Anna Maria Salvini - intonAzioni · ~ 5 ~ parificAzione (la parola amore) tutto ciò che è pari,...

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~ 1 ~ ANNA MARIA SALVINI intonAzioni

Transcript of Anna Maria Salvini - intonAzioni · ~ 5 ~ parificAzione (la parola amore) tutto ciò che è pari,...

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ANNA MARIA SALVINI

intonAzioni

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Quaderni di RebStein, LIII, Giugno 2014

Annna Maria SALVINI

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(Immagine: Simon Watson) (Fonte: http://fernirosso.files.wordpress.com/2014/04/simon-watson.png)

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intonAzioni (2014)

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parificAzione (la parola amore) tutto ciò che è pari, è difficile. Nella parola amore ci sta tutto, ingloba per assonanza e rima, ne fa un corpo unico, un unico desiderio e tutto il pianeta passa da qui; come pensare a un orlo mentre mi sei abito all’asola quando apri ogni mio pensiero al giorno come pensare a due quando tutto riporta ad uno: i volti nella penombra della sera, confusi agli occhi i nasi ad incastro, le bocche una sull’altra, le stesse vocali, pensare d’essere, uno nell’altro, il gesto atteso come mantenere l’equilibrio quando anche le domande che chiudono ogni sera, non hanno mai la stessa risposta.

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ubicAzione Manco da molto tempo, lo so dalle tue finte telefonate e nessuna voglia di bruciare i miei respiri soffiarmi nella gola come un vetro fragile, dare forma alle nudità che non conosci. T’avrei condotto giù, in cantina lasciandoti la mano e il vino: avresti avuto una buona scusa per stringermi col buio, spogliare gli angoli deporre un seme fino a tracimare la notte, restare.

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meditAzione C’è disordine dentro il pane e dentro l’acqua. Senti che disordine? mariangela gualtieri (Un ordine naturale converge respiri il fluido ciarlàre dei viali, rifugia girini impauriti, il muto rigore dei semi) In posizione loto, ho visto gelsi sulle rive dimenticarsi il cielo e nel brusìo nocciòla piantonare ogni linea di caduta, la congiunzione della terra con tutte le parole morte dopo l’estate. Li ho visti vigilare strozzati nell’arcata nebbiosa pregare le pietre, la falda nascosta. (Sotto un grigio nitore, il popolo forte ha l’andatura dei pesci, il moto incessante di trame che smuove lo sguardo)

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migrAzione Siamo passati attraverso paludi, deserti i nostri stessi corpi e sapevamo del cambio di stagione, lo slittamento delle croste, il ghiaccio. Ci teneva uniti un volo, l’orientamento un certo tipo d’osservazione. Le nostre piume hanno seguito il corso graduale della muta un ordine preciso ma non c’è stato tempo, il tempo giusto per tornare.

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tacitAzione Immagina la confusione, resistere nell’esplosione di mimose, il canto delle spine, maggio arroventato. Tu, un’urgenza prima del bisogno. Ti ho lasciato come una notizia al bivio sulla bocca di prostitute e viandanti, giocolieri, matti di paese, cartomanti. Ho scelto una palude per ungermi i piedi, esplorato con le orbite fondali, cavità senza fisionomia e nel buio che scava gli angoli rubato centimetri, materia, forma. Così ho scelto. E non ti ho più visto.

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deformAzione "Ut tensio, sic vis" (come l'estensione, così la forza) (legge di Hooke) Non c’è pace in questo muscolo smarrito non c’è contrazione. Sottomesso al peso per fedeltà al silenzio, un’aderenza al patto alla scena muta di porte appena dischiuse piccoli esodi, inconsapevoli al fiorire naturale d’un tronco cavo o in caduta libera, soggetto ad una forza non precipita per caso ma per e(a)ffetto d’una potenza che s’eleva a terra.

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manifestAzione c’è un ordine, in ogni morire, che conquista. silvia bre Invidio la flessibilità dell´erba, la leggerezza dei gatti al sole ma amo la stabilità del legno nel rigoroso segno degli anelli, l’andare scalzo delle gemme, la cicatrice che mi gira intorno. Non ho slanci ad indicare i nodi e il pugno dell’inverno decide la potatura, la screpolatura delle pagine. Ad ogni taglio cresco, cresco concentricamente, sempre più nuda al centro.

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iniziAzione Ti vedo nel gesto che salva una maceria nel seme vivace che trema nel petto. Non è la vista a percepire la richiesta la gradazione cobalto del fondo ma la fatica, la carità d’un gesto, la radice. Si ripete il movimento dei crateri la pioggia degli anemoni la muta ascesa di gennaio dentro un singhiozzo d’ali, tu che m’abbracci con la cecità dei giusti, il buioguida della voce e mi conduci al potenziale senso dei miei giorni.

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compensAzione Ciò che ti è caro muore, ciò che muore ti è caro, se qualcosa ti è caro, è perchè muore. Valerio Magrelli Certe volte mi fingo cieca riparo gli occhi, cancello le impronte per non lasciare tracce, benedizioni ma nel buio lo sguardo si abitua ed anche se vi allontano, miei amati, voi siete comunque lì, fiamma e gelo, spartiacque confine della pena, viva pace che centra su un piede la grazia tesa al ristoro, trazione liquida, memoria che non si posa, agisce per espansione, allarga gli angoli per ogni stretta, riconduce il poco ad una morsa - un tremore improvviso - e scrive scrive della vita, ogni giorno; salvo le persone cercando le parole giuste, la piega dove riparare i volti, il punto che mi permetterà di spegnere la notte.

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inondAzione è iniziata a poco a poco l’erosione, un grumo appena staccato dalla riva parole fitte-fitte sul letto prima della piena non abbiamo mai avuto zattere o qualche altro mezzo di fortuna a noi bastava stare nel cerchio della notte, il mento alto oltre il limite a noi serviva la furia della vita quella che annega e fa aprire vele inaspettate

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separAzione In-certi giorni grigi basterebbe un cenno, amputare con la pietà dei miti quando il corpo trema nelle tagliole sacrificare una gamba o un braccio separarsi e strisciare con le nocche un ginocchio, il gomito puntato come una stampella tirarsi fuori dai denti acuminati, la voce strappata a piccoli morsi. E ti chiedi come funzionerà il nuovo passo, la schiena nel movimento che bilancia milligrammi, come sarà riprendersi la vita, ad ogni costo, perchè si è troppo stanchi di morire. Basterà un profilo, una nuova altezza da cui osservare il mondo, commuoversi dentro le cose che ti vengono incontro.

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innovAzione (punto di non ritorno) Sono fuori dal perimetro del tuo sguardo fuori da ogni intreccio, punto d’incontro intersezione. Io non sapevo nulla di come si scavalca un muro, scala un’ascesa io non avevo voce per dirti “sono qui”. La paura mi ha messo all’angolo crudele e solitaria come tutte le paure ha spopolato il pianto, un possibile ritorno. Dentro ho ancora la notte un buio che mi assolve e mi conduce.

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cauterizzAzione Osservo la creta sotto il disfacimento dell’erba, la massa informe il tronco cavo. E quando la fine sembra segnare il passo s’arrocca il pensiero della lungimiranza: lo vedi, Anto, come s’apre la risata in questa quiete tellurica dilata le pupille, asseconda i fianchi richiama attenzione al taglio la bruciatura che ci tiene unite.

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vibrAzione c’é qualcosa per il cuore Giovanni Raboni Non sono disinvolta, cado negli spazi stretti con tutto il peso cado, con le mie parole invisibili e il magma che ingrassa il ventre e fa girare il mondo resto nel solco, non mi scanso, tendo a restare se passi, se torni con il tremore della voce che viene per portarsi via.

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motivAzione Non è più affanno il segno inciso sulla terra ma vocalizzo di pianura e parto: dal nuovo scasso io lì, nasco, nuovamente senza piedi, senza mani, solo occhi tutta occhi perché non voglio vittime semmai legare il cielo al suo tramonto, il fuoco all’acqua il vento alla sua foglia poi tornare al guscio, stringermi alla vita e rabbuiare.

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visitAzione non parlarmi ma visita questa casa dal cuore sfatto e le finestre piccole c’è una notizia buona, una certezza: ho fatto del pane nuovo e una corona di fiori per la pace della sera un fuoco con tutti i rumori da accendere insieme ho tolto le chiavi e ti faccio posto, sposto tavoli e sedie, apro le tende ma tu che vieni, guarda e vedi come tutto si placa. e attende

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privAzione Io vivo a casa mia, tu ancora non lo so, non so quale luce accendi per prima la sera, quando torni come ti lasci cadere tra i cuscini la marca della birra io in ogni stanza ho uno specchio e faccio caffè sempre per due però ci sono notti in cui vengo a prenderti mentre sogni, ti stringo piano e non hai peso non mi costa nulla portarti lasciare che tu dorma senza me.

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lacerAzione Sembra facile quando giugno rischiara e fa festa tutt’intorno: ogni luce si accorda con le rocce e il reclinare dolce, delle colline io ho sentito il tremolio dell’erba bucare gli occhi, l’odore del verde quando mi baciavi piano ho sentito le lepri correre sul cuore ma sono nata a marzo, nell’incertezza che hanno i cieli e il fango e, sotto la crosta, tutta la vita s’addolora spacca le sue labbra, chiama a raccolta il sangue, lacerata trova nella sua nudità la forza e la sua pena.

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desolAzione Non averti accanto, saperti altrove, in una terra di risvegli e nella mia conservare solo il freddo, il mancato compimento in un cielo affollato d’amanti, stringersi ad un peso che mi richiami a terra io non faccio parte di quella schiera non ho baci e non ho mani non ho avuto albe e tramonti la mia città è unificata, senza vie senza palazzi e chiese un unico dolore, al centro.

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invocAzione prima che l’inverno strozzasse i lineamenti del paesaggio, prima che un convoglio decidesse il viaggio io ho chiamato, alzato la voce, urlato (dove sbattono le parole, chi raccoglie il tonfo o forse resistono in qualche anfratto trattenute da un appiglio vivono nell’eco o danno corpo ad un big bang finale?) prima che una pietra rompesse il cerchio e da una costola uscisse questa voce, che trema ti ho chiamato, amore (le mie grida impiccate ai rami, impigliate tra le guglie, rubate da un becco, lasciate cadere in chissà quale campo)

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distrAzione Arriverà la sera e noi ci faremo accanto senza preoccupazioni, quasi distratti avremo modo d’allungare lo sguardo fuori dal vetro, fuori nel parco poi metterci a fuoco con pochi gesti, poche le cose da salvare ci toccherà essere lievi, deviare quel dolore che dire il male fa ancora più male e storce ogni via di fuga facciamo che sia questo il piano: lasciamoci cadere e lasciamo che sia la terra a fare la terra, dove tutto cresce.

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ostinAzione Mi ostino a ricondurre l’oscillare incerto a tutto ciò che è possibile, la tua presenza così viva mantenuta dentro dopo un po’ di televisione e un solo gesto: appoggiarsi uno all’altro facendo finta di sistemarsi tra i cuscini. Sono momenti in cui la paura ha smesso di starci addosso e il dolore si é sciupato. La nostra cura é ricordare qualche nome il nostro credo dubitare della forma. Vedere chiaramente quanto è vivo ciò che più ci manca.

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considerAzione Aspetto un nuovo tempo dove potersi sedere, allungare lo sguardo quando fuori è gelo e dentro si attende la neve. Sradicare l’agonia che grava gli occhi e questo natale da chiudere in una scatola i giorni malandati, i morsi alla gola tu che tenti una salvezza con poche briciole sul davanzale. Stiamo stretti, ciascuno al proprio dolore, come bestie che si rubano il fiato dell’altro, e la vita la vita è un affare di tutti, una breve battuta di caccia coi cani e qualche animale, scampato.

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consolAzione Se l’aria consola la goccia, il graffito sui tronchi, una catena di serpi si scioglie in preghiere e tu, tu parlami, parlami dei vuoti, dei buchi neri, fanne un cerchio e tienimi dentro abbracciami con la mia ombra e i seni gonfi che l’amore è un sedimento il peso che si stacca dalle lingue ciò che resta a terra e non disperde.

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deviAzione -quella memoria è fame che non si scrive e non ci colma- (Nina) oggi mi balla un occhio e tu sei dentro appeso come una scimmia ma dove sei nel mondo, in quale cavità ripari il sale, io non lo so ma sento ancora il carico e la spinta l’innalzarsi sulle punte al tuo rientro. e non dimentico anche per questo allungo la distanza, faccio passi larghi e segno il territorio come i cani qualcuno dovrà pur iniziare, dire dell’umido che resta, delle macchie le storture e tutti gli amen gli amen e tutto il rumore

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“Finché un raggio infilando la cruna d’un’imposta

corse da me pungendomi la palpebra con una spina di rosa

m’accusava ch’ero viva”

(da Mar Rosso “Sognando” -Fernanda Romagnoli)

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mutAzione Sembriamo due filamenti in questa porzione d’estate, il naso al vento, un cane seduto in mezzo alla via, l’occhio vigile - sembra stia aspettando qualcuno - sorrido alla voce del navigatore, la pelle si distende lungo il viaggio, ad ogni curva ne perdo un lembo, lascio che sia l’aria a fare il lavoro della pietra, lo sfregamento e aspetto. Non parliamo molto, il sentiero ha un tremore minerale, la calma del dito lungo la cartina - questo è finocchietto selvatico - si mischiano le mani, si odorano i sorrisi nella salita ai caduti della guerra facciamo fotografie ad un roseto - è ancora lì, guarda che aspetta davvero - lo so, come il ciliegio a lato e i frutti ancora acerbi.

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conversAzione Quale rumore ci ha sorpresi, forse l’odore delle acacie d’una domenica qualunque un caldo tenace, l’ora sui tavolini coi cerchi delle bibite noi nevica di maggio il pioppeto accanto l’inclinazione della voce mischia parole ai gesti dell’operazione qualcuno si è salvato –grazie a dio – altri raschiano le gole del letargo lungo i mercatini medievali, spiovono roseti dai tetti e non c’è aria dopo il nostro dire solo Genova oltre le colline è pronta per la stagione balneare ma troppo lontana oggi per il nostro ardire e fissiamo taciti appuntamenti con la spiaggia, il mare un canale dove si faceva il bagno da bambini “io, maurizio, giovanni” Tu non lo sai ma io vorrei baciarti ai piedi del vecchio platano, togliere ogni pensiero oscuro che ti pesa il sonno, fermare la fatica delle spighe al ciglio della strada.

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Quaderni di RebStein, LIII, Giugno 2014