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L'anno 1657, il 10 febbraio (51° compleanno di Cristina) la Francia restituisce ai Savoia la

Cittadella di Torino, dopo 17 anni di occupazione.

In quell'anno si spegne anche il principe Maurizio.

L'attività bellica in Piemonte è nel 1657 è assai limitata. I Savoia desiderano ardentemente

riprendersi Trino, catturata dagli spagnoli nel 1652.

In questa cittadina il duca di Mantova Carlo II, ora alleato degli Spagnoli, ha installato un suo

governatore, per sottolineare le sue pretese sulle terre monferrine cedute nel 1631 e mai pagate

(e Trino è proprio tra quelle terre).

La notte tra il 19 e il 20 giugno, Trino è circondata silenziosamente da quasi 4000 uomini

sabaudi; tra i comandanti c'è il conte Catalano Alfieri, già governatore della piazza. Le

fortificazioni sono attaccate simultaneamente da tre lati.

Carlo Emanuele II, che ha 20 anni, assiste all'operazione e per la prima volta vede la guerra da

vicino. Dopo duri combattimenti, Trino è presa.

Successivamente le truppe sabaude si spingono sino Mortara ad appoggiare Francesco I di

Modena che ha posto assedio a quella città; anche Mortara è conquistata, il 15 agosto dopo 13

giorni di assedio.

Francesco I di Modena cade però ammalato; non si rimette più e muore a Santhià, il 4 ottobre.

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Trino era una città ben fortificata, per la sua qualità di città di frontiera.

Circa 10 anni dopo i fatti di cui stiamo parlando e a guerra finita, il duca di Savoia la priva di

gran parte delle sue difese: vuole evitare di mantenervi un costoso presidio, ma non vuole

lasciare fortificazioni che facciano gola a un potenziale nemico.

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Nel 1658 alla Corte di Torino giunge inaspettata una proposta di matrimonio: Mazzarino

chiede, per Luigi XIV re di Francia, Margherita Violante, l'unica figlia di Cristina ancora da

sposare. Margherita ha 23 anni ed è una giovane piena di grazia e di giudizio; è promessa a un

piccolo monarca: Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza.

Per Cristina è un grande onore, e i patti con il Farnese sono sospesi. Mazzarino propone un

incontro tra i due giovani, a Lione. Purtroppo la mossa di Mazzarino non è altro che un

inganno!

Mazzarino e Anna d'Austria hanno in progetto di concludere la pace con la Spagna,

accompagnandola con il matrimonio tra Luigi XIV e la figlia maggiore di Filippo IV: Maria

Teresa. La proposta fatta ai Savoia è solo una mossa per spingere Filippo IV a smettere di

tergiversare e ad aderire al progetto di pace e alla unione tra Luigi e Maria Teresa.

Nel novembre 1658 Cristina giunge con un gran corteo a Lione; con lei è Margherita (Carlo

Emanuele II arriva invece poco dopo). L'accoglienza alle due donne da parte di Mazzarino,

Anna d'Austria e Luigi XIV è molto calorosa.

Il giorno stesso giunge a Lione in gran segreto un inviato di Filippo IV, che porta la notizia

dell'accettazione da parte di Filippo IV delle proposte di Mazzarino. Il giorno successivo

Anna d'Austria deve spiegare a Cristina che le cose sono cambiate, e che il matrimonio tra

Luigi e Margherita probabilmente non si farà.

I Savoia ripartono quasi subito, delusi e offesi, con la sola consolazione di una "obbligazione"

di Luigi XIV a sposare Margherita se il matrimonio spagnolo non si fosse fatto (Il matrimonio

si farà e Margherita due anni dopo sposerà il Farnese). L'inviato di Filippo IV entra allora

ufficialmente a Lione.

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Nel periodo dall'agosto al novembre 1659, in un padiglione eretto esattamente sulla frontiera

franco-spagnola, in una isoletta del fiume Bidassoa (isola dei Fagiani, oggi detta anche isola

del Trattato) si discutono gli ultimi particolari per la pace tra Francia e Spagna e per il

matrimonio tra Luigi XIV e Maria Teresa.

La pace è siglata nel novembre 1659 dal Mazzarino e da don Luis de Haro, generale e ministro

di Filippo IV.

Parlando, nel seguito, di fatti europei vedremo quali siano le conseguenze della pace per

Francia e Spagna. Per quanto riguarda il Ducato di Savoia, nell'occasione si prendono le

seguenti decisioni:

- La Spagna restituisce ai Savoia Vercelli e le altre città piemontesi occupate;

- Si stabilisce che si pagheranno gli interessi della dote di Caterina d'Austria, sposa di Carlo

Emanuele I.

- Francia e Spagna riconoscono ai Savoia le terre monferrine acquisite nel 1631 (ma, per la

mancanza dei pagamenti francesi non si riesce ad avere l'assenso dei Gonzaga).

I risultati sono tutto sommato deludenti, ma portano la pace in Piemonte dopo 24 anni di

guerra tra Francia e Spagna combattuti sulle terre piemontesi.

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Sul fiume Bidassoa, al confine tra Francia e Spagna (paesi Baschi) detta anche “Isola del

Trattato”.

Ancora oggi al confine tra Francia e Spagna, sembra che sia amministrata alternativamente dai

due stati, per periodi di sei mesi.

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Nel 1660 Margherita di Savoia, sorella del duca Carlo Emanuele II, sposa Ranuccio II Farnese

(1630-1694) duca di Parma e Piacenza.

Sembra che Ranuccio fosse un uomo tutt'altro che raffinato (si narra che amasse ferrare

personalmente i sui cavalli); la sua lunga opera di governante è stata tuttavia abbastanza

buona: ha saputo stare fuori dalla guerra dei 30 anni (ma si impegola in altre guerre locali) e ha

promosso diverse opere civili e culturali per il suo Ducato.

Per solennizzare le nozze, Filippo d'Aglié organizza un grande balletto (durata di 6 ore)

centrato sulla pesca delle perle ("Margarita" in latino significa "Perla").

Il matrimonio durerà solo tre anni: poi Margherita spirerà in seguito al secondo parto, senza

lasciare figli, essendo i due bambini morti subito dopo la nascita.

Ranuccio II sposerà poi una figlia di Francesco I di Modena.

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Lo stesso anno muore il fratello di Cristina, Gastone di Orleans.

La pace porta ad un incremento delle opere edilizie già iniziate a Torino, di cui parleremo in

dettaglio nel seguito. La pace porta anche dei problemi, in particolare un gran numero di ex

soldati sbandati, che talvolta praticano il brigantaggio. Cristina deve prendere provvedimenti

per reprimerlo.

Per migliorare le finanze, Cristina segue tutti i metodi possibili, compresa la vendita di diverse

cariche; questo diminuisce il potere dei nobili a favore dei ricchi borghesi che acquistano le

cariche. Con l'indebolimento della nobiltà, che proseguirà nel seguito, lo stato sabaudo (come

la Francia) avanza verso l'assolutismo. (Nel 1643, sempre in cerca di quattrini, Cristina aveva

tassato anche i beni ecclesiastici).

Nel 1660 lo storiografo di corte Guichenon pubblica una genealogia di casa Savoia, che

ribadisce le origini sassoni dei Savoia (il progenitore sarebbe Beroldo).

Nello stesso anno Cristina lancia l'idea di un'opera illustrata che mostri i monumenti dei

Savoia. Sarà il "Theatrum Sabaudiae"; molte delle tavole di quest'opera mostrano una realtà

"dilatata" a scopo propagandistico, cioè arricchita di particolari che non esistono.

Nel marzo del 1661 muore il cardinal Mazzarino: Luigi XIV ( che ha già 23 anni) fa subito

capire di voler governare da solo.

Cristina pensa anche ad accasare il figlio. Queste manovre saranno raccontate insieme con la

storia del regno effettivo di Carlo Emanuele II. Come vedremo sfoceranno nel marzo del 1663

in un matrimonio del Duca con Francesca di Orleans, figlia di Gastone di Orleans: una sposa

scelta da Cristina e con la quale lei avrà ottimi rapporti.

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La grande opera “Theatrum Sabaudiae”, pensata da Cristina, avviata dal figlio e completata dal

la sua vedova nel 1682, raccoglie in due volumi 145 tavole con vedute delle città e monumenti

del Ducato di Savoia. Qui vediamo la tavola che rappresenta la Certosa di Collegno (con molta

immaginazione, come diverse altre tavole del Theatrum).

Nel 1641 Madama Reale, acquista dai conti Provana un palazzo fatto costruire nel 1614 da

Bernardino Data, amministratore ed aiutante di Carlo Emanuele I.

Successivamente Madama Reale, per tenere fede al voto fatto a Grenoble, acquista altri terreni

ed edifici adiacenti per completare l'area su cui sarebbe sorta la Certosa.

I monaci Certosini, provenienti da Monte Benedetto e poi da Banda, località presso

Villarfocchiardo, nel 1595 si erano stabiliti ad Avigliana in un piccolo monastero che fu

abbattuto nel 1630 per poter costruire nuove fortificazioni; avevano perciò dovuto tornare a

Banda, da cui sono richiamati nel 1641 per occupare la nuova Certosa. I lavori cominciano

subito, poiché il preesistente palazzo, ora già occupato dai monaci, è in condizioni pietose.

L'edificazione della Chiesa dell'Annunziata inizia nel 1648. Subisce molte modifiche rispetto

al progetto originario. La Santa Vergine, venerata con il titolo dell'Annunziata, è patrona di

Casa Savoia; a lei è intitolato il maggior ordine cavalleresco della dinastia (il Collare

dell'Annunziata).

Madama Reale ha per la Certosa grandiosi progetti, ma questi sono più volte ridimensionati

per difficoltà finanziarie.

Il primo personaggio che si occupa della costruzione della Certosa è l'ingegnere Maurizio

Valperga, Primo Ingegnere di S.A., che è incaricato di eseguire il primo progetto; questo

primo progetto che non è giunto fino a noi, sarà seguito solo parzialmente.

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La Certosa di Collegno come è oggi.

La chiesa dell'Annunziata è attualmente poco visibile dell'esterno, perché non grande e priva di

facciata e di campanile.

La chiesa una un'aula unica rettangolare con stucchi, putti alati, rose di Cipro e volta

affrescata. Una chiesa monastica, di dimensione contenute, pensata in coerenza alla liturgia

certosina. La decorazione risale in gran parte al completamento del 1740.

L’interno ha subito nel tempo dispersioni di opere e arredi: l’originario altare maggiore

barocco, di probabile ideazione dello Juvarra, è dal 1806 nella chiesa di San Martino a Rivoli.

Al posto dell’originale pala d'altare con l'Annunciazione, da metà ‘800 è collocata una

Visitazione, di inizio ‘700. Nella volta, la composizione di metà ‘700 celebra la gloria di san

Bruno, condotto in cielo da angeli. Due tondi laterali narrano episodi di vita del santo.

Carlo Alberto, nel 1840, dichiara la chiesa sede dell’ordine cavalleresco dell’Annunziata.

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Nel 1663, Cristina è sofferente e in cattivo stato di salute (è afflitta anche da una fistola a un

occhio, che ha annullato la sua bellezza). La devozione religiosa, sempre presente nella sua

vita, si accentua (pare che ascoltasse una quantità impressionante di messe).

Nelle figure vediamo Cristina non più giovane e l’emblema con motto che si era scelto lei: un

diamante con la scritta “Plus de fermetè que d’esclat” (più saldezza che apparenza).

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Cristina si spegne infine a Torino il 27 dicembre 1663 a 57 anni.

È sepolta vestita da Carmelitana scalza, nel convento di S. Cristina, da lei fondato nella Piazza

Reale (ora piazza S. Carlo). Nel 1802 la chiesa è occupata dai Francesi di Napoleone e la

salma è portata nella chiesa di S. Teresa, dove si trova tuttora (Anche la chiesa di S. Teresa era

stata costruita su iniziativa di Cristina). Sembra che lei avesse chiesto di essere sepolta

all'interno della cappella del Beato Amedeo, nella cattedrale di Vercelli, vicino al marito; ma la

cappella al momento della sua morte non era ancora stata completata.

Nel testamento Cristina elenca molti lasciti alle persone più vicine; Filippo di Aglié non è

particolarmente ricordato, quasi a voler cancellare una macchia: per lui un anello, del denaro e

poche altre cose. Al marchese Federico Tana va un lascito uguale (a lui aveva Cristina aveva

già fatto avere in precedenza il castello di Lucento; nello stesso castello il figlio di Federico,

Carlo Gianbattista, farà anni dopo rappresentare per la Corte la sua commedia " 'L Cont Piolet"

che mette in ridicolo i nuovi arricchiti).

A 29 anni il Duca può finalmente regnare da solo. Con la scomparsa di Cristina è possibile

concludere la riconciliazione tra madamisti e principisti: il nuovo Duca è infatti amato da tutti.

I vecchi collaboratori, tra cui Filippo di Aglié, sono allontanati; spariscono dal palazzi anche i

ritratti di Filippo. Filippo muore quattro anni dopo, nel 1667; per lui si fanno solenni funerali.

Aveva chiesto di essere sepolto in “terra di santi" e non si ha documentazione su dove il suo

corpo sia stato posto. Nel 1989 si è trovato un corpo sepolto nell'orto del Monte dei

Cappuccini: da diversi particolari si deduce che è il corpo di un nobile e non di un monaco:

quasi certamente è quello di Filippo.

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Conosciamo già la famiglia Tommaso. Oltre alla consorte Maria di Soissons, i figli

sopravvissuti all’infanzia erano:

- Luigia Cristina (nata nel 1627),

- Emanuele Filiberto (nato nel 1628),

- Giuseppe Emanuele (nato nel 1631),

- Eugenio Maurizio (nato nel 1635).

Libera di lasciare la Spagna nel 1644, Maria si stabilisce a Parigi (non a Torino, anche per la

sua antipatia verso la cognata reggente) dove prende possesso della eredità del fratello e

occupa un posto importante a Corte. Tommaso combatte invece prevalentemente in Italia,

anche se sarà spesso a Parigi.

La figlia Luigia (o Luisa) Cristina è sposata con un principe tedesco, Ferdinando Massimiliano

margravio (in pratica principe) del Baden. Il matrimonio non sarà felice: su istigazione della

madre, Luigia vivrà più a Parigi che nel Baden; vedova nel 1684 si stabilirà definitivamente a

Parigi con la madre. La coppia ha un figlio: Luigi Guglielmo, successore del padre come

margravio di Baden, che sarà un importante generale nella lotta dell’Impero contro i Turchi, e

anche uno dei protettori del Principe Eugenio (suo cugino) nella sua prima fase come militare

a Vienna.

Di Emanuele Filiberto e di Eugenio Maurizio parleremo tra poco; di Giuseppe Emanuele, che

pure vive sino 24 anni e muore a Torino poco prima del padre, si conosce ben poco.

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Nato a Moutier in Savoia nel 1628, è sordo dalla nascita. Durante il suo soggiorno spagnolo è

educato da padre Emanuel Ramirez de Carrion, uno dei pionieri dell’educazione dei

sordomuti; nella sua attività il Carrion si ispirava a quanto già fatto dal monaco benedettino

Pedro Ponce de León (1520-1584) e da Juan Pablo Bonet (1560 ca.-1633 ca.) autore del

primo trattato teorico-pratico sull'educazione verbale dei sordomuti.

Emanuele Filiberto impara anche a pronunciare molte parole (pare in due lingue: italiano e

spagnolo); sembra sapesse anche leggere i movimenti delle labbra. Sul grado di acquisizione di

queste facoltà non vi sono testimonianze concordi, ma certo Emanuele Filiberto sarà sempre

persona attiva e per nulla al margine della vita di corte.

Allievo di Emanuele Tesauro, alla morte del maestro eredita la sua biblioteca.

Non sarà mai amato dalla madre, per la sua infermità; la madre voleva persino privarlo del

titolo ereditario di Principe di Carignano, che gli spettava come primogenito; è la reggente

Cristina a opporsi a questa manovra. Sarà invece assai amato dal padre, con il quale il giovane

Emanuele Filiberto vorrà sempre vivere, seguendolo nelle sue imprese e desiderando

combattere con lui (torneremo su questo punto parlando del reggimento Carignano).

Dopo la morte del padre vivrà a corte, con un suo importante ruolo (per diverso tempo sarà

erede presuntivo al Ducato in caso di estinzione del ramo principale). Si sposerà solo verso i

50 anni (ne parleremo il prossimo anno) e dalla sua discendenza nascerà re Carlo Alberto.

Appassionato di architettura (progetta nel 1646 il rafforzamento delle difese di Ivrea, con

opere che saranno on seguito lodate dal Bertola) si farà costruire dal Guarini il palazzo

Carignano (1679-1684) e gli commissionerà lavori al castello di Racconigi.

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Eugenio Maurizio, nato nel 1635, lasciata la Spagna si stabilisce a Parigi con la madre (era il

figlio da lei preferito). Nel febbraio del 1657 sposa Olimpia Mancini nipote di Mazzarino.

Ha dal Re di Francia importanti incarichi: generale dell’esercito francese; governatore del

Borbonese dello Champagne e del Brie; ambasciatore di Francia a Londra.

Mentre lui è lontano da Parigi per questi incarichi, Olimpia resta a Parigi, vicino al Re.

Per lui, nel 1662, il Re di Francia cambia nome alla cittadina di Yvois (presso l’attuale

frontiera tra Francia e Belgio e passata alla Francia in seguito al trattato dei Pirenei): la chiama

Carignan e la erige a Ducato, facendo di Maurizio il Duca di Carignan. La città si chiama

ancora oggi Carignan; il relativo titolo di Duca è stato in mano ai Savoia sino al 1751.

Dalla moglie Olimpia (1639-1709) Eugenio Maurizio ha otto figli:

- Luigi Tommaso, successore del padre come Conte di Soissons

- Filippo

- Luigi Giulio

- Emanuele Filiberto

- Eugenio (il grande condottiero)

- Maria Giovanna

- Luisa Filiberta

- Francesca

Eugenio Maurizio sarà stroncato da una febbre (ma corre pure voce che sia stato avvelenato,

forse con il concorso di Olimpia) nel giugno del 1673, a 38 anni, mentre era impegnato nella

guerra contro l’Olanda.

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La cittadina di Carignan conserva ancora questo nome (unito al vecchio nome di Yvois).

Lo stemma con la croce di Savoia, unita ai gigli di Francia, è ancora visibile sulla volta della

chiesa. Nel pannelli turistici che parlano della storia della chiesa sono ricordati come

benefattori Eugenio Maurizio e la sua sposa Olimpia Mancini.

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In più momenti della storia, uomini di stato francesi hanno progettato di incorporare nella

Francia il territorio della Savoia, compensando i Savoia con altre terre, in particolare nel sud

d’Italia (la volta buona sarà nel 1861).

Nel 1634, quando Richelieu chiede che il Cardinal Maurizio vada a Roma, uno dei compiti che

vorrebbe affidargli è quello di tenere contatti con i Napoletani avversi alla Spagna, in vista di

una possibile cacciata degli Spagnoli dal Sud, che avrebbe poi potuto essere affidato ai Savoia,

almeno in parte. Non se ne fece nulla, anche per il passaggio di Maurizio alla parte spagnola.

Nel periodo della guerra dei cognati, Tommaso combatte in Piemonte con le truppe che gli

Spagnoli hanno inviato dal sud Italia; in quella occasione ha modo di conoscere diversi nobili

ufficiali napoletani e di farsi apprezzare da loro.

Dopo che Tommaso, nel 1642, è passato alla Francia, Mazzarino pensa che i buoni rapporti tra

Tommaso e i Napoletani possano fare di Tommaso l’uomo giusto da mandare al sud in

appoggio ai Napoletani scontenti degli Spagnoli. Quasi certamente questi lo avrebbero

accettato come Re, mentre avrebbero probabilmente rifiutato un principe francese.

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Mazzarino all’inizio del 1646 chiama a Parigi Tommaso e gli propone di guidare una

spedizione verso il regno di Napoli. Nel caso fosse riuscito a farsi accettare come Re, avrebbe

avuto l’appoggio della Francia.

In cambio Tommaso avrebbe dato alcuni porti del sud alla Francia, e, nel caso arrivasse ad

essere un giorno anche duca di Savoia, avrebbe ceduto alla Francia La Savoia e Nizza.

La situazione a Napoli sembra essere favorevole ad una azione contro gli Spagnoli, sempre più

mal sopportati e con modeste forze loro nella zona.

Il 26 aprile una flotta francese con buona quantità di truppa (circa 2000 uomini) parte da

Tolone, e a Genova imbarca Tommaso.

Si decide di cominciare la conquista non da Napoli, ma dallo Stato dei Presidi, nell’attuale

Toscana. L’idea è quella di occupare velocemente i porti chiave della zona: Talamone, porto S.

Stefano e porto Ercole, e poi di passare rapidamente all’occupazione della piazzaforte di

Orbetello.

La rapidità è necessaria per non impegolarsi in un assedio, che con la stagione calda e la

malaria avrebbe creato diversi problemi.

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La zona di Orbetello e del promontorio di monte Argentario

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Porto S. Stefano e Talamone sono rapidamente occupati a inizio maggio (il comandante di

Talamone verrà accusato dagli Spagnoli di tradimento e condannato).

Il comandante della flotta francese non va però ad occupare subito Porto Ercole, che resta

quindi in mano agli Spagnoli. Vi arrivano presto delle navi spagnole, che lo presidiano e vi

sbarcano delle truppe.

Tra gli sbarcati vi è il generale napoletano Carlo della Gatta, ex collaboratore di Tommaso e

ora avversario, che riesce a entrare in Orbetello eludendo il cerchio che Tommaso sta

stringendo attorno alla cittadina.

Della Gatta prende il comando della difesa e la conduce abilmente: a Tommaso non riuscirà

più il colpo di mano e deve rassegnarsi a un regolare assedio, che si prolungherà per circa due

mesi, arrivando sino a fine giugno senza che Orbetello sia presa.

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Una stampa dell’epoca con lo schema dell’assedio.

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Un particolare della stampa precedente. Mostra il fronte di Orbetello verso la terraferma.

Sulle mura è rappresentata anche una spia impiccata.

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In questo ingrandimento si vedono il fronte di assedio e gli accampamenti di Tommaso.

In basso a sinistra, con la lettera T, è indicato il forte Filippo, ancora oggi esistente sulle alture

di porto Ercole.

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Mazzarino ordina di approntare con celerità una nuova flotta in appoggio a Tommaso.

Il 14 di giugno, prima che la nuova flotta sia partita, le navi della squadra francese che è

venuta con Tommaso si scontrano con una flotta spagnola in arrivo dalla Sardegna. Lo scontro

sembra favorevole ai Francesi, ma il loro comandante resta ucciso e la flotta francese fugge.

Gli Spagnoli possono sbarcare altre truppe; reparti di cavalleria raggiungono Orbetello

attraverso il Lazio (il Papa nega formalmente il permesso di passaggio, ma in pratica non fa

nulla).

Nel luglio, Tommaso à attaccato dalle forze spagnole e deve togliere l’assedio. Lui

personalmente rientra al nord via terra, con la cavalleria.

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Nel settembre 1646 la flotta fatta approntare da Mazzarino è pronta e viene inviata subito

verso lo Stato dei Presidi. Mazzarino on rinnova però la fiducia a Tommaso, che per il

momento è lasciato da parte.

La flotta occupa con relativa facilità Porto Longone nell’isola d’Elba.

Mazzarino, per motivi non ben chiari, non prosegue con decisone verso il sud. Invia solo una

piccola flotta davanti a Napoli.

La flotta non intraprende azioni significative, ma ha l’effetto di alimentare la speranze di molti

napoletani avversi agli Spagnoli, sicuri di un prossimo appoggio francese.

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Nei primi decenni del 1600 a Napoli è una ribollente città di quasi mezzo milione di persone;

tutti sono scontenti della dominazione spagnola: lo è il popolo e lo sono i nobili e i notabili.

Il 26 dicembre 1646 si sparge la voce di una nuova gabella sulla frutta, cominciano i primi

tumulti dal popolo. Il Vicerè (duca d'Arcos) riesce per il momento a calmarla con buone

promesse.

Il 7 luglio 1647 scoppia la rivolta; è una rivolta di popolo, ma dietro vi sono diversi nobili e

personaggi importanti (tra i quali addirittura l'arcivescovo Filomarino); sperano in qualche un

aiuto dei Francesi.

Uno dei notabili che tirano le fila è un giurista sacerdote, don Giulio Genoino, che ha 80 anni e

un passato di agitatore; anche su suo suggerimento i vari capipopolo della rivolta riconoscono

come loro capo Tommaso Aniello d'Amalfi (i suoi due nomi di battesimo sono contratti in

"Masaniello", e d'Amalfi è il cognome).

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Masaniello aveva 27 anni; di misera famiglia, faceva il commerciante di pesce (o meglio il

contrabbandiere, cosa che lo aveva portato in relazione anche con persone più abbienti). Si era

sposato nel 1641 con una giovane di modesta famiglia: Benardina Pisa, di 16 anni.

Gli Spagnoli reagiscono alla rivolta conservando il controllo di alcuni centri importanti (in

particolare il castello di S. Elmo e la base della flotta) e cercando di venire a patti con il popolo

con promesse e concessioni. La sposa del Vicerè incontra persino la sposa di Masaniello.

Tommaso chiede a Mazzarino di poter intervenire; manda anche a Napoli suoi uomini, con il

compito di spianargli la via (alcuni di essi sono identificati e arrestati). Mazzarino però non si

muove e preferisce aspettare di essere esplicitamente chiamato dai Napoletani.

Masaniello ubriacato dal potere comincia ad avere comportamento dispotico e a dar segni di

squilibrio mentale; il 15 luglio 1647 è arrestato e il giorno dopo assassinato da uomini mandati

dal Genoino, che riconosce in Masaniello un pericolo. Anche il popolo in quel momento

inveisce contro di lui, salvo poi riabilitarlo qualche tempo dopo.

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Il potere passa di fatto al Genoino, che governa con mano dura, favorisce i suoi amici e poco

dopo finisce per ritornare dalla parte degli Spagnoli (che nel settembre lo manderanno a morire

in esilio).

A Napoli regna il caos; vi sono rivolte nella rivolta e bande che compiono ogni sorta di

misfatti. Il popolo cerca un capo autorevole: diversi nobili, tra cui Carlo della Gatta rifiutano il

potere con delle scuse. Il nobile Francesco Toraldo di Aragona è costretto ad accettare la

carica di Capitano del Popolo (22 agosto) ma fa ovviamente il doppio gioco e finisce ucciso

dalla folla delusa (16 ottobre).

A fine settembre arriva una flotta spagnola con don Giovanni d'Austria, nuovo Vicerè

provvisorio. Il nuovo Capitano del popolo è Gennaro Annese, un fabbro di archibugi.

Poco dopo i Napoletani credono di aver trovato un uomo a cui affidare il comando della

costituita Repubblica Napoletana: è Enrico II di Lorena, duca di Guisa, che in quel momento si

trovava a Roma. Di nazionalità francese, il duca di Guisa non era stato in buoni rapporti con

Richelieu ed è perciò considerato un uomo relativamente indipendente dalla Corona di

Francia. La speranza è che la Francia lo aiuti, perché francese, e nello stesso tempo che lui non

sia in tutto e per tutto uno strumento della Francia.

Il duca di Guisa arriva a Napoli il 18 novembre 1647, con numerose feluche ed eludendo

abilmente la sorveglianza della flotta spagnola. In Duca è ben accolto dal popolo, dai notabili e

dall'Annese; sedotto il popolo, il duca di Guisa si libera dell'Annese, lasciandogli solo il

governo di un importante torrione fortificato. Con il suo lusso e le sue spese, il duca di Guisa

comincerà presto a scontentare molte persone.

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Mazzarino decide di intervenire, ma lascia da parte Tommaso. Il giorno 16 dicembre giunge a

Napoli una flotta francese; la comanda a un ammiraglio dal nome famoso, ma molto giovane:

Jean Armand du Plessis, duca di Richelieu, che ha solo 17 anni ed è il nipote dell’omonimo

Cardinale.

Ufficialmente questa flotta arriva per appoggiare il duca di Guisa, ma Mazzarino ha il chiaro

disegno di sostituirlo appena possibile con un uomo di sua fiducia. Mal manovrata da un

ammiraglio inesperto, questa flotta non ottiene i risultati voluti e dopo 19 giorni riparte.

Il duca di Guisa cerca di battere gli Spagnoli, in particolare con una battaglia il 12 febbraio,

senza successo. Poi cerca di venire a patti con loro; le sue proposte non sono però accettate.

Diventa poi sempre più dispotico e fa giustiziare o allontanare anche diversi suoi sostenitori; si

crea una rete di intrighi e di tradimenti.

A inizio marzo arriva come Vicerè il conte d’Onate, uomo di grande esperienza.

Il giorno 6 aprile, il nuovo Viceré organizza un grande attacco alle zone controllate dai

rivoltosi. L'Annese tradisce e consegna il suo torrione agli Spagnoli. Napoli è completamente

ripresa dagli Spagnoli, che promettono comunque concessioni al popolo, riconquistando un

certo consenso.

Il duca di Guisa cerca di fuggire, ma à catturato e messo in carcere. Ci resterà sino al luglio

successivo, quando sarà però liberato, perché di sangue reale.

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Caduta la repubblica, Mazarino decide di mandare Tommaso, con la speranza di ottenere una

nuova sollevazione da parte del popolo e degli agitatori. Non si sa esattamente cosa Mazzarino

abbia promesso a Tommaso in questa occasione.

Nell'attesa che Tommaso appronti il suo corpo di spedizione, parte una flotta francese, che

arriva a Napoli il 4 giugno. I Francesi tentano di organizzare una nuova sollevazione popolare,

ma ottengono pochi risultati, anche se l'Annese sembra disposto a tradire gli Spagnoli e ad

appoggiarli. Per questo motivo l'Annese è arrestato dagli Spagnoli e poi decapitato, il 20

giugno 1648.

Il giorno 4 agosto 1648 arriva finalmente Tommaso. Ha con sé circa 5000 uomini, parecchi dei

quali (soprattutto esuli napoletani) imbarcati a Piombino. Sbarca e si sistema sull’isola di

Procida, nel grande castello costruito dagli Aragonesi.

Successivamente prende terra presso Salerno con circa 2000 uomini e cerca di conquistare la

città. Non ci riesce, pur perdendo un centinaio di uomini, perché gli manca l’appoggio del

popolo, che ora è stanco di rivoluzioni.

Il 19 agosto, Tommaso capisce che l'impresa è ormai impossibile e decide l'imbarco delle

truppe, per evitare di essere intrappolato e battuto dagli Spagnoli; poi si allontana da Napoli.

La cosa suscita molti disappunto in Mazzarino.

Passato il pericolo di una nuova rivola, il Viceré inizia una graduale e feroce repressione , che

durerà sino al 1653.

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Il reggimento Carignano è un reggimento dal nome piemontese passato alla storia, per le

vicende che vedremo. Pur assai conosciuto di nome, questo reggimento ha una storia non

sempre ben conosciuta, e talvolta arricchita di notizie inesatte.

Il reggimento Carignano è reclutato nel 1644, prevalentemente in Savoia, ma forse anche in

Piemonte, dal principe Tommaso, per incarico della reggente Cristina, a sua volta sollecitata da

Mazzarino; Tommaso era da poco passato a collaborare con la Francia e Mazzarino voleva che

disponesse delle forze necessarie.

Il reggimento Carignano è formato da un migliaio di uomini e ha subito come Colonnello

titolare il giovane Emanuele Filiberto, figlio di Tommaso. È questo un regalo che Tommaso

vuole fare al figlio, che lo segue sempre ed arde dal desiderio di essere anche lui un militare.

Nonostante la sua infermità, Emanuele Filberto parteciperà in molte occasioni alla vita del

reggimento, almeno sino alla morte del padre. (Nel 1655, all’assedio di Pavia è vicino a

Francesco di Modena quando questi fu ferito).

Il reggimento partecipa a numerose azioni del principe Tommaso, in particolare all’assedio di

Vigevano e alla spedizione di Orbetello del 1646.

Nel 1649 il reggimento si sposta in Francia, per appoggiare il Re e Mazzarino durante il

difficile periodo della Fronda.

Resta in Francia sino al 1653 (quando finisce la Fronda) e partecipa al combattimento del

faubourg St. Antoine, insieme con le truppe del Turenne. In questa occasione cade ucciso il

Sig. de la Val d’Isere, che era stato uno degli artefici del reclutamento del reggimento e che e

lo comandava in assenza del colonnello titolare.

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Tornato in Piemonte il reggimento partecipa all’assedio di Pavia (1655) e all’assedio di

Valenza (1656).

Nel 1659, ormai morto il principe Tommaso, il reggimento è riunito a quello del sig. de

Salières e prende il nome di Carignan-Salieres. Il colonnello titolare risulta essere ancora

Emanuele Filiberto, e il reggimento è spesso chiamato semplicemente “regiment Carignan”, a

testimonianza del prestigio che questo nome aveva.

Alcuni storici sostengono che il reggimento abbia fatto parte delle truppe inviate da Luigi XIV

in aiuto all’Impero contro i Turchi ed abbia partecipato alla battaglia del S. Gottardo (1664)

ma altri storici sostengono che questo fatto non risulta da alcuno fonte attendibile.

Il reggimento è a questo punto probabilmente in prevalenza francese, anche se quasi

certamente vi sono ancora numerosi savoiardi, diversi piemontesi e forse qualche ligure.

Nel 1665 il reggimento è inviato nella colonia francese del Canadà, per proteggerla dalle

azioni ostili dei nativi Irochesi (in quel periodo le guerre in Europa sono ferme).

L’imbarco inizia nell’aprile 1665 dal porto di La Rochelle; in settembre si ha l’arrivo in

Canadà delle ultime compagnie (in tutto sono una ventina, con circa 1500 uomini).

Il comando dell’impresa è affidato al Sig. de Saliere e al marchese di Tracy (tra i due vi sarà

qualche rivalità ).

Nella colonia francese del Canadà (città di Quebec e Montreal) vi sono circa 3000 persone (per

due terzi uomini): l’arrivo di 1500 soldati ha perciò un notevole impatto.

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Il territorio del Nord America nella seconda metà del ‘600 è caratterizzato:

- dalla colonizzazione francese nella zona più a nord, dove sono state fondate le città di

Quebec e di Montreal;

- dalla colonizzazione inglese della zona dove è stata fondata la città di Boston;

- dalla colonizzazione olandese nella zona di Long Island, dove è stata fondata la città di

Nuova Amsterdam. Con lo scoppio della seconda guerra tra Inghilterra Olanda (1665-1667)

anche questo territorio è stato preso dagli Inglesi, che hanno poi cambiato nome alla città,

chiamandola Nuova York, in onore del fratello del Re, Giacomo duca di York (che sarà più

tardi re Giacomo II).

I Francesi del Quebec sono in buoni rapporti con i nativi Uroni; dal sud premono però i nativi

Irochesi, sobillati dagli Inglesi.

Le frecce rosse mostrano l’arrivo a Quebec del reggimento Carignano, destinato a contrastare

gli Irochesi.

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L’immagine di sinistra mostra una ricostruzione abbastanza fedele della divisa del reggimento

Carignano, caratterizzata dalla giubba di color marrone.

L’immagine di destra mostra una ricostruzione assai più libera, dove però è presente la

bandiera, correttamente rappresentata con i colori rosso e blu tipici dei Carignano e con la

croce bianca di Savoia.

L’armamento del reggimento è all’avanguardia. In particolare molti dei reparti (sembra non

tutti) sono dotati dei nuovi fucili con accensione a pietra focaia. Questo tipo di meccanismo di

accensione esisteva da tempo, ma non era adottato dai reparti militari per il suo costo e per la

sua delicatezza; si preferiva usare gli archibugi con accensione a miccia (in effetti il soldato

della figura di sinistra ha ancora un archibugio a miccia). Solo nella seconda metà del ‘600 il

meccanismo è perfezionato e reso robusto, ed alcuni reparti militari, tra i quali il reggimento

Carignano per la spedizione in Canadà, ricevono i nuovi fucili.

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Nel gennaio del 1666 ha luogo la prima spedizione del reggimento Carignano, a ranghi assai

ridotti. È poco più che una missione esplorativa e ha un risultato deludente, quasi disastroso,

con elevate perdite umane per il freddo e per la mancanza di esperienza in quelle terre.

Nel settembre del 1666 parte una seconda spedizione, forte di 1300 uomini e diretta contro

Irochesi; i risultati sono buoni: si costruiscono diversi forti e si distruggono sette villaggi

irochesi, abbandonati dagli abitanti, che si sottraggono alla battaglia.

Questo indurrà comunque gli Irochesi ad accettare un patto di pace, che durerà (più o meno

rispettato) per molti anni.

In questa spedizione, condotta nel difficile clima autunnale lungo il lago Champlain, a sud di

Montreal, il reggimento arriva sino alla zona dell’attuale città di Albany, a metà strada tra

Montreal e New York. Probabilmente che in questa zona gli uomini del Carignano hanno

anche avuto incontri con inglesi, senza giungere ad atti di ostilità.

Il risultato della spedizione può quindi considerarsi positivo; avrebbe però potuto essere

migliore, se gli Irochesi fossero stati battuti in battaglia, lasciando così campo libero ad una

possibile azione per intimorire gli inglesi.

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L’avventura canadese del reggimento Carignano ha ispirato diversi romanzi: Questi quattro

sono stati scritti da autori piemontesi: in essi la parte romanzata è decisamente prevalente su

quella storica. Tra le quattro, l'opera più aderente ai fatti storici è la breve "graphic novel" di

Roberto Albertini (qui sulla destra).

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Sul reggimento Carignano e sulla sua impresa canadese si è scritto molto, non sempre in modo

storicamente rigoroso.

L’opera storica più affidabile e documentata sul periodo canadese del reggimento Carignano è

il libro di Jack Verney “The good regiment”, pubblicato nel 1991.

In alto a destra vediamo la bandiera del reggimento Carignano.

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Nel 1668 il reggimento è richiamato in Francia (ha assolto il suo compito, e la Francia ha

ricominciato a fare guerre in Europa).

Circa 400 uomini, soldati e ufficiali, restano però in Canadà su invito del governo francese,

che offre loro delle terre: lo scopo è quello di aumentare la popolazione della colonia. A questo

scopo il Colbert fa anche arrivare nella colonia circa 700 giovani donne: le “Filles du Roi”.

Queste donne erano reclutate tra le orfane e le giovani vedove, e sembra anche dovessero

rispondere a severi requisiti di moralità; in caso di matrimonio il Re garantiva loro una dote.

Qualche anno dopo il re cambia nome al reggimento, che diviene il reggimento De Perche.

Non si sa esattamente quando e perché questo sia accaduto; certo nel 1684 la famiglia

Carignano cade in disgrazia presso Luigi XIV per il matrimonio di Emanuele Filiberto con una

principessa non gradita al Re di Francia: forse il cambiamento è avvenuto in questa occasione,

forse era già avvenuto prima.

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Diversi toponimi (vie, laghetti) in Canadà ricordano il nome Carignan. Nel 1965 in particolare

ha il preso nome di Carignan una nuova città nata poco a sud di Montreal, sul fiume Richelieu.

(raggiunto un certo numero di abitanti le comunità locali hanno il diritto di promuoversi a

città).

La ricerca delle proprie radici è ancora oggi una delle passioni degli abitanti del Nuovo

Mondo; non stupisce quindi l’attenzione per le vicende storiche del reggimento Carignano e la

ricerca sui nomi (e soprannomi) di soldati e ufficiali francesi (e forse anche piemontesi) per

ritrovarvi i corrispondenti cognomi canadesi.

In Canadà è attiva la “Societè des Filles di roi et soldats du Carignan” che coltiva la memoria

storica delle “figlie del Re” e del reggimento Carignano, nonché della relativa discendenza in

Canadà, promuovendo in particolare ricerche genealogiche e conservando il ricordo del

reggomento anche con un gruppo storico in costume. Alla società sono ammessi come soci

effettivi solo coloro che possono dimostrare di essere discendenti da “Figlie del Re” e/o da

soldati del reggimento Carignano; gli altri (in particolare chi è alla ricerca delle prove di

discendenza) possono essere solo soci aggregati.

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Fort Barraux si trova tra Chambery e Grenoble, in territorio francese (Delfinato) poco distante

dal confine con la Savoia. Il forte fu fatto costruire dal duca Carlo Emanuele I alla fine del sec.

XVI durante una breve occupazione sabauda di quel territorio. Il territorio e il forte furono ben

presto ripresi da Francesi di Enrico VI, che fecero del fort Barraux un avamposto contro il

ducato di Savoia.

Adibito negli ultimi decenni a carcere militare, ma ben conservato, il forte è stato lasciato da

una decina di anni al comune di Barraux, che lo gestisce e ne organizza la visita.

Costruito per Carlo Emanuele I da Ercole Negro di San Front, nel suo stato attuale il forte

mostra gli ingrandimenti fatti fare dai Francesi, in particolare dal grande Vauban.

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Nell’androne della porta di ingresso di fort Barraux è esposta una targa che ricorda la partenza

del reggimento Carignano per il Canadà, e il fatto che alcuni suoi ufficiali e soldati misero

radici in quel luogo, tanto da avere oggi 700000 discendenti.

Sembra infatti che alcune delle compagnie facenti parte del reggimento Carignano si siano

radunate qui prima di partire per la spedizione.

Dalle cronache si ha notizia di qualche problema di ordine pubblico creato in diversi paesi

attraversati delle compagnie del Reggimento in marcia verso La Rochelle e provenienti

probabilmente da Barraux.

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Negli anni dal 1679 al 1684, Emanuele Filiberto di Carignano si fa costruire a Torino quello

che oggi è conosciuto come il Palazzo Carignano; l’architetto è Guarino Guarini.

Osservando la sagoma delle cornici poste alle finestre del primo piano, si è colpiti dalla

presenza di un motivo che ricorda i nativi americani: al culmine una sorta di volto sovrastato

da piume; sui lati altre decorazioni che possono ricordare un mantello piumato. Altre

decorazioni analoghe sono presenti nel cortile interno.

Non si conosce l’origine di questi motivi decorativi, né si è certi che essi siano di mano del

Guarini; è stata comunque fatta l’ipotesi che vi possa essere un collegamento tra queste

decorazioni e l’impresa del reggimento Carignano nel Nuovo Mondo.

Ai tempi della spedizione in Canadà, pur essendo con buona probabilità il reggimento ormai

prevalentemente francese, sembra che vi fossero anche uomini e ufficiali piemontesi, e il

colonnello titolare era sempre Emanuele Filiberto. Possiamo pensare che notizie dell’impresa

siano giunte allora a Torino, lasciando una memoria che ha poi ispirato l’autore delle

decorazioni, che sembra comunque avere solo un’idea approssimativa delle decorazioni dei

nativi canadesi.

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Nel 1999 è fondato a Torriglia (Genova) il gruppo di rievocazione storica “Reggimento

Carignano-Saliére”, che partecipa a divere rievocazioni. (Nel 2016 il gruppo si è fuso con il

gruppo Flos Duellatorum).

(Un commento: le picche e le alabarde sembrano decisamente anacronistiche).

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