo per quanto riguardava il nostro pro-getto di adottare un bambino. Con mio marito preferivamo non imma-ginare il bambino o la bambina cheavremmo accolto per non avere condizio-namenti, ma entrambi ci sentivamo piùpredisposti ad accogliere un bambino“colorato” per non collegare questa nuo-va attesa di un figlio a quelle dei nostri an-gioletti mai nati. Per questo, quando du-rante il colloquio finale con un giudiceonorario ci è stato chiesto di scegliere trala adozione nazionale o internazionale,optammo per quest’ultima, pur sapendoche il cammino sarebbe stato più com-plesso ed economicamente costoso.Terminata la fase istruttoria, iniziò l’atte-sa. Prima quella del Decreto di Idoneitàper adottare un minore straniero, docu-mento fondamentale che sarebbe statoemesso dal Tribunale dei Minori dopol’esame delle relazioni mediche, socialie psicologiche redatte dalla equipe deiServizi Sociali Territoriali. Il nostro De-creto arrivò ad agosto 2013 e per noi fuun traguardo molto importante perché cipermetteva di poter continuare a perse-guire il nostro sogno.Il passo successivo fu di scegliere un En-te autorizzato per affidargli la nostra pro-cedura di adozione internazionale. Nonfu difficile, perché nei mesi precedenti

avevamo consultato e confrontato i sitidei vari enti e avevamo le idee ben chiarein proposito. A settembre 2013 parteci-pammo agli incontri informativi dei dueenti che rispondevano maggiormente al-le nostre aspettative ed il 15 ottobre del2013 consegnammo tutti i documenti ri-chiesti per conferire l’incarico all’enteda noi prescelto.Partecipammo poi agli incontri organiz-zati dal nostro ente per aiutare le coppie a

capire meglio la realtà di vita e le proce-dure di adozione nei diversi Paesi concui l’organizzazione cooperava. L’asso-ciazione da noi scelta collaborava in par-ticolare con l’Africa e questo era statouno dei motivi per cui avevamo scelto dirivolgerci a questo ente. L’Africa, il con-tinente più povero al mondo, dove anco-ra oggi molti bambini muoiono di fame,era da sempre nei nostri cuori.

Per quanto riguarda invece la scelta delloStato africano dove avremmo voluto adot-tare, ci affidammo ai consigli di personeche da anni lavoravano presso la nostra or-ganizzazione. Inoltre ogni Stato richiedealle coppie requisiti particolari e quindi, inbase alle caratteristiche di una coppia, sipuò già capire in quali Paesi è possibile of-frire la disponibilità ad adottare. Il Paese a cui fummo destinati fu il Be-nin, un piccolo stato dell’Africa occi-dentale, ai confini con la Nigeria. In po-che settimane di consultazione su libri esiti, iniziammo a conoscerlo ed impa-rammo ad amare il Paese di nostro figlio.La tappa successiva fu quella di prepara-re i documenti richiesti da questo Stato.L’Ente si occupò dell’invio del nostrodossier completo.Poi ebbe inizio un altro periodo di attesa,l’attesa dell’abbinamento. Sapevamoche un giorno sarebbe arrivata la telefo-nata più importante della nostra vita,quella che ci avrebbe comunicato che sa-

remmo diventati genitori di cuore di unbambino o di una bambina reale, con unnome e un volto che avremmo scolpitonei nostri cuori. Quanto avremmo dovuto aspettare? Me-si, un anno, più anni… un tempo impre-cisato che speravamo fosse più brevepossibile. Un tempo che ci sembrava in-finito e che cercammo di sfruttare per ar-rivare più preparati a quell’incontro cheavrebbe cambiato le nostre vite. Conti-nuavamo a leggere libri sull’adozione,sull’Africa, su come educare e capire ibambini e, pur non sapendo ancora nullasu chi sarebbe arrivato in famiglia, que-sto figlio o figlia era già nei nostri pen-sieri e nelle preghiere quotidiane.

Finché il 30 giugno 2014, in un momen-to un po’ inaspettato, prima che iniziasseil mio ultimo Collegio Docenti di fineanno scolastico, arrivò la telefonata tantoattesa: saremmo diventati genitori adot-tivi di un maschietto del Benin di due an-ni e mezzo. Fu un’emozione enorme,scesero lacrime di gioia, non riuscivamoquasi a parlare e continuavamo a ripete-re, con un filo di voce, una sola parola:“GRAZIE!”.Il 2 luglio 2014 ci recammo presso lanostra organizzazione dove ricevem-mo informazioni più precise, il nome,la data di nascita, qualche notizia unpo’ generica sul suo stato di salute e cimostrarono anche una sua fotografiastampata su carta semplice e noi, congli occhi pieni di lacrime, guardammoa lungo il meraviglioso bambino chesarebbe diventato nostro figlio.Ci spiegarono che era la prima volta cheveniva fotografato e che, per l’occasio-ne, era stato vestito a festa. Aveva l’ariaspaventata e indossava abiti che ci sem-brarono più grandi della sua taglia. Tantacommozione e il desiderio di partire su-bito per abbracciarlo e fargli sapere chevolevamo donargli tutto il nostro amore,ma prima di partire dovevamo sbrigarediverse pratiche burocratiche.Tuttavia, fin da quel giorno, lui entrò nel-la nostra vita e prima di settembre 2013riuscimmo a preparare tutti i documentiper il viaggio, ci sottoponemmo alle vac-cinazioni per l’ingresso in Benin, arre-dammo la cameretta per nostro figlio, glicomprammo vestiti e giochi e acqui-stammo nuovi regali da portare agli altribambini dell’istituto. L’improvvisa e devastante epidemia diebola che colpì alcuni Paesi dell’Africaoccidentale creò altre apprensioni e te-memmo di dover rimandare il viaggio,ma come sempre la preghiera ci aiutò asuperare ogni paura.Il 12 ottobre 2013, insieme ad un’altracoppia della provincia di Torino cheavrebbe adottato una bambina pressochécoetanea ed amica di nostro figlio, par-timmo per l’Africa ed il 13 ottobre, sianoi che l’altra coppia, chiusi in una pic-cola stanzetta, in una terra per noi miste-riosa, incontrammo per la prima volta inostri figli. Fu una giornata indimentica-bile! Sapevamo che il primo incontropoteva essere difficile e il fatto di esseredei genitori bianchi anziché di colore po-

Sofferenza ed emozione

Presa la decisione

Destinati al Benin

Finalmente la telefonata

Anno XIII - Numero 1 - Febbraio 2015 3

I CONSIGLI DEL DOTTOR...La natura in farmacia

(rimedi fitoterapici ed erboristici)La Rosa Canina, per esempio, è una fontericchissima di vitamina C con proprietàbenefiche in caso di influenza, stati febbri-li e raffreddori; inoltre, essendo la vitami-

na C un potentissimo antiossidante, con-sente di aiutare a combattere i problemi le-gati allo stress e a tutti quei fattori che pro-vocano un aumento dell’invecchiamentocellulare. Un’altra pianta di grande inte-resse in questa stagione è l’Echinacea chevanta un’attività immunostimolante che siconcretizza in un globale aumento dellaresistenza dell’organismo all’aggressionedi virus e batteri. In aggiunta svolge unanotevole azione antinfiammatoria e cica-trizzante per uso cutaneo.Il Carciofo, il Tarassaco ed il Boldo sonoinvece conosciuti per le loro proprietà be-nefiche sul fegato e sulle vie biliari: il pri-mo ha attività colagoga (stimola cioè l’e-screzione della bile dalla cistifellea) e co-leretica (favorisce la produzione e la se-crezione della bile), il secondo favoriscela digestione e la diuresi, l’ultimo svolgeun’azione depurativa per il fegato ed haun blando effetto lassativo. Anche il mon-do marino può fornire rimedi utili alla no-stra salute come, ad esempio, la Spirulina.Essa è un’alga azzurra ricca di proteine adalto valore biologico, sali minerali e oli-goelementi quali ferro, calcio, magnesio,

manganese, potassio, vitamine (vitaminaB12) e acidi grassi polinsaturi. Questa al-ga può essere utilizzata come integratorenelle diete ipocaloriche e come comple-mento all’alimentazione degli sportivi. La fitoterapia ci aiuta anche a ritrovare ilbenessere mentale. A tale proposito è sicu-ramente nota la Valeriana il cui nome deri-va dal latino “valere” che significa star be-ne, essere in salute. Essa è il rimedio prin-cipe per la sedazione blanda degli stati dinervosismo. La Melissa è un ottimo rime-dio contro gli stati di agitazione e si utilizzaanche nei disturbi gastrici di origine psico-somatica. L’Iperico, comunemente dettoErba di San Giovanni, è invece utilizzatocome antidepressivo. Oltre che per le loroproprietà medicinali alcune erbe vengonoanche utilizzate in ambito cosmetico per lacura e la bellezza della pelle del viso e delcorpo. La Camomilla, ad esempio, è ingrado di curare un’infinità di acciacchi emalanni: è sicuramente nota per le sue pro-prietà antispasmodiche e antinfiammato-rie, ma pochi sanno che essa partecipa an-che alla ricostruzione della flora battericaintestinale dopo prolungate terapie a base

di antibiotici. Le sue doti amaro-amarican-ti la rendono una diffusissima bevanda uti-le per favorire i processi digestivi; a livellocutaneo placa gli arrossamenti e gli statiinfiammatori. In cosmesi è utilizzata comelenitivo, emolliente e protettivo. Gli occhigonfi, stanchi e arrossati trovano pochi ri-medi più efficaci degli impacchi ghiacciatid’infuso di camomilla. Sempre in cosmesi si può impiegare l’A-loe per le sue proprietà emollienti e leniti-ve e la Bardana per la capacità di depurarela pelle e prevenire l’acne. La Calendulacura gli arrossamenti e le screpolature del-la pelle, l’Avena è invece impiegata nelledermatiti per le sue capacità addolcenti elenitive. Gli esempi a nostra disposizionepotrebbero essere ancora molti ma vorreiconcludere sottolineando come tutte le er-be contengano dei principi attivi con atti-vità terapeutica che a dosi più elevate puòdiventare tossica o avere interazioni peri-colose con altri tipi di medicinali. Quindi,prima di assumere qualsiasi tipo di medi-camento, meglio seguire sempre il consi-glio degli esperti!

dott.ssa Paola Dellaroccia di Coisè

In una sua precedente intervista, lei dis-se: “Noi abbiamo rimosso la morte e nonè giusto”. Ritiene che nella società mo-derna ci sia una continua rimozione dellasofferenza e della morte?

Ah sì, sì. Difatti noi avevamo un forte contattocon i nostri malati e con i nostri morti, che mo-rivano quasi tutti in casa, e poi c’era il rosarioin famiglia. Li vestivamo noi. Io da viceparro-co e da parroco ho aiutato a vestire un sacco dimorti. Perché mi chiamavano per il lutto e perla benedizione, i sacramenti cercavo di darliquando erano ancora coscienti. Ma poi quan-do mi telefonavano… “don Severino è mortoil tale”. Con tutto il riserbo, ma se erano uomi-ni aiutavo a vestire, se erano donne aiutavanole donne… Però, voglio dire, questo contattoche una volta c’era della famiglia con la realtàdella morte, adesso non c’è più. Adessomuoiono tutti in ospedale, quando una perso-na muore non la si tocca più, si telefona all’a-genzia funebre, ci pensa tutto lei. Li veste, liprepara… i familiari poi al massimo ci sonoquelli che danno un bacio in fronte prima chechiudano la cassa. Cioè c’è un modo per ri-muovere la morte, mentre io ricordo che eroappena arrivato vescovo a Fossano ed eramorto un ragazzo giovane al mare. Lavorava,si era preso un giorno di vacanza al mare, do-po pranzo aveva fatto il bagno ed era mortoper un malore. L’hanno portato a casa, io sonoandato a dire un rosario di pomeriggio, e mi haimpressionato perché c’era ancora la nonna,c’erano i genitori, un fratello maschio e 4 o 5sorelle, ed erano tutte bambine a quel tempo,adesso sono mamme di famiglia, ma tutti in-torno alla cassa del loro congiunto a pregare ilrosario con il vescovo. Questo era un contattocon la realtà della morte. Adesso c’è il tentati-vo di rimuovere la morte. Io ritengo che que-sto sia un modo per non pensarci. Mentre il Si-gnore dice: “Vigilate perché non sapete il mo-mento e l’ora in cui capiterà anche a voi”.

Dal suo ritiro di Vescovo Emerito, chegiudizio si sente di dare alla Torino affati-cata dalla crisi di questi ultimi anni?

Ma, guardate, quando ero arcivescovo in cari-ca non perdevo occasione per pungolare so-prattutto la famiglia Agnelli, oppure i presi-denti vari che si sono succeduti dopo la mortedell’Avvocato, a pungolarli proprio perché sicominciava a vedere la difficoltà del lavoro.La Fiat è stata quella che ha creato sviluppoper Torino, l’immigrazione grande è venutaper andare a lavorare in Fiat. I monferrini sonovenuti per lo stesso motivo, lasciando la cam-pagna. Allora io non perdevo occasione… an-che con Marchionne, con Elkann ho avuto di-versi incontri proprio per dire che il lavoro èimportante. Adesso questa è una crisi diciamomondiale, ma particolarmente nostra italiana e

particolarmente torinese. Mirafiori è in cassaintegrazione non so da quanto tempo, adessodicono che stanno preparando le linee e un al-tr’anno dovrebbe riprendere la produzione. ATorino io lancio un messaggio di speranza,prima di responsabilità a chi ha il potere eco-nomico e anche le istituzioni, per stimolare gliinvestimenti, non perdere troppo tempo, nonaspettare. Io capisco che ormai le questionidel lavoro devono essere anche internaziona-lizzate, la Fiat si è unita con la Chrysler, io nonvado a vedere i motivi. Ma, amici, fratelli, gio-vani, la Provvidenza di Dio non ci abbandona,Dio Padre che pensa agli uccelli dell’aria e aifiori dei campi che al mattino ci sono e alla se-ra seccano, volete che non pensi a noi che sia-mo Suoi figli? Allora la speranza è che da que-sta crisi usciremo come siamo usciti da altrecrisi. Io ero un bambino, ma ho visto la IIGuerra Mondiale, ho visto cosa c’era dopo, iprimi anni del dopoguerra, dove mancava ditutto. Se abbiamo superato quella crisi, supe-reremo anche questa.

Di fronte alla sofferenza dell’Uomo dellaSindone, che parole di speranza si sentedi lasciarci?

L’Uomo della Sindone ci richiama la morte diGesù ma ci ricorda anche e soprattutto la Suarisurrezione. E allora come Gesù ha vinto lamorte, con la Sua risurrezione dice a noi: “Sesei peccatore io ti perdono se ti penti, se sei indifficoltà io ti do la forza, perché la risurrezio-ne di Cristo è portatrice di vittoria sul male,sulla malattie, sui problemi, su tutto. Quindi èun grido di speranza e di fiducia in un Dio checi ama”.

latino perché avevo capito che il latino colpi-sce molto di più, allora avevo scelto comemotto Passio Christi, Passio Hominis. PassioChristi voleva dire che la Passione del Signoreriassume in sé tutte le sofferenze dell’umanità.Ma lì avevamo fatto una preparazione, perchéda ottobre l’Ufficio liturgico aveva preparatodi fare tutti i venerdì in tutte le parrocchie unaserata di preghiera su una particolare sofferen-za umana, quindi abbiamo fatto 6 incontri intutte le parrocchie con dei sussidi per prepara-re questo incontro con la Sindone. Posso affer-mare comunque che queste due ostensioni miabbiano segnato molto nel profondo.

Qual è il suo ricordo più bello? È quelloche lei abbia avuto l’opportunità di ba-ciare il volto del Cristo? Perché sicura-mente questo fatto va considerato comeun qualcosa di eccezionale, qualcosa cheforse più nessuno potrà fare…

Forse non si creeranno più le circostanze. Manon vorrei si limitasse solo a questo. Io ho vo-luto stare da solo in preghiera davanti al SacroLino portando ovviamente sulle mie spalle enel mio cuore tutta la Diocesi di Torino, per-ché se io sono in preghiera come arcivescovonon posso dimenticare le persone che il Signo-re mi ha affidato. Perché, vedete, nel Vangeloc’è una frase dove Gesù dice: “A chi fu datomolto, molto sarà richiesto”. Ma è la secondaparte che mi tocca profondamente. Quindi achi fu dato molto, molto sarà richiesto, quindianche a voi… Poi dice: “A chi fu affidato mol-to, sarà richiesto molto di più”. Quindi chi haavuto in affidamento 2 milioni e 200 mila abi-tanti, fedeli, come arcivescovo, a lui sarà ri-chiesto nel giudizio molto di più nell’aldilà.Allora io ho bisogno della misericordia del Si-gnore.

C’è qualcosa che, sempre riguardo allaSindone, se potesse tornare indietro nonrifarebbe?

Io sono stato il Custode della Sindone. C’èun’equipe di esperti che si occupa degli aspet-ti tecnici. Quindi io direi no, credo che non cisia una cosa che non rifarei. Tutto ciò che hofatto, in quel momento era la cosa che ritenevomigliore da fare.

La Sindone non lascia indifferenti anchemolti che si professano non credenti. Al dilà delle considerazioni strettamente de-vozionali, secondo lei cosa provoca nel-l’immaginario collettivo l’Uomo dellaSindone?

Provoca, spero, degli interrogativi. Perché so-no convinto che anche quelli che si proclama-no atei e che vanno a volte in televisione a direche loro sono non credenti, che sono atei, cre-do che queste persone siano piene di interro-gativi. La nostra vita non può es-sere risolta e spiegata con i cen-t’anni mettiamo che uno vive sul-la terra. Dio ci ha creati – comediceva ieri nell’Inno Epistologi-co di Paolo agli Efesini – e sceltiprima della creazione del mondo.Il mondo è stato creato, diconogli scienziati, il Big Bang è stato15 miliardi di anni fa. Quindi cia-scuno di noi, prima ancora di 15miliardi di anni fa, era già statoscelto da Dio Padre in Cristo. Epoi c’è un solo Dio: Padre, Figlioe Spirito Santo sono tre personema sono un solo Dio. Solo il Fi-glio si è fatto Uomo. Allora ci hascelti Cristo per essere santi, im-macolati al Suo cospetto nell’amore, ci hascelti per essere Figli di Dio ed eredi del Para-diso. Allora io credo che anche i cosiddetti ateie agnostici siano pieni di domande. Non pos-sono fermarsi a dire “tutto passa e tutto finiscecon la morte”. Anche loro hanno il virus delladomanda. Io sostengo che sia più facile dimo-strare l’esistenza di Dio piuttosto che dimo-strare che Dio non c’è.

Perché non è possibile una ostensionepermanente della Sindone?

C’è una motivazione di conservazione. Noiche abbiamo questo prezioso tesoro nella no-stra Diocesi, abbiamo anche il dovere di con-servarlo. Cosa vuol dire: adesso che è messadistesa e non più arrotolata come prima – percui non c’è più quella riga bianca che venivafuori nelle fotografie che tagliava il volto diGesù e che era una piega – quella piega ora èsparita. È messa sottovuoto, conservata conun gas inerte che si chiama argon e ogni 6 me-si c’è una verifica da parte del Comitato scien-tifico della Sindone per verificare temperatu-ra, umidità ecc. La Sindone va conservata nel-la sua attuale situazione. Non sappiamo che fi-ne abbia fatto nei suoi primi mille anni, comeveniva manipolata. Inoltre prima delle osten-sioni come sono avvenute nel secolo scorso, il4 di maggio quattro vescovi del Piemonte laprendevano ai quattro lati, la prendevano inmano ecc. Di queste cose rimangono poi i se-gni. Ma il motivo vero per cui non si può fareun’ostensione permanente è questo: la Sindo-ne patisce la luce, cioè più che la Sindone,l’immagine patisce la luce. Allora quanto piùè esposta alla luce, tanto più c’è il pericolo chel’immagine diminuisca. E allora anche l’illu-minazione della teca quando c’è l’ostensioneè fatta con faretti particolari, proprio perchésarebbe pericoloso per l’immagine.

Intervista raccolta daGrazia Alciati ed Edoardo Fassio

Vorrei esprimere il mio apprezza-mento per Il Ponte e per la scelta,decisamente contro corrente, dipubblicare solo informazioni bellee utili. Proprio per questo mi per-metto per una volta di segnalareuna bella notizia apparsa sullastampa ufficiale nel periodo nata-lizio. Si tratta della vicenda diUsaid destinato, da una guerra as-surda, a farsi esplodere in una mo-schea, il quale ha deciso di sua vo-lontà, e contro un intero sistemavotato all’odio, di scegliere la vita. La notizia non è stata molto enfa-tizzata dai media, ma secondo meè una storia degna di nota. La rias-sumo brevemente. Usaid ha 14 an-ni e sogna di diventare medico. Vi-ve in Siria, un Paese in guerra, e laguerra non lo risparmia. Viene ad-destrato, come tanti altri bambini,a combattere e ad uccidere. Usaid capisce che tutto questonon ha nulla a che fare con la reli-gione e decide di uscirne. Di fron-te alla scelta tra diventare com-battente o aspirante suicida, sce-glie la seconda strada che valutapiù idonea per uscire dal giro.Giunto il suo momento si conse-gna al “nemico” dicendo che luinon vuole morire né uccidere:vuole fare il medico. La storia uf-ficiale finisce qui. Forse non sa-premo mai se questo ragazzo riu-scirà a realizzare il suo sogno o seresterà vittima dell’odio che locirconda. Confesso che mi hanno fortemen-te colpito il coraggio, la determi-nazione e l’intelligenza di questoragazzo che nonostante tutto hasaputo rimanere un uomo libero,capace di andare contro correntein un contesto dove ogni minimosgarro si paga caro e salato. Non so se al suo posto avrei avutolo stesso coraggio. Questa storiadi vita ci dimostra come in questomondo individualista ed egoista,sotto sotto resistano tenacementepiccoli semi di umanità vera percui vale sempre la pena di sperarein un mondo migliore. Già duemila e passa anni fa unBambino è venuto a sconvolgereil disordine naturale delle cose,ed ancora oggi c’è chi è persegui-tato a causa sua. La storia di Usaid è una bellainiezione di fiducia con cui af-frontare il nuovo anno da pocoiniziato. Auguri a tutti. 

Sebastiano Marocco

remmo diventati genitori di cuore di unbambino o di una bambina reale, con unnome e un volto che avremmo scolpitonei nostri cuori. Quanto avremmo dovuto aspettare? Me-si, un anno, più anni… un tempo impre-cisato che speravamo fosse più brevepossibile. Un tempo che ci sembrava in-finito e che cercammo di sfruttare per ar-rivare più preparati a quell’incontro cheavrebbe cambiato le nostre vite. Conti-nuavamo a leggere libri sull’adozione,sull’Africa, su come educare e capire ibambini e, pur non sapendo ancora nullasu chi sarebbe arrivato in famiglia, que-sto figlio o figlia era già nei nostri pen-sieri e nelle preghiere quotidiane.

Finché il 30 giugno 2014, in un momen-to un po’ inaspettato, prima che iniziasseil mio ultimo Collegio Docenti di fineanno scolastico, arrivò la telefonata tantoattesa: saremmo diventati genitori adot-tivi di un maschietto del Benin di due an-ni e mezzo. Fu un’emozione enorme,scesero lacrime di gioia, non riuscivamoquasi a parlare e continuavamo a ripete-re, con un filo di voce, una sola parola:“GRAZIE!”.Il 2 luglio 2014 ci recammo presso lanostra organizzazione dove ricevem-mo informazioni più precise, il nome,la data di nascita, qualche notizia unpo’ generica sul suo stato di salute e cimostrarono anche una sua fotografiastampata su carta semplice e noi, congli occhi pieni di lacrime, guardammoa lungo il meraviglioso bambino chesarebbe diventato nostro figlio.Ci spiegarono che era la prima volta cheveniva fotografato e che, per l’occasio-ne, era stato vestito a festa. Aveva l’ariaspaventata e indossava abiti che ci sem-brarono più grandi della sua taglia. Tantacommozione e il desiderio di partire su-bito per abbracciarlo e fargli sapere chevolevamo donargli tutto il nostro amore,ma prima di partire dovevamo sbrigarediverse pratiche burocratiche.Tuttavia, fin da quel giorno, lui entrò nel-la nostra vita e prima di settembre 2013riuscimmo a preparare tutti i documentiper il viaggio, ci sottoponemmo alle vac-cinazioni per l’ingresso in Benin, arre-dammo la cameretta per nostro figlio, glicomprammo vestiti e giochi e acqui-stammo nuovi regali da portare agli altribambini dell’istituto. L’improvvisa e devastante epidemia diebola che colpì alcuni Paesi dell’Africaoccidentale creò altre apprensioni e te-memmo di dover rimandare il viaggio,ma come sempre la preghiera ci aiutò asuperare ogni paura.Il 12 ottobre 2013, insieme ad un’altracoppia della provincia di Torino cheavrebbe adottato una bambina pressochécoetanea ed amica di nostro figlio, par-timmo per l’Africa ed il 13 ottobre, sianoi che l’altra coppia, chiusi in una pic-cola stanzetta, in una terra per noi miste-riosa, incontrammo per la prima volta inostri figli. Fu una giornata indimentica-bile! Sapevamo che il primo incontropoteva essere difficile e il fatto di esseredei genitori bianchi anziché di colore po-

teva costituire un’ulteriore difficoltà; in-vece, fin da subito, nostro figlio ci sor-prese perché appena ci vide ci corse in-contro. Noi ci buttammo a terra per accoglierlo abraccia aperte e ci abbracciammo in unabbraccio infinito come se ci cercassimoda sempre con l’incredibile bisogno diaggrapparci l’uno agli altri per sostener-ci a vicenda mentre i nostri cuori sem-bravano scoppiare per l’emozione.Da quel momento iniziammo a costruirela nostra famiglia, che non si fonda su le-gami di sangue, ma di cuore. Per 23 gior-ni vivemmo con l’altra coppia nel Paesedei nostri figli per conoscere meglio illoro mondo e perché loro potessero ini-ziare gradualmente a fidarsi di noi. Dal13 al 16 ottobre, sempre con l’altra cop-pia, ci recammo tutti i pomeriggi nellastruttura che ospitava i nostri bambiniper giocare con loro; poi il 17 ottobre,nel pomeriggio, le assistenti sociali e lepersone che avevano accudito i nostri fi-gli decisero che era giunto il momento diportarli con noi, nell’albergo dove sog-giornavamo, per iniziare la vita insieme.

Eravamo felici, ma temevamo che ibambini patissero il distacco e pianges-sero, invece ci stupirono ancora perchési dimostrarono forti e curiosi. Certo ilfatto di essere in due a vivere questaesperienza li ha aiutati molto ed è statobello anche per noi genitori poter condi-videre gioie e fatiche potendo contare gliuni sugli altri. Due volte a settimana dovevamo ritorna-re in struttura perché potessero rivederegli amici, giocare con loro e partecipareinsieme alla Messa domenicale. In Benin cristianicattolici, musulmanie animisti convivonopacificamente. LeMesse africane sonopiù animate delle no-stre. La chiesa erasempre affollata, lepersone vestite a fe-sta con abiti colorati,c’erano tanti bambi-ni e giovani e pochianziani (in Africa lavita media è più bre-ve rispetto alla no-stra), i canti e i balliaccompagnavanoogni momento dellafunzione, l’assem-blea dei fedeli canta-va e batteva le mani,l’omelia era un dia-logo con i fedeli cherispondevano alle do-mande del sacerdote e chi voleva potevaalzarsi e andare al microfono per com-mentare le letture e si creava una sorta didibattito che si concludeva col messaggiofinale del sacerdote. La Messa durava cir-ca un’ora e mezza/due ore, che trascorre-vano in un’atmosfera di festa e gioia. Noie l’altra coppia eravamo le uniche perso-ne bianche e in braccio avevamo i nostribimbetti colorati; non passavamo inosser-vati, tutti ci guardavano, i bambini ci os-

servavano, ci toccavano, ma vedendocisorridere, rispondevano con un saluto eun sorriso.Un viaggio in Africa è esperienza unica,che tocca il cuore lasciandovi un segnoindelebile. Vivere in Africa non è sem-plice, la povertà si vede ovunque, sicomprendono il valore dell’acqua e delcibo, l’importanza delle medicine, il ri-schio di contrarre malattie è reale, il con-fronto con la nostra vita è stridente e in-giusto, ma nonostante tutto, nessuno silamenta e ti nega mai un sorriso, l’acco-glienza è ancora sacra.In Africa il tempo scorre lento, si trova iltempo per pensare, riflettere, fare festa,ballare, ringraziare, andare in chiesa onelle moschee e per sorridere alla vitaanche quando tutto sembra difficile. Ibambini africani sono straordinari, simeravigliano sempre, corrono, saltano,ballano, giocano con ogni cosa, non co-noscono la noia, sanno apprezzare il va-lore di tutto, con la loro semplicità ed al-legria, sono dei piccoli grandi maestri divita e nostro figlio è davvero così.

Il 4 novembre 2014 torniamo a Torinocon nostro figlio e l’altra famiglia con laquale, dopo aver condiviso questa incre-dibile avventura, abbiamo stretto un pro-fondo rapporto di amicizia consolidatodal legame affettivo che unisce i nostrifigli. Una volta a casa abbiamo dovutosbrigare le pratiche del periodo del “po-stadozione”. Il nostro iter adottivo non èterminato. Siamo nella delicata fase dell’affido prea-dottivo che durerà circa un anno, inoltrelo Stato in cui abbiamo adottato prevedeche, tra un anno e mezzo noi, insieme anostro figlio e all’altra famiglia, dovremoritornare in Benin per la sentenza definiti-va di adozione; ma ormai, dopo aver per-corso questo lungo e a volte ripido cam-mino, iniziamo a scorgere la luce.Nostro figlio ha portato l’Africa nellanostra casa, ha colorato la nostra vita di

mille e mille emozioni e con la sua alle-gra confusione ha riportato il sole nellanostra vita e noi gli vogliamo un bene in-finito. Chi accoglie un bimbo accoglie lasperanza di rendere questo mondo mi-gliore e noi desideriamo ringraziare tutticoloro che, incontrandoci per le vie delquartiere o in parrocchia, continuano adimostrarci di accogliere nostro figlio econ lui l’Africa nel loro cuore.

Cecilia e Gianni

Finalmente la telefonata

Eravamo felici, ma

Torniamo a Torino

Anno XIII - Numero 1 - Febbraio 20154

IL PONTE è il giornale “quasibimestrale” della Parrocchia di Santa Monica, via Vado 9 – Torino

Sara Vecchioni - direttore responsabile

Enrico Periolo e Carla Ponzio coordinano i lavoriCollaborano alla redazione Grazia Alciati, don Massimiliano Canta, don Daniele D’Aria, Aldo Demartini, Roberto Di Lupo, Edoardo Fassio, Cinzia Lorenzetto, Marco Montaldo, Roberta Oliboni, Maria Teresa Varaldae… tutti coloro che vorranno farsi avanti.Tiratura 2700 copie, distribuzione gratuita.Videoimpaginazione e Stampa: la fotocomposizione - Torino

Il giornale viene distribuito gratuitamente a tutti i parrocchiani. Sono gradite le offerte di sostegno.

REGISTRAzIONE N. 5937 DEL 17-01-2006 AL TRIBUNALE DI TORINO

Questa novità un giorno me l’ha portata a casa mia figlia Mara. Tornandoda una sua amica mi ha raccontato di aver mangiato la salsiccia al vinorosso. Sono rimasta non poco stupita perché a casa non aveva mai volutomangiare la salsiccia perché,a suo dire, troppo grassa e…unta. Mi ha spiegato che lamamma di Sara, la sua amica,aveva adottato questa solu-zione con il vino rosso per lostesso motivo. Ho provato amettere in pratica il suo rac-conto e devo dire che in fami-glia ha subito ottenuto unbuon successo. Inoltre con ilnostro passa parola a parenti

ed amici abbiamo ottenuto un altro notevole apprezzamento da tutti. La propongo anche ai lettori de Il Ponte.Ingredienti: ½ chilo di salsiccia; 2 foglie di alloro; ½ cipolla rossa tagliata afettine sottili; 3 cucchiai di olio extravergine di oliva; un cucchiaino di salsinadi pomodoro e verdurine (dal tubetto); un buon bicchiere di vino rosso.Preparazione. Tagliate la salsiccia a pezzi come si fa di solito e bucateli o con laforchetta o con uno stecchino. Metteteli a rosolare in padella con le foglie di allo-ro, l’olio, la salsina di pomodoro e le verdurine per circa 5 minuti. Aggiungete ilvino rosso e coprite con un coperchio proseguendo la cottura per altri 10 minuti afuoco normale. Togliete il coperchio, alzate la fiamma e fate consumare per altri8 minuti girando spesso i pezzi di salsiccia. Serviteli caldissimi accompagnan-doli magari con un bel contorno di crauti stufati o verdura di stagione. Variante.C’è anche chi preferisce far impanare nella farina bianca i pezzi di salsiccia perottenerne un buon sughetto. A voi la scelta e buon appetito!

Mariella Siletti

Quella sfiziosa salsiccia“avvinazzata”

LA RICETTA DI...

Abbiamo accoltoGiovanni SCAzzONE

Abbiamo salutatoRina COCCOzzO ICARDIMarco LOMBARDOAngela ENRICO MEINA

ved. FOGLIATOGiuseppina Paola COLOMBO

ved. CALABRÒAgnese FIORE in GROSSO

Abbiamo gioito conEloisa Agnese POGGIOe Alberto BIANCHI

DALL’ARCHIVIO

SDEGNARSINON SERVE!

� L’autrice dell’ultimo Civi-camente vostro, che lessi

già in altre esternazioni, mi pare sicontraddistingua, qualunque argo-mento tratti, per sentimenti di“sdegno”, definiti dal dizionarioTreccani come “risentimento mi-sto a disprezzo verso persone/co-se”, cui fa seguito una sorta dichiamata alle armi di parrocchianie non, con un sottinteso di accusadi ignavia e sozzeria per quantinon si precipitino, nella fattispeciedi questo caso, a collaborare ra-mazza in mano.Giustamente la Redazione de IlPonte ha evidenziato l’inutilità diazioni sporadiche che lasciano iltempo che trovano e paiono voltepiù a soddisfare il proprio ego chea risolvere i problemi. Osservo in-cidentalmente che “ego” è radicedi “egoismo”! Ben di più servonoazioni, magari non eclatanti e sde-gnate, ma risolutive in termini si-stematici e non sporadici.Cito al riguardo quanto è stato fat-to da una mia amica meno sdegna-ta ma più efficace, per quanto ri-guarda un problema attuale, quellodelle foglie cadute dai bagolari checontornano la scuola per l’infanziadi via Ventimiglia angolo via Ga-ressio che, con la pioggia, costitui-scono un pericoloso tappeto sdruc-ciolevole sui marciapiedi vicini.Telefonata al quartiere e ai vigili dizona, che prima si informano su “achi tocca” sgombrare le foglie, epoi dicono di attivarsi in merito.Per circa una settimana non accadenulla.Altra telefonata all’Ufficio Rela-zioni con il Pubblico del Comune(numero reperito da guida telefo-no), dove una gentil signora spiegache l’operazione di sgombero deveessere effettuata da Amiat, provve-dendo ad attivarla di persona. Ilgiorno dopo un addetto Amiat tele-fona e segnala che l’operazione èstata eseguita, con promessa di ri-petizione al termine della caduta difoglie birichine. Risultato: proble-ma risolto, senza sdegno e articolisu Il Ponte. Concludo facendo no-tare che azioni simili sono state giàeffettuate dalla mia amica neglianni passati, senza clamore e sem-pre stimolando l’azione degli entipubblici preposti.

Pier Giorgio Visconti

Chef

Sabato 13 dicembre è ritornata a Santa Monica la Corale “Antonio Vivaldi” diCambiano con il Concerto di Natale per Casa Amica. La Corale – anche questavolta di fronte ad un pubblico numeroso e attento e sotto la direzione di LuisaMazzone con l’accompagnamento di Gianni Conrotto al piano – ha eseguito unrepertorio di brani prettamente a carattere sacro-natalizi per finire con il gospel.Anche in questa circostanza i coristi hanno fornito una esibizione di alta qualitàe veramente degna di nota. Il repertorio è stato interpretato con grande equili-brio ed espressività, suscitando l’entusiasmo del competente pubblico che hapremiato l’esecuzione con lunghi applausi e con la richiesta di numerosi “bis”.A rendere ancora più festosa la serata, anche la piccola coreografia di BabboNatale che invitava il pubblico al battito delle mani durante il brano Oh HappyDay. Musica, parole e coro – in sinergia con un pubblico coinvolto – hannocreato un’armonia capace di cogliere la profondità del messaggio gioioso esempre nuovo. “Cantare la gioia dell’anima”: questo l’intento del Coro che è ri-uscito a far accostare il pubblico ad un genere musicale in grado di coinvolgereed emozionare attraverso il suo entusiasmo e la sonorità travolgente. Un graziealla Corale “Antonio Vivaldi” per la bella e ricca manifestazione musicale.

Lucia Tralongo

Aspettando il Natale in compagnia!

«CALEIDOSCOPIO DI PAROLE»

� Cara Redazione, che bei personaggi ha presentato Roberta Russonella vostra finestra “Caleidoscopio di parole” su Il Ponte. Veramen-

te belle le due donne raccontate dall’autrice – Ipazia e Berthe Morisot –, co-sì diverse e così affascinanti anche nel loro destino: uno tragico, l’altro qua-si epico. Complimenti ammirati alla vostra autrice che ha rappresentato ledue eroine in quel suo modo semplice ma coinvolgente. Una iniziativa, questa di raccontare donne importanti, che meriterebbe dicontinuare all’infinito… Ma voi intendete chiudere con un ultimo personag-gio che volete scelto con un sondaggio tra i lettori. Vorrei partecipare anch’io a suggerire un personaggio, ma mi si affollanonella mente molti nomi e tutti mi appaiono meritevoli di citazione, cosìscelgo una proposta che può apparire generica: un ritratto della donna. In-tesa come genere, intesa come l’altra metà del mondo, intesa come pila-stro di tutte le società, capace, essa sola, di trasmettere la vita, capace di si-lenziosi eroismi, a volte vittima della prepotenza del maschio, a volteemarginata dalla vita sociale. Insomma un ritratto di Lei: la Donna. Credoproprio che Roberta Russo saprebbe tratteggiare bene un ritratto così. Unsaluto a tutti da

Antonio Boglione

Carissima Redazione, è davvero strano che una Redazione scriva a sestessa! Ma questa anomalia è maturata con il pretesto di ringraziare Ro-berta Russo per i suoi interessanti personaggi che presenta nel box diprima pagina “Caleidoscopio di parole”, ma anche per rispondere allasua simpatica richiesta di suggerire nomi di famose donne italiane perpoter poi scegliere la più “gettonata” da inserire nell’ultima puntata delgiornale del mese di giugno. e allora abbiamo pensato che ogni redatto-re esprimesse un nome da proporre a Roberta. Ne è emerso questo son-daggio. DON DANIELE D’ARIA: Tina Anselmi (prima donna ministro in Italia, a lei sideve la legge sulle “pari opportunità” e fu tra gli autori della riforma che in-trodusse il Servizio Sanitario Nazionale; e fu tanto tanto altro) / DON MASSI-MILIANO CANTA: Madre Elvira (fondatrice della comunità “Cenacolo”),donna di profonda fede e carità, grazie alla sua tenacia e preghiera ha porta-to molte persone dalle tenebre alla luce / CARLA PONzIO: Natalia Ginsburgè la donna che mi ha sempre affascinata; vissuta per anni a Torino, figlia diGiuseppe Levi (cui sono intitolati i giardini di largo Millefonti), scrittricebravissima, senatrice della Repubblica, ma soprattutto donna con la D maiu-scola / CINzIA LORENzETTO: Artemisia Gentileschi (pittrice del XVII seco-lo, è stata per me una figura unica per il periodo in cui ha vissuto) / GRAzIAALCIATI: ritengo che una donna di oggi possa essere un valido spunto di ri-flessione dopo le donne della storia, perciò la mia proposta è Fabiola Gia-notti, primo direttore donna del Cern (“Lavorerò per scienza e pace”) /MARIA TERESA VARALDA: la mia segnalazione è per Grazia Cosima Deled-da, importante scrittrice sarda, vincitrice del Premio Nobel per la letteraturanel 1926, che è stata per me una preziosa “compagna di vita” nella mia gio-ventù / ALDO DEMARTINI: Rita Levi Montalcini (neurologa di fama mon-diale, senatrice a vita della Repubblica Italiana e Premio Nobel per la Medi-cina nel 1986) / EDOARDO FASSIO: Alda Merini (poetessa, aforista, scrittri-ce) / ENRICO PERIOLO: le mie preferenze vanno a Margherita Occhiena (lamamma di don Bosco) e a Giulia Falletti di Barolo (che ebbe con il maritoun fortissimo interesse per la beneficenza) / MARCO MONTALDO: MariaMontessori (pedagogista, filosofa, medico, scienziata ed educatrice nota intutto il mondo anche per il metodo che prende il suo nome e che è usato inmigliaia di scuole materne, elementari, medie e superiori) / ROBERTA OLIBO-NI: Francesca da Rimini (protagonista del canto V dell’Inferno) e Pia de’Tolomei (voce del canto V del Purgatorio), due vittime di femminicidio inepoche in cui ancora non si parlava di questo grave reato e che rispondonoalla violenza brutale del mondo che le circonda con la tenerezza propria dicui solo le donne sono capaci / ROBERTO DI LUPO: santa Caterina da Siena(religiosa, compatrona d’Italia e d’Europa che considerava gli ammalati e ipoveri gente che impersonava Cristo) e Maria Montessori / SARA VECCHIO-NI: Rita Levi Montalcini e Maria Montessori.

La Redazione de Il Ponte

Don Giuseppe terminava la prima parte della sua ri-flessione con l’esortazione di Papa Francesco a pro-posito di un futuro… dialogo (si spera presto!) con laCina e di un suo viaggio in quel grande Paese.

“Il dialogo richiede da noi un autentico spirito contempla-tivo, di apertura e accoglienza dell’altro. Non posso dialo-gare se non busso alla porta dell’altro. Apertura. Di più:accoglienza. Vieni a casa mia, tu! – ha spiegato a braccio –.Questa capacità di empatia ci rende capaci di un vero dia-logo umano, nel quale parole, idee, domande scaturisconoda un’esperienza di fraternità e umanità condivisa. Se vo-gliamo andare al fondamento teologico di questo, andiamoal Padre: ci ha creati lui, siamo figli dello stesso Padre”.È l’empatia che “conduce a un genuino incontro conl’altro; la cultura genuina dell’incontro, in cui il cuoreparla al cuore. Siamo arricchiti dalla sapienza dell’altroe diventiamo aperti a percorrere insieme il cammino diuna più profonda conoscenza, amicizia e solidarietà”.A questo punto Francesco ha formulato una possibileobiezione: “Ma, fratello Papa, noi facciamo questo, peròforse non convertiamo nessuno, o pochi!”. La risposta chesi dà Francesco è chiara: “Tu fai questo. Dalla tua identità,ascolta l’altro. Qual è stato il primo comandamento delnostro Padre ad Abramo? Cammina nella mia presenza esii irreprensibile. e così dalla mia identità, con empatia eapertura, cammino con l’altro”. E il Papa prosegue: “Nonfaccio proselitismo. Papa Benedetto ce lo ha detto chiara-mente: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per at-trazione. Nel frattempo camminiamo alla presenza delPadre e siamo irreprensibili. Così si farà l’incontro, il dia-logo; dalla identità e dalla apertura. È un cammino di unapiù profonda conoscenza, amicizia e solidarietà”. Nessun proselitismo né spirito di conquista. “Se il Signorefarà la grazia, muoverà i cuori al punto che qualcuno chie-derà il battesimo, qualcun altro no, ma sempre camminia-mo insieme – ha aggiunto prima di riprendere il testo scrittoe spiegare –. Quando guardiamo al grande Continenteasiatico, con la sua vasta estensione di terre, le sue anticheculture e tradizioni, siamo consapevoli che, nel piano diDio, le vostre comunità cristiane sono davvero un pusillusgrex, un piccolo gregge, al quale tuttavia è stata affidata lamissione di portare la luce del Vangelo fino ai confini dellaterra. Il Buon Pastore, che conosce e ama ciascuna dellesue pecore, guidi e irrobustisca i vostri sforzi nel radunarlein unità con lui e con tutti gli altri membri del suo greggesparso per il mondo”. Alla fine, ancora a braccio, ha con-cluso: “Affidiamo alla Madonna le vostre Chiese e il Con-tinente asiatico e preghiamo perché come Madre ci insegniquello che solo una mamma sa insegnare: chi sei, come tichiami e come si cammina con gli altri”. “Gioventù dell’Asia, alzati! Alzati su! Su, Su! Alzatisu!”. Con questo incoraggiamento ed esclamazione ilPapa voleva dire che i giovani fanno una parte della futu-ra Chiesa, mentre fanno una parte necessaria e amata.Continuando nel suo discorso, il Papa diceva: “Sveglia-tevi! La gloria dei martiri illumina su di voi. Non lascia-tevi nelle tenebre dell’errore che paralizza la vostra sen-sibilità alla gioia della chiamata evangelica. Gioventùdell’Asia, siete eredi dei testimoni e predicatori della fe-de cristiana. I vostri padri erano i coraggiosi testimoniaffrontando il perseguitare. In questo territorio remoto,nei secoli passati, c’erano numerosi martiri a causa delVangelo, neanche lasciavano i propri nomi. Loro sono ivostri esempi. Cristo è la luce del mondo, Cristo è la lucedella nostra vita! Avete i diritti e siete obbligati a parte-cipare nella vostra vita sociale. Non temete di portare lasperanza della vostra fede a ogni ambito della vostra vi-ta sociale. Avete la capacità di distinguere quanto com-mensurabile alla fede cattolica e quanto contrario allagrazia che avete ricevuto nel battesimo e quali aspettidella cultura contemporanea sono peccaminosi, corrottie conducono alla morte”.Questo è l’invito ai giovani, svegliare dal sonno e dare latestimonianza alla fede per cui i loro padri hanno versatoil loro sangue. Direi che le parole di Papa Francesco ci

mostrano che lui, con una sapienza come quellache aveva Matteo Ricci, ha una visione in pro-spettiva. I giovani vivono in una società piena ditutti i valori diversi, affrontano diverse sfide in unperiodo in cui si può facilmente perdersi. In Asia,nei Paesi sviluppandi, il valore tradizionale in-contra il valore moderno, il nativo incontra il fo-restiero, non sanno quale strada devono seguire.In un Paese ateo come la Cina, ci sono tanti valoricontro la dottrina della Chiesa. Le difficoltà mag-giori nel vivere la propria vita di cristiani oggi inCina sono tante. Prima di tutto, come Papa Fran-cesco disse nel discorso ai giovani asiatici, la ten-tazione del materialismo che può soffocare il va-lore spirituale-culturale e la visione dei giovanidella loro vita. In Cina, in un momento di grandesviluppo economico, non solo tutti vogliono gua-

dagnare più soldi senza pensare agli altri, ma anche il si-stema educativo è cambiato. I giovani cristiani vivono sotto la pressione dei loro stes-si coetanei e perseverare nei valori evangelici è moltodifficile. Rischiano di ritrovarsi isolati in una società cheha valori diversi da loro e sperimentano di conseguenzauna sorta di abbandono e solitudine. Beati i giovani asiatici, perché è salito forte il grido del Pa-pa per risvegliarli nell’impegno a costruire una civiltà del-l’amore, un mondo di pace e solidarietà, di libertà dalle for-me di peccato e schiavitù personale e sociale: “Come gio-vani cristiani, sia che siate lavoratori o studenti, che abbia-te già intrapreso una professione, o risposto alla chiamataal matrimonio, alla vita religiosa o al sacerdozio, voi nonsiete solo una parte del futuro della Chiesa: siete ancheuna parte necessaria e amata del presente della Chiesa!Presente e futuro saranno più ricchi di bellezza e d’amorese i giovani, fondando la propria vita su Cristo, saprannorestituire il dono che hanno ricevuto, ispirandosi alla san-tità e coraggio profetico dei loro antenati martiri”. Questa è la speranza e l’esortazione che il Papa ha porta-to ai giovani. Una forza che ha dato ai giovani, specie aigiovani cristiani che si sentono soli. Dicendo “Alzati!”parla di una responsabilità che il Signore gli affida. È ildovere di essere vigilanti per non lasciare che le pressio-ni, le tentazioni e i nostri peccati o quelli di altri intorpi-discano la sensibilità per la bellezza della santità e lagioia del Vangelo. “Diciamo no ad un’economia dell’esclusione, no adun’economia dell’egoismo, no allo spirito del materiali-smo. No, no, no! Sì all’incontro personale con Gesù. Sì algrido del povero, del bisognoso, di chi è solo; e sì al

mondo che ci attende con impazienza”, ha detto il cardi-nale Oswald Gracias, presidente della Federazione delleConferenze episcopali asiatiche. Questo sarebbe la ri-sposta di tutti i giovani asiatici alle parole del Papa.La seconda difficoltà che trovano i giovani cinesi è quel-la di vivere in un ambito pieno di valori negativi. Peresempio, in Cina si sente per radio e per tv e si vede sugliautobus di quasi tutte le città la pubblicità pro-aborto.Passa il messaggio che l’aborto è un atto non molto di-verso rispetto “all’andare in bagno” e che non riguardauna vita che sta per morire. Questi valori negativi entranonel cervello della gente che piano piano non percepiscepiù il peccato.I credenti sono quindi sempre più confusi. Le Chiese cri-stiane in Cina sono minoranza religiosa. I credenti vivo-no in mezzo ai non credenti e in una società in rapidocambiamento, con una forte tendenza all’egoismo e almaterialismo. Per fortuna che il Papa durante il suo viag-gio in Asia ha portato la speranza e l’esortazione.Spesso penso a quanto sono fortunati i credenti dei Paesieuropei, per i quali la fede ed i valori cristiani fanno partedella loro cultura! Oggi, quando rifletto sul messaggioche Papa Francesco ha lanciato durante il suo viaggio inAsia, mi sento confortato e incoraggiato, perché sia nellapersecuzione che nella mancanza della giustizia, sia nel-la gioia o nella libertà, c’è sempre la speranza, perché ilSignore sta con noi e la sua Parola è la nostra forza.

don Giuseppe(SeCONDA PARTe - fine)

Don Giuseppe Chen è forse il cinese piùconosciuto a Santa Monica e in Diocesi.Come scrivemmo nel giornale di Natale,è un prete di 45 anni che insegna DirittoCanonico e presiede il Tribunale Eccle-siastico della Cina. È in Italia per miglio-rare le conoscenze in materia. A Torinol’Arcivescovo l’ha nominato cappellanodella comunità cattolica cinese. Abita evive a Santa Monica dov’è prezioso col-laboratore. Alla luce della stupenda visi-ta di Papa Francesco in Asia l’anno scor-

so, don Giuseppe ha scritto una riflessione per Il Ponte. La primaparte è stata pubblicata sul giornale di dicembre. Oggi pubblichia-mo la parte finale dello scritto.