anno 8 maggio 199830 anno 8 maggio 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la...

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30 anno 8 maggio 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli MADRUGADA Apri le porte e guardati intorno. Dal tuo giardino in fiore cogli i ricordi fragranti dei fiori svaniti. Nella gioia del tuo cuore possa tu sentire la gioia che cantò in un mattino di primavera, mandando la sua voce lieta attraverso un centinaio d’anni.

Transcript of anno 8 maggio 199830 anno 8 maggio 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la...

  • 30a n n o 8

    m a g g i o 1 9 9 8

    r i v i s t a t r i m e s t r a l e d e l l ' a s s o c i a z i o n e p e r l ' i n c o n t r o e l a c o m u n i c a z i o n e t r a i p o p o l i

    MADRUGADA

    A p r i l e p o r t e e g u a r d a t i i n t o r n o .

    D a l t u o g i a r d i n o i n f i o r e c o g l i

    i r i c o r d i f r a g r a n t i d e i f i o r i s v a n i t i .

    N e l l a g i o i a d e l t u o c u o r e

    p o s s a t u s e n t i r e

    l a g i o i a c h e c a n t ò

    i n u n m a t t i n o d i p r i m a v e r a ,

    m a n d a n d o l a s u a v o c e l i e t a

    a t t r a v e r s o u n c e n t i n a i o d ’ a n n i .

  • S O M M A R I O

    3 c o n t r o l u c e

    Tra le vetrate della cattedralela redazione

    4 angolo d i l e t tura

    Dalla scienza alla compassionedi Enzo Demarchi

    7 l ’ i n t e r v i s t a

    Tenerezza e resistenzadi Fulvia Callegaro

    10 a m e r i c a l a t i n a

    Una verità non ancora ristabilitadi Ettore Masina

    12 d e n t r o i l g u s c i o

    Globalizzazionedi Benito Boschetto

    15 c o n t r o c o r r e n t e

    Babele, la cultura dell’immaginedi Giuseppe Stoppiglia

    19 a l l a f i e r a d e l l ’ e s t

    La fine del modello sovieticodi Diego Baldo Sonda

    21 a l g e r i a

    Il difficile passaggio al pluralismodi Barbara Fabiani

    24 d i a r i o m i n i m o

    Se Tex Willer vincesse alle elezionidi Francesco Monini

    27 n o t i z i e

    Macondo e dintornidi Gaetano Farinelli

    31 r e d a z i o n a l e

    Alle radici del Brasiledi Chiara Cucchini

    direttore editoriale

    Giuseppe Stoppiglia

    direttore responsabile

    Francesco Monini

    comitato di redazione

    Ortensio Antonello

    Stefano Benacchio

    Gaetano Farinelli

    collaboratori

    Mario Bertin

    Corrado Borsetti

    Enzo Demarchi

    Andrea Gandini

    Ettore Masina

    progetto grafico

    Andrea Bordin

    stampa

    Laboratorio Grafico BST

    Romano d’Ezzelino (Vi)

    Stampato in 3.000 copie

    Chiuso in tipografia il 7 maggio 1998

    copertina

    versi di Tagore da Il Giardiniere

    fotografia di Giorgio Geronazzo

    immagini litografiche

    tratte dal libro

    Panorama dell’Universo Brasile,

    di Cesare Malpica

    Napoli, 1855

    Registrazione del Tribunale di Bassano n.4889 del 19.12.90Il materiale di Madrugada può essere liberamente riprodotto, citandone la fonte e l’autore

    MADRUGADA30

    a n n o 8m a g g i o 1 9 9 8

    Via Romanelle 12336020 Pove del Grappa (Vi)Telefono (0424) 80 84 07

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    c.c.p. 12794368

    E-mail: [email protected]://www.nsoft.it/macondo

    Hanno scritto fino ad oggi su Madrugada:Alberton Diego, Alunni Istituto Alberghiero Abano Terme, Alves Dos SantosValdira, Amado Jorge, Anonimo peruviano, Anonimo, Antonello Ortensio,Arveda Gianfranco, B.D., Benacchio Stefano, Bertin Mario, BertizzoloValeria, Bianchin Saul, Bordignon Alberto, Boschetto Benito, Braido Jayr,Brighi Cecilia, Brunetta Mariangela, Callegaro Fulvia, Camparmò Armida,Cardini Egidio, Castellan Gianni, Cavalieri Massimo, Ceccato Pierina,Chierici Maurizio, Colagrossi Roberto, Colli Carlo, Corradini Luca, CorreiaNelma, Cortese Antonio, Crimi Marco, Crosta Mario, Cucchini Chiara,Dalla Gassa Marcello, Dantas Socorro, De Lourdes Almeida LealFernanda, De Marchi Alessandro, De Silva Denisia, De Vidi Arnaldo,Demarchi Enzo, Di Felice Massimo, Di Sante Carmine, Dos Santos IsabelAparecida, Eunice Fatima, Eusebi Gigi, Fabiani Barbara, Farinelli Gaetano,Ferreira Maria Nazareth, Figueredo Ailton José, Fiorese Pier Egidio, FogliLuigi, Fongaro Claudio e Lorenzo, Furlan Loretta, Gandini Andrea,Garbagnoli Viviana, Garcia Marco Aurelio, Gattoni Mara, GianesinRoberta, Gomez de Souza Luiz Alberto, Grisi Velôso Thelma Maria,Guglielmini Adriano, Lazzaretto Marco, Lazzaretto Monica, LazzarinAntonino, Lazzarini Mora Mosé, Lima Paulo, Lupi Michela, MarchiGiuseppe e Giliana, Margini Luigia, Masina Ettore, Masserdotti Franco,Mastropaolo Alfio, Matti Giacomo, Medeiros J.S. Salvino, Menghi Alberto,Miguel Pedro F., Milan Mariangela, Milani Annalisa, Miola Carmelo,Monini Francesco, Montevecchi Silvia, Morelli Pippo, Morgagni Enzo,Mosconi Luis, Murador Piera, Ortu Maurizio, P.R., Pagos Michele, PaseAndrea, Pedrazzini Chiara, Pedrazzini Gianni, Pegoraro Tiziano, PeruzzoDilvo, Peruzzo Krohling Janaina, Peyretti Enrico, Pinto Lúcio Flávio,Plastotecnica S.r.l., Ramaro Gianni, Ramos Valdecir Estacio, RipamontiEnnio, Rossetto Giorgio, Ruiz Samuel, Sansone Angelica, SantarelliElvezio, Santiago Jorge, Sartori Michele, Sbai Zhor, Scotton Giuseppe,Sella Adriano, Sena Edilberto, Serato Stefano, Simoneschi Giovanni, SondaDiego Baldo, Spinelli Sandro, Stanzione Gabriella, Stoppiglia Giuseppe,Stoppiglia Maria, Tanzarella Sergio, Tessari Leonida, Tomasin Paolo,Tonucci Paolo, Tosi Giuseppe, Trevisan Renato, Turcotte François, TurriniEnrico, Vulterini Stefania, Zanetti Lorenzo, Zaniol Angelo, Zanovello Ivano.

  • Caro lettore, cara lettrice,

    non posso fare a meno di ricordare i sottoti-toli del film di Drayer, La passione di Giovannad’Arco, in controluce, contro le vetrate di unacattedrale: proprio non si vedevano. Come que-sto controluce: perché l’articolo di Demarchiemerge da sé con la poesia che pervade la suascrittura “nella terapia dell’imperfezione” perun uomo che è un essere fluttuante come il ven-to, deserto come i sentieri di montagna, tre-mante come il fiume della memoria.

    Ormai è braccato. Spara. Ma che ci fa quello?E tu spara e mira giusto. Dov’è la verità, che co-sa sia la verità, chi la può costruire e a partireda dove? Questo lo scopo di quanto Barbara Fa-biani scrive sulla tragedia dell’Algeria; con an-goscia e razionalità; con rabbia e grande mise-ricordia; la coscienza di esserci anche noi den-tro e non esserci.

    No, mamma, mi ha accecato la vampa di fuo-co, ma non è niente, passa. E sarebbe meglio avolte essere ciechi che vedere l’orrore. La vocedi Ettore Masina racconta delle Madres e delleAbuelas (nonne) argentine che ancora cercano,tra l’indifferenza, l’astio e l’odio, nel buio delpassato, non più le figlie, ma la loro immagine,perché morendo han consegnato tra le cateneil frutto delle loro viscere. Lapace non può essere senzagiustizia; e l’amore senza laverità di una madre, di unanonna.

    Che ci facevi bimbo mio sulla stra-da, perché non stai con mamma tua? Esiamo nel villaggio planetario, dove c’èlibera circolazione per tutti. Benito Bo-schetto da dentro il guscio ci scrivesulla globalizzazione, che potevaessere il luogo dell’incontro.Volto poliedrico, che assumesempre più i connotati dellasfinge impassibile, che sacrificail progresso alla crescita.

    Il cacciatore con un bastonebatteva sulla testa del cucciolo,mamma; ed aveva i tuoi occhi, pic-

    colo mio. A fronte della paura che tutti ci coglie,Giuseppe Stoppiglia, ne Il viatico illusorio di unmito rassicurante, ci invita ad accogliere tutte lelacrime del mondo; esorcizza il sorriso del gran-de tentatore, e propone il superamento nel luo-go dell’incontro, che è lo spazio dell’assoluto.

    Vieni, ti porterò in alto, nel cielo; e troverò lelacrime per rubare la vista delle aquile, Nicuz-zo mio. Ora il bimbo è disteso su di un lettinobianco; e sua madre cerca nelle bancarelle diperiferia il carillon di legno e molle. Diego Bal-do Sonda tenta in Alla fiera dell’est una letturadelle cause che hanno portato al degrado lacittà, le periferie, la campagna della grande ter-ra di Russia, e dei paesi attorno.

    Cosa risponderanno i medici alla povera ma-dre che chiede solo un barlume per suo figlio?E pare che vogliano sparare anche al nord; e chialtri, bambino, sarà travolto?

    Mamma, mamma, hai sentito? Quei bambiniandavano in chiesa a pregare. Qualche mam-ma teneva il suo bimbo nascosto nel grembo,ad Acteal. Fulvia Callegaro nella sua intervistaa Rosario Bautist, pedagogista, ci racconta dellavoro paziente di un gruppo di lavoro, per re-cuperare alla vita chi si è trovato nella fornacedi Acteal, nel fuoco di fila di un odio insensato.

    Le cronache dicono che forse si salverà; lo de-siderano, lo vogliono.

    Il nostro direttore, Francesco Monini,da questo numero dà la carica con ilsuo diario minimo. Come Tex Willer,solitario e temerario, esercita il dub-

    bio… Perché i buoni non sono sem-pre quelli dalla nostra parte…

    Ma allora perché si riempionoancora le cronache di tante di-sastri? - si chiede il cronista di-storto tra le righe di Macondo edintorni.

    Le parole di Chiara non sonoi titoli di coda; forse la storia che

    si fissa attorno all’immagine; edice parole che solo il tuo cuore sa

    scrivere, amico lettore, amica lettrice.

    La redazione

    Tra le vetratedella cattedrale

    Scorrendo le pagine di Madrugada

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    c o n t r o l u c e

  • Anagrafe

    Ricardo Peter, nicaraguense, laureatoin filosofia, è da trent’anni domicilia-to a Roma ed è stato ambasciatore delNicaragua presso la Santa Sede dal1979 al 1990. È professore di «antro-pologia del limite» all’Università Gre-goriana ed è l’ideatore della Terapiadell’imperfezione. Attualmente è li-bero professore presso l’UniversitàAutonoma di Puebla (Messico). Nelgiro di 4 anni sono stati pubblicati inItalia (Cittadella Editrice, Assisi), 3suoi libri: Una terapia per la personaumana, 1994 (2a ed. 1996); Liberacidalla perfezione, 1995; Onora il tuolimite, 1997; e ne è in preparazioneun quarto: Etica del limite.

    Nei tre libri citati vengono via viaproposti gli aspetti teorici e pratici ei fondamenti filosofici di quella chel’autore ha chiamato Terapia del-l’imperfezione (Training in psicoa-nalisi e specializzazione in personal

    Counseling).La «riflessione» paradossale che

    l’autore ci propone è quella che ricu-pera la condizione reale dell’uomo,quella che «si infanga» nel limite, fi-no ad arrivare ad un’antropologiadell’«homo humanus»: suo obiettivoprimario non è tanto la «comprensio-ne» quanto la «compassione» perl’uomo, come forma più elevata dicomprensione. Etimologicamente,comprendere vuol dire infatti abbrac-ciare, accogliere, accettare. Il voca-bolo possiede tutta una connotazio-ne affettiva: accettare e perdonare so-no modi di intendere l’essere del-l’uomo. Non dunque di «homo fa-ber» o «ludens», si tratta, ma «pa-tiens», «dolens», «lapsus»...

    Fluttuante come il vento

    Un’antropologia che s’inquadra cer-to in una filosofia dell’essere, madell’«essere prostrato, fragile, derelit-to, instabile. Non di un essere qua-lunque, ma dell’essere fluttuante co-me il vento, nomade (= in cerca dipascoli) e deserto come i sentieri dimontagna, tremante come il fiumedella memoria. Dell’essere che sba-glia e produce errori fino all’istante incui esala l’ultimo respiro».

    La cultura che vede l’uomo essen-zialmente come un «essere imperfet-to», da accettare e compatire nellasua imperfezione, non è certo tipicadell’Occidente. A inventare una «te-rapia dell’imperfezione» ci volevaproprio un latinoamericano! Qualun-que sia la prima impressione che nericaviamo, sarà bene, una volta tan-to, aprire l’orecchio a questa voce«diversa» e alle sue «provocazioni».Per esempio, rifare con l’autore ilcammino storico del concetto di per-fezione attraverso le mentalità o vi-sioni del mondo proprie dei vari po-poli, e rilevare la formidabile allean-

    Dalla scienzaalla compassioneTerapia dell’imperfezione (intuizioni)

    di Enzo Demarchi

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    a n g o l o d i l e t t u r a

  • za creatasi tra mentalità greca e men-talità cristiana riguardo alla perfezio-ne. Così, in Una terapia per la perso-na umana, al cap. II, «La cultura del-la perfezione», più che dalla denun-cia di certe esagerazioni ascetiche dilibri fondamentali nella formazionespirituale dell’Occidente (qui siamotutti d’accordo nella critica), rimarre-mo sorpresi dalle osservazioni relati-ve alla trasformazione del concetto diperfezione nel mondo moderno econtemporaneo: «Ancora oggi, ognigiorno e ogni ora, molte persone vi-vono ipnotizzate dalla perfezione...I nuovi seguaci della perfezione nonsono necessariamente anime consa-crate a Dio, bensì persone qualunqueche non ammettono di sbilanciarsi,che concepiscono la vita in terminisimmetrici, che non si permettono disbagliare, che non si perdonano al-cuni chili in più. Persone dominatedall’efficienza, dal successo a qual-siasi costo, dal senso dell’eccellere odalla mistica del vincere sempre».

    Vorrei qui soffermarmi su tre tipi diriflessioni-osservazioni che ritengoparticolarmente importanti per noioccidentali:1) il rapporto esistente tra ragione e

    intuizione;2) la spiritualità della povertà, ispira-

    ta all’etica del limite;3) il senso che può rivestire la para-

    bola del figlio prodigo riguardo al-la coscienza del limite.

    Ragione e intuizione

    Per affrontare i problemi posti dallasua indigenza, l’uomo dispone di due«strateghi» della vita, due «processo-ri» della realtà: la ragione e l’intui-zione. Il primo stratega tende a ri-muovere i limiti dell’essere umano.Vuole che tutto abbia e risponda a unperché: analizza, spiega e risolve lecontraddizioni; cerca di sbrogliare lamatassa della realtà percepita dai sen-si. La ragione vuole scoprire l’ogget-to, dove sta nascosto, fino a lasciarlonudo. Inquisitrice per natura la ragio-ne divide, frammenta, risolve e «dis-solve» il suo oggetto, lo cattura inognuna delle sue parti.

    Il secondo stratega, l’intuizione, nonpersegue come fine primario l’utilitào la «scienza» di qualcosa, ma la «co-scienza» della realtà limitata dell’uo-mo, la sua esistenza indigente. «Nonè attraverso il giudizio e il ragiona-

    mento che l’intuizione raggiunge lasfera dell’esistenza, ma per mezzo diuna visione immediata, come un im-pulso o presentimento del cuore (“co-razonada”), senza intermediari néagenti estranei, avverte che la perso-na è un valore in se stessa e che tuttociò che la concerne ha un carattereessenziale, vitale, primario. Solo in unsecondo momento, per così dire, laragione cattura, mette in evidenza conargomenti l’oggetto catturato, siste-matizza la presa in una classificazio-ne e gerarchizza l’importanza di taleoggetto» (Onora il tuo limite, cap. V).

    Semplificando, si potrebbe dire che,la ragione produce i pensieri della te-sta, l’intuizione i pensieri del cuore;la ragione vede esseri isolati, indivi-dui in con-correnza, in corsa verso ilprimo posto, l’intuizione vede l’esi-stenza di corpi-persone comunicantinella loro fragilità e indigenza. Men-tre la ragione si distacca dal «senti-mento corporeo fondamentale» (Ro-smini) trasformando la realtà in «og-getto» da dominare con la mente (fi-losofia) o con la tecnica (scienza) e dafar servire a qualche scopo od utilitàpratica, imponendogli una formaideale, l’intuizione penetra invecenella realtà limitata (corporea) del-l’uomo, del vivente-persona, s’infan-ga nel suo limite e ne riconosce l’in-digenza. L’indigenza dell’uomo è altempo stesso il riconoscimento del-l’immanenza nel proprio limite e l’a-pertura alla continua trascendenza.Riconoscere e accogliere il proprio li-mite è incontrare e accogliere il limi-te dell’altro.

    Intuizione, ancelladel mistero della poesia

    Senza l’intuizione, la ragione viene amancare del punto di partenza, del-

    l’accettazione del proprio limite, cheè anche la propria consistenza e im-pulso iniziale, il proprio senso crea-turale. Senza la ragione, l’intuizionenon sviluppa i passi logici del suocamminare nel tempo, non consolidala propria acquisizione, non fa i pas-si necessari per affrontare in concre-to i suoi problemi. La ragione serve iproblemi delle scienze, della filosofiae della teologia; l’intuizione è ancel-la del mistero, serve quindi la lettera-tura e la poesia. Fedele al limite, al-l’umano, essa può «metabolizzare»l’errore, l’insuccesso, l’umiliazione,le imperfezioni (si pensi come nellaBibbia l’avventura di Dio con l’uomoconsista nel trarre continuamente par-tito dagli errori, dai peccati e dalle im-perfezioni umane). «Nell’incontrarel’indigenza, l’intuizione avverte l’in-trico che c’è nell’essere ma non lo at-tribuisce a una “colpa” o “mancan-za”. Se ne sta silenziosa dinanzi aquesto dolore, come il padre del figlioprodigo. Non condanna, non rimpro-vera. Non rinfaccia all’esistenza il suolimite».

    Frutto dell’intuizione è il «linguaggiodel limite». Esso «vede la realtà, parlaattraverso opere come quelle di Sofo-cle, Cervantes, Balzac, Dostojevski,ecc., che prendono le difese del figlioschiacciato dall’enigma del destino,come il disgraziato Edipo, di cavalieriumiliati dal sensismo dei sancho pan-za, di umiliati e offesi della storia, co-me i vari Jacques Colin e Jean Valjean»(ibid.). «Accanto al linguaggio prodot-to e controllato dalla ragione e per ciòstesso destinato a un uso formale, tec-nico, logico e preciso, la cultura anti-ca testimonia l’esistenza di un lin-guaggio elastico, informale, e indi-pendente dalle categorie della logica...Questo tipo di linguaggio, abile nel-l’arte di riciclare tutto quello che la ra-gione nel suo cammino verso l’idealerifiuta, ha svolto fedelmente la sua fun-zione attraverso la letteratura univer-sale e i suoi “generi minori” come lafavola, il mito, la cultura popolare,l’aforisma, il proverbio, la parabola, lastoriella, lo scherzo, la satira e la cari-catura» (Una terapia per la personaumana, capitolo III «Le origini della te-rapia dell’imperfezione: il linguaggiodel limite»). Un esempio della sagaciadel linguaggio del limite, come fruttodell’intuizione, è dato dalla favola de«La volpe e l’uva», a cui non posso cherinviare: cfr. il già citato capitolo V diOnora il tuo limite.

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    a n g o l o d i l e t t u r a

  • Inimicizia tra l’uomoe la sua imperfezione

    Ciò che dal punto di vista filosofico sipresenta come «limite» e da quellopsicologico come «imperfezione»,spiritualmente parlando si presentacome «povertà». «Essere-nel-limite»si sperimenta come «povertà nell’es-sere». Se l’indigenza è un pozzo abis-sale dove l’uomo sperimenta il suo es-sere essenzialmente incompleto, è so-lo a quest’essere indigente che è ri-servata la possibilità della trascen-denza. Nella Bibbia, soprattutto nelNuovo Testamento, vediamo riappa-rire il concetto di imperfezione sottoun termine squisitamente evangelicocome è il concetto di povertà.

    Nella proposta della perfezione co-me ideale di vita, prevale una conce-zione spiritualistica dell’uomo inaperto contrasto con la «povertà nel-l’essere». L’umano - il destino di es-sere sempre indigente in cui l’uomotrova il suo mistero - è consideratotout court un ostacolo alla vita spiri-tuale. L’antropologia del limite parladi una spiritualità della povertà incontrapposizione alla spiritualità del-la perfezione. In linea generale, l’Oc-cidente cristiano ha creato una inimi-cizia tra l’uomo e la sua imperfezio-ne: l’essere perfettissimo di Dio re-clamava la perfezione dell’essere im-perfettissimo dell’uomo.

    Ma Gesù è venuto a liberare l’uomo

    dall’ossessione di essere perfetto. Ilcammino di Gesù non avviene sul ter-reno della perfezione, ma su quellodel perdono e della compassione. Laperfezione di Dio (Mt 5,48) è la mi-sericordia del Padre (Lc. 6,36). Inrealtà, il concetto di perfezione èestraneo alla cultura ebraica, che ri-corre invece alla categoria della «san-tità». Dio è santo perché il suo com-portamento è assolutamente diversoda quello degli uomini (Is. 55,7-9), lasua misericordia è alta come il cielo(Sal. 103,11). Il Figlio dell’Uomo è ve-nuto a cercare e a salvare ciò che eraperduto (Lc. 19,10).

    Dio è al serviziodel narcisismo

    La parabola del fariseo e del pubbli-cano (Lc. 18,9-14) ci permette di da-re uno sguardo psicoanalitico, direm-mo, ai meccanismi inconsci che siagitano nel perfetto e nell’imperfetto.È una parabola «endopsichica». Il fa-riseo era andato al tempio per prega-re, ma in realtà non prega, informaDio della sua perfezione. Non è Dioal centro della sua esistenza, ma ilsuo io. La tendenza alla perfezione fa-vorisce un egocentrismo raffinato.Dio è al servizio del narcisismo del-l’uomo. Il perfetto non può prescin-dere dal paragone: osserva la presen-za di un peccatore e lo fa notare a

    Dio: «Non sono come quel pubblica-no che sta lì». Dio doveva stare dallasua parte. Credersi Dio è più facileche credere in Dio.

    Nella spiritualità della povertà l’uo-mo si riconosce com’è in realtà: nu-do (Gn. 3,7). In questo riconosci-mento la spiritualità della povertàidentifica l’umanità dell’uomo. Il Van-gelo riconcilia la spiritualità e l’im-perfezione. Il lettore sente immedia-tamente che lui pure fa parte di que-sta moltitudine di imperfetti che sisente accolta dal Dio che Gesù an-nuncia. È un’esperienza dal profondoeffetto terapeutico. Genera un atteg-giamento di misericordia con se stes-si, verso il prossimo, addirittura versoil nemico (Mt. 5,44). Ciò di cui il fa-riseo è assolutamente incapace, per-ché incapace di accogliere la giusti-zia di Dio, l’unica perfezione su mi-sura dell’uomo. Chi tende alla perfe-zione diventa anacronistico dal pun-to di vista del Regno.

    Tutte queste osservazioni sono con-tenute nel cap. VII del libro Una tera-pia per la persona umana. Il titolo delcapitolo: «Le implicazioni: spiritualitàe imperfezione». Il capitolo inizia condue citazioni con cui vogliamo con-cludere: «Il miglior elogio dell’imper-fezione lo fece Dio facendosi uomo»(Anonimo). «Essendo ricco, si fecepovero» (2 Cor. 8,9).

    Enzo Demarchi

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    a n g o l o d i l e t t u r a

  • «S. Cristóbal de Las Casas, tranquillacittadina circondata da misteriosi vil-laggi indios, la luce dell’altipiano haconservato la sua trasparenza incom-parabile, i tranquilli indios tzotziletzeltal dei vicini villaggi ravvivano an-cora le strade con i loro costumi ro-sa, turchese vari e bianchi e nelle fre-sche sere il fumo della legna si attar-da calmo sulla città».

    [da una guida turistica]

    Che cosa si nasconde dietro questapoetica immagine che emana pace etranquillità e che invita i turisti di tut-to il mondo a fare una tappa in que-sta amena cittadina? Dopo aver vis-suto per alcuni mesi a S. Cristóbal eaver respirato con fatica questo falsoclima di tranquillità, rumorosamentecarico di turisti e venditori, sento ildesiderio di approfondire alcune te-matiche con una persona che vive econdivide con gli indios quella partenascosta che solo un turista attentopuò leggere sotto i nastri colorati de-

    gli indigeni che ogni giorno trovi sul-le strade della folcloristica città.

    Incontro Rosario Bautist, una giova-ne pedagogista ad un seminario sul-l’educazione Tzeltal e i valori comu-nitari. Mi parla del suo lavoro quoti-diano a fianco dei bimbi della stradache a centinaia lavorano nell’amena S.Cristóbal e del suo faticoso incontrocon la sofferenza di chi ricorda la stra-ge di Acteal e non può dimenticare.

    - Come hai iniziato il tuo interventoeducativo di strada?

    «Sono stata contattata da Padre Do-mingo Hituarte (presidente della Co-nai). Era preoccupato per le centinaiadi donne e bambini che abitualmen-te vivono nella piazza di S. Domingoa S. Cristóbal (luogo dove abitual-mente le donne Chamula allestisco-no un mercato di prodotti artigiana-li), spesso non desiderati dai coletos(meticci benestanti). Cercava perso-ne disposte a lavorare con i bambini.Io in quel periodo stavo lavorando inSalvador, in zona di conflitto; mi haconvinta a ritornare e lavorare nellamia città. Abbiamo così formato ungruppo di lavoro, di cui faccio partecome pedagogista assieme a due so-ciologhe ed un’assistente sociale».

    - Chi sono e da dove vengono gli in-dios che hanno fatto della piazza laloro dimora?

    «Sono arrivati a centinaia in città nel1990, quando a S. Juan Chamula so-no iniziati i conflitti di tipo religiosofra gruppi ecclesiastici diversi e alcu-ni sono stati espulsi dalla loro comu-nità. Quando una persona viene cac-ciata lascia tutto: le sue proprietà, ca-sa e milpa (terreno dove coltivano ilmais e i fagioli); ora, dopo alcuni an-ni, hanno costruito le loro capannenei dintorni di San Cristóbal, immen-si villaggi dormitorio, dove le abita-zioni sono ammassate una sull’altra,spesso senza servizi igienico-sanitari:

    Tenerezza e resistenzaIncontro con Rosario Bautist,

    pedagogista di San Cristóbal de Las Casas

    di Fulvia Callegaro

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    l ’ i n t e r v i s t a

  • 8

    la struttura originaria del loro villag-gio è andata perduta.

    «Lo spazio dove vivono ha perso ilsignificato comunitario tipico dellacomunità indigena, i valori tradizio-nali hanno lasciato spazio ad unosfrenato individualismo, logica con-seguenza della legge del mercato. Tut-ta la famiglia lavora in città: il padrelavora come peòn o manovale e mol-ti ora chiedono di entrare nella poli-zia, la madre vende al mercato pro-dotti di artigianato o verdura che asua volta ha comprato o tortillas crea-te da lei, molte fanno anche le donnedi servizio.

    «Partono molto presto e rientrano,di solito, solo per andare a dormire; ilruolo della famiglia come riferimentoeducativo si va così rapidamente tra-sformando, lasciando un vuoto nel-l’educazione dei figli».

    - Che cosa fanno i loro figli?«I bambini molto spesso lavorano

    soli; una grande parte di loro è bo-leadores, bimbi che si offrono, con laloro piccola cassetta, di pulirti le scar-pe; molti vendono dolci, altri giorna-li, alcuni vendono artigianato co-struito da loro. Abbiamo rilevato 18tipi diversi di mansioni in cui sonoimpiegati. Alcuni lavorano tutto ilgiorno, rientrano quando inizia a farbuio; quelli che frequentano la scuo-la (circa il 40%) lavorano il pomerig-gio. Molti si fermano fino a tarda not-

    te. se non hanno accumulato denarosufficiente. Guadagnano pochissimo,a volte solo quanto basta per man-giare: per i genitori sono una boccain meno da sfamare. Siamo venuti asapere che si incontrano con rappre-sentanti della polizia e dell’esercito; ibimbi dicono: “Ci riuniscono in mol-ti”, non hanno voluto rivelare l’argo-mento che trattano, sospettiamo cheli usino come informatori, natural-mente pagandoli».

    - Quale cammino avete percorso peravvicinare i bambini?

    «Innanzitutto abbiamo cercato diconoscere i loro spazi nella città, in-dividuando i luoghi dove maggiore èla presenza dei piccoli venditori. Ab-biamo iniziato ad essere presenti conmateriale per disegnare con carta ecolori che mettiamo a loro disposi-zione. Di giorno in giorno hanno co-minciato a lasciare la loro cajita (cas-setta che portano al collo per vende-re varie mercanzie) e a stare qualcheora con noi. Non abbiamo uno spa-zio definito, ci spostiamo ogni giornoe diamo loro un orario preciso. A vol-te giochiamo; per esempio, se lavo-riamo nella piazza della Cattedraledove la maggior parte sono maschiche svolgono attività di lustrascarpe,spesso facciamo giochi proposti daloro, come il calcio.

    «A volte abbiamo anche settantabambini che lasciano la loro attività

    per giocare qualche ora, la partecipa-zione è libera e creativa, noi portia-mo il materiale, poi decidiamo conloro come usarlo. Alla fine, a secon-da del tema emerso, discutiamo divi-dendoci in piccoli gruppi, qualchevolta riescono a parlare di loro, di co-me si sentono all’interno di questa co-munità più strada che casa, di comevivono il rapporto con le loro fami-glie. Parliamo dell’importanza di fre-quentare la scuola, di quali sono lepersone che avvicinano durante ilgiorno. Proponiamo sempre lavori digruppo, disegni su grandi fogli, dovenecessariamente devono collaborareper disegnare giochi cooperativi.

    «L’obiettivo principale è accompa-gnarli nella strada, offrire loro unospazio dove per qualche attimo pos-sano sentirsi ancora bambini e, se lodesiderano, comunicare le loro in-quietudini e sofferenze trovando in-sieme un modo per superarle».

    - Tu mi hai parlato di un altro pro-getto nato dopo la strage di Acteal.

    «Stiamo lavorando per la salutementale dei bambini che hanno assi-stito alla strage di Acteal o che in es-sa hanno perso i genitori. Per aiutarliad elaborare questo dolore abbiamoprevisto un programma della duratadi un anno e mezzo circa. Siamo unéquipe di dodici persone che presta-no il loro servizio volontariamente.Gli accampamenti nei quali attuiamo

    l ’ i n t e r v i s t a

  • il progetto sono cinque. Il programmaviene proposto anche ai responsabilidegli accampamenti degli sfollati, peraiutare anche le persone che hannolasciato la loro terra. Ci sono tre ac-campamenti di rifugiati qui a S. Cri-stóbal: la Nuova Esperanza (25 fami-glie), la Rap (regione autonoma plu-rietnica con 30 famiglie) e Don Bosco(70 famiglie). Hanno cominciato adarrivare ai primi di settembre perchénon volevano comperare armi e unir-si ai paramilitari, sono fuggiti per pau-ra di rappresaglie poi effettivamenteavvenute».

    - Quale metodologia utilizzate perattuare il vostro programma di ela-borazione del lutto?

    «È prevista una settimana di osser-vazione, i traduttori intervistano gliadulti: i genitori hanno testimoniatoche i bimbi sono aggressivi, non gio-cano ed hanno problemi di diuresi.

    «A partire da questa prima osserva-zione, abbiamo elaborato una propo-sta in collaborazione con alcunimembri dell’accampamento, elettidalla comunità stessa. I quindicimembri della comunità hanno parte-cipato ad un corso di formazione co-me promotori di salute mentale in-fantile, le metodologie proposte sonomolto semplici. Non abbiamo fattonoi il lavoro direttamente con i bam-bini negli accampamenti, perché pen-siamo che sia importante il contattocon membri della comunità di appar-tenenza; le modalità di comunicazio-ne e il linguaggio usati dagli indigeniper esprimere le emozioni sono mol-to diversi dai nostri.

    «Proponiamo un percorso terapeu-tico diviso in cinque tappe:1) come sono io - perché il mio cuo-

    re si sente tanto triste;2) come è la mia famiglia - come mi

    sento, che cosa sente il mio cuore;3) come è la mia comunità - che co-

    sa sente il mio cuore;4) perché sono qui - che cosa sente il

    mio cuore;5) che cosa è successo in Acteal - che

    cosa sente il mio cuore.«Accompagniamo l’esternazione

    dei loro sentimenti utilizzando la ver-balizzazione; dopo il momento dellaverbalizzazione esprimono i loro vis-suti attraverso giochi mimici, pittura,disegno, canti e danze e altre tecni-che creative.

    «Ogni formatore, dopo aver lavora-to personalmente, propone lo stesso

    percorso adatto ai bambini del suoaccampamento».

    - Come affrontano i promotori indi-geni questo lavoro così impegnativo?

    «Il lavoro di elaborazione è moltodoloroso per i promotori di salutementale della comunità che sono sta-ti scelti per questo progetto, ancheperché, loro stessi, sono stati spetta-tori o hanno perso familiari nella stra-ge. Avevano paura di iniziare questopercorso con i bimbi, perché non l’a-vevano mai fatto, però non erano so-li; avevamo organizzato gruppi diventi bambini con tre formatori e que-sto li ha incoraggiati. Giorno dopogiorno hanno preso sempre più con-fidenza, rafforzati dall’effetto che ave-va su di loro l’aver parlato di questivissuti. Alla fine di ogni sessione, ciritrovavamo in équipe con i bimbi persocializzare i vissuti emersi».

    - Che cosa emerge, ora, in parti-colare?

    «Loro dicevano: “Non si deve di-menticare, ma ricordare”. Hanno sco-perto la difficoltà di piangere; dicono:“Non ci hanno insegnato a piangerenella nostra cultura”. Facevano il pa-ragone con una ferita che, se non vie-ne curata, diventa putrida e insiemeabbiamo cercato di capire che cosapotevano fare per curare la ferita delloro cuore. Alla fine del percorsoemerge una visione positiva del futu-

    ro, sentono il desiderio di continuarea lottare, cercando diverse forme diespressione per sentire la forza diquesta nuova speranza: qualcuno hascelto di cantare, altri di suonare, al-tri ancora di ballare, ritrovando il con-tatto con l’altro in un clima di gioia.

    «Nella verifica finale hanno decisodi fare altri corsi, per continuare a la-vorare con i bambini, per offrire lorospazi di gioco e di creatività, soprat-tutto in questo momento in cui, per lapresenza del conflitto, non c’è scuo-la. Loro ci dicono: “È necessario cu-rare la ferita del bambino ora, perchéfra qualche anno costi meno dolore”».

    - E voi, ora, che farete?«Noi dell’équipe ci divideremo, af-

    fiancheremo il lavoro dei promotoridirettamente negli accampamenti. Sia-mo molto soddisfatti di questo per-corso e anche del rapporto di scambioe fiducia instaurato con i nuovi pro-motori. Ora ci permettiamo di dire cheè stato molto faticoso, anche perchécome équipe non ci siamo dati la pos-sibilità di dirci come stava ognuno dinoi, uscivamo da queste sessioni di-strutti, forse il carico di queste rivela-zioni a volte era troppo pesante daportare e non abbiamo saputo trovarelo spazio per condividerlo».

    Fulvia CallegaroOsservatore internazionale ad Acteal -

    socia di Macondo

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    l ’ i n t e r v i s t a

  • a necessità moraledi non tacere

    «Mi sento schiacciato dalle dimen-sioni del male che vedo dilagare perla Terra, devastare persone e conti-nenti, soffocarli in un’ingiustizia che,alla fine, è stupida irrazionalità, sui-cidio degli stessi mandanti». È una se-ra di “comunità” riunita intorno ad unteologo di grande intelligenza e gran-de fede; e un amico si lascia andarea questo sfogo. Dice perfino di esse-re disperato, ma io so bene che nonè vero, o è cosa momentanea: lui èpersona che lavora, e molto, testar-damente, animando gruppi che riflet-tono sui problemi planetari e cercanodi esprimere non soltanto a parole main atti positivi la propria obiezione dicoscienza alla violenza del sistema incui viviamo.

    Disperazione, dunque, no: ma ac-cade – e forse l’inverno con la mesti-zia delle sue grigie mattine e dei suoilunghi crepuscoli propizia questi sen-timenti – che le nostre speranze, lanostra stessa necessità morale di nontacere, di non rimanere inerti si la-mentino talvolta (e anzi spesso) comebambini malati. Ci soverchiano il pe-so della nostra inadeguatezza e quel-la che ci pare solitudine o comunqueesiguità della cerchia di chi pensa esente come noi. Molti, fra quelli cheosiamo dirci cristiani, vorremmo po-terci lasciare andare, sull’onda dellenew ages, a rasserenanti visioni inte-riori, a scrutare dentro di noi, cercan-do la pace dell’anima e l’armonia delCreato, piuttosto che guardare agliorizzonti tormentosi dell’umanità; ciincanta improvvisamente il sorrisoestatico del Buddha, così diverso dalvolto contratto del Crocifisso e dallaluce del Risorto, che si presenta por-tando ancora, come suo segno distin-tivo e probatorio, le stimmate dellapassione.

    E tuttavia non riusciamo ad annul-

    lare neppure per un istante le grida didolore che ci raggiungono; e di que-sta impossibilità, che ci è stata datada chissà quale sorte o volere, acuta-mente soffriamo.

    Le Abuelas de la Plaza del Mayo

    L’asperità del nostro cammino haperò, di quando in quando, luoghi incui possiamo contemplare il sorrisopiù meraviglioso e straordinario chesia dato vedere: quello di personeche, artigliate e lacerate da terribilitragedie, non si sono lasciate rinchiu-dere nel buio di un dolore individua-le, privato, ed anzi hanno trasforma-to i loro affetti straziati in una forzainteriore che consente loro di lottareinsieme, in una prospettiva che pareinterminabile, a favore della giustizia,della verità e della dignità dell’uomo.

    Ho passato alcune ore, nei giorniscorsi, con due Abuelas de la Plazadel Mayo, le eroiche nonne che cer-cano ancora i nipoti finiti nelle manidei carnefici delle loro figlie. Dappri-ma cercavano dei bambini, con untuffo al cuore ogni volta che vedeva-no un piccino che gli sembrava so-migliare a loro stesse o alla madre de-saparecida. Oggi cercano ragazzi frai 18 e i 22 anni: tanto tempo è passa-to, i nipoti-ombra sono cresciuti, lorocontinuano a guardarsi intorno, achiedere, a investigare. Delle 230creature partorite sul pavimento di lu-ride celle o in infermerie situate ac-canto alle camere di tortura dallequali arrivava l’urlo di altre donne, inospedali militari in cui le gestanti ve-nivano portate con il volto coperto daun cappuccio e le manette ai polsi, lenonne ne hanno rintracciato 8, mor-te; ma anche 31 vive, che hannostrappato alle famiglie dei predatori e,con l’aiuto di straordinari psicologi,reinserito nella pienezza della propriaidentità e amorosamente recuperate

    Una veritànon ancora ristabilita

    di Ettore Masina

    10

    a m e r i c a l a t i n a

  • agli affetti della loro vera famiglia,mentre la sorte di altre 6 si discute inquesto momento in tribunale.

    Le nonne, naturalmente, non sonospietate, non esigono da proprietarie:13 dei loro nipoti li hanno lasciati al-le famiglie adottive risultate in buonafede e che li amavano essendone ria-mati; ma si sono sedute accanto a lo-ro e hanno mostrato loro le fotografiedella loro giovane madre che era co-sì bella e coraggiosa e li aveva desi-derati con tanto amore; e adesso for-se è sepolta in qualche cimitero clan-destino o forse è stata gettata nell’O-ceano; e, nel dolore che li faceva “ve-ri” li hanno arricchiti di nuovi affetti.

    Le nonne sono convinte (come glipsicologi che le aiutano) che anchequelli che hanno trovato un’altra fa-miglia hanno “diritto alla propria sto-ria”: molti problemi nati dalla terribi-le esperienza della tortura in gravi-danza e della perdita della madre sindalle prime ore di vita, soltanto cosìpossono essere sanati.

    Sole anche oggi

    Le Abuelas, come le Madres, hannosperimentato, all’epoca della dittatu-ra, una profonda, angosciosa solitu-dine: non soltanto i vecchi amici diun tempo ma persino i parenti face-vano il vuoto intorno a loro, per pau-

    ra o per quel dannato buon sensoborghese per cui se accade qualcosaa qualcuno «qualche motivo deve puresserci», e non ha importanza che siauna feroce dittatura a governare.

    Polizia e magistratura si prostituiro-no ai magistrati. I giornalisti che osa-rono dire qualcosa scomparvero o fu-rono imprigionati. I vescovi distolse-ro gli occhi e soltanto oggi balbetta-no qualche richiesta di perdono.

    Non ebbe (e non ha) occhi né orec-chi, tanto meno voce, l’influente co-munità ebraica, pur colpita in alcunisuoi giovani. Intorno alle Abuelas ealle Madres, l’Argentina strinse unamorsa di ghiaccio; e alcune di esseebbero, per mano dei militari, la stes-sa sorte delle figlie e dei figli. Abue-las e Madres sono sole anche oggi, inpatria, accusate da molti (e dallo stes-so governo) di impedire una pacifica-zione del Paese, quasi che una verapace possa nascere da una giustiziaviolata: dalla mancanza di ogni san-zione per chi ha seviziato e massa-crato 30 mila persone, da un doloreche in nessun modo è stato compre-so e confortato dalla collettività, dauna verità non ancora ristabilita.

    Un passato che deve essererisarcito per diventare futuro

    Queste accuse, quel “buon senso”,

    il sistema di ferro e di terrore instau-rato dalla Giunta militare apparveroe appaiono alle Abuelas una grandemacchina di violenza alla quale eraed è impossibile pensare di porreostacoli. Tuttavia esse continuano davent’anni la loro lotta e missione.Penso che questo avvenga perché es-se sentono profondissimamente il bi-sogno di ritrovare il nipote che fu lo-ro rapito, non soltanto per fedeltà al-le figlie o alle nuore, non soltanto al-la creatura che le perpetua, ma an-che per avere finalmente la pace in-teriore che deriva dal raggiungimen-to, nell’amore, della propria autenti-cità. Cercano, insieme con il nipoteo la nipote, una parte ancora segre-ta e dolente di loro stesse, un passa-to che deve essere risarcito per di-ventare futuro.

    Il mio amico “disperato” ed io emolti altri miei amici ed amiche sen-tiamo che è anche da questa neces-sità di trovare noi stessi (e da esempicome quello delle Abuelas) che na-sce in noi la necessità dell’impegno.Le vecchie signore argentine (alcunenon poi tanto vecchie, la dittatura ècosa di ieri) esprimono una forza chedobbiamo imparare perché tutti ab-biamo bisogno, come loro, di com-pletare la nostra identità in un dise-gno d’amore.

    Ettore Masina

    11

    a m e r i c a l a t i n a

  • L’organizzazione per la Cooperazio-ne Economica e lo Sviluppo (OCSE)definisce la globalizzazione come«un processo attraverso cui mercati eproduzione nei diversi paesi diventa-no sempre più dipendenti tra loro, acausa della dinamica di scambio dibeni e servizi e attraverso i movimen-ti di capitale e tecnologia». Corretta,ma limitativa, e forse troppo sempli-cemente tecnica e neutrale, questadefinizione scolpisce solo il profiloeconomico della globalizzazioneche, per quanto assolutamente rile-vante, non esaurisce tuttavia l’impat-to complessivo del fenomeno nellastoria dei nostri giorni. Gli aspetti cul-turali, sociali e politici, per esempio,non sono meno importanti, anche sepoi il processo finisce per intrecciar-li tutti in una combinazione di effettidell’uno sull’altro. Il che attesta dellasua poliedricità.

    Vi è da dire, semmai, che per la for-za espansiva del mercato, spinto dalprincipio di accumulazione capitali-stica, la componente economica ap-pare la trainante. Ed è per questo cheè il caso di assumerla come chiavegenerale di interpretazione.

    Va aggiunto per altro, che questo fe-nomeno non nasce nei nostri giorni;basta rileggersi il Manifesto di Marx edi Engels per vedere che esso era giàimmaginato fin dall’inizio del capita-lismo moderno.

    Il processo di accelerazione

    La novità di oggi, che passa appuntosotto il neologismo di globalizzazio-ne, sta piuttosto nel fatto che il pro-cesso ha subito una poderosa accele-razione dovuta al combinarsi di unaserie di fattori di spinta. Ne citiamosolo alcuni:• quelli politici, per esempio, comela caduta del comunismo, la fine del-la guerra, la vittoria anche ideologica

    del capitalismo come modello eco-nomico fondato sull’economia dimercato, la creazione di aree semprepiù vaste a crescente integrazioneeconomica e politica ecc;• quelli tecnologici; pensiamo soloall’informatica e alla telematica conquello che sono capaci di incideresulla produzione e omologazione dimodelli culturali (un esempio per tut-ti può essere la TV satellitare e Inter-net) e di modelli produttivi;• quelli economici e finanziari, conuna crescente mobilità di merci, ca-pitali e servizi;• quelli sociali, basti pensare alla mo-bilità delle persone e l’evoluzione or-ganizzativa della società verso co-munità multietniche.

    Ebbene, mentre fino ad oggi la for-midabile forza espansiva di questoprocesso era frenata da ostacoli poli-tici, come la confrontation fra i bloc-chi, e da quelli economici, come lepolitiche in varia misura protezioni-stiche, oggi la spinta crescente alla li-beralizzazione da parte della genera-lità dei paesi, trova la sua principalemolla nella preoccupazione, di certofondata, che, diversamente, si è esclu-si dalle opportunità dello sviluppo.

    Preoccupazione peraltro abilmentealimentata dai “sacerdoti” del merca-to i quali propongono appunto l’e-quazione: più libertà economica piùsviluppo; gabellando, con ciò, per unverso, una verità parziale - nel sensoche lo sviluppo ha effettivamente bi-sogno della libertà di intraprendere -come una verità assoluta di valorematematico, per nulla suffragata dal-la realtà, e usando, per un altro, il ter-mine sviluppo come sinonimo di pro-gresso. Lo sviluppo è il presuppostodel progresso, ma di per sé non lo ga-rantisce se per progresso si intende ungenerale progressivo miglioramentodelle condizioni di vita dei popoli.

    Da un’analisi degli effetti della glo-balizzazione si possono registrare al-

    GlobalizzazioneUn neologismo poliedrico

    di Benito Boschetto

    12

    d e n t r o i l g u s c i o

  • cune realtà dove ad una crescita eco-nomica corrisponde parallelamenteuna stagnazione se non addirittura unacrescita della povertà; e questo perchéla distribuzione non è avvenuta per dif-fusione, ma per accumulazione, con lacomplicità o l’assenza della politica.

    Chiavi di lettura

    Ci sembra quindi che il termine globa-lizzazione debba essere interpretato se-condo due chiavi di lettura: una ogget-tiva, come un fatto cioè, e quindi nonopinabile; una ideologica e quindi al-tamente opinabile o comunque da sot-toporre alla verifica della realtà.

    Secondo la prima chiave di lettura ilrapporto di ciascuno di noi con il mon-do è ogni giorno crescente e più fami-liare, attraverso i gesti, le visioni, le per-cezioni che, nello scorrere della vitaquotidiana, finiscono per annullare ledistanze, attenuare le differenze o co-munque ridurre lo stupore per le di-versità. Insomma nella nostra perce-zione psicologica, ma anche compor-tamentale, che costituisce un consoli-dato culturale, il mondo da “poliver-so” (prodotto della storia fino ad oggi)torna ad essere, anche in termini sociopolitici, “universo” (secondo una ve-rosimile interpretazione tendenzialedella storia da oggi in avanti).

    Un processo il cui dinamismo èinarrestabile e, nello stesso tempo,

    ricco di straordinarie potenzialità, solche si pensi alla capacità di fertiliz-zare rapporti di integrazione fra po-poli, culture, economie.

    In chiave ideologica, invece, l’as-sunto in base al quale il mercato, chesembra assumere sempre di più il ca-rattere di scienza “teologica univer-sale” (il Dio mercato) piuttosto che diuna scienza economica, è il luogo ditutte le virtù, appare il messaggio digrande successo se si stima che in po-chi anni il numero delle persone chevivono in sistemi ad economia dimercato, passerà da seicento milionia sei miliardi. L’assunto di base diquesta ideologia-religione, è, per leragioni dette, il primato del mercatoe, quindi, non solo la sua autonomiarispetto ad altri ordini, ma la sua stes-sa sovraordinazione. Il primato, infat-ti, nasce da questa visione, “divina-mente ispirata”, che determina il ruo-lo del mercato come dominante ri-spetto a qualsiasi altro potere, demo-cratico o no; capace per le sue intimevirtù, di autoregolarsi come sistemamondiale, indifferente o addirittura in-sofferente a qualsiasi vincolo di tipoqualitativo o largamente “politico”.

    Scontro di ruoli (non solo)

    La buona politica nelle regole dell’e-conomia è necessaria per ancorare losviluppo all’interesse della collettività.

    Il principio di accumulazione quanti-tativa, se non temperato da equi mec-canismi di distribuzione e da regole dirispetto di altri valori (dall’ambientealla lotta alla criminalità e allo sfrutta-mento ecc.), rischia una involuzioneselvaggia destinata ad accrescere ilvantaggio di pochi e il danno dei più.

    In sostanza, solo una globalizzazio-ne governata da regole ispirate a va-lori collettivi può sprigionare grandivirtualità di progresso e promuovereuna crescita equilibrata senza sfrutta-mento.

    Ma a questo fine si incontrano dueostacoli rilevanti di cui occorre avercoscienza: uno strutturale, legato allacrescente complessità dei processi deiquali l’innovazione e l’accumulazioneeconomica sono fattori dinamici ad al-ta velocità; uno politico-istituzionale,legato alla contraddizione tra il for-marsi di poteri economici e di interes-si di dimensione multinazionale cre-scente svelti nel gioco delle opportu-nità, da un lato, e ordinamenti giuridi-ci e politici a sovranità solo nazionale,e per giunta lenti a prevedere e reagi-re, ben poco contando gli organismi diregolamentazione internazionale.

    Il bilancio della General Electric è su-periore al bilancio statale dell’India;quale rapporto fra poteri concreti del-l’economia reale (intrinsecamente “po-litici”) ed i poteri politici tradizionali?Gli stati nazionali, ci dice l’Istituto del-l’Economia Mondiale di Kiel con una

    13

    d e n t r o i l g u s c i o

  • metafora, diventano “albergatori” chedevono attirare il capitale mondiale.

    Visioni e allucinazioni

    Ma anche qui, quale capitale e perche cosa, se è vero che uno degliaspetti più rilevanti, ma anche in-quietanti di questa evoluzione, stanella crescita delle reti finanziariepiuttosto che dell’economia reale, alpunto che viene autorevolmente cita-to il dato sconcertante in base al qua-le solo il 2% dei movimenti di capi-tale corrisponde agli scambi di beni edi servizi? Ed è difficile immaginareche la restante quota del 98% vada aprocessi di sviluppo reale distribuito.

    Analogamente, nelle dinamiche chesi sono scatenate sul mercato del la-voro, la concorrenza al ribasso ali-menta lo sviluppo delle aziende conlo sfruttamento delle aree più depres-se, prive di qualsiasi protezione so-ciale del lavoro, abbandonando learee di originario sviluppo. Dietroquesta apertura e visione globalistica,potrebbe crescere, infatti, una sorta dideresponsabilizzazione degli im-prenditori verso il loro Paese e lerealtà sociali nelle quali sono nati ecresciuti. Una cosa è una politica diinvestimenti in aree da sviluppare; al-tra cosa è la delocalizzazione, cometrasferimento reale che genera nuovepovertà, per rilocalizzare in aree me-no progredite, giocando soprattuttosul basso costo della manodopera,che in qualche caso ha prodotto, an-

    che nei paesi avanzati, quel processoche passa sotto il nome di workingpoor: lavoratori di Paesi ricchi (nelGalles per esempio o in Westfalia)che guadagnano salari più bassi dipaesi del sud del mondo.

    Le ragioni dello sviluppo umano

    Se, come è difficile negare, l’impresaè sempre più istituzione sociale, lecomprensibili ragioni dell’economiadevono contemperarsi con le sacro-sante e più ampie ragioni dello svilup-po economico, civile e umano dellecomunità. Vale ricordare che questoassunto è stato nel secolo scorso ilcampo di battaglia nel quale, nei pae-si sviluppati, si sono raggiunti faticosiequilibri attraverso durissimi e costo-sissimi conflitti storici, sociali e politi-co-ideologici di classe e di interessiche, nelle realtà locali, erano ben iden-tificabili. Quali garanzie può dare ecosa può produrre una realtà molto piùsfuggente, non solo per le dimensioniche vanno ben al di sopra dei poteri lo-cali, ma anche perché facendo riferi-mento non più a persone fisiche, ma arealtà giuridiche di lontana provenien-za e astratta identificazione e, quindi,molto meno sensibili e molto menosollecitabili moralmente e psicologi-camente, interpreta il ruolo e le re-sponsabilità sociali dell’impresa consensibilità molto affievolite?

    Il dibattito su queste contraddittorieevoluzioni fra crescita e progresso,che il mondo va registrando con la

    globalizzazione, è aperto, mentre pre-potente emerge l’appello ad un ruolopiù adeguato della politica, essendodiffusa l’impressione che, in genera-le, rispetto alla globalizzazione, «l’e-conomia gestisce, la politica subisce».Appaiono fenomeni discutibili, ma si-gnificativi di rifiuto della globalizza-zione come in Francia, dove si è co-stituito un movimento contro di essa,mentre ovunque la forza travolgentedell’economia di mercato continua lasua marcia e gli aspiranti al banchet-to dello sviluppo sono sempre più nu-merosi e disposti a tutto.

    Se però continuerà ad essere il ban-chetto di Erode, il futuro sarà segnatodalla crescente tensione fra ricchi epoveri: dove i primi saranno semprepiù ricchi e sempre meno (questo dal-le statistiche ONU) e dove i poveri sitroveranno, loro malgrado, semprepiù numerosi, ma tendenzialmentepronti a saldarsi, in una nuova soli-darietà di classe, fra i vecchi poveri ei nuovi poveri nei Paesi ricchi. E forsequesto è il vero grande rischio delpossibile conflitto globale che il futu-ro potrebbe riservarci: la globalizza-zione può giocare, rispetto a questeprospettive, il ruolo del pompiere oquello dell’incendiario.

    All’impegno, soprattutto politico, ditutti sta il tenere deste le coscienzecon la riflessione e l’azione.

    Benito Boschettoeconomista,

    già presidente del Consigliodi Borsa di Milano

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    d e n t r o i l g u s c i o

    i s c r i v i t i a M a c o n d oa b b o n a t i a M a d r u g a d a

    «Macondo è associazione che fa aprire gli occhi…che aiuta l’individuo, la persona, a trovare se stesso per trovare l’Altro,

    per entrare in rapporto con l’altro.«Macondo è incontro, è luogo gratuito per incontrare gli Altri…

    «Macondo è stato il risveglio della mia personalità…«Macondo è luogo dove l’Altro legge nel mio volto e me lo fa scoprire».

    [Dalla verifica dei giovanial termine del Camposcuola Macondo 1

    Amelia, 27/7 – 2/8/1997]

    Resta al nostro fianco anche nel 1998.Investi ancora su Macondo. Aiuta l’uscita di Madrugada.

    Continua la campagna adesioni 1998.La quota rimane fissata a lire 50.000 e comprende anche l’invio di Madrugada.

  • Una favola

    «Budda raccontò una parabola: unuomo che camminava in un campo siimbatté in una tigre. Giunto ad unprecipizio, si afferrò alla radice di unavite selvatica e si lasciò penzolare ol-tre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto.Tremando l’uomo guardò giù, dove,in fondo all’abisso un’altra tigre loaspettava per divorarlo. Soltanto la vi-te lo reggeva. Due topi, uno bianco euno nero, cominciavano a rosicchia-re pian piano la vite. L’uomo scorseaccanto a sé una bellissima fragola. Af-ferrandosi alla vite con una mano so-la, con l’altra spiccò la fragola. Com’e-ra dolce!».

    [da Centuno storie Zen]

    «Per quanto tu cammini e percorraogni strada, non potrai raggiungere iconfini dell’anima, tanto è profondoil suo logos (essenza)».

    [Eraclito]

    Ricordi

    Da qualche tempo riemerge, di tantoin tanto, alla mia memoria un ricordodell’infanzia: il pianto di mio padre alritorno dalla campagna. Una grandi-nata aveva distrutto il raccolto dellanostra vigna.

    Ero rimasto come pietrificato. Era unuomo forte, papà, saldo, vigoroso co-me le sue solide mani di contadino.Ed anche ironico. Come spesso i po-veri. Ma il mio cuore irrigidito di bim-bo si sciolse subito perché la mammal’avvolse con un grande abbraccio egli asciugò le lacrime con baci. Nonseppi quello che gli mormorò. Il ge-sto però parlava da sé.

    Sì, l’ho imparato da piccolo: anchegli uomini forti piangono quando lasventura si abbatte con la voracità de-gli avvoltoi, felici di straziare, a pocoa poco, la carne dell’esistenza. Da al-lora ho intuito, sul momento oscura-mente, la sacralità delle lacrime cheprorompono dal soffrire. Perché di-cono la dimensione tenebrosa dellacondizione umana, che avvilisce lavita nell’insignificanza: il dolore èinumano. Ha fisionomie purtropposenza numero questa maledizione.

    Lacrime silenziose

    Volti doloranti, perché il corpo è ag-gredito da una malattia. Volti strazia-ti dalle ferite dell’anima, che non tro-va pace. Volti attoniti dei delusi dallavita. Volti amareggiati degli scorag-giati che si sperimentano incastrati inun vicolo cieco. Volti disperati di chiè logorato da una solitudine senza ri-medio. Volti angustiati dei vinti, lemani sanguinanti per i cocci di un im-pegno finito nel nulla.

    Volti spezzati dei perseguitati, de-gli oppressi, dei calpestati dai lorosimili. E volti... volti sofferenti percento e mille ragioni. Lacrime ac-

    Babele,la cultura dell’immagineIl viatico illusorio di un rassicurante mito

    di Giuseppe Stoppiglia

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    c o n t r o c o r r e n t e

  • compagnate da sussulti, grida, moz-ziconi di parole. E lacrime silenzio-se. Forse le più atroci. Gridano la di-sperazione con la potenza di un si-lenzio che non si attende più alcunaconsolazione.

    Sacralità delle lacrime. Perché rive-lano la dimensione tragica dell’esi-stenza che ci affanniamo a nascon-dere sotto l’eccitazione attivistica, ouna valanga di chiacchiere, o di pa-role altisonanti, vuote come ogni re-torica. Sacre da accogliere, con la ri-verenza che ti è chiesta di fronte almistero.

    La speranza è che le nostre lacrimesiano raccolte con l’immediatezzadella tenerezza di mamma. Atrocequando cadono nel silenzio di un an-golo della stanza...

    Faceva la cameriera a Vipiteno, inun alberghetto di quelli non troppochic. Il sabato sera scendeva in di-scoteca, a sentire la musica e a farequalche giro timido con i soldati dipassaggio. Una volta (le avevo chie-sto una forbice, era all’asse da stiro,tra mucchi di biancheria da tavola eda camera), d’improvviso, scoppiò inlacrime dirotte e così venne fuori lasua storia. Il bambino ed il padre ric-co, che non dava un soldo, dopoaverla piantata e la nonna poverettache s’era fatta forza per tenerla, colpiccolo innocente, a testa alta. «Hogli occhi rossi? Giù, non dica niente».

    A tutti vorrei dire il tuo coraggio,

    dolce ragazza-madre di Vipiteno, e lavergogna dell’uomo che ti tolse il fio-re dei tuoi liberi vent’anni!

    Due questioni intrecciate

    Se fossi sacerdote a Rio de Janeiro, onel Messico, sarei un teologo dellaliberazione. Invece ho a che fare conpersone dell’Italia ed europee. Nel-la città da cui provengo, nonostanteci siano problemi sociali e razziali,la sofferenza è essenzialmente psi-cologica: dipendenza, servitù, etero-nomia.

    Nella nostra società è sempre piùdifficile tenere liberi spazi in cui gliuomini possano sentirsi compresi. Lapressione a fare, lavorare, rendere, es-sere perfetti, cresce continuamente.Gli uomini e le donne sono diventatitutti parte di un processo produttivo:ma valgono qualcosa prima di tuttocome persone. Sincerità, bontà, valo-ri umani valgono molto più delle ci-fre della produzione e delle vendite.Visto che viviamo in un mondo co-mune, le domande del terzo mondonon possono più essere separate dal-le questioni che riguardano il primomondo. Per questo credo che le que-stioni psicologiche e sociali costitui-scano un’unità. Vorrei proporre l’altrolato della teologia della liberazione:non è possibile liberare la società senon si libera l’uomo. Non si può li-

    berare l’uomo, se non liberandolo da-gli intrecci, dal coinvolgimento instrutture disumane. Si può fuggire al-la durezza della realtà, occupandosisoltanto e unicamente di se stessi... inquesto caso la psicoterapia diventa fi-ne a se stessa. Oppure ci sono perso-ne che fuggono nell’impegno politicoper non conoscere ed affrontare sestessi. Proiettano i loro sentimenti po-co chiari nelle strutture sociali. È unacosa, questa, non poco pericolosa.

    Dal simboloall’immagine vuota

    Se ipotizzassimo un mondo material-mente ordinato, il sentimento del-l’angoscia, della mancanza del pro-prio valore, della mancanza di senso,sarebbero dei sentimenti che ancoradi più tormenterebbero l’uomo.

    Gandhi sapeva che la non violenzapoggia sulla libertà dall’angoscia: fin-ché gli uomini avranno angoscia epaura saranno violenti. Il genio diGandhi consisteva nel fatto che ve-deva la dimensione psicologica unitacon la dimensione politica e rivolu-zionava entrambe le dimensioni inbase ad una convenzione religiosa.

    «Quando la proliferazione delle co-se materiali diventa la misura del pro-gresso del vivere, quando la ricchez-za occupa una posizione più alta del-la saggezza, quando la notorietà è più

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    c o n t r o c o r r e n t e

  • ammirata della dignità e quando ilsuccesso è più importante del rispet-to di sé, vuol dire che la cultura stes-sa sopravvaluta l’immagine e deve es-sere ritenuta narcisistica».

    [A. Loven]

    Ormai le nostre città sono diventa-te un “labirinto di immagini” e noi vi-viamo in una società stregata dalleimmagini, ma che ha perso il sensodel simbolo.

    L’immagine della realtà si sostituiscealla realtà stessa. È questo l’aspettoidolatrico presente. L’idolo nascequando l’uomo non si dà divieti, nonaccetta e non si fissa limiti: allora eglivuole tutto, subito, accanto a lui esenza tenere conto degli altri.

    La seduzionedel Grande Fratello

    L’idolo è una forza che perverte l’uo-mo, gli fa imboccare e percorrere stra-de di morte in cui egli, lo sappia o no,arriva a perdersi.

    In momenti di passaggio da un as-setto socio-politico ad un altro, di in-stabilità sociale, di crisi del principiodi autorità, di incertezza etica e an-che di crisi delle religioni storiche chelasciano spazio al diffondersi di un re-ligioso selvaggio e sincretistico, sorgeil bisogno di trovare un’immagine chefondi e rinsaldi l’identità collettiva epersonale: l’idolo svolge questa fun-zione rassicurante.

    La disgregazione che affligge tantol’individuo quanto la società (si pen-si alla crisi dell’istituzione familiare)non costituisce, forse, il terreno adat-to per una risposta forte, che ricom-patti valori ed istituzioni in frantumi,o almeno che si presenti con questaimmagine?

    Nell’idolo il divino si identifica conun volto familiare, con un manufattoumano. L’idolo abolisce la distanzacon Dio e nega la sua alterità: l’idoloè un divino personalizzato e resoinoffensivo, è costruzione umana, è«dio e immagine dell’uomo» che pro-tegge la città, che rassicura la comunità,che in esso riceve identità e che da essoè liberata dalla paura e destinata alla fe-licità.

    Ma la paura e la tristezza sono pro-prio le due emozioni fondamentaliche il narcisista rimuove, presentan-do un’immagine perennemente sicu-ra di sé e sorridente perché partecipe,

    anzi detentore, della felicità che pro-mette agli altri nella sua opera di se-duzione, per ottenere il potere!

    Per questo la politica arriva spessoa suscitare idoli: il Grande Fratello, ilGrande Timoniere, l’uomo di cui c’èbisogno devono essere divinizzati: fat-ti dei, essi scongiurano il divino o, piùvolgarmente, il destino.

    «L’idolatria dà la sua vera dignità alculto della personalità, quella di unafigura familiare, domestica del divino»

    [J. L. Marion].

    Verso la Babele sorridentedell’omologazione

    Dalla frammentazione del tempo ne-gli innumerevoli tempi giustapposti eincalzanti, imposti dai frenetici ritmisociali, dalla scomposizione analiticadel corpo fino alla sua riduzione a ca-po feticcio, operata dal linguaggiopubblicitario della società dei consu-mi, dall’atomizzazione della societàsorge un bisogno di unità.

    Il rischio è quello idolatrico di Ba-bele, del totalitarismo. Nella sperso-nalizzazione dei rapporti la distanzadal potere può essere abolita da unvolto familiare, che entra nelle casedi tutti grazie a quel potente distribu-tore di immagini che è la televisione.

    Ma, soprattutto, è questa abolizio-ne della distanza, che la televisioneprovoca, che può innestare una suastrumentalizzazione idolatrica, al fi-ne, cioè, di conquistare consenso epotere.

    La fine delle ideologie, spesso as-sunte a sistemi idolatrici, non ha can-cellato i bisogni e i problemi a cui es-se cercavano di rispondere. Il rischio,ora, è quello di dare risposte ugual-mente idolatriche, seppure di altro se-gno e in un’altra forma.

    Il seme di una grandeseparazione

    Io dico, però, che la primavera è na-

    scosta in questo inverno. Proprio al didentro dell’animo giovanile, cheascolto con devozione ed umiltà, c’èil seme della ripresa, perché al di den-tro del loro negativismo si trova, co-me sempre in ogni generazione, lanascita della loro libertà interiore, lapossibilità di essere parola nuova nelmondo.

    Mai nasce uno spirito libero, capa-ce di chiamare «sepolcri imbiancatipieni di ipocrisia» i saggi del suo tem-po, tronfi solo dell’altrui silenzio e diuna vecchiezza che scambiano persegno del divino (Mt. 23,27), se nonvive nella sua carne una grande se-parazione. Poiché questa voglia di es-sere parola nuova freme nell’animo diogni ragazzo non ancora spento dal-le nostre minacce di abbandono, nelloro animo c’è una voglia irresistibiledi spezzare lacci, di oltrepassare nor-me, di individuare possibili gesti ico-noclastici.

    Non è che non sentano il rispetto ditutto ciò che è degno e venerato daisecoli, ma più forte è il bisogno di an-dare avanti, di scoprire cosa c’è die-tro la siepe, di non contentarsi di fa-cili certezze che sanno di oppio deiloro spiriti.

    Il dilagare del tag (quegli illeggibilisegni) sui muri, vagoni ferroviari, au-tobus, metropolitane, ci ricorda checon un nuovo universo occorre fare iconti.

    Provvidenzialmente, ci ammonisceche la colpa di averli fatti nascere,questi giovani, non si estingue con isoldi, ma solo prendendoli in consi-derazione e costruendo un mondodove ci sia soprattutto posto per loro.

    Pur sapendo quanto può condurrelontano una voglia selvaggia di rottu-ra (e quanta gente c’è ancora “sullastrada” e con niente in cuore), ci do-mandiamo chi deve dire ai grandi diquesto mondo che sotto il loro per-benismo si annidano crimini ed in-giustizie, che impediscono una vera,dignitosa pace tra i popoli e l’avven-to di una civiltà dell’amore?

    Non c’è da avere paura delle nubiminacciose o delle tempeste inverna-li. Come il mondo non ebbe paura diquelle ombre che coprirono la terraquando il giusto crocifisso ci lasciòsoli e ci sembrò che ogni luce avesseabbandonato l’umanità.

    Pove del Grappa, 5 maggio 1998

    Giuseppe Stoppiglia

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    c o n t r o c o r r e n t e

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    m a c o n d o i n f e s t a s o t t o l a m o l e

    INCONTRO CON I TESTIMONI“Sala da Ponte” con il patrocinio del Comune di Bassano

    Rosalina Tuyuc -Guatemala- deputato,leader Movimento Liberazione Indios e Campesinos Khalida Messaoudi -Algeria- scrittrice, deputato,

    leader movimento Liberazione della DonnaCarlos Belle -Brasile- leader movimento Sem Terra John Hume -Irlanda del Nord- deputato cattolico,

    attivista per la pace nell’UlsterBenito Boschetto -Milano- direttore Borsa di Piazza Affari

    Michele Del Gaudio -Salerno- magistrato...e altri

    coordina Giuseppe Stoppigliapresidente Macondo

    PRANZO COMUNITARIOpresso ristorazione Centro Giovanile

    ESTRAZIONEsottoscrizione a premi

    NEL POMERIGGIO I GRUPPI ADERENTIPROPONGONO IL LORO IMPEGNO E I LORO PROGETTI

    Musica latino americana dal vivo conSCUOLA DI SAMBA BEJA FLOR

    I BERIMBAO

    CHIUSURA FESTA

    31maggio ’98 Centro Giovanile Bassano del Grappa

    ore10.00

    ore13.00

    ore17.30

    ore21.00 ABCAIZO

    AMANECER EQUADORAMICI DELLA PALESTINA

    AMICI SEM TERRASAMNESTY INTERNATIONAL

    AMURTASS. BRASILIANI DEL VENETO

    ASS. CASA A COLORIASS. ISLAMICA LA PACE

    BA’HAIBEATI I COSTRUTTORI DI PACE

    BILANCI DI GIUSTIZIACARAPIRÁ

    CENTRO TZONG KHAPACOMMERCIO EQUO SOLIDALE “LA MANNA”

    CISVCRECHE SEM FRONTEIRAS

    FEIJOADAGIT BANCA ETICA

    IL CERCHIOL’ABBRACCIO

    LAVLOMA SANTA

    MACONDOMEDICI SENZA FRONTIERE

    OMGROBE DELL’ALTRO MONDO-MANI TESE

    SÃO MARTINHOSURVIVEL

    TONEL... e alti gruppi ancora

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    er

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    co

    no

    La paginadei lettori

    a cura di Corrado Borsetti

    Apriamo con il prossimo numerodi Madrugada uno spaziodedicato ai lettori: lettere,

    domande, appunti, suggerimentiper fare parlare tutti…

    La redazione è convinta che ilettori possano essere anche

    scrittori: mandate le vostre idee,BOMBARDATE IL QUARTIER

    GENERALE (qualcosa resterà inpiedi), qualcuno risponderà.

    Abbiamo bisogno di unacomunicazione interattiva.

    Sono gradite le opinioni diverse,anche di dissenso.

    L’indirizzo è:“Sotto la mole”

    Associazione MacondoVia Romanelle, 123

    I - 36020 Pove del Grappa (Vi)Fax 0424 / 80.81.91

    E-mail [email protected]

  • Se si mette piede oggi a Mosca, cittàdagli 850 anni di storia, fulcro delcommercio e avamposto di modernitàeconomica e culturale, ci si trova difronte ad una metropoli nostalgica edisorientata, confusa e disordinata,iniqua e pericolosa. Se si chiede, achi pensa ancora che un’economiapianificata dia performance più ele-vate rispetto ad una di libero merca-to, come mai ciò non sia avvenutonei paesi che hanno vissuto questaesperienza, sicuramente dirà che ciòa cui abbiamo assistito nell’est Euro-pa non è socialismo.

    Quando ci si riferisce ai fenomenidi concentrazione della ricchezza, al-la incapacità di tutelare il più debole,alla perdita di identità della personae alle distorsioni della società consu-mistica, tanto per citarne solo alcuni,si vuole sicuramente segnalare le ano-malie endogene del libero scambio.Ormai, di ciò, nessuno più si stupisce.

    Viceversa, tutti sono convinti che lasomma algebrica tra i benefici ed imalefici sia massima in un’organiz-zazione economica capitalistica.

    Focalizziamo la nostra analisi aquella che veniva chiamata UnioneSovietica ed ai paesi che da essa po-liticamente dipendevano. Così Eltzyn,in un incontro con Russia Democra-tica il primo giugno del 1991, ha rias-sunto l’esperienza socialista dell’U-nione Sovietica: «Il nostro paese nonè stato fortunato. Infatti, fu deciso dicondurre l’esperimento marxista su dinoi - il destino – più precisamente, cispinse in questa direzione. Piuttostoche da qualche paese africano, l’e-sperimento cominciò da noi. E noiabbiamo alla fine dimostrato che nonv’è nessun luogo adatto a simile idea.Essa ci ha solo sospinti lontano dallavia che i paesi civilizzati del mondohanno imboccato. Tutto questo è og-gi chiarissimo, quando il 40 per cen-to della popolazione vive sotto il li-vello della povertà e oltretutto in co-stante umiliazione, allorché riceveprodotti sotto forma di tessere anno-narie. È un’umiliazione continua, unpromemoria che ad ogni ora ti ricor-da la tua condizione di schiavo inquesto paese».

    I sognie le contraddizioni

    Il cittadino medio sogna il comuni-smo; sogna l’immagine di potenzache l’Unione Sovietica di 10 anni faaveva. Si dimentica che a ciò ha sa-crificato il proprio benessere. Sognala superpotenza, disprezza l’operatodi Gorbaciov; ama, però, la Coca co-la ed il monopattino. Non si ricordapiù delle file per il pane; si lamentache il rublo perde di valore, che neinegozi più forniti i prezzi sono indi-cati in dollari; vuole, però, essere sti-pendiato in tale valuta. Prova invidia

    La finedel modello sovietico

    di Diego Baldo Sonda

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    a l l a f i e r a d e l l ’ e s t

  • per chi si arricchisce in fretta, lo defi-nisce mafioso ma non ha il coraggiodi tentare la libera impresa, di lavora-re un po’ di più del minimo.

    In metropolitana si trova uno sfar-zo ostentato e decadente tipico dichi è povero e non lo vuole far ve-dere. È in quella rete di gallerie aprofondità vertiginosa, a metà stradatra rifugio antiatomico e mercato diprezzemolo, che ogni giorno passa il90% della popolazione: solo il 10%può permettersi un mezzo di tra-sporto alternativo. Se si esce in unadelle 167 stazioni, ci si guarda attor-no, si vede ogni sorta di veicolo: tut-ti con almeno 10 anni alle spalle,tutti da buttare, tutti, però, in regolacon la ferrea revisione annuale. Ci siaccorge che il papà porta a scuola ifigli con il camion da cantiere, in-tralciando disinvoltamente il trafficoed esibendo il proprio privilegio. Inauto si incappa inevitabilmente in unvigile il quale riconosce subito lostraniero, la sua nazionalità e non silascia scappare la possibilità di far-gli una multa.

    In periferia ci si rende conto che iltempo si è fermato se non fosse perqualche grattacielo di 20 piani chequa e là si erge nella verde distesaquasi sempre violentata da una scar-sa sensibilità per l’ambiente. Vi si puòincontrare una bambina che porta alpascolo una mucca o la mamma chela munge; un contadino che cerca diriparare alla meno peggio il tetto del-la sua casa in legno o una vecchiache raccoglie legna per il caminettovisto che il teleriscaldamento dellacittà sino a lì non arriva. E ancora, unoperaio che, preso in affitto un fazzo-letto di terra, pianta patate, cipolle everze per venderle lungo la stradadella capitale.

    Un errore strategico

    Col senno di poi, si può sicuramenteaffermare che almeno un errore è sta-to compiuto nella visione strategicadei fautori dell’U.R.S.S.: non hannoconsiderato che l’economia pianifi-cata è il passo successivo all’econo-mia di libero mercato. Quest’ultimariesce a massimizzare i vantaggi del-la collettività ma non riesce a ripar-tirli in modo equo. In uno stato conburocrazia efficiente dove l’econo-mia di mercato ha fatto il suo corso,la pianificazione economica dovreb-

    be dirottare risorse in ambiti alta-mente rischiosi (ricerca scientifica) oche non danno opportunità di profit-to (stato sociale, produzione di servi-zi in situazioni antieconomiche ecc.).L’economia pianificata dovrebbe an-che tutelare da strane curve di utilitàdell’imprenditore per le quali que-st’ultimo decide di distrarre voluta-mente ricchezza dal circuito econo-mico.

    Quando nel ’17 si decise di instau-rare in Unione Sovietica uno statocollettivista, questo principio non fuper niente considerato. Il risultato èche, mentre riuscì a sopportare la sfi-da con l’occidente durante i primiquarant’anni di vita (quando per con-dizioni di partenza e per disponibilitàdi risorse la competizione era abba-stanza facile), l’organizzazione delmondo sovietico e parasovietico nonsi è dimostrata all’altezza di gestire lacomplessità emergente alla fine delmillennio. I tassi di crescita sbalordi-tivi ottenuti sino agli anni ’50 hannolasciato il posto ad un galleggiamen-to nella seconda metà del secolo.

    Principalmente ciò è accaduto per-ché la burocrazia russa non era pre-parata a sopportare un tale sforzo eperché il senso di riconoscimento del-l’individuo era frustrato dall’appiatti-mento sull’uguaglianza.

    Lo scogliodella complessità

    Chi pensava fosse sufficiente un cal-colatore più potente per poter risol-vere problemi di programmazione piùcomplessi e cogliere la realtà che siandava complicando, si è scontratocon la necessità dei funzionari sovie-tici di cambiare numerosi prezzi algiorno per cercare di raggiungere l’e-quilibrio macroeconomico. Quandoanche ad essi fu chiaro che non si po-teva continuare a rincorrere la com-plessità, si tentò di adattare la realtàal modello macroeconomico (si limi-tavano, ad esempio, le varianti deiprodotti) e si ipotizzò che quella siidentificasse con questo. Tutti ricor-diamo le code dei cittadini russi da-vanti ai negozi semivuoti. Tutti ricor-diamo, cioè, le conseguenze di un’in-flazione repressa, di un aumento deiprezzi cancellato per decreto. La de-bolezza intrinseca della burocraziaabbinata ad una forma di stato total-mente centralizzato ha fatto il resto.

    Infatti, chi riesce ad infiltrarsi in unflusso monetario e si avvantaggia diun decimale del valore di ogni unitàprodotta di un determinato bene, siarricchisce in modo veloce visti glienormi volumi in ballo. Questo, as-sieme ad altro, ha amplificato enor-memente la propensione all’immora-lità e ad un uso strumentale della pro-pria posizione ed ha impedito l’ap-propriata distribuzione delle risorse.Questo modus operandi, a Mosca, eraed è ben visibile. Il ricorso al cliente-lismo è la prassi. All’amico del frutti-vendolo non mancava mai la fruttaanche se il negozio era completa-mente vuoto. Ora l’amico del funzio-nario del tesoro non ha grosse diffi-coltà per ottenere l’autorizzazione peraprire una nuova banca. I dati ma-croeconomici, se ce ne fosse bisogno,confermano questo stato di cose. Iltasso di efficienza della spesa pubbli-ca si va progressivamente abbassan-do. La ricchezza si concentra con unavelocità sconosciuta ad un paese ca-pitalista. L’aumento della criminalitàorganizzata denota la necessità di unaaffiliazione con chi riesce ad infiltrar-si negli apparati statali.

    La mancanza di differenziazione so-ciale tra chi è economicamente meri-tevole e chi no provoca la mancanzadi impegno e abbassa la produttivitàdel lavoro. Si è tentato di sostituire laspinta generata dal perseguimento delproprio interesse con altri ideali, colpatriottismo per esempio: a Mosca nelgiro di 3 anni si sono costruiti 3 im-portanti monumenti: il parco checommemora la vittoria della Secondaguerra mondiale, la chiesa del Salva-tore e sulla Moscova il Monumentoalla marina ed una sola importanteopera pubblica, il ponte che unisceMosca alla City. Ma l’esperienza mo-stra che tali surrogati non sono altret-tanto pregnanti. A Mosca, spesso sisente dire che il russo finge di lavora-re e lo stato finge di pagarlo.

    Quello a cui abbiamo assistito inest Europa non è una cattiva inter-pretazione dei padri dell’U.R.S.S.dell’economia collettivista, è il risul-tato pratico dell’applicazione dellastessa ad una società di uomini chehanno come spinta primaria il biso-gno del loro riconoscimento. Quelloa cui abbiamo assistito nell’est Euro-pa, allora, è il miglior socialismo pos-sibile.

    Diego Baldo Sonda

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    a l l a f i e r a d e l l ’ e s t

  • Premessa

    Ci sono molti modi per far torto ad unpopolo. Applicare schemi riduttivi esemplificazioni sulle ragioni della suasofferenza, ad esempio, è uno di que-sti.

    L’Algeria vive da sei anni una guer-ra civile sanguinosissima (le statisti-che vanno dai 60.000 ai 100.000morti), che non sempre la stampa in-ternazionale tratta con il rigore infor-mativo che una situazione tanto com-plessa merita. Piuttosto si preferiscerilanciare categorie manichee in oc-casione di ogni massacro.

    Lo scopo di queste poche paginenon è quello di suscitare l’ennesimoe sempre doveroso sdegno davanti al-lo sterminio brutale di migliaia di in-nocenti, ma quello di fornire alcunielementi di analisi perché la riflessio-ne possa accompagnare lo sdegno erenderlo indelebile.

    Indipendenza dell’AlgeriaGoverno e militari

    L’Algeria ha conquistato l’indipen-denza dal colonizzatore francese nel1962, dopo 132 anni di occupazio-ne. Tra gli attori principali della guer-ra di liberazione algerina, l’esercitopopolare di liberazione nazionale(Aln) ebbe un ruolo fondamentale,conquistando l’ammirazione e il ri-conoscimento dell’intera popolazio-ne algerina. Dopo la vittoria, l’Alnvenne a costituire lo scheletro dellaclasse politica algerina. Questo vin-colo tra esercito e governo sarà tra leprime cause delle difficoltà algerine asviluppare una società realmente de-mocratica e pluralista.

    Nel 1965 il Fronte di LiberazioneNazionale, espressione politica dellaclasse militare, diventa il partito uni-co; con il presidente Boumedienneinizia una politica caratterizzata daun tentativo di sintesi tra un’econo-mia socialista e l’islam, interpretandoquest’ultimo come una connotazioneculturale del popolo algerino da re-cuperare dopo gli anni della coloniz-zazione francese. Un particolareesempio di “concessione” del gover-no alle istanze religiose fu la promul-gazione nel 1984 del “Codice dellafamiglia”, unico elemento “coranico”in una legislazione laica, in cui ladonna venne relegata ad una condi-zione di “minorenne a vita”, con mol-ti dei suoi diritti civili gravemente am-putati.

    Nei venticinque anni successivi al-la liberazione le speranze della po-polazione algerina venivano progres-sivamente deluse da un governo che,oltre a ritardare il passaggio al plura-lismo, non era in grado di controlla-re un crescente impoverimento dellasocietà, malgrado le grandi risorse delpaese, rappresentate soprattutto dallefonti energetiche. L’alto tasso di di-soccupazione si scontrava con la cre-

    Il difficile passaggioal pluralismoDue passi indietro e lo sforzo di capire

    di Barbara Fabiani

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    a l g e r i a

  • scente corruzione del governo, unconfronto particolarmente frustranteper la popolazione.

    Nella sostanza dei fatti, l’obiettivodi realizzare la giustizia sociale at-traverso gli ideali del socialismo ven-ne progressivamente meno, cedendola priorità agli interessi particolaristi-ci della classe dirigente. Seppure nondobbiamo immaginare una dittatura“esplicita” come quelle latino ameri-cane, lo status quo finì per consoli-darsi intorno ad un governo sostenu-to dalla classe militare (si noti, tran-ne in due casi, che tutti i presidentidell’Algeria sono stati generali o co-munque militari, così come chi oc-cupa le poltrone ministeriali più im-portanti).

    La rivolta del cus cuse infiltrazioni islamiche

    La prima manifestazione pubblica dirilievo di questo malessere fu la cosi-detta “rivolta del cus cus” del 1988.Migliaia di algerini si riversarono nel-le strade chiedendo maggiore equità,ma l’esercito, chiamato a ristabilirel’ordine, aprì il fuoco sui manifestan-ti, provocando oltre 500 vittime. Ladinamica e le responsabilità di que-sto attacco non vennero mai chiarite.Da quel giorno il patto tra algerini egoverno venne definitivamente spez-zato e tra i frantumi di questa rela-zione s’inserirono anche nuovi attoripolitici inaspettati. La rivolta del cuscus non aveva una matrice religiosa,essa era un’esternazione del disagiopopolare, ma i coordinamenti islami-ci, che avevano saputo tessere unatrama di associazioni e di iniziativesociali nel tessuto algerino, lì dove eraassente lo Stato, raccolsero la rabbiadella gente per l’ingiustizia subita.

    Nel 1989 una nuova Costituzioneintrodusse il multipartitismo: hannopossibilità di presentarsi alle elezionipartiti di opposizione, tra cui i laicidel Fronte delle Forze socialiste, l’U-nione per la Cultura e la Democrazia,Ettahaddi (partito d’avanguardia co-munista). Ma si presentarono anchepartiti d’ispirazione islamica: il Fron-te islamico di Salvezza (Fis) fondatoda Abassi Madani, congiuntamentecon l’Iman (capo religioso) AliBenhadj, con l’intenzione dichiaratadi instaurare in Algeria uno Stato isla-mico, cioè teocratico.

    Fu quella una concessione dovuta

    al riconoscimento di una rappresen-tatività delle formazioni islamiche, ofu dovuta ad un’incauta sottovaluta-zione dei problemi che avrebbe crea-to questo precedente, nella convin-zione di poter mantenere quel con-trollo sul rapporto tra governo e reli-gione che fino ad ora non aveva po-sto rischi per la stabilità del potere?Fin dall’inizio questo partito si divisenella scelta dei mezzi per raggiunge-re lo scopo di costituire uno Stato isla-mico. La scelta si poneva tra l’uso del-le istituzioni democratiche e la con-quista armata. Per la seconda opzio-ne si schierò Mansouri Méliani il qua-le fondò, proprio nel 1989, il primogruppo armato islamista, il Mia (Mo-vimento islamico armato).

    Il Fronte islamico alleelezioni del paese

    Il 1992 è l’anno che molti indicanoessere quello dell’inizio della crisi, inrealtà la crisi era già una realtà in Al-geria. Il Fronte Islamico di Salvezzavinse il primo turno delle elezioni. IlFronte delle Forze Socialiste orga-nizzò una grande mobilitazione a fa-vore della democrazia che volevafermare sia il Fis che i militari, la qua-le ebbe un grande successo, ma re-stava incerto l’esito per il secondoturno delle elezioni. La vittoria del Fisal primo turno aveva scioccato il go-verno il quale, sotto gli occhi altret-tanto allarmati dell’Occidente, si af-frettò a sospendere le elezioni con un“golpe bianco”.

    Questa decisione è stata commen-tata in molti modi. Alcuni hanno det-to che, se si accoglie un partito nelgioco democratico delle libere ele-zioni, è necessario rispettare la vo-lontà popolare e riconoscere il suc-cesso anche di quelle formazioni lacui tradizione politica non si condi-vide, lasciando poi al livello delleistituzioni democratiche (il parla-mento e il potere esecutivo) il com-pito di gestire questa presenza. Altrihanno invece sottolineato che il plu-ralismo finisce dove inizia il perico-lo per la democrazia.

    Il programma del Fis aveva dei con-tenuti seriamente anti-democratici, eprobabilmente l’Algeria non era sta-ta capace di sviluppare istituzioni agaranzia della democrazia abbastan-za solide per sostenere la sfida. Il ti-more comune, espresso sia dall’op-

    posizione laica, tra cui associazionidelle donne, che dall’Occidente, erache si ripetesse in Algeria l’esperien-za di Teheran. Il rischio che, sospen-dendo le elezioni, si aprisse un con-flitto, era presente a tutti. Certamen-te la scelta del governo, e dell’eser-cito dietro di esso, fu di raccogliere itimori di molti con lo scopo di man-tenersi al potere.

    Le ragioni della crisidi consenso

    La sospensione delle elezioni del1992 è, ovunque, indicata come l’ini-zio della crisi algerina. La nostra opi-nione è che il vero punto fallimentaredel governo algerino è stato quello dilasciare che si creassero quelle condi-zioni sociali ed economiche perchéun partito come il Fis si potesse svi-luppare e alimentare delle difficoltàdella gente. Poco era stato fatto perdare spazio alla cultura pluralista, lai-ca e democratica algerina, e ancormeno per sostenere la sua crescita. Ènostra opinione che le sole elezioninon facciano una democrazia.

    Nel 1992 si imposero i militari. Lasospensione delle elezioni e la messafuori legge del Fis convinsero l’alaviolenta del partito della fondatezzadella sua analisi e si intensificaronogli attentati. Riguardo agli attentati vo-gliamo sottolineare che questi eranouna pratica adoperata già negli anniprecedenti, seppure con frequenza ri-dotta e una strategia molto più selet-tiva nella scelta degli obiettivi (i ne-mici dell’islam) che non in seguito. Lavia del terrorismo venne così spalan-cata. Da allora la reazione del gover-no è durissima, la repressione dei mi-litari va ben oltre i limiti legali; ma peralmeno due anni né l’Occidente né leassociazioni per i diritti umani si ac-corsero del livello delle violazioni dicui era teatro l’Algeria. L’azione delgoverno rassicurava gli occidentali,spaventati dalle intenzioni del Fis,mentre si guardava con fiducia allalotta anti-terrorista algerina.

    Pochi sembrarono rendersi contoche la situazione era ben più com-plessa e pericolosa, che era un nodogordiano che s’ingarbuglia ad ognicolpo di sciabola. Mentre i leader delFis restavano in prigione e i suoi diri-genti cercavano dall’esilio di mante-nere un contatto quanto più strettopossibile con i gruppi armati e le lo-

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    a l g e r i a

  • ro azioni, in patria il terrorismo sispezzava in rivoli diversi di organiz-zazioni parallele.

    Il governo, ufficialmente compatto,inizia a scomporsi lungo una fagliache ricalca antiche divisioni. C’è chiafferma che il comando del paese co-mincia ad essere occultamente bice-falo, diviso tra il presidente Zeroual(ex militare giudicato un moderato), eil capo di Stato maggiore gen.Mohammed Lamari (capo dei corpiantiterroristi).

    Attentati, repressioneed echi

    Inizia in Algeria la dura stagione del-le scelte, che coinvolge anche i par-titi dell’opposizione, la stampa e lasocietà civile. Spesso indicata sem-plicisticamente come l’opzione tra“dialoghisti” e “sradicatori”, ognunodi questi termini, in realtà, racchiudeposizioni diverse, soprattutto riguar-do ai mezzi con cui seguire le rispet-tive linee e ottenere lo scopo comu-ne della pacificazione. Non tutti i”dialoghisti” accettano l’intervento diorganismi internazionali o di Ongstraniere come mediatori, né tutti gli“sradicatori” sono automaticamentesostenitori dei militari, seppure han-no optato per la lotta senza appelloal terrorismo. Pur non mancando, so-prattutto da parte dei gruppi di op-posizione laica, un tentativo di pro-tezione della società civile sostenen-do le associazioni di donne, la stam-pa indipendente, e portando soccor-so alle vittime, è indiscutibile che l’a-zione principale è stata esercitata dal-la repressione militare. Secondo gliosservatori dei diritti umani, tale re-pressione è stata condotta con gran-de brutalità e sempre più indiscrimi-natamente. Le organizzazioni nongovernative, Amnesty International intesta, hanno denunciato il sistemati-co ricorso alla tortura, gli inumanitrattamenti carcerari, gli arresti indi-scriminati, le sparizioni, le esecuzio-ni extragiudiziali. Inizia un progres-sivo isolamento del governo algerinoe dei suoi metodi da parte dell’opi-nione pubblica internazionale. Lereazioni dell’estab