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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 6-2005 1 L a nostra vita ha un suo ritmo naturale, lo stesso che alterna il riposo all’azione, il sonno alla veglia, il giorno alla notte, i mesi, le stagioni e gli anni. Nel racconto della creazione di Gen 1 Dio crea nel quar- to giorno le due “lampade”: la mag- giore, il sole, per regolare il giorno e la minore, la luna, per regolare la notte. La luna e il sole “regolano” il tempo in quanto, nel sistema antico, la vita degli uomini era scandita da giorni, regolati dalle albe e dai tra- monti del sole, e da mesi ed anni, re- golati dalle fasi lunari. La meccanica celeste diveniva il grande orologio dell’uomo e ogni religione assumeva questi ritmi temporali per le sue feste e ricorrenze. Così oggi, anche nel mondo laico, le ricorrenze civili conti- nuano a esercitare fascino e attratti- va con il loro simbolico ritorno. Il tempo porta in sé stessa una ritualità che deriva dalla sua capacità ciclica di riproporsi e di far riflettere ritmica- mente sul significato dell’esistenza. L’uomo è attratto dal tempo e dalla sua quantizzazione. Pensa che se rie- sce a contare le ore, i minuti, i secon- di, egli possa dominare il tempo, fer- mare il suo perenne fluire, interrom- pere la concatenazione degli eventi che spesso lo angoscia. Il passaggio da un attimo al suo successivo, questo scorrere continuo obbliga l’uomo a meditare sul suo li- mite e, nello stesso momento, sull’e- ternità. Si vede scorrere un fiume per- ché noi siamo fermi sulla riva, se noi fossimo in acqua scorreremmo con lui e non ci renderemmo conto in modo autentico della velocità del suo movi- mento. Così per il tempo, noi perce- piamo lo scorrere degli eventi perché non ci confondiamo semplicemente con loro ma li osserviamo, in un di- stacco che deriva dal senso dell’eter- nità che portiamo nel nostro profon- do e che è il punto di riferimento, la vera unità di misura che ci permette di confrontare gli accadimenti e di di- stinguerne i momenti. Il tempo scandisce la nostra esi- stenza, le nostre giornate vivono nel ritmo che il tempo impone influen- zando il nostro sentire, la nostra sen- sibilità, la nostra stessa comprensione della realtà. Quante volte siamo agi- tati per “mancanza di tempo” o irri- tati per aver “perso tempo”. Quante volte invece sprechiamo il tempo dis- sipando le occasioni e i momenti, o al contrario siamo soddisfatti per aver ben impiegato il nostro tempo realiz- zando qualcosa che ci soddisfa. Le si- tuazioni che siamo chiamati a vivere, con il loro ritmo e le loro scansioni, sono spesso la nostra croce quotidia- na: la nostra vita viene costretta e quasi imprigionata da impegni che talvolta ci condizionano profonda- mente, fino al punto di farci perdere la pace del cuore. Il tempo è dunque un grande do- no perché ci permette di leggere, at- traverso le cose e gli avvenimenti, il loro richiamo all’Eterno Creatore. Il li- mite è per l’uomo una grande ric- Anno liturgico, tempo di salvezza di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

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La nostra vita ha un suo ritmonaturale, lo stesso che alterna ilriposo all’azione, il sonno alla

veglia, il giorno alla notte, i mesi, lestagioni e gli anni. Nel racconto dellacreazione di Gen 1 Dio crea nel quar-to giorno le due “lampade”: la mag-giore, il sole, per regolare il giorno ela minore, la luna, per regolare lanotte. La luna e il sole “regolano” iltempo in quanto, nel sistema antico,la vita degli uomini era scandita dagiorni, regolati dalle albe e dai tra-monti del sole, e da mesi ed anni, re-golati dalle fasi lunari. La meccanicaceleste diveniva il grande orologiodell’uomo e ogni religione assumevaquesti ritmi temporali per le sue festee ricorrenze. Così oggi, anche nelmondo laico, le ricorrenze civili conti-nuano a esercitare fascino e attratti-va con il loro simbolico ritorno. Iltempo porta in sé stessa una ritualitàche deriva dalla sua capacità ciclica diriproporsi e di far riflettere ritmica-mente sul significato dell’esistenza.L’uomo è attratto dal tempo e dallasua quantizzazione. Pensa che se rie-sce a contare le ore, i minuti, i secon-di, egli possa dominare il tempo, fer-mare il suo perenne fluire, interrom-pere la concatenazione degli eventiche spesso lo angoscia.

Il passaggio da un attimo al suosuccessivo, questo scorrere continuoobbliga l’uomo a meditare sul suo li-mite e, nello stesso momento, sull’e-ternità. Si vede scorrere un fiume per-ché noi siamo fermi sulla riva, se noi

fossimo in acqua scorreremmo con luie non ci renderemmo conto in modoautentico della velocità del suo movi-mento. Così per il tempo, noi perce-piamo lo scorrere degli eventi perchénon ci confondiamo semplicementecon loro ma li osserviamo, in un di-stacco che deriva dal senso dell’eter-nità che portiamo nel nostro profon-do e che è il punto di riferimento, lavera unità di misura che ci permette diconfrontare gli accadimenti e di di-stinguerne i momenti.

Il tempo scandisce la nostra esi-stenza, le nostre giornate vivono nelritmo che il tempo impone influen-zando il nostro sentire, la nostra sen-sibilità, la nostra stessa comprensionedella realtà. Quante volte siamo agi-tati per “mancanza di tempo” o irri-tati per aver “perso tempo”. Quantevolte invece sprechiamo il tempo dis-sipando le occasioni e i momenti, o alcontrario siamo soddisfatti per averben impiegato il nostro tempo realiz-zando qualcosa che ci soddisfa. Le si-tuazioni che siamo chiamati a vivere,con il loro ritmo e le loro scansioni,sono spesso la nostra croce quotidia-na: la nostra vita viene costretta equasi imprigionata da impegni chetalvolta ci condizionano profonda-mente, fino al punto di farci perderela pace del cuore.

Il tempo è dunque un grande do-no perché ci permette di leggere, at-traverso le cose e gli avvenimenti, illoro richiamo all’Eterno Creatore. Il li-mite è per l’uomo una grande ric-

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chezza, perché gli consente di ricono-scere la sua grandezza, che non è le-gata allo scorrere delle cose ma a Co-lui da cui tutto ha origine e alla cuisomiglianza siamo stati creati.

L’anno liturgico non è altro che lascansione contemplativa del tempo. Inuna musica sublime tutto l’universoesegue la sua danza armoniosa, al cui

ritmo ogni creatura risponde con i suoitempi e le sue cadenze. La celebrazio-ne del mistero della salvezza si inseri-sce in questa armonia universale facen-do risplendere il mistero di Cristo comeluce che rischiara ogni cosa e comecanto sublime capace di far cantareogni cosa nella lode divina. La centra-lità della Pasqua è il segno forte della

centralità dell’amoresalvifico di Cristo al-l’interno di tutta lacreazione. Da questocentro ogni cosa èstata creata e reden-ta, intorno a questoperno ruota ogni co-sa creata e ciascunodi noi riceve senso.Solo armonizzando lanostra vita a quelcentro potremo esse-re inseriti nella realtàcreata vivendo congioia questa sublimearmonia.

Il tempo alloranon sarà più un ne-mico ma un alleato,gli impegni quoti-diani che si alterne-ranno nei nostri me-si saranno la scansio-ne, a volte impegna-tiva ma sempre lumi-nosa, del tempo diDio, vissuto con Cri-sto, goduto nellagioia dello Spiritocome musica dell’a-nima che loda contutta la creazione ilsuo Redentore.

Particolare dell’Annunciazione,Basilica S. Caterina d’Alessandria, Galatina, sec. XIV

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La liturgia cristiana non può esse-re compresa senza riferimento altempo e allo spazio perché l’esi-

stenza umana dei cristiani si svolge neltempo e nello spazio. Il cristiano cele-bra sempre come un credente immersonel tempo della storia della salvezza enello spazio creato dall’assemblea ra-dunata (convocazione localizzata diuna comunità preesistente di credenti).In particolare, per quanto concerne iltempo, la relazione tra tempo e liturgiacostituisce addirittura il punto di par-tenza per la definizione di entrambi1.D’altra parte, il rito, col suo procedereritmico-ripetitivo, è a fondamento diuna delle più antiche misure del tempo.La celebrazione liturgica ha quindi unsuo modo di misurare il tempo.

Ma cos’è il tempo? Un grande poetadel nostro tempo, J. L. Borges, ha scrit-to: “ Il tempo è la sostanza di cui sonfatto. Il tempo è un fiume che mi trasci-na, ma io sono il fiume; è una tigre chemi sbrana, ma io sono la tigre; è unfuoco che mi divora, ma io sono il fuo-co”2. Per dirlo più brevemente con leparole di M. Heiddeger, “sono io iltempo”3. Infatti, il tempo di una perso-na si identifica con la continuità succes-siva di essa come soggetto, con il suodivenire che fa un tutt’uno con il suoessere soggetto umano. Possiamo ave-re quindi una qualche comprensione diche cosa sia il tempo solo a partire dal-la nostra vita, ossia dalle nostre espe-rienze, dai nostri rapporti con la natura

e con i nostri simili. Perciò è giusto direche apprendiamo che c’è un tempo eche esso ha un senso attraverso unapropria e vera iniziazione, nell’ambitodi un determinato contesto culturale esociale. La liturgia della Chiesa ha unruolo fondamentale in questa iniziazio-ne alla comprensione che noi cristianiabbiamo del tempo4. È stato affermatogiustamente che la “scansione del tem-po che si realizza durante il IV secolo èstata una delle rivoluzioni sociali e reli-giose più radicali e durature, la qualeha riguardato tutta la storia posteriore[ …] Il tempo liturgico cristiano condi-ziona ormai tutta la società…”5 La li-turgia ordina il tempo, lo organizza, losuddivide, lo riempie di significato. Ilnostro rapporto con il tempo non èquindi un rapporto puramente intellet-tuale, ma è un rapporto vitale e ancherituale che si esprime, in modo partico-lare, nella struttura dell’anno liturgico.

D’altra parte, si deve affermare cheil culto cristiano è libero da determina-zioni spaziali, come il tempio e l’altare,e da quelle temporali, come i giorni fe-stivi e feriali. Il Vangelo e gli scritti neo-testamentari, soprattutto quelli paolini,sono molto chiari nel sottolineare il fat-to che i cristiani non hanno il tempio,né l’altare, ma tutto trova compimentoin Cristo: Paolo ricorda insistentementeai primi cristiani che nessuno li devecondannare riguardo alle feste, ai novi-luni e al sabato (cf Col 2, 16-17; Rm14,5). Questa visione in qualche modo

Dal tempo cosmico al tempo salvificoDal Chronos al Kairos di p. Matias Augè, cmf

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“a-rituale”, che corrisponde al temateologico della Lettera agli Ebrei, costi-tuisce una base importante per la com-prensione del tempo della celebrazioneliturgica. Gesù proclama e insegna unculto o adorazione “in spirito e verità”(Gv 4,23), che non è legato al MonteGarizim, né a Gerusalemme, né a tempispecifici. Ciò nonostante, la coscienza li-turgica delle antiche comunità cristianeha inserito la preghiera e le altre cele-brazioni dentro tempi determinati: haridisegnato un nesso più stretto e quali-ficante tra liturgia e tempo, di quantolo sia la relazione liturgia-spazio.

La Rivelazione ebraico-cristiana è daconnettere all’orizzonte delle cosiddet-te religioni storiche. Anzi, tale Rivela-zione ci offre una delle più alte e siste-matiche rappresentazioni dell’ingressodi Dio nel tempo e dell’eterno nel con-tingente. La riflessione sulla tempora-lità, allora, va ben oltre le considerazio-ni antropologiche sull’esistenza e sul li-mite umano per assestarsi in un ambitosquisitamente teologico. Or bene, laconcezione ebraica del tempo, pur conle inevitabili dipendenze e arricchimen-ti, rispetto alle culture circostanti hauna sua storia autonoma e originale disenso e di messaggio teologico. Il mon-do ebraico ha elaborato una sua visionedel tempo che non coincide con quelladelle culture circostanti al mondo ebrai-co, né con quella della cultura ellenica6.

Sullo sfondo di un quadro culturaleche mantiene alcune grandi articola-zioni, comuni a tutte le tradizioni reli-giose, si va – via, via – imponendo inIsraele una visione sempre più originaledel tempo, rifiutando qualsiasi idea disacralizzazione mitica del tempo cosmi-co. Senza rinnegare il tempo come ele-

mento della storia degli uomini, la Bib-bia vede nei momenti del tempo altret-tanti ritmi del rivelarsi di Dio. Sono rit-mi nei quali Dio porta a compimento lasalvezza dell’uomo. Naturalmente, co-me già detto, l’Antico Testamento,prende coscienza di questa visione sto-rica in modo graduale. I profeti hannostimolato a tener viva la coscienza chel’azione di Dio nella storia perduravanel tempo fino a un momento ultimopensato come pienezza, adempimento-compimento. In questa prospettiva esi-ste un’unica storia di salvezza che, per icristiani, ha in Cristo il suo compimentodefinitivo.

Per approfondire questi concetti,notiamo che nella Bibbia troviamo unaterminologia che ha rapporto con iltempo interpretato alla luce della sto-ria della salvezza7. Partendo dalla ver-sione dei LXX e dal Nuovo Testamentogreco, con qualche fugace riferimentoall’ebraico, sintetizziamo in seguito ilsignificato dei due termini greci di par-ticolare pregnanza teologica per il te-ma che ci riguarda: chronos e kairòs.

1. Il tempo cosmico in cui si svol-gono le vicende umane

Il vocabolo greco chronos, che nonha nella lingua ebraica un termine uni-co e corrispondente, viene usato circa100 volte nell’Antico Testamento (ver-sione greca dei LXX) e circa 54 volte nelNuovo Testamento greco. Prima di tut-to chronos serve a definire formalmen-te un momento, oppure uno spazio ditempo, la cui durata non è meglio pre-cisata. Chronos significa il tempo in ge-nere, nel suo corso, il tempo che passa.

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Bisogna poi notare altri significati: c’èun tempo dell’uomo e della sua vicen-da storica (Is 54,9; Gen 26,1.15; At 1,21;1Cor 7,39; Gal 4,1; 1Pt 1,17). Ma neltempo degli uomini si è inserito quellodi Cristo! Soprattutto nelle lettere pao-line e deutero-paoline, questa dottrinaè molto presente. La comparsa di Cristoporta, una volta per tutte, il tempo apienezza, cioè il tempo degli uomini èinvaso e penetrato dall’agire di Dio, ilquale dà in Cristo questa pienezza. Ciònon si ripete nella storia con altre mo-dalità. Una testimonianza diretta diquesta dottrina l’abbiamo in Gal 4,4:“Ma quando venne la pienezza deltempo, Dio mandò il suo Figlio, nato dadonna, nato sotto la legge, per riscatta-re coloro che erano sotto la legge, per-ché ricevessimo l’adozione a figli”.

L’evento e il tempo storico di Cristohanno distinto – nel tempo degli uomi-ni – quello passato nell’ignoranza e nelpeccato da quello che rimane, dopo dilui, per la salvezza della storia umana(At 17,30; Pt 1,20; 4,1-3). Cristo non so-lo compie il tempo ma gli dà pienezza.Allora, il tempo di Cristo diventa la mi-sura del tempo storico, sia del passato,sia del futuro. Egli ritornerà nei “tempidella restaurazione di tutte le cose”(At 3,21)8. E quindi anche la stessa ri-flessione teologica sul tempo è incen-trata in Cristo. Ciò è fondamentale percapire l’anno liturgico. Il tempo dopoCristo non offre alcuna novità. Si trattasempre del mistero della salvezza cul-minante in Cristo che noi troviamo ri-presentato nel rito. L’anno liturgiconon è quindi una serie di concetti, ma èla celebrazione di un unico evento disalvezza. È il tempo in cui Cristo entra edà pienezza. È per questo che l’anno li-

turgico non può essere trasformato inun calendario tematico-devozionale.

Il chronos, il tempo cosmico, non èun’entità assoluta, ma è spazio e for-ma che permette di contemplare l’a-zione storica di Dio e la risposta chead essa dà nel tempo l’uomo, il qualeconsidera il suo presente strutturatoin base al tempo di preparazione del-l’Antico Testamento e di compimentoin Gesù Cristo.

2. Il tempo momento pregnantee occasione propizia per essere rag-giunti da Dio che salva

Il termine kairòs indica il tempo giu-sto, adatto, favorevole, il momento op-portuno, l’istante privilegiato che offrepossibilità inedite e affascinanti; si trat-ta di un momento pregnante e diun’occasione propizia in cui possiamoessere raggiunti dalla salvezza di Dio. Iltermine è passato, tra l’altro, nell’o-dierna letteratura laica. È significativo,per la comprensione neotestamentariadel tempo, che, quando Gesù visse lasua vicenda nel mondo, il concetto dikairòs fosse maggiormente qualificatodal punto di vista del contenuto chenon il concetto formale di chronos.Non sorprende quindi che kairòs (concirca 300 presenze) compaia nei LXX iltriplo di volte, rispetto a chronos, e chenel Nuovo Testamento si trovi ben 85volte la parola kairòs, contro le 54 voltedel termine chronos.

Nell’Antico Testamento, il vocaboloebraico ‘et, che corrisponde al terminegreco kairòs, significa prevalentementeil tempo puntuale, determinato, giusto. Iprofeti accostano tale termine ebraico al

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“giorno del Signore” (Ger 3,17; 4,11; 8,1;Dn 12,1). Il “tempo giusto” è quello del-l’incontro con Dio (Is 28, 23-29; Ger 8,7;Ez 16,8; e soprattutto Qo 3). Allora se ch-ronos indica il tempo in modo moltoampio, kairòs significa invece un tempomolto ben definito, un tempo puntuale.

Nel Nuovo Testamento kairòs allude,per lo più, all’area teologica del tempodi Dio dentro a quello umano, cioèkairòs è il momento in cui Dio intervie-ne nella storia dell’uomo, in modo mol-to puntuale, per la sua salvezza. Conl’avvento di Cristo ha inizio un tempoparticolare di azione salvifica divina,che qualifica tutto il resto del tempo. Aessa occorre convertirsi, riconoscendotale kairòs di appello, e conformando lavita agli interventi e ai ritmi del tempodi Dio. A tale riguardo si può ricordareil testo di Lc 19,44: “Abbatteranno te e ituoi figli dentro di te e non lascerannoin te pietra su pietra, perché non hai ri-conosciuto il tempo in cui sei stata visi-tata”. Si tratta di parole che Gesù rivol-ge a Gerusalemme (cf. anche Mc 1,14s;Lc 12,54ss; Rm 13,8ss; 2Cor 6,1s; ecc.).

Rispetto ai tempi passati, di ricercae di attesa, questo tempo di salvezzaè presente ora. Esso si apre anche al-la prospettiva del futuro, non priva –però – di tensione e di rottura, con leesperienze umane che lo caratteriz-zano (Lc 6, 20-26; 12,49-53; Gv 16,21-24;ecc.). Di questo tempo puntuale, chenoi possiamo chiamare tempo cristolo-gico, alla luce unitaria della storia, la li-turgia cristiana è il segno, scandito se-condo la logica del significato (memoriadell’evento, testimonianza della sua ef-ficacia, promessa del suo compimentofuturo) e secondo l’ordine del signifi-cante (il giorno, la settimana e l’anno).

Se chronos ci insegna a vedere l’annoliturgico come un’insieme di memorie diuno stesso evento salvifico che culminain Cristo; il termine kairòs ci insegna in-vece a cogliere il valore di ogni singolacelebrazione dell’anno liturgico, la qua-le assume una specifica virtù salvifica,come memoria degli interventi puntualidi Dio nella storia della salvezza.

3. Dal tempo cosmico al temposalvifico, ovvero: nel tempo cosmi-co il tempo salvifico

Nel Nuovo Testamento la storia ac-quista un senso nuovo, in rapporto allavisione veterotestamentaria. Se si pren-dono in considerazione, ad esempio,alcuni inni delle lettere paoline e deu-tero-paoline, nonché le prime confes-sioni cristiane di fede, vediamo che inquesti testi Gesù Cristo viene proclama-to centro e senso unico della storia:“Dobbiamo confessare che grande è ilmistero della pietà: Egli si manifestònella carne, fu giustificato nello Spirito,apparve agli angeli, fu annunziato aipagani, fu creduto nel mondo, fu as-sunto nella gloria” (1Tm 3,16). Si trattadi un inno liturgico che è, al tempostesso, una confessione di fede. In que-sto passaggio si scorge una visione diCristo come Signore della storia.

Un altro passo significativo è il pro-logo di San Giovanni, dove si afferma:“In principio era il Verbo, e il Verbo erapresso Dio e il Verbo era Dio. Egli erain principio presso Dio: tutto è statofatto per mezzo di lui, e senza di luiniente è stato fatto di tutto ciò che esi-ste…” (Gv 1, 1-3). Si tratta dell’Incarna-zione del Verbo che si inserisce nella

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storia come compimento del tempo.Ecco quindi che il tempo raggiunge ilsenso pieno e salvifico con la venuta diGesù di Nazareth: la sua presenza nellastoria riassume passato e futuro e di-viene relazione del volto misterioso diDio (Eb 13,8; Ap1,17s).

La signoria di Dio e, quindi, quella diCristo nella storia, va verso un tempofinale, definitivo. Cristo domina e com-pie la storia, ma – allo stesso tempo – laorienta verso un tempo definitivo. Sitratta del grande capitolo dell’escatolo-gia biblica. La serie delle liberazioni osalvezze parziali, di cui le pagine del-l’Antico Testamento sono piene, pro-gredisce verso quella che sarà la libera-zione riassuntiva delle precedenti. Cosìle forme temporanee e limitate del do-minio e della regalità divina sugli uomi-ni e sul cosmo tendono verso la totalepresenza divina nella storia e nel co-smo, quando, come dice Paolo in 1Cor15,28: “Dio sarà tutto in tutti”. La visio-ne della storia ci si presenta come unaoikonomia, un progressivo compiersi si-no alla pienezza. Cristo Signore deltempo, è una delle categorie teologi-che fondamentali che spiega l’unicoevento di salvezza. L’anno liturgico ce-lebra l’unico evento della salvezza inCristo e i diversi momenti di questoevento, di cui sono protagonisti il Pa-dre, il Figlio e lo Spirito. Non ha quindisenso stabilire una festa del Padre, delFiglio o dello Spirito Santo. Noi cele-briamo gli eventi salvifici in cui sonocoinvolte le tre persone della SS.ma Tri-nità. Come dice il Catechismo dellaChiesa Cattolica, al n. 1077, la liturgia è“opera della Trinità”.

Nella professione di fede del NuovoTestamento, il riferimento a Cristo di-

viene decisivo per comprendere il nuo-vo equilibrio della storia e lo sposta-mento di accento della speranza cristia-na, rispetto alla speranza messianicadell’Antico Testamento. Il Nuovo Testa-mento ha una concezione squisitamen-te lineare del tempo, con un presente,un passato e un futuro. La concezionelineare della storia, però, era stata af-fermata già dalla fede ebraica: giàl’Antico Testamento distingueva il tem-po presente da quello futuro, mentrel’attesa-speranza era orientata versoquel tornante decisivo fra i due tempi.Ora Gesù sposta l’equilibrio della sto-ria: il kairòs definitivo, cioè l’interventopuntuale, definitivo e salvifico è giàpervenuto alla sua pienezza con l’an-nuncio del Regno di Dio: “Dopo cheGiovanni fu arrestato, Gesù si recò inGalilea predicando il vangelo di Dio ediceva: «Il tempo è compiuto e il regnodi Dio è vicino; convertitevi e credete alVangelo»” (Mc 1,14-15).

Come specifica san Paolo nella Let-tera ai Romani e in quella agli Efesini, iltempo è compiuto non genericamentein Cristo, ma con la sua morte e risurre-zione. Perciò, già durante il tempo pre-sente, che va verso la consumazione fi-nale, è iniziato il tempo futuro. Conse-guentemente, tra l’evento di Cristo e lafine di questo eone, il cristiano è invita-to a vivere con l’animo di colui che giàappartiene al tempo definitivo, pur re-stando legato a quella storia umana ecosmica che va verso la sua consuma-zione. È il tempo della Chiesa e dellasua missione. Ecco quindi che la Chiesacelebrando la liturgia con i suoi riti, isuoi segni e le sue strutture temporali,è già orientata verso il futuro. La litur-gia, come semplice realtà rituale, dovrà

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scomparire. Non bisogna dare quindi aisegni un valore definitivo. Ciò ci ricordal’insita natura precaria del rito. C’è,dunque, un’apertura verso questo fu-turo, che la fede e la riflessione teolo-gica della Chiesa apostolica colgononel fatto dell’Incarnazione, Morte e Ri-surrezione del Figlio di Dio, eventi chesono la chiave per interpretare tutta lastoria. Conseguentemente nell’anno li-turgico tutto viene interpretato alla lu-ce della Pasqua. Una volta per tutte(ephapax: Eb 7,27; 9,12; 10,10) Cristoha salvato il mondo, attuandone la li-berazione-salvezza e prospettando ilpieno compimento di tale evento allafine dell’eone presente, con la sua se-conda venuta nella storia.

Allora il tempo precedente al fattoredentivo va compreso a partire dalsuo evento culminante: cioè tutto èstato creato per mezzo di Cristo e invista di Lui (Gv 1,1-5). Poi, il temposuccessivo alla morte-risurrezione diCristo cerca ancora nella sua Pasquacontenuti verso cui camminare e spe-rare: “ E se lo Spirito di colui che ha ri-suscitato Gesù dai morti abita in voi,colui che ha risuscitato Cristo dai mor-ti darà la vita anche ai vostri corpimortali per mezzo del suo Spirito cheabita in voi” (Rm 8,11; cf 1Cor 15).Quindi la Rivelazione biblica non negail tempo dell’uomo, né lo dissolve nel-l’eternità; il tempo però riceve unanuova e superiore consistenza. Perquesta ragione, in ogni festa dell’an-no liturgico noi possiamo trovare uncollegamento con il tempo cosmico,con l’evento salvifico e con la storiaattuale dell’uomo. Possiamo ben direche più che parlare di un passaggiodal tempo cosmico al tempo salvifico,

dal chronos al kairòs, dobbiamo parla-re di un irrompere del tempo salvificonel tempo cosmico.

4. Conclusione

La liturgia della Chiesa, pur cele-brando il mistero presente eternamen-te in Cristo, ne storicizza gli aspetti e liricorda in momenti determinati nelcorso dell’anno. La centralità del miste-ro di Cristo nell’anno liturgico noncomporta un radicale rifiuto del simbo-lismo cosmico. Infatti, determinati ele-menti e fenomeni cosmici hanno influi-to sulla data di molte feste giocandoun ruolo importante nello sviluppo deiloro temi. Tali elementi e fenomeni co-smici servono a veicolare il mistero ce-lebrato. Così notiamo che Pasqua ePentecoste fanno anche riferimento al-la primavera e al raccolto; Natale edEpifania al solstizio d’inverno e quindialla nascita della luce; le Quattro Tem-pora con le Rogazioni al ciclo del lavo-ro dell’uomo; sulla festa di San Giovan-ni Battista al 24 Giugno, Sant’Agostinodice: “Giovanni nacque in questo gior-no: da esso la luce del mondo decresce.Cristo nacque il 25 dicembre: da questadata cresce la luce del giorno”9. Laspiegazione di Agostino coincide con ildetto del Battista: “Lui deve crescere,io diminuire” (Gv 3,30). Finalmente,san Michele Arcangelo, protettore del-la Chiesa, è celebrato all’equinozio diautunno (il 29 settembre già nell’anticaraccolta di testi liturgici del Veronese)10

L’intestazione degli antichi Sacra-mentari romani esprime molto chiara-mente il carattere di celebrazione “cir-colare” o “ciclica” propria dell’anno li-

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turgico: la celebrazione annuale del mi-stero/misteri di Cristo ritorna nell’annicirculus11. Il tempo liturgico, caratteriz-zato dalla “circolarità” propria dell’an-no cosmico, fa la sintesi della storia del-la salvezza, ma non la chiude nel suocircolo. La “circolarità” dell’anno litur-

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1 Sul rapporto tempo-liturgia, cf. G. BONAC-CORSO, Celebrare la salvezza. Lineamentidi liturgia ( “Caro salutis cardo”, Sussidi 6),Messaggero, Padova 2003, 183ss.

2 J.L.BORGES, Nueva refutaciòn del tiempo,in Otras inquisiciones, Emecé, Buenos Ai-res 1960, p 301; trad. it.. di F. Montaldo inOpere complete, a cura di D. Porzio, vol. 1,Mondatori, Milano 1984, 1089.

3 M. HEIDDEGER, Il concetto di tempo (Pic-cola biblioteca 406), Adelphi, Milano 2002,28-29

4 Cf. A. GRILLO, Tempo, lavoro e festa cristia-na in epoca postmoderna, in F. ALACEVICH– S. ZAMAGNI – A. GRILLO, Tempo del lavo-ro e senso della festa (Le ragioni del bene4), San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 92-93.

5 A. DI BERARDINO, La cristianizzazionedel tempo nel IV secolo: il caso della cele-brazione di Pasqua, in W.HENKEL, Eccle-siae Memoria. Miscellanea in onore delR.P. J. Metler, Roma-Freiburg-Wien 1991,146-147.

6 Nella struttura del pensiero greco, il tem-po è realtà fissa e statica. L’ellenismo non èpervenuto alla elaborazione di una filoso-fia o teologia della storia. L’uomo greco vi-ve il mondo essenzialmente come natura,non come storia. Per una certa parte dellamentalità greca, la storia è concepita comeun indefinito ripetersi di cicli chiusi. Il suomovimento è simile a quello regolare degliastri. La legge che domina è quella dell’e-terno ritorno, secondo il quale i medesimiavvenimenti si riproducono eternamentepersino negli stessi cicli cosmici.

7 Cf. M. JOIN – LAMBERT - P. GRELOT, Tem-po, in X. LEON DUFOUR (ed.), Dizionario

gico rimanda piuttosto alla visione del-l’anno inteso come un susseguirsi dipunti nella linea temporale della storiadella salvezza, un momento cioè nelgrande anno giubilare (cf. Lv 25) o “an-no di grazia del Signore” inauguratoda Cristo (cf. Lc 4,19.21).

di Teologia biblica, Marietti, Torino 1971,1253-1273; J. GUHRT – H. CH. HAHN,Tempo, in L. COENEN – E. BEYREUTHER –H. BIETENHARD (edd.), Dizionario deiconcetti biblici del Nuovo Testamento,dehoniane, Bologna 1976, 1819-1844; A.MARANGON, Tempo, in P. ROSSANO – G.RAVASI – A. GIRLANDA (ed.), Nuovo Di-zionario di Teologia Biblica, Edizioni Pao-line, Cinisello Balsamo 1988, 1519-1532;AA.VV., Il tempo (Parola Spirito e Vita –Quaderni di lettura biblica 36), Dehonia-ne, Bologna 1997.

8 Il testo completo del versetto dice così:“Egli dev’essere accolto in cielo fino aitempi della restaurazione di tutte le cose,come ha detto Dio fin dall’antichità, perbocca dei suoi santi profeti”.

9 AGOSTINO, Serm. 287,4: PL 38, 1302.10 “Avec saint Michel à l’équinoxe d’autom-

ne, Noël au solstice d’hiver, Pâque à l’équi-noxe de printemps et saint Jean Baptisteau solstice d’été, ce sont les quatre saisons,les quatre points cardinaux de l’année so-laire, qui reçoivent une assurance divine:la répartition de ces fêtes ne résulte pasd’une programmation explicite, mais elleréussit à donner une forme chrétienne àces rites de passage d’une saison à l’autreque toutes les religions méditerranéennesou occidentales ont établis en ces mo-ments critiques pour demander la protec-tion e la bénédiction du ciel” (PH. ROUIL-LARD, Les fêtes chrétiennes en Occident[Histoire], Du Cerf, Paris 2003, 202).

11 Liber sacramentorum romanae ecclesiaeordinis anni circuli (Sacramentario Gelasia-no antico, sec. VII); Incipit sacramentorumde circulo anni expositum (SacramentarioGregoriano- Adrianeo, sec VIII).

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Premesse

I l termine “mistero” ricorre nel NTper indicare il disegno salvifico diDio che si manifesta e si realizza

nella risurrezione di Cristo. Inteso conquest’accezione specifica, il termineappartiene al linguaggio sviluppatodalle prime comunità cristiane. Il suocontenuto, però, affonda le radici nel-la tradizione dell’AT e precisamentenel tema della sapienza di Dio e nelsuo sviluppo all’interno della tradizio-ne apocalittica. Il tema della sapienzadivina costituisce l’orizzonte vitale incui diventa comprensibile il significatobiblico del termine “mistero”1.

1. La sapienza di Dio nella storia

La pagina che meglio permette dicomprendere il “mistero” nella sua ac-cezione neotestamentaria di disegnosalvifico di Dio, realizzato per mezzodel Cristo e in lui, è il brano di Sir 24,1-21. Con una ricca descrizione teologi-ca si presenta la Sapienza personifica-ta che loda se stessa nell’assemblea di-vina. Qui la Sapienza indica lo stessodisegno di Dio nel quale è avvenuta lacreazione e si va realizzando la salvez-za del popolo dell’alleanza.

Il discorso della Sapienza, dopo unabreve introduzione (vv. 1-2), si dividein tre parti. Nei vv. 3-7 la Sapienzaproclama non solo la sua origine divi-na, ma anche la sua profonda connes-sione con la Parola. Come quest’ulti-

ma (cf. Dt 8,3), anche la Sapienza èuscita dalla bocca dell’Altissimo, haraggiunto l’intera creazione e ha eser-citato la sua signoria salvifica in ognipopolo e nazione. I vv. 8-10 descrivo-no la Sapienza che, per ordine divino,pone la sua tenda nel popolo dell’al-leanza ed esercita la sua azione regalein modo speciale nel culto. Infine i vv.11-17 descrivono la Sapienza che,avendo posto le sue radici nel popolodel Signore, cresce e produce copiosi«frutti di gloria e ricchezza». Un invitopressante a cercare la sapienza, con lapromessa dei suoi frutti di salvezza,costituisce la conclusione del brano(vv. 18-21).

Da questa breve presentazione sipuò facilmente cogliere la straordinariaprofondità del messaggio di questo te-sto. L’opera della Sapienza nel mondo èdelineata in tre cerchi concentrici. Il cer-chio più esterno è rappresentato dall’u-niverso creato che, nella totalità dellesue parti, è lo spazio percorso e illumi-nato dalla Sapienza di Dio. Il cerchio in-termedio è costituito dalla totalità deipopoli e delle nazioni. La storia umana,nelle sue configurazioni etniche e quin-di sociali, culturali e religiose, è espres-sione della regalità salvifica della Sa-pienza. Ciò significa che i valori autenti-ci, realizzati dall’umanità nel corso del-la propria storia, manifestano la capa-cità e la dignità che ha l’uomo di acco-gliere il disegno di Dio e di cooperarealla sua realizzazione. Infine il cerchiopiù interno è rappresentato dal popolodel Signore, che sviluppa la propria tra-

Il mistero nella storia di p. Giovanni Odasso, crs

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dizione nella luce della Parola di Dio equindi è il luogo in cui la Sapienza divi-na pone la sua dimora e produce, all’in-terno della storia umana, l’abbondanzae la ricchezza dei suoi frutti.

La pagina di Sir 24, in definitiva,costituisce una testimonianza preziosadi una concezione teologica che ponenella Sapienza di Dio, ossia nel suo di-segno d’amore e di salvezza, il princi-pio nel quale trovano la propria collo-cazione e comprensione la creazionedell’universo e la storia umana in tut-te le sue espressioni.

Da questa prospettiva ricevononuova linfa vitale due grandi tradizio-ni d’Israele: la tradizione profeticadella Parola e la tradizione delle pro-messe salvifiche di Dio. La prima di es-se suppone che l’uomo è chiamato adaccogliere una Parola che provienenon dalle voci di questo mondo, madalla voce del Dio Santo. È la Parolache manifesta al popolo del Signore ildono salvifico dell’esodo e dell’allean-za e, nel contempo, gli indica la via dapercorrere per camminare nella sal-vezza ricevuta. È la Parola che ha lasua espressione massima nella Torahche costituisce appunto «l’eredità del-le assemblee di Israele» (Sir 24,22).

A loro volta le promesse salvifiche,che caratterizzano in modo speciale laprofezia a partire dal periodo dell’esi-lio in poi, suppongono la fedeltà delSignore alle sue promesse e, quindi, alsuo disegno di salvezza, che egli hafatto conoscere al suo popolo permezzo dei suoi servi, i profeti.

Nella prospettiva teologica testimo-niata da Sir 24, l’attesa del compimen-to delle promesse di Dio, che raggiun-ge la sua espressione più alta nella con-

fessione del mondo della risurrezione(“il mondo che deve venire”), è l’attesadella realizzazione piena e definitivadel disegno di Dio, quando l’azione re-gale della Sapienza di Dio avrà rag-giunto il suo compimento e avrà intro-dotto l’umanità redenta nella gloriadel Regno (cf. Sap 6,12-21). Negli scrittiapocalittici, che riflettono sulla fedenella risurrezione, compare appuntol’espressione “mistero”. Con essa si in-dica la dimensione più profonda del di-segno salvifico di Dio che riguarda ciòche avverrà negli ultimi giorni. Questo“mistero” non può essere conosciutocon le risorse della sapienza umana,ma può essere manifestato unicamenteda Dio (cf. Dt 2,27-28). Solo Dio, al qua-le “appartengono la sapienza e la po-tenza”, è colui che “concede la sapien-za ai sapienti”, e “svela cose profondee occulte” (cf. Dn 2,22)

2. Il “mistero” realizzato nellastoria

Fin dagli inizi della tradizione cri-stiana la fede nel Signore risorto è sta-ta compresa come opera del Padre chesi rivela nel Figlio, per mezzo dello Spi-rito (cf. Mt 11,25-27 e 1 Cor 2,5-16). Iltesto di Ef 1,3-14 mostra che la fedenel Signore risorto, approfondita allaluce delle Scritture (cf. 1 Cor 15,3-5),ha guidato la comunità cristiana acomprendere che la risurrezione diCristo costituisce il compimento dellepromesse salvifiche di Dio e quindi ilcompimento del suo eterno disegnod’amore. In questa ottica la confessio-ne del Signore risorto appare come larisposta della comunità dei battezzati

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a Dio, Padre del Signore Gesù Cristo,che ha fatto loro conoscere “il misterodella sua volontà” (cf. Ef 1,9). Il termi-ne “volontà” va compreso non già nelsenso di imposizione di disposizioni ocomandi ma nel suo significato biblicodi “benevolenza”, “beneplacito”,“amore”. Si tratta dell’amore che lacomunità del NT comprende appuntonella luce che le viene dalla fede nelSignore risorto: l’amore che raggiun-ge tutti gli uomini e comunica la pacepropria del mondo della risurrezione,l’amore con il quale il Padre rivela ilFiglio (cf. Mt 11,26).

La fede nel Vangelo guida i battez-zati a comprendere e confessare cheDio manifestò la piena efficacia dellasua energia salvifica nel Cristo «quan-do lo risuscitò dai morti e lo fece sede-re alla sua destra nei cieli» (Ef 1,20).Con la risurrezione del Cristo, Dio haadempiuto all’interno della storiaumana, le sue promesse di salvezza, harealizzato il suo disegno di benevolen-za e di amore: “Dio ha tanto amato ilmondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16).In questa ottica la confessione del Si-gnore risorto sviluppa nella comunitàprotocristiana una luminosa certezza:il “mistero taciuto per secoli eterni” è“ora rivelato” e perciò richiede di esse-re “annunciato mediante le Scrittureprofetiche” (Rm 16,25-26).

3. Il mistero che si compie nellastoria

I testi di Ef 1,3-23 e di Rm 16,25-27esprimono una concezione teologicache, con altre espressioni, attraversatutto il NT. Effettivamente la fede nel

Signore risorto si estrinseca nella con-fessione che Dio ha adempiuto le suepromesse e quindi ha realizzato il mi-stero della sua volontà salvifica. Pro-prio questa confessione, che è resapossibile dal dono incommensurabiledella rivelazione divina, implica unadimensione essenziale, come risultadagli annunci profetici della salvezza,che costituiscono l’orizzonte luminosodi tutta la Scrittura. Si tratta della cer-tezza che il mondo della risurrezione,in quanto compimento delle promessedivine, rappresenta la meta non solodi Israele ma di tutte le genti. Per tut-te le genti il Signore farà il banchettodell’alleanza, quando eliminerà lamorte per sempre e l’umanità interagiungerà alla liturgia della lode e delringraziamento nella gloria eterna delRegno di Dio (cf. Is 25,6-8).

Alla luce delle Scritture profetichela Chiesa del NT comprende che, all’in-terno della storia, il disegno della be-nevolenza e dell’amore del Signore siè realizzato pienamente solo in Gesùin quanto, mediante la sua risurrezio-ne dai morti, è stato costituito “il pri-mogenito di coloro che risuscitano daimorti” (cf. Col 1,18; Ap 1,5). La fedenel Cristo risorto permette certo diconfessare che il mistero “taciuto persecoli eterni” si è ora realizzato ed èrivelato da Dio. Secondo le Scrittureprofetiche, però, il contenuto del “mi-stero” rivelato non riguarda solo Gesù,ma l’intera umanità. Tutta l’umanità èchiamata da Dio a partecipare alla ri-surrezione del Signore. La Chiesa è lacomunità di coloro ai quali il Padre hafatto conoscere “il beneplacito dellasua volontà” (Ef 1,6) perché ha effusoin essi abbondantemente la ricchezza

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del suo amore “con ogni sapienza eintelligenza” e manifesta loro che “ilmistero della sua volontà” sarà piena-mente adempiuto quando tutta l’uma-nità sarà pienamente partecipe dellarisurrezione nella gloria del Regno.

In questa luce si può affermare cheil mistero dell’amore salvifico di Dio,che si è realizzato pienamente in Gesù,costituito Signore e messia con la risur-rezione dai morti, si va ora realizzandoall’interno della storia fino a quandotutta l’umanità entrerà nel riposo diDio, nella gioia delle nozze eterne.

Il tempo della storia viene così adassumere, per la Chiesa, una dupliceconnotazione. Anzitutto è il temponel quale i battezzati invocano dal Pa-dre della gloria «lo spirito della sa-pienza e della rivelazione per una piùprofonda conoscenza di lui» (Ef 1,17),per essere “potentemente rafforzatidal suo Spirito nell’uomo interiore”,per “conoscere l’amore di Cristo chesorpassa ogni conoscenza” ed esserecosì “ricolmi di tutta la pienezza diDio” (cf. Ef 3,14-19). In questa ottica èil tempo della fede che si nutre dellaScrittura e sviluppa nei battezzati laconsolazione della salvezza nella cer-tezza di “camminare nella novità del-la vita” (cf. Rm 6,1-11), perché “risorticon Cristo” (Col 3,1); è il tempo dellaLiturgia come esperienza del “miste-ro” nella potenza dello Spirito, chetrasfigura i battezzati nell’icona delSignore risorto (cf. 2 Cor 3,18) e quin-di li rende sempre più partecipi dellavita gloriosa del Cristo.

In secondo luogo, il tempo dellastoria è l’ambito nel quale la Chiesatestimonia il Risorto fino agli estremiconfini della terra. È il tempo della

“martyria”, della missione, dell’an-nuncio ad ogni creatura; il tempo incui “il mistero taciuto per secoli eter-ni” e “ora rivelato” è annunciato me-diante le Scritture profetiche.

4. Il mistero come compimentodella storia

Da quanto detto risulta che il dise-gno eterno dell’amore di Dio versol’intera umanità avrà la sua piena edefinitiva realizzazione quando ogniessere umano entrerà nella gloriaeterna del Regno. Sotto questo profiloil mistero che si è realizzato pienamen-te nel Cristo, che si sta realizzando nel-la Chiesa e nell’umanità all’internodella storia, rappresenta anche il com-pimento definitivo della storia, che sirealizzerà quando tutte le genti parte-ciperanno al banchetto dell’alleanzanell’esperienza eterna dell’amore fe-dele e misericordioso del Dio santo.

Questa prospettiva, che costituiscela speranza profonda della fede testi-moniata dalla Chiesa del NT, illuminaprofondamente la realtà dell’amore diDio, “il quale vuole che tutti gli uomi-ni siano salvati” e giungano “alla co-noscenza della verità”, ossia alla pro-clamazione della sua fedeltà che sisperimenta nella gioia della sua sal-vezza. La visione neotestamentariadella storia, che trova il suo compi-mento nella partecipazione di tuttal’umanità alla risurrezione di Cristo,permette di comprendere una caratte-ristica fondamentale della salvezza di-vina: quella di essere realmente offer-ta a tutte le genti perché “in Dio nonc’è preferenza di persona” (Rm 2,11).

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In questa ottica, la certezza che ilmistero salvifico di Dio costituisce lameta della storia, lungi dall’aprire lospazio all’agire irresponsabile dell’uo-mo e a una concezione assurda dellabontà divina (cf. Rm 6,1-4), sviluppanel cuore del credente la consapevo-lezza della propria responsabilità ver-so Dio e verso gli uomini. L’attesa delcompimento non è fuga irresponsabi-le dalla storia, ma coraggiosa assun-zione della propria missione profetica“per la vita del mondo”.

5. Prospettive

Anche se espresso con diversa ter-minologia, ciò che è significato dai vo-caboli “mistero” e “storia” appartieneprofondamente all’universo concet-tuale della Bibbia e costituisce lo sfon-do sul quale si è sviluppata la riflessio-ne dei Padri e il linguaggio liturgicodei primi secoli della Chiesa.

A nostro avviso un grande camporimane ancora aperto alla riflessioneteologica e pastorale perché possanosviluppare le virtualità della concezio-ne della Scrittura che presenta la crea-zione e la storia come espressione diun disegno divino d’amore che ha lasua realizzazione nella risurrezione diCristo e nella vocazione dell’umanitàintera ad essere pienamente partecipedella vita del Risorto nella gloria eter-na del Regno di Dio.

«Il mistero nella storia» ci sembrauna formula che orienta a cogliere ilnucleo della testimonianza del NTcompreso alla luce di tutta la Scrittu-ra. Essa orienta a comprendere l’azio-ne messianica del Signore risorto che

guida l’umanità verso la pienezza del-la vita, illumina il mistero della Chiesa,comunità di sorelle e fratelli ai quali ilPadre ha fatto conoscere il misterodella sua volontà, orienta al sensoprofondo della Liturgia come “even-to” che attua nell’oggi della storia lasalvezza di Dio in Cristo Gesù e guida ibattezzati nella testimonianza profe-tica del Risorto su tutta la terra.

«Il mistero nella storia» infineorienta a comprendere che la storiaumana non ha in se stessa la pienezzadel suo significato. Coloro ai quali ilPadre rivela il suo mistero hanno il do-no di conoscere e la responsabilità difar conoscere la meta verso la quale lastoria tende e dalla quale riceve il suosignificato e la sua speranza.

La storia diventa, così, lo spazio nelquale l’umanità è chiamata a un cam-mino responsabile che renda possibileun’esperienza iniziale e anticipata deibeni futuri, sviluppando la vita nellaluce di Dio e nell’esperienza del suoamore, nella fraternità e nella giusti-zia. In questo spazio la Chiesa è il luo-go dove il Mistero è rivelato, celebra-to e annunciato fino a quando anchela morte, l’ultimo nemico dell’uma-nità, sarà annientata. Allora, secondola ricca prospettiva di 1 Cor 15,20-28,l’opera messianica del Figlio avrà rag-giunto il suo compimento e Dio saràtutto in tutti.

————————

1 Per una presentazione del tema “miste-ro”, particolarmente attenta alla termi-nologia dell’antica liturgia e al contribu-to della recente teologia, cf. B. NEUNHEU-SER, “Mistero”, in Nuovo Dizionario di Li-turgia, ed. Paoline, Roma 1984, 863-883.

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Non esiste altro mistero cheCristo

La celebrazione del mistero pa-squale costituisce il momento pri-vilegiato del culto cristiano, suo

sviluppo quotidiano, settimanale e an-nuale1.

Poiché è lo stesso Cristo il protagoni-sta dei vari avvenimenti, ogni avveni-mento celebrato rende presente tutto ilmistero che è Cristo.

Possiamo definire il concetto pienodi «Mistero» come «quell’azione crea-trice e salvifica di Dio verso l’umanitàstorica, in Cristo e nella Chiesa, che co-stituisce il contenuto del disegno eter-no, della rivelazione divina, della pro-messa veterotestamentaria, della predi-cazione apostolica e che, attraverso ilsimbolo cultuale, diventa accessibile aicredenti per condurli al compimentoescatologico»2.

Con queste parole Warnach indicavail significato centrale di “mistero” che siincontra prima nella letteratura neote-stamentaria come “mistero di Cristo”.In senso stretto, indica la Persona e laParola di Cristo. Nel senso ampio, masenz’altro paolino, abbraccia il pianosalvifico della creazione e della salvezzache si attua nel cosmo e nella Chiesa eraggiunge la sua conclusione piena nel-la parusia del Kyrios3.

Il Cristianesimo è, soprattutto, l’ope-ra della redenzione che si adatta agli

uomini. Odo Casel dirà che esso è la re-ligione della mistica di Cristo, dell’unio-ne con Cristo glorificato. Il primo ele-mento costitutivo e decisivo non è ladottrina, ma la Persona di Cristo, inquanto Redentore che agisce nella sto-ria dell’Umanità.

Partiamo dal culto stesso come rea-lizzatore di quest’opera della redenzio-ne adatta agli uomini, stabilendo i se-guenti passi:

È nel culto che si fa accessibile l’ope-ra redentrice di Cristo;

attraverso il culto, l’uomo si mettein contatto con la morte e la resurre-zione del Signore e, nel contempo, èreso partecipe del mistero pasquale,con il quale sperimenta la redenzionedi Cristo;

mediante il culto, si esplica il pianosalvifico di Cristo che trova la sua origi-ne nell’Eternità, esprimendo anche ladimensione escatologica dell’uomo.

L’ascetica e l’imitazione morale diCristo, sul piano ontologico, è fattibilemediante il culto cristiano. Casel insistenel sottolineare come il mistero di Cri-sto alimenta il mistero del culto, affin-ché noi, attraverso di esso, possiamogiungere alla realtà del mistero di Cri-sto. In effetti, c’è una chiara distinzionetra il mistero del culto e il mistero diCristo, dal momento che il mistero delculto è la rappresentazione e la rinno-vazione rituale del medesimo misterodi Cristo.

Il Mistero compiuto nella storiasi attua nella celebrazione di p. Juan Javier Flores, osb

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La vita cristiana dei primi secoli eraorganizzata in modo da avere, comecentro, il mistero della redenzione e lasua celebrazione nel culto. Con il tem-po, però, irruppero orientamenti di ti-po soggettivistico e prevalentementeetico. Si rivalutò l’apporto dello sforzoumano nell’opera della santificazionepersonale, ma di pari passo si verificòuna diminuzione dell’importanza dataall’azione obiettiva che ci viene da Dioattraverso i sacramenti. È da imputarsiallo spirito individualistico dei popoligermanici, accentuatosi durante il Me-dioevo, il processo che condusse all’u-manesimo. Tuttavia la Liturgia manten-ne, nei suoi riti e nei suoi testi, la suaprimitiva concezione.

Per Casel, mistero è «Dio in se stes-so», «Gesù Cristo» e la «Chiesa», miste-ro al quale l’uomo non può avvicinarsisenza morire.

In questa esperienza del divino, sitrova l’uomo nella sua condizione limi-tata che riconosce dinanzi a Dio la suamiseria, la sua impurità e il suo peccato,come riferisce anche il profeta Isaia: «Iosono un uomo con le labbra impure edabito in mezzo ad un popolo con lelabbra impure; eppure io ho vedutocon i miei occhi il Re, il Signore deglieserciti» (Is 6,5).

In questa scoperta progressiva delmistero troviamo Dio, secondo l’AnticoTestamento. Nel mistero della rivelazio-ne, Egli non si manifesta ancora piena-mente al mondo profano, bensì si na-sconde, manifestandosi soltanto all’e-letto, al credente e al giusto.

L’essenza di Dio, superiore al creatoe, al tempo stesso, trascendente e im-manente, sostiene le sue creature invirtù della sua universale presenza. Già

il mondo antico possedeva questa «in-tuizione» del mistero considerandoogni realtà terrena come conseguenzadi una potenza superiore; basti pensareagli antichi templi, circondati di un alo-ne misterioso e legati all’eternità e aiculti dell’età ellenistica, secondo la stes-sa saggezza platonica. Tutti questi ele-menti hanno un solo denominatore co-mune: un anelito ad avvicinare l’uomoal divino. Tale anelito si confermerà an-che nella storia del popolo di Israele,nella quale Dio stesso dà una precisa te-stimonianza nella sua Rivelazione. Ilculmine verrà raggiunto nel momentoin cui questo anelito verrà soddisfattocon la venuta, in forma umana, del suoamatissimo Figlio, rispetto alla leggeebraica che mostrava con rigidità i con-fini fra Dio e uomo.

In Paolo si fa ormai patente che ilmistero non sia altro che la rivelazionedi Dio in Cristo, cioè di «colui che abitauna luce inaccessibile, colui che nessunuomo fra gli uomini ha mai veduto, népuò vedere» (1 Tm 6,16). In altre paro-le, mistero è colui che muore in formaumana sulla Croce, mostrando l’amoredel Padre. Anche Giovanni afferma:«Nessuno ha mai visto Dio; il Figlio Uni-genito ha portato a noi la conoscenza»(1 Gv 4,12).

Dunque, Cristo è il mistero di Dio informa personale che si manifesta nellasua esistenza terrena umiliata. Questomistero venne annunziato dagli Apo-stoli ed è trasmesso dalla Chiesa a tuttele generazioni. La Chiesa conduce l’u-manità alla salvezza non soltanto attra-verso la Parola, bensì anche attraversole azioni sacre, in modo che Cristo vivenella Chiesa mediante la fede e me-diante il mistero celebrato e vissuto.

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Questo piano redentore di Dio sirealizza concretamente in Cristo Gesù.L’incarnazione del Figlio di Dio e la suaopera redentrice sono il Mistero pro-priamente detto, sono l’epifania di Dio.Tale evento deriva dalla profondità ine-splorabile dell’agape divina, tanto danon trovarsi alla portata della nostracapacità di pensare e di valutare, per-ché siamo uomini che sperimentanosempre il confine del limite.4

Questo mistero di Cristo inizia conl’Incarnazione, culmina nella morte e siconclude nella glorificazione del Signo-re. Tutto questo insieme è l’Urmyste-rium o mistero primitivo. Nella manierain cui si manifesta il piano redentore diDio in ognuna delle azioni teandrichedi Cristo, possiamo chiamare anche“mistero” ciascuna di queste azioni,tanto che si può parlare di mistero del-l’Incarnazione, della nascita, della pas-sione, della resurrezione; poiché, però,tutte queste azioni rispondono a unpiano unico di Redenzione. In questosenso, è più logico parlare di un unicomistero di Cristo, integrato dalla suaPersona e da tutta la sua opera.

Il mistero è sempre la presenza, neltempo e nello spazio, di un’azione so-teriologica di Dio.

Il mistero è l’azione concreta cherende possibile quella presenza di un’a-zione già passata. Esso implica l’idea diuna rivelazione o manifestazione cheserve per inserire l’azione di Dio nel di-venire continuo della storia umana.

Non va dunque tralasciato di sottoli-neare che il mistero è, certamente, ine-sprimibile e non può esaurirsi con le pa-role, anche se non mancherà l’azionedello Spirito del Signore che rivelerà emanifesterà la Verità a chi è ben dispo-

sto, mentre l’incredulo non sospetteràminimamente della profondità del con-cetto.

In effetti, al mistero di Cristo, isti-tuito da Dio e lasciato a noi come do-no del Padre, la Chiesa, nella sua mis-sione millenaria e sotto l’impulso delloSpirito Santo, ha dato quella formache rimane fissa nella sua essenza e la-scia, nello stesso tempo, libertà allospirito. A tale riguardo, Casel scrisse:«Dunque non abbiamo bisogno di cer-care; dobbiamo solo donarci, dobbia-mo celebrare i misteri dello Sposo: intal modo veniamo trasformati in Cri-sto». Secondo il piano eterno di Dio,questa opera redentrice di Cristo deveaderire alle generazioni di tutti i tem-pi. Ciò è possibile attraverso la Chiesache continua nel mondo la redenzionedi Cristo. Allora, la pienezza della gra-zia che deriva dal suo Capo invisibile simanifesta e si trasmette attraverso ilsegno esteriore del Corpo visibile. Inquesto senso san Paolo parla del mi-stero della Chiesa (Ef 5,32; 3,9 ss.).

In ultima analisi, i sacramenti dellaChiesa e il suo culto, in generale, con-tengono realmente il mistero di Cristo,l’Urmysterium, e lo pongono alla porta-ta degli uomini attraverso il segno deisuoi riti e simboli. Di conseguenza, i sa-cramenti e il culto, in generale, sonoanche il mistero cultuale (1Cor 4,1;5,32), grazie al quale gli uomini hannoaccesso al mistero di Cristo.5

Per ben comprendere la profonditàdel rinnovamento liturgico che accom-pagna la “nascita” di questa teologiadei misteri, risulta necessario conoscereanche la visione ecclesiologica nellaquale nasce il movimento liturgico,avendo presente la Liturgia come

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«azione cultuale della Chiesa» e come«attuazione del Mistero di Cristo». Di-nanzi a tale rapporto, si trova il fonda-mento dell’azione liturgica che nonpuò esserci in mancanza di Cristo e del-la Chiesa.

IL MISTERO SI CELEBRA NELLA CHIESA

La Chiesa è depositaria del misterodi Cristo. La costituzione sulla liturgia,riprendendo un pensiero dei Padri, lodice con parole chiare: “Infatti dal co-stato di Cristo morente sulla Croce èscaturito il mirabile sacramento di tut-ta la Chiesa”.6

La Chiesa non è né una istituzionepuramente umana-giuridica, né unasemplice organizzazione esteriore diuomini che convengono su determinatequestioni di religione e di fede. Essa, co-me “comunità del Signore”, è la pre-senza reale ed efficace del divino sottoforma di Cristo in questo mondo, nellastoria umana. In questo senso la Chiesaè depositaria del mistero di Cristo, locustodisce, lo offre, lo celebra, lo vive.La lettera ai Colossesi (1, 18) chiama Cri-sto “il capo del corpo, cioè della Chiesa,perchè egli è “il principio”, “il primoge-nito di coloro che risuscitano dai morti”.Cristo è il capo della Chiesa in quanto è“il salvatore del suo corpo” (Ef 5, 23).Quindi la Chiesa vive la sua vita, nutritae curata da lui, suo sposo divino.

La Chiesa non è altro che l’irromperenel mondo e in questo tempo di Dio: èquindi un vero mistero; di conseguenzapossiamo dire che il mistero di Cristoperdura nel tempo e permane nellatensione tra il “non ancora” temporalee il “già” eterno.

Il problema che ci viene presentatoadesso è in che modo la presenza del-l’azione salvifica di Cristo possa diven-tare concreta per noi; come possiamonoi trovare l’accesso reale a essa ondepoterla far nostra mediante la “ripro-duzione” sacramentale. Questo è ilprincipale problema della teologia deimisteri, che si occupa della realizzazio-ne della salvezza attraverso il misterodel culto.

La Chiesa mai tralasciò di riunirsi inassemblea per celebrare il mistero pa-squale, mediante la lettura di quantonella Scrittura la riguardava (Lc 24,27),mediante la celebrazione dell’Eucari-stia, nella quale il Mistero arriva allasua pienezza.

Ogni singolo uomo giunge a parte-cipare vivamente alla realtà della sal-vezza attraverso l’azione sacramenta-le della stessa Chiesa. La funzione es-senziale del sacramento non si limita arappresentare e raffigurare la realtà,cioè l’opera salvifica, ma la contieneeffettivamente e la traspone realmen-te nello spazio e nel tempo, senza na-turalmente mutarla nel suo essere tra-scendente o, addirittura, ripeterla. Nelsacramento, l’azione salvifica non vie-ne né nuovamente eseguita, né ripe-tuta. Sotto il velo del simbolo cultua-le, lo stesso evento che si è verificatouna volta nel passato storico, si fa pre-sente come evento reale in atto disvolgimento.

Adottando un’ idea molto caselia-na, noi veniamo liberati dai nostri vin-coli spazio-temporali e resi presenti al-l’azione salvifica, per poter essere inse-riti in essa. Il potere anamnetico, me-moriale dell’azione liturgica permetteproprio questo salto o passaggio.

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Il sacramento non é altro che l’operasalvifica di Cristo, attuatasi una voltanella storia, ma resa presente e manife-stata tra gli uomini e per gli uomini.

Tutta l’azione salvifica è contenutanell’evento sacramentale. Il nucleo es-senziale dell’opera salvifica è la Pasqua,il passaggio di Cristo attraverso la mor-te per giungere alla trasfigurazionenella risurrezione, perché così il mododi esistenza terreno-carnale di Gesù fos-se trasformato in quello celeste pneu-matico del Kyrios glorificato. Questapasqua si è sì verificata storicamente so-lo una volta, cioè in quella comparizio-ne esteriore ormai da lungo tempo pas-sata, ma tale azione unica di Cristo, amotivo del suo carattere di kairós, su-pera la sfera temporale e, quindi, i limi-ti del tempo, sicché nel suo vero e pro-prio accadere è oggettivamente pre-sente e accessibile a tutti i tempi.7

La Pasqua appare come il concentra-to di tutta la storia della salvezza; in es-sa si riflettono le linee e le struttureportanti dell’intera rivelazione biblica edi tutta l’esistenza cristiana.

Il mistero di Cristo diventa presentesempre nella sua totalità, come l’unicaattuazione del mistero divino origina-rio e non, ad esempio, nelle singolerealtà storico-salvifiche in cui esso si èverificato una volta.

Ogni festa presenta tutto il mistero,ma sotto un punto di vista particolare,appunto perché noi non siamo in gradodi coglierne con un solo sguardo tuttala pienezza divina.

Come i sette sacramenti sono espres-sioni oggettivamente diverse dell’unicomistero salvifico, così anche i giorni e itempi festivi dell’anno liturgico pre-sentano il mistero di Cristo secondo i

vari stadi della sua realizzazione stori-ca. Il nucleo di ogni celebrazione festivaè sempre costituito dal mistero dellaPasqua quale viene continuamente ce-lebrato in ogni sacrificio della messa.

La Chiesa custodisce il mistero

Bisognerebbe dare uno sguardod’insieme alla storia della liturgia nellaChiesa occidentale per comprenderecome gli atti fondamentali della giova-ne Chiesa, e cioè la celebrazione eucari-stica, i riti sacramentali, la preghiera incomune, la predicazione come atto diculto, risalgono al comando esplicito diGesù, o almeno al suo esempio e allesue raccomandazioni. Gesù però nonha, per così dire, creato ex nihilo questiatti di culto: li ha ripresi dalla prassi vi-gente nel tardo culto ebraico dell’età dinostro Signore.

La Chiesa apostolica ha proseguitosu questa linea: le forme cultuali nonancora praticate da Gesù, per lo piùnon sono state inventate ex novo dallaChiesa: ci si ispirò piuttosto ai modelligià esistenti nelle tradizioni cultuali delgiudaismo.8

Lo stesso potremmo dire a propositodell’anno liturgico ripristinato che ri-prende la grande tradizione mettendola Pasqua al centro di tutte le celebra-zioni. Forse non si è tenuto sufficiente-mente presente il peso dato dal Conci-lio alla Pasqua; ci si è attenuti troppoalle cose puramente pratiche rischiandodi perdere di vista ciò che sta al centro.Pasqua significa inseparabilità di crocee resurrezione così come sono presen-tate soprattutto nel Vangelo di Giovan-ni. La croce sta al centro della liturgia

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cristiana, con tutta la serietà che ciòcomporta.

Ormai possiamo dire che il concilioVaticano II ha stabilito che si faccia una«accurata riforma generale della litur-gia» (SC 21). I Padri conciliari si rende-vano conto del crescendo della riformaliturgica, e tutta la Chiesa si apriva allericchezze del mistero pasquale, centrodella vita della Chiesa e del cristiano.

La liturgia, unione armoniosa di ce-lebrazione e vita, di testi e riti, di sacra-menti e sacramentali, è un equilibratoe complesso sistema nel quale la tradi-zione trova il suo ambito di svilupponaturale e, allo stesso tempo, un climastimolante che le permette di evolversied espandersi.

La tradizione parte dalla Scrittura,dove troviamo proprio il comando diGesù, ma anche dai riti, dalle preghiere.La Chiesa è la tradizione viva del Miste-ro. Se è vero che la tradizione custodisceil Mistero, è anche vero addirittura l’op-posto: il Mistero custodisce la stessa tra-dizione. Il Mistero, meglio, la celebra-zione del Mistero, deve suscitare com-mozione nel nostro spirito. Dovrebbefarci commensali con Cristo nell’eucari-stia, oranti con Cristo nella preghiera,sacramenti con Cristo nei sacramenti.

La centralità dell’Eucaristia esigeun notevole sforzo di penetrazione ditutta la comunità, poiché è il paradig-ma di un’azione celebrativa che costi-tuisce la vita della comunità nello spa-zio e nel tempo, nel passato e nell’og-gi, dai primi secoli fino al momentoattuale. Nell’Eucaristia si realizza ogniChiesa diocesana e particolare: in essaogni comunità cristiana diventa uni-versale, aperta alle dimensioni missio-naria e contemplativa. Nella celebra-

zione eucaristica troviamo realizzatain grado massimo la presenza del Si-gnore e della sua opera salvifica. Ilpasso dalla celebrazione alla vita èfondamentale. La esprimeva con que-ste parole il Papa Leone Magno: «Im-plendum est nihilominus operi quodcelebratum est sacramento».9

La commozione profonda incomin-cia quando la comunità eucaristica di-venta una sola cosa con la celebrazio-ne. Un’espressione di san GiovanniCrisostomo denota questa simbiosi:«Noi non vogliamo solamente aderirea Cristo, ma vogliamo anche unirci aLui, perché se ci separiamo da Lui pe-riremo».10

Nella celebrazione eucaristica, fa-cendoci commensali della mensa di Cri-sto, ci introduciamo nel medesimo mi-stero eucaristico nel quale comunichia-mo. La partecipazione alla vita gloriosadel Dio fatto Uomo, Gesù Cristo, ci èconcessa già in forma di banchetto inquesto mondo, come anticipo del ban-chetto escatologico, dal momento chel’eternità opera già tra il tempo e lapienezza di Cristo, sino ad arrivare anoi. Ciò che diciamo dell’Eucaristia lopossiamo dire della preghiera, cioè del-la liturgia della lode. Dovremmo ripete-re come i discepoli di Emmaus: «Non ar-deva forse il nostro cuore mentre egliconversava con noi lungo la via, quan-do ci spiegava le Scritture?».11

Nella celebrazione del Mistero, nel-l’Eucaristia, nella celebrazione dellalode di Dio, nella celebrazione dei sa-cramenti e sacramentali, nell’anno li-turgico Cristo stesso ci parla, conversacon noi, anzi è lui che ci spiega leScritture. Lo dice il Concilio Vaticano IInella costituzione sulla liturgia: «Per

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l’attuazione di quest’opera Cristo èsempre presente alla sua Chiesa, spe-cialmente nel compimento della Litur-gia. Egli è presente nel Sacrificio dellaMessa, tanto nella persona del mini-stro, quanto, soprattutto, sotto le spe-cie eucaristiche... è presente con la suapotenza nei sacramenti... è presentenella sua parola... è presente quandola Chiesa prega e canta.....(SC 7).

La presenza di Cristo produce com-mozione, stupore, a volte anche timo-re; ma è sempre una presenza salvifi-ca. «Non temete» (Mt 28, 10) dice ilRisorto, perché i discepoli avevanopaura. Lo stesso dovrebbe succedereanche a noi quando stiamo celebran-do, quando partecipiamo ai divini mi-steri; quando entriamo in chiesa e citroviamo nel tempio santo, quandocelebriamo e quando, dopo, torniamoal quotidiano.

La commozione, lo stupore ci porta-no all’incontro con Cristo che è presen-te nella sacra liturgia; da questo incon-

tro scaturisce l’esperienza. L’esperienzaimplica l’evento liturgico quale epifaniadi Dio che, rivelandosi, irrompe nella vi-ta dell’uomo e lo converte a sé affer-randolo nel profondo dell’esistenza.Quest’esperienza ci fa entrare, penetra-re nel mistero, o più ancora fa penetra-re il mistero in noi. L’esperienza eccle-siale è innanzi tutto presenza di Dio, edè su questo piano che l’uomo è rag-giunto dalla liturgia. Non si tratta dun-que, nella Chiesa, di contemplare este-riormente i misteri di Cristo, ma è Cristostesso che raggiunge il cristiano e lo faentrare nei suoi misteri, dandoglienel’esperienza.

È nel “sacramento” dell’anno cristia-no, come soprattutto nei sacramentipropriamente detti, che si situa l’espe-rienza cristiana. Vi è qui un’obiettivitàdell’esperienza cristiana che la contrap-pone a ogni psicologismo e a ogni in-trospezione eretta a metodo.12 Noi pe-netriamo nel Mistero ma anche il Mi-stero penetra in noi.

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1 PAOLO VI, Motu proprio Mysterii Pascha-lis.

2 V. WARNACH, Il mistero di Cristo. Una sin-tesi alla luce della teologia dei misteri,Paoline, Cinisello Balsamo 1982, 21.

3 Ibidem, 21.4 Cfr. O. CASEL, Fede, gnosi e mistero. Sag-

gio di teologia del culto cristiano, Mes-saggero, Padova 2001, 12.

5 A tale riguardo Casel afferma: «Il misterodel culto cristiano è il sacramento simboli-co reale dell’azione salvifica di Cristo», cf.O. CASEL, Fede, gnosi e mistero, cit., 52.

6 Sacrosanctum Concilium, 5.7 WARNACH, op. cit. 139. 8 T. KLAUSER, La liturgia nella chiesa occi-

dentale. Sintesi storica e riflessioni, Elle

di Ci. Torino-Leumann 1971, 13.9 LEONE MAGNO, Tractatus LXX, 4, (CCL 138

A) ed. A. Chavasse, Turnhoult, Brepols1982, 429.

10 GIOVANNI CRISOSTOMO, Homiliae in Epistu-lam primam ad Corinthios, 8, 4: PG 61,72. Il testo latino è il seguente: « Ne ita-que solum haereamus Christo, sed etiamipsi conglutinemur; nam si disjuncti si-mus, perimus. Etenim qui elongant se ate, peribunt (Psal. 72, 27), inquit. Conglu-tinemur ergo ipsi, et conglutinemur peropera: Qui enim servat mandata mea, inme, inquit, manet (Joan. 14,21)».

11 Lc 24, 32.12 A. NOCENT, L’esperienza monastica di

Dio e la liturgia, in AA.VV., Dio vivo omorto? 155-156, la citazione è alla pagi-na 161.

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Sfogliando il calendario liturgico,si vede come la Chiesa celebri ivari momenti della vita di Cristo

con apposite feste: l’Annunciazione, ilNatale, la Presentazione al Tempio, ilBattesimo al Giordano, la Trasfigura-zione, l’istituzione dell’Eucaristia, laMorte, la Risurrezione, l’Ascensione.Così ogni anno, i cristiani ricordanoquesti fatti e fanno festa.

La realtà però non è questa. Glieventi che ricordiamo non sono avve-nimenti staccati l’uno dall’altro, e nonsi tratta soltanto di un ricordo di fattidel passato.

1. L’unità dell’anno liturgico. Perquanto i primi discepoli del Cristo fos-sero ebrei, che conoscevano diversefeste nel corso dell’anno, come si leg-ge nel Levitico, essi, in quanto cristia-ni, hanno cominciato a celebrare unasola festa: la Risurrezione del Signore,considerata come la Pasqua vera e de-finitiva, di cui quella ebraica era solouna prefigurazione. E l’hanno cele-brata non una volta all’anno, ma ognisettimana, nel giorno che hanno chia-mato domenica, o “giorno del Signo-re” risorto. Solo con il passare dei de-cenni hanno chiamato Pasqua la do-menica considerata anniversario dellarisurrezione. Tale celebrazione, che inun primo tempo consisteva solo nellaveglia tra il sabato e la domenica, perinflusso della Chiesa di Gerusalemme,è stata celebrata in un triduo, neltempo che va dalla morte alla risurre-

zione, e cioè il venerdì, il sabato e ladomenica. Sarà il “sacratissimo triduodi Cristo crocifisso, sepolto e risorto”,secondo la bella espressione disant’Agostino. La Pasqua non è sol-tanto la risurrezione, ma il passaggiodi Cristo da questo mondo al Padre,che avviene attraverso la passione, lamorte, la sepoltura, la risurrezione el’ascensione. Tale percorso di Cristo èchiamato oggi il “mistero pasquale”.Ad esso dobbiamo aggiungere la Pen-tecoste, come frutto e conclusionedella Pasqua.

Fino all’anno 336 i cristiani non co-noscevano altre feste che la Pasquasettimanale e il ciclo pasquale annua-le, che comprenderà sia il tempo dipreparazione (la Quaresima), sia lacinquantina pasquale, o Pentecoste.Non si ha difficoltà a vedere l’unità diqueste celebrazioni.

Il primo documento che elenca al-tre feste, oltre il mistero pasquale, è ilChirografo filocaliano del 354 (Filoca-lo [=amante del bello] era colui cheincideva sul marmo testi, per es. di Pa-pa Damaso). Qui troviamo per la pri-ma volta l’indicazione di una festa delNatale, celebrata a Roma, il 25 dicem-bre, come sostituzione cristiana dellafesta pagana del “Natale Solis Invicti”.E vi troviamo anche le feste di martirie di vescovi romani, nel rispettivogiorno della Depositio, cioè della mor-te o sepoltura. Si forma così, nel IV se-colo, l’anno liturgico cristiano. Fuori

L’Anno liturgico e la vitadi Cristo di p. Ildebrando Scicolone, osb

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Roma, circa un secolo dopo, si aggiun-gerà il periodo di Avvento, di quattroo sei settimane. Nella celebrazionesettimanale della Pasqua, si inserisco-no così due blocchi: il ciclo pasquale(annuale) e il ciclo natalizio (o dellamanifestazione del Signore).

Si viene così a presentare, nel corsodi un anno, l’intera vita di Gesù, nonperò nella storicità degli avvenimenti,ma nel loro valore per la redenzionedell’uomo. Cristo Signore ci ha salvatonon soltanto con la sua morte e risurre-zione, ma con tutta la sua vita. Il miste-ro della umana redenzione si è realizza-to (e pertanto è stato rivelato) “quandoè apparsa la benignità e la filantropia diDio” (Tito 3, 4), e cioè dall’Incarnazionealla glorificazione di Cristo. A Natale ce-lebriamo la nascita di colui che “entran-do nel mondo dice: Tu non hai graditoofferte e sacrifici, un corpo mi hai dato;ecco io vengo per compiere il tuo vole-re”. L’unità dell’anno liturgico è fonda-ta sull’unità della vita e della missionedel Verbo incarnato.

Tale unità viene bene espressa nel-l’art. 102 della Costituzione liturgica,che recita: “La santa madre Chiesaconsidera suo dovere celebrare, consacra memoria, l’opera salvifica delsuo sposo divino, in giorni determinatinel corso dell’anno… Nel corso del-l’anno distribuisce tutto il mistero diCristo dall’Incarnazione e dalla Nati-vità fino all’Ascensione, al giorno diPentecoste e all’attesa della beatasperanza e del ritorno del Signore”.

2. Attualizzazione del mistero cele-brato. Abbiamo già detto che gli av-venimenti della vita di Cristo non ven-gono resi presenti nella loro storicità.Sono fatti storici, in quanto verificati-

si in un determinato tempo e spazio.Sono passati, e in quanto passati nonritornano. Ma il loro valore salvificorimane, per il fatto che “Cristo vive ineterno” (Ebr 7, 24) e le sue azioni ri-mangono in lui. La celebrazione “consacra memoria” rende presente, nell’oggi liturgico, l’evento, perché noi vipossiamo prendere parte. Il citato art.102 della SC continua: “Ricordando intal modo i misteri della redenzione,essa [la Chiesa] apre ai fedeli le ric-chezze delle azioni salvifiche e deimeriti del suo Signore, le rende incerto modo presenti e permette ai fe-deli di venirne a contatto e di essereripieni della grazia della salvezza”. Lacelebrazione liturgica, che consistenell’annuncio della Parola e nel ritosacramentale, è il momento in cui lasalvezza operata da Cristo, storica-mente 2000 anni fa, raggiunge la co-munità celebrante. Vale sempre l’e-sempio della luce. Essa viaggia allavelocità di 300.000 km al secondo. Seio vedo una stella, lontana 2000 anniluce, quella luce che io vedo, è con-temporaneamente passata e presen-te. È partita nel passato, ma per me èpresente perché ora io la vedo e mi il-lumina. È questo il senso del “memo-riale” liturgico. Ecco perché a Natalecantiamo: “Oggi Cristo è nato…(alMagn.); “un giorno santo è spuntatoper noi;…oggi una splendida luce èdiscesa sulla terra”, dove “oggi” nonsignifica “come oggi”, ma propria-mente “oggi”.

“Per noi uomini e per la nostra sal-vezza”. Questo è lo scopo della mis-sione del Cristo. Nelle singole feste,che “dispiegano” nel corso dell’annoil mistero della redenzione, rendiamo

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grazie a Dio (=facciamo eucaristia) perciò che in quell’avvenimento Dio hafatto per noi in Cristo. Ogni prefaziocontiene sempre il pronome “noi” ol’aggettivo “nostro”.

Il “contatto” con gli avvenimentisalvifici rafforza di anno in anno il no-stro innesto in Cristo. A Natale noi par-tecipiamo della figliolanza di Dio, a Pa-

squa moriamo e risorgiamo con Cristo,all’Ascensione pregustiamo di essere“noi membri del corpo là dove ci hapreceduto il nostro Capo, a Pentecostelo Spirito Santo scende sull’assembleacelebrante, nelle feste di Maria, “con-giunta indissolubilmente con l’operadella salvezza del Figlio suo” (SC 103)la Chiesa in lei ammira ed esalta il frut-

to più eccelso dellaredenzione, e in leicontempla congioia, come in unaimmagine purissi-ma, ciò che essadesidera e spera diessere nella sua in-terezza”.

In modo sinteti-co ed efficace, giàPio XII, nell’Encicli-ca Mediator Deidel 1947, avevascritto che “l’annoliturgico è Cristostesso che prose-gue nel tempo lasua opera di sal-vezza”, riecheg-giando ciò chescriveva Odo Ca-sel: “L’autenticoprotagonista del-l’anno liturgico è ilCristo mistico ecioè lo stesso Si-gnore Gesù Cristoglorificato, unitocon la sua sposa,la Chiesa” (Il mi-stero del culto cri-stiano, Roma1985, pp. 95-96).L’Adorazione dei Magi, Miniatura Russa, sec. XIV.

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Molto della nostra vita è scandi-to dal calendario: l’almanacco,che appendiamo alle pareti di

casa, regola i giorni lavorativi, le feste ei weck-end; il calendario delle attività,che riparte ogni anno dopo le ferie,scandisce l’ ”avanzamento lavori” delleaziende, degli uffici e delle parrocchiestesse. C’è poi il calendario dell’anno li-turgico che, “per anni circulum”, fa me-moria del Mistero di Gesù. Questa sem-plice constatazione mostra già come lastoria del mondo e l’anno della Chiesacamminino insieme. Sono due realtà instretto rapporto: la Chiesa celebra per ilmondo, compiendo il servizio sacerdo-tale; ma anche il mondo con la sua sto-ria, il mutamento dei rapporti tra i po-poli, il crollo di istituzioni e ideologieche parevano fisse per sempre, sta im-ponendo alla Chiesa quel cambiamen-to, al quale lo Spirito l’ha chiamata me-diante il mai troppo meditato ConcilioVaticano secondo.

Non è, infatti, soltanto questione diorganizzare la vita della comunità par-rocchiale secondo il ritmo di feste e ri-correnze, ma di introdurla nel Misterocelebrato nel sacramento e adempiutonella vita quotidiana. Sfuggirà comun-que il pieno significato dell’anno litur-gico, se non torniamo alla comprensio-ne della liturgia quale il Concilio ce l’hadonata. La liturgia, che nel tempo eragiunta a significare l’insieme di ritiadempiuti con scrupolosa aderenza arubriche e cerimonie, è invece l’opera

di Gesù, quella che il Padre gli ha datoda fare in favore degli uomini (SC 6; cfrGv 17,4; 5,17) e che lui ha compiutoconsegnandosi liberamente alla morteper essere risuscitato dai morti, princi-pio di salvezza e santificazione per tuttigli uomini; questa opera, che chiamia-mo Mistero Pasquale, egli la compienell’oggi della Chiesa, resa presente peril tramite della liturgia. Così il tempodella nostra vita diventa, nella Chiesa,tempo di salvezza.

Ma l’esperienza immediata hatutt’altro segno. Due realtà, in questinostri tempi, fanno problema: da unaparte la storia appare cattiva, rassegna-ta a violenze, ingiustizie, calamità; dal-l’altra la vita dell’uomo è segnata dallaframmentarietà in un tempo che, comenell’antico mito, divora i suoi figli. Vi-viamo un tempo spezzato, insieme diattimi isolati, senza un filo che diaunità; tempo nel quale nulla realmentesi chiude e tutto rimane aperto e ritor-na, in una esistenza mai compiuta; e vi-viamo un tempo accelerato, che tuttosacrifica alla produttività e a un consu-mo mai sazio. Su tutto domina il sensomortificante della fuga del tempo: ruithora, dicevano gli antichi, e tutto trasci-na via e travolge con sé.

L’anno liturgico

Esperienze del tempo, queste, chel’anno liturgico sommuove dalla radi-

L’Anno liturgico, itinerariodella vita cristiana di Nazareno Scarabotto

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ce, perché l’oggi della liturgia raggiun-ge la sorgente dell’unità e del compi-mento nella memoria viva dell’eventounico di Gesù. Sempre ritornano i tem-pi dell’anno liturgico, mai identiciperò, perché se lo stesso è il Mistero diGesù nel quale siamo innestati, diversaè nelle varie situazioni la vita nostraquotidiana di credenti e diversi e im-previsti sono i fatti nei quali siamochiamati a costruire la storia insiemealla grande famiglia di Dio, uomini edonne che riempiono la terra.

L’anno inizia con l’Avvento, cheproietta verso il ritorno del Signore,dandoci come caparra certa la celebra-zione della sua nascita a Betlemme.Centro e cuore di tutto è il Mistero e lacelebrazione della Pasqua con le suetappe: la Quaresima, la Settimana San-ta con il Triduo Sacro del Signore Croci-fisso, Sepolto e Risorto e la cinquantinapasquale, celebrata come fosse un sologrande giorno senza tramonti, dallaVeglia fino alla Pentecoste.

Sempre, per anni circulum, viene laParola di Dio, evento e profezia, compi-mento e, nello stesso tempo, luce per ifatti che viviamo. L’anno inizia con “Ve-gliate dunque” (Mt 24, 42: vangelo del-la prima domenica, anno A): vegliare èandare contro il tempo, cosa per noi af-fatto impossibile; ma Dio ci viene incon-tro in Gesù suo Figlio, autore e perfe-zionatore della fede, e nello SpiritoSanto consolatore. Arricchiti da questidoni è possibile vegliare, fatti desti dal-la beata speranza del suo ritorno. Nellasanta Veglia di Pasqua, poi, cuore e sca-turigine dell’anno liturgico, la ricca pro-clamazione della Parola si fa profeziasugli eventi attuali: “ciò che è invec-chiato si rinnova e tutto ritorna alla sua

integrità” (orazione dopo la VII lettura;cfr 2 Cor 5,15); eco del profeta Isaia chetestimoniava: “Ecco, faccio una cosanuova: proprio ora germoglia, non vene accorgete?” (Is 43,19). Non guardareindietro, a un tempo vagheggiato sucui ripiegare. Non guardare avanti a unfuturo che risolverà problemi irrisolti.Oggi è il tempo della salvezza. Oggi, amezzo dell’anno, le cose vecchie sonopassate e ne nascono di nuove.

Su questi due momenti “forti” del-l’anno, Avvento-Natale-Epifania e Qua-resima-Pasqua-Pentecoste, si stendonole domeniche del “tempo ordinario”.Periodo lungo e misconosciuto, perchéapparentemente privo di una sua iden-tità. Il grande liturgista Tommaso Fede-rici, con il linguaggio ‘esagerato’ dellasua enorme passione, lo diceva il “tem-po fortissimo” dell’anno liturgico. Ossa-tura ne è il santo Vangelo, perché nel-l’ascolto onesto e cordiale ciascuno ac-colga Gesù come unico Signore e, men-tre lo celebra Risorto, lo segua lungo lasua vita storica fino alla Croce e ricevada lui lo Spirito Santo. Oltre le nevrosi,le paure, i superbi integralismi, una co-munità, aperta al volto dell’altro, cam-mina verso la terra in cui tutti si ritrove-ranno, illuminata da quell’Uomo che hasparso il sangue per tutti, e ha gridatosconfitto sulla croce con il grido di ognipovero sconfitto sulla terra per spezzarele appartenenze, i germi di contrasti, ipregiudizi, gli odi, le esclusioni. La Chie-sa appare allora segno, seme e profeziadella creazione e della storia nuova cheDio, in Cristo Gesù, per la forza delloSpirito, sta compiendo su tutta la facciadella terra, perché nessuno si perda. Sichiude così l’anno liturgico, nella festadi Cristo Re, per subito ricominciare, per

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anni circulum appunto, nell’attesa delritorno del Signore, quando Egli verrà aradunare tutta la famiglia umana nelRegno di Dio finalmente compiuto.

Se il Vangelo, unica “Buona Notizia”nella frammentarietà inconclusa dellanostra storia, non suscita questo spiritodi universalità allora la liturgia è soltan-to ostentazione di vuoti riti, di splendo-ri fatui e di raduni illusori.

Itinerario di vita cristiana

Il particolare ritmo settimanale e an-nuale dell’anno liturgico non ci permet-te di rifugiarci nel rito e nel chiuso dellecomunità, ma spinge ad assumere sulserio lo scandalo della Croce, che ci ac-comuna a tutti gli uomini, come anchel’inquietudine per la Risurrezione cre-duta e proclamata, che tuttavia la sto-ria - quella personale, quella della Chie-sa e quella dell’umanità intera - troppevolte si incarica di smentire, giudicandoe accusando la sua pretesa novità. L’ar-co dell’anno celebrativo dell’unico Mi-stero di Cristo diventa un itinerario dicrescita, che è insieme un recupero,dentro una vita che rischia di assomi-gliare a uno stanco viaggio in cui si per-dono i pezzi; itinerario lento, che so-stiene i progressi e gli entusiasmi, masopporta anche i ripensamenti, gli arre-sti imprevisti, le soste e le riprese. Esso èl’itinerario che fa discepoli del Signore.

Immerso nella memoria del Crocifis-so Risorto, corpo spezzato per tutti esangue per tutti versato, il discepoloimpara a conoscere chi è veramente,gustando domenica dopo domenica unperdono totale, gratuito, incondiziona-to, per ricevere la gioia di vivere. Perdo-

no totale, per tutti gli uomini, perché laluce della Risurrezione e della Penteco-ste, come nelle antiche icone, è spalma-ta su tutta la terra. Conquistati dallagratuità di un perdono così fatto, nasceil cambiamento di vita. Mentre credia-mo e proclamiamo Gesù di Nazarethvero Dio fatto uomo nel grembo vergi-nale di Maria, morto crocifisso peramore, risorto come unica speranza si-cura, da lui impariamo, nella faticaquotidiana, cosa significa essere disce-poli di lui che “pur essendo di naturadivina, non considerò un tesoro gelosola sua uguaglianza con Dio; ma spogliòse stesso assumendo la forma di servo”(Fil 2, 6-7). Fatti docili allo Spirito che ilRisorto invia sulla Chiesa e sul mondo,“ogni giorno siamo edificati in tempiosanto nel Signore, in abitazione di Dionello Spirito, fino a raggiungere la mi-sura della pienezza di Cristo” (SC 2; cfrEf 2,21s; 4,13; 1Pt 2,5). Lo Spirito Santoè il grande iconografo che perfezional’icona vivente del Cristo in tutto il suocorpo e in ciascuno dei suoi membri: ri-vela a poco a poco nella nostra vita larealtà dello stesso Mistero, annunciatodurante l’anno liturgico dalla Scrittura,secondo aspetti vitalmente diversi.

È lo Spirito Santo infine che ci con-duce alla conoscenza amante del Padre,coronamento dell’opera di Gesù (cfr Gv17,3), e alla condivisione amante e ope-rosa con l’altro, chiunque esso sia, nellesue diversità. Innamorati della umanitàdi Gesù, vera e travagliata come quelladi ogni persona, contemplando comeegli l’ha vissuta, scrutando gli orizzontiinfiniti ai quali l’ha aperta, comprendia-mo che ognuno, prima di essere giustoo peccatore, cristiano o no, ha ricevutoin dono, gratuitamente, la dignità di

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persona; per ognuno Gesù ha dato ilsuo Corpo e versato il suo Sangue e inognuno abita lo Spirito Santo che riem-pie la terra e dà vita.

Celebrazione e omelia

Perché il Mistero sia celebrato intutta la sua efficacia non c’è altro me-todo al fuori del credere davvero chela liturgia è lo strumento più efficaceper l’edificazione della vita cristiana,come avverte il Concilio (SC 2), secon-do il dinamico interscambio tra cele-brazione e parola.

Celebrazione.

Occorre anzitutto celebrare seria-mente l’anno liturgico, rispettando ilsuo ritmo, senza sovrapposizioni. Laliturgia non celebra idee, tanto menoideologie, metodi, “cammini” e devo-zioni, ma celebra un evento, semprelo stesso, da prospettive diverse: ilCrocifisso Risorto. Occorre dunqueevidenziare nel circulus anni il centrodi unità che è la Pasqua, luce per tut-to l’anno come proclama l’annunciodel giorno della Pasqua nella solen-nità della Epifania del Signore; occor-re celebrare integralmente il ciclo pa-squale, dalla santa convocazione delleCeneri fino alla domenica della Pente-coste; occorre dare rilievo alla Dome-nica, Pasqua settimanale, e al ritornodella Pasqua durante l’anno nelle di-verse stagioni. Celebriamo lo stessoevento, in modo diverso. La Domenicacelebra la santa convocazione di Dioche chiama e raduna il suo popolo per

l’ascolto della Parola, lo consola me-diante il perdono dei peccati e rinno-va l’Alleanza nel corpo spezzato e nelsangue versato del Figlio. La Pasquadi primavera, dalla quale tutto pren-de origine, celebra proprio l’eventostorico: Gesù muore e risorge, ascen-de al cielo e invia sui suoi lo SpiritoSanto. Nel cuore dell’inverno, l’eventopasquale dell’Epifania è l’aperturadell’amore di Dio a tutti i popoli; nel-la Pasqua d’estate, la Trasfigurazionedel Signore e l’Assunzione della BeataVergine Maria mostra che la Pasquatocca ogni uomo, come la VergineMaria, una carne con Gesù, morta erisuscitata. La Pasqua d’autunno è ric-ca di un annuncio determinante perogni persona: la Croce non è la parolafine sulla esistenza umana, ma il se-gno glorioso del Crocifisso Risortoche, con i segni della sua passione, en-tra nel chiuso della nostra vita feritae proclama “pace”, perché la Croce èla rivelazione di come Dio ama in mo-do infinito “il mondo”, cioè tutti sen-za distinzione.

Parola

Parafrasando quello che SimoneWeil scriveva al domenicano Marie-Alain Couturier, oggi molti fedeli po-trebbero dire: “Quando ascolto le pre-diche mi sembra di non aver nulla in co-mune con la religione che vi è esposta.E dire invece che in certe liturgie sentocon una specie di sicurezza che questafede celebrata è la mia”. Non è questio-ne da poco, ché l’omelia, vera azione li-turgica, è al servizio della Parola: la po-vera parola umana e la Parola di Dio

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hanno l’energia dello stesso Spirito San-to e confermano la fondazione dellaChiesa locale, qui e adesso. In certeomelie c’è di tutto: chiose sull’attualità,lamento per le miserevoli condizioni dioggi, c’è spiegazione dotta del testo ap-pena letto, c’è l’eco di parole d’ordinedei vari movimenti, intente più a guar-dare ai comportamenti che non al mi-stero che si gioca nel cuore dell’uomo.Manca però quello che gli antichi padrie i rinnovatori della liturgia nel secoloappena trascorso chiamavano la mista-gogia, cioè l’introduzione dentro il Mi-stero. Se il Crocifisso Risorto resta allaperiferia, e non al centro, non si accen-de la gioia della fede e l’attesa del suoritorno. Eppure non c’è altro annuncioche cambi la vita dell’uomo e faccia spe-rimentare l’amore vero se non l’annun-cio serio, profondo, convinto di Cristoprimizia della Resurrezione. La concre-tezza dell’anno liturgico non consenteneppure di ridurre tutto alla interiorità.L’omelia, attenta alla storia che oggistiamo vivendo, mentre mantiene inun’instancabile ricerca di Dio, fa saltareconvinzioni in cui tendiamo a sistemar-ci, mette in discussione la presunta coe-renza delle scelte; non ci lascia gentedistratta e passiva, a rimorchio delleopinioni, ma ci fa popolo che sa legge-re i segni dei tempi, per sé e per gli al-tri: sentinella che annuncia quanto ve-de (Is 21,6.11), che sa dare risposta a chioggi domanda: quanto resta della not-te? perché ha già visto il mattino di Cri-sto nostra speranza, risorto dai morti,che ci precede in Galilea (cfr Sequenzadi Pasqua: Victimae paschali). Il leziona-rio mette a disposizione una ricchezzastraripante, sia nei tempi forti sia, comeabbiamo visto, nel tempo ordinario,

“tempo fortissimo”, con la lettura con-tinua del Vangelo di Gesù. Occorre peròattenersi alla struttura della liturgia del-la parola: tutto è proclamato alla lucedel Vangelo perché appaia il dinami-smo della storia della salvezza, profezianella voce dell’Antico Testamento,evento in Cristo Gesù il Signore, memo-ria nel sacramento e adempimento giàpresente e sempre atteso.

Si eviterà in tal modo un altro peri-colo per l’omelia, quello di essere unfatto isolato in se stesso, senza che sicomprenda come di domenica in dome-nica lo Spirito va compiendo una verastoria di salvezza in questa Chiesa loca-le, radunata in questo luogo, mentreattende il ritorno del suo Signore insie-me a coloro che ci hanno preceduti,lungo le generazioni, e ora lo vedonofaccia a faccia.

E, per ultimo, la fedele celebrazionedei tempi liturgici sprigiona tutta la ric-chezza del mistero della Santissima Ma-dre di Dio, la Vergine Maria, uscendodalle secche di un devozionalismo infe-condo, attento più al meraviglioso chealla sostanza. Fin dall’inizio la VergineImmacolata accompagna la Chiesa neltempo che proietta verso il ritorno delSignore; ai piedi della Croce, ci è conse-gnata Madre; nel ritorno della Pasqua,le feste della Beata Vergine Maria sonoscandite sempre sulle feste del Signore:Epifania, Trasfigurazione e Assunzione,Esaltazione della Croce e la Beata Ver-gine Maria Addolorata. Maria appare iltipo del vero ascoltatore: accoglie e cu-stodisce la parola, se ne lascia scardina-re le scelte; in lei la parola prende carnenel senso più pieno, e il lei trova con-ferma gioiosa la beata speranza dellaRisurrezione.

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L a notte, per molte tradizionireligiose e sapienziali antiche,è il grande grembo cosmico in

cui tutto si genera. Il silenzio, ilbuio, la vita che sembra rallentare equasi fermarsi, se danno sgomentoal cuore dell’uomo, preludono peròal sole del mattino, allo sbocciaredella vita. La sapienza umana si fon-da sull’esperienza del ciclo cosmico esulla trasmissione della vita: il solescende fino quasi a scomparire, poi

Trascorsi molti secoli da quando Dio aveva creato il mondo e aveva fatto l’uomo a sua immagine;e molti secoli da quando era cessato il diluvio e l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace;ventuno secoli dopo la nascita di Abramo, nostro Padre;tredici secoli dopo l’uscita d’Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè;circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re d’Israele; nella settantacinquesima settimana della profezia di Daniele;all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto,mentre su tutta la terra regnava la pace,nella sesta età del mondo,Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre,volendo santificare il mondo con la sua venuta,essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo,trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo. È il Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana.

risorge vittorioso, dalla terra gelidaerompono le nuove vegetazioni, dalgrembo (o da un uovo) chiuso ebuio nasce una nuova vita.

Un antico calendario del IV secolocelebra la nascita del Signore con lasolennità dovuta agli eventi checambiano la storia: le coordinate co-smiche, i grandi sistemi di datazio-ne, i riferimenti storici convergonosulla mangiatoia di Betlemme.

Nella notte di Natale di Adelindo Giuliani

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Mental clock: è quel fenomenoche conosciamo tutti, per ilquale, quando siamo molto

concentrati, il tempo sembra scorrerepiù velocemente e a un tratto, in modoimprovviso, ci rendiamo conto che si èfatto molto tardi. Quando i nostri pro-cessi attentivi sono molto attivi il tem-po sembra scorrere più lentamente diquello oggettivo, mentre al contrarioquando siamo annoiati, stanchi o a di-sagio il tempo soggettivo sembra ral-lentare e dilatarsi senza fine.

Curioso il rapporto fra il tempo el’uomo: l’uomo del terzo millennio,nelle nostre società occidentali, si è im-pegnato a combattere una strana guer-ra contro il tempo, che il più delle volteè percepito come poco, insufficiente,breve. Il Mental Clock non corrispondepiù allo scorrere naturale del tempo.

Il tema centrale è quello dell’accele-razione: tutto sembra essere più velo-ce. Così si mangia in fretta, ci si conoscerapidamente, altrettanto rapidamentesi consuma la sessualità, in altri terminitutto deve accadere velocemente. Poi-ché la capacità di mantenere l’interessesu una notizia, per esempio, è ridotta,ecco che le notizie debbono essere co-municate velocemente. Anzi, tutta lacomunicazione è più veloce, ritmata erapida. Accelerare, questo appare esse-re un obiettivo formidabile che permeala produzione, il viaggiare, il comunica-re, l’amare, l’apprendere, il costruire epressoché ogni attività umana. Persinola conoscenza scientifica è più rapida:

ogni cinque anni le conoscenze medi-che, per esempio, si raddoppiano.

Il tema dell’accelerazione ha assun-to connotazioni antropologiche: l’uo-mo di successo è un uomo che associarapidamente le idee, è colui che saprendere decisioni in breve tempo, ècolui che presto raggiunge gli obiettivi.Secondo “Be Happy”, una rivista tele-matica americana, l’uomo del terzomillennio deve essere “veloce” e am-monisce le donne: “Guai ad innamorar-si di un uomo lento, riflessivo e cauto!Sarebbe un grave errore…”.

L’accelerazione assume dunque unarilevanza antropologica, viene cioèproposto un uomo nuovo, affascinatodai miti narcisistici delll’autoafferma-zione, dell’esaltazione di sé, dell’effi-cienza e della velocità. Persino le psico-terapie sono divenute “brevi” ed “ul-trabrevi”, affinché anche la riconquistadi equilibri perduti sia più veloce.

Ma quali sono le conseguenze del-l’accelerazione?

La prima conseguenza è costituitadalla superficializzazione delle relazio-ni interpersonali. Nessun corteggia-mento oggi ha i tempi del passato, itempi per raggiungere l’intimità e su-perare le soglie del pudore sono rapi-dissimi. In questo le tecnologie giocanoun ruolo straordinario: sms, mail, vi-deotelefonia consentono rapidissimeaccelerazioni dell’intimità. In chat inpoche ore si confidano a perfetti ano-nimi sconosciuti aspirazioni, segreti,parti di sé assolutamente nascoste nella

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L’uomo e il tempo: dal Mental Clock alla y-reless GenerationProf. Tonino Cantelmi - Dr. Patrizia Russo

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vita reale. Molte relazioni sentimentalipresentano una pericolosa deriva: lapossibilità di raggiungere straordinarilivelli di intimità (anche sessuale) tra so-stanziali sconosciuti.

Chi avrà il coraggio di rallentare?Che cosa può aiutarci a resettare unMental Clock vorace e distruttivo?Forse la riscoperta del tempo della li-turgia può svolgere un ruolo incredi-bilmente terapeutico per l’uomo delterzo millennio. Questo tema, deltempo della liturgia e del suo scandirsisu ritmi antitetici al vorticoso accelera-re del consumo, potrebbe costituireuna riflessione importante.

Così come la “riscoperta” di una co-munità reale potrà forse restituire ilgusto dell’incontro e della conoscenzareale e contrastare la tendenza alla su-perficializzazione delle relazioni.

Una seconda conseguenza, piuttostoinquietante, è però da sottolineare: ac-celerare significa percorrere ritmi piùconsoni al consumo e all’uso, che al do-minio dell’essere. In altri termini, in unasocietà accelerata, l’essere e l’esserci di-vengono piuttosto usare e consumare.

Un secondo tema rilevante, accantoa quello della accelerazione e delle sueconseguenze (relazioni interpersonalisuperficiali e consumistiche), è costitui-to dalla presentificazione. Non solo iltempo è insufficiente e tutto va vissuto,o forse consumato, rapidamente, manon c’è tempo per aspettare: tutto èobbligatoriamente istantaneo. Presen-tificazione vuol dire che non si può vol-gere lo sguardo al passato, capire, ri-flettere, valutare e soprattutto nullapuò aver significato se non è vissuto su-bito, all’istante. Si chiude l’orizzontedel futuro, la possibilità di progettare,

di attendere. Si rinnega il passato, trop-po necessitante di elaborazioni riflessi-ve perché possa essere usufruito.

Anche questo tema può assumere ri-levanza antropologica: l’uomo del ter-zo millennio è un uomo pronto a emo-zionarsi, alla ricerca dell’emozione for-te, per lo più euforizzante, che va con-sumata subito, all’istante, rinunciandoalla progettualità, alla costruzione, allavoro costante. Anche questo ha con-seguenze, soprattutto sulle relazioni in-terpersonali: l’amore è travolgente,non guarda in faccia nessuno, “va doveti porta il cuore.....”, cosicché l’uomodel terzo millennio è affannosamentealla ricerca dell’emozione forte: pensia-mo al consumo di cocaina, di ecstasy edi droghe euforizzanti.

Ma è davvero possibile costruirequalcosa di solido, per esempio un ma-trimonio, sull’emozione, sull’istante,sull’immediatezza? Le relazioni inter-personali sono caratterizzate dall’esi-genza di “provare” qualcosa di ecce-zionale, di forte: il nuovo imperativo è:emozioniamoci. Così “stiamo insiemefinché proviamo qualcosa”, ma comesarà possibile superare il conflitto? An-che gli psicologi si arrendono: se c’è unconflitto, questo è segno che la relazio-ne non va. Ma è davvero così? Chi resti-tuirà all’uomo di oggi il gusto di pro-gettare, di condividere con altri non so-lo l’emozione, ma anche valori, idee,progetti? Chi insegnerà ad affrontare iconflitti e a scoprirne l’incredibile po-tenziale di crescita in essi contenuto?

E in fine ancora una osservazione:l’uomo del terzo millennio, sempre piùspinto verso nuove forme di solitudine,sembrerebbe aver bisogno di sperimen-tare il brivido del superamento dei vin-

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coli spazio-temporali. Ecco dunque il cy-berspazio, luogo immaginario dove néil tempo, né lo spazio impongono alcunlimite. E così, dopo la tv-Generation e laGenerazione X, è comparsa una nuovagenerazione, quella definita y-reless(da y-wireless: senza fili): ipertecnologi-ca, abituata a tecnomediare la relazio-ne (videogiochi, chat, sms, mms, MUD),fruitrice permanente delle tecnologie,utilizzate per la vita quotidiana e le re-lazioni, sempre on-line e costantementeproiettata nella realtà virtuale. A que-sta generazione la tecnologia prometteil superamento del vincolo temporale egarantisce la contemporaneità e la si-multaneità di infiniti, affascinanti, irri-petibili rapporti virtuali: è il tempo dellechat, dei news group e dei fantasticigiochi di ruolo planetari delle MUD.

Il nuovo Mental Clock ha dunquedue caratteristiche fondamentali: l’ac-celerazione e l’istantaneità. La pro-messa, che si cela dietro queste straor-dinarie spinte, è che solo così l’uomosarà felice. Ma è proprio così? Se os-serviamo i dati relativi al disagio psi-chico qualcosa non va. Circa il 10%della popolazione italiana soffre didepressione. Ai quasi cinque milioni didepressi occorre aggiungere circa unmilione di persone affetta da attacchidi panico e disturbi gravi d’ansia.

I disturbi alimentari psicogeni (ano-ressia e bulimia) sono anch’essi in in-cremento. Almeno seicentomila italia-ni soffrono di patologie mentali gravi(disturbi di personalità gravi e crisischizofreniche).

In altri termini: una persona su cin-que nel corso della sua vita ha neces-sità, almeno una volta, di ricevere curepsichiatriche e psicologiche.

Tutti gli osservatori concordano sul-l’affermare che stiamo assistendo a unaepocale crisi della relazione interperso-nale, caratterizzata da una sostanzialeinstabilità delle relazioni affettive.

È ovvio che tutto ciò non può esse-re imputato solo a un Mental Clockimpazzito. C’è dunque una ulterioreriflessione, che rende ancora più in-quietante e ambiguo il problema. Altema dell’accelerazione e della istan-taneità, occorre aggiungere la rinun-cia alla ricerca del senso. In altri termi-ni, è come se la contrazione del tem-po e la necessità di ridurre l’emozioneall’istante impedissero all’uomo delterzo millennio la possibilità di porsila domanda di senso. Più che impedi-re, però, potremmo parlare di rinun-cia. Così il tema della felicità si riducealla possibilità di godere solo di rapidie istantanei momenti. L’uomo d’oggirinuncia così alla grande domanda disenso, quella fondamentale, e il Men-tal Clock impone una ricerca di soddi-sfazione immediata. Siamo così difronte a una scelta riduzionistica cheimpedisce all’uomo di alzare lo sguar-do dal proprio ombelico.

E allora i dati sul disagio psichicopossono essere letti anche in un altromodo: la sofferenza psicologica è forseil modo con il quale l’uomo d’oggi po-ne la domanda di senso. Chi potrà dareuna risposta?

BIBLIOGRAFIAT. CANTELMI, La mente Virtuale, Edizione San Paolo, 2003.T. CANTELMI, Psicologia e Teologia in dialogo, Edizioni San Paolo, 2004.T. CANTELMI, Naricio siamo noi, Edizioni San Paolo 2005.

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I l 10 aprile dell’anno 2000 il SantoPadre Giovanni Paolo II approva-va la terza edizione tipica (Editio

typica tertia) del Messale Romanoche fu emanato il Giovedì Santo del-lo stesso anno, 20 aprile 2000. La pri-ma edizione tipica post Conciliare del

Messale Romano risaliva al1970, la seconda edizione ti-pica era stata pubblicata nel1975, e dopo venticinque an-ni è apparsa questa terzaedizione, frutto di un lavoro

durato circa un decennio. Sostanzial-mente il testo è quello dell’edizioneprecedente, cui però sono stati ap-portati una serie di ritocchi e adatta-menti. La Editio typica tertia del Mis-sale Romanum, è dunque l’edizioneufficiale, aggiornata, destinata allacelebrazione eucaristica in lingua la-tina che costituisce la base immedia-ta per le traduzioni nelle lingue na-zionali. Iniziò subito dopo l’approva-zione del testo latino, una nuova fa-se di lavoro tuttora in corso, affidataalle Conferenze Episcopali, per le tra-duzioni nelle diverse lingue in manie-ra tale che esse riflettano con fedeltàil testo ufficiale latino. Poi verrannopresentate all’approvazione dellaCongregazione per il Culto Divino ela disciplina dei Sacramenti. Solo do-po l’approvazione potranno entrarein uso nelle Chiese locali.

Anche la parte introduttiva delMessale, chiamata Institutio Genera-

lis, è stata rivista e ampliata. Consi-derata l’importanza del testo, laCongregazione per il Culto Divino ela Disciplina dei Sacramenti ha pro-ceduto ad una pubblicazione in anti-cipo dell’Institutio Generalis per unaconsultazione e l’approfondimento:attraverso una serie di osservazioni,ricevute da più parti, si è arrivati altesto definitivo che si trova ora nelMessale. Va subito sottolineato chenon si tratta di una semplice “colle-zione di rubriche”, di cose da fare oda non fare, ma di un vero e propriodirettorio sulla Celebrazione Eucari-stica, con indicazioni di carattereteologico, liturgico, pastorale e spi-rituale.

Mentre è ancora in corso la fasedi traduzione, revisione e approva-zione del testo della terza edizionedel Messale Romano, il 25 gennaio2004 è stata approvata dalla Con-gregazione per i Sacramenti ed ilCulto Divino, la traduzione italianadell’Institutio Generalis (Ordinamen-to generale del Messale Romano =OGMR) cui dedicheremo la nostraattenzione per alcuni numeri di“Culmine e Fonte”.

La nuova edizione, articolata inun Proemio e 9 capitoli, apportaqualche ritocco e alcune integrazio-ni al testo dell’Istitutio Generalisprecedente. Tra le novità più rile-vanti l’allargamento della possibilitàdi amministrare ai fedeli la comu-

Testi edocumenti

Ordinamento generaledel Messale Romano (1) di Stefano Lodigiani

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nione sotto le due specie, la cui nor-mativa è semplificata, e rimanda allacompetenza del Vescovo diocesanol’emanazione per la sua diocesi dellenorme circa la distribuzione dellacomunione sotto le due specie. Il Ve-scovo diocesano può inoltre rimette-re la facoltà a ciascun sacerdote, inquanto pastore di una particolarecomunità, il giudizio sull’opportu-nità di distribuzione della comunio-ne sotto le due specie, al di fuori deicasi segnalati nei quali viene sconsi-gliata.

L’inserimento di un nuovo capito-lo, il IX, riprende principi e criteri daapplicare quando una Conferenzadei Vescovi giudichi necessario intro-durre nel Messale adattamenti al dilà di quelli previsti dal Messale stes-so. Tali adattamenti vanno conside-rati come particolari ed eccezionali,giustificati unicamente dalla neces-sità di venire incontro al bene spiri-tuale delle Chiese particolari interes-sate, ferma restando la salvaguardiadell’unità sostanziale del Rito roma-no.

Le norme stabilite per la Celebra-zione Eucaristica, secondo quanto èscritto all’inizio del Proemio del-l’OGMR, sono prova “della sollecitu-dine della Chiesa, della sua fede edel suo amore immutato verso ilgrande mistero eucaristico, e testi-moniano la sua continua e ininter-rotta tradizione, nonostante sianostate introdotte alcune novità”. Ed ilProemio si sofferma quindi ad illu-strare questi aspetti enunciati.

La natura sacrificale della Messa,solennemente affermata dal Conci-lio di Trento e riaffermata dal Conci-

lio Ecumenico Vaticano II, “si ritrovacostantemente nelle formule dellaMessa”. Si ribadisce inoltre la pienaidentità, a parte il modo di offrireche è differente, “tra il sacrificiodella croce e la sua rinnovazione sa-cramentale nella Messa, che CristoSignore ha istituito nell’ultima Cenae ha ordinato agli Apostoli di cele-brare in memoria di lui.”

Anche il mistero della presenzareale del Signore sotto le specie eu-caristiche è messo in luce durante lacelebrazione della Messa,“non soltanto dalle parolestesse della consacrazione…ma anche dal senso e dall’e-spressione esteriore di som-mo rispetto e di adorazionedi cui è fatto oggetto nel corso dellaLiturgia eucaristica”.

Il Proemio sottolinea quindi la na-tura del sacerdozio ministeriale, pro-prio del Vescovo e del presbitero,“continuazione della potestà sacer-dotale di Cristo, Sommo Sacerdotedella Nuova Alleanza”, ed il sacer-dozio regale dei fedeli, “il cui sacri-ficio spirituale raggiunge la sua pie-na realizzazione attraverso il mini-stero del Vescovo e dei presbiteri, inunione con il sacrificio di Cristo, uni-co Mediatore”. Si ribadisce che la ce-lebrazione dell’Eucaristia “è azionedi tutta la Chiesa”, nella quale cia-scuno compie solamente e integral-mente quello che gli compete, se-condo il posto che occupa nel popo-lo di Dio.

Nel Proemio si mette poi in lucela continuità delle varie edizioni delMessale Romano, dal Messale diTrento (1570) all’ultima edizione del

Testi edocumenti

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FORMAZIONE LITURGICA

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Messale Romano (2000). “Il nuovoMessale, mentre attesta la normadella preghiera della Chiesa romanae salvaguarda il deposito della fedetrasmesso dai recenti Concili, segnaa sua volta una tappa di grande im-portanza nella tradizione liturgica”.Infatti la Chiesa rimane sempre fe-dele al suo compito di “maestra diverità” conservando il deposito dellatradizione, “le cose vecchie”, e allostesso tempo esamina e adotta con

prudenza “le cose nuove”, secondol’indole evangelica (Mt 13,52). Perquesto “una parte del nuovo Messa-le adegua più visibilmente le pre-ghiere della Chiesa ai bisogni delnostro tempo”, alcune espressionidella più antica tradizione dellaChiesa sono state conservate mentrealtre sono state adattate alle condi-zioni attuali, diverse orazioni sonostate poi composte ex novo, traendoispirazione dai documenti conciliari.

Testi edocumenti

Evangeliario della Chiesa Tridentina, Settimo Tamanini, Trento

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FORMAZIONE LITURGICA

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Questa affermazione è centralenella vita e negli scritti di SanSerafin di Sarov, il santo più

conosciuto della Chiesa Ortodossa.San Serafin nasce nel cuore dellaSanta Russia, a Kursk nel 1759. Giàall’età di 19 anni decise di entrarenel Monastero di Sarov. Passò moltotempo nella traduzione dei testi pa-tristici di vita spirituale noti comePhilocalia. Fu ordinato prete all’etàdi 34 anni, e proprio in questo tem-po ottenne il permesso di vivere inun eremitaggio nel bosco vicino almonastero. Alcuni anni dopo inco-minciò a ricevere i pellegrini che ingrande quantità desideravano incon-trarlo. Le loro testimonianze diconoche san Serafin non lascio mai nessu-no senza consolazione e una rispostaalle proprie necessità spirituali. Morìnel 1833.

Nelle Cronache di Divejevo si leg-ge: “La mia gioia, ti confesso, è ac-quisire lo Spirito Santo” disse PadreSerafino di Sarov a un monaco. Unavolta poi incominciò a spiegare checosa significa acquisire lo Spirito del-la pace. “Significa portare ciascunoad uno stato tale che il nostro spiritonon sarà disturbato da nulla. Occorrearrivare ad essere assolutamente sor-do e cieco di fronte ad ogni tristez-za, calunnia, accusa o persecuzione,che inevitabilmente raggiunge colo-ro che desiderano seguire il cammi-no di salvezza di Cristo. Per ciascuno

è necessario passare attraverso moltesofferenze per entrare nel Regno deicieli. Questa è la strada di ogni cre-dente in Cristo per ereditare il Regnodei cieli. In paragone a questo ognigloria del mondo è nulla. Ogni feli-cità di questo mondo non è nemme-no un’ombra rispetto a ciòche è preparato in cielo percoloro che amano Dio. Af-finché il nostro spirito possaavere la libertà di raggiun-gere questo stato e di esserenutrito in una relazione con-tinua con Dio, ciascuno devefarsi umile con la preghiera, in un ri-cordo costante del Signore.

“Ed io, umile Serafin”, aggiunse ilsaggio, “per questa ragione ognigiorno mi accosto al Vangelo. Lunedìleggo S. Matteo, dall’inizio alla fine,martedì S. Marco, mercoledì S. Luca,giovedì S. Giovanni. Negli altri giornimi divido tra gli Atti degli Apostoli ele Epistole degli Apostoli. E non di-mentico alcun giorno di leggere ilVangelo e gli scritti dei santi. Attra-verso di essi non solo la mia animama persino il mio corpo ne gioisce ene è vivificato, poiché entro in con-versazione con il Signore. Aderiscointeriormente alla sua vita ed allesue sofferenze e giorno e notte glo-rifico il Signore e gli rendo grazieper tutta la misericordia che Lui do-na all’umanità ed a me, che non nesono degno”.

InDialogo

Il fine della vita cristiana èacquisire lo Spirito Santo di don Giovanni Biallo

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FORMAZIONE LITURGICA

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Poi, con gioia indescrivibile conti-nuò: “Ho posto la mia attenzioneparticolarmente alle parole del Si-gnore Gesù Cristo: Nella casa di mioPadre ci sono molti posti (Gv 14,2).Su queste parole io, umile Serafin,mi fermai e desiderai di vedere que-ste dimore celesti e pregai il Signoredi mostrarmele, e il Signore non miprivò della sua grazia. Egli accon-sentì alla mia richiesta”.

Egli poi continuò a raccontare:“Se solo potessi sapere quale gioia e

quale dolcezza aspettano leanime in Paradiso, saresti di-sposto in questa vita a consi-derare ogni pena, persecu-zione o calunnia con gratitu-dine. Nel Regno di Dio non

c’è malattia, pena, lamento, c’è inve-ce dolcezza e gioia totale. Ma se ilsanto Apostolo Paolo stesso non puòdescrivere questa gloria e gioia cele-ste, allora quale lingua umana puòdescrivere la bellezza della dimoraceleste? (“Conosco un uomo in Cristoche, quattordici anni fa – se col cor-po o fuori del corpo non lo so, lo saDio – fu rapito in paradiso e udì pa-role indicibili che non è lecito ad al-cuno pronunciare” - 2Cor 12,2-4).

Questa preghiera penitenziale diEfrem il Siro era pregata quotidiana-mente da Serafin di Sarov, ma puòaiutare anche noi a entrare in quellapace interiore frutto dell’azione del-lo Spirito Santo.

InDialogo

Dio mio e Signore della mia vitaliberami dallo spirito dell’ozio,

dallo scoraggiamento,dall’amore per me stesso

e dalle parole inutili.Ma concedi al tuo servitore

lo spirito di castità,di umiltà,

di pazienzae di amore.

O mio Dio e mio Re,fa’ che io veda i miei peccati

e che non giudichi il mio prossimoperché Tu sei benedetto

nei secoli dei secoli.Amen.

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I DOMENICA DI AVVENTO B 27 novembre 2005Vegliate: non sapete quando il padrone dicasa ritornerà.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (63,16-17.19;64,1-7)

I profeti, attraverso l’esperienza del crollodel regno di Giuda (587aC), giunsero allacomprensione chiara di quanto fossero fragilitutte le realtà umane. Nonostante ciò durantel’esilio sorse di nuovo la speranza di una rina-scita religiosa, che avrebbe permesso il sorgeredi un popolo rinnovato, ma dopo l’entusiasmodel ritorno (538 aC) tutto tornò velocementealle mediocrità di sempre. Il profeta anonimoche scrive sotto l’autorità del grande Isaia in-voca il ritorno di Dio tra il suo popolo. Solo luiè capace di cambiare il cuore dell’uomo.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (1,3-9)

I giudei attendevano una manifestazionesensibile di Dio che sarebbe venuto a rinnova-re visibilmente il mondo. Paolo ricorda ai cri-stiani della comunità di Corinto, piena di fer-menti e di vita, che la grazia divina ci è giàstata data in Gesù. Attendiamo certamente lasua manifestazione definitiva. Ma, fin da ora,possiamo condurre un’esistenza interiormenterinnovata, scoprendo la pienezza della vita, le-gata alla conoscenza dell’amore di Dio.

VANGELODal vangelo secondo Marco (13,33-37)

Ognuno degli evangelisti sinottici rac-conta a suo modo un discorso profetico di

Gesù sulla distruzione di Gerusalemme edel suo tempio. Questa profezia si compìpuntualmente a opera dei romani quandonel 70 dopo Cristo sedarono nel sangue larivolta giudaica e rasero al suolo la città.Del tempio non restò “pietra su pietra”, aeccezione del pezzo di un muro di recinzio-ne del settore occidentale, quello che oggi èvenerato dagli ebrei come “Muro occidenta-le” o “Muro del pianto”. Questo discorsoprofetico di Gesù da lo spunto ai vangeliper proporre un insegnamento sulla fine delmondo e la venuta di Cristo nella gloria. Perquesto motivo è comunemente titolato, nel-le nostre moderne edizioni dei vangeli, co-me “discorso escatologico”, cioè dal greco:discorso sulle ultime cose che accadrannonella storia. Molto più che una trascrizioneminuziosa di un discorso di Gesù, questi te-sti evangelici costituiscono la ripresa, daparte della primitiva comunità cristiana, divari insegnamenti del Signore, che solo allaluce della esperienza della pasqua, cioè del-la sua morte e resurrezione e soprattuttograzie al dono dello Spirito Santo a Pente-coste, divennero chiari.

Se la prospettiva della venuta di Cristosostiene la speranza dei discepoli, questinon debbono però illudersi. Nessuno cono-sce il momento in cui si compirà questa ve-nuta. Il tempo presente è quello della testi-monianza del vangelo e si tratta di una testi-monianza difficile, perché comporta la per-secuzione. “sarete odiati da tutti a causa delmio nome” (Mc 13,13). Il discorso escato-logico in Marco si conclude così come: unamessa in guardia ed un pressante appello al-la vigilanza. Tutti debbono innanzi tutto ri-conoscere che ignorano la data precisa delritorno del Signore. Sarebbe stupido preoc-

La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

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cuparsi troppo di questo problema senzaimportanza. Una stupidità, sia detto per in-ciso, che puntualmente riaffiora nella storiadell’umanità ed occupa le menti di molti incalcoli ed ipotesi senza senso. L’unico veroproblema, l’unico atteggiamento corretto èquello della continua vigilanza da parte ditutti, di una attesa non angosciosa, ma co-stante per tutto il corso della vita e dellastoria. Marco si preoccupa, con questo van-gelo, di rispondere ad alcuni dubbi e do-mande della sua comunità di ascolto. Questiconoscono bene la persecuzione a motivodella testimonianza resa a Gesù. La loroperseveranza eroica è forte anche perché siattende molto presto il ritorno di Gesù nellagloria finale. Ma il tempo passa e questo ri-tardo comincia a mettere in crisi la debolefede di alcuni. A questi, ed a tutti l’evange-lista ricorda che: la speranza cristiana non sifonda sul momento preciso in cui il Signorerivelerà al mondo la sua venuta. L’impor-tante è vigilare.

L’evangelista non dice nulla sulla manie-ra in cui dobbiamo attuare questa vigilanza,si limita a metterla simbolicamente in rap-porto con la notte. Il tempo dell’attesa diCristo è dunque visto come un tempo dicombattimento contro la notte, contro il po-tere delle tenebre. Verrà un giorno in cui laluce caccerà definitivamente le tenebre ed il-luminerà tutti gli uomini. La condizione deidiscepoli è uguale a quella del loro Maestro.Attraverso la sua passione e la sua morte,Gesù ha combattuto e vinto le tenebre. At-traverso la loro testimonianza dolorosa i cri-stiani, con la forza donata loro dallo Spiritodel Risorto, affrontano “la notte” e contri-buiscono a vincere definitivamente le tene-bre del male.

II DOMENICA DI AVVENTO B4 dicembre 2005Raddrizzate le vie del Signore.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (40,1-5.9-11)

Il popolo in esilio a Babilonia cominciò aintravedere la possibilità di una liberazione.Un profeta anonimo, i cui scritti vanno sottoil nome di Isaia, prende a cantare il prossimoritorno in patria. Nel giorno beato della libe-razione, tutti gli ostacoli del cammino scom-pariranno davanti al popolo che Dio stessoavrà reso libero e guidato alla meta.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Pietro apostolo(3,8-14)

Alla fine del primo secolo stavano ormaiscomparendo gli ultimi testimoni del tempoapostolico e per i credenti più deboli nella fe-de divenne sempre più grande la tentazionedi un ritorno alla vita di prima. Chiaramente,il grande giorno che essi attendevano non eravenuto ed il mondo continuava a essere lostesso. Uno scrittore tardivo che si presentacome Pietro, invita alla pazienza. Attendendola piena manifestazione di Dio, bisogna sa-per distinguere ciò che è caduco ed il mondonuovo del rinnovamento interiore dell’uomoche il Signore ci dona.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,1-8)

Fin dall’inizio del suo vangelo Marcopresenta Gesù come il Cristo, il Figlio diDio, annunciato da Giovanni Battista, inve-

La parola di Dio celebrata

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stito dalla forza dello Spirito Santo fin dalbattesimo e vincitore nei confronti delle for-ze del male. Il resto del vangelo di Marconon è altro che la chiarificazione e lo svilup-po di questa rivelazione iniziale.

Tutte le parole del primo versetto sonostate scelte con grande attenzione: “Inizio delvangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”.

“Inizio”. Molti libri biblici fin da quellodella Genesi cominciano così. Marco sugge-risce in questo modo un accostamento tra laprima pagina della Bibbia e l’inizio del Van-gelo di Gesù, come farà più tardi anche Gio-vanni con il prologo della sua opera. ConGesù comincia una nuova storia della salvez-za, quasi una nuova creazione del mondo.Questo è stato vero storicamente, ma è anchevero nell’esistenza di ogni credente: per ognicristiano il momento in cui per la prima voltainizia ad ascoltare la parola di Gesù segnanella sua vita un vero nuovo inizio. Ogni in-contro-scontro con Gesù è portatore di unaprofonda novità nella vita di ogni uomo. Lestorie dei santi a cominciare da quelle deglistessi apostoli, lo confermano in manieraevidente.

“Vangelo”, cioè “buona notizia”. Nel pro-feta Isaia questa parola annunciava il ritornodall’esilio e l’inizio di una nuova vita per ilpopolo dopo tante prove e sofferenze. Questomessaggio di speranza dell’antico profeta altempo di Gesù era riletto ed applicato alla fi-ne dei tempi, con la venuta del messia sareb-be giunto il tempo delle gioia e della festa,della liberazione e del perdono. Marco an-nuncia così che Gesù dà inizio al tempo dellavera liberazione, con lui le promesse di Dio sicompiono: questa è la buona notizia che lachiesa è chiamata a diffondere nel mondo.Sembra tutto scontato e conosciuto, è eppure

questo fatto dà molto da pensare. La noia e losbadiglio, lo scarso entusiasmo con cui oggiviene accolta la predicazione cristiana sonoun rimprovero al nostro modo di annunciareil vangelo. Non siamo capaci di proclamare“la buona notizia” facendo comprendere ainostri fratelli tutta la bontà di questo annun-cio. Forse perché noi per primi abbiamo spe-rimentato troppo poco la gioia della fede e lapositività di una vera vita cristiana.

“Figlio di Dio”. Marco ripete più volte,nel corso del suo vangelo, che la fede in Ge-sù figlio di Dio non è possibile che a partiredalla croce. Nella prima pagina del suo van-gelo Marco si impegna a mostrare che Gesùè il compimento della speranza del popolodella prima alleanza. Gesù non è dunque sol-tanto l’annunciatore del vangelo, ma il suostesso contenuto, la buona notizia è Gesùstesso, cioè Dio che si è fatto tanto vicino anoi da farsi uomo. L’ascolto del vangelo èdunque incontro con il mistero di Gesù, ilmistero della sua divinità, ma anche della suaprofonda umanità.

Giovanni Battista diventa a questo puntosemplicemente un elemento di questo grandequadro di presentazione del Signore e delsuo valore per noi. È il primo messaggero diquesto annuncio, come Marco dice presen-tando la venuta a lui della commissione man-data dai sommi sacerdoti del tempio. Questacommissione mandata da Gerusalemme erapreoccupata solo di redigere una relazioneesatta dell’attività del Battista in rapporto al-l’idea che egli si faceva di se stesso. Come lasua predicazione poteva sembrare una nega-zione della vita ordinaria, così la sua rispostaalla domanda circa la sua identità può sem-brare solo una smentita circa l’attesa messia-nica che egli aveva contribuito a far sorgere.

La parola di Dio celebrata

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L’evangelista annota invece che la sua con-fessione fu un’affermazione positiva: il Mes-sia che sarebbe venuto non avrebbe sottrattospazio agli uomini, ma avrebbe allargato iconfini della loro libertà. Questo sarà tantovero che lo stesso Giovanni, secondo Luca,rimarrà dubbioso di fronte a certi modi di fa-re di Gesù, a una speranza “troppo grossa”contenuta nel suo annuncio: era “la buonanotizia” che stava giungendo, in qualche mo-do inaspettatamente anche per lui.

IMMACOLATA CONCEZIONEDELLA BEATA VERGINE MARIA8 dicembre 2005 Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.

PRIMA LETTURADal libro della Genesi (3,9-15.20)

Meditando sul male presente ovunque nelmondo, lo scrittore ispirato ha tratteggiato lacontraddizione dell’uomo attraverso il rac-conto del peccato originale. Ma intravide an-che un tempo nel quale questo male sarebbestato vinto. Presenta questa svolta in modo

immaginoso. Sarà ricolmata di grazia propriola donna sulla quale l’uomo fece ricadere laresponsabilità della colpa.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efe-sini (1,3-6.11-12)

Il disegno di Dio si manifesta nel mondofin dalle origini. La grazia ricostruisce lenta-mente ciò che il male ha distrutto. Essa in-cammina l’uomo verso Gesù, che opera latrasformazione dell’esistenza, ricreando unvero rapporto di Figlio e Padre. Noi tutti sia-mo immessi in questa corrente di amore chesolleva il mondo, come prima vi furono im-messi i membri del popolo eletto, di cui laVergine Maria è la gemme più preziosa.

VANGELODal Vangelo secondo Luca (1,26-38)

La festa dell’Immacolata sembra inter-rompere il cammino dell’Avvento. Lo sguar-do dei credenti che si è appena puntato suGesù che deve nascere, sembra improvvisa-mente distolto dalla comparsa di un’altrapersona: Maria. Il rischio di una attenzioneeccessivamente devozionistica a questa festaè di confondere e di mettere in una stranacontrapposizione Madre e Figlio.

Il Vangelo, presentando l’annunciazione,rimette le cose al giusto posto. Maria infattivi appare come il modello ideale di chi atten-de il Signore.

Secondo un’antica leggenda l’evangelistaLuca sarebbe stato un pittore ed avrebbe di-pinto un ritratto di Maria. Rifacendosi a que-sta leggenda esistono vari quadri della Vergi-ne, per lo più icone medioevali, che sono tra-

La parola di Dio celebrata

Annunciazione, Spinello Arettino,Arezzo, Museo Diocesano, sec. XIV.

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dizionalmente considerati come “dipinti” diSan Luca. San Luca ha realmente fatto un ri-tratto di Maria, ed è un vero capolavoro, nonpittorico però, ma letterario e teologico. Cosìva letto anche il vangelo dell’annunciazione.“La vergine si chiamava Maria”. Con questeparole comincia la storia biblica di questagiovane di circa 14 anni, a giudicare dagli usie dai ritmi tipici di allora. Maria è un nomecomune all’epoca, significa principessa, o se-condo una tradizione che l’accosta all’egizia-no (la prima Maria della Bibbia è la sorella diMosè) significherebbe “L’amata, la predi-letta”. Maria abita in un paese senza im-portanza della Galilea: “Nazareth” e secondoil costume dell’epoca è già stata “promessasposa”; lui si chiama Giuseppe ed appartienealla “Famiglia di Davide”, una famiglia nobi-le e gloriosa, ma ormai irrimediabilmente de-caduta. Della famiglia di Maria non sappiamonulla, salvo che ha una parente di famigliasacerdotale, Elisabetta, sposata al sacerdoteZaccaria e sterile. L’angelo Gabriele però an-nuncia a Maria che la sua parente “è incintanonostante la sua vecchiaia”. Maria va allorada lei, per aiutarla, e resta tre mesi, fino allanascita di Giovanni. Nulla di straordinariosembra distinguere Maria di Nazareth dallealtre donne giudee della sua epoca. Nulla chepossa vedersi nel suo aspetto, nella sua condi-zione e nel suo comportamento. Obbedientealla legge romana si reca al censimento assie-me al suo sposo. Obbediente alla legge diMosè, rispetta i riti della purificazione e dellacirconcisione per il suo primogenito, fino alpellegrinaggio pasquale al tempio di Gerusa-lemme. Spiritualmente formata nella grandetradizione biblica prega con le parole dei pro-feti e dei salmi, tanto che l’inno di lode delMagnificat, che Luca pone sulle sue labbra, è

frutto di un amalgama sapiente di citazionidell’Antico Testamento. Con esso Maria mo-stra di sentirsi parte di un popolo e di una sto-ria di salvezza che giunge a compimento.

Luca racconta che questa giovane, cosìnormale, che non si mette in mostra né appa-re degna di nota, riceve la visita di un ange-lo: Gabriele, l’angelo che Dio aveva incari-cato di annunciare a Daniele il tempo dellavenuta del messia, del capo che avrebbe libe-rato il suo popolo (Dan 8,16-17 e 9,21-25).

Quello che colpisce nel racconto è la di-screzione di Luca nei confronti di Maria.Non ci dice nulla della sua famiglia, dellesue virtù, dei suoi sentimenti. Si attiene alminimo, con l’evidente intenzione di metterein rilievo il protagonismo divino. Al centrodi tutto è l’intervento, l’irruzione inattesa edassoluta della Grazia. Di fronte a questogrande momento di iniziativa divina l’atteg-giamento del credente non può che esserepassivo, anzi sarebbe più giusto parlare diuna recettività attiva.

Gabriele la saluta: “Ave, piena di grazia”letteralmente potremmo tradurre: “Rallegrati,tu che sei favorita da Dio”. L’abitudine concui ascoltiamo questo saluto, con cui lo ripe-tiamo nella preghiera, rischia di farci dimen-ticare, di non farci scoprire quanto abbia dinuovo e d’inedito. “La piena di grazia, la fa-vorita da Dio” è un titolo che viene spiegatopiù sotto, “hai trovato grazia presso Dio” edè una specie di secondo nome, un nome divocazione, un nome che a Maria viene do-nato direttamente da Dio. Il nome di voca-zione di Maria la qualifica come colei chedovrà porsi a totale disposizione della graziadi Dio: la Recettività Attiva di Maria. La suamissione è lasciarsi invadere dalla presenzadi Dio in un modo così radicale e profondo

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che la sua stessa natura femminile ne resta“sconvolta”, Maria si pone così radicalmentenelle mani di Dio, non solo con il suo cuore,ma anche con il suo corpo tanto da diventarela madre di Gesù.

In questa caratterizzazione di Maria tra-spare anche la logica che fonda il dogma del-l’Immacolata concezione di Maria: Dio nonha soltanto riempito di grazia Maria, ma peruna concessione particolarissima l’ha postanella condizione ideale per ricevere la pie-nezza di questa grazia, l’ha preservata dalpeccato originale. Lascio ai dogmatici ap-profondire, per quanto è possibile, questomistero che deve restare tale se vogliamo ri-spettarlo, ma sottolineo soltanto, alla lucedella prima lettura, che l’effetto del peccatooriginale è di sperimentare una spontaneachiusura nei confronti di Dio. Adamo edEva, immagini di ogni uomo, sperimentanouna predisposizione che non conoscevano:quella a nascondersi, a non fidarsi/affidarsi aDio o all’altro. Questo è il grande ostacoloall’opera della grazia in noi, questo ostacoloè rimosso dal battesimo che ci apre all’inva-sione potente dello Spirito di Dio, questo è ildono che Maria ha ricevuto assieme al donodella vita e che oggi festeggiamo con lei.

III DOMENICA DI AVVENTO B 11 dicembre 2005In mezzo a voi sta uno che non conoscete.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (61,1-2.10-11)

Da poco ritornati dall’esilio a Babilonia igiudei soffrono nel vedere che la restaurazio-ne di Israele si allontana sempre di più. Il po-

polo eletto rimane sottomesso alle potentinazioni straniere. Un profeta anonimo, cheprende il nome del grande Isaia, annuncia iltempo della rivincita, e fa capire che la Buo-na Novella è riservata a coloro che hanno at-traversato la prova e la spogliazione.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicèsi (5,16-24)

I cristiani di Tessalonica vivevano nellaconvinzione del ritorno immediato del Signo-re. Paolo li invita alla gioia. Questa gioia perònon deve essere un semplice slancio del cuo-re, deve essere invece una attiva disponibilitàa Dio, che chiede di riconoscerlo in ogni invi-to al bene. È questo, nella chiesa nascente, ilprimo eco delle beatitudini evangeliche.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (1,6-8.19-28)

Il testo del vangelo che la liturgia ci pro-pone è formato da due brevi dialoghi delBattista, prima con i sacerdoti ed i leviti epoi con i farisei. L’evangelista non ci dice sele risposte del Battista gratificarono la curio-sità dei suoi interlocutori. Non dovremmoperò aspettarci molto di positivo, visto comesi svolsero poi le cose e come Gesù stessosperimentò l’impossibilità del dialogo conqueste categorie di capi e guide spirituali delsuo popolo. Di fatto essi attaccheranno Gesùcostantemente ed al tempo stesso mostreran-no di non averlo mai veramente compreso. Ècosì che ha inizio quel dramma che attraver-sa tutto il vangelo: “Gesù è venuto tra i suoi,ma i suoi non l’hanno accolto”. Dovremmoricordare più spesso questa notazione evan-

La parola di Dio celebrata

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gelica, quando diamo Gesù troppo per scon-tato, quando crediamo di conoscerlo così be-ne da non attenderci da lui alcuna sorpresa. Ilrischio è quello di averlo rinchiuso in unoschema, di averlo compreso solo parzialmen-te e secondo i nostri gusti e le nostre abitudi-ni. Per non fare l’errore che il vangelo rim-provera ai farisei è importante che l’avventosia un tempo di riscoperta del Signore. Cisiamo ben resi conto della Sua grandezza edal tempo stesso della sua profonda umanità?

Giovanni Battista ci aiuta rifiutando persé i titoli messianici, essi si addicono solo aGesù e ci aiutano a comprendere un po’ ilsuo mistero. Gesù è veramente il messia,cioè il salvatore atteso dall’Antico Testamen-to. Il rivelatore del vero volto di Dio. Il mae-stro che guida alla piena verità sul senso delvivere e del morire. Ma queste affermazioni,secondo il vangelo di Giovanni, vanno ascol-tate con attenzione e senza fretta di compren-dere: per conoscere veramente Gesù sarà ne-cessario giungere all’appuntamento dellacroce. Solo da quel trono di sofferenza lagloria di Gesù sarà veramente trasparente.Per questo ai discepoli viene rivolto l’appelloa non essere ciechi come coloro che stannointerrogando il Battista. Essi debbono guar-dare a Gesù senza interrompere lo sforzo diquesto sguardo. Il cammino è ancora moltolungo prima di arrivare alla croce ed alla re-surrezione ed è bene non trarre conclusioniaffrettate, sia esaltanti che disfattiste. Il van-gelo ci invita innanzi tutto a riconoscere lagrandezza relativa del Battista: egli non è ilmessia, ma la sua modestia, il suo amore perla verità testimoniano quanto Egli sia grande.Quanto più grande sarà dunque il Salvatoreche Giovanni è venuto ad annunciare! Man-dato da Dio il Battista ha una funzione mino-

re: offrire la sua testimonianza alla luce cheviene. Preparare la strada al Suo arrivo. Unafunzione certo importante all’inizio, maquando la luce giungerà si farà strada da so-la. È l’esperienza di tutti coloro che annun-ciano il vangelo: si sforzano di indicare aglialtri dove e come trovare il Signore, ed inquesto il loro impegno è preziosissimo, mauna volta che il Signore si è fatto conoscere,che lo abbiamo incontrato, non abbiamo piùbisogno della debole fiaccola del nostro Gio-vanni Battista. La Luce è così luminosa cheda sola si fa strada nei cuori.

Tuttavia il vangelo ricorda con affetto lafigura del Battista. Infatti tutti abbiamo bi-sogno di un Giovanni Battista che ci indichiall’inizio dove cercare la Luce, o meglio daquale parte la Luce già da tempo ci sta ve-nendo incontro. Quello che è difficile nellamissione del Battista è saper scomparire do-po aver rivestito un incarico così importan-te, per non correre il rischio di diventareuno schermo che impedisca di vedere la lu-ce invece di invitare a incontrarla. Nel no-stro tempo di personalismi esasperati e diesaltazione di chi si pone al centro dell’at-tenzione, la figura del Battista giganteggiaper la sua modestia, che è profondo amoreper la verità.

IV DOMENICA DI AVVENTO B 18 dicembre 2005Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

PRIMA LETTURADal secondo libro di Samuèle (7,1-5.8-12.14.16)

Un millennio prima di Gesù il popoloebraico sembrava aver raggiunto la sua meta.

La parola di Dio celebrata

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Aveva alla sua guida un re potente e ammira-to. Davide sogna di coronare la sua operacon la costruzione di un tempio che garanti-sca la presenza di Dio. Il profeta Natan gliassicura che quest’opera sarà realizzata, masarà opera di Dio stesso. Il Signore costruiràin avvenire una casa al suo popolo. Dio è incammino, non può arrestarsi in nessuna co-struzione umana.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Roma-ni (16,25-27)

In questo brano della lettera ai RomaniPaolo invita i cristiani a scoprire il misterodivino, svelato finalmente in Gesù Cristo. Fi-no alla sua venuta, la natura esatta del pianodivino sull’umanità rimaneva oscura agli uo-mini, incapaci di aprirsi alla profondità del-l’amore misericordioso del Signore.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,26-38)

Il testo di Luca è tutto centrato su un dia-logo in cui Dio ha preso l’iniziativa. È insuo nome che l’angelo Gabriele parla allaVergine Maria. Dio fa il primo passo. È luiche si disturba. In un primo tempo, i due in-terlocutori si affrontano con una certa sor-presa. L’angelo la saluta come gli antichiprofeti avevano salutato la Città Santa diGerusalemme, la sposa di Dio: Rallegrati!Maria è piena di stupore, sopraffatta da unmistero per lei troppo grande.

È il turbamento dell’intera umanità che el-la sente in se stessa, così come avviene ognivolta che Dio si avvicina a qualcuno in qual-che luogo: un misto di desiderio e di timore.

Così il cuore di Dio doveva essere turba-to per la preoccupazione della Vergine ed ilsuo tentativo ingenuo di rifiuto. Ma Dionon può non insistere. Svelando il suo dise-gno, le tende la mano. Ed è un progetto in-credibile, straordinario, quello che risuonaalle orecchie meravigliate di Maria e chebalena davanti al suo cuore: diventare lamadre di Gesù, Figlio dell’Altissimo, erededi Davide e Re di un Regno infinito. Un so-lo rimpianto la sfiora: forse l’angelo si sba-glia. Non aveva ella deciso di restare vergi-ne? Di rimanere senza progenie, di restarenel mondo come una semplicemente apertaa Dio e alla sua Parola e per sempre senzafrutto e senza discendenza? Maria non haancora finito di meravigliarsi perché nienteè impossibile a Dio. Quella verginità cheessa ha votato a Dio, quella povertà - per-ché la verginità priva l’uomo e la donnadella ricchezza propria della paternità e del-la maternità - proprio quella povertà per-mette a Dio di rinnovare le sue meraviglie edi ripagare la Vergine al di là di quanto po-teva aspettarsi. È il vuoto disponibile diMaria che Dio può riempire della sua pre-senza. Il Padre le affida il proprio Figlioperché diventi, attraverso di lei, un piccolodi uomo. Ecco il disegno di Dio rivelato al-la Vergine Maria piena di grazia. Ma il dia-logo non è ancora terminato. L’Amore nonobbliga nessuno, non mette mai davanti alfatto compiuto. Si limita a proporre, manon si impone mai. Aspetta ardentemente ilconsenso senza estorcerlo, accettando an-che il rischio di subire un rifiuto. Sopraffat-ta da ogni parte dall’Amore, la Vergine Ma-ria è tuttavia libera fin nel profondo. LaVergine Maria, a nome di noi tutti, accetta edà il suo consenso: «Eccomi, sono la serva

La parola di Dio celebrata

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del Signore, avvenga di me secondo la tuaparola».

Maria non ha fatto altro che questo: sus-surrare un consenso che proviene dal piùprofondo del suo essere, ma al quale, comel’innamorato alla risposta dell’amata, è so-speso non solamente il mondo intero, ma Diostesso.

Non c’è stata gioia più grande per Diodel «sì» di quella figlia di Eva che gli apreuna strada sulla terra. Non ci resta che ripe-tere quel sì giorno dopo giorno, aprire a no-stra volta il mondo, il nostro mondo innan-zi tutto, all’incontro con Dio. Chiamati a te-stimoniare davanti ai fratelli la bellezza diacconsentire all’Amore.

NATALE DEL SIGNORE25 dicembre 2005Oggi vi è nato il Salvatore.

Messa della nottePRIMA LETTURADal libro del Profeta Isaia (9,1-3.5-6)

Siamo a Gerusalemme, verso la fine dell’-VIII secolo a.C. L’empio re Acaz lotta controil dominio dell’Assiria, che ha appena distruttoil regno di Israele. Regno fratello e al tempostesso nemico di quello di Giuda. Isaia, il pro-feta, vuole ridargli fiducia, manifestandogli unsegno della bontà divina. Gli annuncia perciòla prossima nascita di un discendente, che gliassicurerà la continuità dinastica. Oltre questonascituro, egli intravede un altro bambino, ilmessia. Questi farà brillare la luce anche suideportati del Nord, apparentemente rigettati daDio. Tutti i discendenti di Abramo si troveran-no un giorno riuniti in un solo regno.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo a Tito(2,11-14)

In questa lettera, probabilmente una delleultime di Paolo, l’autore ricorda al suo disce-polo Tito il nucleo del suo messaggio. Dio sifa conoscere per mezzo della sua grazia. Es-sa si completa con il dono di Gesù che ci in-troduce nell’unico atteggiamento giusto neiriguardi del Padre, il quale fa sorgere un po-polo capace di rispondere all’appello che lochiama alla perfezione dell’amore.

VANGELODal vangelo secondo Luca (2,1-14)

Oggi festeggiamo l’inizio di un nuovo an-no dalla nascita di Gesù: il figlio di Dio fatto

La parola di Dio celebrata

La Natività, miniatura armena, sec. XIII.

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uomo. La data del 25 dicembre fu scelta dallaChiesa per ricordare questo evento perché èproprio uno dei giorni dell’anno in cui la lucecomincia a vincere sulle tenebre. In effettiper qualche giorno, normalmente dal 21 al 24dicembre, le notti sono le più lunghe dell’an-no, poi proprio dal 25 dicembre la luce co-mincia a durare sempre di più e la natura len-tamente riprende la vita camminando speditaverso la stagione dei germogli e poi dei frutti.La predica più bella sul significato del Nataleci viene proprio dalla natura. Questo giorno èil segno del trionfo della luce di Dio sulle te-nebre del peccato. Un trionfo che cominciaperò in maniera inaspettata, con una prova eduna severa sofferenza. Se Gesù fosse nato aNazareth, sarebbe nato in una casa pulita edordinata, tra una popolazione amica ed ospi-tale. Invece il disegno misterioso di Dio di-spone che nasca durante il viaggio per obbe-dire all’ordine del censimento. Gesù nascecosì a Betlemme, in una stalla, probabilmentein un rifugio per animali ricavato da unagrotta. C’è una profonda obbedienza di Gesùalla strada che il Padre gli traccia, anche seappare in salita ed irta di ostacoli, una obbe-dienza che comincia fin dai primi momentidella sua presenza sulla terra, fin dalla nasci-ta. Fin dall’inizio l’esperienza è quella di co-lui che viene nel mondo per salvarci, ma ilmondo non lo accoglie (Gv 1,11).

Ma se il mondo materiale rifiuta di rende-re gloria al Re e al Signore dell’universo, ec-co che il mondo spirituale si mobilita: il cielosi apre e gli angeli scendono a lodare. Nelmomento più tragico della sua vita, quandosi sentirà abbandonato anche dai più fidati,Gesù ormai solo, nell’orto degli ulivi, verràconfortato da un angelo (Lc 22,42). Stranasimilitudine, che ci aiuta a guardare al Natale

con maggiore verità. Oggi Gesù nasce e si ri-conosce nei tuguri delle favelas delle enormiperiferie disperate dell’america latina. Il pre-sepe più veritiero è quello che somiglia allecase dove si ha freddo, dove c’è poco damangiare, dove si cerca di volersi bene con-dividendo il poco che c’è e cercando di nonpensare al tanto che manca.

Certo, il Natale è una festa di gioia: l’an-gelo dice ai pastori: “vi annuncio una grandegioia”, ma è una gioia nutrita di speranza. Èla gioia serena e seria di chi non finge di nonvedere la sofferenza presente, ma sa che conla venuta di Cristo nel mondo l’umanità hal’aiuto e la forza per costruire un futuro dibene. È la gioia di chi sta nel cuore dell’in-verno e nei giorni più bui dell’anno, ma sàche da oggi la luce può riprendere a crescere.

Messa dell’aurora

PRIMA LETTURADal libro del Profeta Isaia (62,11-12)

Il regno di Giuda stava correndo verso lasua rovina, nello stesso momento il profetaIsaia aveva il coraggio di annunciare la venu-ta trionfatrice del Signore. Un profeta anoni-mo, suo lontano successore, riprende e am-plia il suo messaggio di speranza, quando igiudei, ritornati dall’esilio, dubitano di unapromessa, la cui realizzazione sembra semprerimandata. Il Dio vittorioso è realmente incammino. La sua vittoria si manifesta attra-verso il rinnovamento di Israele. Egli ridaràla suo popolo il vero titolo della sua gloria:quello di essere scelto gratuitamente dal Si-gnore. La Chiesa , nuovo Israele, è la comu-nità nella quale si compie questo annuncio.

La parola di Dio celebrata

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SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo a Tito(3,4-7)

La salvezza che Gesù ha portato e cherinnova l’uomo è legata alla scoperta dellagratuità dell’amore di Dio, che proprio inGesù si è manifestato. Il credente, passandoattraverso le acque del battesimo viene real-mente rigenerato. Per la forza dello Spirito diDio che opera in lui questo cambiamento ra-dicale, l’uomo può ormai vivere nella spe-ranza: egli è stabilmente nel giusto rapportocon Dio, questo è il punto culminate delmessaggio di Paolo.

VANGELODal vangelo secondo Luca (2,15-20)

Le parole dell’angelo testimoniano un au-tentico, vangelo (buon annuncio) «Vi è natoun salvatore» e offrono allo stesso tempo unsegno «un bambino avvolto in fasce…».Questa rivelazione esige una risposta duplice:verificare il segno che Dio offre e accettare lavoce del suo vangelo. Chi sono questi pastoriai quali l’angelo del Signore rivolge il suomessaggio? Seguendo una tradizione antica,si possono identificare con i poveri della ter-ra, con quelli che vivono lontano dai paesi enon possono osservare i regolamenti dellalegge cerimoniale dei giudei. Pare che tuttequeste note siano autentiche. Tuttavia, nonpossiamo dimenticare che ci troviamo a Be-tlemme, città del re Davide, che fu pastore,chiamato da Dio mentre era fra le sue pecore;né possiamo dimenticare Abramo e i pa-triarchi che, essendo pastori, ascoltarono lachiamata di Dio e ricevettero la sua visita. Inaltri popoli dell’antico oriente si sono raccon-

tate storie più o meno simili. Per tutto questoi pastori del racconto non sono semplicemen-te i poveri e i lontani, ma anche quelli che so-no pronti ad ascoltare la voce di Dio e a fon-dare il suo nuovo popolo fra gli uomini.

Quale che sia il senso definitivo, è certoche i pastori accettano la parola dell’angelo,vanno a verificare il segno e trovano il bambi-no adagiato nella mangiatoia. Fin qui tutto pa-re più o meno logico. La cosa veramente stra-na è che il segno li convinca, che essi faccianoproprio il vangelo - credendo che è nato il Sal-vatore - e che lodino Dio per tutto questo.

Noi, come i pastori, ci muoviamo qui sulpiano del paradosso fondamentale del cristia-nesimo: vediamo, da un lato, un bambino av-volto in pannolini, indifeso, semplicementeun uomo; o vediamo, se si vuole, un pretesoprofeta del Signore che muore giustiziato.Tale fu il segno, quello di Betlemme o quellodel Calvario. Ebbene, questo segno povero econtraddittorio per la potenza della parola diDio che annunzia: “È nato per voi (eccoloqui) il Salvatore, il Messia della speranzad’Israele, il Signore di tutti” si illumina e di-venta chiaro agli occhi della fede.

Di fronte a questo paradosso, i pastori ri-sposero come credenti. In essi, che erano for-se i più piccoli della terra, cominciò a brilla-re come in Abramo la nuova luce della veritàdi Dio per gli uomini. Di fronte a questo pa-radosso, si chiede anche a noi il coraggiod’una risposta di fede.

Di fronte al racconto dei pastori, il testo diLuca ci offre due risposte. Da una parte stan-no i curiosi, che si meravigliano per la stra-nezza dell’accaduto. Dall’altro lato la figuradi Maria: che conserva tutte queste cose, lemedita nel suo intimo e riconosce la presenzadi Dio nel suo Figlio avvolto in pannolini,

La parola di Dio celebrata

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giacente in una mangiatoia. C’è posto ancheper noi in questo racconto: come i pastori eMaria? Oppure come semplici curiosi?

Messa del giorno

PRIMA LETTURADal libro del Profeta Isaia (52,7-10)

Durante l’esilio del popolo un profeta,continuando l’opera di Isaia, annuncia laprossima liberazione. È una parola meravi-gliosa che fa già vivere coloro che sono voltiverso il Dio che salva. Gli stessi piedi di chiporta una notizia così bella appaiono belli.Nel giorno di Natale tutto è luminoso.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (1,1-6)

Un predicatore parla con chiarezza teolo-gica ai cristiani che prevengono dall’ebrai-smo. Questi si domandavano se non avevanolasciato la luce, cioè l’alleanza antica, pereseguire un’ombra vana: il vangelo. Il nostroautore li rassicura, non si sono sbagliati: Ge-sù è il riflesso perfetto della luce divina. Nonsolo, ma è il Figlio di Dio che risplende dellaluce del Padre.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (1,1-18)

Mediante una lunga meditazione, conti-nuata tutta la sua vita assieme alla comunitàcristiana, l’Apostolo Giovanni si è sforzatodi penetrare il senso profondo delle cose dicui era stato testimone. In un sorprendentecompendio mostra come il Verbo di Dio, ri-

flesso della maestà divina, non abbia maicessato di riemergere nella creazione. Al ter-mine di una lunga germinazione, questo ri-flesso si manifesta totalmente in Gesù: La lu-ce brilla ormai in pienezza per coloro che sivolgono a lui, verso il quale si erano orientatii profeti del passato. Costoro sono iniziati aun rapporto filiale con Dio. La vita esplode.

SANTA FAMIGLIA30 dicembre 2005Il bambino cresceva, pieno di sapienza.

PRIMA LETTURADal libro della Genesi (15,1-6; 21,1-3)

Nessuna garanzia umana poteva alimen-tare la fede di Abramo. Egli era ormai vec-chio e la moglie anziana e sterile: quale so-gno di discendenza era possibile, a partiredalla constatazione di tale condizione irre-versibile? Non, un figlio, ma un servo saràl’erede! E tuttavia Abramo continua a crede-re che dentro l’impotenza umana può operarela potenza vivificante del Dio fedele, e cosìegli diviene non solo padre di Isacco, ma pa-dre nella fede per coloro i quali «non da san-gue, né da volere di carne, né da volere diuomo, ma da Dio sono stati generati». E laVergine per prima sarà la figlia di Sion cre-dente e feconda nella sua intatta verginità.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (11,8.11-12.17-19)

Ai destinatari della lettera agli Ebrei,l’autore scrive di non lasciarsi travolgere dal-lo scoraggiamento e dalla paura di fronte allepersecuzioni. Altri prima di loro hanno af-

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frontato prove e difficoltà anche maggiori,restando, saldi e perseveranti nella propriafede. Così Abramo, che dietro la voce divinaabbandona la sua terra e si mette in camminoal lume delle stelle. Così Sara, che vede lasua carne fiorire nella maternità, in un’età or-mai priva di speranza. Ed Abramo giunge fi-no a essere pronto a sacrificare obbediente iltanto atteso figlio Isacco, tanto è certo che ilDio della vita, può essere anche il Dio dellarisurrezione. Egli anticipa la fede dei disce-poli del Signore: che credendo nel Risortonon possono più temere una vittoria definiti-va di alcuna forza oscura, neppure della mor-te stessa, già vinta in Cristo.

VANGELODal vangelo secondo Luca (2,22-40)

Il vangelo dell’infanzia di Luca (c. 1-2)cominciava con la scena del vecchio Zacca-ria nel tempio. Dal tempio, luogo della pre-senza di Dio in mezzo ai suoi, è stata ascolta-ta la parola che guida la storia verso la suameta, cioè l’annunzio di Giovanni Battista.Verso il tempio, luogo di pienezza del popolod’Israele, è indirizzata tutta la storia dell’in-fanzia di Gesù, anche il nostro testo.

Sullo sfondo della scena della presenta-zione, troviamo la vecchia legge giudaica se-condo la quale ogni primogenito è sacro e,per conseguenza, deve essere consegnato aDio o essere sacrificato. E siccome il sacrifi-cio umano era proibito, la legge obbligava acompiere un cambio, così che, invece delbambino, era offerto un animale puro (agnel-lo o colomba). Pare probabile che mentre de-scrive la scena Luca stia pensando che Gesù,primogenito di Maria, è primogenito di Dio;e per questo, insieme con la sostituzione del

sacrificio (sono offerti due colombi), si mettein rilievo che Gesù è stato presentato «al Si-gnore», cioè offerto solennemente al Padre.Il senso di questa offerta si comprenderà soloalla luce della scena del Calvario, dove Gesùnon potrà più essere sostituito e morirà comel’autentico primogenito che si offre al Padreper la salvezza degli uomini. Insieme contutto questo, Luca ha citato, probabilmentesenza comprenderlo, un dato della vecchialegge giudaica: la purificazione della donnache aveva partorito (cf Lv 12). Per Israele ladonna che partoriva restava impura, e quindidoveva compiere un rito di purificazione,prima di reinserirsi nella vita esterna del suopopolo. Di questa mentalità della quale stra-namente sono rimaste vestigia nel nostro po-polo fino a tempi molto recenti, pare che Lu-ca non abbia avuto un’idea chiara. Per que-sto, nel testo originale, è scritto: «Quandovenne il tempo della loro purificazione», chesi riferisce anche a Giuseppe e a Gesù. Forsein questo modo Luca presenta la famiglia diNazaret come un’unità, che assieme incontrail Signore, insieme lo celebra e lo loda nelsuo tempio.

La tradizione liturgica, perdendo in partequesta bella notazione, ha corretto il testooriginale di Luca, parlando solo della purifi-cazione di Maria e uniformandosi così allavecchia legge giudaica.

Il centro del nostro passo è costituito dal-la rivelazione di Simeone. Gesù è stato offer-to al Padre; il Padre risponde inviando la for-za del suo Spirito al vecchio Simeone, il qua-le profetizza. Nelle sue parole si scopre chel’antico Israele della speranza può riposaretranquillo: la sua storia (rappresentata in Si-meone) non finisce invano: egli ha visto ilSalvatore e sa che la sua meta è ora il trionfo

La parola di Dio celebrata

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della vita. In quella vita troveranno un sensotutti coloro che sperano, perché Gesù non èsolo la gloria del popolo d’Israele, ma è ilprincipio di luce e di salvezza per le genti.

MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO1 Gennaio 2006I pastori trovarono Maria e Giuseppee il bambino.

PRIMA LETTURADal libro dei Numeri (6,22-27)

Questo nuovo anno inizia con tre paroleche riassumono il contenuto della fede cri-stiana ed il suo compito: benedizione, libertà,annuncio.

«Porranno il mio nome sui figli d’Israele,e io li benedirò» dice la prima lettura trattadal libro dei Numeri. Questa breve formulacontiene la benedizione che i sacerdotid’Israele facevano ricadere sul popolo al ter-mine delle cerimonie liturgiche, ed in un mo-do tutto speciale, nella festa del Nuovo Anno(o festa dei tabernacoli), la più importantedel calendario giudaico. Ma cos’è la benedi-zione? Che senso ha invocarla da Dio sulnuovo anno che comincia?

L’uomo biblico ha scoperto a sue spese dinon essere il padrone della felicità, al tempostesso sente, come ognuno di noi, di esserestato creato per la felicità. La benedizione èun modo, per l’uomo, di riconoscere l’origi-ne divina di ogni beneficio. La via della feli-cità passa necessariamente attraverso la co-munione con Dio e l’obbedienza alla sua vo-lontà. Questo è il senso delle espressioni co-me: « il volto di Dio » o « il nome di Dio ».La pace, cioè il benessere profondo, chiesto

nella benedizione, non riguarda solo le cosemateriali. Poco a poco, i credenti scoprirannoche la vera felicità nasce dalla presenza diDio nella nostra vita, qualunque siano le cir-costanze in cui viviamo.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati(4,4-7)

“Non sei più schiavo, ma figlio”. Dicesan Paolo ai Galati. L’alternativa normale sa-rebbe tra schiavitù e libertà, ma la libertàsenza obiettivi, la libertà senza valori, la li-bertà senza appartenenza dell’uomo, di ogniuomo, al grande disegno divino di salvezza,non è libertà vera per il cristiano.

L’uomo moderno crede alla libertà e vuo-le liberare effettivamente i suoi fratelli. Masolo Cristo è per sempre il primo uomo chefu veramente libero: libero nei riguardi dellanatura e della Legge, poiché ha messo l’unae l’altra a servizio del suo disegno di amore.Libero nei riguardi della morte e del peccato,che non hanno avuto nessun dominio su dilui. Libero infine nella stessa obbedienza alPadre, poiché questa non aveva nulla di ras-segnato né di passivo, ma era tanto filiale dacompiersi sotto il segno dell’invenzione edell’avventura spirituale.

Ogni cristiano ha il compito di rivelare almondo questa libertà filiale col proprio com-portamento, mostrando come questa libertàsoddisfi in modo insperato il desiderio piùprofondo di tutti gli attuali movimenti di li-berazione. L’Eucaristia dovrebbe essere aquesto riguardo un’assemblea di uomini libe-ri, attorno al Figlio-liberatore! Il cristiano èlibero, infatti, ma non ha ancora la maturitàvoluta per mettere perfettamente questa li-

La parola di Dio celebrata

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bertà a servizio dell’amore. Ecco perché egliricorre alla guida della comunità, che è ilCorpo di Cristo e più particolarmente all’Eu-caristia per impararvi come l’amore gli per-mette di esprimere nel migliore dei modi lasua libertà filiale.

VANGELODal vangelo secondo Luca (2,16-21)

“Tutti si stupirono delle cose che dicevanoi pastori”. Il vangelo di oggi propone dei mo-delli veramente strani di annunciatori. I primievangelizzatori, i primi portatori della buonanovella furono dei pastori. Uomini semplici edisprezzati dai più, gente incolta. Perché unascelta così contro corrente per un annunciocosì importante? Per ricordarci che nessunopuò sottrarsi per indegnità, per incapacità, persemplice paura, al dovere di annunciare la fe-de, ciò che ha veduto e vissuto nell’unionecon Dio. Un vangelo annunciato ai semplici eannunciato dai semplici, ecco il messaggioperennemente valido che conclude le bellissi-me letture di apertura del nuovo anno.

EPIFANIA DEL SIGNORE6 gennaio 2006Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (60,1-6)

I Giudei ritornarono dall’esilio nel 537a.C. Tuttavia molti rimasero nei paesi stranie-ri. Gerusalemme, dove ancora non era statoricostruito il tempio, era la capitale di un pic-colo angolo dell’impero persiano. Prolungan-do l’opera di Isaia un profeta anonimo man-

tiene viva la speranza. Un giorno la città diGerusalemme diventerà il centro dell’univer-so. Il popolo giudaico ricostruito trionferà.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli Efe-sini (3,2-6)

Verso la fine della sua vita, Paolo, allorain prigione, medita sul senso del disegno di-vino. Era necessario una lunga germinazio-ne, perchè l’uomo potesse accogliere il mi-stero di Dio in tutto il suo splendore. Questomistero si compie mediante la riconciliazio-ne di tutti gli uomini, al di là dei loro conflit-ti, di cui l’opposizione fra i giudei ed i popolipagani è il simbolo privilegiato. La luce bril-la la dove lo Spirito la diffonde.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (2,1-12)

L’episodio dei magi ha tutte le caratteri-stiche di un racconto redatto dall’evangelistasulla base di alcuni elementi storici. In tutti ipaesi in cui era coltivata la scienza astrologi-ca - e questo avveniva in tutto il territorio in-

La parola di Dio celebrata

I Re magi, Sant’Apollinare Nuovo,Ravenna, sec. VI.

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torno alla Palestina - vi era la ferma convin-zione secondo la quale ogni bambino nascenella congiuntura astrale e quindi ogni uomoha la sua stella. Anzi, l’apparizione d’unanuova stella o la congiuntura di due di essefacevano pensare inevitabilmente a un nuovoavvenimento che avrebbe determinato uncambiamento nella storia umana. In altre pa-role, la regolarità nel corso delle stelle garan-tiva la normalità nella vita del mondo. Quin-di un avvenimento importante doveva esseresegnalato in qualche modo nel corso dellestelle. Ora, siccome la nascita di Gesù eral’avvenimento più importante della storiaumana, doveva necessariamente essere an-nunziata dal mondo degli astri.

Una delle basi storiche per il nostro rac-conto - supposta la mentalità di cui abbiamoparlato - è la seguente: nell’anno 7 prima diCristo, secondo i calcoli astronomici, ebbeluogo la congiunzione di Giove con Saturnonella costellazione dei Pesci. Il pianeta Gio-ve era considerato universalmente nel mondoantico come l’astro del sovrano dell’univer-so. Per gli astrologi babilonesi Saturno eral’astro della Siria, e l’astrologia ellenistica lodesigna come astro dei giudei. In fine, la co-stellazione dei Pesci era in relazione con lafine dei tempi. È logico che, nella congiun-zione di Giove con Saturno, si pensasse allanascita in Giudea del sovrano della fine deitempi.

A Qumran è comparso anche l’oroscopodel Messia. Questo sta a indicare che anche igiudei mescolavano le credenze astrologichealle loro speranze messianiche e speculavanochiedendosi quale sarebbe stato l’astro sottoil quale sarebbe nato il Messia.

Ciò premesso, non vi è la minima possi-bilità d’identificare la stella dei magi con

qualsiasi altra stella dell’universo. Matteopoté ispirarsi a quanto abbiamo detto, ma ilracconto biblico intende parlarci d’una mani-festazione straordinaria che, per vie oscure,guida i magi a scoprire il re dei giudei e del-l’universo.

Il testo li presenta come magi. La parola èd’origine persiana e serve a designare la diri-genza religiosa. Nel greco corrente è usataper designare i maghi propriamente detti, gliesperti nelle arti della magia. Quale signifi-cato ha nel nostro testo? Naturalmente, nondice che i magi siano re: questo modo dipensare nacque più tardi per l’influenza dialtri passi biblici. Nel secolo V, fu stabilito illoro numero in base ai doni da essi offerti, e,infine, nel secolo VIII, essi ricevettero i no-mi di Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Néi magi erano quelli che oggi chiameremmo,«saggi». Avevano conoscenza di astrologia, eoggi li chiameremmo astrologi. In definitivai magi sono dei personaggi, illustri, i qualivengono a ratificare la dignità unica del pro-tagonista del vangelo, che Matteo ha già pre-sentato. Perciò questa scena è come il com-plemento della precedente. Anzi questi uomi-ni - che non erano giudei, ma pagani e quindiignoravano la rivelazione dell’AT - ri-conoscono il Messia e non si scandalizzanodella sua povertà. Al contrario i dottori dellalegge, specialisti nella Scrittura, non lo rico-noscono. Siamo di fronte a una tesi che saràgenerale in tutto il corso, del vangelo di Mat-teo: Gesù è rigettato dal popolo di Dio ed èaccettato dai gentili. D’altra parte l’episodiosta a indicare che, davanti a Dio, non vi è di-sparità di persone: cadono le barriere del par-ticolarismo giudaico e, si afferma l’universa-lismo della salvezza,che è offerta a tutti, sen-za distinzione.

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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BATTESIMO DEL SIGNORE8 gennaio 2006Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sonocompiaciuto.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (55,1-11)

L’esortazione, che conclude il volumettodel Deuteroisaia, invita il popolo ebreo inesilio a Babilonia ad aprire il cuore verso laliberazione; verso il nuovo esodo che locondurrà a partecipare dei beni di una al-leanza nuova ed eterna, paragonabile all’al-leanza con Davide, non condizionata dallafedeltà dell’uomo, ma fondata sulla fedeltàdi Dio. Sarà un’alleanza universale, nellaquale Israele diventa il testimone, per tutti ipopoli. Per disporsi a essa il popolo, è invi-tato ad abbandonare le proprie vie perversee a ritornare al Signore, nel quale troveràmisericordia e perdono al di là di ogniumana misura e ragione.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni (5,1-9)

Molto spesso la nostra religiosità. siesaurisce in un impegno cultuale, magarianche molto rigoroso e fedele ma nulla dipiù.

La vita poi è vissuta secondo i comunicriteri della sapienza mondana. Giovanni ciricorda che chi ama veramente Dio, amaanche i figli di Dio. L’amore di Dio non siriduce a riti complicati che indulgano all’e-stetismo o alla magia, ma si realizza attra-verso l’amore del prossimo. La fede dun-que impegna all’amore, e l’amore giudicala nostra fede.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,7-11)

Dopo aver udito la presenza del Battistacome voce, Marco ci presenta l’effetto delsuo annuncio, un raduno del popolo in atte-sa di Dio. La gente si accosta a lui e da luiviene immersa nel fiume. Con loro, quasinelle inquadrature di un film, Marco ci fagiungere fino a Giovanni, e levando losguardo su di lui ne scopriamo i tratti ester-ni, che suonano profetici: un abito da pelle-grino, un cibo di fortuna.

Tutto in lui indica la provvisorietà. Nonappare come il fondatore di un movimentoche vuol creare città o fondare monasteri, èun uomo che viene da un viaggio e si pre-senta come costantemente pronto a riparti-re. Un uomo lungo la strada e non un puntodi arrivo. Questa sensazione che deriva dal-la sua immagine, è confermata dalla suaparola, che invita a non fissare lo sguardosu di lui, ma su Colui che deve venire do-po. La sua vita e la sua missione sono lettein funzione di questo nuovo atteso. In lui ilBattista riconosce una forza maggiore, dicui lui non può disporre, una forza che for-se si accompagna e certo si radica in unadignità superiore.

Giovanni il profeta, l’uomo del provvi-sorio e delle strada, pur nella sua grandez-za, non è degno di nominarsi servo del mi-sterioso personaggio di cui si fa annuncia-tore. La maggiore forza e dignità si riassu-mono nella differenza sostanziale fra leazioni compiute dai due. Il battesimo cheGiovanni amministra è un rito con l’acqua:qualcosa di naturale, un segno che attraver-so questa creazione (l’acqua) ne indicaun’altra. Il rito che compirà l’Altro sarà in-

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vece una irruzione della nuova creazione,lo Spirito Santo con tutta la sua forza rin-novatrice, nella nostra creazione. I due bat-tesimi stanno l’uno all’altro come il simbo-lo alla realtà, la promessa al compimento.Con il suo gesto Gesù viene presentato dalBattista come il Signore dello Spirito, il pa-drone di questa forza divina di rinnova-mento. È lui che può indirizzarlo verso ilbattezzato, come faceva Giovanni con l’ac-qua, attuando così la sua trasformazione edil suo reale perdono. Non “per il perdono”,“in vista del perdono”, ma “di perdono”sarà il battesimo portato da Gesù.

L’arrivo di Gesù è dunque un arrivo at-teso, un evento annunciato che con la suaprecisione da cronista Marco indica: Gesùviene da Nazareth di Galilea, viene da unluogo diverso rispetto alle folle, viene dapiù lontano, ma è solo una lontananza geo-grafica? In apparenza sì, il gesto che com-pie è descritto come identico a quello deglialtri.

La sua dignità è nascosta, noi sappiamoche è Gesù, ma non lo sanno ne possonoavvedersene gli altri che stanno con lui lun-go la sponda del Giordano. La diversità delbattezzato, e del segno che si compie, sievidenzia soltanto nelle conseguenze. Ac-canto al battesimo di acqua, Gesù riceve inun certo senso anche il battesimo di Spirito,su di lui i due gesti si unificano, il segnotrova compimento nella realtà, la promessaviene attuata.

C’è però un distanza tra le due azioni, ènell’uscire dall’acqua che lo Spirito discen-de, il battesimo di acqua viene lasciato allespalle, come il Giordano.

Siamo sul crinale di passaggio tra il vec-chio ed il nuovo tempo, e nel nuovo tempo

il protagonista, colui che vede lo Spirito ecolui a cui si dirige personalmente la voceè Gesù.

Questa investitura, questa irruzione deldivino nel creato, questa frattura profondanei confini tra cielo e terra, è sancita dallavolontà divina. Dio riconosce il suo figlioin quell’uomo, in quella creatura fatta dicarne e sangue che cammina sulla terra co-me ogni uomo.

La potenza come signoria sullo Spirito,avere lo Spirito su di sé, essere in piena co-munione con Dio, si accompagna alla di-gnità dell’essere l’unico figlio, il predilettodel Padre.

Le parole del Padre offrono anche il mo-do corretto per leggere la figura del Figlionella tradizione profetica : il testo chiaveappare sicuramente Is 42, il Primo cantodel Servo sofferente di JHWH. È questoservo che il Padre ha mandato per una mis-sione di salvezza, che passerà attraverso lasofferenza, con uno stile di mitezza e mise-ricordia e nella forza dello Spirito che èstato “posto sopra di lui”.

Alla luce di questo testo la discesa delloSpirito non è un fatto momentaneo, ma unainvestitura, una presa di possesso. D’ora inpoi lo Spirito riposa stabilmente su Gesùche se ne fa portatore. Questa presenzadello Spirito si fa subito attiva e forte. Ge-sù non decide da solo. Se da solo si era re-cato al Giordano, ora è lo Spirito che lospinge nel deserto. C’è un passaggio forseimpercettibile ma reale, del centro decisio-nale nella vita di Gesù. La sua volontàumana si assoggetta in pienezza alla guidadello Spirito, che è lo spirito del Padre, etutto ciò non può attuarsi senza difficoltà etentazione.

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II DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO B15 gennaio 2006Videro dove abitava e si fermarono pressodi lui.

PRIMA LETTURADal primo libro di Samuèle (3,3-10.19)

Nel XI secolo a. C., Israele è un mosai-co di tribù che lottano per, la sopravviven-za. Samuele, l’ultimo e il più prestigiosodei «Giudici», l’araldo dell’alleanza conDio, riaccende nel popolo la coscienza del-la sua fondamentale unità. Orienta il giova-ne regno che egli aiuta a nascere. Per il giu-daismo successivo, Samuele rimarrà la fi-gura tipica del «chiamato» da Dio, che simette al servizio, del Signore per il benedel suo popolo. In questo brano è descrittala sua vocazione: allora era soltanto un fan-ciullo messo al servizio del santuario di Si-lo, al centro della Palestina attuale.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (6,13-16.17-20)

Nella città di Corinto, dove la licenzasessuale è presente anche nei culti paganil’invito alla purezza lanciato da Paolo, puòsembrare una sfida, che dovrebbe condan-nare all’insuccesso la nuova Chiesa. Nonera forse una svalutazione del corpo? Inrealtà, l’invito a dare al corpo il suo verosenso ne costituisce l’esaltazione. Il corpodeve esprimere, la presenza dello Spiritoche ristruttura l’essere umano. Diventa al-lora un’offerta a Dio. Le realtà carnali ac-quistano il loro autentico senso sacro.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (1,35-42)

Il vangelo di questa domenica è caratte-rizzato da una progressione in un significa-tivo gioco di sguardi. Tutto si apre con Ge-sù che passa in mezzo alla folla numerosache contorna il Battista. Chi potrebbe farcicaso? Ma Giovanni Battista non è un uomoqualunque, distratto dalla massa e dalle ap-parenze, è invece capace di “fissare losguardo su di lui” e di riconoscere il miste-ro di questa persona straordinaria: “eccol’Agnello di Dio”. Il primo messaggio checi giunge da questo vangelo è un invito al-l’attenzione. Il Signore passa, il Signorepuò passarci a fianco nelle situazioni edesperienze della vita, sta a noi imparare adaguzzare la vista, a fissare lo sguardo su dilui per riconoscerlo. Che non ci capiti, nelgiorno del giudizio, di sentirci dire: “hoavuto fame, ho avuto sete, ero nudo… e tu,non ti sei neppure accorto di me!”. Ma losguardo del Battista va oltre le apparenze,non solo riconosce Gesù, ma riconosce inlui l’inviato di Dio, l’agnello che prende sudi sé il peccato del mondo per farsene cari-co. Quando il Signore passa nella nostra vi-ta, non lo fa mai senza un chiaro progettodi salvezza, quando la luce viene nel mon-do, viene per illuminare. Sta a noi avere oc-chi capaci di riconoscere la salvezza chepassa, la promessa che ci viene offerta.Non solo il Battista si dimostra pronto aquesto appuntamento. I due discepoli dimo-strano un’altra caratteristica fondamentaledel vero credente: la capacità di ascolto. Inmezzo al vociare di tanti odono le paroledel Battista e danno loro ascolto. Cosa vuoldire ascoltare? Dice la tradizione dei Padri

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del deserto che: “ascolta veramente solochi si mette in cammino dietro la parolache ha udita”. E così fanno i due che si la-sciano trovare dallo sguardo di Gesù e con-fessano con candore il loro desiderio:“Maestro, dove abiti?”. Non è solo la curio-sità che li ha spinti a seguirlo, è il desideriodi iniziare a vivere con lui una intimitàdella quale non sanno ancora nulla, ma illoro cuore ha già compreso molto più chele loro menti. Solo molti secoli dopo Pascalparlerà di quelle “ragioni del cuore” che lamente a fatica, riesce solo dopo a ricono-scere.

I loro orecchi aperti all’ascolto hannoaperto i loro occhi alla contemplazione.Cosa videro di tanto particolare da convin-cerli? Il vangelo non lo dice. Sappiamo so-lo che quell’incontro fu indimenticabile,fissato nell’orologio delle loro storia perso-nale ed in quello della salvezza universale.L’incontro con Dio, quando è vero, è sem-pre unico.

È uno scambio di sguardi che resta inde-lebile: Giovanni fissa lo sguardo su Gesù elo indica come “Agnello di Dio”. Conl’aiuto del Battista, i due discepoli sonoaiutati loro stessi a fissare lo sguardo, a pe-netrare in profondità, a scandagliare per“penetrare nella perfetta conoscenza delmistero” (Col 2,2) di Cristo. Conosconocosì le qualità del Messia e sanno che deveinaugurare la liberazione definitiva inquanto ”Agnello” pasquale. Gesù infinefissa lo sguardo su Pietro, pronuncia il suonome, ma guarda ben oltre a ciò che tuttivedono. Oltre Simone il suo sguardo profe-tico già vede Pietro. Colui che credeva diguardare, di valutare, di comprendere, sitrova guardato, valutato e compreso molto

più di quanto potesse immaginare. È nor-male che accada quando incontriamo il Si-gnore: conoscerlo è conoscerci, in manieranuova ed inaspettata, ma sicuramente piùvera.

III DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO B 22 gennaio 2006Convertitevi e credete al vangelo.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Giona (3,1-5.10)

L’autore del libro di Giona attraverso unracconto simbolico voleva fra riscoprire aisuoi contemporanei giudei l’urgenza dellamissione universale, questi infatti si lascia-vano tentate da una visione della fede tuttaristretta entro i confini del loro popolo. Ilpopolo dei prescelti e dei privilegiati. Israe-le invece è stato eletto a favore di tutto ilmondo. Si perderà nel caos se nessuno glifarà comprendere la vocazione divina chelo fa vivere.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (7,29-31)

Sconvolti dalla Buona Novella del Re-gno i cristiani della prima generazione vi-vendo nell’attesa della disfatta del mondoperverso e del ritorno del Signore. Scriven-do ai Corinzi Paolo sembra prendere le di-stanze di fronte a questo movimento di en-tusiasmo impaziente. Insiste di più sul fattoche il Vangelo provoca un nuovo orienta-mento fondamentale dell’esistenza. Le atti-

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vità umane, senza venire svalutate, devonoessere messe in relazione alla sola vera ur-genza, l’apertura a un Regno che preme perirrompere nel mondo.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,14-20)

Il vangelo di questa domenica si apreannunciando la fine di un tempo e l’iniziodi un altro. La storia non è tutta eguale, conla venuta di Gesù sulla terra Dio ha iniziatoa compiere qualcosa destinato a cambiareradicalmente la storia umana: la salvezza. Èquesto compimento che Gesù annuncia acominciare dalla Galilea, la sua terra, maanche e soprattutto la terra degli ultimi edei reietti secondo la mentalità del tempo.L’annuncio di cui si fa portatore è carico disperanza, indica innanzi tutto il termine diun’era, quel tempo dell’attesa che avevacontraddistinto la vita di Israele per tuttol’Antico Testamento. La fine del tempo delvecchio patto con Dio, l’Alleanza del Sinai,e l’inizio della Nuova Alleanza, che ha nel-la venuta del Regno di Dio il suo compi-mento.

C’è dunque una svolta qualitativa neltempo, da ora in poi la promessa non guar-da più verso un futuro indefinito, ma versouna concretizzazione che appare prossima.Con Gesù e lo Spirito sono ormai presentigli attori fondamentali della venuta del Re-gno. Ciò che manca alla sua piena attuazio-ne è soltanto la disposizione umana di ac-coglierlo, quella conversione che Gesù do-manda.

La richiesta di conversione che il Batti-sta presentava alle folle era volta a una do-manda di perdono: bisognava passare dalla

mentalità di chi si sente giusto a quella dichi si sente bisognoso di perdono. Gesùporta avanti la richiesta di conversione, do-mandando il passaggio da una mentalità dasfiduciati, da senza speranza, a una menta-lità di chi crede che il Regno di Dio sia aportata di mano. Dopo la conversione all’u-miltà e al pentimento richiesta dal Battista,Gesù domanda una conversione alla spe-ranza che Dio salva chi si affida a lui, unasperanza che diventa, nella fede, una cer-tezza. Con queste parole, la proposta cheGesù fa agli uomini è già chiarita nel suonucleo, ciò che segue è storia, cioè la storiadel ripetersi di questo vangelo (buon an-nuncio) nella vita di uomini concreti e lastoria della loro concreta risposta a questaproposta di Dio.

L’incontro con i primi discepoli ha i se-gni della estrema naturalezza : lungo il ma-re l’incontro con dei pescatori è così nor-male da apparire banale, come banale è ilgesto che compiono, gettare le reti. Nullaindica se la pesca era più o meno fortunata,nulla colora il quadretto, Gesù vede duegiovani che agiscono da pescatori per ilsemplice fatto che “sono pescatori”.

La sua proposta, il suo annuncio evan-gelico, parte da questa loro realtà e si pro-pone come una possibilità di continuare al-trove la stessa azione di pescare, ma in mo-do in apparenza assurdo: diventare pescato-ri di uomini. La proposta evangelica è per ipescatori di Galilea un annuncio di novità:l’incontro e la sequela di Gesù si concretiz-zerà in un nuovo stile di vita.

Il vangelo si presenta dunque come lapossibilità di vivere la vita in modo nuovo,perché innanzi tutto la si vede in modonuovo. Pescare non vuol dire solo pescare

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pesci, si possono anche “pescare” gli uomi-ni. È l’immagine di inizio di una pesca, lereti che stavano gettando sono abbandonatein attesa del momento di ritirarle per la pe-sca finale. L’immediatezza con cui lo se-guono testimonia quella speranza pronta equella fiducia piena, in una parola quellafede, che è condizione indispensabile peraccogliere il Vangelo.

Giacomo e Giovanni hanno già pescato,si stanno preparando per il giorno seguenteaccanto al padre e ai garzoni. La sicurezzadel pane e degli affetti sembrano sottoli-neare una situazione invidiabile. La chia-mata di Gesù li raggiunge da terra, ed essilasciano la barca e tutte le certezze che vi sitrovano sopra. Accanto alla fede, per segui-re la chiamata di Cristo è necessario anchela disponibilità a essere liberati dai legamie dalle certezze umane.

Alla proposta di Gesù il duplice “sì” deichiamati, si concretizza in sequela, in unmettersi dietro di lui. Nel contesto di Mar-co lo Spirito guida il Cristo e questi guida isuoi seguaci.

IV DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO B 29 gennaio 2006Insegnava loro come uno che ha autorità.

PRIMA LETTURADal libro del Deuteronòmio (18,15-20)

All’epoca del potere monarchico, alcuniscrittori di Israele, gli autori del Deuterono-mio, offrono la loro meditazione sull’Eso-do, redatta nella forma di un testamento diMosè. Vedono nel grande legislatore l’uo-

mo che dà inizio a una catena di profeti,che trasmettono al popolo eletto la paroladivina. Tuttavia il profeta perfetto, da tutticostantemente sperato, manifesterà con pie-nezza una rivelazione inaccessibile a coloroche rifiutano di essere messi radicalmentein discussione dalla morte. Egli disporràdella stessa autorità di Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (7,32-35)

Nel suo ardore per la diffusione del Van-gelo, Paolo si augura che i suoi stessi lettorivi si consacrino, accettando un celibato che lirenderà disponibili al disegno divino. Si ren-de tuttavia conto che si tratta di una vocazio-ne straordinaria, di natura profetica, chestrappa l’uomo alle contingenze normali.Possano i cristiani, in ogni caso, orientare laloro vita realmente verso il Signore.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,21-28)

Dalla riva del mare descritta nel vangelodi domenica scorsa, si passa ora alla città,il vicino centro di Cafarnao. Gesù iniziaqui di sabato, il giorno centrale della setti-mana, il giorno della preghiera e della fede,il suo insegnamento.

Non si tratta di un insegnamento che as-sume i modi ed i toni della rottura, Gesù in-fatti entra nel luogo tradizionale dell’inse-gnamento: la sinagoga. Però pur se l’invo-lucro appare vecchio, quello abitudinariodella spiegazione delle letture festive, comequalsiasi altro Rabbi, tuttavia la novità diGesù deborda e “spacca gli otri”.

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Non si può mettere vino nuovo in otrivecchi senza procurare effetti rilevanti, diràGesù. (Mc 2,22). Rispetto all’insegnamentodegli scribi che si limitava a una dotta seriedi citazioni di autorità passate, alla ripeti-zione di un messaggio che sapeva di vec-chio e di impersonale, la parola di Gesù ri-suona come una chiara novità. Gesù si con-fronta col testo biblico senza nascondersidietro la poco compromettente citazione diautorità altrui.

Gesù insegna con la sua autorità di mae-stro, di portatore dello Spirito, di Signoredella Parola.

Gesù interroga e si lascia interrogaredalla Parola di Dio, si lascia comprometteretanto che la coerenza tra vita e parola glicosterà la vita.

Quanta differenza con la nostra letturabiblica spesso distratta ed impersonale. Ge-sù insegna con una autorità inaspettata per-ché non è un predicatore di professione. Èuna autorità che deriva da una dignità checirconda questo falegname di Nazareth, unadignità che non passa inosservata, che met-te come una luce abbagliante in maggior ri-salto le zone d’ombra.

La zona d’ombra più cupa è certamenteil grido dell’indemoniato. Questo giovaneposseduto dal Demonio, sta nella sinagoga,mimetizzato nella mediocrità della folla,solo quando la dignità del “santo di Dio”ridà forza alla Parola della Bibbia, che ri-torna viva, che riprende a illuminare la vitadegli uomini, il suo tentativo di mimetismova in rovina.

Chissà per quanto tempo l’indemoniatosi era trovato a suo agio in quella sinagoganella quale la Parola divina risuonava vuo-ta, abitudinaria, povera di fede sia in chi la

pronunciava che in chi la ascoltava! Laconfessione-blasfema dell’indemoniato: “ioso, che tu sei il Santo di Dio!”, mette a fuo-co la realtà di Gesù e diviene una involon-taria risposta allo stupore della folla. Lesue parole spiegano il motivo di quella au-torità: il giovane ed i suoi concittadini sitrovano di fronte a una persona che gode diun legame tanto forte con Dio, che tuttol’Antico Testamento poteva solo lontana-mente desiderarlo: “Siate santi perché Io, ilSignore vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2).

Se il demonio si illudeva di avere un po-tere su Gesù, perché conosceva il segretodelle sua persona Divino-umana, la reazio-ne di Gesù lo smentisce. Anche sugli spiritimalvagi si estende la sua autorità. Il com-mento della gente, un commento stupito,ma positivo e sereno nel tono, è per l’evan-gelista una pausa, un invito alla riflessione.Mette sulla loro bocca le parole piene dimeraviglia dello stesso lettore e lo confer-ma nella sua ricerca.

Lo sguardo che il grido demoniaco ci hafatto gettare sul mistero di Gesù, non deveessere una risposta finale all’interrogativodi fondo.

La domanda: Chi è Gesù? si riproponein novità, al di là delle semplici e vagheformule che non bastano a scavare laprofondità del mistero.

Non basta infatti dire “sei il Santo diDio”, per risolvere il problema dell’identitàdi Gesù; bisogna che il senso profondo diognuna di queste parole venga pienamentepercepita e solo un incontro concreto e ve-ro, solo una lunga sequela, una assidua fre-quentazione dell’uomo Gesù, delle sue pa-role e delle sue azioni, possono assicurarcila risposta.

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ANIMAZIONE LITURGICA

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«In quei giorni Mariasi mise in viaggio verso la montagnae raggiunse in fretta una città di Giuda.Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». (Lc 1,40)

Ci siamo ritrovati a pregare ed è giunta anche lei, Maria. Ha saputo che c’era bi-sogno di lei e si è messa in cammino. Sentiamo, almeno spiritual-mente, la sua presenza, guardiamo con gli stessi occhi di Elisabettail suo arrivo, ascoltiamo il suo saluto:

«Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi,il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo». (Lc 1,41).

Ecco il primo invito che ci viene rivolto: siamo chiamati a trasalire, astupirci di quella Parola che, attraverso l’umanità di Maria, è arriva-ta nella casa di Elisabetta come ora, nel segno di questo Divino Sa-cramento, è qui, davanti a noi.Saper stare davanti a Dio nell’atteggiamento non del «capo chino»ma del cuore aperto, con le braccia spalancate che stanno acco-gliendo qualcuno, per abbracciarlo.Saper stare davanti a Dio con lo stupore della novità che non si eraprevista, rispetto alle cose ormai scontate.

Tutto quello che ci viene donato e viene da noi accolto è sempre fonte di gran-de gioia. Elisabetta diventa il modello di colui che si accorge dellapresenza di Dio in quello che ha davanti. E noi sappiamo accorgercidella presenza «nascosta» di Dio in questa Eucaristia?Forse, a Elisabetta, non fu dato altro che un semplice saluto, e leiseppe vedere, seppe capire, seppe accogliere. E tutto questo perchéMaria andò a farle visita.L’adorazione diventa così la risposta a quella chiamata di Dio che ciinvita ad entrare nella sua avventura.

Maria è vicina ad Elisabetta portando nel suo cuore tutto quell’inesprimibileche solo Dio è e di cui solo l’uomo sa.Maria ci spiega il significato della parola «adorare», che vuol dire ac-cogliere nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio. Nel cuore e nella vita.Maria è la prima adoratrice del Figlio: lo accoglie nel suo cuore,cioè fa largo nei suoi pensieri ai pensieri di Dio, senza sentirsi me-nomata nella sua personalità.

Preghiamo

CON MARIA IN ADORAZIONE DI GESÙ1

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ANIMAZIONE LITURGICA

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Adorare è accogliere nel cuore la volontà di Dio, offrendo volentieri il terrenodella nostra vita alla germinazione del seme della Parola.Come Maria, siamo chiamati a cedere con gioia il posto più inviola-bile della nostra intimità senza ridurre gli spazi della nostra libertà.Maria ci insegna anche che adorare è accogliere nella vita Dio, acco-glierlo nel nostro corpo.Adorare è cogliere il senso di un altro Essere in noi, come la madreavverte nel suo grembo la presenza del figlio.

Maria ci insegna, come madre, a fare nostri i ritmi di quell’Ospite accolto. Tutto,ora, è in funzione di Colui che è in noi. Forse mai come quando sia-mo in adorazione, ci compromettiamo non solo davanti aDio, ma anche davanti agli uomini, che possono esigere danoi quel Dio che noi affermiamo «nostro».

«Il Verbo di Dio si è fatto carneed è venuto ad abitare in mezzo a noi». (Gv 1,14)

Maria, nell’annunciazione, si rende conto che Dio la rende strumentoper gli uomini, affinché questi possano ritornare con il cuo-re sincero; accogliere Dio significa infatti entrare nello stile di non ri-fiutare mai nessuno. Per questo, in Maria, ogni uomo trova accoglienza e tutti i senti-menti trovano risposta: dalle lacrime di Pietro alle braccia amorosedi Giovanni, che la chiama nuovamente «mamma».

Come Maria siamo chiamati a sperimentare, e a provare nel cuore, la vita stessadi Dio. Come lei vede Dio rivestito di carne per amore, lo vede impo-tente, lo deve sostenere, e lo adora suo Signore, lo vede piccolo e loadora nella sua infinita grandezza abbassata, lo vede povero e loadora infinitamente ricco, lo contempla nella umiliazione e lo rico-nosce divino, lo vede rivestito di carne mortale e lo riconosce Signoree Dio, lo vede nato e lo riconosce l’Incarnato dei secoli eterni, gene-rato nello splendore della santità nel seno del Padre, così è per noi.

Maria ci insegna come si può tradurre nel nostro quotidiano l’esperienza di Dio.Il racconto della sua vocazione è espresso nel mistero dell’annuncia-zione. È la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, che diventacosì anche la risposta dell’uomo a Dio.È in questa occasione che Maria riceve un nome nuovo. È un nomedi grazia, è una dichiarazione d’amore venuta dall’alto: amata daDio. Dio ha scelto quell’amata per fare di Sé un uomo.

Preghiamo

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Adorare è prendere coscienza di questa vocazione e di questo nome nuovo conil quale il Signore ci vuol chiamare.Adorare è accogliere la Gloria di Dio che non risplende più misterio-samente nell’Arca dell’Alleanza, ma si incarna nell’umiltà dell’uo-mo, come fu per Maria.La presenza di Dio non è più splendore luminoso, come al tempo diMosè, ma diviene nascita corporale: incarnazione. Colui che nasceràda Maria è chiamato «Santo».Il Figlio di Dio diverrà il Figlio di Maria. Come Dio si è rivolto alla li-bertà di Maria e lei, acconsentendovi, acconsente alla vita e alla sal-vezza, risponde liberamente all’amore e con l’amore può essere ri-conoscente, così è per noi.

Chiediamo allo Spirito Santo che ci dia gli occhi di Maria, nel momen-to in cui a Betlemme, per la prima volta, ha visto il volto di Dio.Chiedo allo Spirito gli occhi di Maria per adorare questa Eucaristia evorrei anch’io poter dire: questo Dio è mio figlio, questa carne divi-na è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi, e quella formadella sua bocca è la forma della mia.Mi rassomiglia. È Dio che mi rassomiglia.

Sono stati i tuoi occhi, o Maria, i primi a posarsi sul corpo nudo di Dio: lo hai av-volto con il tuo sguardo prima ancora di avvolgerlo in fasce.Mi piace pensare che con questi occhi posso avvolgere pienamenteDio. Quanti occhi si sono rivolti a Dio, quanti occhi si sono fermatisu di te, Maria: occhi stanchi, occhi delusi, occhi bagnati di lacrime,occhi spenti dal peccato, occhi che non sanno più vedere.Maria, tu che sei la donna del primo sguardo, purifica gli occhi delnostro cuore perché possiamo vedere il tuo Gesù davanti a noi.Donaci la grazia dello stupore, che abbiamo perso nel corso della vita.Togli, o Maria, dai nostri occhi quella pesantezza che li fa chiudere eli rende assenti alla realtà delle cose.Donaci, o Maria, occhi incontaminati perché possiamo vedere la bel-lezza di Dio. Donaci, Maria, i tuoi occhi!

Amen.

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1 Da L. OROPALLO, Davanti al Signore. Tracce per l’adorazione eucaristica, Roma 200, pp.103-107.

Preghiamo

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D ell’opera di Sedulio, poeta lati-no cristiano vissuto nella pri-ma metà del V secolo, ci sono

rimasti un elegante Carmen Paschalein esametri, dedicato al mistero dellaPasqua, e due inni in onore di Cristo,relativi al mistero dell’Incarnazione.Alcune strofe di questi ultimi due te-sti sono state accolte nella liturgia ro-mana, e utilizzate per le lodi deltempo di Natale e per i vespri dell’E-pifania. Sono gli inni A solis ortus car-dine e Hostis Herodes impie, compo-sti rispettivamente in distici giambicie in quartine, ma cantati sulla stessamelodia gregoriana, nobile e dolce,nel III modo. La traduzione – lo sap-piamo bene – è tanto più difficilequanto maggiore è il valore poeticodel testo originale; sebbene Sedulionon raggiunga i vertici lirici di un

Prudenzio, la qualità della sua produ-zione poetica rimane sempre eccel-lente e la traduzione altamente im-pegnativa. Invitiamo perciò a con-frontare questa nostra tra-duzione, molto letterale,con quella più libera e poe-ticamente rielaborata che sitrova nel breviario in linguaitaliana (eccellente per l’in-no dell’Epifania, meno riu-scita – a mio giudizio – per ilprimo). L’obiettivo che siprefiggono queste poche pagine ri-mane però quello di aiutare a gusta-re tutta l’affascinante ricchezza deltesto latino, che, una volta superatala difficoltà della lingua, può meravi-gliosamente accompagnare la pre-ghiera, anche grazie alla memorizza-zione, favorita dal metro poetico.

A solis ortus cardineadusque terrae limitemChristum canamus principem,natum Maria Virgine.

Beatus auctor saeculiservile corpus induit,ut carne carnem liberansnon perderet quos condidit.

Clausae parentis visceracaelestis intrat gratia;venter puellae baiulatsecreta quae non noverat.

Dalla regione del sorger del solefino al confine della terracantiamo a Cristo Signorenato dalla Vergine Maria.

Il beato creatore del mondoriveste un corpo di servo,per salvare coloro che aveva creato,liberando la carne con la sua carne.

Nel seno sigillato della madreentra la grazia celeste;il grembo della fanciulla portaun mistero a lei stessa sconosciuto.

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Innodialiturgica

L’innodia del Natalee dell’Epifania di don Filippo Morlacchi

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La dimora del suo cuore purod'un tratto diventa il tempio di Dio,e, sempre vergine, senza conoscere uomo,alla parola (dell'angelo) concepisce il Figlio.

Ha partorito la madrecolui che Gabriele aveva predetto,colui che Giovanni aveva presentitochiuso nel grembo della madre.

Sopportò di giacere sulla paglia,non rifiutò la mangiatoia,si nutrì di un poco di latte,lui, grazie al quale i viventi si nutrono.

Gode il coro dei cielie gli angeli cantano Dio,si fa manifesto ai pastoriil Pastore e creatore di tutto.

O Gesù a te sia gloriache sei nato dalla Verginecon il Padre e il Santo Spiritonei secoli dei secoli.Amen.

Innodialiturgica

Domus pudici pectoristemplum repente fit Dei;intacta nesciens virumverbo concepit Filium.

Enixa est puerperaquem Gabriel praedixerat,quem matris alvo gestiensclausus Ioannes senserat.

Feno iacere pertulit,praesepe non abhorruit,parvoque lacte pastus estper quem nec ales esurit.

Gaudet chorus caelestiumet angeli canunt Deum,palamque fit pastoribuspastor, creator omnium.

Iesu, tibi sit gloriaqui natus est de Virgine,cum Patre et almo Spiritu,in sempiterna saecula. Amen.

Il mistero del Natale si presta forseancor più di quello della Pasqua allacomposizione poetica: si basa infattisul paradosso, di cui volentieri lapoesia fa uso per costruire metaforee immagini suggestive. Ecco allorache il creatore si fa creatura, l’Onni-potente si veste di debolezza, l’Altis-simo scende in terra, il Re dei re si faservo di tutti, e così via. Una parteconsistente di questi due inni si sno-da dunque sul registro di tali contra-sti paradossali, che si susseguono coninsistenza voluta ma sempre equili-brata, senza mai scadere in eccessibarocchi. Il primo inno si apre con

l’invito a cantare il Cristo Signore daun confine all’altro della terra. Il car-do ortus solis è la «regione dove sor-ge il sole», cioè l’Oriente, il luogo dadove sorge «il sole di giustizia» (Mal3,20; cfr Lc 1,78) atteso dall’umanità.Il limes terrae è il confine oppostodella terra, dunque l’Occidente; etutta la terra è dunque chiamata araccolta per lodare la nascita di Gesù.Tuttavia il riferimento all’Oriente eall’Occidente può indicare anche ladimensione temporale, oltre chequella spaziale: dall’alba al tramon-to, la lode di Cristo non deve cessare.In altre parole: «è veramente cosa

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buona e giusta rendere grazie sem-pre e in ogni luogo…» al Signore.

La strofa seguente espone il moti-vo di questo appello alla lode inces-sante: il creatore del mondo e deltempo (auctor saeculi) ha assunto la«condizione di servo» (cfr Fil 2,7); ilPadre «lo ha mandato in una carnesimile a quella del peccato» (cfr Rm8,3; anche Eb 2,14ss) per salvare l’u-manità. Tutta la storia della salvezzaè descritta in poche, misurate paro-le: Dio non vuole la perdizione dellasua creatura, vuole salvare l’uomotramite la stessa carne (cioè la fragi-lità e debolezza umana) che fu fontedella caduta.

Caro salutis cardo (“la carne è ilcardine della salvezza”), diceva Ter-tulliano; e Sedulio gli fa eco, sobria-mente, in questi versi. Così come gliinni pasquali evidenziano che, se dallegno (dell’albero nell’Eden) vennela caduta, dal legno (della croce) do-veva venire la salvezza, altrettantogli inni del Natale mettono in rilievoche la carne del Figlio di Dio era l’u-nico mezzo opportuno per salvarel’uomo, caduto nel peccato a causadella fragilità della sua carne. «Qua-le prova migliore della sua bontàpoteva dare [il Signore] se non assu-mendo la mia carne? Proprio la mia,non la carne che Adamo ebbe primadella colpa. Nulla mostra maggior-mente la sua misericordia che l’averegli assunto la nostra stessa miseria»(San Bernardo, Discorso 1 per l’epi-fania).

La terza, quarta e quinta strofa sirivolgono al mistero della divina ma-ternità di Maria. Espressioni delicatee teneramente allusive fanno intuire

l’evento dell’Annunciazione, lodan-do la sua santa verginità e la sua di-vina maternità. Con profonda sa-pienza teologica l’inno mette in luceche prima ancora del corpo di Maria,fu il suo cuore puro (domus pudicipectoris) a divenire tempio e dimoraaccogliente per il Figlio di Dio. Vienepoi cantato il mistero del Natale: laVergine dà alla luce il Figlio, predet-to dall’angelo Gabriele e salutatocon una danza di esultanzada Giovanni Battista quan-do ancora era nascosto nelgrembo di Elisabetta suamadre (cfr Lc 1,44). La stro-fa seguente descrive la sce-na del presepe, con i trattiparadossali che già abbia-mo rilevato: il Figlio dell’Al-tissimo si è abbassato a giacere, co-me l’ultimo dei servi, nella paglia diuna mangiatoia (questo significa laparola praesepe); fu allattato da unadonna colui che dà il cibo ad ogni vi-vente e nutre gli uccelli del cielo(nec ales esurit; cfr Sal 135,25; Mt6,26; Lc 12,24).

Infine la scena della grotta santasi allarga al canto degli angeli cheannunciano ai pastori una grandegioia: e di nuovo il paradosso si af-faccia con la figura del Pastore (il«buon pastore» di Gv 10,11, o il «pa-store grande delle pecore» di Eb13,20) che si rivela, nella gloria degliangeli, in primo luogo proprio agliumili pastori dei monti di Giuda. Ladossologia conclusiva inserisce laclausola opportuna (qui natus es deVirgine), che invita a focalizzare an-cora la contemplazione sul misterodel Natale.

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L’inno dell’Epifania si apre con la fi-gura dell’empio re di Giudea, Erode ilGrande, evocato un po’ all’improvviso(ma non si dimentichi che l’inno liturgi-co è una selezione delle strofe origina-rie) e forse proprio per questo, in mo-do da suscitare nel lettore il giusto sde-gno e orrore. Erode viene apostrofatoduramente per la sua immotivata pau-ra, che lo porterà a perpetrare la stra-ge degli innocenti. Egli non ha motivodi temere il «Re dei Giudei che è nato»(Mt 2,2): infatti il suo regno «non è diquesto mondo» (Gv 18,36). Perciò il re-gno umano di Erode non è insidiatodal bambino che è nato, che vuole re-gnare solo sui cuori degli uomini. Le

tre strofe seguenti riassumono, unadopo l’altra, i tre misteri che insieme1

vengono ricordati dalla liturgia dell’e-pifania: l’adorazione dei magi, il batte-simo del Signore al Giordano, il mira-colo delle nozze di Cana. L’Epifania(cioè manifestazione) è la solennitàche ricorda la rivelazione della gloriadel Signore: tale mistero si realizza, inmodi diversi, nei tre eventi della storiadella salvezza ora ricordati. In primoluogo, ovviamente, la ricerca del Si-gnore da parte dei magi guidati dallastella. I magi, che partono dal lontanoOriente, rappresentano l’umanità inte-ra, il mondo dei non appartenenti alpopolo eletto: tutti sono chiamati a co-

Hostis Herodes impie,Christum venire quid times?Non eripit mortaliaqui regna dat caelestia.

Ibant magi, qua venerantstellam sequentes praeviam,lumen requirunt lumine,Deum fatentur munere.

Lavacra puri gurgitiscaelestis Agnus attigit;peccata quae non detulitnos abluendo sustulit.

Novum genus potentiae:acquae rubescunt hydriae,vinumque iussa funderemutavit unda originem.

Iesu, tibi sit gloria,qui te revelas gentibus,cum Patre et almo Spirituin sempiterna saecula. Amen.

Erode, empio avversario,perché temi Cristo che viene?Non ruba i regni umanichi dà il regno dei cieli.

Andavano i Magi seguendo la stella che li precedeva per via,alla sua luce cercan la Luce,confessano con i doni Dio.

L'Agnello celeste s'immergenell'acqua della limpida corrente:egli che non aveva peccatilavò i nostri portandoli su di sé.

Un nuovo genere di prodigio:le acque delle anfore si arrossano,al comando di versare vinoil liquido cambiò la natura.

A te, Gesù, sia gloriache ti riveli ai popoli,al Padre e al Santo Spiritonei secoli dei secoli. Amen.

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noscere il mistero della salvezza. Perquesto la tradizione ha voluto attribui-re ai magi non solo i tre nomi di Ga-spare, Baldassarre e Melchiorre, ma an-che le tre età della vita (un giovane, unuomo maturo, un anziano) e tre razzediverse (un occidentale, un orientale,un moro): in loro tutta l’umanità è rap-presentata. Essi arrivano a Cristo graziealla tenue luce della stella, simbolo del-la rivelazione, o forse della luce inte-riore che guida l’uomo nel buio dellafede («… senz’altra guida o luce / fuordi quella che nel cuore mi riluce», co-me canta san Giovanni della Croce nel-la Noche oscura). La flebile luce dellastella, eco della fioca luce che illuminail cammino di fede, diventa strumentosufficiente per raggiungere la sfolgo-rante luce divina (lumen requirunt lu-mine). Ecco allora la consegna dei do-ni, che diventa professione di fede(Deum fatentur munere): fede nel Redel cielo è l’oro, nel figlio di Dio l’in-censo, nel figlio dell’uomo la mirra. L’a-dorazione dei magi costituisce perciòla prima solenne manifestazione dellagloria di Dio.

Il secondo episodio epifanico ricor-dato è quello del Battesimo, quando ilPadre stesso si rese presente e indicònel suo Figlio colui che tutti attende-vano: «Questi è il Figlio mio prediletto;ascoltatelo!» (Mc 9,7). Di nuovo i para-dossi della fede sono messi in luce dal-la penna del poeta: l’acqua pura delGiordano non vale a purificare colui

che non ha peccati da deporvi; al con-trario, egli prende su di sé i peccati ditutta l’umanità, che un semplice lava-cro simbolico non basta a cancellare.

La terza epifania è infine quella del-le nozze di Cana, il «principio dei se-gni» (come suonerebbe una traduzio-ne più puntuale di Gv 2,11) in cui Gesù«manifestò la sua gloria» (ivi). L’acquaversata nelle sei pesanti giare di pietrasi trasforma in vino rosso, cambiandola sua natura; allo stesso mo-do, tutta l’esperienza umanaè chiamata a trasformarsi nelvino nuovo (Mc 2,22) dellafesta, quando Cristo, verosposo della nuova umanità, sirende presente sulla scena.La rivelazione della gloria delFiglio non è allora espressio-ne di superbia, ma manifestazione fe-stosa dell’amore che vuol far conosce-re il destino di salvezza a tutti gli uo-mini. Questa è la gioia intima e solen-ne che caratterizza il tempo del Nata-le. L’inno si chiude con la dossologiaconsueta, impreziosita stavolta dallaformula che richiama il mistero dell’e-pifania (qui te revelas gentibus). E così,dopo il tempo dell’epifania, il cristianoè pronto a riprendere il cammino ordi-nario della fede, nuovamente in cercadel volto del Signore nelle pieghe del-la storia: «Di te ha detto il mio cuore:“Cercate il suo volto”; il tuo volto, Si-gnore, io cerco: non nascondermi iltuo volto» (Sal 26,7-8).

————————1 Cfr anche l’antifona al Magnificat nel ai secondi vespri dell’Epifania: «Tre prodigi cele-

briamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi nel deserto, oggi l’ac-qua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordanoper la nostra salvezza, alleluia».

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S iamo giunti al finale, al terminedel nostro cammino. Questo è l’ul-timo articolo che mi vedrà impe-

gnato con i lettori di “Culmine e fon-te”. Non siete stati interlocutori virtuali:nelle mie puntatine da Lecce a Roma(ormai sempre più rare, dopo il termine

degli studi e degli anni delmio caro Seminario Romano),tra una visita al Seminario ealla Redazione della rivista,mi è capitato di incontrarequalcuno che, dopo aver capi-to di avere di fronte l’estenso-re degli articoli musicali, sicomplimentava e mi confida-

va di attendere sempre con un certopiacere il numero successivo e la rubricaPregar cantando soprattutto per lasemplicità con la quale era scritta.

E invero, per chi mi conosce, houna certa allergia per tutto ciò che fi-nisce in …ese: oltre al politichese, e alteologichese anche la musica corre ilrischio, da un po’ di anni, oramai, didiventare musichese; linguaggioastruso, che rifugge dalla semplicità,tra le primissime caratteristiche dellabellezza e della verità.

La mia intenzione in questi cinqueanni è stata quella di unire la compe-tenza in questo particolarissimo sacrosettenario (le sette note musicali) conuna visione unitaria e armonica delmistero in cui le stesse sette note vivo-no. Se l’intera esistenza viene dal mi-stero, dal nulla del prima dell’esplosio-ne, se il vertice dell’intera creazione,l’uomo, è mistero a se stesso, anche il

sacro settenario partecipa di questamisteriosa infinità. Da qui deriva l’im-possibilità ontologica di racchiudere,costringere, violentare la musica in co-struzioni razionali che celano la con-vinzione che la musica stessa possa es-sere contenuta e risolta completamen-te nel numero, nel puro empirico.

Pia illusione. È il mistero che crea ilnumero, è l’inconoscibile che producepondus et mensura, e il percorso inver-so non può risolversi se non in un ordi-ne, in un numero, in un’armonia quali(strutturalmente), via al mistero, all’in-conoscibile, alla bellezza tanto trascen-dente quanto immanente a noi (il supe-rior summo meo e interior intimo meodi sant’Agostino).

Finale…allegro, ma non troppo di don Daniele Albanese

Un Angelo,Basilica Santa Caterina d’Alessandria,

Galatina, sec. XIV.

Pregarcantando

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La nostalgia è accompagnata però dauna profonda contentezza. Mi succedeun carissimo amico, un compagno diviaggio del Seminario, un innamoratodella musica vera, della musica del mi-stero e non di quella piatta e mortificatache non grida al cielo…; senza dire poiche in quanto a competenza il Nostro èun musicologo di lodata esperienza e in-negabile acume. Il balzo in avanti, comevoi stessi costaterete, è pienamente assi-curato. Se il sottoscritto (per ricorrere aun’immagine musicale) nei suoi articoliha composto qualche ritornello dei sal-mi domenicali (come faceva tra alternefortune in seminario), e si è spinto tal-volta fino all’azzardo all’elaborazione diun semplice canto, con gli articoli di donMaurizio Modugno avrete l’impressionedi una sinfonia che di volta in volta vi in-trodurrà con fortezza e poesia insiemenelle interminabili gallerie della dolcez-

za divina. Assaporerete non soltanto l’i-dea di fondo, ma sarete deliziati da queifioretti musicali che lo scrivente non hapotuto darvi in questi anni: talvolta losentirete tuonare con i timpani e i tam-buri della critica sugli scempi di oggi; al-tre volte le sue parole saranno violiniche sapranno accompagnarvi nelle al-tezze del cielo, altre ancora racconterà,semplicemente, e il suo narrare assomi-glierà alle evoluzioni e all’intrecciogioioso, cheto e sereno deifiati. Talvolta celebrerà con lasolennità degli ottoni.

Il tutto sempre in un am-biente, come dicevo, sinfoni-co, dove la varietà e la diver-sità sono solo la multiformelode all’unico Creatore.

E dunque: sursum corda,l’universo è il canto esaltante di Dio, maquel giorno in cui cantando diede vitaalle cose create, in realtà fu solo lo scal-darsi della voce per un crescendo diproporzioni incredibili. Al sesto giornoil suo canto si fece lirismo puro e il suo“do di petto” inventò l’uomo. Da quelgiorno il Paradiso festeggia senza posail suo artista con un applauso che anco-ra continua e, nonostante che l’uomonon abbia ricambiato sempre con lastessa purezza di suono il suo amante, ilParadiso e tutta la creazione, il cielo e laterra insieme, continuano ad applaudi-re la meraviglia della sua opera. I montisaltellano come arieti, le colline comeagnelli di un gregge; i fiumi battono lemani, il Giordano torna indietro, perriassaporare, ancora una volta, sempreprima ed ultima, l’ineffabile amore diDio, l’inenarrabile melodia di un amoresenza confini, di una passione divina edi una bellezza che, sole, ci salveranno.

Pregarcantando

Un Angelo,Basilica Santa Caterina d’Alessandria,

Galatina, sec. XIV.

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Q uesta estate, con la mia fami-glia, ho avuto l’opportunità diammirare tante opere d’arte

sacra conservate come tesori preziosinelle caratteristiche e pittoresche

chiesette dolomitiche che,con i loro slanciati campani-li, rendono ancora più ri-denti boschi e vallate.Ognuna di queste espressio-ni artistiche testimonia lagrandezza.

Per questo tempo natali-zio desidero sottoporre alla

vostra attenzione un polittico ligneopolicromo, lavorato in rilievo, situatosu uno degli altari della navata de-stra del duomo gotico di San Nicolò aMerano, costituito da una tavola cen-trale, da due pannelli laterali e pog-

giato sull’altare tramite una predella,il polittico, realizzato dallo scultoreDominikus Trenkwalder nel 1892 , èdedicato a san Giuseppe di Nazareth,”padre putativo” di Gesù e sposo diMaria. Mi ha colpito l’intensità spiri-tuale con la quale l’artista è riuscito amettere in luce la grandezza di que-sto uomo, definito “giusto” dallaScrittura per aver orientato la sua vi-ta nell’orizzonte della fede, riponen-do pienamente la propria fiducia nelSignore.

Nel riquadro principale Giuseppe èraffigurato seduto in trono (a cuifanno corona quattro angeli adoran-ti) mentre contempla il piccolo Gesùbenedicente, da lui sorretto in piedicon la mano destra. Con la tenerez-za di un padre sembra volerci offrireGesù come perla preziosa, unica roc-cia di difesa e baluardo. Il santo in-dossa vesti regali dorate: anche secarpentiere, discende dalla stirpe diDavide, come si legge nella genealo-gia di Matteo, che inserisce così Cri-sto nella discendenza del grande re.

Giuseppe è di richiamo per noi aessere, come lui, “giusto”, attenden-do con umile disponibilità d’animo ilSignore che viene nella nostra storia,accogliendo la sua Parola come lucesicura per il cammino. Anche il gestoche compie con il braccio sinistro,quasi ad accogliere ogni fedele che alui si rivolge in preghiera, sottinten-de un invito a fidarci pienamente di

Epifania dellabellezza

Giuseppe di Nazareth,umile servo del Signore di Roberta Boesso

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Gesù in spirito di obbedienza e di ab-bandono, come lui stesso ha fatto di-venendo autentico custode della ver-gine Maria e del suo figlio.

Sui due pannelli laterali sono inve-ce raffigurati quattro episodi inerentila vita del santo. In alto a sinistra “Losposalizio con la vergine Maria”: al-l’interno del tempio (interessante ilparticolare delle tavole della Leggeaffisse alla parete), dinanzi agli altripretendenti, ad alcune fanciulle e alsommo sacerdote benedicente, i duesposi stanno per darsi la mano destrain segno di unione e di alleanza. Co-me si riscontra nel Protovangelo diGiacomo (gli scritti apocrifi, data laconcisione di notizie sulla vita di Giu-seppe nei Vangeli canonici, hanno ar-ricchito la biografia di elementi leg-gendari), la verga portata da Giusep-pe è fiorita e su di essa appare unacolomba, segno divino di essere statoprescelto a ricevere, tra tutti i preten-denti, la vergine del Signore in suacustodia.

Segue l’episodio della “Fuga inEgitto”: avvertito in sogno da un an-gelo che Erode aveva ordinato l’ucci-sione dei bambini di Betlemme, Giu-seppe fugge con la sua famiglia inEgitto, dove resterà fino alla mortedel re. La costruzione dell’immaginecon gli elementi verticali degli alberilateralmente e il fondo oro contri-buisce a focalizzare immediatamenteil gruppo della Santa Famiglia, inparticolare l’intima rispon-denza di sguardi che legafra loro i personaggi in unaprofonda relazione. In par-ticolare, sul volto di Giusep-pe si legge un’amorevolecompassione nei confrontidella sposa e del bambinoe, nel contempo, la forza ela determinazione di chi si è assuntoil compito di custodire e portare acompimento il disegno divino. Egli

Epifania dellabellezza

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indossa l’abito del pellegrino, delviandante, con il bastone munito incima di un pomo; l’asinello sottoli-nea ancor di più quella dignitosa po-vertà e umiltà d’animo che hannosempre animato lo spirito di questafamiglia.

Al “Ritrovamento di Gesù nel tem-pio” segue la raffigurazione dellaSanta Famiglia di Nazareth intenta allavoro quotidiano di filare per Maria

e di falegnameria per Giu-seppe e Gesù. Anche nellasemplicità dei piccoli gestidi tutti i giorni traspare lagrandezza di una famigliaesemplare in cui il padre, fi-gura di riferimento per lacultura del tempo, si ponetotalmente e liberamente a

servizio del piano di Dio. Concludo con due considerazioni

su “La morte di Giuseppe” raffigura-ta con notevole intensità espressivasulla predella.. Le tre figure sono col-locate all’interno di una struttura im-maginaria piramidale, il cui asse por-tante è il Cristo che sostiene amore-volmente con la mano sinistra il capodi Giuseppe morente, mentre con ladestra lo benedice. Quest’ultimo èl’uomo “giusto” che muore tra lebraccia del suo Signore, sotto losguardo tenero e dolce della sposache, inginocchiata in preghiera, affi-da alla volontà divina questo mo-mento di dolore con la compostezzaserena di una donna che, ancora unavolta, trae forza dalla luce e dallagrazia della fede.

Gesù è il Signore, il fine ultimo e ilsignificato profondo della nostra vi-ta. Possa san Giuseppe, nel mistero

della notte del Natale, strappare allamisericordia del Signore la grandegrazia per ognuno di noi di un cuoreveramente docile ai piani di Dio, perritrovare così il vero senso dell’attesa,della novità, del coraggio e dello stu-pore. Solo in questa ottica potremocontemplare il divino che irrompenella semplicità di tutti i giorni.

Epifania dellabellezza

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I l fenomeno della mobilità umana èsempre stato una sfida in ogni epo-ca: oggi come nel passato assistia-

mo a migrazioni di massa forzate, dipersone spinte da povertà, da violazio-ne dei diritti umani, da violazioni dellapropria dignità.

Le parole di Gesù per noi cristianisono una provocazione continua: “Eroforestiero e mi avete ospitato… Quan-do ti abbiamo ospitato nella nostra ca-sa? In verità vi dico: tutte le volte cheavete fatto ciò ad uno dei miei fratellipiù piccoli l’avete fatto a me” (cf Mt25). Queste stesse parole devono avererisuonato nell’animo di Francesca Ca-brini molte volte, sono diventate carne

in lei, sono divenute forza nell’annun-ciare e nell’edificare il Regno di Dioproprio lì dove la povertà di tanti fra-telli la sollecitava a operare.

Ma chi era questa donna semplice edeterminata? Nacque a Sant’AngeloLodigiano, vicino Milano, il 15 lugliodel 1850, ultima di dodici fi-gli; a soli 11 anni, facendovoto di verginità, aveva deci-so la sua vita: voleva esseremissionaria in Cina, ma era disalute cagionevole e moltiistituti religiosi non avevanoaccolto la sua richiesta.

Divenne maestra e inse-gnò per qualche tempo a Castel Vidar-do, in lei però continuava a crescere lavocazione missionaria, contrastata daalcuni parroci che contavano sul suoaiuto per le attività parrocchiali. Dopovarie difficoltà fondò nel 1880 a Codo-gno una piccola Congregazione, leSuore missionarie del sacro Cuore, confinalità missionarie, un’iniziativa a queltempo strana per un istituto femmini-le, che dice però forza e volontà nelperseguire i progetti di Dio. Nel 1886Francesca si recò a Roma e il 25 set-tembre dello stesso anno nella Chiesadel Gesù, sull’altare di san FrancescoSaverio, fece voto di andare in missio-ne in Oriente; l’incontro e l’amiciziacon il Vescovo Scalabrini, che le descris-se la situazione miseranda degli emi-grati in America, le fece cambiare idea,sollecitata anche da Papa Leone XIIIche in un’udienza le disse: “Non aOriente ma a Occidente!” Francesca si

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Santa Francesca Saverio Cabrini di suor Clara Caforio, ef

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tutti portò una briciola d’Italia. Dopo ilprimo orfanotrofio aperto a New York,attraversa gli States con ogni mezzo,dal New Jersey a Los Angeles, da Chi-cago a New Orleans, Denver, Seattleper aprirvi altri orfanotrofi, asili, colle-gi, scuole, laboratori per gli italiani eper i loro figli. In un trafiletto del NewYork Sun, in data 30 giugno 1889, silegge: “In queste settimane, alcunedonne vestite come suore di carità,vanno ripercorrendo i quartieri italianidel Bend e della Little Italy, arrampi-candosi per irte scalinate, scendendo insporchi scantinati e in certi antri in cuinemmeno i poliziotti si avventurano”.In quasi trent’anni la nostra missiona-ria compì 28 traversate dell’Oceanoche divide i due continenti. E tutte levolte troverà solo miseria ad aspettar-la, soltanto povera gente abbrutita dalduro lavoro, dallo sfruttamento e dacondizioni di vita disumane. Ma conl’energia e il coraggio che solo la forzadello Spirito Santo può donare ellanon si arrese, non si dette per vinta,sembrava avesse le ali ai piedi; percor-se chilometri scendendo in Nicaragua,in Honduras, tra gli Indiani Mosquitos,raggiunse l’Argentina attraverso le An-de a dorso di un mulo e poi ancora inBrasile e altri paesi allora irraggiungi-bili. Ovunque lasciò opere per le qualitrovò spesso finanziamenti, prestitibancari, anche se, nonostante gli aiuti,il problema principale restava quellodel denaro. Si legge che le suore “sidiedero a percorrere la città in lungo ein largo per cercare aiuti, rifiutandoper principio ogni discriminazione. Inun ambiente dove regnava la divisione(…), dove i cattolici irlandesi considera-vano gli italiani come neopagani e do-

decise a partire; aveva 39 anni, era ma-lata di polmoni e i medici le avevanopronosticato due anni di vita.

Tra il 1901 e il 1913 emigrarono inAmerica 4.711.000 italiani, di cui3.874.000 dal Sud d’Italia; un veromorbo sociale, un salasso, un esodo dimiseria infinita in cerca di fortuna. Ma-dre Cabrini partì dunque nel 1889 consette suore, attraversando l’Atlanticoinsieme a 900 emigranti che occupava-

no la terza classe della nave.Possiamo ben immaginare inquali condizioni erano co-stretti a viaggiare uomini,donne e bambini; nel passatocome oggi le situazioni di po-vertà non cambiano. Barchestracariche di miseria e di vo-glia di vivere, processioni di

volti spauriti. Sono cambiati i tempi male povertà rimangono le stesse.

Francesca Cabrini raggiunse gli StatiUniti lo stesso anno per assistere gliimmigrati italiani; in America gli italia-ni erano considerati “schiavi bianchi”.Le cronache raccontano che giungeva-no a centinaia di migliaia all’anno, insi-diati già alla partenza e all’arrivo daloschi procacciatori che ne sfruttavanol’ignoranza e il bisogno, privi di prote-zione, disponibili a tutto. Vivevanosenza scuole, senza ospedali, senzachiese, rintanati nelle loro “piccole ita-lie”, quartieri che proliferavano aimargini delle grandi città. Madre Ca-brini dinanzi a tanta miseria scrisse:“Poveri italiani senza Dio, senza Patria,senza pane”. Spinta dalla compassioneli avvicinò nei porti, nei ghetti, nei mi-seri tuguri delle “piccole italie”, neiposti più malfamati e pericolosi, doveneppure la polizia osava entrare. A

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ve i nativi organizzavano la protezioneetnica, quelle suore si mossero con ladignità e la cordialità dell’amore. Emossero bottegai di ogni razza e reli-gione, uomini d’affari, ebbero la pro-tezione dei padroni dei mercati, l’aiutodi sconosciuti, che in tram mettevanoin mano qualche dollaro e i nazionali-sti irlandesi esigettero che i poliziottifermassero il traffico, quando passava-no le suore con le loro masserizie, per-ché rappresentavano il Papa”.

Due episodi esprimono lo stile diMadre Cabrini nell’affrontare i proble-mi dello sviluppo delle sue opere. Perquanto riguarda la ricerca di denaro“se un benefattore si decideva a fir-marle l’annuale assegno di trecentodollari, Francesca era capace di fermar-gli la mano sull’ultimo zero, con unsorriso e poi, come era abituata a farecon in bambini , gli guidava la mano fi-no a tracciarne ancora uno. Non biso-gnava forse insegnare la carità come aleggere e a scrivere?” E ancora si rac-conta che: “A New Orleans, nel 1892,la Madre incontra un ricchissimo av-venturiero siciliano che aveva fatto for-tuna con navi, fabbriche di birra, com-pagnie di assicurazione, imprese edili-zie ed era inoltre proprietario di vastis-sime terre. Da una relazione del tempoci viene riportato una significativaquanto simpatica conversazione: “- Lasua visita mi onora, Madre Cabrini, dilei si parla ormai in tutta l’America. Inche cosa posso esserle utile? - In niente.Vorrei essere io utile a lei. Io non ho bi-sogno di nulla, desidero solo che mi la-scino fare in pace i miei affari…- Io in-vece non mi interesso di affari. Ma miinteressa la sua felicità. Mi hanno dettoche lei è sposato da molti anni, però

non avete figli. È triste. Peccato, contutte queste belle cose, neanche un fi-glio a cui lasciarle… Si è mai chiesto,lei, il motivo di tanti doni piovuti dalcielo? Sono certa che il Signore ha for-mulato un bel progetto sul suo conto.Non sa quanta gioia possono dare ibambini!. A questo punto l’uomo rive-la d’aver pensato qualche volta a un’a-dozione, ma di averci sempre rinuncia-to per timore di trovarsi in contrastocon la moglie e conclude: milasci pensare, se mia moglie èd’accordo allora la chiamo elei ci porta il bambino – Ilbambino? Chi ha parlato diun bambino solo? Perché unosolo? – E quanti me ne vor-rebbe dare Madre? -Cosa nedirebbe di sessantacinquetanto per cominciare? L’uomo d’affarifinì per finanziare un intero orfanotro-fio”. È solo una fra le tante testimo-nianze d’intraprendenza di questa no-stra piccola grande donna che sembraanticipare le qualità di un manager. Inquesto caso però è un’autentica esper-ta dello Spirito, una donna lungimiran-te ed emancipata che seppe vederecon gli occhi dell’amore e agire di con-seguenza, affrontando anche rischi epericoli. Nella vita dei santi la caritànon conosce misure, è creativa e si dila-ta abbracciando la vita in ogni suoaspetto. Un altro problema cui France-sca dovette far fronte era quello sani-tario. Gli emigrati erano consideratimateriale umano, nessuno si preoccu-pava di quelli che si ammalavano o su-bivano incidenti sul lavoro. Per le diffi-coltà della lingua essi non si facevanomai curare negli ospedali, preferendomorire nelle loro misere case. Il proget-

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to di un ospedale era fallito spesso, pervari motivi: ci pensò anche questa voltaMadre Cabrini, che con audacia il 17ottobre del 1892 fondò a New York ilprimo dei suoi famosi Columbus Hospi-tal per gli Italiani. Nei primi trent’annidi vita l’ospedale si prese cura di circacentocinquantamila ammalati. Le paro-le di Gesù ritornano a diventare con-cretezza in lei: “Ero malato e siete ve-nuti a visitarmi”. E non solo ella assiste

i carcerati italiani di SingSing, a Chicago; visita inoltrepersino i minatori nelleprofondità delle miniere diDenver e di loro diceva: “Nonsarà difficile parlare ai mina-tori del Paradiso, dato che al-l’Inferno ci sono già!”.

Francesca Cabrini fu in-stancabile viaggiatrice del Signore,varcò l’Oceano numerose volte, quellostesso Oceano che chiamò “la stradadell’orto della sua casa a Sant’Ange-lo”. La sua opera si diffuse successiva-mente in altri 7 paesi con ottanta isti-tuti. Nel 1909 le venne data la cittadi-nanza americana; l’anno prima si ten-ne in Italia un importante Congressodelle donne italiane, tenutosi a Romail 29 Aprile, che ha segnato un mo-mento importante per la storia dellacondizione femminile italiana.

Madre Cabrini venne invitata ma,non avendo potuto partecipare per isuoi impegni missionari, inviò una let-tera ricca di osservazioni e analisi dellecondizioni sociali degli emigrati, in par-ticolare quelle delle donne. Riportarnequalche stralcio mi sembra interessanteperché fa emergere situazioni e de-nunce sociali a cui univa un’intensa spi-ritualità missionaria. Così scrisse alle

donne Congressiste: “La prima cono-scenza che io ho avuta delle nostredonne emigranti è stata a bordo di unpiroscafo che mi portava in America,quanto per ordine di Leone XIII mi re-cavo negli Stati Uniti a prendermi curadei poveri italiani ivi emigrati. Quellamente eletta aveva antiveduto lo svi-luppo che avrebbe preso l’emigrazionein quei paesi, e sin dal 1888 aveva desi-derato che io mi vi recassi in loro aiuto.In ventisei viaggi di mare sono statacompagna delle nostre buone emi-granti, e nessuna o ben poche ho in-contrato che traversassero l’ampio ma-re attratte da sogni dorati di prospe-rità; le ho trovate sempre, nella pro-porzione del 25 al 30% sul numero de-gli uomini, fedeli compagne degli ope-rai emigranti, figlie che dividevano lasorte dei genitori, madri che emigrava-no a tutela dei figli lontani… Ho avutopoi molte occasioni di vedere le madriemigrate già da anni stabilite in Ameri-ca e, debbo dirlo ad onore del nostropaese, e di loro stesse, ne ho sempretratto favorevole impressione… Le no-stre donne emigrate compiono prodigid’attività! Quante volte le ho viste nel-le immense pianure della Luisiana divi-dere coi loro mariti le fatiche della col-tura del cotone e dello zucchero. Colti-vano il terreno in California e in Colo-rado, lavorano nelle fabbriche e nellebotteghe… Alla donna italiana emi-grata in America non manca il lavoro.Invitata ad adoperarmi in favore degliemigrati e rispondendo a questo invi-to, ho stabilito per essi orfanotrofi,scuole e ospedali nei principali centri diemigrazioni. Ho calcolato che saranno50.000 le persone beneficate annual-mente da queste istituzioni e, questa

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cifra sarebbe ben piccola se non vi fos-se congiunta la parte più bella, più no-bile, più santa, più umanitaria dellamissione che io ho tanto a cuore fra gliemigrati, quella che compiono le suorenostre nei vari paesi. Buoni sono gli or-fanotrofi, eccellenti le scuole, migliorigli ospedali, ma non a tutti si può por-gere l’obolo della carità, né tutti nehanno bisogno. Vi è però una carità dicui tutti i nostri emigrati hanno biso-gno, carità che si deve esercitare senzatutti e nessuna distinzione, specialmen-te con la donna. Se il cammino della vi-ta è per pochi cosparso di rose, esso èben più seminato di spine per il pove-ro, e l’emigrato in massima parte è po-vero. Se per ogni povero è difficile lavita, doppiamente lo è per l’emigratoin paese straniero. Che cosa ci vuoleper loro? Che cosa ci vuole per quellemigliaia di operai che col sudore dellafronte guadagnano il pane quotidiano,che nelle imprese edilizie, nelle minie-re, nei colossali lavori ferroviari metto-no a repentaglio la loro vita e, spessomartiri oscuri e ignorati del lavoro, tro-vano la fine della loro laboriosa carrie-ra lontano dalla famiglia, privi di ogniconforto, negli oscuri antri di una mi-niera? Per tutti questi fratelli e conna-zionali ci vuole la parola amica delconforto, l’incoraggiamento, l’aiutomateriale quando sia necessario e so-prattutto il tener desto in loro quel

sentimento religioso che è il più grandono che ha fatto loro la Patria nostra:quella fede profonda che, radicata ne-gli animi loro, è il legame più forte cheli tiene uniti al paese natio”. Sono pen-sieri che esprimono non solo tantoamore di carità ma soprattutto com-passione, ovvero quella capacità di pa-tire con chi è nel dolore, nella tristezza,nel pianto e nell’abbandono. Sonoespressioni di un’attualità incredibileche scuotono le nostre co-scienze a volte tiepide.

Francesca Cabrini morì il22 dicembre del 1917. Nel1938 fu proclamata beata,nel 1946 Santa, nel 1950 Pa-trona degli emigranti. E con-cludendo questo breve arti-colo non si può non racco-mandare a lei le sorti di tanti emigratiche ovunque e soprattutto nella nostraEuropa arrivano in massa; sono fratellie sorelle di altre culture e religione,uomini di ogni razza e nazionalitàmolte volte discriminati, maltrattati, fi-gli di nessuno che scomodano le nostreesistenze agli incroci, lungo le scalinatedelle chiese, nei centri e nelle periferietutti hanno chissà quale storia. Ci aiutila nostra Santa a non puntare il dito,ad essere solidali perché Ero forestiero,malato, prigioniero, nudo, affamato…ma quando ti abbiamo visto così Si-gnore? E la storia ripete i suoi cicli.

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Bibliografia:

1. Francesca Saverio Cabrini, Tra un’onda e l’altra. Relazioni di un viaggio, Centro Cabrinia-no, Roma 1980.

2. Giuseppe De Luca, Madre Cabrini, La santa degli emigrati. Ed. Storia e Letteratura. Roma2000.

3. Lucetta Scaraffia, Francesca Cabrini, Tra la terra e il cielo, Paoline 20044. www. vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrantes/pom2004

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C risto, come primo “liturgo”, non ces-sa di agire nella Chiesa e nel mondoin forza del Mistero pasquale conti-

nuamente celebrato, e associa a sé la Chie-sa, a lode del Padre, nell’unità dello SpiritoSanto.

Siamo tutti sempre invitati a metterci inascolto della voce dello Spirito Santo cheha suscitato il movimento liturgico, ispiratoi Padri conciliari e accompagna l’attuazionedella riforma liturgica continuando ad agi-re nella Chiesa attraverso la parola e i segnisacramentali.

“La liturgia ha bisogno che noi le diamolo spazio più bello e il tempo migliore, di-stacco da noi stessi e momenti di silenzio,perché le parole e i gesti diventino vocedello Spirito che ci parla di Dio, che ci riem-pie il cuore di bellezza sempre nuova e checi introduce all’interno della vita” (Bene-detto XVI, 24. 4. 2005).

Nella Sacrosanctum Concilium (4 dicem-bre1963), primizia di quella “grande graziadi cui la Chiesa ha beneficiato nel secoloXX, il Concilio Vaticano II”, lo Spirito Santoha parlato alla Chiesa, non cessando di gui-dare i discepoli del Signore “alla verità tut-ta intera” (Gv 16,13) (Giovanni Paolo II, 6.1. 2001; 4. 12. 1988).

La liturgia viene collocata dai Padri con-ciliari nell’orizzonte della storia della sal-vezza, il cui fine è la redenzione umana ela perfetta glorificazione di Dio. La reden-zione ha il suo preludio nelle mirabili gestadivine dell’Antico Testamento ed è stataportata a compimento da Cristo Signore,specialmente per mezzo del Mistero pa-squale della sua beata passione, risurrezio-ne dalla morte e gloriosa ascensione. Essatuttavia ha bisogno di essere non solo an-nunciata ma attuata, ed è ciò che avviene“per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti,sui quali s’impernia tutta la vita liturgica(SC, 6). Cristo si rende in modo speciale pre-sente nelle azioni liturgiche, associando asé la Chiesa. Ogni celebrazione è, pertanto,opera di Cristo Sacerdote e del suo Corpomistico, “culto pubblico integrale” (SC, 7),nel quale si partecipa, pregustandola, alla

Liturgia della Gerusalemme celeste (SC, 8).Per questo la “Liturgia è il culmine versocui tende l’azione della Chiesa e, insieme,la fonte da cui promana tutta la sua virtù”(SC, 10).

Nell’ottica della Sacrosanctum Conci-lium, la vita liturgica della Chiesa assumeun respiro cosmico e universale, segnandoin modo profondo il tempo e lo spazio del-l’uomo. La liturgia da una parte supponel’annuncio del Vangelo, dall’altra esige latestimonianza cristiana nella storia.

Nella Lettera apostolica Novo millennioineunte, Giovanni Paolo II ha sollecitato amettere in atto il principio: “c’è bisogno diun cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera”. A prima vi-sta la liturgia appare messa fuori da unasocietà ampiamente secolarizzata. Nono-stante ciò, proprio nel nostro tempo rie-merge, in tante forme, un rinnovato biso-gno di spiritualità. Dinanzi a quest’anelitoall’incontro con Dio, la Liturgia offre la ri-sposta più profonda ed efficace.

La pastorale liturgica attraversol’introduzione alle varie celebrazionideve instillare il gusto della preghiera.

Per incrementare la vita liturgica all’in-terno delle nostre comunità con un’ade-guata formazione di tutti i fedeli, la Diocesidi Roma, subito dopo il Concilio Vaticano II,ha dato avvio a Corsi specifici che culmina-no nel ciclo triennale del Corso di Liturgiaper la Pastorale presso il Pontificio IstitutoLiturgico. Dei quarantaquattro alunni chehanno frequentato il terzo anno del Corso,trentuno hanno conseguito l’attestato di“Operatore di Liturgia per la Pastorale”. Laloro formazione, intonata a una piena fe-deltà ai nuovi ‘ordines’ li renderà preziosinella missione che andranno a svolgere nel-le rispettive comunità parrocchiali e anchenelle Diocesi di provenienza, stimolando lecomunità stesse a una continua formazioneper il rinnovamento della esistenza cristia-na, perché “ciò che si ascolta nell’azione li-turgica si attui poi nella vita”.

La Chiesa nella liturgia trova la più altaespressione della sua realtà misterica di Pina Garritano