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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 08/02/2016

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Rassegna Stampa del 08/02/2016

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INDICE

ANIEM

08/02/2016 Corriere Imprese Emilia-Romagna

Aimag, sono dieci i pretendenti alla privatizzazione8

ANIEM WEB

05/02/2016 informamolise.com 11:34

L'Aniem presenta le proposte sulla riforma degli appalti11

05/02/2016 www.infobuild.it 03:57

Delega Appalti: professionalità, trasparenza, rigore12

SCENARIO EDILIZIA

07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Ance, le dimissioni a sorpresa del presidente De Albertis14

07/02/2016 Corriere della Sera - Bergamo

Palafrizzoni, lite all'Edilizia Il dirigente cambia settore15

06/02/2016 Corriere della Sera - Roma

Consorzio Linea «C» dopo lo stop cantieri, via ai licenziamenti17

06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Italia-Egitto, scambi per 5 miliardi18

08/02/2016 Corriere Economia

Caro-affitti, i rischi per le fasce più deboli20

08/02/2016 Il Sole 24 Ore

Ritardi di pagamento in diminuzione21

06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Istat: la crescita prosegue, passo moderato23

06/02/2016 La Repubblica - Roma

Il Colosseo torna "libero" ponteggi via dopo 3 anni25

08/02/2016 La Repubblica - Affari Finanza

Fincantieri, Credit Suisse non ha azioni dell'Ipo26

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08/02/2016 Il Messaggero - Nazionale

Costruttori divisi sul dopo crisi, De Albertis pronto a lasciare27

06/02/2016 Il Messaggero - Roma

Metro C, niente arretrati dal Comune alle imprese: operai messi in mobilità28

06/02/2016 ItaliaOggi

#Sbloccascuole, pronti 480 milioni29

08/02/2016 L'Unità - Nazionale

Terremoto all'Ance De Albertis minaccia le dimissioni30

06/02/2016 L'Unità - Nazionale

Scuola, Renzi scrive ai sindaci «Liberati 480 milioni per l'edilizia»31

06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Ancona

Lavoro nero, due ditte nel mirino32

06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Pesaro

E' crollato l'impero edilizio della coppia Minardi-Taus: un buco da oltre 100 milioni33

07/02/2016 Il Mattino - Nazionale

L'edilizia pubblica tra inefficienza e malessere sociale34

07/02/2016 Il Mattino - Salerno

Lavoro nero blitz nei cantieri e al Campus35

06/02/2016 Il Mattino - Nazionale

Ponticelli, presto una nuova casa per 101 famiglie36

06/02/2016 Il Tempo - Nazionale

Spunta un'altra lista nera di case comunali37

06/02/2016 Espansione

«Monte Carlo terra fertile per le imprese italiane»41

SCENARIO ECONOMIA

07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Sulla corsa alla Casa Bianca le scommesse di Wall Street47

07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Padoan: banche solide senza lo Stato In Germania aiuti per 240 miliardi48

07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Amazon e Fb campioni in Borsa Ma è l'industria a creare lavoro50

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06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Non si riparte solo con i bonus51

06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Renzi e i margini sui conti pubblici: Bruxelles ci dia quello che ci spetta52

06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Più risparmi che consumi54

06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

Intesa raddoppia l'utile, «l'Italia va»56

06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale

«Mps, un partner per gestire i crediti»58

08/02/2016 Corriere Economia

Il pasticcio di Ansaldo Sts e la nuova (possibile) carriera del giovane Siragusa59

08/02/2016 Corriere Economia

Marcegaglia In campo per la partita Ilva62

08/02/2016 Corriere Economia

L'acciaio esiste (e vive a Bruxelles)64

08/02/2016 Corriere Economia

Mister Edelman: «Più fiducia nelle aziende, ma servono veri leader»65

08/02/2016 Il Sole 24 Ore

Una spallata alle vecchie abitudini67

08/02/2016 Il Sole 24 Ore

Università a dieta: le entrate giù del 15%69

08/02/2016 Il Sole 24 Ore

Ora bisogna ripartire dal Fondo72

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

Il mercato del lavoro e l'enigma che non c'è73

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

La ferita dei giovani disoccupati75

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

Schermaglie tra banche centrali77

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

Banche italiane, la solidità nei bilanci78

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06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Renzi: la flessibilità è un diritto80

06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Padoan: fare presto con l'investimento di Hitachi in Ansaldo*81

06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Bankitalia, chiuse tutte le 11 procedure di crisi83

06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Guardare lontano per decidere bene e subito85

08/02/2016 La Repubblica - Nazionale

"Draghi non deve mollare l'acquisto di titoli proceda"87

08/02/2016 La Repubblica - Nazionale

L'ombra di una nuova recessione affossa il dollaro e inguaia l'Europa88

08/02/2016 La Repubblica - Nazionale

"Un pezzo di carta fantasma è la prova che piace ai boss"90

07/02/2016 La Repubblica - Nazionale

MA RENZI VUOLE UN MINISTRO DEL TESORO EUROPEO?91

07/02/2016 La Repubblica - Nazionale

Risparmi sanità incerti e giochi sovrastimati tutti i dubbi Ue sull'Italia94

07/02/2016 La Repubblica - Nazionale

"Dagli Usa all'Europa, élite sempre più isolate"96

07/02/2016 La Repubblica - Nazionale

Il decreto banche ancora bloccato spunta lo stralcio97

06/02/2016 La Repubblica - Nazionale

"Chiesti 480 milioni a 76 ex manager delle quattro banche Vadano alle vittime"99

06/02/2016 La Repubblica - Nazionale

Usa, frena il lavoro dubbio Fed sui tassi101

06/02/2016 La Repubblica - Nazionale

"Corretta l'Opa di Hitachi Consob si sbaglia su Ansaldo"103

08/02/2016 La Stampa - Nazionale

L'eterno ritorno del conflitto d'interessi Si vota la legge105

08/02/2016 La Stampa - Nazionale

Il petrolio iraniano arriva in Europa Negli Usa produttori low cost in crisi106

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06/02/2016 Milano Finanza

Cimbri (Unipol): che sfide, ma manterremo le promesse107

06/02/2016 Milano Finanza

E non ci fermiamo qui109

06/02/2016 Milano Finanza

Regine del fintech111

06/02/2016 Milano Finanza

Lampi e tuoni in borsa Ma è pioggia di dividendi*115

SCENARIO PMI

08/02/2016 Corriere Economia

Distribuzione La ritirata delle grandi superfici119

08/02/2016 Corriere Economia

Imprese I big al mercato delle startup121

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

Padoan: risultati importanti dalla lotta all'evasione123

07/02/2016 Il Sole 24 Ore

Storie di vini: Montefalco, Caprai e il Sagrantino124

06/02/2016 Il Sole 24 Ore

Delude ma tiene il lavoro Usa126

08/02/2016 La Stampa - Nazionale

I pantaloni Pt Torino sbarcano a New York "L'America può valere il 20% delfatturato"

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06/02/2016 Milano Finanza

SULLA STRADA DEI DUCATI129

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ANIEM

1 articolo

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Aimag, sono dieci i pretendenti alla privatizzazione La multiutility della Bassa modenese cerca partner. Il pressing di Hera Nicola Tedeschini Margine operativo lordo a 48 milioni di euro entro il 2018, in modo che sia sempre pari a oltre la metà della

posizione finanziaria netta, e che alimenti gli 85 milioni di investimenti previsti nel triennio. È riassumibile

così, il nuovo piano industriale di Aimag: per la multiutility della Bassa modenese e mantovana, l'equilibrio

di stato patrimoniale non preclude né il miglioramento dei servizi nei settori acqua, energia, gas e ambiente;

né la possibilità, spiega una nota, di «cogliere eventuali opportunità offerte dal mercato». Il gruppo

presieduto da Mirco Arletti, democratico di scuola Pci, ragiona dunque da cacciatore? Invero, le cronache

recenti dicono il contrario, narrando del prosieguo delle manovre per la privatizzazione, ulteriore o totale.

Ad aprile 2015, mentre dal Comune di Mirandola partiva l'invito a presentare le manifestazioni di interesse,

Dino Piacentini, allora accreditato come unico competitor di Hera, si disse possibilista sull'entrata in scena

di altri attori. Non ha avuto torto: i nomi svelati a metà gennaio dall'advisor PwC sono ben sette. La strada

pare in salita per tre di loro: Canarbino, spa con base nella ligure Sarzana; Fratelli Baraldi, storico gruppo

modenese del settore edilizia e grandi opere; e Austep, società di Milano che si occupa di ingegneria

energetica, in particolare per le rinnovabili. Alla fine, la vera carta a sorpresa l'ha invece calata proprio lui,

Piacentini: alfiere delle «sinergie industriali su obiettivi comuni», ha smentito le ipotesi che lo volevano

alleato delle vicine di casa di Aimag, ovvero Tea e Sorgea, presentandosi in cordata con l'ambizioso

Gruppo Estra. Con sede a Prato, Estra è controllata da 97 amministrazioni comunali toscane; e, finora

allargatosi solamente nell'Italia centrale, pare a caccia del primo avamposto a Nord degli Appennini. A

breve, dovrebbe dunque entrare nel capitale di Piacere Aimag, società veicolo fondata l'anno scorso da

Piacentini, già oggi partner della multiutility della Bassa per il servizio idrico, assieme agli altri imprenditori

modenesi Alberto Reggiani, tuttora socio tecnico per i rifiuti, ed Emer Borsari. In tal senso, l'alleato toscano

completa il cerchio con il proprio know how nella distribuzione del gas, terreno sul quale incombono le aste

in calendario per inizio 2017. La cordata propone un doppio binario: insiste sul meccanismo delle azioni

correlate, grazie a cui i partner dell'ex municipalizzata ricevono il 40% dei profitti limitatamente al settore in

cui operano; e punta a rilevare, anche tramite aumento, il 14% della capogruppo. Fissando tale soglia,

Piacentini intende rispettare il dogma della maggioranza assoluta in mano pubblica, quella dei ventuno

Comuni della Bassa, per questo smentendo apparentemente la logica del «tutto tranne Hera». Se a Viale

Berti Pichat resta infatti il 25% conquistato con 35 milioni nella solitaria asta di sette anni fa, l'ultimo 10%

appartiene alle Fondazioni di Carpi e Mirandola, che hanno espresso la disponibilità a salire fino al

raddoppio della quota, acquisendo eventualmente chip di minoranza nelle controllate. L'offerta non è

dissimile, e anzi pare integrabile, a quella messa sul tavolo, al momento in conto proprio, da una loro

possibile alleata, la Tea di Mantova, capace di spostare il baricentro oltre confine, su un asse fortemente

medio-padano. Per Hera, che si è espansa sulla dorsale adriatica fino all'Abruzzo colonizzando una fetta di

Nord-Est, la Pianura Padana dovrebbe essere il giardino di casa: e invece il bottino recente si limita

all'acquisto, a fine 2014, della Ecoenergy di Castiglione delle Stiviere, società di trattamento dei rifiuti

fondata da un politico di centro-destra. Già presente nel cda di Aimag con i propri massimi esponenti,

Tommasi di Vignano e l'ad Stefano Venier, il colosso ha ora confermato nero su bianco di volere la

maggioranza di controllo. La mossa è stata interpretata come propedeutica all'annessione definitiva dalle

opposizioni presenti nei vari Consigli comunali, a cui è ora passata la palla. Sul calendario, è segnato il 9

maggio: quando, salvo rinuncia esplicita, sarà rinnovato fino all'autunno 2017 il patto parasociale tra Hera e

le 21 amministrazioni azioniste. L'alternativa, minacciata ormai da anni, è la sfida fratricida nelle gare per il

08/02/2016Pag. 9 Corriere Imprese Emilia-Romagna

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ANIEM - Rassegna Stampa 08/02/2016 8

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gas, Antitrust permettendo. Aimag, che rischierebbe grosso sull'ambito ottimale Modena 1, in sostanza il

bacino da lei servito finora, con il nuovo piano industriale ha destinato alle reti del metano 12 milioni: per

aste all'ultimo sangue, non paiono tantissimi. Piccolo o grande, un cavaliere bianco deve per forza arrivare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Chi sono Tomaso Tommasi di Vignano , presidente di Hera Mirco Arletti

, presidente di Aimag

Dovepuntal'utilitydellaBassa 2014A k€ Leprevisionidelpianoindustriale EBITDA INVESTIMENTI

DIVIDENDI CASHFLOW PFN 45.785 18.517 5.444 8.909 76.885 43.642 23.805 5.749 (2.693) 79.578

43.243 40.702 3.939 (18.950) 98.528 48.445 20.390 3.939 8.350 90.178 45.671 21.927 5.037 3.320

85.794 2015F 2016E 2017EA 2018E

Foto: La competizione In gara Dino Piacentini con il gruppo Estra, Canarbino, Fratelli Baraldi, Austep

Foto: La scadenza Il 9 maggio sarà rinnovato fino al 2017 il patto tra Hera e i 21 Comuni azionisti

08/02/2016Pag. 9 Corriere Imprese Emilia-Romagna

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ANIEM - Rassegna Stampa 08/02/2016 9

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ANIEM WEB

2 articoli

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L'Aniem presenta le proposte sulla riforma degli appalti L'ANIEM (Associazione Nazionale Imprese Edili a cui l'ACEM aderisce), recependo anche le osservazioni

elaborate dall'ACEM, ha presentato alla Presidenza del Consiglio le proposte sulla riforma degli appalti

pubblici.

Tra le priorità ritenute essenziali dall'ANIEM la valorizzazione del know how reale delle imprese nella

qualificazione: personale, attrezzature ed esperienze; la trasparenza e professionalità delle commissioni

giudicatrici; l'obbligo di pubblicità delle scelte della Pubblica Amministrazione sull'intero iter della

commessa: dalla fase pre gara alle eventuali varianti approvate; il maggiore rigore e selettività nell'uso

dell'avvalimento; l'esclusione automatica delle offerte anomale nei casi di utilizzo del massimo ribasso.

"Riteniamo che negli appalti e nelle concessioni di lavori, ai fini della qualificazione delle imprese, sia

fondamentale valorizzare le risorse umane nell'organico aziendale - spiega il Vice Presidente dell'ANIEM

Angelo Santoro - con particolare attenzione alla manodopera, ossia alla forza operaia, per premiare le

imprese che abbiano un know how reale e per incentivare le assunzioni. L'avvalimento deve essere più

rigoroso e solo per alcune parti specialistiche delle lavorazioni, perché non è concepibile che un soggetto

che nulla sa di edilizia, facendosi prestare i requisiti possa eseguire opere intere".

Tra le proposta presentate alla Presidenza del Consiglio la valorizzazione del dato inerente le attrezzature

tecniche di proprietà, in quanto indice dell'interesse ad effettuare investimenti sui lavori e la necessità che

nei bandi di gara o negli inviti la stazione appaltante indichi se nel lavoro oggetto dell'appalto vi siano

lavorazioni che per la loro specificità richiedono di essere eseguite da imprese con esperienza qualificata:

in tal caso, le imprese che intendano partecipare dovrebbero dimostrare in maniera rigorosa di aver

maturato una significativa esperienza in lavori analoghi a quelli da affidare.

05/02/2016 11:34Sito Web informamolise.com

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 08/02/2016 11

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Delega Appalti: professionalità, trasparenza, rigore Per l'Associazione Aniem è positiva la legge Delega Appalti approvata dal Governo, ma formula le proprie

osservazioni sulla stesura, rispondendo alla consultazione promossa dalla Presidenza del Consiglio.

Queste le priorità evidenziate da Aniem:

Valorizzare il know how reale delle imprese nella qualificazione: personale, attrezzature ed esperienze;

Trasparenza e professionalità delle commissioni giudicatrici;

Obbligo di pubblicità delle scelte della Pubblica Amministrazione sull'intero iter della commessa: dalla fase

pre gara alle eventuali varianti approvate;

Maggiore rigore e selettività nell'uso dell'avvalimento;

Esclusione automatica delle offerte anomale nei casi di utilizzo del massimo ribasso.

Per Aniem negli appalti e nelle concessioni di lavori, ai fini della qualificazione delle imprese, è

fondamentale valorizzare le risorse umane nell'organico aziendale, con particolare attenzione alla

manodopera assunta ( forza operaia), non potendosi ritenersi realmente indicativo il dato del personale

amministrativo assunto.

Ciò, per premiare le imprese che abbiano un know how reale e per incentivare le assunzioni.

Sempre ai fini della qualificazione delle imprese, è necessario valorizzare il dato relativo alle attrezzature

tecniche di proprietà, in quanto indice dell'interesse ad effettuare investimenti sui lavori.

Nei bandi di gara o negli inviti la stazione appaltante dovrà indicare se nel lavoro oggetto dell'appalto vi

sono lavorazioni che per la loro specificità richiedono di essere eseguite da imprese con esperienza

qualificata. In tal caso, ai fini della qualificazione, le imprese che intendono partecipare dovranno

dimostrare di aver maturato una significativa esperienza in lavori analoghi (da interpretarsi in modo

restrittivo) a quello oggetto di gara.

05/02/2016 03:57Sito Web www.infobuild.it

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 08/02/2016 12

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SCENARIO EDILIZIA

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Il caso Ance, le dimissioni a sorpresa del presidente De Albertis Prova di forza nell'associazione costruttori. L'imprenditore: dopo la crisi deve cambiare tutto Dario Di Vico Il presidente dell'Ance, Claudio De Albertis, ha messo sul tavolo dell'associazione le proprie dimissioni.

Eletto nel luglio 2015, dopo una dura competizione elettorale con l'emiliano Gabriele Buia che li aveva visti

gareggiare testa a testa, De Albertis non vuole condizionamenti nella sua azione che considera di profondo

rinnovamento della rappresentanza dei costruttori italiani. Da sempre nell'Ance (circa 20 mila aziende

iscritte) esistono più anime, convivono infatti sotto lo stesso tetto le pochi grandi imprese strutturate del

settore (con 3-4 miliardi di ricavi) con la stragrande maggioranza delle piccole e piccolissime (anche con

meno 5 milioni di fatturato). Oltre alla taglia pesano anche le differenze politico-culturali tra i territori, con le

associazioni del Nord - De Albertis è milanese - più orientate al business privato e quelle del Lazio e del

Sud focalizzate sui lavori pubblici. Non va dimenticato poi lo scenario di fondo che vede la filiera del

mattone uscire da 8 anni di recessione che hanno terremotato il settore (nel sola edilizia si sono persi 560

mila posti di lavoro) e lo hanno lasciato senza un modello di business convincente che quantomeno

prometta di far ritrovare la via maestra. «Il nostro mondo e anche la nostra associazione devono cambiare

profondamente - dichiara De Albertis -. Servono innanzitutto nuovi modelli di impresa che siano in grado di

affrontare il mercato, occorrono politiche industriali per il dopo crisi e va instaurato un nuovo rapporto con la

committenza dei lavori pubblici. Il confronto dentro l'associazione riflette questa difficile ricerca».

Uno dei primi atti della presidenza De Albertis è stato quello di avviare una forte riduzione delle spese

interne all'Ance che ha portato a una prima intesa con i dirigenti e impiegati per gestire la riorganizzazione

con i contratti di solidarietà. Ma è molto probabile che la politica di riorganizzazione debba continuare per

dare agli associati il senso di una salutare presa d'atto della nuova situazione e quindi rimodulare le spese.

Se più in generale la linea del precedente presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, era stata molto attenta alle

Pmi e per così dire sindacal-movimentista, De Albertis vuole mettere al centro quella che chiama «la

qualificazione delle imprese», un salto di qualità dell'offerta che permetta al sistema di affrontare i nodi

cruciali della competizione per come si presenta nella nuova fase. Da qui la grande attenzione, ad esempio,

ai temi della rigenerazione urbana e dell'efficientamento energetico. I contrasti di indirizzo dentro l'Ance si

sono acuiti nelle scorse settimane con un picco di tensione fatto registrare giovedì scorso. L'annuncio delle

dimissioni di De Albertis avrà per l'immediato l'effetto di accelerare il confronto interno e già da domani sarà

possibile capire come si schiereranno i vari gradi dell'associazione. L'Ance fa parte di Confindustria ma in

virtù di un vecchio patto tra i presidenti Pininfarina e Pisa gode di ampia autonomia e pur non volendo De

Albertis rinunciare a questa prerogativa è considerato molto vicino a Giorgio Squinzi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi èClaudio De Albertis, è stato rieletto presidente dell'Ance nel luglio 2015, dopo aver battuto Gabriele Buia.

Aveva già guidato l'Ance dal 2000 al 2006

L'AnceL'Associazione nazionale costruttori edili è nata nel 1946 L'Ance rappresenta circa 20 mila aziende in tutta

Italia, dai grandi gruppi con 3-4 miliardi di fatturato alle piccole imprese on meno di 5 milioni di ricavi

07/02/2016Pag. 24

diffusione:298071tiratura:412069

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 14

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Palafrizzoni, lite all'Edilizia Il dirigente cambia settore L'accusa di un utente a Cimmino: colpito da una testata. Il Comune: solo una discussione Clima pesante Lalite per una pratica rallentata. E da tempo collaborazione difficile con l'assessore Silvia Seminati Una lite negli uffici del Comune di Bergamo. Un'indagine interna. E un dirigente che passa da un settore

(quello dell'Edilizia privata) a un altro (il Verde). Il litigio è scoppiato a Palazzo Frizzoni una decina di giorni

fa, quando cinque persone (tra cui due architetti) si sono presentate davanti all'ufficio dell'architetto Nicola

Cimmino, che fino a quel giorno era il dirigente dell'Edilizia privata. Un ruolo che ricopriva da quasi cinque

anni. Il gruppo di cittadini è arrivato davanti all'ufficio di Cimmino senza preavviso. Con una richiesta:

sapere perché aveva subìto un rallentamento l'iter burocratico di una loro pratica edilizia per il rilascio del

permesso di costruire. Un intoppo, secondo gli uffici, dovuto al passaggio del documento in ragioneria e

non all'inerzia del personale. Ma la giustificazione non è bastata a convincere le cinque persone. Così è

nata la discussione, anche con toni molto accesi.

L'architetto Cimmino è stato accusato di negligenza da uno dei cinque, a cui ha subito risposto per le rime.

Nei giorni successivi, la vicenda è stata raccontata dai due diretti interessati, però con versioni opposte.

L'utente ha scritto al Comune di aver ricevuto una testata dal dirigente. Anche il dipendente comunale ha

scritto agli uffici, lamentando il comportamento delle cinque persone e, in modo particolare, di una di loro.

Cimmino ha anche presentato una querela per denunciare l'episodio. Atti che hanno fatto scattare

un'indagine interna a Palafrizzoni, visto che la vicenda è successa nei corridoi del Comune.

Dalla ricostruzione, svolta sentendo le persone coinvolte, è emerso che sono volate parole grosse. Per

esempio, la frase «mi stai facendo intimidazioni mafiose», uscita, secondo le testimonianze, dalla bocca di

entrambi. L'indagine ha però escluso un contatto fisico tra i due. Non è stato possibile dimostrarlo. Secondo

il Comune, si è trattato di una discussione, anche se veemente e molto accesa. Non si sono però trovati

elementi di prova per aprire un procedimento disciplinare nei confronti di Cimmino. E dal Comune fanno

sapere che il suo spostamento di un anno alla direzione del Verde non è una punizione. Ma una scelta

concordata dal diretto interessato con il direttore generale, Michele Bertola. Si tratta di un ruolo con un peso

affine a quello ricoperto finora.

Cimmino ieri non ha voluto spiegare quanto è accaduto. «Preferisco non dire niente», le poche parole al

telefono. La vicenda ha creato imbarazzo all'interno dell'amministrazione. E non c'è nessuna voglia di

commentare la vicenda, né tra gli esponenti della giunta, né tra i massimi organi dirigenziali. Però chi

frequenta ogni giorno i corridoi del Comune conosce bene l'ambiente in cui si è sviluppata la lite. Tutti

sanno che Cimmino è un dipendente con una grande esperienza amministrativa, ma con un carattere un

po' fumantino. Una caratteristica esasperata dal ruolo che ha ricoperto fino a pochi giorni fa. Perché

l'Edilizia privata è un settore delicato, dove le pressioni psicologiche sono molto forti: il rapporto con i

cittadini e i professionisti è continuo e non è raro trovare qualcuno pronto a chiedere un occhio di riguardo

per la propria pratica. Anche per questo il dirigente avrebbe meditato da tempo di chiedere lo spostamento.

L'ultima lite è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da tempo, poi, si era persa la sintonia tra il

dirigente e l'assessore all'Edilizia privata, Francesco Valesini. Nulla di personale, ma due diversi modi di

lavorare, in alcuni giorni inconciliabili tra loro. Con l'assessore che ha auspicato più volte un cambio di

passo anche nel modo di organizzare l'attività. E ora all'Edilizia privata arriverà Giorgio Cavagnis, che

lascerà proprio il Verde.

La giunta non si è opposta alla turnazione dei dirigenti, anche perché in linea con la legge

sull'anticorruzione. Una norma che prevede la rotazione del personale dirigenziale che ricopre i ruoli più

delicati. Come quello del responsabile dell'Edilizia privata.

07/02/2016Pag. 3 Ed. Bergamo

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Chi èNicola Cimmino (foto) , classe 1954, era dirigente dell'Edilizia privata

di Palafrizzoni da quasi

cinque anni Ora andrà

al Verde,

al posto

del dirigente Giorgio Cavagnis 5 anni l'esperienza

di Nicola Cimmino come dirigente

del settore dell'Edilizia privata

del Comune

di Bergamo

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Consorzio Linea «C» dopo lo stop cantieri, via ai licenziamenti «Il Comune ci deve 225 milioni di euro» Mobilitazione dei sindacati, lunedì la protesta Il tracciato Avrebbedovuto raggiungere lo Stadio Olimpico. Rischia il fermo a San Giovanni L'offerta Nell'ultima riunione ilCampidoglio avrebbe offerto 26 milioni, il 10 per cento del dovuto Flavia Fiorentino. Dopo lo stop dei cantieri, arrivano i licenziamenti. Centodieci posti di lavoro a rischio per i dipendenti del

Consorzio Metro C mentre altri 500 lavoratori sono già a casa da tempo. Il consorzio, a cui fanno capo le

opere per la terza linea della metropolitana di Roma, ha aperto le procedure per la mobilità e sono partiti i

licenziamenti.La decisione riguarda amministrativi, progettisti, architetti e capi cantiere che ormai da quasi

dieci anni lavorano alla grande opera romana. Si tratta dell' ultimo passo dello scontro sui pagamenti:

all'appello mancano circa 225 milioni di euro da parte di Comune e Roma metropolitane: 185 milioni per

lavori già eseguiti e 70 tra opere già completate e interessi maturati per i ritardi nei pagamenti. L'ultima

riunione con il commissario Tronca risale proprio al 15 dicembre scorso: il Campidoglio non si sarebbe

spinto oltre un possibile saldo di 26 milioni di euro, appena il 10 per cento del dovuto. Una situazione che

nel tempo ha costretto il contraente generale a supplire con risorse proprie per poter mandare avanti i

lavori. Ma da metà dicembre, dopo quasi 9 anni di lavori, 5 anni di ritardo e un costo complessivo di quasi 4

miliardi di euro (un miliardo più del preventivato), è tutto fermo. «Lunedi alle 12 davanti ai cancelli del

campo base in via dei Gordiani - fanno sapere i sindacati territoriali dell'edilizia Feneal Uil di Roma, Filca

Cisl di Roma e Fillea Cgil di Roma e del Lazio - i lavoratori s'incontreranno per denunciare, con numeri e

dati, il completo fallimento della mobilità capitolina e illustrare le proprie proposte e le prossime azioni».

«Nonostante i disagi sopportati negli anni dai cittadini e lo scandaloso esborso di denaro pubblico - si legge

in una nota - la Metro C rischia di rimanere l'ennesima opera capitolina incompiuta. Con l'apertura delle

procedure di mobilità, il Consorzio ha ufficializzato la chiusura dei cantieri: la Metro C si fermerà forse a

San Giovanni».

Al momento infatti manca tutto il tratto centrale che da San Giovanni avrebbe dovuto condurre allo Stadio

Olimpico passando per Colosseo, Piazza Venezia e San Pietro. Cento milioni basterebbero per far ripartire

i lavori ma il Campidoglio tiene i soldi bloccati a causa delle inchieste in atto che vedono protagoniste

Procura di Roma, Corte dei Conti e Autorità Anticorruzione. Sempre secondo i sindacati, i 500 i posti di

lavoro a rischio si aggiungerebbero «agli oltre 27mila già bruciati in edilizia a Roma e provincia negli ultimi

tre anni. Inoltre sono fermi anche i lavori per la costruzione della metro B2. Una mobilità bloccata

nonostante la quale la politica ambisce a candidare la città alle Olimpiadi del 2024. Una mobilità che

penalizza la vivibilità di tutti noi».

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Foto: L'opera Dopo quasi 9 anni di lavori, 5 anni di ritardo e un costo complessivo di quasi 4 miliardi di euro

(un miliardo più del preventivato), è tutto fermo dal dicembre scorso

06/02/2016Pag. 7 Ed. Roma

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Italia-Egitto, scambi per 5 miliardi Dall'energia alle costruzioni, alla meccanica: il commercio è cresciuto del 9,9%. Il ruolo di Eni e Alexbank Francesca Basso MILANO La scoperta dell'Eni nelle acque egiziane del maxi giacimento di gas Zohr, il più grande mai

rinvenuto nel Mar Mediterraneo, è forse il caso più emblematico di quella relazione storica forte tra l'Italia e

l'Egitto - il Cane a sei zampe è entrato nel Paese nel 1954 -, che si traduce in una presenza consolidata

delle nostre imprese. Sono oltre cento quelle che operano nel Paese in diversi settori, dagli idrocarburi al

tessile, dalle costruzioni all'energia, passando dalla meccanica e dal settore bancario. E i big ci sono tutti:

Pirelli, Saipem, Edison, Ansaldo Energia, Breda, Italcementi, Cementir, Danieli, Trevi, Tecnimont, Iveco,

Technit, Carlo Gavazzi. L'interscambio commerciale, secondo i dati Istat, supera i 5 miliardi di euro ed è in

aumento del 9,9% (2014 sul 2013), con un export in crescita ad oltre 2 miliardi.

Dopo le elezioni del maggio 2014, che hanno portato alla presidenza il generale Al Sisi, i rapporti con l'Italia

si sono intensificati e le missioni governative sono state continue, con l'obiettivo di stringere nuovi accordi

commerciali. L'Italia, secondo l'Ice, è il secondo mercato di sbocco in Europa dopo la Germania. La notizia

dell'uccisione dello studente italiano Giulio Regeni è arrivata mentre al Cairo il ministro dello Sviluppo

economico, Federica Guidi, era in missione con una delegazione di 60 aziende e i rappresentanti di Sace,

Simest e Confindustria. «Un momento difficile», ricorda Marcello Sala, presidente del Business Council

italo-egiziano e vicepresidente esecutivo del consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, che faceva parte

della delegazione. Sala conosce bene l'Egitto, ha cominciato a frequentarlo nel 2006 quando Intesa

Sanpaolo è entrata nel Paese con Alexbank, che ora conta 200 sportelli con personale che parla italiano,

una rete di sostegno per le nostre imprese, soprattutto quelle di medie dimensioni, che vogliono sbarcare in

Egitto. «Il legame non si limita allo scambio di import ed export - spiega Sala -. Ci sono molte storie di

travaso di know how , come il progetto "Cotton for life" presentato in luglio all'Expo, che ha come

protagonista la Filmar». La società bresciana sta promuovendo un progetto per lo sviluppo sostenibile

focalizzato sulla coltura e la valorizzazione del cotone egiziano che è di alta qualità. «Nel Paese opera

anche lo storico cotonificio Alpini di Bergamo. Le nostre imprese godono del supporto di preparazione

professionale dell'Istituto salesiano Don Bosco (che ha due sedi, una al Cairo e una ad Alessandria

d'Egitto, ndr ), che quest'anno ha anche avviato un progetto per un corso di ingegneria con il Politecnico di

Torino».

Il governo egiziano sta incoraggiando gli investimenti esteri nel Paese. Alla Conferenza per lo sviluppo

economico dell'Egitto di Sharm el Sheik dello scorso marzo, a cui avevano partecipato oltre 1.800 delegati

da 70 Paesi, il governo aveva illustrato un piano ambizioso che prevede investimenti per circa 80-90

miliardi su settori strategici: energia, edilizia residenziale, trasporti, grandi opere infrastrutturali e logistica.

Settori in cui il Made in Italy è forte. Ma tra le opportunità offerte dal Paese ci sono anche le

telecomunicazioni, uno dei settori in maggiore crescita. Mentre il turismo, che era in forte espansione, sta

subendo una forte contrazione a causa del rischio elevato di attentati terroristici. «L'impatto è stato

pesantissimo - spiega Sala -. Ma mentre l'economia tunisina si basa prevalentemente sul turismo, quella

dell'Egitto è diversificata. Ha una struttura molto sviluppata di piccole e medie imprese e la manifattura ha

un ruolo importante, così come le telecomunicazioni». L'Italia esporta soprattutto prodotti derivati dalla

raffinazione del petrolio, macchinari meccanici ed elettrici, prodotti chimici e materie plastiche, mentre

importiamo petrolio greggio, metalli, filati tessili, minerali e prodotti chimici. L'ultima missione del Mise ha

contribuito alla finalizzazione dell'accordo per l'ammodernamento e l'espansione della raffineria di Midor,

vicino ad Alessandria d'Egitto, progetto affidato a Technip Italy: un investimento da 1,4 miliardi di dollari.

06/02/2016Pag. 6

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Esportazioni in Egitto per settori (2014) Il maxi giacimento scoperto dall'Eni Fonte: Sace d'Arco

L'interscambio commerciale (2004-2014) 0 export import Valori in milioni di euro -1.000 -500 500 1.000

1.500 2.000 2.500 3.000 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Israele Libano EGI

T TO Tamar Aphrodite Leviathan Al Gamil El Temsah 130 km 65 km Mar Mediterraneo Gaza Damietta

LNG ELNG Cisgiordania Zohr ITALIA altro 15,2% moda 3,2% gomma, plastica, materiali da costruzione

3,5% app. elettrici 8,8% meccanica strumentale 34,1% prodotti energetici raffinati 16,3% metallurgia e prod.

in metallo 9,8% prod. chimici 9,1%

La parola

SaceSace è una società del gruppo Cassa depositi e prestiti, che opera nel settore dei prodotti assicurativi e

finanziari: credito all'esportazione, assicurazione del credito, protezione degli investimenti, garanzie

finanziarie, cauzioni e factoring. Presta servizi in 189 Paesi, garantendo flussi di cassa stabili e

trasformando i rischi di insolvenza delle 25 mila imprese che ha come clienti in opportunità di sviluppo.

Sace ha un rating pari a A- (Fitch). Finora ha assicurato un ammontare di operazioni per 70 miliardi di euro.

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06/02/2016Pag. 6

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Caro-affitti, i rischi per le fasce più deboli g. pa. Cresce l'emergenza abitativa e a farne le spese sono in primo luogo le famiglie che non riescono a trovare

un alloggio o a sostenere il costo di un affitto, ma anche gli investitori privati che devono fronteggiare

sempre più spesso la morosità degli inquilini.

Il recente rapporto di Federcasa e Nomisma segnala che 1,7 milioni di nuclei familiari hanno un canone di

locazione superiore al 30% del reddito disponibile, un livello che rende a rischio la possibilità di pagarlo.

L'edilizia pubblica riesce a far fronte solo alle esigenze di 700 mila famiglie, per un milione quindi rimane un

problema che la politica di fatto non ha affrontato da decenni e che cerca di risolvere con periodiche

proroghe degli sfratti. Il rapporto presenta il quadro della situazione degli immobili di edilizia pubblica: gli

alloggi gestiti in locazione nell'intero territorio nazionale sono circa 758 mila, l'86% dei quali assegnati; il

resto o è sfitto oppure occupato da abusivi. La gran parte degli inquilini delle case popolari non ha

alternative per abitare una casa: nel 28,3% la persona di riferimento supera i 75 anni, il 19,6% è compreso

tra 65 e 75 anni; il 44,4% guadagna in un anno meno di 10 mila euro. Molto alti i tempi di permanenza negli

alloggi: il 49% vive nella stessa casa da almeno 20 anni, il 28% da oltre 30 anni.

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IN SOFFERENZA L'emergenza abitativa in Italia 65% 758mila 652mila Quota italiani Abitazioni pubbliche -

occupate 1,7 MILIONI Fonte: Federcasa-Nomisma Famiglie in affitto non in grado di pagare il canone ! s.F.

08/02/2016Pag. 33 N.5 - 8 febbraio 2016

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IMPRESE Ritardi di pagamento in diminuzione Enrico Netti I pagamenti tra le aziende vedono un calo di ritardi e protesti e tornano ai livelli del 2012 u pagina 10 p«Per

quanto riguarda protesti e abitudini di pagamento la situazione degli ultimi dodici mesi è nettamente

migliorata». Questa la premessa di Gianandrea De Bernardis, ad di Cerved Group, scorrendo i dati

dell'ultimo Osservatorio aggiornato al terzo trimestre del 2015. I numeri parlano chiaro: rispetto al periodo

più acuto della crisi i pagamenti tra le imprese hanno imboccato una via virtuosa riuscendoa fare un salto

nel passato ritornando ai livelli del 2012. Nella seconda parte del 2015 evidenzia l'analisi dei dati

dell'archivio protesti e di Payline, il database di Cerved sulle abitudini di pagamento di quasi 3 milioni di

aziende italiane ­ le fatture sono state liquidate con meno difficoltà, secondo un trend che coinvolge tutti i

settori e le aree del territorio. Inoltre lo stock dei casi di grave ritardo è ai minimi dal 2012. Il saldo arriva in

media a 76 giorni, quasi due giorni in meno del 2014, con un calo del ritardo che è di poco superiore alle

due settimane, al minimo da tre anni. In flessione anche la casistica dei gravi ritardi, quelli oltre i due mesi,

che nel terzo trimestre del 2015 sono stati pari al 6,6 per cento. «Questo miglioramento si deve in parte al

miglioramento della congiuntura, in parte all'uscita dal mercato delle imprese più deboli ­ aggiunge l'ad di

Cerved ­. Inoltre le imprese sono diventate sempre più attente nel concedere affidamenti». Dello stesso

parere Eugenio Eger, al vertice della Favini, impresa medio­grande leader nel packaging, nell'editoria di

lusso e nei supporti cartacei usati per produrre l'ecopelle. «Rispetto a cinque anni fa il portafoglio clienti e la

qualità del credito sono miglioratie con essi l'affidabilità ­ commenta ­. Siamo così riusciti a ridurre i casi di

ritardi e mancati pagamenti». Dello stesso parere Emiliano Baldi, ad della Baldi, Pmi marchigiana che

vende food al mondo della ristorazione, che aggiunge: «per evitare situazioni problematiche ci siamo

strutturati per gestire il credito come una banca, con un aggravio dei costi vicino all'1% del fatturato, ma

riusciamo a ridurre gli insoluti che spesso sono l'anticamera del default del cliente». Un investimento

preventivo che permette di evitare maggiori oneri. Cauto Umberto Pengo, amministratore delegato della

Pengo, azienda del Nord­ Est specializzata nella distribuzione di accessori per la casa, con una clientala

frammentata in tutt'Italia che spazia dalle catene della Gdo ai negozi di prossimità: «Per noi la situazioneè

stabile e non vediamo indizi di un miglioramento» dice. Continua anchea diminuire in numero delle società

protestate: nel terzo trimestre del 2015 sono state 13.200, un quinto in meno rispetto all'anno precedente e

sotto quota 15mila, che rappresentavano la media nel 2007. «Anche i protesti delle imprese di costruzione

per la prima volta sono calati al di sotto dei livelli precrisi rimarca De Bernardis ­. È l'effetto di un migliorato

clima economico, come testimoniato anche dal calo delle liquidazioni volontarie delle aziende». Arretrano,

con cali a due cifre, i protesti in tutti i settori del manifatturiero e dei servizi. Fanno eccezione il sistema

moda (­2,5%), i prodotti intermedi (­4,5%) e il largo consumo (­8%). Il ritorno della solvibilità è un fenomeno

che interessa tutti i comparti e le regioni. Certo le attività nel Mezzogiorno fanno più fatica ad avvicinarsi ai

livelli precrisi. Per quanto riguarda le condizioni concordate tra le aziende, la formula più utilizzata è quella

dei 60 giorni. Dall'analisi per classe dimensionale, secondo i dati Payline, emerge anche un incremento

della puntualità delle microimprese e le Pmi, tradizionale anello debole della filiera della fornitura.I tempi

medi si riducono nell'industria e nel terziario mentre c'è una battuta d'arresto al miglioramento nelle

costruzioni. Le imprese della distribuzione hanno limato di 2,6 giorni i ritardi, quelle della logistica di 1,5

giorni e i servizi non finanziari di un giorno. Stabili le costruzioni e in controtendenza i media e

l'intrattenimento (+0,6 giorni),i servizi finanziari (+1,5)e l'immobiliare (+5,2 giorni). Nel manifatturiero il saldo

arriva dopo 80,3 giorni grazie a un calo dei ritardi che nella meccanica è molto consistente (­6 giorni) e nel

largo consumo (­4,8). In alcuni casi l'allungamento dei tempi concordati, come si è visto nel Nord Est, viene

letto come il segno di una maggiore flessibilità dei fornitori che concedono scadenze un po' più lunghe.

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Leggendo i dati dell'Osservatorio viene da pensare che l'Italia sia riuscita a lasciarsi alle spalle la crisi.

«Non del tutto perché al Sud e nelle costruzioni i protesti rimangono quasi il doppio della media nazionale.

In Calabria e Sicilia i gravi ritardi, per esempio, sono il triplo rispetto alle regioni più virtuose conclude l'ad di

Cerved ­. Inoltre i mancati pagamenti sono al di fuori delle medie europei».

76 GIORNI CHE IN MEDIA SERVONO PER RICEVERE IL SALDO

Il confronto 0 15,0 10 5,0 25 20 15 16,1 6,6 ,0 2,5 25,0 20,0 19,1 9,1 10,0 2007 2012 2012 2008 2009

2013 2010 2011 2012 2014 2013 2014 2015 2015 12,5 10,0 7,50 I II III I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I

II III IV I II III IV I II III IV I II III IV Fonte: Cerved Group I II III I II III IV I II III IV GIORNI DI RITARDO I II III IV

I II III IV COSÌ AL SALDO Medie ponderate. In giorni GRAVI RITARDI (scala a destra) GIORNI DI

RITARDO TERMINI CONCORDATI 2013 2014 2015 LE SOCIETÀ PROTESTATE Imprese non individuali

con almeno un protesto In migliaia I II III IV I II III IV I II III IV L'ANDAMENTO Giorni medi di r itardo e % di

imprese con r itardi medi di oltre due mesi 19,1 19,3 19,2 23,2 21,1 20,5 17,7 20,4 18,4 19,0 17,5 19,3 17,2

16,8 16,1 60,7 59,8 62,0 60,6 60,1 57,3 60,0 58,9 59,1 58,0 60,0 58,5 59,3 57,4 59,8 79,8 79,1 81,2 83,8

81,2 77,8 77,7 79,3 77,5 77,0 77,5 77,8 76,5 74,2 76,0

Foto: [email protected]

08/02/2016Pag. 1,10

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La ripresa difficile Manifatturiero e costruzioni Incerta la ripresa della manifattura, primi segnali positivi nelsettore delle costruzioni Emergenza Mediterraneo Nella telefonata Renzi-Hollande si è discusso anche deipassi per un governo di unità nazionale in Libia CONTI PUBBLICI Istat: la crescita prosegue, passo moderato Meglio le famiglie, imprese incerte - Confcommercio: consumi +1,6% nel 2015 Nel terzo trimestre 2015 ilpotere d'acquisto delle famiglie è aumentato dell'1,4% e sul quarto è atteso un ulteriore miglioramento Benie servizi per la mobilità registrano una crescita del 7%; alberghi e pasti fuori casa dell'1,3%. Per alimenti ebevande variazione nulla Rossella Bocciarelli PIl barometro della congiuntura interna continua a puntare sul bello «sebbene con un'intensità più

contenuta dei mesi precedenti». È il commento della Nota congiunturale mensile Istat. Che ne deduce, in

ogni caso,«il proseguimento della fase di moderata crescita dell'economia». Il fatto è, spiega l'Istituto diretto

da Giorgio Alleva, che le prospettive economiche di imprese e famiglie si stanno sviluppando in modo

differente. Per le imprese, infatti, non c'è ancora un generalizzato aumento dei ritmi produttivi; anzi, il quarto

trimestre dell'anno appena concluso ha mostrato una dinamica altalenante per il settore manifatturiero. E

«l'incertezza sull'intensità della ripresa dell'attività manifattu­ riera è attesa estendersi nei prossimi mesi».

Infatti, gli ordinativi hanno registrato una flessione dell'1,8 per cento nel trimestre compreso fra settembre e

novembre scorsi. Il motivo sono le forti riduzioni delle commesse estere(­3,3%). In buona sostanza, quindi, il

peggioramento del clima nel commercio internazionale comincia a farsi sentire. E il risultato è che anche il

sentiment delle imprese manifatturiere è peggiorato in gennaio, mentre in controtendenza appare il settore

delle costruzioni, dove, secondo l'Istat, si comincianoa delineare i primi risultati positivi: la produzione ha

segnato un netto rimbalzo (+2,9%). Se il driver del commercio estero rallenta, va meglio il mercato interno.

L'Istat rimarca infatti che nel terzo trime­ ROMA stre del 2015 il potere d'acquisto delle famiglie, al netto

dell'andamento dell'inflazione è aumentato dell'1,4% rispetto al trimestre precedente. E le informazioni sul

quarto trimestre suggeriscono un ulteriore miglioramento dei consumi, mentre a gennaio 2016 è risultato in

aumento anche il clima di fiducia dei consumatori. Insomma, sono le famiglie, in questo momento, a

sostenere la domanda interna ed è proprio il recupero della domanda interna che dovrebbe garantire la

possibilità di centrare l'obiettivo di sviluppo nel 2016 che secondo il Governo sarà intorno all'1,6 per cento,

secondo Bankitalia potrà arrivare all'1,5 e secondo la Ue dovrebbe attestarsi all'1,4 per cento. Non male,

comunque, soprattutto se si tiene conto delle performance economiche degli anni che abbiamo alle spalle.

Ecco perché l'ufficio studi della Confcommercio dà molto risalto al valore del suo indicatore dei consumi,

che in dicembre ha registrato un'invarianza rispetto al mese precedente e una crescita dell'1,7%

tendenziale, ma che, soprattutto, nel complesso del 2015 «l'Icc ha avuto una crescita dell'1,6%, la prima dal

2007». Insomma, erano otto anni che non si vedeva un incremento di questo tipo: per l'esattezza, la

crescita del consumo dei beni nell'anno ha segnato un +1,7%e quella dei servizi un +1,3%, mentre nel

complesso del 2014 si era registrata una flessione dello 0,5%. L'associazione dei commercianti non manca

di evidenziare, peraltro, che il miglioramento del clima di fiducia dei consumatori stenta ancoraa tradursi in

una ripresa vera della domanda. E ricorda che la crisi degli ultimi anni si è tradotta non solo in un calo dei

consumi, ma anche in un'erosione del risparmio cautelativo e in una sensibile riduzione della tradizionale

forma di investimento delle famiglie, l'acquisto di abitazioni. In questo momento, si osserva, è presumibile

che le famiglie stiano cercando forme di riequilibrio tra consumi, risparmio e investimenti e che solo nei

prossimi mesi i consumi potranno tornarea crescere a ritmi più sostenuti. Nella ricerca si ricorda inoltre

chea dicembre l'occupazione ha registrato una contenuta riduzione su base mensile (­21.000 unità) e un

incremento nei confronti dell'analogo mese del 2014 (+109.000 unità), ma che, nel complesso del 2015, gli

occupati sono aumentati di 176.000 unità. Nel dettaglio,i consumi nel 2015 sono cresciuti soprattutto nei

beni e servizi per la mobilità (+7% a fronte del +0,2% del 2014) e nei beni e servizi per le comunicazioni

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(+3,3% rispetto al +1,9% del 2014) ma anche nei benie servizi ricreativi (+1,1% contro il ­0,2% del 2014).

Nel settore alberghi e pasti fuori casa si registra un +1,3% (­0,3% nel 2014) mentre nei beni alimentari e le

bevande la variazione è stata nulla, dopo un ­1,1% registrato nel 2014. Nel settore abbigliamento e

calzature c'è stata una ripresa, con un +0,9% a fronte del ­0,8% segnato nel 2014.

Il barometro 0 140 120 100 80 60 108 104 100 96 92 0,8 0,4 -0,4 -0,8 120 110 100 90 80 2011 2012 2013

2011 2012 2013 Istat Fonte: Istat Costruzioni Manifattura 2014 2015 Confcommercio Indici base 2010=100

Servizi Commercio 2014 2015 2016 Variaz. congiunturali (scala dx) LA RIPRESA DEI CONSUMI Dati

destagionalizzati in volumi IL CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE LE PROSPETTIVE DI BREVE

TERMINE Fonte: elaborazione ufficio studi Confcommercio Indicatore anticipatore dell'economia. Indice

2005=100 2013 2014 2015 2016 Ind. anticipatore (scala sx) Clima di fiducia (scala sx) Indicatore consumi

(scala dx)

LA PAROLA CHIAVEPotere d'acquisto 7 È il reddito lordo disponibile delle famiglie in termini reali, ottenuto dall'Istat utilizzando il

deflatore della spesa per consumi finali delle famiglie espressa in valori concatenati con anno di riferimento

2010. Nel caso del settore famiglie nel suo complesso, viene utilizzato il deflatore della spesa per consumi

finali delle famiglie e delle istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie, espressa in valori

concatenati con anno di riferimento 2010

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IL RESTAURO-SHOW DEL MONUMENTO Il Colosseo torna "libero" ponteggi via dopo 3 anni CARLO ALBERTO BUCCI A PAGINA XI IL montacarichi sale verso l'ultimo piano del Colosseo, 50 metri d'altezza con vista

mozzafiato su Roma, sul cantiere (tristemente fermo) della Metro C e su quello del restauro appena

concluso sulla parte esterna dell'arena gladiatoria. Intanto gli operai mandano giù un tubo Innocenti. È

l'addio all'ultimo ponteggio del restauro targato Tod's.

I lavori di pulitura e consolidamento sono finiti dopo tre anni dall'avvio. Passeranno decenni prima che

l'ellisse esterna del monumento più visitato d'Italia (6 milioni di persone all'anno) abbia ancora bisogno di

ponteggi. Quelli attuali verranno smontati entro Pasqua. Mentre cancellate e parapetti di ferro, in stile

all'antica, «saranno qui a fine febbraio così che potremo completare l'installazione lungo i 79 fornici»,

annuncia l'architetto Alex Amirfeiz, presidente di Aspera, la società che a luglio 2014 ha sostituito la

Gherardi, dando un'accelerazione decisa (raddoppio delle forze in campo) al cantiere delle polemiche. Altri

ponteggi, però, arriveranno presto a cingere il Colosseo. Intanto c'è, all'interno, sul fianco di una gradinata,

il cantiere per l'operazione di conservazione straordinaria delle creste dei muri, pagata dalla

Soprintendenza archeologica. E c'è, soprattutto, a completamento del finanziamento di 25 milioni (Iva al

22%) di Diego Della Valle (che per le facciate sta sborsando 6,5 milioni), il cantiere per i restauri dei

sotterranei; il cantiere, che andrà a gara quasi contemporaneamente, per la costruzione del nuovo centro

accoglienza (con bar, toilette, bookshop) da progettarsi dentro la collinetta erbosa, di riporto, sul fianco

dell'Arco di Costantino; infine, terzo step, il ponteggio per la pulitura e il consolidamento delle superfici in

travertino e mattoni dei corridoi interni.

Già, perché ora che archi, colonne, capitelli e pilastri dell'esterno sono tornati a mostrare «tutti i colori del

tempo, dal giallo dorato al rosso dei numeri impressi sugli ingressi, dal bruno scuro al nero delle patine di

ossalato da mantenere», per dirla con Rossella Rea, direttrice del monumento, salta all'occhio la differenza

tra il nero e l'oro, lo sporco e la luce. «Pensi che durante i restauri diretti da Gisella Capponi, capo

dell'Istituto centrale, i 25 restauratori hanno trovato un rifacimento degli anni '40-'50 con il bitume. Sì,

bitume, così che il colore fosse intonato con il nero del travertino», rivela Rea.

Gaetano Correa, il capo cantiere, svela invece il lavoro al tempo dei Flavi. «I miei colleghi dell'80 d.C.

erano divisi in 4 imprese. Lavorarono in contemporanea. E abbiamo trovato i punti di attacco tra le

costruzioni dei 4 team. È stata un'emozione».

LE STAFFE Anche i ferri del '700 di contenimento dei pilastri ("catene") sono stati lasciati in loco e

restaurati con una mano di Paraloid I DIPINTI Al centro di uno degli archi restaurati sono apparsi la figura di

Cristo ( chiave di volta) e (a destra) lo scudo di Roma PIETRE NERE Sul lato Sud si trovano a terra i

blocchi, ancora da pulire, caduti in passato a causa dei molti terremoti che hanno colpito Roma I

CANCELLI Buttati i vecchi tubi innocenti Ognuno dei 79 fornici del primo piano avrà entro fine mese una

cancellata in ferro, forgiata in uno stile all'antica

Foto: Il Colosseo si avvia allo sgombero totale dei ponteggi dopo tre anni di lavori Il maxi restauro restituirà

i colori originali all'Anfiteatro Flavio

06/02/2016Pag. 1 Ed. Roma

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 25

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LA LETTERA Fincantieri, Credit Suisse non ha azioni dell'Ipo (•s.ben.) Ci preme replicare all'articolo di Sara Bennewitz dal titolo "Fincantieri, lo scoglio del capitale" dell'I febbraio

perché riteniamo che non tenga in debito conto le dinamiche che caratterizzano il nostro comparto. In primo

luogo, nel passaggio in cui viene citato il report di Banca IMI a proposito dell'accordo con Virgin Cruises, si

potrebbe intendere che questo sarebbe stato raggiunto in perdita ("costi di sviluppo superiori alla norma"),

quando invece è stato perfezionato in u n momento in cui gli armatori fanno a gara per accaparrarsi i bacini

di costruzione, ad u n prezzo quindi ben diverso da quelli del recente passato. Inoltre non risponde al vero

che Credit Suisse, nostro advisor nel processo di quotazione, abbia acquistato "parte delle azioni

dell'offerta pubblica": l'aumento di capitale effettuato nell' IPO provien e tutto da pubblico indistinto.

Fincantieri, che vanta u n carico di lavoro e u n portafoglio ordini attesi di circa 20 e 26 miliardi, e che

concorre a creare circa u n p u n t o di Pil all'anno, sulla base dello scetticismo di Mediobanca richiamato

nel testo, dovrebbe rivoluzionare il proprio modello di business in quanto attività che "brucia cassa". Non

capiamo se gli analisti di Mediobanca ci suggeriscono di uscire dalla crocieristica e chiudere i cantieri di

Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di Stabia q u a n d o il mercato n e

consente la piena utilizzazione per i prossimi 10 anni. Chi conosce questo settore sa che l'80% delle navi

viene pagato dall'armatore alla consegna, come previsto della Convenzione Ocse sui crediti

all'esportazione, m a dovrebbe sapere anche che il pagamento da parte delle società armatrici avviene

sempre attraverso finanziamenti assunti sul mercato. Gli armatori si indebitano per acquisire navi m a i

costruttori n o n possono farlo? Il nostro debito poi n o n si sviluppa come quello del committente su 12

anni, m a su 3, e in concomitanza con la consegna l'armatore salda l'intero prezzo, permettendoci di

estinguere ogni pendenza. Infine, n o n ci appassiona la questione relativa al futuro assetto manageriale

della società, che vanta u n gruppo dirigenziale coeso capace di fare di Fincantieri u n leader mondiale,

caso rarissimo in Italia, e che continuerà a gestire u n a fase di crescita significativa e l'imponente carico di

lavoro per garantire redditività agli azionisti. Fincantieri Media Relations Fincantieri sa che stare sul mercato

comporta l'obbligo di perseguire sempre il massimo livello di efficienza. Il gruppo in meno di due anni h a

perso il 60% del suo valore. Questo è u n fatto, a prescindere dallo scetticismo di Mediobanca.

08/02/2016Pag. 18 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 26

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IL CASO Costruttori divisi sul dopo crisi, De Albertis pronto a lasciare R. Ec. Ai piani alti dell'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori italiani, le scosse di assestamento sono state

sentite forti e chiare. Se seguirà un vero e proprio terremoto ai vertici ancora non è dato sapere. Certo è

che il presidente dell'associazione, Claudio De Albertis, dopo poco più di sei mesi dall'inizio del suo

mandato, ha minacciato di essere pronto a lasciare l'incarico se non avrà il pieno sostegno da parte di tutti

sulla sua strategia per portare il settore fuori dalla secche della crisi. È infatti in corso un dibattito interno,

con l'associazione divisa tra diverse anime, alle quali De Albertis si è rivolto facendo appello all'unità. Il

teatro della frattura è stata l'ultima riunione dell'esecutivo dell'Ance, l'organo di governo dell'associazione,

durante la quale sono venute fuori, con ancora maggiore evidenza, le divisioni interne e le differenze di

visione strategica tra le diverse anime che da sempre convivono nell'associazione dei costruttori. L'Ance

riunisce circa 20 mila aziende private, dalle più grandi alle tante piccole con qualche milione di fatturato

annuo e quindi le esigenze sono comprensibilmente diverse. Il sistema associativo copre tutto il territorio

nazionale ed è articolato in 102 associazioni territoriali e 20 organismi regionali. Insomma un sistema

complesso. Dall'inizio della crisi il settore ha perso 502 mila posti di lavoro (-25,3%) e altri 300.000

nell'indotto; circa 80mila imprese sono uscite dal mercato; gli investimenti nell'edilizia sono crollati del 30%.

Il 2016 dovrebbe essere l'anno delle lenta risalita, ma non tutti i problemi sono stati risolti. «La crisi è stata

durissima e ha praticamente cambiato il volto di questo mestiere, rendendo tutti più consapevoli della

necessità di affrontare nuove sfide, in un contesto di mercato profondamente rinnovato e di fronte a una

domanda molto più esigente rispetto al passato. Servono innanzitutto nuovi modelli di impresa che siano in

grado di affrontare il mercato, occorrono politiche industriali per il dopo crisi e va instaurato un nuovo

rapporto con la committenza dei lavori pubblici» ha recentemente spiegato De Albertis. IL RISANAMENTO

Ovviamente le profonde ferite della crisi hanno avuto ripercussioni pesanti anche sugli stessi conti

dell'associazione: le quote associative si sono dimezzate, passando dagli oltre 23 milioni del 2008 a poco

più di 12 milioni e mezzo dello scorso anno. In questo quadro si inserisce l'azione di risanamento avviata

da De Albertis, con riduzione delle spese, contratti di solidarietà e tagli agli stipendi dei dirigenti. Un'azione

che De Albertis intende portare avanti, ma solo con il sostegno di tutti. «Il nostro mondo e anche la nostra

associazione devono cambiare profondamente. Il confronto dentro l'associazione riflette questa difficile

ricerca» ha continuato De Albertis. Da oggi inizieranno le verifiche interne per capire se quel sostegno

corale e unitario, chiesto dal presidente sin dall'avvio del suo mandato a luglio scorso 2015, esiste ancora

(De Albertis fu eletto a grandissima maggioranza) oppure nel frattempo siano emersi orientamenti diversi.

Foto: DOPO POCO PIÙ DI SEI MESI DALLA SUA NOMINA IL PRESIDENTE ANCE MINACCIA DI

DIMETTERSI

Foto: Claudio De Albertis

08/02/2016Pag. 11

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Metro C, niente arretrati dal Comune alle imprese: operai messi inmobilità OLTRE 200 MILIONI NON EROGATI: LE AZIENDE ANCORA IN ATTESA DI UNA CONVOCAZIONE DALCAMPIDOGLIO Fa.Ro. TRASPORTI Il Campidoglio continua a non versare i fondi arretrati per i lavori della Metro C, la più

importante infrastruttura in costruzione in Italia. E le imprese, dopo oltre un mese e mezzo dalla

sospensione dei cantieri, avviano il procedimento per mettere in mobilità gli operai. «Abbiamo avviato la

procedure di mobilità perché, dopo tutto questo tempo, nessuno si è ancora messo in contatto con noi per

dirci quando e come ci saranno pagati i fondi dovuti - sottolinea il presidente del consorzio Metro C, Franco

Cristini - Siamo in attesa di una convocazione, appena l'avremo potremmo anche fermato le procedure,

altrimenti non abbiamo scelta». Per ora, insomma, nessuna risposta alle istanze delle imprese. Né da parte

dalle istituzioni locali né da Roma Metropolitane, la società partecipata al 100 per cento del Campidoglio

che si occupa dell'ampliamento della rete di trasporto pubblico su ferro della Capitale. I CREDITI L'azienda

capitolina, secondo le imprese costruttrici è in debito per ben 255 milioni di euro: 185 milioni per lavori già

eseguiti, certificati ma mai pagati, più altri 70 milioni tra lavorazioni già completate e non ancora certificate e

interessi maturati per i ritardi nei pagamenti. L'ultima riunione con il commissario straordinario Francesco

Paolo Tronca e il sub commissario Pasqualino Castaldi risale proprio al 15 dicembre, l'ultimo giorno di

attività dei cantieri: il Campidoglio al momento non si sarebbe spinto oltre un possibile saldo di 38 milioni di

euro, circa il 15 per cento del dovuto. Una situazione che in pratica ha costretto il contraente generale a

ovviare con risorse proprie ai mancati pagamenti, pur di mandare avanti i lavori. Ma dalla fine del 2015 è

tutto fermo. Così l'ultima stazione aperta rischia di essere la numero 21, quella di piazza Lodi: niente San

Giovanni, quindi, e niente Fori imperiali. Il progetto realizzato fino ad oggi comprende oltre 18 chilometri di

linea in esercizio, con 21 stazioni, che collegano il capolinea di Monte Compatri-Pantano alla fermata Lodi.

La linea C ha registrato in un anno oltre 6 milioni di accessi, con circa 50 mila passeggeri al giorno. Un

numero destinato progressivamente ad aumentare quando l'opera sarà completata.

Foto: Il cantiere della Metro C a San Giovanni: i lavori sono fermi da metà dicembre per il debito del

Comune con le imprese

Foto: 18,1

Foto: I chilometri della linea C della metropolitana già attivi, con ventuno stazioni aperte

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#Sbloccascuole, pronti 480 milioni Con una lettera del premier Matteo Renzi a oltre 8 mila sindaci e amministratori prende il via l'operazione

#Sbloccascuole, prevista dalla legge di Stabilità 2016. Si tratta, informa una nota della presidenza del

consiglio dei ministri, di 480 milioni di euro liberati dai vincoli di bilancio per comuni, province e città

metropolitane per interventi di edilizia scolastica e per la realizzazione di nuove scuole. Entro il 1° marzo

2016 gli enti locali possono trasmettere la domanda alla struttura di missione per l'edilizia scolastica della

presidenza del consiglio attraverso il sito www.sbloccabilancio.it, compilando il form online. L'operazione

#Sbloccascuole libera la spesa di risorse a valere sull'avanzo di amministrazione e sul ricorso al debito,

andando a completare, per l'edilizia scolastica, lo sblocco delle somme per investimenti pluriennali attuato

con la legge di stabilità 2016. Già dal 2014, grazie a 344 milioni di sblocco del patto di stabilità, 454 comuni

e 107 province e città metropolitane hanno potuto fi nanziare la ristrutturazione totale degli istituti, con

particolare attenzione agli interventi di bonifi ca dell'amianto e di adeguamento alle normative per la

sicurezza antisismica e antincendio, e la costruzione di nuove scuole. Dei 1.158 cantieri aperti, 787 sono

già conclusi. «La salute della scuola», scrive Renzi, «è un tema scritto ai primi punti dell'agenda politica. In

tutto abbiamo già aperto 3.766 cantieri, di cui 2.435 già chiusi. Vuol dire 20.875 posti di lavoro, che

diventeranno 46.882 con i cantieri in partenza nel 2016».

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Terremoto all'Ance De Albertis minaccia le dimissioni Il presidente dei costruttori chiede unità per poter arontare meglio la crisi Teatro del conitto l'ultima riunionedell'esecutivo R. E. Terremoto ai vertici dell'Ance. Il presidente dell'associazione dei costruttori Claudio De Albertis è pronto a

lasciare l'incarico, dopo poco più di sei mesi dall'inizio del suo mandato, se non avrà il pieno sostegno

dell'associazione sulla strategia per portare il settore fuori dalla crisi. È infatti in corso un dibattito interno,

con l'associazione divisa tra diverse anime, alle quali De Albertis si è rivolto facendo appello all'unità. Il

teatro della frattura è stata l'ultima riunione dell'esecutivo dell'Ance, l'organo di governo dell'associazione,

nel corso del quale De Albertis, che ha già guidato l'Ance dal 2000 al 2006, ha avvertito che andrà avanti

solo con un mandato pieno, facendo all'unità. Quella stessa unità richiamata da De Albertis fin dall'avvio del

suo mandato: il 28 luglio 2015, nel saluto all'Assemblea che lo aveva appena eletto presidente ad

ampissima maggioranza, De Albertis ringraziava «tutti coloro che hanno collaborato affinché la nuova

Presidenza fosse espressione di tutta l'Associazione in un clima di unità e di armonia necessarie per

traghettare finalmente il settore fuori dalla perdu rante crisi da cui fatica a uscire». Le differenze tra le

diverse anime che convivono nell'associazione dei costruttori, che riunisce circa 20 mila aziende, si

sarebbero acuite negli ultimi mesi anche alla luce della dicile situa zione in cui versa ancora il settore, che

dall'inizio della crisi ha perso 502 mila posti di lavoro (-25,3%), con una perdita complessiva che raggiunge

le 780 mila unità considerando anche i settori collegati. L'associazione ha assistito in questi anni di crisi ad

un dimezzamento delle quote associative, passate dagli oltre 23 milioni del 2008 a poco più di 12,5 milioni.

E in questo quadro si inserisce l'azione di risanamento avvia ta da De Albertis, con riduzione delle spese,

contratti di solidarietà e tagli agli stipendi dei dirigenti.

Foto: La recessione ha colpito duramente il comparto che ha perso 502mila posti di lavoro

08/02/2016Pag. 7 L'Unità

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Scuola, Renzi scrive ai sindaci «Liberati 480 milioni per l'edilizia» Il premier: diamo corso a una priorità nell'azione del governo Già aperti quasi 4mila cantieri, istruzioni perle nuove domande negli istituti R. P. Con una lettera del premier Matteo Renzi a oltre 8mila sindaci e amministratori prende il via l'operazione

#Sbloccascuole, prevista dalla legge di stabilità. Lo rende noto un comunicato sul sito di Palazzo Chigi. Si

tratta - viene spiegato - di 480 milioni di euro liberati dai vincoli di bilancio per Comuni, Province e Città

metropolitane per interventi di edilizia scolastica e per la realizzazione di nuove scuole. Entro il primo marzo

2016 gli Enti locali possono trasmettere la domanda alla Struttura di Missione per l'Edilizia Scolastica della

Presidenza del Consiglio. «La scuola e l'edilizia scolastica sono temi che questo Governo ha a cuore sin

dal suo insediamento», scrive il presidente del Consiglio nella lettera inviata ai sindaci. «La salute della

scuola - aggiunge - è un tema scritto ai primi punti dell'agenda politica. In tutto abbiamo già aperto 3.766

cantieri, di cui 2.435 già chiusi. Vuol dire 20.875 posti di lavoro, che diventeranno 46.882 con i cantieri in

partenza nel 2016. Sulla scuola non si scherza». La domanda per interventi di edilizia scolastica e per la

creazione di nuo ve scuole deve essere presentata dalle amministrazioni alla presidenza del Consiglio

attraverso il sito www. sbloccabilancio.it, compilando il form on line. L'operazione - spiega una nota di

Palazzo Chigi - è complementare a quanto già fatto dal Governo per rilan ciare gli investimenti agendo sul

Fondo Pluriennale Vincolato. L'operazione #Sbloccascuole, infatti, libera la spesa di risorse a valere

sull'avanzo di amministrazione e sul ricorso al debito, andando a completare, per l'edilizia scolastica, lo

sblocco delle somme per investimenti pluriennali attuato proprio con la Legge di stabilità 2016. Già dal 2014

- grazie a 344 milioni di sblocco del patto di stabilità - 454 Comuni e 107 Province e Città Metropolitane

hanno potuto finanziare la ristrutturazione totale degli istituti - con particolare attenzione agli interventi di

bonifica dell'amianto e di adeguamento alle normative per la sicurezza antisismica e antincendio - e la

costruzione di nuove scuole, che oggi si presentano come esempi all'avanguardia per le soluzioni

architettoniche adottate. Dei 1.158 cantieri aperti - si legge ancora nella nota - 787 sono già conclusi.

Intanto i sindacati della scuola FlcCgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams hanno deciso

di promuovere per venerdì 12 febbraio una giornata di mobilitazione in difesa dei diritti dei precari.

L'iniziativa nasce - hanno spiegato in una nota unitaria - «per la totale assenza di confronto tra il Ministero e

le organizzazioni sindacali su un tema, l'annunciato bando del concorso, che non può essere arontato

ignorando la realtà di un precariato al quale la legge 107 non ha dato le risposte che il Governo aveva

assunto come suo preciso impegno».

Foto: Cantieri nella scuola. Procede la campagna per l'edilizia scolastica. Foto: ansa

06/02/2016Pag. 7 L'Unità

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CARABINIERI Lavoro nero, due ditte nel mirino -SENIGALLIA- CONTRASTO al lavoro nero nei cantieri del Senigalliese. Nell'ambito dell'attività operativa

programmata dalla Direzione territoriale del lavoro di Ancona, i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro,

insieme agli ispettori della Direzione territoriale hanno controllato alcuni cantieri edili nella zona di Marzocca

Senigallia. Verificata la presenza di due ditte, di cui una con sede in Romania, in cui sono stati trovati

quattro lavoratori in nero, dei quali due rumeni, un ucraino e un albanese. Al termine dell'accertamento,

ispettori e carabinieri hanno emesso un provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale; inoltre è

in corso la denuncia alla Procura della Repubblica per il mancato rispetto degli obblighi in materia di

sorveglianza sanitaria. Secondo il Direttore della Direzione territoriale del lavoro di Ancona, Andrea

Fiordelmondo l'edilizia sarebbe un settore particolarmente delicato, specie per quanto riguarda i problemi di

sicurezza sul lavoro. «La condizione dei lavoratori in nero, in questo ambito è caratterizzata, oltre che da

uno sfruttamento intollerabile in una società civile, spesso da una sottoprotezione e da rischi per

l'incolumità fisica e la vita delle persone - sottolinea il dottor Fiordelmondo -. Spetta alle istituzioni

intervenire prevenendo il peggio».

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E' crollato l'impero edilizio della coppia Minardi-Taus: un buco da oltre100 milioni IL FALLIMENTO della Polo Holding viene stimato come il secondo crac edilizio della Regione. Era nell'aria,

perché c'erano già stati due tentativi di salvataggio finiti nel nulla. Per uno si era mossa anche una

'squadra' di specialisti della società Ernest & Young di Milano. Niente da fare: il 15 dicembre la società è

stata dichiarata fallita dal tribunale di Pesaro. Il 24 dicembre è stato nominato il curatore fallimentare: il

commercialista pesarese Mirco Stefanelli. Il quale ha dovuto ingaggiare un tecnico per effettuare tutte le

visure catastali legate al gruppo Polo Holding, società che a sua volta era controllata dalla TMT con il 51%

in mano alla famiglia Taus ed il 49% che faceva riferimento alla Minardi spa. I debiti accumulati potrebbero

facilmente superare i 120-130 milioni di euro. Perché 80 sono solo con le banche, poi ci sono le pendenze

col fisco (altri 10 milioni) e quindi l'Imu non pagata su un mare di edifici e terreni, parte a Fano, parte in

Regione ma anche in Sardegna. Sopra bisogna metterci poi tutti i fornitori. Un impero quello di Minardi-

Taus, tanto che nell'epoca d'oro dell'espansione edilizia cittadina, la coppia era soprannominata 'mano sulla

città': storia iniziata nell'era Carnaroli e poi proseguita nell'era Aguzzi anche attraverso la realizzazione

della famosa piscina coperta: una vicenda 'fantasma'. NEL MEZZO a questo crac, con la lottizzazione Fano

Alta, a Gimarra, sono rimasti incastrati anche la giunta e la Curia. Perché su un blocco di circa 30

appartamenti più negozi e uffici «c'erano anche 1000 metri quadrati destinati al centro sociale del Comune

e sui quali l'amministrazione aveva destinato anche i fondi e cioè 900mila euro», dice il presidente della

commissione urbanistica Federico Perini. Non solo perché il centro anziani, ora ospitato in un prefabbricato

e con circa 100 iscritti, è posizionato in un'area destinata a parcheggio della chiesa, per cui entro l'estate

deve essere rimosso. «Noi pensiamo - dice Mirco Stefanelli - di poter sbloccare la pertinenza del Comune

nel giro di quattro o cinque mesi». Nel frattempo la Curia, avendo ormai capito l'andazzo, ha affidato da

tempo il completamento della chiesa ad un'altra impresa edile. E gli oneri di urbanizzazione? In qualche

maniera l'amministrazione sarebbe tutelata perché vi sarebbe una copertura assicurativa. Alla finestra

anche i sindacati perché è crollato un vero e proprio impero: «Questo fallimento - dice Gianluca Di Sante

della Cgil - porta con sè anche i posti degli amministrativi, impiegati e tecnici che lavoravano per la società.

Ma i danni veri sono a caduta perché l'azienda si è sempre affidata a subappaltatori. L'ultimo caso che mi

viene in mente è una ditta di carpenteria che è passata da 60 a due dipendenti. La situazione è drammatica

per cui chiederemo di incontrare i sindaci di Fano e di Pesaro per sbloccare, almeno, i soldi delle opere

collegate all'ampliamento della autostrada. Perché qui è tutto fermo, non si muove niente». A far fallire la

Polo Holding due famiglie che avevano acquistato appartamenti versando la caparra. Intanto la città si

scopre da potentissima, nel campo dell'edilizia, a poverissima: pare infatti che l'Auchan, si stia affidando ad

un impresa edile di fuori città per costruire un nuovo capannone. Maurizio Gennari

06/02/2016Pag. 15 Ed. Pesaro

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che città fa L'edilizia pubblica tra inefficienza e malessere sociale Ernesto Mazzetti Notizie inedite? Ma no! Vengono fuori con clamore; poi torna il silenzio. Come quando

esplose la cosiddetta «affittopoli» romana: case di pregio assegnate a membri della «casta» da enti vari,

oltre che dal Comune. Ne venne fuori la brillante soluzione di vendere sottocosto gli immobili ai medesimi

privilegiati affittuari. Roma «capitale corrotta», secondo una vulgata comune. D'accordo. Ma non è che

Milano, «capitale morale», sia esente da analoghi peccati. Anche lì ha fatto scandalo qualche vicenda di

favoritismi nella gestione degli immobili pubblici; sebbene nelle cronache prevalgono rattristanti vicende di

guerre tra poveri per l'impossessamento di alloggi: case sottratte con la forza a legittimi assegnatari; vecchi

solitari che dopo un ricovero in ospedale si ritrovano l'appartamento occupato da extra comunitari. E i

cosiddetti «centri sociali» spadroneggianti in edifici pubblici o locali dismessi da aziende. E Napoli? Se si

sfogliano le collezioni de Il Mattino di anni recenti vengono fuori tante situazioni, ancora oggi perduranti,

riconducibili al capitolo della cattiva gestione di tutto ciò ch'è patrimonio pubblico: decine di palazzi di

pregio, con molta storia alle spalle; e le migliaia di alloggi popolari costruiti dai tempi del Risanamento

ottocentesco ad oggi per dare un tetto a quanti non l'avevano, o l'avevano perduto per la guerra e per il

terremoto. Senza contare negozi ed edifici non più utilizzati per gli scopi originari. Insomma un'intera città di

proprietà comunale all'interno della metropoli. Che si dilata aggiungendo l'ingente patrimonio edilizio della

Regione e di altri enti. Una ricchezza straordinaria che esige spese largamente superiori agli introiti

prodotti. Ad inefficienze e favoritismi nella gestione dell'edilizia pubblica lamentati a Roma e altrove, a

Napoli s'aggiungono patologie peculiari. Come clientelismi e frodi che non di rado hanno inquinato i

meccanismi di assegnazione. Come le occupazioni abusive, tanto diffuse e, salvo rare eccezioni, non

governabili, a tutto danno delle attese dei legittimi assegnatari. Non dà conforto considerare tutto ciò come

effetto collaterale della povertà che affligge quote rilevanti della popolazione napoletana: sia residente da

generazioni sia inurbata di recente. Pur se gli abusivi non pagano affitti, una qualche manutenzione va

comunque garantita agli alloggi che occupano. Un aggravio per le finanze locali. Per alleggerire l'onere di

gestione dell'edilizia pubblica si è tentato talvolta di trasformare in proprietari quanti, con assegnazioni

regolari, vivono in alcuni dei complessi popolari disseminati dentro e fuori la città. Hanno aderito in pochi,

malgrado le facilitazioni all'acquisto. Proprio dell'area napoletana è il fenomeno della sopraffazione

camorristica nel controllo di alcuni rioni di edilizia popolare: ne offrono esempi allarmanti Scampia, San

Giovanni a Teduccio, Afragola, Giugliano, ed altri. Violenza su famiglie perbene per indurle a cedere la

casa a famiglie malavitose; recinzioni, grate e mura erette per tenere i traffici di droga ad riparo da sguardi

estranei e da intrusioni delle forze dell'ordine. Queste ultime non si sottraggono al loro ruolo; ma i reiterati

interventi hanno purtroppo effetti effimeri. Nella vasta macchia grigia dello spazio edificato ai bordi del Golfo

spiccano squarci desolanti. C'è il tessuto edilizio antico il cui degrado compromette i valori storici della città,

così come l'alienante panorama dei quartieri di edilizia popolare ne compromette i valori civili. Di fronte alle

occupazioni abusive le amministrazioni comunali chiudono gli occhi o dispongono sanatorie: gli sgomberi

coatti creano tensioni e fanno perdere voti. È facile individuare uno stretto legame tra carenze e

malgoverno dell'edilizia pubblica e malessere e devianze sociali. Altrettanto facile, purtroppo, capire che a

Napoli ogni soluzione è rinviata ad un incerto domani.

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L'operazione Le verifiche dei carabinieri Lavoro nero blitz nei cantieri e al Campus Controlli sulle ditte esterne che realizzano il terminal bus Raffica denunce e maxi multe Paola Florio Il sindacato Passamano «L'ateneo non ha responsabilità dirette ma deve vigilare» ©

RIPRODUZIONE RISERVATA Ancora sotto i riflettori l'università degli studi di Salerno, nulla a che fare,

però, con l'inchiesta su assunzioni sospette e presunti favoritismi sulla quale sta indagando la Procura.

Questa volta non c'entra l'ateneo, ma le ditte (esterne) che stanno realizzando i lavori per le nuove

residenze e per il terminal bus, sei delle quali sono state multate ed i legali rappresentanti deferiti, poiché

ritenuti responsabili, a vario titolo, di violazioni delle normative sul distacco del personale e sulla sicurezza

sui luoghi di lavoro. I controlli sono stati effettuati dai carabinieri della compagnia di Mercato San Severino,

agli ordini del capitano Rosario Basile, insieme al nucleo carabinieri Ispettorato del Lavoro e con ispettori

della Direzione Territoriale del Lavoro di Salerno. Un'operazione espletata nell'ambito di un servizio

finalizzato alla verifica delle norme che disciplinano la sicurezza sui luoghi di lavoro e per far emergere le

attività in nero. In questi cantieri sono state controllate quaranta posizioni lavorative di cui due sono risultate

irregolari per distacco non genuino. Significa, in sintesi, che questi due lavoratori, dipendenti di una delle

ditte che sta eseguendo le realizzazioni, stavano, invece, prestando la loro opera per un'altra impresa,

altrettanto presente per l'intervento in questione. Diverse sono, infatti, le società impegnate per terminare le

residenze e il nuovo terminal bus, ognuna per il proprio ramo di competenza e i rappresentanti legali di sei

di queste, con sede nelle province di Salerno, Caserta e Benevento, sono stati denunciati per violazione

delle normative vigenti sul lavoro e sono state contestate dodici ammende per un totale di ottomila euro. In

questo caso, infatti, è stata applicata la procedura della propedeutica estinzione dei reati in via

amministrativa. I cantieri, quindi, restano aperti. Intanto, anche a Bracigliano sorte simile hanno avuto i

legali rappresentanti di quattro ditte (con sede nella valle dell'Irno) ritenuti responsabili, a vario titolo, di

violazioni in materia di appalti e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Nei cantieri ispezionati, per la

riqualificazione della ex sede municipale e per la ristrutturazione di civili abitazioni, sono risultati anche

cinque lavoratori in nero. Anche per queste imprese è stata applicata la procedura della propedeutica

estinzione dei reati in via amministrativa, contestando undici ammende per un totale di circa tredicimila euro

e maxi sanzioni amministrative per l'impiego dei cinque operai in nero ammontanti complessivamente a

sedicimila euro. Pasquale Passamano, segretario Cisl Università: «La lotta al lavoro nero è una delle

rivendicazioni più importanti del sindacato, sia nel lavoro pubblico che nel lavoro privato. La sicurezza nei

cantieri dell'università di Fisciano non è però competenza dei vertici dell'ateneo ma delle ditte appaltatrici. È

inaccettabile però che all'interno di un cantiere che sta realizzando una struttura per un ente pubblico come

l'università di Salerno ci siano lavoratori senza copertura assicurativa». E precisa: «Per questo motivo, già

nelle prossime ore, la Cisl chiederà al rettore Tommasetti di intervenire immediatamente e di far luce su

questa spiacevole vicenda, anche attraverso i propri uffici tecnici». Blitz Carabinieri durante controlli nei

cantieri a cacia di irregolarità

07/02/2016Pag. 34 Ed. Salerno

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Edilizia popolare Ponticelli, presto una nuova casa per 101 famiglie Valerio Iuliano L'assessore «Nessun alloggio sarà mai assegnato a chi è accusato di camorra» L'edilizia

marcia del primo dopoguerra sta per essere dismessa, mattone dopo mattone. E 101 famiglie avranno

presto una nuova casa a Ponticelli. Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che sostituiscono le

abitazioni fatiscenti del Rione De Gasperi, sono stati assegnati ieri dall'amministrazione comunale,

mediante un sorteggio, presso il Servizio Politiche per la Casa di piazza Cavour. Le nuove abitazioni fanno

parte del gruppo degli alloggi Erp recentemente edificati nel lotto "N" di Via Attila Sallustro. «Roberto

Saviano diceva che la criminalità- ha spiegato l'assessore comunale al Patrimonio Alessandro Fucito- dava

le case in questi rioni. Oggi stiamo dimostrando che non è vero. Non diamo le case a chi ha l'articolo 7 o il

416 bis. Si tratta di una svolta». Quella avviata ieri è la seconda fase delle procedure di assegnazione degli

alloggi ERP a Ponticelli. Già 57 nuclei familiari avevano ottenuto una nuova abitazione a partire dal mese di

giugno del 2015. «Le 101 famiglie assegnatarieha ripreso Fucitoattendono da oltre 30 anni, dopo aver

abitato in un rione che era stato realizzato con i fondi del Piano Marshall, in appartamenti dai bassissimi

requisiti strutturali ed edilizi. Oggi diamo la casa solo a coloro che hanno i requisiti di reddito e anzitutto

penali per poter avere un'abitazione». Ovvio il riferimento alle tante occupazioni abusive delle case

popolari, avvenute in passato. L'abbinamento ha riguardato gli aventi diritto, già residenti negli edifici

oggetto della prima tranche di abbattimento. Il sorteggio è avvenuto tra i nuclei familiari con pari

caratteristiche. Gli alloggi sono stati ordinati in base alle dimensioni affinché ciascun immobile estratto

fosse collegato ad un nucleo familiare. «A Ponticelli- ha concluso Fucito- abbiamo un lotto di palazzi da

abbattere, per dare seguito ad un piano di riqualificazione con giardini e scuole». Sul tema delle case

popolari è intervenuto anche il sindaco. «Altri alloggi ERP verranno assegnati presto a Scampia» ha

annunciato ieri sera de Magistris.

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Spunta un'altra lista nera di case comunali Ecco gli immobili affittati a prezzi stracciati che Tronca non ha ancora inviato alla Procura Vincenzo Bisbiglia Non solo centro storico. Anzi. L'Affittopoli capitolina è vasta quanto il suo territorio. Se n'è accorto anche

Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario del Campidoglio, affermando che la lista dei primi 574

immobili (pubblicata ieri in esclusiva da Il Tempo) fosse soltanto il primo passo verso la riorganizzazione del

patrimonio immobiliare capitolino. Certo, fa impressione sapere dell'esistenza di romani che la mattina si

affacciano e vedono la Cupola di San Pietro o il Colosseo e che pagano per il loro appartamento nemmeno

10 euro al mese. Ma non è soltanto la vista a determinare il prezzo di un immobile. Per chi conosce meglio

Roma, farebbe impressione sapere che la stessa accade in altri quartieri eleganti e ben serviti della città,

come i Parioli, Corso Trieste, Corso Francia, Appia Pignatelli. È per questo che Il Tempo propone oggi

un'altra possibile «black-list», un elenco di circa 500 immobili che si trovano in zone della Capitale

tradizionalmente inaccessibili o comunque non certo ai prezzi che vengono fuori. LE NUOVE CASE

SOTTO ESAME Analizzando questa lista, possiamo scoprire che c'è chi paga per un immobile a piazzale

del Verano appena 37 euro al mese, in una zona dove gli studenti de La Sapienza fanno a botte per

accaparrarsi una stanza singola a 400 euro. In via Tripoli, in pieno Quartiere Africano, abbiamo scovato un

appartamento affittato ad appena 200 euro l'anno mentre nella bella e funzionale Appia Pignatelli, con i

parchi naturali e gli acquedotti a portata di mano, si può vivere addirittura a 570 euro l'anno, nemmeno 50

euro al mese. E cosa dire allora di Corso Francia? Il quartiere è fra i più belli e funzionali di Roma: a poche

fermate di tram c'è Piazza del Popolo, poco distante l'Auditorium Parco della Musica e il Maxxi. Qui

abbiamo scovato ben 8 immobili che vanno da un minimo di 410 euro fino a un massimo di 886 euro l'anno:

significa che il più sfortunato di questi affittuari è costretto a sborsare «ben» 73 euro al mese. LE CASE

POPOLARI Una buona parte di questo nuovo elenco è formato da molti immobili di edilizia residenziale

pubblica. Il ragionamento è sempre lo stesso e vale anche per quartieri all'apparenza prestigiosissimi come

Testaccio e Trastevere: Roma è cambiata tanto negli ultimi decenni, e quartieri che oggi appaiono riservati

ai cittadini abbienti, una volta ospitavano famiglie umili, se non indigenti. Così può capitare che la città sia

cambiata intorno a loro. Deve suonare strano, ma non è da escludere che ci siano famiglie che spendono

7,75 euro al mese per vivere a viale Jonio, piuttosto che all'Aurelio o in zona Campi Sportivi. Certo, citando

proprio il prefetto Tronca, va ricordato che «l'85% degli occupanti è senta titolo o senza contratto». Dunque

la revisione dovrebbe essere capillare. Ecco perché i primi stabili dove andrebbe fatta questa verifica sono

quelli di via Colombia e via Stati Uniti d'America, in zona Flaminio, piuttosto che in via Lago Tana (Quartiere

Africano) oppure in via Carlo Cipolla, dove l'affaccio è sul Parco della Caffarella: in quest'ultimo caso, il

canone massimo che troviamo è di 300 euro al mese, ma la media è di almeno 150 euro. INTEGRATA LA

TASK FORCE Certo, Francesco Paolo Tronca non sembra perdere tempo. Ieri il commissario ha chiesto al

Segretario Generale di ampliare subito il personale del Dipartimento del Patrimonio e del Dipartimento per

le Politiche Abitative e Sociali, «per fare fronte - si legge in una nota del Campidoglio - al lavoro imponente

e complesso di censimento e verifica puntuale degli immobili dati in locazione dal Comune e delle relative

posizioni soggettive». Se si rafforza dunque la task-force, si prevedono anche ulteriori contenziosi, che si

aggiungeranno presumibilmente a quelli già in essere. Il commissario straordinario, infatti, ha anche

richiesto all'Avvocatura capitolina «un resoconto di tutto il contenzioso in essere ed ha, altresì, previsto un

sensibile rafforzamento dell'attività operativa della polizia locale, con un incremento significativo delle unità

incaricate delle operazioni di verifica e sgombero in corso, anche in queste ore, in appartamenti occupati

abusivamente». RICHIESTE DI CANDIDATURE La mossa di Tronca sul patrimonio, almeno a livello

mediatico, sembra essere stata azzeccata. Tant'è vero che ora il commissario si guadagna anche degli

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endorsement politici. Il primo è arrivato da Francesco Storace, possibile candidato sindaco del

centrodestra, che ha detto di volerlo addirittura assessore al Patrimonio di una sua ipotetica Giunta. «Spero

- ha scritto l'ex presidente della Regione Lazio che Tronca venga accolto da ciascun candidato sindaco

come un ipotetico collaboratore della giunta di domani magari proprio sulle politiche del Patrimonio».

574 La prima lista Sono gli immobili del centro storico censiti da Tronca e inviati già in Procura

449 La nuova lista Sono gli immobili proposti oggi da Il Tempo su cui si dovrà concentrare l'azione degli

ispettori

L'elenco degli immobili fuori dal centro storicoALLOGGI RELATIVI AL PATRIMONIO IMMOBILIARE

ALLOGGI DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA INDIRIZZO CIVICO CORR. ANNUO 62 119 117/B

117/A 117 113/A 111-111/A 105/A-107 79 79 79 149 151 175 149 175 175 175 175 2A 4 4A 6 07 09 11 7

122 7 11 37-37A 39/A-B 35 5/E 5/C - 5/D 3/C 3/A 1/E 1/D 1/F 79 71 79 85 268 270 953 953 430 65 53 144

144 144 144 171 146 146 148 148 16 10 12 02 04 10 14 02 04 10 12 12 21 01 03 05 07 9 13-15-17 11 02

04 05 07 30 38 € 8.790,09 € 963,96 € 9.315,60 € 9.315,60 € 10.431,84 € 11.568,10 € 17.466,84 €

17.466,84 € 18.062,85 € 451,56 € 491,64 € 1.567,80 € 876,24 € 771,96 € 722,40 € 678,60 € 410,76 €

813,24 € 523,20 € 886,56 € 5.503,92 € 7.076,52 € 7.862,88 € 10.317,84 € 7.862,88 € 924,88 € 4.737,60 €

8.375,28 € 2.544,48 € 3.276,06 € 3.508,56 € 23.289,24 € 23.289,24 € 6.108,72 € 3.337,71 € 13.395,60 €

6.598,68 € 6.622,44 € 7.549,08 € 12.100,20 € 5.448,36 € 199,32 € 10.548,12 € 3.382,44 € 1.918,25 €

1.475,52 € 569,09 € 982,13 € 16.998,48 € 541,45 € 2.233,42 € 1.721,88 € 74.966,04 € 25,70 € 124,38 €

154,12 € 34,77 € 233,84 € 273,32 € 42,37 € 973,80 € 126,32 € 5.960,52 € 1.228,45 € 14.697,84 € 4.515,48

€ 2.170,88 € 341,52 € 1.562,04 € 4.560,00 € 345,36 € 3.794,76 € 2.048,16 € 1.723,80 € 839,40 € 2.639,52

€ 532,08 € 226,68 € 5.525,88 € 5.396,40 € 5.414,40 € 4.158,24 € 2.311,80 € 1.985,44 € 485,88 € 1.725,48

€ 2.395,56 € 291,69 € 6.072,00 € 2.629,32 INDIRIZZO CORR. ANNUO INDIRIZZO CORR. MENSILE

INDIRIZZO CORR. MENSILE € 144,49 € 7,75 € 42,49 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 27,48 € 89,61 €

7,75 € 7,75 € 7,75 € 11,18 € 62,38 € 7,75 € 7,75 € 41,74 € 7,75 € 7,75 € 51,51 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 44,00

€ 7,75 € 56,43 € 7,75 € 40,18 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 57,41 € 49,69 € 7,75 € 7,75 € 15,27 €

7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 28,20 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 159,34 € 7,75 € 180,33 € 7,75 € 131,78 €

82,08 € 98,38 € 53,95 € 28,99 € 46,59 € 7,75 € 39,51 € 29,79 € 52,24 € 20,24 € 52,26 € 7,75 € 7,75 € 7,75

€ 106,30 € 54,62 € 60,00 € 7,75 € 79,24 € 60,52 € 44,94 € 7,75 € 55,26 € 20,02 € 40,47 € 7,75 € 7,75 €

7,75 € 214,82 € 7,75 € 53,44 € 7,75 € 60,40 € 55,31 € 96,49 € 275,30 € 7,75 € 28,41 € 7,75 € 117,55 €

7,75 € 104,49 € 7,75 € 44,02 € 91,40 € 216,68 € 7,75 € 7,75 € 24,20 € 18,40 € 73,98 Via Arno Via Cheren

Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Piazzale del Verano

Piazzale del Verano Piazzale del Verano Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di

Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Via Eustachio Manfredi Via

Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Famiano

Nardini Via Famiano Nardini Via Flaminia Via Gabaglio Via Generale R.Bencivenga Via Generale

R.Bencivenga Via Giovanni Antonelli Via Giovanni Antonelli Via Goito Via Lambro Via Lambro Via Lambro

Via Lambro Via Lambro Via Lambro Via Lambro Via Tripoli Via Tripoli Via Tripoli Via Ugo Ceccarelli Via di

Monteverde Via Appia Pignatelli Via Appia Pignatelli Via Ardeatina Via Ardeatina Via Ardeatina Via Aurelia

Via Aurelia Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei

Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Piazza Monte Baldo Via Monte Beni Via Monte Canda Via Monte

Canda Via Monte Canda Via Monte Canda Via Monte Canda Via Monte Croce Via Monte Croce Via Monte

Croce Via Monte Croce Via Monte La Fine Via Monte La Fine Via Monte La Fine Via Monte Nevoso Via

Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via

Monte Rocchetta Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via

Monte Ruggero Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 38

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Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via

Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Degli

Equi Via Lago Tana Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati

Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti

d'America Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo CIVICO CIVICO CIVICO 2 2 31 16

INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 19,73 € 124,44 € 7,75 € 44,13 € 28,79 € 7,75 € 37,09 € 7,75 € 7,75

€ 18,95 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 33,14 € 72,84 € 7,75 € 7,75 € 14,97 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 €

7,75 € 7,75 € 179,58 € 161,45 € 288,84 € 7,75 € 92,22 € 64,64 € 32,01 € 125,29 € 23,90 € 56,23 € 78,78 €

7,75 € 7,75 € 74,56 € 56,32 € 69,49 € 58,13 € 31,26 € 79,78 € 7,75 € 42,80 € 7,75 € 141,24 € 64,32 €

91,40 € 7,75 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 108,80 € 68,49 € 34,40 € 35,02 € 36,65 € 8,40 € 56,77

€ 7,75 € 636,72 € 32,86 € 296,28 € 72,32 € 66,29 € 71,39 € 35,26 € 182,51 € 569,40 € 85,30 € 27,19 €

33,89 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 17,31 € 29,40 € 36,79 € 63,38 € 48,37 € 25,64 € 233,01 € 76,64 € 54,31 €

7,75 € 103,96 € 53,61 € 109,04 € 111,02 € 7,75 € 36,18 € 76,27 € 26,10 € 103,19 € 53,03 € 34,29 € 7,75 €

39,55 € 7,75 € 219,35 € 67,58 € 7,75 € 45,35 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 54,60 € 65,73 € 7,75 € 83,49

€ 51,50 € 109,46 € 56,13 € 82,66 € 7,75 € 44,22 € 36,94 € 29,53 € 7,75 € 331,29 € 11,76 € 27,92 € 57,76 €

52,22 € 153,21 € 56,10 € 98,71 € 45,32 € 7,75 € 80,26 € 155,84 € 47,79 € 140,96 € 193,12 € 52,73 € 62,40

€ 66,64 € 53,54 € 49,67 € 53,06 € 51,15 € 47,65 € 51,98 € 218,04 € 38,28 € 70,02 € 56,59 € 52,39 € 27,12

€ 59,24 € 25,48 € 7,75 € 25,48 € 49,91 € 7,75 € 42,46 € 74,72 € 63,30 INDIRIZZO CORR. MENSILE €

52,81 € 63,32 € 7,75 € 7,75 € 53,62 € 69,35 € 73,70 € 7,75 € 27,71 € 67,36 € 51,76 € 28,85 € 58,04 €

53,55 € 45,06 € 65,39 € 43,19 € 53,49 € 43,18 € 7,75 € 73,87 € 21,17 € 21,29 € 72,01 € 147,51 € 192,77 €

58,84 € 53,69 € 99,69 € 77,09 € 96,89 € 7,75 € 32,09 € 86,21 € 50,18 € 68,07 € 92,34 € 93,62 € 93,62 €

13,52 € 7,75 € 28,06 € 7,75 € 36,08 € 7,75 € 223,92 € 93,62 € 92,34 € 44,62 € 42,85 € 71,61 € 73,95 Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via

Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

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Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

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Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

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Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

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Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo

Cipolla Via Carlo Cipolla Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni

Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte

Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via

Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni

Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte

Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via

Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni

Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte

Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte

Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte

Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Ruggero Via Monte

Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte

Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte

Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte

Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte

Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano CIVICO 5 7 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41

41 41 41 41 41 41 41 41 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 35,52 € 34,34 € 7,75 € 7,75 € 70,69 €

74,19 € 46,16 € 81,59 € 7,75 € 49,53 € 51,71 € 49,77 € 7,75 € 177,36 € 67,06 € 88,86 € 66,80 € 45,06 €

53,69 € 41,05 € 9,44 € 63,54 € 66,89 € 7,75 € 24,21 € 174,43 € 67,36 € 7,75 € 86,94 € 72,44 € 53,19 €

43,61 € 67,36 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 69,97 € 78,22 € 51,34 € 7,75 € 53,57 € 56,44 € 16,86 € 73,68 € 52,60

€ 70,42 CIVICO 36 36 36 36 36 36 36 36 CIVICO 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41

41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 65

CIVICO 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 omissis

omissis 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 CIVICO 20 20 20 20 20 20 20

20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 19 19 19 19 19 19 19 19 19 21 21 21 21 21 21 21 21 32

32 32 32 32 32 32 32 32 36 36 36

Foto: Nel grafico di ieri alle pagine 3 e 4 de Il Tempo, nella sezione alloggi di edilizia residenziale pubblica,

il corrispettivo non è annuo ma mensile. Ci scusiamo per l'errore.

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INTERNAZIONALIZZAZIONE «Monte Carlo terra fertile per le imprese italiane» Sono oltre 1200 le aziende e società dello Stivale presenti a AAonaco E con i nuovi accordi voluti daAlberto II, sono destinate ad aumentare CHIARA OSNAGOGADDA Il valore del brand made in Italy è percepito più all'estero che in Italia. Purtroppo però, al di là delle grandi

realtà imprenditoriali e dei grandi marchi che hanno la forza di comunicare ovunque, il singolo, spesso, non

trova alcun supporto per uscire dal proprio «orticello» e pertanto il valore aggiunto italiano è percepito ma

non comunicato e per questo vissuto come qualcosa di irraggiungibile. Esportare il Made in Italy, vuoi dire

invece raccontare un mondo fatto di conoscenza, disciplina e applicazione. Ne è convinto William Grifflni,

Ceo di Carter & Benson, una delle più autorevoli società di Head Hunting presenti sul mercato, interpellato

su quella che può essere, a suo avviso, l'importanza di dare vita a iniziative che esportino il made in Italy

fuori dal nostro Paese, come quella svoltasi a Monte Carlo nel corso di una missione economica di imprese

del made in I taly. Un momento r icco di spunti , confronto e r i f lessione sul l ' importanza

dell'internazionalizzazione delle aziende italiane nel Principato di Monaco, un luogo dove la pertinenza

delle scelte, coraggiose e visionarie, attuate dai Principi Grimaldi lungo tutta la sua storia, ne ha fatto uno

Stato sovrano dagli equilibri invidiabili, che gode di una crescita ininterrotta e può contare su finanze sane.

«Del resto - ha spiegato Griffìni - stabilità, sicurezza, neutralità, fiscalità adeguata, situazione geografica

eccezionale, tessuto imprenditoriale ad alto valore aggiunto, ambiente internazionale, bacino d'impiego,

qualità della piazza, sono da sempre i punti di forza di Monte Carlo, che è dunque anche la location ideale

per fare pubbliche relazioni ed esporre i propri prodotti». SPORTELLO ITALIA Proprio queste motivazioni,

dunque, hanno spinto Sportello Italia, un'associazione di diritto privato che si occupa di favorire gli scambi

commerciali tra imprese italiane e monegasche, ad organizzare, presso il No votel di Monte Carlo, una

missione economica, patrocinata dall'Ambasciata d'Italia nel Principato di Monaco, di imprese italiane dei

settori green technologies, chimico farmaceutico, informatico, della consulenza e del turismo (tra esse, ad

esempio, CloudTel, Consulmarketìng SpA, Huntìng Heads, Scuola di Palo Alto, Cortina Style, Retalco,

ECS, Fondazione Verrocchio, E-Care, Wave for Energy, Kitenergy), interessate al mercato monegasco.

All'evento, condotto e moderato dalla giornalista Chiara Osnago Gadda, il governo di Monaco è stato

presente al massimo livello, nella persona del Ministro di Stato Michel Roger, che ha pronunciato una breve

allocuzione rispondendo all'indirizzo di saluto dell'Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco, Massimo

Lavezzo Cassinelli, ma erano presenti fra gli altri, anche Laurence Garino, direttrice del «Monaco Welcome

Office», istituzione governativa incaricata delle procedure di accoglienza delle imprese straniere, il vice

presidente della Federazione delle Imprese di Monaco (Fedem), Jean-Franck Bussottì, nonché il

vicepresidente degli Affari Istituzionali di Expo, Matteo Mauri. Dopo un ampio dibattito, dove sono stati

presentati i vantaggi e le opportunità di insediarsi a Monte Carlo, si è tenuto un focus sulle Pmi animato dai

rappresentanti delle istituzioni e del settore aziendale monegasco e italiano, un quadro sugli interventi

normativi che rendono i rispettivi mercati attrattivi per gli investitori e sulle principali novità in materia fiscale,

finanziaria e di semplificazione amministrativa, una presentazione delle aziende della delegazione italiana

con esposizione di concrete opportunità di investimento, con interventi e testimonianze da parte di attori

economici e istituzionali, e di banche monegasche. La mattinata successiva è stata invece dedicata a un

proficuo ciclo di incontri «B2B» fra operatori italiani e monegaschi. «Sportello Italia - ha affermato Fabrizio

Carbone, presidente di Sportello Italia - è nato all'inizio dell'anno come soggetto associativo bilaterale tra

Italia e Monaco, con l'obiettivo di promuovere il Made in Italy nel Principato e di favorire gli investimenti di

aziende italiane nello stesso e di aziende monegasche in Italia, facilitando gli incontri tra gli imprenditori e

avendo rapporti con le autorità istituzionali. Promuovere le aziende italiane a Monaco è infatti oggi molto

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 41

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importante, soprattutto alla luce del recente accordo di informazioni di materia fiscale, che apre nuove

prospettive, sia in campo commerciale che degli impegni societari». «Monaco, del resto - ha aggiunto

Daniele Fanteria, direttore generale di Sportello Italia - è un'ottima vetrina, polo attrattivo di molte aziende

ad alto valore aggiunto, aziende che innovano, che non inquinano e che, in generale, performano».

OPPORTUNITÀ PER AFFARI Dunque, un evento fecalizzato su un punto fermo: il territorio monegasco

inteso come baricentro perfetto per gli affari. E che quindi, hanno spinto l'Ambasciata d'Italia nel Principato

di Monaco a sostenere con il patrocinio l'evento di Sportello Italia. «Come ho detto aprendo la missione

delle nostre aziende, di fronte al Ministro di Stato Roger, il Principato di Monaco, sebbene cosi piccolo,

costituisce un'importantissima "vetrina" per l'economia italiana, anche grazie alla vicinanza geografica e agli

stretti rapporti storici e culturali esistenti tra i due Paesi - ha affermato, l'Ambasciatore d'Italia, Massimo

Lavezzo Cassinelli-. L'Italia, infatti, è il primo partner commerciale di Monaco, ma sono soprattutto le quasi

1.500 aziende italiane presenti nel Principato a svolgere un ruolo molto rilevante nel tessuto economico

monegasco, nei settori alberghiero, alimentare, della ristorazione, immobiliare, dell'intermediazione

finanziaria, delle costruzioni, della cantieristica navale e così via Questo però non basta: il Principato,

Paese cosmopolita, è un luogo globale di incontro e di scambio ed è davvero uno spazio che ci è

congeniale. I monegaschi - e il primo è proprio il Principe Alberto II - apprezzano molto la creatività e la

laboriosità italiane, anche perché la maggior parte di loro viene dalle nostre terre. Questa è davvero una

promessa carica di potenzialità. Ecco perché l'Ambasciata non poteva non accogliere molto di buon grado

un evento che, come organizzato da Sportello Italia, tende a portare dall'Italia a Monaco energie fresche,

voglia di fare e, soprattutto, tanto "saper fare"». Perché, dunque, promuovere il Made in Italy nel

Principato? «Occorre saper cogliere le opportunità che il Principato offre come "vetrina" a livello

internazionale. È quindi opportuno e, direi, doveroso garantire ogni sostegno istituzionale alle missioni

imprenditoriali italiane che si recano a Monaco e alla promozione di eventi che possano mostrare al

pubblico locale, veramente cosmopolita, tutte le potenzialità del made in Italy. Occorre approfittare in

proposito, come ho detto anche nel mio intervento, dell'ormai prossima entrata in vigore del recente

accordo italo-monegasco per lo scambio di informazioni nel settore fiscale, che, con la definitiva

eliminazione del Principato dalle "black list" del nostro ministero dell'Economia e delle Finanze, consentirà

senza dubbio un più armonico sviluppo dei rapporti economici e imprenditoriali fra i due Paesi, liberando

ulteriori energie. Potremo così cogliere appieno tutte le opportunità presenti in una situazione, come quella

vigente con il Principato, di consolidata amicizia e collaborazione». Del resto, le relazioni tra l'Italia e il

Principato sono sempre state molto forti nei più svariati settori, dalla politica all'economia, dalla cultura alla

società civile. Esse sono per certi versi uniche, dovute non solo alla comune matrice culturale, ma anche e

soprattutto alla presenza nel Principato di un'importante e ben integrata comunità italiana, così come al

lavoro delle migliaia di imprenditori italiani che credono e scommettono sul valore di questo Paese.

Pertanto, l'attrattività del Principato, che sia per le attività legate al turismo e al tempo libero, o al mondo

degli affari, cosi come ad altri settori, come quello della nautica, è in costante crescita. In particolare poi, il

governo del Principato ha lanciato un'iniziativa globale per facilitare, su tutti i fronti, lo sviluppo delle

imprese a Monaco nel rispetto delle regole di etica, trasparenza ed efficienza. FISCALITÀ «LEGGERA»

Una delle caratteristiche del Principato sta nel fatto che la fiscalità per le persone fisiche è «leggera». L'Iva,

l'imposta sugli utili e le imposte sui trasferimenti immobiliari costituiscono la base della fiscalità monegasca.

Con la modernizzazione del corpus giuridico e con la stabilità del quadro fiscale incentivante, il governo del

Principato è quindi impegnato a favorire l'insediamento e lo sviluppo delle imprese a Monaco. Ed è per

questo che alcune aziende italiane sono state entusiaste di presentarsi al mercato nel corso della missione

dello scorso 6 novembre a Monte Carlo. «Il mercato del Principato di Monaco ha osservato Umberto Cairo,

presidente di Cloudtel, impresa che opera in Italia per sviluppare le comunicazioni d'impresa - se pur

basato su soli 2 km quadrati e mezzo, è un mercato ricco di aziende e persone che nella loro situazione di

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 42

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eccellenza necessitano di servizi evolutivi e innovativi. Inoltre, la prosperità economica di cui godono

queste aziende consente certamente una gestione aziendale caratterizzata da un minor stress per il

management, più investimenti per l'azienda e un più ampio sguardo al futuro per l'imprenditore. In questo

scenario, nel Principato di Monaco siamo interessati a cogliere l'occasione di sviluppare una attività locale

cercando di trovare uno spazio di collaborazione con Monaco Telecom, operatore che in esclusiva

garantisce servizi di telecomunicazione nel Principato. Una relazione o partnership con Monaco Telecom

consentirebbe infatti di operare in un ambiente "amico", con la possibilità di vendere i loro servizi e

massimizzare le reciproche vendite. Si potrebbe quindi immaginare una società, magari mista Cloudtel

Monaco Telecom che sviluppi la telefonia Cloud nel Principato, utilizzando la connettività dati e voce di

Monaco Telecom. In pratica, la nostra business Idea, sarebbe quella di offrire alle imprese monegasche le

soluzioni innovative di Cloudtel che proponiamo sul mercato italiano; la proposta Cloudtel Premium è cioè

un'offerta di telefonia Cloud per le imprese, soprattutto le Sme e le holding di gruppi. Del resto, le aziende

che guardano al futuro necessitano di comunicare in modo semplice, efficace ed economico, utilizzando le

nuove tecnologie multimediali integrate. Il nostro obiettivo sarebbe dunque quello di acquisire in breve una

quota del mercato business superiore al 10% e l'action pian quello di aprire una filiale nel Principato di

Monaco assumendo inizialmente 2 tecnici, un responsabile del Back office e un Account manager;

garantendo da Cloudtel Milano il supporto logistico, tecnico e commerciale, definendo accordi di

collaborazione con Monaco Telecom per integrare nella proposta Cloudtel i servizi di MT e sviluppare

servizi con la Pubblica amministrazione». «Le aziende italiane hanno bisogno di andare all'estero - ha

aggiunto Marco Masella, presidente della Scuola di Palo Alto, la business school italiana organizzatrice del

Positive Business Forum e del Positìve Business Award - e Monaco in tal senso è un punto di riferimento

importante, è un trampolino per accedere anche ad altri Paesi e dunque un passo verso

l'internazionalizzazione. Ecco perché, deve essere presente all'interno dei budget di un'azienda

lungimirante e innovativa. La nostra scuola, da anni considerata il punto di riferimento per l'applicazione alle

aziende dei concetti legati alla scienza della positività, vede nell'iniziativa di Sportello Italia l'opportunità di

un'attività non solo sinergica, ma addirittura strategica nell'individuazione delle eccellenze italiane, con la

possibilità di organizzare un'edizione del Positive Business Award nel Principato, organizzando anche

workshop, quale ad esempio quello sulla positività, che illustri la neuroscienza della Positività, ossia quando

lo stato dei nostri circuiti neurali favorisce la produttività aziendale; il concetto di solidità e resilienza; il

vantaggio della Felicità, ossia le 7 regole per aumentare il nostro stato di positività; i segreti delle aziende

positive, un viaggio all'interno delle aziende che utilizzano i concetti della positività per creare vantaggi

competitivi». INTERESSE DIFFUSO Anche Hunting Heads Italia, la brandi italiana del quinto gruppo

mondiale di Executive Search, nata in Germania, dove è tuttora al secondo posto nel settore, già estesa

peraltro in tutta Europa, Asia, Cina, Stati Uniti e recentemente anche a Dubai, guarda al mercato

monegasco con fervido interesse. Come ha infatti affermato nel corso della missione Francesco Festa,

amministratore delegato della società, «per quanto riguarda le caratteristiche del manager con

responsabilità importanti in azienda, vi sono due caratteristiche chiave che HH ricerca ed è capace di

identificare con efficacia: i manager con forte e brillante personalità, vivaci intellettualmente e culturalmente,

motivatoli riconosciuti, con una dose molto elevata di creatività, capaci di anticipare il mercato futuro e

saper identificare le esigenze e i desideri del cliente finale; e i manager di taglio internazionale, abituati a

sopportare lo stress e la concentrazione necessari per fare risultati concreti in realtà complesse, in rapido

mutamento, di culture diverse e spesso "miscelate". In particolare, la seconda caratteristica si attaglia molto

a ciò che per me significa il Principato di Monaco come interesse e opportunità: il Principato è riuscito infatti

con una politica accorta e lungimirante ad attrarre aziende, attività, business, investimenti e continua

sempre più ad attrarne. Ciò significa nel breve periodo, consolidamenti certi e quindi una nuova attenzione

a "strutture", capacità "gestionali" e funzioni di "comando e controllo". Di conseguenza tale massa critica, in

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ulteriore sviluppo, necessita e necessiterà sempre di più in un futuro a breve-medio termine, di manager

internazionali, di management skills del tipo di quelle delineate sopra. Per questo motivo, ritengo il

Principato di Monaco molto attrattivo per Hunting Heads, al punto di pensare a un ufficio di corrispondenti o

ad una sede staccata, per poter coltivare, sviluppare e realizzare Executive e Middle Management Search

sul campo». In definitiva, grazie soprattutto agli accordi siglati con l'Italia, siamo in un'epoca nuova. «Oggi -

conclude Carbone - possiamo davvero parlare di nuove prospettive, soprattutto in alcuni comparti, primi fra

tutti, il terziario avanzato, la tecnologia, la salute e la ricerca. Non coglierle, sarebbe un peccato». I »

«L'obiettivo è quello di promuovere il made in Italy nel Principato»II governo monegasco ha creato le condizioni per facilitare le aziende«Non basta dire internazionalizzazione» // parere di Giuseppe Crìstoferi, Ceo di Elan International, sulle

dinamiche dell 'ampliamento del business «Global, giocai, internazionale, multinazionale,

transnazionale...gli aggettivi volti a descrivere il fenomeno dell'ampliamento delle dimensioni del business

nei tempi moderni si moltipllcano. Non tutti I settori industriali presentano la stessa faccia, non tutti sono

percorsi in eguai modo dalla globalizzazione. Sicuramente, spinta in avanti su questa strada è la moda, il

fashion, il lusso. E certamente, i cacciatori di teste hanno uno spazio più vasto di ricerca, rivolgendosi a

persone già internazionali per formazione, cultura, esperienza. Il possesso della lingua inglese, insieme con

le competenze tecniche, è indiscusso. Pertanto ha buone chance di successo una azienda di head hunting

internazionale, più che fluente nell'inglese, perché opera in ambito mondiale ma entro una stretta nicchia.

Altri settori possiedono queste caratteristiche, ad esempio l'avionico, l'elicotteristica (militare e civile). Ma

già il farmaceutico un po' meno di nicchia, o meno specifico, come ronco/ematologia, o ancor più il primary

care, i generici e i generici branded, l'OTCe l'automedicazione, è fortemente giocai: locai come mercato,

globale come produzione, perché fabbriche dislocate ovunque (anche in Italia, fortunatamente) fanno uscire

prodotti spendibili globalmente, secondo un concetto di vocazione produttiva dei singoli stabilimenti. E

l'Italia ha, anche qui come nella moda, un know-how particolare nella produzionefarmaceutica e

chimicofarmaceutica. In sostanza, nei settori sopra citati, l'Head Hunter ha maggiore successo se è

contemporaneamente radicato sul territorio nazionale ed estende i rami nel mondo. Ci sono, ovviamente,

mercati più nazionali. In genere, sono quelli più normali, o dove c'è una situazione favorevole al monopolio

naturale. Si allude a gran parte dei servizi, all'edilizia (c'è la barriera linguistica), all'energia. Solo guardando

i dati del consumo di energia ci si accorge che meno del 10% è energia importata (per lo più nucleare, dalla

Francia). Il resto, soprattutto le energie rinnovabili, sono un mercato italiano, così come le Utilities

(distributori di gas, acqua, rifiuti) e le concessioni (autostrade, aeroporti, ferrovie). Eppure, anche in questi

settori si fa vivo uno scambio di risorse umane attraverso le frontiere, e una attenta ricerca di personale

apicale non può prescindere da una considerazione per lo meno europea anche per l'Italia. Del tutto

intemazionali sono poi alcune grandi società oil & gas e cantieristica correlata, come quelle di costruzioni e

progettazione ingegneristica. Molto variegata è la metalmeccanica, che comprende una estesa gamma di

situazioni differenziate. Si va dall'automotive (credo che abbiamo tutti sotto gli occhi esempi di

internazionalità evidente), alla meccanica di precisione, all'elettrodomestico (analogo esempio rispetto

all'automotive). Il fil rouge che lega tutte queste differenti realtà è che comunque dall'internazionalità non si

può prescindere se si vuole stare là dove le decisioni sul capitale umano più sensibili vengono prese. Poi,

anche sul capitale umano esistono ancora - e ci auguriamo esistano sempre - specificità italiane».

Foto: Sportello Italia ha organizzato, presso il Movotel, una missione economica, patrocinata

dall'Ambasciata d'Italia nel Principato, di imprese italiane di vari settori, dalla farmaceutica alla consulenza,

fino al turismo

Foto: Nella foto a fianco, William Griffini Ceo di Carter & Benson, società di Head Hunting. Nella foto sopra

Da sinistra a destra: Matteo Mauri, vice direttore affari istituzionali di Expo; Chiara Osnago Gadda,

giornalista e moderatrice dell'evento; Fabrizio Carbone, presidente di Sportello Italia; taurence Garino,

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Head of Office di Monaco Welcome & Business Office; S.E, Massimo tavezzo Cassinelli, Ambasciatore

d'Italia nel Principato; Daniele Fanteria, direttore generale di Sportello Italia.

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SCENARIO ECONOMIA

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Corriere Economia Sulla corsa alla Casa Bianca le scommesse di Wall Street Giuditta Marvelli L a campagna elettorale delle elezioni americane è appena cominciata, ma Wall Street e la grande finanza

stanno già votando con i finanziamenti privati e pubblici, quelli dei comitati Super Pac, per i favoriti alla

Casa Bianca. Sotto il candidato trovi l'hedge fund, ed è interessante scoprire chi appoggia chi. Corriere

Economia, in edicola domani con il Corriere, ha costruito una mappa delle alleanze già visibili. Scoprendo

che lo speculatore più famoso del mondo, George Soros, l'uomo che scommise contro la sterlina e che

oggi sta puntando sul crollo dello yuan, ha già versato otto milioni di dollari per la signora Clinton. Una cifra

notevole, che va parametrata ai 115 milioni complessivamente donati dai big di Wall Street a chi corre per

la presidenza degli Stati Uniti. E che i soldi di Wall Street, per motivi diversi non interessano né a Donald

Trump (che di miliardi ne ha a sufficienza per finanziarsi da solo) né a Bernie Sanders.

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Padoan: banche solide senza lo Stato In Germania aiuti per 240 miliardi Il ministro: «La Ue fa poco per l'occupazione. L'Italia usa tutta la flessibilità per la crescita» Nuove misure«Il sistema del credito è forte e il governo prende la prossima settimana altre misure» Enrico Marro ROMA Per un giorno è tornato in cattedra. Alla scuola di formazione politica del Pd, davanti a una platea di

giovani, molti dei quali già consiglieri o assessori negli enti locali. Ma il professor Pier Carlo Padoan non ha

dimenticato di essere il ministro dell'Economia. Inevitabile, quindi, la rivendicazione dei risultati ottenuti in

due anni di governo. In un Paese, ha sottolineato Padoan, che veniva da anni di recessione e di declino

strutturale. Un Paese che, dal 2015, ricomincia a crescere, sia pure a ritmi nettamente inferiori alle medie

europee. Tuttavia, secondo il ministro, il successo di una politica si misura su un altro fronte. «All'Europa

dico: come si valuta la qualità di un'economia? Io non ho dubbi, sulla capacità di creare lavoro. E su questo

l'Europa non ha fatto abbastanza». E quindi è importante, per esempio, che nel 2016 per la prima volta

dopo molti anni il debito pubblico cominci finalmente a scendere, ma questo risultato, ha detto Padoan, vale

perché consente di recuperare risorse per la crescita e l'occupazione. E su questi fronti i dati sono in

miglioramento.

Il ministro, per sostenere le sue tesi, ha mostrato 21 slide. Alcune molto eloquenti. Come quando ha

affrontato il tema caldo delle banche. In Italia, ha detto, il sistema produttivo «si basa quasi esclusivamente

sul credito. Quindi è normale che dopo 3-4 anni di recessione le sofferenze (i crediti difficili da riscuotere,

ndr. ) siano aumentati. Ma io dico che un sistema come il nostro, che ha resistito a tutto questo senza crisi

bancarie e senza gli aiuti di Stato che ci sono stati altrove, è un sistema molto solido».

E qui ha fatto vedere un grafico sugli aiuti pubblici che i governi hanno dato alle banche fino al 2014. Al

primo posto c'è la Germania, con quasi 240 miliardi di euro, seguita da Regno Unito (162,5), Spagna

(52,4), Irlanda (41,8), Grecia (39,8) e così via. Chiude la classifica l'Italia con appena un miliardo di euro.

Anche se si potrebbe facilmente obiettare che proprio per questo crescono le preoccupazioni sulla tenuta

delle banche italiane, ora che questi aiuti non vengono più autorizzati da Bruxelles. Ma Padoan ha garantito

che il sistema è forte e che «il governo prenderà la prossima settimana altre misure per rafforzarlo». Il

riferimento è ai provvedimenti sulla riforma del credito cooperativo, sulle procedure concorsuali e sui

rimborsi per gli obbligazionisti delle banche fallite.

Che mettere al riparo il sistema finanziario sia la prima cosa da fare per uscire dalla crisi ce lo insegnano gli

Stati Uniti, ha spiegato il ministro. Lì hanno fatto così e solo dopo si sono occupati dell'aggiustamento

fiscale. «In Europa abbiamo fatto il contrario» dando priorità alle politiche di austerità. «Ma così abbiamo

perso tempo e ora stiamo cercando di recuperare». In realtà, proprio la slide di Padoan sugli aiuti alle

banche sembrerebbe dimostrare che gli altri Paesi non hanno trascurato il soccorso al sistema finanziario.

Bisogna, ha concluso Padoan, «riorientare le politiche europee verso la creazione di lavoro, dando più

spazio fiscale (cioè più flessibilità di bilancio, ndr. ) a chi ne ha poco e chiedendo a chi lo ha di usarlo, e

l'Italia lo usa tutto», ha sottolineato, rivendicando così il punto in più di deficit col quale il governo ha

coperto la legge di Stabilità mentre altri Paesi, come la Germania, non fanno abbastanza per spingere la

domanda. In Italia, invece, ha assicurato Padoan, il governo insisterà sull'«elemento cruciale della nostra

politica economica: la riduzione delle tasse» per favorire consumi e investimenti. Nel 2017 toccherà all'Ires,

l'imposta sulle imprese: l'aliquota scenderà dal 27,5% al 24%. Nel 2018 all'Irpef. Bruxelles permettendo.

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Il confronto Impatto degli interventi pubblici sui sistemi bancari e finanziari (miliardi di euro) Quanto è

cresciuto il debito pubblico dal 2008 al 2014 (% Pil) Fonte: Mef d'Arco Germania Regno Unito Spagna

Irlanda Grecia Olanda Austria Portogallo Belgio Slovenia Francia Danimarca ITALIA Portogallo Regno

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Unito Grecia Lussemburgo Unione Europea Stati Uniti Francia Area Euro Danimarca ITALIA Giappone

Olanda Austria Svezia Belgio Germania 238,984 162,528 52,473 41,849 39,809 36,290 28,024 19,058

18,533 6,782 2,720 1,100 1,071 81,63 70,48 63,32 59,73 45,33 44,43 40,42 37,86 35,13 29,32 28,44 25,23

22,94 21,82 15,39 15,18

La lezioneIl ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto) è intervenuto ieri alla scuola di formazione politica del Pd,

davanti a una platea di giovani, molti dei quali già consiglieri o assessori negli enti locali Padoan

ha presentato 21 diapositive con i dati macro relativi a Italia e Ue. Il ministro ha rivendicato i risultati ottenuti

in due anni di governo. Ha anche detto che bisogna «riorientare le politiche Ue verso la creazione di lavoro,

dando più spazio fiscale a chi ne ha poco e chiedendo a chi lo ha di usarlo, e l'Italia lo usa tutto»

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La ricerca Amazon e Fb campioni in Borsa Ma è l'industria a creare lavoro Lo studio di Mediobanca: Google sorpassa Apple al listino solo per un giorno Sergio Bocconi La notizia ha fatto scalpore a inizio febbraio, quando Google ha superato Apple ed è diventata la società

numero uno al mondo per capitalizzazione di Borsa. E anche se il sorpasso è rientrato nel giro di 24 ore,

resta aperta la «sfida» sul primato di valore tra la società fondata da Larry Page e il colosso creato da

Steve Jobs e guidato oggi da Tim Cook.

Una sfida che «racconta» molte cose, a cominciare dal fatto che Google, oggi gruppo Alphabet (la holding

nata nell'agosto 2015) ha da poco superato Microsoft. E poi il testa a testa è fra due società che fanno

parte entrambe della cosiddetta new economy, ma mentre Google appartiene al mondo del software-web,

Apple è un gigante della manifattura. E il sorpasso ha riacceso i riflettori sul «confronto» fra i due mondi.

Che presentano numeri profondamente diversi.

Secondo un'elaborazione di R&S-Mediobanca, le prime dieci big mondiali del «soft-web» capitalizzano oggi

più o meno come le top ten della manifattura («hard»), cioè 2 mila miliardi di euro. Ma le prime hanno

fatturato nei primi sei mesi del 2015 164,2 miliardi, un terzo circa delle seconde (472,8 miliardi) con un

terzo dei dipendenti, 662.992 contro 1.820.565.

Le differenze diventano ancora più macroscopiche guardando ai singoli casi. Partiamo da Google e Apple.

La prima capitalizzava giovedì 442,2 miliardi di euro, mentre la seconda circa 480 (poco meno dell'intera

Piazza Affari, che il 29 gennaio valeva 505 miliardi). Il grande motore di ricerca ha fatturato però nel primo

semestre 2015 31,3 miliardi, mentre il gruppo guidato da Cook ha realizzato ricavi quattro volte superiori,

pari a 118,5 miliardi. Con il doppio dei dipendenti: 110 mila contro 53.600.

La fotografia della diversità appare particolarmente nitida in casi come Facebook: capitalizza 281 miliardi,

ne fattura quasi 7 in sei mesi con poco più di 9 mila dipendenti. General electric, che vale in Borsa 264

miliardi, ne ha fatturati nella prima parte dello scorso anno quasi 45 con 305 mila occupati. Amazon

capitalizza 226 miliardi, poco meno di Nestlé (212), con ricavi simili ma numero di dipendenti pari alla metà

(154 mila contro 339 mila). Nel confronto non si può poi «saltare» la Coca-Cola: capitalizza 165 miliardi, 20

in più della cinese Alibaba, fondata nel 1999 e fra le ultime arrivate in Borsa, fattura però più del triplo con il

quadruplo degli occupati.

Le differenze fra società soft-web e manifattura sono poi numerose altre: le prime sono quasi tutte giovani,

hanno tassi di crescita esponenziali, pochi debiti e tanta liquidità. E in molti casi sono possedute da coloro

che figurano fra gli uomini più ricchi del mondo, come Bill Gates (Microsoft), Larry Ellison (Oracle), Jeff

Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Facebook), Larry Page e Sergey Brin (Google). Titolari di patrimoni

miliardari, detengono saldamente il controllo con poco capitale grazie ad azioni a voto multiplo «molto»

speciali.

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La classifica R&S di Mediobanca Le prime 5 aziende manifatturiere Le prime 5 aziende software/web

d'Arco General Electric *milioni di euro **numero medio ***migliaia di euro 442.256 368.204 281.610

226.046 153.422 479.505 264.089 257.373 212.881 195.397 31.267 39.481 6.780 41.023 6.607 118.517

44.669 31.425 41.144 29.888 53.600 118.000 9.199 154.100 28.072 110.000 305.000 126.500 339.456

110.000 1.167 669 1.474 532 471 2.155 293 497 242 543 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 Fatturato per dipendente

(annualizzato) *** Dipendenti primi sei mesi 2015 ** Fatturato primi sei mesi 2015 * Capitalizzazione al

4/2/2016 *

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Il governo e l'economia Non si riparte solo con i bonus Dario Di Vico D urante la preparazione della legge di Stabilità abbiamo discusso a lungo - e ci siamo divisi - attorno alla

scelta di abolire Imu e Tasi sulla prima casa. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sostenuto a spada

tratta la sua opzione sulla quale ha investito ben 3,8 miliardi della manovra di fine anno. Siamo a febbraio,

e ancora lontani dalla scadenza in cui avremmo dovute pagarle, ma di quel taglio delle tasse è come se ce

ne fossimo dimenticati. Sarà per le roventi polemiche con Bruxelles che già traguardano ulteriori decisioni

di finanza pubblica, sarà per i fattori di incertezza sempre vivi, quella misura non ha avuto l'effetto

sperato.Nel varare la mossa fiscale Renzi non aveva fatto mistero di voler centrare un doppio obiettivo, uno

di carattere politico invadendo un terreno «berlusconiano» e quindi caro all'elettorato di centrodestra e uno

più strettamente economico dando ossigeno alla risalita del Pil. Per quello che possiamo conoscere

attraverso i sondaggi d'opinione il primo obiettivo non è stato centrato visto che in questi mesi non c'è stato

un travaso di consensi da destra in direzione del Pd. Sul piano economico, poi, il taglio di Tasi e Imu

avrebbe dovuto rappresentare la prima tessera di un intervento governativo che restituisse fiducia agli

italiani sulla bontà dell'investimento immobiliare e rimettesse in moto la filiera del mattone, che per

ampiezza e velocità di reazione in Italia è pressoché unica.

È vero che nella Stabilità sono state inserite almeno altre due misure coerenti con questo indirizzo, il

leasingimmobiliare e la robusta detrazione dell'Iva in caso di acquisti dell'abitazione direttamente dal

costruttore, ma l'insieme di questi provvedimenti non è stato sufficiente per ridare fluidità al mercato. La

sensazione di molti risparmiatori è quella di possedere degli asset molto meno liquidabili che in passato e di

conseguenza sono portati a monitorare in primo luogo l'andamento quantitativo degli scambi di proprietà.

Per di più vedono come la domanda di nuove abitazioni sia diventata selettiva e specie nelle grandi città più

orientata a premiare i servizi che l'immobile in sé. E intuiscono quindi che quando ripartirà si tratterà di un

mercato molto diverso da quello a cui eravamo abituati e comunque non disposto ad assorbire lo stock di

case invendute. Si può obiettare che in fondo il governo avesse un suo piano B e che più che a rilanciare

davvero il mercato immobiliare pensasse in realtà, tagliando le tasse, di bissare l'operazione 80 euro:

mettere più soldi in tasca agli italiani per consentire subito dopo un rilancio dei consumi consistente e non

limitato, come ora, solo ad alcuni beni durevoli (auto). Se questa era la vera intenzione del taglio di Imu e

Tasi bisogna dire che i fatti non hanno dato seguito alle premesse perché come sottolineava ancora ieri

l'Istat, nella sua nota mensile sulla situazione economica, le famiglie italiane nel terzo trimestre del 2015

hanno visto aumentare il loro potere d'acquisto dell'1,4% rispetto al trimestre precedente ma i soldi che si

sono ritrovati in più a fine mese li hanno destinati per una sorta di riflesso condizionato per due terzi al

risparmio (+0,9%). E non perché vedano davanti ai loro occhi particolari e irrinunciabili occasioni di

investimento quanto per paura, accumulano munizioni per una guerra che non è scoppiata ma della quale

pensano di intuire i segni premonitori. Ed è chiaro che davanti a un orientamento così scettico e allarmato

la politica di un bonus dietro l'altro che sembra prediligere Matteo Renzi appare quantomeno un'arma

spuntata.

Dario Di Vico

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Renzi e i margini sui conti pubblici: Bruxelles ci dia quello che ci spetta Il premier olandese usa parole distensive: mettiamo a frutto la tua leadership Marco Galluzzo ROMA « Se volessi potrei avere sul piatto 25 miliardi di flessibilità, potrei fare come Spagna e Francia, che

sforano il patto di Stabilità, ma noi stiamo rispettando le regole e continueremo a farlo. Ma a Bruxelles

devono darci quello ci spetta, possiamo arrivare all'1 per cento di flessibilità, è previsto dalle regole, è un

nostro diritto, non è materia di interpretazione».

Matteo Renzi ha affrontato ieri sera la cena con Mark Rutte, premier olandese, presidente di turno

dell'Unione Europea, anche con questi argomenti. Sotto i lampadari di cristallo dello storico hotel Des

Indes, nel centro dell'Aia, in una saletta riservata agli ospiti d'onore, i due giovani leader e i loro staff hanno

discusso del futuro della costruzione europea e delle richieste italiane.

Rutte ha qualche anno in più, ma è soprattutto appartenente alla famiglia dei liberali europei, che spesso fa

sponda con i popolari della Merkel. Rappresenta un Paese molto più soddisfatto di noi dello status quo

dell'Unione Europea, mentre per il nostro premier, tema ribadito ieri anche in una telefonata con il

presidente della Francia, François Hollande, il Vecchio continente dovrebbe «cambiare strada, abbinare

alle politiche di austerity un'autentica scelta strategica per la crescita economica».

Una scelta ancora più importante del dibattito sulla flessibilità, delle frecciate con Juncker, delle

incomprensioni con il commissario economico Moscovici, secondo Renzi. «Sono polemicucce», ha detto

durante la visita in Africa dei giorni scorsi. «Ma soprattutto oscurano il vero problema: a me la questione

della flessibilità interessa sino a un certo punto - dice con i suoi - il vero nodo è il futuro dei nostri figli, la

mancanza di una strategia di crescita della Ue, la perdita di centralità, politica ed economica, del nostro

continente».

Per questo ieri sera con Rutte il nostro premier ha parlato di riforme, della necessità di riprendere in mano

l'agenda di «cambiamenti strutturali» nei meccanismi dell'Unione. «Sono fiducioso nella leadership di Mark,

per un'Europa meno burocratica e più efficiente e che metta al centro la crescita e il lavoro», ha detto Renzi

entrando in albergo.

Due i punti di contatto fra Italia e Olanda in questo momento: la garanzia unica sui depositi bancari, che

vede attualmente la Germania in minoranza, e tutta l'agenda del mercato unico, con le proposte contenute

del cosiddetto rapporto dei 5 presidenti.

Una sintonia possibile che ieri Rutte ha rimarcato: «C'è tanto da fare nella nostra presidenza e nel resto

dell'anno, quindi stasera è una serata per mettere a frutto la leadership di Matteo su crescita e lavoro, per

far funzionare l'Europa davvero, sono molto felice della visita di Matteo, discuteremo di crescita e

occupazione, immigrazione, ma la cosa più importante è che stringeremo ancora di più il legame che

abbiamo ».

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La vicendaSono diversi i fronti aperti tra il governo italiano e la Commissione europea Sull'Ilva, il gruppo siderurgico

commissariato dall'esecutivo, la Commissione ha dato il via libera a un'indagine per sospetti aiuti di Stato

Anche sulla questione della bad bank (200 miliardi di euro di crediti in «sofferenza» nei bilanci delle banche

italiane) Bruxelles non ha ancora detto sì alle proposte di Roma perché si configurereb-bero come aiuti di

Stato C'è un braccio di ferro anche sui dazi alla Cina: i Paesi del Nord Europa vorrebbero eliminarli, l'Italia

si oppone temendo conseguenze sull'export Sui conti pubblici, in primavera il governo saprà se c'è l'ok

della Commissione alla legge di Stabilità finanziata con un aumento del deficit. Dal 2017, poi, saranno più

stringenti i vincoli imposti dal Fiscal compact che invece Renzi vorrebbe allentare Sui migranti l'Italia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 52

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respinge la procedura d'infrazione per la mancata registrazione dei profughi e non ha dato l'ok ai 3 miliardi

che la Commissione vuole stanziare per la Turchia

Foto: Spagna e Francia sforano il patto di Stabilità, ma noi stiamo rispettando le regole

Matteo Renzi

Foto: Parleremo di crescita e immigra-zione, ma soprattutto stringeremo di più il legame che abbiamo

Mark Rutte

Foto: Intesa Il primo ministro Matteo Renzi, 41 anni, ricevuto all'Aia dal premier olandese, il liberale Mark

Rutte, 48 (Afp)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 53

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Più risparmi che consumi La ripresa italiana resta fragile La previsione dell'Istat: tra i cittadini c'è incertezza anche dopo lo spread aimassimi di agosto, a quota 125 Export Nel manifatturiero -3,3% delle commesse estere nel trimestresettembre-novembre Enrico Marro ROMA Dopo la commissione europea, anche l'Istat frena: la crescita dell'economia italiana sarà più lenta

del previsto, spiega la Nota mensile diffusa ieri dall'istituto di statistica. Le incertezze che pesano sullo

scenario internazionale si riflettono negativamente sulle prospettive delle esportazioni mentre l'aumento dei

consumi sembra lasciare spazio a una ricostituzione dei risparmi erosi durante la recessione.

L'anno scorso la ripresina del prodotto interno lordo dello 0,8% (0,7% correggendo il dato per i giorni

lavorativi, secondo le stime della Banca d'Italia) c'è stata proprio grazie all'aumento della domanda interna

che ha compensato la riduzione di quella estera (le esportazioni totali sono scese dello 0,8% nel terzo

trimestre del 2015 rispetto al secondo). Quest'anno il quadro del commercio estero è incerto. Sottolinea

l'Istat che sulle prospettive dell'attività manifatturiera nei prossimi mesi pesano le «forti riduzioni delle

commesse estere (-3,3%) nel trimestre settembre-novembre».

Sarà ancora di più la domanda interna a supplire e a trainare la crescita. A favorire i consumi è la crescita

del reddito disponibile delle famiglie, dovuto all'aumento dell'occupazione, al miglioramento delle

retribuzioni contrattuali (+1,2% nel 2015 rispetto al 2014) e alla stabilità dei prezzi. Il potere d'acquisto al

netto dell'inflazione, dice la nota, è così salito dell'1,4% nel terzo trimestre del 2015 rispetto al precedente.

Ma questo reddito in più è stato utilizzato maggiormente sul versante del risparmio, aumentato dello 0,9%

nel terzo trimestre, che su quello dei consumi, cresciuti dello 0,4%. Il tasso di risparmio, tradizionale punto

di forza degli italiani, sta quindi risalendo verso il 10%, dal minimo del 7% toccato nel 2012 - quando le

famiglie hanno fronteggiato la recessione mettendo mano appunto ai risparmi - ma ancora distante dal 12-

13% degli anni pre-crisi.

In questo quadro, conclude l'Istat, «le prospettive di famiglie e imprese appaiono evolvere in modo diverso.

Mentre per le prime ci si attende il proseguimento della crescita del reddito disponibile, cui contribuisce

l'attuale fase di bassa inflazione, per le imprese non si segnala ancora un generalizzato aumento dei ritmi

produttivi, in presenza di un peggioramento del clima di fiducia e una riduzione delle prospettive di

crescita». Le previsioni di aumento del Pil restano positive, «ma con un'intensità più contenuta rispetto ai

mesi precedenti». Il che porterebbe a concludere, appunto, che la stima del governo di un Pil a +1,6%

quest'anno vada ridotta di qualche decimale di punto (la commissione europea dice 1,4%).

Anche l'ufficio studi della Confcommercio, che ieri ha diffuso il dato sull'Indicatore dei consumi, che per la

prima volta dal 2007 ha segnato un aumento (+1,6% nel 2015), concorda sul fatto che «le famiglie stiano

cercando forme di riequilibrio tra consumi, risparmio e investimenti». Del resto i fattori d'incertezza sono

tanti. A cominciare dallo spread, il differenziale con i titoli di Stato tedeschi, che ieri ha toccato i livelli record

da agosto, a quota 125. Quanto dureranno l'inflazione a zero, il petrolio ai minimi, il cambio favorevole, i

tassi d'interesse bassi sui mutui? La stessa politica di finanza pubblica espansiva sembra vicina al

capolinea, se Bruxelles non concederà altri margini di flessibilità. Quelli concessi finora e quelli che il

governo con qualche azzardo si è preso hanno consentito di passare dalla recessione alla ripresina. Che

però resta fragile .

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I componenti del Pil Var. % sul periodo precedente Pil Importazioni totali Domanda nazionale Consumi

nazionali spesa delle famiglie altre spese Investimenti fissi lordi costruzioni altri beni Esportazioni totali 4°

trim. 2014 -0,1 +0,4 -0,5 +0,3 +0,2 +0,5 +0,1 -0,4 +0,7 +1,9 2014 -0,4 +2,9 -0,6 +0,1 +0,4 -0,7 -3,5 -5,0 -1,9

+3,1 2015 1° trim. 2° trim. 3° trim. Dati trimestrali; indice: 2007=100 Fonte: elaborazioni su dati Istat d'Arco

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Pil Consumi e investimenti Esportazioni (scala di destra) +0,4 +2,5 +0,8 +0,1 +0,1 - +1,2 +0,6 +1,9 +1,0

+0,3 +1,6 +0,3 +0,2 +0,4 -0,4 -0,1 -0,5 +0,3 +1,3 +0,2 +0,5 +0,6 +0,4 +0,4 +0,3 -0,4 - -0,7 -0,8 2007 2008

2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 85 70 90 80 9 90 100 100 105 110

La vicendaIeri l'Istat ha diffuso la Nota mensile sull'andamento dell'economia, che contiene anche le previsioni

dell'istituto di statistica sui prossimi mesi Il quadro internazionale risentirà del rallentamento della crescita

Usa mentre nell'area euro «si delinea il proseguimento dell'attuale fase di moderato incremento dell'attività

economica» L'Italia rafforzerà la crescita, ma meno del previsto

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Intesa raddoppia l'utile, «l'Italia va» Messina: il nostro miglior bilancio, mercati confusi. Bazoli e Gros-Pietro? Presidenti perfetti Patrimonio eprestiti «Patrimonializzazione? Siamo al top in Europa I prestiti saliranno da 41 a 47 miliardi» Paola Pica Carlo Messina presenta «il miglior bilancio di Intesa Sanpaolo dal 2007», anno di nascita della superbanca,

chiuso con un utile quasi raddoppiato a 3 miliardi (2,7 al netto del contributo straordinario al fondo di

risoluzione) e una proposta di un extra dividendo cash di 2,4 miliardi dai 2 previsti dal piano. La cedola

salirà a 3 miliardi il prossimo esercizio, che sarà anche il primo con la nuova governance all'anglosassone e

il consiglio di amministrazione unico. Mentre il consigliere delegato snocci ola prima agli analisti e poi alla

stampa i numeri record del suo secondo anno pieno di mandato, il titolo in Borsa resta sull'ottovolante della

speculazione, prima in rialzo del 5% e poi in ribasso del 3,9%.

«Sono 10 giorni che non guardo l'andamento del titolo in Borsa. Sui mercati c'è una confusione totale -

dice - e vorrei rassicurare le famiglie e le imprese. Per patrimonializzazione, Intesa Sanpaolo è al top in

Europa. E se la nostra banca è forte crescita, nel solo 2015 sono stati concessi prestiti per 41 miliardi, le

erogazioni saliranno a 47 miliardi nel 2016, si possono prevedere gli effetti virtuosi degli investimenti sul Pil,

nell'anno seguente». Per Messina, anche le previsioni d'inverno della Ue sono da leggere positivamente:

«Un più 1,4% nel 2016 rispetto al precedente più 0,6% rappresenta il delta di crescita più consistente in

Europa». Tutto un problema di comunicazione, dunque, dati su crediti deteriorati compresi. «Continuare a

ragionare sulle sofferenze lorde è una fesseria - sostiene - le sofferenze nette sono assolutamente gestibili

e in linea con quelle di tanti altri Paesi». La questione, casomai, è quella dei tempi di recupero delle

sofferenze e per questo Messina si augura che nei prossimi decreti governativi «possa esserci qualche

forma di accelerazione, servono procedure rapide sulla risoluzione sui beni sottostanti alle sofferenze».

Quanto al bail-in, «quando sono state approvate queste disposizione ero fortemente contrario ma sono

abituato a guidare l'azienda all'interno delle regole stabilite ».

Quello che accade al listino è a tratti «sconcertante», ma il capo del primo gruppo italiano del credito

esclude ci sia una trama ai danni del nostro Paese e delle sue banche. «Piazza Affari era cresciuta negli

ultimi due anni molto di più degli altri mercati. Un complotto non è credibile».

A una domanda sul presunto flusso straordinario di nuova clientela in arrivo da altri istituti, Messina ha

replicato che la raccolta cresce dal 2011, «a ritmi fisiologici» e almeno a gennaio «non tali da comportare

crisi di liquidità di altre banche».

Nel 2015 le commissioni hanno segnato la crescita più alta di sempre a 7,5 miliardi (+11%) supportate dal

risparmio gestito (aumento delle masse in due anni del 27% a 328 miliardi). Per la prima volta si è ridotto lo

stock dei crediti deteriorati, mentre è calato anche il flusso di nuove sofferenze. L'anno in corso sarà anche

il primo con la nuova governance che «ci porta in linea con le best practice». Messina ricorda come «le

banche siano fatte di persone e quindi conteranno le persone che saranno scelte per il nuovo consiglio.

Oggi Intesa Sanpaolo funziona bene perché ci sono due presidenti , Giovanni Bazoli e Gian Maria Gros-

Pietro che interpretano il loro ruolo con misura perfetta».

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d'Arco I numeri del 2015 L'ANDAMENTO IN BORSA Ieri 2,384 -3,87% 2,566 2,521 2,478 2,431 2,386

2,341 10:00 12:00 14:00 16:00 2,4 3 L'AMMONTARE DEI DIVIDENDI CASH IL RISULTATO NETTO

Valore in miliardi di euro Valore in miliardi di euro 13,1% Il common equity ratio 8% L'aumento del risultato

della gestione operativa 28% La riduzione dello stock dei crediti deteriorati 41% La crescita dei profitti ante-

imposte

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I verticiIn alto il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, sotto l'amministratore delegato del gruppo Carlo

Messina. Bazoli, quando la banca darà l'addio al sistema duale, diventerà presidente emerito del gruppo.

Un lungo percorso di crescita, quello che ha portato, a partire dal Nuovo Banco Ambrosiano all'acquisizione

della Cariplo e della Comit e poi del Sanpaolo, alla nascita di Intesa Sanpaolo. Il 26 febbraio è stata

convocata la assemblea per il varo del nuovo statuto con il sistema monistico

Foto: Se si guarda alla crescita dell'Italia, quest'anno, i livelli sono più alti rispetto agli altri partner europei.

L'effetto dei prestiti sul Pil si sentirà tra un anno

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«Mps, un partner per gestire i crediti» L'istituto chiude con utili per 388 milioni. Viola: abbiamo fatto uno sforzo straordinario Sergio Bocconi La nuova gestione ha fatto uno «sforzo straordinario» per massimizzare l'efficienza e l'obiettivo per il 2016

di Montepaschi «è generare un utile netto organico, impegno che abbiamo preso e crediamo sia

assolutamente raggiungibile». Lo ha detto ieri l'amministratore delegato della banca senese, Fabrizio Viola,

presentando agli analisti i conti dell'esercizio appena concluso. A conferma di quanto comunicato in

gennaio sui dati preliminari, il bilancio si è in chiuso con un risultato positivo per 388 milioni, includendo,

come richiesto dalla Consob, l'effetto della contabilizzazione "a saldi chiusi" del derivato Alexandria. Al

netto della riclassificazione, è stato sottolineato, l'esercizio si chiuderebbe con una perdita di 112 milioni,

anche a causa del contributo straordinario di 88 milioni al fondo di risoluzione del sistema bancario.

L'istituto, il cui titolo ieri in Piazza Affari ha guadagnato il 3,51%, ha deciso di individuare un partner

specializzato per migliorare la performance di recupero dei Non performing loan e di spingere

sull'acceleratore per la cessione dei crediti in sofferenza oltre i 5,5 miliardi già previsti dal piano industriale

entro il 2018. Viola ha spiegato che sarà creata «una piattaforma indipendente per beneficiare del regime di

garanzia che il governo ha recentemente approvato per la cartolarizzazione volontaria di crediti in

sofferenza». Al 31 dicembre 2015 i crediti deteriorati lordi di Mps sono pari a 46,9 miliardi, in aumento del

3,4% rispetto a fine 2014, ma in calo di circa 600 milioni rispetto a settembre 2015, a seguito del

rallentamento dei flussi lordi, del miglioramento delle performance di recupero e della cessione di circa 1

miliardo di sofferenze realizzata a dicembre 2015.

Sui progetti di aggregazione, il top manager ha detto che l'istituto «continua con la strategia stand-alone e

nello stesso tempo è aperta a qualsiasi opzione di acquisizione e fusione che si possa presentare in futuro.

Nel frattempo continuiamo a lavorare per migliorare fondamentali della banca». Il Monte Paschi di Siena,

ha ribadito, è una banca «solida dal punto di vista finanziario e patrimoniale»». E a proposito del recente

deflusso di depositi che ha colpito banca, Viola ha sottolineato che ciò è venuto soprattutto da parte di

clientela corporate, meno da quella retail. La situazione dei depositi, ha aggiunto, «si è stabilizzata» dopo la

diffusione dei risultati preliminari di fine gennaio.

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Così in Borsa d'Arco 1,043 0,911 0,78 0,648 0,516 0,385 4 12 18 24 28 3 Gennaio Febbraio +3,51% 0,59

euro Ieri

46,9 miliardi di euro. Il livello dei crediti deteriorati di Mps, in calo di circa 0,6 miliardi da settembre388 milioni di euro. Gli utili netti realizzati dal Monte dei Paschi nel 2015, inclusa l'operazione Alexandria

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PRIVATIZZAZIONI Il pasticcio di Ansaldo Sts e la nuova (possibile) carriera del giovaneSiragusa puato A pagina 8

Mercoledì 3 febbraio l'ingegnere elettrotecnico Stefano Siragusa, 40 anni, figlio d'immigrati da Campania e

Sicilia, collezionista di cravatte (in particolare Hérmes) da quando è un manager e non deve più

preoccuparsi di trovare i soldi per pagare la pizza alle ragazze, a Londra non c'è andato. Amministratore

delegato di Ansaldo Sts dal gennaio 2014 e neopresidente della Metro 5 di Milano, doveva ritirare il premio

Pfi Award «Transport Deal of the Year 2015», per la migliore operazione sui trasporti dell'anno, assegnato

alla metro Lilla. Ma non c'era da stappare champagne, meglio stare a Milano in previsione del temporale. E

in effetti la doppia sciabolata su Ansaldo Sts - l'ex gioiello della pubblica Finmeccanica che produce fra

l'altro i sistemi di segnalamento che tengono in sicurezza i treni, passata ai giapponesi di Hitachi con la

gestione di Mauro Moretti - è arrivata. Prima il comunicato di Consob, la sera del 3, poi della Procura di

Milano, il giorno dopo.

Colpi e dossier

Il primo esplicitamente parlava di «collusione» tra Finmeccanica e Hitachi sulla cessione del 40% di

Ansaldo Sts, avvenuta il 2 novembre «a pacchetto» con Ansaldo Breda. Secondo la Commissione di

controllo sulla Borsa i due gruppi si sono accordati per sopravvalutare di 32 milioni Breda (difficile da

vendere) e sottovalutare la quotata Sts. La denuncia è venuta da azionisti di minoranza, il fondo Amber e la

società di consulenza Bluebell. Consob l'ha ritenuta fondata e ha imposto di aumentare da 9,50 a 9,899 il

prezzo dell'Opa in corso, l'Offerta pubblica di acquisto obbligatoria lanciata da Hitachi per togliere da Piazza

Affari Ansaldo Sts, rilevandone il restante 60%.

Una doccia fredda, a due giorni dalla prevista chiusura dell'Opa (il 5), che Consob ha prorogato di due

settimane: scadrà il 19 febbraio. «Agito con correttezza», hanno risposto sia Hitachi sia Finmeccanica

(scivolata il 5 in Borsa, tanto da fare intervenire il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan che ha auspicato

«tempi rapidi per l'investimento di Hitachi»). Stessa gelata per il comunicato della Procura di Milano

sull'apertura di un'inchiesta, per ora senza indagati, sull'intesa Hitachi-Finmeccanica. Ipotesi di reato:

aggiotaggio, ostacolo all'autorità di vigilanza.

Un gran pasticcio, insomma, nel quale Siragusa si sarebbe trovato suo malgrado. Circolano voci di un

misterioso dossier col quale il giovane manager avrebbe espresso preoccupazione sulla gestione

dell'operazione in tempi non sospetti, prendendone le distanze. Un viatico per uscite future. L'uomo è in

predicato, secondo fonti insistenti, per l'eventuale successione ai «due Giuseppe» delle partecipate di Stato

(e Cdp), cioè Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia (dove il padre di Siragusa lavorava da

impiegato), e Bono, il suo omologo in Fincantieri.

Bono è in carica da 14 anni, Zampini da 15. È naturale un passaggio del testimone alle assemblee

primaverili, con i consigli in scadenza. Potrebbero entrambi restare in azienda, nel caso, con ruolo da

presidente (Zampini almeno due anni, finché decadrà da presidente di Confindustria Liguria).

Quando fu nominato in Sts, portato a soli 37 anni dall'allora presidente Sergio De Luca che lo presentò a

tutti in Finmeccanica, Siragusa veniva dal Boston Consulting group, dove aveva lavorato su dossier come

Alitalia, Ferrovie e (dagli Usa) Fiat Chrylser. Prima ancora era stato in Siemens. Laurea con lode al

Politecnico di Milano con specializzazione sugli impianti d'energia, master al Mip e ad Harvard, cattedra in

Luiss e membro dell'Aspen, nel Bcg è stato responsabile europeo di Aerospazio e Difesa. La sua nomina

suscitò malumori perché esterna al gruppo , ma nulla vieta che la scelta possa essere replicata ora (anche

se in Fincantieri sembra meno semplice).

08/02/2016Pag. 1 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 59

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Le incertezze

Siragusa è vincolato a Sts fino al 30 marzo, dicono i documenti, poi è libero di scegliere se restare o no.

L'Hitachi guidata dall'amministratore delegato Hiroaki Nakanishi e, nella sua parte Rail, dall'inglese Alistair

Dormer che di Sts è ora presidente, ha apprezzato i risultati sul gruppo, cresciuto secondo i dati preliminari

2015 (da confermare) sia nei ricavi (+6,2% nell'anno) sia nell'utile netto (+15,3% ). Ma gli ordini acquisiti

sono calati del 27% (come però previsto) anche per le tensioni sui destini dell'azienda. In prevedibile

aumento, visti i tempi lunghi e le incertezze.

Contro la decisione di Consob, Hitachi è pronta infatti a ricorrere al Tar. Verserà su un conto vincolato la

differenza fra i 9,50 euro per azione stabiliti e i 9,899 imposti: se il tribunale amministrativo le darà ragione,

verserà quei soldi (tra qualche mese) ai venditori, altrimenti se li riprenderà. Chi volesse aderire all'offerta è

dunque pagato solo in parte subito, il resto si vedrà. Non è proprio un incentivo.

Se l'Opa salta, Hitachi resta azionista di minoranza di quell'Ansaldo Sts che viene già indicata come «A

Hitachi Company Group». L'ipotesi regge. A venerdì 4 le adesioni erano al 4%. Inoltre il socio Amber (che

ha il 2,38%) ritiene il prezzo ancora troppo basso; e l'altro fondo socio al 2%, Elliott, si è detto indisponibile

e di fatto blocca il 10% del capitale con posizioni a lungo termine. Difficile per Hitachi arrivare al 90% che

serve per il delisting. L'alternativa (fondi permettendo) è raggiungere il 66%, maggioranza qualificata che in

assemblea le consentirebbe di deliberare una fusione per incorporazione in un veicolo non quotato.

Nel documento Opa, comunque, Hitachi si riserva di fondere nel gruppo l'Ansaldo Sts, nome che

scomparirebbe come già è successo a Breda. Senza impegnarsi in investimenti straordinari. Non

stupirebbe che Siragusa lasciasse.

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La storia di Ansaldo Sts è un saliscendi. Ecco le tappe principali.

2001

Tolta dalla Borsa Usa Ansaldo Signal, che era quotata al Nasdaq, Ansaldo Trasporti viene integrata nel

gruppo Finmeccanica.

2006

Nasce Ansaldo Sts dalla fusione fra Ansaldo Trasporti e sistemi ferroviari (ingegneria ferroviaria) e Ansaldo

Signal (segnalamento). In marzo viene quotata in Piazza Affari. La rilancerà, dall'anno dopo,

l'amministratore delegato storico, Sergio De Luca.

2015

In febbraio Hitachi ( guidata dal ceo Hiroaki Nakanishi, foto qui sotto ) firma l'impegno per l'acquisto del

40%. A vendere è Finmeccanica condotta da Mauro Moretti ( foto a sinistra ). Il 2 novembre si conclude:

trasferite le quote.

2016

Il 4 gennaio inizia l'Opa di Hitachi per avere tutta l'azienda e delistarla. Il 3 febbraio Consob contesta

l'accordo, aumenta il prezzo dell'Opa e la prolunga fino al 19.

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Portafoglio ordini Ordini acquisiti Ricavi Risultato operativo Utile netto Surplus di cassa 6.410 1.336

1.383,8 135,8 93 338,7 +5% -27% +6% +9% +15% +15% 2015* (milioni di euro) Var.% su 2014 LA

CRESCITA Soci e bilancio di Ansaldo Sts Stefano Siragusa amministratore delegato *10,063% per

posizioni lunghe complessive *stime preliminari di consuntivo Fonte: Ansaldo Sts (sito web, investor

relations), Borsa Italiana Hitachi Rail Italy Investments 40,066% Flottante 45,328% Paul Singer (Elliot)

2,029%* Amber Capital 2,38% Ubs 7,227% Old Mutual 2,97% 4/8/2015 SEI MESI IN BORSA ago 2015 set

ott nov dic gen 2016 feb 2016 9,46 10,0 9,9 9,8 9,7 9,6 9,5 9,4 9,94 4/2/2016 +5% 1 Le tappe, dal Nasdaq

a Piazza Affari e ritorno storia di Ansaldo Sts è saliscendi. Ecco le tappe principali. 2001 Tolta dalla Borsa

Usa Ansaldo Signal, che era quotata al Nasdaq, Ansaldo Trasporti viene integrata nel gruppo

08/02/2016Pag. 1 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 60

Page 61: ANIEM...2016/02/08  · 31 06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Ancona Lavoro nero, due ditte nel mirino 32 06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Pesaro E' crollato l'impero edilizio

Finmeccanica. 2006 Nasce Ansaldo Sts dalla delegato storico, Sergio De Luca. 2015 In febbraio Hitachi

(guidata dal ceo Hiroaki Nakanishi, foto qui sotto) firma l'impegno per l'acquisto del 40%. A vendere è

Finmeccanica condotta da Mauro Moretti (foto a sinistra). Il 2 novembre si conclude: trasferite le quote.

2016 Il 4 gennaio inizia l'Opa di Hitachi per avere tutta l'azienda e delistarla. Il 3 febbraio Consob contesta

l'accordo, aumenta il prezzo dell'Opa e la prolunga fino al 19. fusione fra Ansaldo Trasporti e sistemi

ferroviari (ingegneria ferroviaria) e Ansaldo Signal (segnalamento). In marzo viene quotata in Piazza Affari.

La rilancerà, dall'anno dopo, l'amministratore

Foto: Le tappe, dal Nasdaq a Piazza Affari e ritorno

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Acciaio Mercoledì 10 il gruppo della lavorazione siderurgica depositerà una manifestazione di interesse perTaranto Marcegaglia In campo per la partita Ilva Gli imprenditori mantovani si candidano a un ruolo. E archiviano un ampio riassetto societario Le attivitànon core includono il 35% di Gabetti e il solare in alleanza con Enel Via al finanziamento di 450 milioni conBanca Imi, Bpm, Unicredit, Bpm, Bnp Paribas, Mps Daniela Polizzi Nuova finanza per 450 milioni. Munizioni che serviranno a dare più elasticità alla struttura finanziaria del

gruppo Marcegaglia, impegnato in un ampio riassetto, funzionale anche all'ingresso di nuovi soci nel core

business della lavorazione dell'acciaio. Un mercato dove il gruppo di Gazoldo degli Ippoliti raccoglie 4

miliardi di ricavi. La somma sarà anche fieno in cascina per la partita dell'Ilva che il gruppo guidato da

Emma e Antonio Marcegaglia, entrambi amministratori delegati, ha deciso di provare a giocare. Mercoledì

10 i vertici del gruppo consegneranno infatti la manifestazione d'interesse per il polo siderurgico di Taranto

e a ruota potranno così accedere alla «data room» per ottenere le informazioni societarie. Dopodiché

decideranno quale posizione prendere e con quali alleati schierarsi. Visto che Marcegaglia non potrà certo

giocare da sola.

Il nuovo finanziamento, scadenza a sette anni e destinato a ribilanciare il profilo del debito, è stato

finalizzato la scorsa settimana da un pool di nove banche, che include le capofila Banca Imi, Unicredit,

Bpm, Mps, Banco Popolare, Bnp Paribas ed è stato sindacato tra Bper, Popolare di Vicenza, Sondrio e

Banco do Brasil. Sono linee a lungo termine su un'esposizione complessiva che include anche circa 1,1

miliardi di debiti commerciali a fronte di un patrimonio netto di 828 milioni.

È il tassello finale di un riassetto di ampio respiro avviato lo scorso anno da Emma, (è anche presidente

dell'Eni) assieme al fratello Antonio che della società è anche presidente. È un riordino che favorirà anche

una risistemazione dei pesi in famiglia e vedrà i due imprenditori dell'acciaio al comando con presa diretta

sul 50% a testa. In sintesi, il nuovo schema ha visto le attività siderurgiche passare sotto il controllo dalla

nuova Marcegaglia steel, divise in tre aree poli: Marcegaglia Carbon steel (acciaio piano e tubi, 2,6 miliardi

di fatturato sui 4,2 di consolidato atteso quest'anno), Specialties (inox e barre trafilate, pesa un miliardo),

Plates (lamiere da treno, vale 200 milioni). Le partecipate estere sono state assegnate alle tre subholding a

seconda della prevalenza del business. L'obiettivo? Valutare in futuro l'opportunità di aprire il fronte delle

alleanze per ogni singola attività. Il punto di partenza è un mercato mondiale che ha visto il perimetro

restringersi, con una crescita dell'1% nel 2015 che potrebbe assottigliarsi ancora quest'anno a un +0,7%, in

base alle stime di settimana scorsa della World Steel Association. Ma a differenza dei produttori di

commodity come ArcelorMittal e Nippon Steel, il polo mantovano è un trasformatore di materia prima, il più

grande al mondo.

La nuova sfida

Il focus è sugli acciai speciali e al carbonio, quelli ad alto valore aggiunto dove tra i maggiori clienti c'è

anche Fiat Chrysler automobiles sul fronte dei produttori automotive, e Thyssenkrupp. Con questo nuovo

profilo organizzativo, Marcegaglia si presenterà all'appuntamento per l'Ilva, fornitore cruciale al quale è

tornata a chiedere ordinativi importanti alla fine dell'anno. Il gruppo di Gazoldo degli Ippoliti ha studiato in

passato un intervento a Taranto, con un ruolo di minoranza, a fianco di ArcelorMittal, in una cordata di

matrice italiana. È ancora d'attualità l'alleanza? Dipenderà da numerosi fronti, tutti aperti. Il gruppo indiano

ha avviato una ricapitalizzazione da 3 miliardi di dollari per compensare le perdite in un settore battagliato.

Appare quindi meno scontata la sua partecipazione al progetto sull'Ilva.

Un ruolo chiave per il gruppo lombardo potrebbe avere l'eventuale «chiamata» del governo, con la Cassa

depositi e prestiti, affiancata dall'advisor Citibank, che a fine gennaio si è detta disponibile a un progetto

sull'Ilva. Ma è chiaro che il ruolo di Marcegaglia non potrà che essere di partner di minoranza.

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Cessioni

Resta comunque la volontà del gruppo siderurgico di cercare aggregazioni nell'industria dell'acciaio,

attraverso partnership con industriali o finanziari. Da ricercare nella Penisola e fuori dai confini, anche tra

gruppi come gli indiani di Tata e Jindal.

Quanto al resto del riassetto, le attività diversificate hanno trovato una nuova destinazione sotto la

Marcegaglia Investment. Si tratta di oltre 300 milioni di ricavi tra il 35% di Gabetti, le energie alternative e le

attività nel turismo. In Puglia il gruppo Marcegaglia è in joint venture con l'Enel nel fotovoltaico. Tutte

partecipazioni classificate non core e quindi cedibili o da combinare con realtà più grandi. Perché il principio

è di creare dei campioni in ogni settore. A sostegno del riassetto, in autunno il gruppo aveva varato un

aumento di capitale da 32 milioni.

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* il 41,5% è in nuda propietà (usufrutto a Palmira Balzani) 3.956 2015 2016 2017 4.264 224 275 322 4.398

Ricavi Dati in milioni di euro Ebitda I CONTI DELL'ACCIAIO 50% * Antonio Marcegaglia Emma

Marcegaglia Marcegaglia Holding FINMAR MARFIN Marcegaglia Steel Marcegaglia Investment Gabetti

Property Appia Energy Taranto Solar Euro Energy Renova 50% 50% 13% 100% 100% 50% miliardi di euro

di ricavi milioni di tonnellate di acciaio lavorate Stabilimenti (16 in Italia) mila clienti mila dipendenti 4 5 7 43

15 35% 51% 49% 51% 87%

Foto: Al comando

A sinistra

Emma

Marcegaglia, co-amministratore delegato del polo siderurgico, a fianco di Antonio, che del gruppo è anche

presidente. I due fratelli si dividono con il 50% a testa il controllo del gruppo con sede a Gazoldo degli

Ippoliti (Mantova) che fattura

4 miliardi.

08/02/2016Pag. 1.7 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 63

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L'analisi L'acciaio esiste (e vive a Bruxelles) dario di vico L'Europa siderurgica stenta ad elaborare una sua visione unitaria e globale. Di fronte ai problemi creati

dalla sovraproduzione nel Vecchio continente, e davanti all'avanzata dei Paesi asiatici, Bruxelles non riesce

a fare il salto di qualità che sarebbe necessario.

Lo abbiamo visto in Italia quando si propose con tutta la sua drammaticità la vertenza dell'Ast di Terni e

vennero fuori le contraddizioni di una politica anti-concorrenza rimasta irrimediabilmente datata e incapace

di fare i conti con le profonde discontinuità di questi ultimi anni. Lo dobbiamo constatare di nuovo oggi alle

prese con i problemi, ancor più drammatici, dell'Ilva.

Il contenzioso con Bruxelles è solo una parte dei problemi del più grande gruppo siderurgico italiano ma è

la condizione senza la quale Taranto non potrà avere un futuro. Sotto esame da parte italiana non c'è solo

la posizione della Commissione europea ma anche l'orientamento dei grandi gruppi presenti nel Vecchio

Continente, come ThyssenKrupp e ArcelorMittal, che potrebbero essere tentati - a prescindere dalla

presenza o meno di uno di essi nelle cordate per Ilva - di scaricare sull'impatto pugliese i problemi di

sovraproduzione che angosciano il sistema continentale e le stesse autorità preposte.

La tensione che si è creata nelle ultime settimane tra il governo Renzi e il presidente Jean Claude Juncker

sicuramente pesa sul dossier acciaio ma dobbiamo evitare di finire come il famoso vaso di coccio. E, come

mi è capitato già di scrivere, proprio per evitare una conclusione ingloriosa varrà la pena tener presente

quello che per noi italiani è un doloroso precedente, l'Italsider di Bagnoli.

Anche in quella stagione - fine degli anni 80 - eravamo davanti a una crisi di sovracapacità e il negoziato

con Bruxelles aveva un ruolo centrale. Si cominciò a gestire la crisi di Bagnoli chiudendo un altoforno e poi

in successione tutti gli altri mettendo così a repentaglio il conto economico dello stabilimento e facilitandone

la caduta. Il vanto di Taranto sono i 4 altoforni che ne fanno l'impianto più importante che esiste in Europa

ed è normale che qualche concorrente possa essere tentato di pensare di chiudere l'area primaria e far

rimanere la fabbrica pugliese solo come impianto di laminatoi rifornito dall'esterno. In questo modo però

non solo si ripercorrerebbe mutatis mutandis la stessa strada di Bagnoli, ma si amputerebbe l'occupazione

(11.400 addetti). Di quanto? Forse della metà.

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08/02/2016Pag. 7 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 64

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Media & Nuove relazioni Mister Edelman: «Più fiducia nelle aziende, ma servono veri leader» ENRICA RODDOLO Daniel Edelman, fondatore dell'impero di famiglia delle relazioni pubbliche (pr), iniziò alla Cbs News.

«Aveva studiato alla Columbia e mosso i primi passi nel giornalismo in un quotidiano locale, ma arrivò la

guerra e finì arruolato per interpretare la propaganda nazista», racconta al Corriere il figlio Richard che ne

ha raccolto il testimone. Poi, in tempo di pace, si ritrovò a promuovere i dischi di Mel Torme ed Ella

Fitzgerald: da lì l'idea di dedicarsi a marketing e pubbliche relazioni.

Mister Edelman, proprio il mondo dei media tradizionali, l'editoria palestra di suo padre, oggi getta il guanto

di sfida al mondo di advertising e pubbliche relazioni tradizionali. O no?

«Certo, dal New York Times a Condé Nast, gli editori oggi si attrezzano per fornire alle aziende un servizio

di comunicazione completo: penso proprio al Nyt che ha stretto un accordo da un milione di dollari con

Ford. Per quel che ci riguarda, come società di pubbliche relazioni, contrattacchiamo».

E come?

«Reinventandoci continuamente, oggi l'attività di pr è in gran parte digitale. E cercando a nostra volta di

sostituirci ad altri. Per esempio, con quello che abbiamo chiamato collaborative journalism : un servizio di

storytelling che mettiamo a disposizione dei nostri clienti; oppure arruolando nei nostri uffici molti creativi

dalle agenzie di pubblicità».

Come si fa crescere invece, quest'anno dell'8,5% (con ricavi per 833 milioni di dollari), un impero di famiglia

delle relazioni pubbliche? Avviato nel 1952, il vostro sembra ormai una mosca bianca in un mondo di

advertising e comunicazione dominato da colossi che hanno inglobato decine di società indipendenti.

«Semplicemente, tutte le volte che ci si è avvicina qualche offerta abbiamo detto di no. E abbiamo

continuato a crederci, nel lungo periodo. Quando ne avranno la maturità toccherà alle mie figlie, due sono

già nel business, decidere se continua a essere di loro interesse».

A Davos ha appena presentato l'edizione 2016 dell'Edelman Trust Barometer (su un campione di 30 mila

persone di 28 Paesi, tra i 25 e i 64 anni), una cartina di tornasole dello stato di fiducia globale. Ne viene

fuori che è proprio il mondo del business ad avvantaggiarsi di più della crescita di fiducia del 2016. Perché?

«Merito dei servizi finanziari che sono ripartiti. E del mondo delle imprese che torna a essere percepito

come capace di produrre ricchezza e dare risposte alle ansie economiche e sociali delle persone. Ma le

aziende, per parte loro, devono fare la loro parte: non c'è fiducia nella visione di corto periodo guidata dai

profitti, c'è voglia di visione di lungo periodo. Gli amministratori delegati devono smettere di essere

manager e decidersi a essere veri leader».

In parallelo, la fiducia nei governi si è in generale ridimensionata.

«Perché, semplicemente, non possono farcela. Tutto quel che può fare Renzi è abbassare le tasse. E a

proposito di Italia, nel Paese la fiducia verso il mondo degli affari è più alta che negli altri Paesi europei, con

il 57% del campione propenso a dare fiducia ai business: è il 9% in più di un anno fa. Quanto al governo,

cresce del 3% confermato il trend iniziato nel 2014. Considerando la fiducia nei singoli settori, gli italiani

danno più fiducia a tecnologia, food beverage e telecomunicazioni. In risalita la finanza, in ultima posizione

il settore farmaceutico».

Erano gli anni 70, lei era alla Harvard Business School quando suo padre la chiamò per informarla che era

arrivata una grande offerta. E decideste che avreste detto di no, e continuato l'avventura assieme. Ma il

panorama dei media è molto cambiato. Quale evoluzione ancora immagina per il futuro?

«Oggi le relazioni pubbliche coprono il 4-5% del totale delle attività di comunicazione. Ma sono destinate a

raddoppiare il peso».

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A scapito di chi?

«Dell' advertising , perché la gente è stanca di pubblicità e tende sempre più a saltarla. Mentre funzionano

bene social media ed eventi».

Alle aziende che si rivolgono a Edelman, lei che cosa consiglia?

«Non più la corporate social responsibility né la filantropia, ma di mettere la sostenibilità all'interno del loro

stesso business. Per esempio? Produrre uno shampoo che permetta un lavaggio dei capelli con minor

spreco di acqua. È questa la nuova direzione da seguire».

E ai governi?

«Più trasparenza»

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Foto: Pubbliche relazioni Richard Edelman

08/02/2016Pag. 11 N.5 - 8 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 66

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IL MONITO DELLA CRISI Una spallata alle vecchie abitudini Morya Longo IBoT hanno tassi d'interesse sotto zero. Le obbligazioni bancarie, quelle che per decenni hanno costituito

un'importante forma di investimento delle famiglie italiane, sono improvvisamente diventate rischiose con la

normativa del bail­in. Le banche ormai non erogano più credito alle imprese come un tempo. È evidente che

gli imprenditori e i risparmiatori italiani, per per decenni illusi dalle offerte delle banche e coccolati dai titoli di

Stato, negli ultimi anni abbiano perso i loro punti di riferimento. Ma non è detto che questo sia negativo.

Anzi: scardinare le vecchie certezze potrebbe aiutare il mercato finanziario italiano, un piccolo mondo

antico ormai fuori dai tempi, a fare un balzo nell'era moderna. In Italia ci sono infatti due "tesori" da

preservare. Il primo è rappresentato dalla ricchezza delle famiglie che, sebbene mal distribuita, ammonta

tutt'ora a quasi 4mila miliardi di euro escludendo gli immobili. Il secondo è il tessuto imprenditoriale che,

nonostante le fragilità del sistema, ha fatto grande il «made in Italy». Il problema è che questi due "tesori" si

trovano in un Paese che ha una cultura finanziaria da terzo mondo: secondo una ricerca di S&P, in questo

campo l'Italia è più arretrata di Tanzania, Zimbabwe o Senegal. La scarsa alfabetizzazione ha sempre

impedito al mercato finanziario italiano di svilupparsi: questo ha reso le imprese troppo dipendenti dal

credito bancario e il risparmio ostaggio delle politiche commerciali delle banche stesse. Ma la crisi di oggi

può essere l'occasione per svoltare. Continua u pagina 3 u Continua da pagina1 Isegnali che qualcosa stia

cambiando già si vedono. Sta per esempio pian piano iniziando a mutare l'atteggiamento dei risparmiatori.

Sebbene mantengano l'approccio di fondo dei vecchi "BoTpeople" (il sondaggio Ipsos che presentiamo in

questa pagina dimostra che la maggioranza degli italiani cerca sicurezza), per la prima volta le famiglie

stanno prendendo la consapevolezza che il fai­da­te non paga. Che bisogna diversificare gli investimenti.

Che non esiste nulla di sicuro al 100% (neppure gli Stati e le banche lo sono). Che bisogna informarsi. Che

le banche possono essere in conflitto d'interessi quando vendono prodotti. Lo dimostra il boom del

risparmio gestito: questo significa che sempre più italiani diversificano e affidano i propri soldi a investitori

professionisti. Lo conferma anche la perdita di appeal delle obbligazioni bancarie, che (secondo i dati

dell'Abi) in due anni sono diminuite di 124 miliardi di euro. Lo ribadiscono infine le testimonianze di gestori

di fondi e di patrimoni, secondo i quali i risparmiatori oggi chiedono servizi di consulenza sempre più

sofisticati. Anche sul fronte delle imprese qualcosa cambia: il minimo sviluppo del mercato dei mini­bond e

la crescita dell'Aim (il listino di Borsa dedicato alle piccole imprese) sono i primi timidi segnali di uno

svezzamento in corso dal biberon delle banche. È evidente che questi piccoli cambiamenti siano dettati più

dalle circostanze sfavorevoli di questi anni che da una reale voglia di cambiare. Le imprese non avrebbero

mai pensato ai mini­bond se prima non ci fosse stata una legge ad hoc e una contrazione del credito

bancario tale da bruciare oltre 100 miliardi di euro di finanziamenti. I risparmiatori non avrebbero mai

abbandonato i BoT a favore dei fondi comuni se i loro rendimenti non fossero scesi sotto zero. E non

avrebbero mai messo in discussione i bond bancari se non fosse arrivato il bail­in. Ma questo importa poco:

quello che conta, oggi, è che in Italia si sta sviluppando l'humus per far nascere una consapevolezza

nuova. Questa è la premessa per un mercato finanziario più efficiente, a sua volta condizione necessaria

per imprese più sane (con fonti di finanziamento diversificate) e risparmiatori più consapevoli. Affinché

questi timidi segnali diventino una svolta seria e strutturale, servono però molti passi in avanti. Urge in Italia

una maggiore attenzione alla tutela del risparmio: semplificando i prospetti, combattendo i conflitti

d'interesse delle banche, favorendo lo sviluppo di advisor indipendenti. È necessaria poi una spinta forte

affinché i grandi investitori puntino più sull'economia reale: per esempio nei minibond o nelle infrastrutture.

Serve infine che la normativa (per esempio quella sul private equity) venga completata con tutti i decreti

attuativi. Per l'Italia questa crisi è un'occasione unica per dotarsi di un propulsore importante per l'economia

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reale: un sano mercato finanziario che permetta (senza eccessi però) di convogliare la ricchezza delle

famiglie nei posti giusti.

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I CONTI DEGLI ATENEI STATALI Università a dieta: le entrate giù del 15% Gianni Trovati Tra il 2010e il 2015 le università statali hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strut­ turali e hanno

sforbiciato dell'11,5% le uscite (tagli scaricati soprattutto sulle spese per il personale). Sul fronte degli

incassi, l'autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra entrate proprie (tasse e contributi,

prima di tutto) e trasferimenti è cresciuto dal 26 al 34,2 per cento. Evoluzione inevitabi­ le, dal momento che

rispetto al 2010 il fondo di finanziamento ordinario ha perso un miliardo. Servizio u pagina4 con Analisi di

Alessandro Schiesaro pLa spending review nell'università non è solo materia di corsi e convegni, ma negli

ultimi anni ha rappresentato una presenza sempre più costante nelle scelte gestionali degli atenei: lo

diconoi numeri, dai quali emerge il panorama di un settore in pesante crisi di risorse, che nel suo

complesso ha però provato a difendere il livello di servizi e prestazioni. Le cifre in gioco I numeri, quindi: tra

il 2010e il 2015 le università hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strutturali e hanno sforbiciato

dell'11,5% le uscite. I tagli, ed è questo l'aspetto più qualificante, si sono scaricati in particolare sulle spese

per il personale, che sono state schiacciate dal blocco degli scatti e dai vincoli al turnover, e hanno perso in

cinque anni il 13,8% del loro peso. Le spese peri «servizi agli studenti», un capitolo che comprende borse

di dottorato, assegni di ricercae scuole di specializzazione, ma anchei programmi di mobilità e di scambi

culturali per gli studenti, invece hanno tenuto, e tra il 2010e il 2015 sono cresciute del 2%, mantenendo di

conseguenza quasi lo stesso ritmo della mini­inflazione del periodo. Identica la dinamica delle «spese di

funzionamento», voce canonica nelle teorie della spending, che però merita un'analisi più puntuale: gli

aumenti nelle spese per le utenze (elettricità, gas, acqua e telefonia +7,5%) e per la pulizia (+7%)

confermano le difficoltà vissute finora dai sistemi di controllo degli appalti e di centralizzazione degli

acquisti, ma altre voci come le uscite peri laboratori (+6%) potrebbero spiegarsi anche con una piccola

spinta ulteriore alle attività. Bilanci trasparenti I numeri chiave, però, sono altri e si concentrano nella

colonna delle entrate. Tutte le cifre di questa pagina riguardano gli andamenti effettivi di cassa e arrivano

da due fonti. Quelle complessive, aggiornate a fine 2015 per il confronto annuale, sono tratte dal Siope, il

cervellone telematico del ministero dell'Economia che monitora quotidianamente incassi e pagamenti di

tutta la pubblica amministrazione; i numeri relativi alle singole università (aggiornati per il momento al 2014)

arrivano invece da «bilanci atenei», il portale che il ministero dell'Università ha lanciato sul proprio sito

istituzionale per offrire il quadro della salute economico­finanziaria dei bilanci accademici: di ogni ateneo, in

una rassegna che per ora esclude i non statali, è finalmente possibile consultare tutti i principali dati di

bilancio, spulciando anche i numeri delle società partecipate, mentre in forma sintetica vengono offerti i dati

sui principali indicatori dei conti, come il rapporto fra spese fisse e finanziamenti statali, quello fra spese di

personale ed entrate e la sostenibilità dell'indebitamento. Le entrate Sono le entrate, dunque, a offrire le

chiavi di lettura più importanti. La prima: l'autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra

entrate proprie (tasse e contributi, prima di tutto, ma anche l'attività commerciale e gli accordi di

programma) e trasferimenti è cresciuto di un terzo, passando dal 26 al 34,2 per cento. Si tratta di

un'evoluzione inevitabile, dal momento che rispetto al 2010, quando era ancora "puntellato" da voci

provvisorie come i 500 milioni del piano straordinario targato Mussi­Padoa Schioppa, il fondo di

finanziamento ordinario ha perso in termini di incassi un miliardo di euro, mentre altri 100 milioni annuali si

sono volatilizzati alla voce «trasferimenti per borse di studio». A sostenere i conti accademici, di

conseguenza, sono stati chiamati sempre di più gli studenti e le loro famiglie, anche se in termini assoluti il

loro valore non è riuscito a crescere a causa dell'emorragia di studenti che in cinque anni ha fatto perdere

alle università il 6,5% dei propri iscritti in cinque anni accademici (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre

2015). Tasse e contributi, nel frattempo, sono scesi "solo" del 3,5%, attestandosi a quota 1,7 miliardi tondi,

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aumentando quindi il loro peso percentuale sul totale delle entrate universitarie. Mezzogiorno in crisi È nelle

università del Sud che i conti traballano pericolosamente, messi in crisi da un circolo vizioso che parte dalla

perdita di studenti (e quindi di contributi), si riflette nella flessione delle performance e di conseguenza

produce assegni statali alleggeriti per i tagli nella «quota premiale» collegata ai risultati. Le entrate

strutturali degli atenei meridionali crollano in cinque anni del 20%, cioè il doppio rispetto alle università del

Nord, e la stessa forbice si riscontra nei numeri del fondo universitario (­13,6% di incassi al Nord, ­24,8% al

Sud). Le prospettive In questo quadro va detto che l'ultima manovra, per la prima volta da molto tempo,

riporta qualche segno «più» nelle voci del finanziamento statale all'università, con una serie di

mini­interventi relativi a rafforzamento della quota premiale, piano straordinario per i ricercatori e fondo

«Giulio Natta» per il reclutamento all'estero, che in totale racimolano 116 milioni per il 2016e 165,5 milioni

dal 2017. Una boccata d'ossigeno importante, che da sola non riuscirà però a cambiare le dinamiche

strutturali, soprattutto nelle aree con il fiato più corto.

ENTRATE TOTALI*

Il bilancio3.6702.44814.09413.1528.0306321.7621.5311.2487.9252.9201.96311.6386.9395351.7011.5671.2736.83512.095 2 0 1 0 2 0 1 5 873 283 853 227 -2,3 437 175 417 157 -4,5 -2,4 -14,2 453 174 431 151 -20 -4,9 745

565 738 590 -9,8 -0,9 +4,3 -9,1 315 384 377 317 -2 368 402 452 367 -0,2 Entrate totali* (-3,5%) 3.299

NORD 6.230 2.938 5.592 -10,9 -19,7 -10,2 1.980 3.629 Altro 3.113 1.932 -10,2 Altro 2.751 4.235 2.068

3.390 -24,8 -13,4 Risorse umane Spese totali** 3.287 5.701 NORD 2.964 5.181 2.152 3.531 Altro 1.791

2.939 Altro -16,8 +0,6 -16,8 2.486 3.920 3.519 2.080 -16,3 -10,2 +12,4 INCASSI Contributi studenteschi

Contributi studenteschi Contributi studenteschi (-14,2%) ENTRATE TOTALI* Inter venti a favore di studenti

(-13,8%) Contributi studenteschi Contributi studenteschi SPESE TOTALI** SPESE TOTALI** (-11,5%)

Fondo di finanziamento ordinario Trasferimenti statali per borse di studio TOTALE ITALIA PAGAMENTI

Spese di funzionamento TOTALE ITALIA Fondo di finanziamento ordinario Fondo di finanziamento

ordinario 2010 2015 Diff. % Trasferimenti statali per borse di studio Trasferimenti statali per borse di studio

2010 2015 Diff. % 2010 2015 Diff. % 2010 2015 Diff. % Fondo di finanziamento ordinario Fondo di

finanziamento ordinario 2010 2015 Diff. % Trasferimenti statali per borse di studio Trasferimenti statali per

borse di studio 2010 2015 Diff. % CENTRO SUD (+2,3%) (+2%) CENTRO SUD

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 70

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Fonte: Elaborazione del Sole 24 Ore su dati Siope (-13,6%) (-15,3%) Le dinamiche di incassi e pagamenti

fra il 2010 e il 2015. Dati in milioni di euro * Al netto di prestiti, partite di giro e trasfer imenti interni: il totale

non è la somma delle voci indicate nel grafico ** Al netto di partite di giro, pagamenti da regolar izzare e

trasfer imenti interni: il totale non è la somma delle voci indicate nel grafico

I conti delle università statali Bari Lecce Foggia Ateneo Ferrara Firenze Milano 2014 2014 2014 Pisa

Pavia Siena Udine Parma Torino Trento Trieste Urbino Verona 2014 2014 2014 Brescia Cagliari Cassino

Catania Genova Bologna Insubria L'Aquila Messina Bergamo Macerata Camerino Catanzaro Diff % sul

2010 Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Ateneo Padova Perugia Salerno Sassari Teramo Palermo Potenza

Roma Tre Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Campobasso Chieti Pescara Milano Bicocca Bari

Politecnico Fondo di finanziamento ordinario Venezia Iuav Viterbo Tuscia Siena Stranieri Napoli Orientale

Perugia Stranieri Fondo di finanziamento ordinario Benevento Sannio Napoli Federico II Milano Politecnico

Marche Politecnica Calabria Arcavacata Modena e Reggio Emilia Roma Foro Italico Roma Tor Vergata

Roma La Sapienza Torino Politecnico Napoli Parthenope Venezia Ca' Foscari Napoli II Università

Piemonte Orientale Reggio C. Mediterranea Incassi Pagamenti Incassi Pagamenti 276,3 50,7 278,5 57,0

Fonte: Fonte: Elaborazione su dati Miur ­ sito Bilanci Atenei 300,4 -11,3 307,4 -4,0 187,0 -12,8% 290,3 -

15,6 320,3 -17,9 204,4 -11,2% 62,8 -10,1 63,9 -8,8 42,9 -10,7% 36,2 -14,1 43,5 13,6 21,3 -27,1% 80,4 0,6

70,5 9,2 46,5 -10,6% 638,1 -10,7 703,6 5,7 393,8 -13,9% 122,5 -20,7 124,8 -10,7 79,1 -24,7% 217,3 -7,0

210,1 -0,7 128,7 -10,7% 174,0 -18,0 176,4 -4,3 103,4 -30,6% 60,6 -1,5 54,5 -15,0 40,3 8,2% 43,5 -26,3

44,7 -11,0 31,1 -33,6% 46,2 -14,8 50,7 -9,1 31,6 -7,1% 271,1 -28,1 276,1 -18,1 188,5 -28,1% 85,0 -0,6

102,3 35,7 40,7 -29,7% 142,5 -17,1 123,2 -14,6 93,5 -29,8% 138,9 -11,9 133,0 -1,9 87,4 -13,4% 433,9 -9,3

411,4 -11,9 268,2 -3,3% 68,5 -24,5 76,3 2,8 39,0 -27,2% 82,9 -17,4 82,5 2,2 49,7 -33,2% 100,8 -30,6 109,5

-14,8 76,7 -33,4% 117,5 -22,0 132,3 -6,7 77,3 -24,8% 53,4 -8,1 47,7 -17,3 38,4 -16,5% 130,6 -18,9 130,1 -

9,5 80,8 -22,7% 203,6 -21,6 226,3 -8,2 155,8 -26,5% 506,5 -7,0 483,0 -6,8 294,7 -8,2% 205,9 -8,4 204,7

0,5 126,7 -13,2% 412,8 -3,1 378,5 -0,4 211,1 -11,7% 185,1 -1,2 184,7 0,1 106,6 -2,6% 570,7 0,8 545,8 -4,0

360,5 -10,5% 62,3 -34,9 52,9 -5,9 42,4 -46,5% 327,3 -3,7 340,7 2,5 224,3 -6,6% 193,8 -18,4 204,1 -5,5

127,9 -22,5% 215,2 -16,7 215,0 -15,9 137,0 -15,5% 83,9 -19,7 80,0 -6,8 53,0 -24,8% 53,8 -15,1 60,5 9,0

31,8 -33,6% 58,9 -0,6 57,1 13,2 42,6 11,3% 15,0 -22,8 15,9 -2,9 9,8 -37,3% 761,0 -20,6 769,8 -14,8 519,4 -

22,1% 283,1 -6,6 296,0 -9,0 173,3 -0,1% 179,2 -22,7 174,5 -4,7 122,6 -31,3% 148,3 -23,3 150,3 0,8 78,6 -

34,8% 217,4 -37,2 220,8 -25,8 122,6 -6,6% 35,5 -30,7 36,5 -20,4 27,2 -32,7% 468,9 -18,6 461,6 -8,3 277,2

-22,4% 241,9 -8,2 229,2 -6,9 130,8 -7,6% 47,6 -19,3 51,8 -2,2 30,1 -22,8% 195,5 -14,1 193,9 1,5 115,3 -

17,8% 58,9 -6,4 54,0 -15,5 41,1 -0,5% 205,7 -24,6 198,6 -9,5 152,3 -30,5% 44,7 -11,2 46,2 -8,8 31,3 -

11,3% 505,7 -22,5 511,0 -9,1 295,0 -24,9% 218,1 -7,1 211,9 -10,4 138,7 -5,3% 20,3 -25,8 19,2 -15,1 13,4 -

26,8% 335,2 -12,7 343,5 -4,5 210,0 -9,1% 210,2 -11,1 186,0 -7,5 152,1 -0,4% 16,5 11,0 14,3 3,4 7,7 -7,3%

160,0 -12,7 162,4 -7,3 97,0 -14,0% 139,1 -3,3 125,8 -17,4 84,1 -0,3% 74,4 -4,9 69,9 -15,3 46,3 2,3% 128,1

-17,8 132,1 7,8 79,6 -23,9% L'andamento di incassi e pagamenti complessivi ateneo per ateneo ­ Valori in

milioni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 71

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L'ANALISI Ora bisogna ripartire dal Fondo Alessandro Schiesaro Negli ultimi cinque anni le università hanno fatto fronte al calo dei contributi statali e a quello delle tasse

pagate dagli studenti soprattutto contraendo le spese di personale, che costituiscono la voce principale dei

loro bilanci. La contrazione ha agito su due fronti. Da un lato, il blocco salariale, che doveva originariamente

durare un solo triennio, ha occupato un intero lustro. Dall'altro, una misura anch'essa temporanea quale la

riduzione del turnover,è stata prolungata, con percentuali variabili, fino al 2018. Nel 2016, per esempio, è

consentito assumere in misura pari al 60% del costo del personale cessato nel 2015, anche se i ricercatori

a tempo determinato non tenure­track sono stati finalmente (e giustamente) esclusi dal calcolo. Ne

consegue un quadro complessivo di forte disagio, che sta avendo ripercussioni tangibili nella vita

quotidiana degli atenei. I problemi hanno origine lontana. Da quando è stato creato il Fondo di

finanziamento ordinario, nel 1993, la sua crescita è stata costante, quali che fossero i governi, fino al 2009,

se si eccettua una lieve flessione nel 2006. Gran parte degli incrementi annuali del fondo era vincolata alla

necessità di far fronte alla crescita automatica degli stipendi e, soprattutto tra il 1999e il 2008,a quella

dell'organico, cresciuto di circa un terzo in cifra assoluta. È per far fronte a questa dinamica difficilmente

controllabile che, quando nel 2007 si trattò di trovare altri 500 milioni per accrescere il fondo, l'allora

ministro Padoa­Schioppa, convinto com'era che gli atenei dovessero rendere "più produttiva" la loro spesa,

li concesse- novità assoluta ­ solo per il triennio 2008­2010, senza consolidarli a regime. Al venir meno di

questa "bolla" si sono poi aggiunti altri tagli, tra i quali spicca per consistenza quello del 2013 (­5,1%

sull'anno precedente), senza che venisse mai davvero impostata una netta inversione di tendenza, tale da

riportare il fondo, se non al picco del 2009 (7,83 miliardi), almeno alla soglia di sicurezza del 2012 (7,33

miliardi): il recupero del 2014 (+0,9%) è infatti stato azzerato dal ­1,4% del 2015. Neppure quest'anno

sembra segnare l'avvio di una nuova stagione. Il fondo parte con un tenue segno positivo (+25 milioni, pari

allo 0,4%), ma solo grazie ai 38 milioni stanziati per le controverse "cattedre Natta", e i rischi di

aggiustamenti in corso d'anno sono comunque sempre in agguato. Nel frattempo della seconda tranche del

piano straordinario associati, pur prevista per legge, siè persa ogni traccia fin dal lontano gennaio 2013.

Queste dinamiche sono particolarmente deludenti alla luce dei progressi tangibili compiuti dal sistema per

razionalizzare la spesa e soprattutto per riqualificarla, sforzi che lo pongono all'avanguardia nel settore

pubblico. Bilancio unico di ateneo, costo standard per studente, limiti all'indebitamento, crescita della quota

di fondi distribuita sulla base della valutazione e non della spesa storica sono tutte tappe di un processo di

responsabilizzazione che si scontrano però con la parallela diminuzione delle risorse. Il rischio non è ormai

più quello di interrompere il processo, ma di vanificarlo e basta. I rimedi sono noti da tempo: recupero

graduale del Ffo almeno a quota 2012 e sua stabilizzazione pluriennale. Servirebbero circa 300 milioni, una

cifra come quella appena stanziata per la bizzarra, e regressiva, "carta cultura": l'obiettivo di mettere in

sicurezza l'università pubblica, volendolo, non dovrebbe quindi essere irraggiungibile.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 72

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DATI ISTAT E INPS Il mercato del lavoro e l'enigma che non c'è Luca Ricolfi Il 2015 è passato, la decontribuzione completa non c'è più, forse è tempo di tentare un bilancio. Sono

servite le misure di Renzi per rianimare il mercato del lavoro? Apparentemente, la risposta dipende dalla

fonte. Se guardiamo ai dati Inps parrebbe di sì: da circa un anno la quota di assunzioni con contratti piùo

meno precariè in costante diminuzione. Se invece guardiamo ai dati Istat parrebbe di no: il peso

dell'occupazione precaria è in costante aumento, e nell'ultima in­ dagine trimestrale ha toccato il massimo

storico. Chi ha ragione? Re Salomone avrebbe risolto l'enigma dicendo: hanno ragione tutti e due,

dopotutto i dati delle due fonti non sono comparabili, visto che l'Inps si occupa di flussi (assunzioni e

cessazioni), o più precisamente di variazioni del numero e del tipo di contratti, mentre l'Istat si occupa di

stock, ossia dell'andamento dei livelli di occupazione. Continua pagina 18 Continua da pagina 1 Questa

visione scettica del problema del conflitto fra dati Inps e dati Istat è anche spesso ap­ prodata sui giornali,

dando luogo alla tesi secondo cui Inps e Istat dovrebbero parlarsi di più, se non altro per evitare le continue

strumentalizzazioni politiche dei dati sul mercato del lavoro. La realtà, tuttavia, è meno ambigua di quel che

sembra. Anche se i dati Inps e Istat non sono direttamente confrontabili (l'Inps trascura alcuni settori, e

ignora quasi completamente il lavoro autonomo), il quadro che da essi si può ricavare è relativamente

coerente, purché si tengano sempre presenti le differenze fra le due fonti. Se la domanda è: il peso

dell'occupazione precaria sta diminuendo? La risposta è un no reciso non solo sulla base dei dati Istat, ma

anche su quella dei dati Inps. Quando si osserva che la percentuale di nuovi contratti stipulati a tempo

indeterminato aumenta, si dimentica infatti un dato fondamentale: quello delle cessazioni, ossia dei rapporti

di lavoro che muoiono o per licenziamento o per altri motivi. Ebbene anche nell'anno di grazia 2015,

baciato dalla decontribuzione e dal Jobs Act, il numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato cessati

ha ampiamente superato il numero di rapporti di lavoro attivati, mentre il contrario è accaduto per i rapporti

di lavoro temporanei, che hanno visto le attivazioni superare le cessazioni. Ecco perché il peso

dell'occupazione precaria, puntualmente registrato dall'Istat, è aumentato anche nell'anno del Jobs Act. Se

lo scopo del Jobs Act era abbattere il tasso di occupazione precaria, il bilancio non può che essere

negativo: il Jobs Act ha mancato l'obiettivo. E tuttavia questa conclusione sarebbe non solo affrettata, ma

alquanto semplicistica e riduttiva, e questo per due distinte ragioni. La prima è che le misure che possono

aver prodotto effetti rilevanti sul mercato del lavoro sono almeno tre: decreto Poletti (marzo 2014),

decontribuzione (gennaio 2015), Jobs Act (marzo 2015). La seconda ragione è che fra tali effetti bisogna

anche considerare la spinta occupazionale, ovvero la capacità di creare posti di lavoro. Ebbene, su questo

occorrerà attendere i dati definitivi dell'Inps e dell'Istat relativi all'ultimo trimestre del 2015, ma intanto si può

notare che il bilancio non è del tutto negativo. A fronte di un assai preoccupante calo del lavoro autonomo

(circa 100 mila occupati in meno), il 2015 fa registrare una lenta ripresa dell'occupazione dipendente, che

tuttavia era già visibile prima del Jobs Act, prima della decontribuzione, e in qualche misura prima del

decreto Poletti (l'inversione di tendenza sul mercato del lavoro risale all'ultimo trimestre del 2013, ancora

regnate Enrico Letta). Il problema è che l'intensità di tale ripresa è piuttosto modesta nonostante tutti gli

stimoli, interni e internazionali, che l'economia sta ricevendo da più di un anno a questa parte. Nel 2014,

ossia prima del Jobs Act ma vigente il decreto Poletti, la spinta occupazionale era valutabile in 150 mila

posti di lavoro dipendente all'anno, nel 2015 tale spinta è salita a circa 230 mila posti di lavoro l'anno, 80

mila in più. Un po' pochini, tenuto contro che sono costati 12 miliardi alle casse pubbliche (circa 150 mila

euro per lavoratore). Se si pensa che l'elemento chiave di questa accelerazione è stata la decontribuzione

totale, e che tale misura è già caduta a partire dal 1° gennaio di quest'anno, non c'è da essere

particolarmente ottimisti sul futuro. La realtà, temo, è che la "portante" dell'economia italiana,

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indipendentemente da chi ha la ventura di governarla, è da diversi anni la riduzione progressiva della base

produttiva. E l'indicatore più diretto, più drammatico, di tale riduzione lo forniscono proprio i dati Inps, che

da quando vengono pubblicati regolarmente (dal 2009) invariabilmente segnalano una distruzione

pressappoco costante di posti di lavoro a tempo indeterminato. Ora quella distruzione continua, ma a un

ritmo molto più lento che un anno fa. Difficile pensare che le misure di sostegno dell'occupazione varate dal

governo non abbiano avuto alcun ruolo in tale rallentamento. Ma ancor più difficile è credere che, con

l'incertezza che domina i mercati e il venir meno della decontribuzione totale, si possano raggiungere i due

obiettivi fondamentali che la riforma del mercato del lavoro si era data: creare tanti posti di lavoro, ridurre il

peso del lavoro precario.

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La ferita dei giovani disoccupati Fabrizio Galimberti pagina 14 Se c'è una ferita aperta nel tessuto sociale italiano, è quella della disoccupazione giovanile (15­24

anni). Il tasso di disoccupazione è un rapporto fra coloro che cercano lavoro e tutti quelli, in quella fascia di

età, che non sono né occupati, né studenti, né seguano corsi di formazione. E questo tasso, al 37,9% (dati

di dicembre 2015),è un gran male. Non si tratta solo di un fatto economico, di un mancato guadagno. Si

tratta di un male psicologico e sociale. Un sistema economico, se servea qualcosa, serve ad assicurare la

dignità di un lavoro a chi abbia capacità e voglia di lavorare. Un lavoro assicura indipendenza- non solo

finanziaria-e rispetto di se stessi. Se la società non provvede questo lavoro,i giovani cominciano a pensare

che c'è qualcosa che non va nella società stessa,e cadono facilmente vittima di ideologie radicali. In ogni

caso, si sfilaccia il tessuto sociale, e più a lungo dura lo stato di disoccupazione, più difficile diventa trovare

lavoroe più gravi le ferite psicologiche. Ciò detto, e prima di passare a cause e rimedi, guardiamo, come

sempre si dovrebbe fare, le cifre. Il grafico mostra due variabili: il tasso di disoccupazione giovanile in

diversi Paesi (l'ultimo disponibile si riferiscea dicembre 2015)e la variazione di questo tasso rispetto

all'inizio del 2015. La prima variabile- il livello- fotografa la situazione comparata nei diversi Paesi. La

seconda variabile - la variazione - ci dice se le cose stanno migliorandoo peggiorando. Questo grafico

suggerisce, per prima cosa, che la disoccupazione giovanile nonè una maledizione che colpisce tutti. Ci

sono enormi differenze in questa patologia del mercato del lavoro: si va da un tasso del 5­7% di Giapponee

Germania a tassi del 46­49% di Grecia e Spagna (il tasso medio dell'Eurozonaè del 22%). Il che vuol dire

che ci sono assetti della società - tutti i Paesi raffigurati nel grafico sono Paesi a economia di mercato- che

permettono di avere bassi livelli di disoccupazione fra i giovani, ed evitare quei mali che abbiamo descritto.

Sappiamo che da molti anni l'Italia non cresce. Vuol dire che la colpa dell'alta disoccupazione giovanile è

da attribuire alla mancata crescita dell'economia italiana? Sì e no. Cioè a dire, è certamente vero che,

rispetto al 2007 - l'ultimo anno prima della crisi che culminò nella Grande recessione - la caduta del Pil

italiano si è accompagnata a un impressionante aumento del tasso di disoccupazione giovanile: dal 19,4%

dell'aprile 2007 al recente 37,9 per cento. Maè pur vero che quel minimo del 19,4% del 2007 era anche

allora nettamente superiore al tasso medio dell'Eurozona, del 14,9%: già nella situazione di partenza c'era

una netta differenzaa sfavore dell'Italia. Questa differenza ha radici lontane: si riscontra non solo nella

disoccupazione giovanile ma nella disoccupazione totalee nel tasso di occupazione (cioè il numero di

occupati nella forza­lavoro, che a sua volta si definisce come la somma di occupati e disoccupati). Queste

radici stanno nella difficoltà della nostra società- nei suoi assetti istituzionalie sociali- nel creare lavoro. Una

difficoltà che a sua volta si scompone in molte cause: cattivo funzionamento del sistema scolastico (la

percentuale della forza­lavoro con un diploma di istruzione terziaria è molto più bassa in Italia rispetto agli

altri Paesi europe), cattivi collegamenti fra scuola a impresa, incapacità di collaborare efficacemente fra

pubblico e privato, mentalità anti­impresa, e, in alcune zone del Paese, l'influenza della criminalità

organizzata. C'è poi il fattore più importante di tutti, cioè il cattivo funzionamento del mercato del lavoro,

diviso fra una fascia di protettie una fascia di precari. Ma proprio su quest'ultimo punto si appuntano le

speranze di un miglioramento. La seconda variabile del grafico mostra come sia cambiato - migliorato o

peggiorato - il tasso di disoccupazione giovanile dall'inizio del 2015 alla fine. In alcuni Paesi è peggiorato -

Belgio, Francia, Austria - ma in altri è migliorato, e di molto - Grecia, Spagna, Italia. È significativo che il

miglioramento sia avvenuto proprio nei Paesi che avevano il più alto tasso di disoccupazione giovanile.

Questi Paesi, fra cui l'Italia, sono stati "costretti" a introdurre riforme del mercato del lavoro - vedi il Jobs Act

in Italia - che hanno favorito la discesa della disoccupazione. Il ruolo cruciale, in Italia, del mercato del

lavoro nel determinare gli andamenti di occupazionee disoccupazione, nonè nuovo. Le riforme del 1997

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erano voltea rendere più flessibile quel mercato riducendo i privilegi di coloro che già erano occupati. Le

difficoltà di licenziare diventavano difficoltà ad assumere,e quelle riforme, che allentavano le esagerate

garanzie che coprivano il posto di lavoro, ebbero un effetto benefico. Molti dicono che l'alta disoccupazione

in Italia è colpa dell'euro, ma le cifre non confortano questa tesi. L'euro fu introdotto nel 1999 (con la fissità

dei tassi di cambio- come moneta fisica vide la luce nel 2002), e a gennaio del 1999 il tasso di

disoccupazione totale in Italia era dell'11%,e quello giovanile del 30%. Ma le riforme del 1997 stavano

lentamente cambiando le fattezze del mercato del lavoro, e nell'aprile del 2007 - poco prima dell'inizio della

crisi che avrebbe poi avviluppato il mondo nella Grande recessione- il tasso di disoccupazione totale in

Italia era sceso al 5,9% (anche più basso di quello medio dell'Eurozona),e quello giovanile, come detto

prima, al 19,4 per cento. C'è da sperare che la storia si ripeta e che le riforme del mercato del lavoro

avviate l'anno scorso possano lentamente portare a risultati analoghi. Ma c'è molto di più che si può fare

per ridurre la disoccupazione giovanile. Ne parleremo la prossima domenica, allargando lo sguardo al resto

del mondo. [email protected] DISOCCUPAZIONE NONÈ SOLO UN MANCATO GUADAGNO

ECONOMICO. È UN MALE PSICOLOGICO E SOCIALE. UN LAVORO ASSICURA INDIPENDENZA

FINANZIARIAE RISPETTO DI SE STESSI. SE IL SISTEMA ECONOMICO NON CREA QUESTO

LAVORO,I GIOVANI PENSANO CHE QUALCOSA NON VA NELLA SOCIETÀE DIVENTANO

FACILMENTE VITTIMA DI IDEOLOGIE RADICALI

LE CAUSE DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE: SISTEMA SCOLASTICO, CATTIVI COLLEGAMENTI

FRA SCUOLAE IMPRESA, INCAPACITÀ DI COLLABORARE FRA PUBBLICO E PRIVATO, MENTALITÀ

ANTIIMPRESA,CRIMINALITÀ ORGANIZZATA C'È CHI ATTRIBUISCE LA RESPONSABILITÀ DE

LL'ALTA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE ALL'EURO, MAÈ UN ERRORE. LE RIFORME DEL 1997E IL

JOBS ACT DIMOSTRANO IL CONTRARIO AFP

PER SAPERNE DI PIÙ «Esclusione e lavoro. Alcuni percorsi di ricerca tra crisi economica, traiettorie

soggettive e welfare locale», di Rachele Benedetti, Plus, 2011 «Disoccupazione perché. Scienze sociali a

confronto», di Barbara Giullari e Michele La Rosa, Franco Angeli, 1996 «La disoccupazione estrema», di

Rosanna Nisticò, Rubbettino, 2004 «Occupazione, disoccupazione e riduzione dell'orario di lavoro», di

Antonio Garofalo e Concetto P. Vinci, Giappichelli, 2001 «Disoccupazione giovanile: spezzare il cerchio», a

cura di E. Colombatto, Mondadori, 1982 «Scuola e disoccupazione giovanile», autori vari, Cittadella, 1977

«Disoccupazione giovanile ed esclusione sociale ­ Un approccio interpretativo e primi elementi di analisi», a

cura di Michele La Rosa e Thomas Kieselbach, Franco Angeli, 1999

ILLUSTRAZIONE DI UMBERTO GRATI

Andamento della disoccupazione giovanile nel 2015 Usa 48,6 37,9 25,9 22,7 22,0 20,5 11,2 11,2 7,0

5,2 19,2 13,5 10,3 -1,1 -0,2 -0,2 -0,6 +2,0 -2,0 -3,0 -1,1 -0,7 +1,8 +1,1 -3,6 -4,2 -3,9 It alia Grec ia B elgio

Irlanda S pagna Franc ia P olonia A ust ria 46,0 E uroz ona Germania Giappone Danimarca Regno Unito

Fonte: Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati Eurostat Dicembre 2015. Dati destagionalizzati TASSO DI

DISOCCUPAZIONE VARIAZIONE DA 2/15 A 12/15

Foto: Più interessante del liceo? Il segreto della bassa disoccupazione giovanile in Germania sta nelle

scuole cosiddette "vocazionali", dove, con un misto di insegnamenti teorici ed esperienze pratiche, si

apprende un mestiere. Questi istituti professionali mantengono uno stretto collegamento con il mondo

dell'impresa , agevolando i giovani che, terminata la scuola, cercano un'occupazione.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 76

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L'ANALISI Schermaglie tra banche centrali Walter Riolfi Se si vuole scorgere qualche indizio sulla direzione della politica monetaria, è meglio lasciar perdere le

Borse che, di questi tempi, sono afflitte da altri problemi. Ma sotto l'altrettanto volatile comportamento delle

valute e dei Treasury Usa si intravvede una schermaglia tra banche centrali che si fa sempre più rumorosa.

Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Se Wall Street, venerdì, ha perso quasi il 2%, perché si pensa che

150mila nuovi assunti siano troppo pochi e per questo gli Stati Uniti stiano scivolando verso una nuova

recessione, si sbaglia di grosso: quel numero resta nettamente superiore agli 80­90mila nuovi occupati al

mese che bastano a stabilizzare a questi buoni livelli il mercato del lavoro. Ma se la borsa americana è

scesa, perché i salari sono cresciuti un po' più del previsto e per questo ripartirà l'inflazione e la Fed sarà

costretta ad alzare i tassi d'interesse, sbaglia ancor di più: ci vuole ben altro che un aumento annuo del

2,5% degli stipendi per creare inflazione. Infine, tutta questa attenzione sul numero dei nuovi assunti pare

davvero eccessiva, perché il mercato del lavoro è un indicatore ritardato dell'economia (almeno di 4­6 mesi).

Sappiamo che l'economia sta rallentando, quanto meno da novembre. Ma, sostenere, per questo, che si

vada verso una recessione è una di quelle esagerazioni di cui spesso si nutrono i mercati azionari: tutt'al

più si tratta di una frenata della crescita in un ciclo economico che si sta rivelando il più tiepido degli ultimi

70 anni. E per giunta pieno d'insidie che la Fed, come le altre banche centrali, hanno ben presenti. In

realtà, mercati un po' più efficienti, come quello valutario e dei titoli di Stato, non hanno drammatizzato il

deludente numero dei nuovi occupati: il dollaro ha recuperato nella seduta di venerdì solo lo 0,6%, dopo

aver perso in settimana 4 punti rispetto all'euro. Il rendimento del Treasury a 10 anni è sceso all'1,84%, il

minimo da 12 mesi, e quello del titolo a due anni è salito di tre miseri centesimi, ai livelli di fine ottobre,

ossia ben prima del ritocco dei tassi Fed di dicembre. In effetti gli investitori non stanno stimando altri rialzi

nel corso del 2016: o, meglio, ne ipotizzano uno (con probabilità attorno al 40%) a dicembre. Non è detto

che abbiano ragione, per quanto il mercato si sia rivelato in questi anni più attendibile delle stime (i dot plot)

degli stessi membri della Fed. Potrebbe stavolta errare per eccesso, poiché non è detto che la banca

centrale americana possa decidere nei prossimi mesi, se le cose restassero così, di tagliare i tassi

d'interesse, fino a renderli negativi. Il più grosso cruccio di Janet Yellen dev'essere, di questi tempi, quello

d'aver visto il dollaro irrobustirsi su tutte le valute, mentre l'economia Usa dava segni di cedimento, molti dei

quali proprio a causa della ridotta competitività della valuta. Malgrado parecchi analisti avessero previsto un

dollaro ancor più forte, anche oltre la parità sull'euro, il biglietto verde s'è mosso negli ultimi due mesi tra

1,08 e 1,09, perché altri operatori, con maggior avvedutezza, avevano capito che la Fed non avrebbe mai

lasciato alla sola Bce (o alla sola BoJ) la gestione del cambio, In altre parole, se la politica monetaria in

Giappone ed eurozona si sta spingendo oltre i limiti accettabili, attraverso quantitative easing e tassi

negativi (limiti del resto varcati in precedenza dalla stessa Fed), la banca centrale Usa si troverà costretta a

rimodellare la propria politica su quella dei "concorrenti". Quale sia il livello ritenuto accettabile per il dollaro

in questa fase é difficile dirlo. Si può ipotizzare che la Fed ritenga assai poco conveniente un cambio con

l'euro sotto 1,1. Allo stesso modo si può supporre che la Bce non possa accettare un cambio, diciamo,

sopra 1,15. Questi livelli ovviamente sono indicativi, poiché le banche centrali ragionano su cambi pesati

sul valore degli scambi commerciali. Ma di una cosa si può essere certi: che quando la Fed afferma che

ogni decisione sui tassi dipende dai «dati», in quei dati c'è anche la politica monetaria delle banche

"concorrenti". Tanto più se, in mercati così fortemente manipolati, il gioco degli attori va ben oltre le parole e

la moral suasion, come s'è visto dieci giorni fa nella sorprendente decisione della BoJ di rendere negativo il

suo tasso d'interesse.

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PATRIMONIO E RISCHIO Banche italiane, la solidità nei bilanci Marco Fortis Il tema dei crediti deteriorati ha dominato in modo disordinato le vicende borsistiche italiane di questo inizio

2016. Per almeno quattro ragioni. La prima è che vi è stata grande confusione sui numeri. Infatti, come ha

ribadito il ministro dell'Economia Piercarlo Padoan, «il nostro sistema bancarioè solido. Le sofferenze nette

corrispondono oggia 88 miliardi,e non ai 201 miliardi di cui si parla». Continua pagina 2 Continua da pagina

1 La seconda ragione è che non sembra essere noto a tutti che le banche italiane non solo hanno a

bilancio uno dei più alti tassi di copertura dei bad loans (attraverso opportune rettifiche), ma che a fronte dei

crediti dubbi vantano anche un elevato stock di garanzie reali, principalmente immobiliari. Nell'annunciare i

suoi dati del 2015, ad esempio, Intesa Sanpaolo ha precisato di avere un livello di copertura complessiva

dei crediti deteriorati, considerando le garanzie reali, pari al 139% a fine dicembre 2015 (al 146%

considerando anche le garanzie personali), con una copertura complessiva della componente costituita

dalle sofferenze pari al 140% (al 147% considerando anche le garanzie personali). Si tratta di livelli di

copertura che anche le altre nostre banche maggiori presentavano nel 2014, come ha ricostruito giorni fa "Il

Sole 24 Ore", e sarebbe forse utile che tutte lo ribadissero con analoga precisione e tempestività in

occasione della imminente presentazione dei loro bilanci 2015. La terza ragione è che non è scritto da

nessuna parte che le sofferenze debbano essere gestite dal sistema bancario italiano come qualcosa da

vendere affannosamente e «sotto pressione», cioè in tempi brevi e "a saldo", seguendo le acrobatiche ed

improbabili simulazioni che in questi giorni sono state elaborate anche da alcune agenzie di rating. Le quali

hanno preso a riferimento i valori delle svalutazioni delle sofferenze appli­ cate in occasione del recente

salvataggio straordinario delle 4 banche oggetto di risoluzione: un benchmark davvero assurdo per il resto

del sistema bancario, diciamolo chiaramente. Come è assurdo stimare arbitrariamente presunte necessità

di aumento di capitale a cui andrebbero incontro persino diverse tra le banche italiane più solide in uno

scenario di vendita in blocco dei loro crediti dubbi agli stessi para­ metri applicati alla Popolare Etruria o alla

Banca Marche. Mentre qualunque banchiere navigato sa benissimo che, gestendo in modo professionale

ed efficiente le sofferenze, da che mondo e mondo con esse «si fanno i bilanci»: altro che necessità di

futuri aumenti di capitale! La quarta ragione è che il problema dei crediti deteriorati non è un problema di

stabilità economico­finanziaria delle banche, posto, ovviamente, che abbiano adeguate dotazioni di capitale

(come la grande maggioranza di quelle italiane). È invece soprattutto un problema di impatto sull'economia

reale, che fatalmente riceve in media meno prestiti in tempi come questi in cui le banche sono impegnate a

ridurre il peso eccessivo dei crediti dubbi accumulati durante una lunga recessione come quella da cui

siamo appena usciti. Sotto questo profilo è perciò importante che il Governo introduca delle misure incisive

per ridurre i tempi del recupero crediti e per riattivare più rapidamente condizioni di normalità

nell'erogazione dei prestiti. Peraltro, questo giornale ha documentato con precisione che c'è in Europa un

problema bancario ben più preoccupante di quello (ipotetico) italiano. Infatti, se le perdite in borsa sono

state più forti in gennaio per le banche italiane (sotto l'infuriare della "sindrome" da sofferenze), per le più

grandi banche europee il declino dei valori azionari è stato più accentuato rispetto a un anno e tre anni fa.

La ragione è molto semplice. Molti bilanci sono pessimi. Inoltre le dotazioni di capitale di mol­ te banche

sistemiche europee sono inadeguate. E sono troppo alte le loro leve, con bassi rapporti di capitale pregiato

sulla leva. Basta guardare ai dati della tabella a fianco, dove sono confrontati i valori dei ratio di CET1 fully

loaded (a pieno regime di Basilea III) e di leva dei sistemi bancari dei 7 maggiori Paesi dell'Euroarea

(oggetto di vigilanza unica) con quelli delle 6 principali banche italiane e delle prime due banche tedesche,

francesi e spagnole per capitalizzazione di borsa. Dalla lettura di tale tabella, i cui dati si riferiscono a

giugno 2015, emerge chiaramente che: a)nel CET1 ratio, nonostante il peso distorsivo dei bassi valori delle

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due popolari venete non quotate (Popolare Vicenza e Veneto Banca), il valore nazionale italiano è elevato

e non distante da quelli di Germania e Francia. b)la prima banca Italiana, Intesa Sanpaolo, surclassa per

CET1 ratio la prima banca tedesca, francese e spagnola; e la seconda banca italiana, Unicredit, precede la

seconda banca tedesca, francese e spagnola. c)anche UBI Banca e BPM hanno valori di CET1 ratio

superiori alla prima banca tedesca, francese e spagnola. Banco Popolare, Unicredit e MPS a loro volta

presentano valori superiori a quelli della seconda banca tedesca e delle prime due banche francesi e

spagnole. d)nel leverage ratio il valo­ re nazionale italiano è tra i più alti e quelli di BPM, Intesa Sanpaolo e

UBI banca sono ai vertici assoluti; inoltre, Banco Popolare, Unicredit e MPS precedono la prima banca

tedesca e le prime due banche francesi. Guardando a questi dati, e tenuto conto delle osservazioni

anzidette sulle sofferenze, è del tutto evidente che è improprio parlare di un "caso" delle banche italiane in

Europa. Piuttosto emerge un quadro preoccupante per diverse banche sistemiche europee. Sicché, specie

in questi tempi assai curiosi in cui in altri Paesi va di moda costituire «comitati di saggi» che, tutelando in

primis neanche tanto velatamente i propri interessi nazionali, si ergono a suggeritori di proposte

nell'interesse europeo (come quella di attribuire un livello di rischio o di mettere un tetto al quantitativo di

titoli di debito pubblico detenuti dalle banche), c'è da chiedersi se non varrebbe la pena che anche l'Italia

costituisca uno o più propri «comitati di saggi». In campo bancario, ad esempio, l'Italia potrebbe

innanzitutto suggerire all'Europa che venga elevata la dotazione di capitale delle grandi banche sistemiche.

Inoltre che la vigilanza unica sia estesa anche alle banche regionali e medie. Infine, che le autorità di

vigilanza pretendano di avere dati certi sull'ammontare dei derivati nei bilanci bancari.

LA PAROLA CHIAVELeverage ratio 7 La leverage ratio, o leva finanziaria, nel settore bancario è in genere definita come il

rapporto tra il capitale netto dell'istituto e il totale delle attività. Questo significa che più è alta la leva più la

banca in questione opera non usando capitali propri, tenendo quindi un maggior profilo di rischio. Quando

la leva è eccessiva il pericolo è che una svalutazione di parti dell'attivo comporti un'erosione ampia del

patrimonio.

Banche europee a confronto 13,3 12,9 12,6 12,3 12,1 11,4 11,3 11,1 10,7 9,8 6 Bpm 11 Mps 12,4 10,8

10,7 10,6 10,5 10,4 10,4 10,4 10,0 1 Bpm 3 Bbva Fonte:: Eba 16 Bbva 9 ITALIA 15 Belgio 2 Olanda 4

Francia 12 Austria 18 Spagna 3 Germania 5 Ubi Banca Cet1 ratio fully loaded 15 Mps 9 Belgio 7 ITALIA 17

Olanda 5 Austria 6 Spagna 13 Francia 4 Ubi Banca Leverage ratio 10 Unicredit 13 Bnp Paribas 7 Deusche

Bank 14 Commerzbank Paesi e banche 8 Banco Popolare 1 Intesa Sanpaolo 11 Germania 14 UniCredit 19

Bnp Paribas 16 Deusche Bank 12 Commerzbank Paesi e banche 2 Intesa Sanpaolo 17 Societé Generale

19 Banco Santander 10 Banco Popolare 8 Banco Santander 18 Societé Generale I NUMERI DEL

CONFRONTO Patrimonializzate Per valutare la solidità delle banche vengono impiegati degli indicatori,

come il Cet 1 ratio, che mostrano il rapporto fra il capitale della banca e le sue attività. Nella tabella si vede

che il capitale delle banche italiane sulle attività ponderate per il rischio è elevato La leva Il confronto fra

leverage ratio delle banche europee ­ rapporto tra il capitale netto dell'istituto e il totale delle attività ­ mostra

che le banche italiane hanno mediamente più capitale delle banche europee in rapporto alle proprie attività

complessive. Medie nazionali delle prime 6 banche italiane e prime 2 banche nei maggiori Paesi

dell'Eurozona

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 79

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Renzi: la flessibilità è un diritto Gerardo Pelosi Uscire dall'isolamento in Europa ma senza alcuna retromarcia, meno che mai sulla flessibilità nei conti

pubblici. È questa la missione che il premier Matteo Renzi siè dato dopo giorni di polemiche con scambi di

accusea distanza tra Roma e Bruxelles. In mattinata al te­ lefono con il presidente francese Hollande e poi a

cena all'Aja con il premier olandese Rutte (presidente di turno del Consiglio Ue) Renzi ha ribadito le sue

posizioni su flessibilità, crescita, migrantie futuro dell'Ue. Continua u pagina 5 u Continua da pagina 1 Tesi

già ampiamente illustrate nelle ultime occasioni pubbliche compreso il viaggio in Africa. Proprio in quella

circostanza il Presidente del Consiglio ha anticipato alcuni concetti sviluppati meglio ieri alla cena con

Rutte. «La flessibilità non è un regalo - avrebbe scandito Renzi al premier olandese tra un piatto e l'altro ­ è

un mio diritto perché è scritta nelle regole europee». Per poi aggiungere: «Se volessi potrei anche fare

come Francia e Spagna che sforano rispetto al parametro del 3%, io invece ho deciso di non sforare ma se

lo facessi avrei una flessibilità aggiuntiva di 25 miliardi». Una scelta "virtuosa" fatta «non perché ce lo

chiede l'Europa ma perché lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti». Con il premier olandese, Renzi ha

trovato un terreno comune di dialogo sull'Europa che «non funziona», l'eccesso di burocrazia, il mercato

interno «ancora incompleto» e la garanzia unica sui depositi da rendere realmente operativa. Prima della

cena, in brevi dichiarazioni sia Rutte che Renzi hanno sottolineato le sfide attuali che la presidenza

olandese si trova ad affrontare. «Sono molto felice di essere qui - ha osservato Renzi ­ Mark è un grande

sostenitore di un'Europa che metta al centro la crescita, il lavoro, l'innovazione, meno burocrazia e più

efficienza, possiamo sicuramente lavorare bene insieme». Temi analoghi al centro della telefonata di Renzi

con Hollande con il quale sono state passate in rassegna le principali questioni dell'agenda europea, a

partire dai temi economici, dalle prospettive del negoziato con la Gran Bretagna, dalla situazione migratoria

e dalla lotta al terrorismo. I due leader, fano sapere a Palazzo Chigi, «hanno condiviso la necessità di un

rilancio di forte impegno europeista e di una politica economica centrata sulla crescita e la creazione di

occupazione». Nel colloquio sarebbe stata affrontata anche la situazione nel Mediterraneo e i prossimi

passi necessari alla creazione di un governo di unità nazionale in Libia, premessa necessaria per l'invio di

una missione internazionale in quel Paese. Sia con Rutte che con Hollande Renzi è tornato sulla questione

delle politiche migratorie, il via libera necessario alla "facility" di 3 miliardi di euro alla Turchia per le spese

necessarie all'accoglienza dei profughi siriani ma anche lo scorporo dal Patto di stabilità delle spese italiane

(circa2 miliardi) spesi per salvare vite umane nel Canale di Sicilia. Temi questi ultimi al centro della riunione

informale dei ministri degli Esteri (Gymnich) in corso ad Amsterdam. «Le riunioni informali possono essere

anche molto utili nel definire delle posizioni comuni - ha spiegato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni si

cercherà di farlo su alcune delle crisi internazionali più rilevanti, soprattutto nel Mediterraneo, in Siria e in

Libia». La prima parte della riunione si è svolta nel formato congiunto Esteri­Difesa (presente quindi anche il

ministro Roberta Pinotti) con al centro la strategia globale dell'Ue. Oggi, nella discussione sulla crisi

migratoria, parteciperanno anche i ministri degli Esteri dei Paesi candidati all'adesione all'Ue. Sulle

prospettive di sviluppo della politica di difesa comune, per Gentiloni «c'è un impegno di alcuni Paesi,

dell'Italia in particolare, dell'Alto rappresentante per la Politica estera e di difesa comune dell'Ue, Federica

Mogherini, e ci sono alcune iniziative già prese... tra le più rilevanti la missione navale europea nel

Mediterraneo, la cosiddetta Eunavfor Med a guida italiana».

Foto: L'Aja. Mark Rutte e Matteo Renzi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 80

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Trasporti. Consob: da noi nessun fascicolo alla Procura Padoan: fare presto con l'investimento di Hitachi in Ansaldo* Finmeccanica: «Processo trasparente, nessun impatto sulle guidance 2015» Vito Lops PIl ministro dell'Economia Padoan auspica che «l'investimento di Hitachi in Ansaldo si concluda

positivamente e in tempi rapidi». Finmeccanica precisa di aver agito «con un processo trasparente»

tenendo sempre informata Consob. pagina 20 p«Il ministro Padoan auspica che l'investimento di Hitachi in

Italia nell'importante settore dell'industria ferroviaria possa concludersi positivamente e nei termini più rapidi

possibili». Così spiega una nota del ministero dell'Economia, un intervento che nasce dalla volontà di dare

un segnale alla compagnia giapponese Hitachi di proseguire nella trattativa. L'intervento del Tesoroè

arrivato in serata, al culmine di una giornata turbolenta per i mercati e per Finmeccanica che lo scorso anno

ha ceduto Ansaldo Breda e il 40% della controllata Ansaldo Sts alla giapponese Hitachi. Con la cessione

della quota di maggioranza di Ansaldo Stsè scattata l'Opa obbligatoria. Dalle vendite che hanno infatti

colpito Piazza Affari (­2,13% in chiusura, ­19% da inizio anno la peggiore performance globale a parte

Shanghai) non è stata risparmiata neppure la società aerospaziale che ha terminato gli scambi a ­5,9%e

chea questi livelli, secondo il parere degli analisti finanziari, quota con uno sconto rispetto ai competitor di

oltre il 30%. Al clima di turbolenza generale che vede il listino milanese venduto in modo indiscriminato,e al

di là dei fondamentali delle singole aziende, nel caso specifico della società aerospaziale può aver influito il

pretesto dell'indagine da parte della Procura di Milano sull'eventuale esistenza di una collusione tra Hitachi

e Finmeccanica nel processo di cessione del 40% di Ansaldo Sts, sottovalutando il prezzo di quest'ultimaa

vantaggio dell'altra controllata Ansaldo Breda. La Consob ha preso distanze. Interpellata dal Sole 24 Ore fa

sapere di non aver mai fornito fascicoli e materiali relativi all'Opa alla Procura. Dal suo punto di vista la

vicenda èquindi chiusa. Finmeccanica «in relazione alla dismissione della partecipazione in Ansaldo Sts,

ribadisce di aver condotto un processo competitivo trasparente il cui esito è stato determinato solo tenendo

conto della più alta valorizzazione espressa tra tuttii partecipanti nell'intero processo». In una nota la

società conferma che «non sono intervenute né, avuto riferimento alla recente delibera Consob,

interverranno variazioni negli effetti economico­finanziari delle operazioni già comunicati e inclusi nella

guidance 2015». Finmeccanica conferma inoltre «la assoluta correttezza del proprio operato» che peraltro

«mentre si svolgeva, è stato costantemente reso noto anche all'organo di controllo del mercato (Consob)».

L'indagine nonè l'unico elemento sotto l'esame degli investitori. Ci sono anche le notizie diffuse,a partire dal

2 febbraio dal sito americano Defense News, da altri portali specializzati e ieri dal Sole 24 Ore che hanno

anticipato l'annuncio di uno slittamento nella trattativa. Fino ad arrivare al sito arabo kuwaitnews.com che

ha addirittura parlato di un blocco alla fornitura di 28 Eurofighter al Kuwait. Il titolo ha continuato a perdere

terreno e ha toccato il minimo di giornata con un ribasso superiore al 7% anche dopo la precisazione, nel

primo pomeriggio, di un portavoce di Finmeccanica alla Reuters, che ha ribadito che la fornitura dei 28

Eurofighter nonè saltata. Nel finale di seduta il titolo ha poi leggermente recuperato. Finalmente ieri siè fatta

chiarezza: dopo la precisazione del portavoce è arrivata anche una nota del ministro della Difesa Roberta

Pinotti cheha dichiarato: «Sono destituite di ogni fondamento le indiscrezioni stampa riguardanti la mancata

finalizzazione del contratto con il Kuwait per l'acquisto di velivoli Eurofighter». «Nel mio incontro tenuto

mercoledì scorso a Roma con il ministro della Difesa del Kuwait­ ha aggiunto il ministro ­è stata confermata

la sceltaa favore della cooperazione strategica con l'Italia basata sul progetto Eurofighter e la volontà di

giungere quanto prima alla firma del contratto». Il Paese del Golfo dovrebbe acquistare 28 caccia multiruolo

in una commessa stimata sugli 8 miliardi, di cui circa un 50% dovrebbero essere appannaggio del gruppo

Finmeccanica, che ha il 21% di partecipazione societaria al consorzio multinazionale Eurofighter e una

partecipazione industriale del 36%. Le azioni Finmeccanica hanno chiuso ieri le contrattazionia quota 9,7

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euro (­5,91%). «Il titolo per noi vale 15e trattaa questi prezzi 11 volte il rapporto prezzo/utili attesi per il 2016,

mentre i titoli dei competitor valgono 16 volte i prossimi utili spiega Gabriele Gambarova, analista di Banca

Akros­. C'è uno sconto importante rispetto ai competitor europei, superiore al 30%. Va poi detto che il titolo

non prezza al momento i benefici sui conti che arriveranno una volta che sarà firmato il contratto in Kuwait,

cosa di cui non dubitiamo».

Dati in milioni di euro da gennaio a settembre

Ricavi

I numeri di Ansaldo Sts

952,690,990,9870,585,380,651,1 100 50 100 50 100 50 EBIT Risultato operativo

Fonte: dati societari Utile (Perdita) netto 2014 2015 2014 2015 2014 2015 2014 2015

Foto: Cessione ai giapponesi. Il marchio Ansaldo Sts

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 82

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Bankitalia, chiuse tutte le 11 procedure di crisi Isabella Bufacchi pagina 4 Il 31 gennaio scorso, la Banca di credito cooperativo di Terra D'Otranto è tornata in gestione

ordinaria con un nuovo cda: una chiusura indolore per i creditori, la fine di una procedura di

amministrazione straordinaria sotto la guida della Banca d'Italia. La stessa sorte, positiva per i

creditori­risparmiatori di banche in stato di crisi, è toccata alle altre 10 situazioni di amministrazione

straordinaria pendenti a fine anno e ora definite e risolte da Via Nazionale, in modo da garantire la

continuità dei servizi bancari e soprattutto la piena tutela dei depositanti. A esclusione delle quattro banche

recentemente in risoluzione (Cari Ferrara, Banca Marche, Cari Chietie Popolare Etruria), e dopo il clamore

suscitato dalle perdite sui bond subordinati imposte dalle nuove procedure europee, la Banca d'Italia ha

dipanato tra fine annoe inizio 2016 la matassa di 11 situazioni di banche in difficoltà, dalla piccolissima

Banca Popolare delle Province Calabre ­ un istituto di credito monosportello ­ alla ben più grande Bcc

Padovana. Tutti casi che erano rimasti in sospeso e che, sia pur di dimensioni non grandi e non sistemiche,

sono infine ricaduti nel quadro del nuovo meccanismo europeo di risoluzione, della stretta sugli aiuti di

Stato della DG concorrenza a Bruxelles, e dell'avvio di procedure europee che prevedevano fino al 31

dicembre il burden sharing (perdite estese ad azionisti e detentori di obbliga­ zioni subordinate) e dal primo

gennaio il bail­in che coinvolge, nelle eventuali perdite dovute a soluzioni liquidatorie tramite risoluzione, gli

azionisti,i detentori di obbligazioni subordinate e senior,e poi via viai depositanti oltre i 100mila euro (prima

quelli delle grandi imprese, poi delle Pmi e dei privati). La Banca d'Italia ha risolto questi 11 casi di crisi in

maniera diversa, adattandosi di volta in volta alla specificità della situazione. Sei istituti sono tornati in

bonise dunque in gestione ordinaria: chi attraverso una ricapitalizzazione da parte della casa­ madre (Cari

Loreto), chi con cessione delle attività a un acquirente (Bcc Padovana con Bcc Roma e Popolare Etna con

Igea finanziaria); l'istituto campano Bcc Flumeri ha acquistato il ramo di azienda buono della Bcc

Irpinia,lasciando i crediti problematici dal fondo volontario del sistema cooperativo. Per Bcc Cascina e

Credito Trevigiano, che sono state sempre in bonis ma sotto amministrazione straordinaria per motivi di

irregolaritàe non di finanza, non sono stati necessari interventi in soldoni: è stato rinominato il cda ed

estirpate alla radice le fonti di attività non regolare. In dirittura d'arrivo con soluzioni già definite e chiavi in

mano il Credito sportivo (unico ente bancario pubblico per il quale spetta al Tesoro la nomina del cda) e

Bcc Brutia, con una chiusura della pratica che non comporterà perdite con coinvolgimento dei creditori, che

siano sottoscrittori di bond subordinati, senior bond o depositanti, assicurano fonti bene informate di Via

Nazionale. Stefano De Polis, che dal 21 settembre 2015 ha assunto la titolarità dell'Unità di Risoluzionee

gestione delle crisi e dal marzo 2015 è membro del Single Resolution Board, ha spiegato che «le 11

situazione in stato di crisi avanzata andavano risolte in tempi rapidi, entro il 2015 o la massimo all'inizio del

2016, e lo abbiamo fatto trovando soluzioni di sistema. Abbiamo lavorato per garantire la continuità dei

servizi bancari e la piena tutela non solo dei depositanti ma, quando c'erano, dei detentori di obbligazioni

subordinate». Il sistema bancario ha dunque fatto squadra. In molti di questi casi, i crediti in sofferenza

c'erano e la cessione aprezzo di mercato avrebbe fatto emergere buchi nel bilancio della banca. Il

problema è stato risolto per il credito cooperativo attivando un fondo volontaristico di tutela dei depositi

alimentato dalle stesse Bcc, che è tollerato dalla DG concorrenza e non fa scattare l'aiuto di Stato: è quanto

è avvenuto nel caso di Cassa Rurale Folgaria (il fondo della cooperazione trentina), di Bcc Padova­ na, Bcc

Irpinia. L'orientamento della Commissione europea, gli interventi dei sistemi di garanzia dei depositanti,

effettuati con risorse delle banche aderenti, sono assimilabili ad aiuti di Stato quando costituiti in forma

"obbligatoria". L'aiuto di Stato, tra l'altro, scatta solo all'interno della nuova procedura europea di

risoluzionee dunque solo nell'ambito del bail­in: previa imposizione di perditea carico di azionistie creditori

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 83

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tramite bond subordinati, seniore depositanti oltre i 100mila euro. In nessuno di questi 11 casi in

amministrazione straordinarie si è arrivati a questo. Nell'ambito dell'Unione bancaria, la vigilanza e la

gestione delle crisi delle banche di grandi dimensioni e di rilevanza sistemica sono seguite e gestite dal

Meccanismo di vigilanza unico e dal Meccanismo di risoluzione unico, in stretta collaborazione con le

autorità nazionali. Per le banche di dimensioni "meno significative" e quindi per l'Italia le Bcc e le Popolari,

la gestione delle crisi resta affidata alla autorità nazionali di risoluzione: tuttavia la Banca d'Italia è chiamata

ad agire "nell'ambito degli orientamenti e delle linee guida stabiliti dal Comitato di risoluzione unico e a

informarlo sulle modalità di soluzione delle crisi". Il Comitato in teoria in questo ambito non ha poteri ma

oltre ad essere informatoe in casi eccezionali può esercitare poteri di sostituzione.

Le banche fuori dal tunnel Bcc Brutia Bcc Irpinia Cari Loreto Bcc Credito Trevigiano Bcc Terra di Otranto

Nuovo cda Cassa Rurale Folgaria Bcc Padovana Bcc di Cascina B. Popolare Etna Credito sportivo B.

Popolare Province Calabre Venduto tutto a compratore Risolti problemi di governance Tornata in gestione

ordinaria Tornata in bonis e in gestione ordinaria Tornata in bonis e in gestione ordinaria Tornata in bonis e

in gestione ordinaria Liquidazione volontaria cessione ramo azienda buono Soluzione di mercato con Bcc

Roma acquirente Soluzione di mercato con Igea finanziaria acquirente Procedura in chiusura Procedura in

chiusura con piena tutela depositanti Ripulita da gravi irregolarità e infiltrazioni criminali Ricapitalizzazione

Fondo volontario acquista sofferenze Fondo volontario acquista sofferenze Fondo volontario acquista

sofferenze In arrivo nuovo cda nominato dal Tesoro Nominato nuovo Cda Banca monosportello Ripulita da

irregolarità Nessuna perdita su bond subordinati Banca Tipo di soluzione Dettagli

Gli 11 istituti di credito in amministrazione straordinaria uscite dallo stato di crisi avanzata senza perdite per

i creditori/risparmiatori

Foto: .@isa_bufacchi [email protected]

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 84

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EUROPA E CRESCITA Guardare lontano per decidere bene e subito Alberto Quadrio Curzio La Commissione europea ha pubblicato il Rapporto «Previsioni economiche invernali» atteso in Italia per

trovare indicazioni sulla nostra situazione economica e su quella europea. E magari qualche spunto

polemico che andava invece escluso a priori per chi conosce la tonalità di questi Rapporti. Si tratta infatti di

documenti piuttosto tecnici di ottimo livello dove naturalmente non mancano giudizi di valore, più o meno

espliciti. Qui possono emergere le diversità valutative che anche noi faremo con riferimento alla Eurozona.

Guardare lontano. Leggendo il Rapporto si pensa che abbia una visione troppo di breve­medio termine,

anche se imposta dalle esigenze analitico­procedurali, e decisionale legata al "semestre europeo". Questo

rende difficile individuare le dinamiche di medio­lungo termine e la messa a punto di strategie. Sappiamo

che c'è il grande progetto «Europa 2020» ma constatiamo che poi prevalgono le scelte annuali incapaci di

cogliere la forza di lungo periodo delle dinamiche economiche mondiali verso le quali l'Europa appare

spesso un soggetto sorpreso dagli eventi. Così nella grande crisi, l'Europa sembra essersi accorta solo ex

post di quanto fosse lunga. Adesso viene sorpresa dalla deflazione che danneggia le sue esportazioni e dai

movimenti migratori che cambieranno la sua società ed economia. Tecnici e politici. Spesso si dice che la

colpa è dei tecnici ma sarebbe bene ricordare che le gabbie deflazionistiche come il fiscal compact o il non

uso per fare investimenti del Fondo Esm o il tentativo di scardinare Schengen sono scelte politiche. Il fatto

che il Rapporto sia in prevalenza sul breve termine non è una scelta tecnica anche se poi questa fornisce ai

politici elementi per le loro decisioni e per confermare o per rivedere le loro convinzioni. Il dualismo tra

tecnica e politica è molto delicato e spesso solo l'intelligenza delle parti lo rende creativo. Continua u

pagina 16 di Alberto Quadrio Curzio Prendiamo il caso della lenta crescita in Europa con un incremento del

Pil all'1,7% nel 2016 (a fronte dell'1,6% del 2015) con una previsione dell'1,9% nel 2017. È opinione diffusa

che la crescita sia sostenuta adesso prevalentemente dai consumi interni spinti dagli aumenti dei redditi

reali favoriti dai bassi prezzi dell'energia e dalla bassa inflazione. A questa spinta si associa adesso quella

dalle spese pubbliche connesse alla immigrazione. Che tutto ciò non basti trova concordi tecnici e politici

anche se con diverse intonazioni. Nella Prefazione al Rapporto del Direttore Generale agli Affari Economici

e Monetari della Commissione Europea, Marco Buti dice in modo netto che vanno spinti gli investimenti per

ricollocare la Ue e la Uem su un trend di crescita. Più sfumato ed ottimistico ci sembra invece essere il

commento del Commissario europeo Pierre Moscovici. Rischi e rimedi Tra il Rapporto più tecnicoe il

Commissario più politico vi sono tuttavia concordanze piene sui rischi di lungo periodo e la necessità di

politiche economiche europee e degli Stati membri. I rischi esterni sono il rallentamento delle economie (in

particolare della Cina) e del commercio internazionale ma anche quelli dei mercati finanziari e del

terrorismo. I rischi interni sono connessi ai movimenti migratori e al possibile collasso di Schengen. Non

meno gravi sono i rischi che, malgrado la politica monetaria espansiva e i consumi in ripresa, non si riesca

a spingere la crescita e l'occupazione. Per noi solo una forte politica di investimento darebbe crescita

durevole all'Europa. Anche nel Rapporto la crescita all'1,9% nel 2017 dipenderà dal rilancio degli

investimenti da mantenere nel lungo periodo. Anche Moscovici è sulla stessa lunghezza d'onda ritenendo

però ottimisticamente che gli investimenti aumenteranno per le condizioni di finanziamento più favorevoli,

per l'aumento nei margini di profitto, per la riduzione dell'indebitamento delle imprese, per la riduzione della

capacità produttiva inutilizzata. Noi non crediamo che questi elementi bastino così come non basta il pur

apprezzabile Piano Juncker la cui origine andrebbe rivisitata per verificare se il Presidente della

Commissione non fosse incline ad uno più incisivo poi bloccato dalla Germania. Paese che dovrebbe

riflettere sui divari tra la Uem e gli Usa nella dinamica degli investimenti totali su 20 anni, dal 1997 al 2017.

In termini di tassi medi annui di crescita degli investimenti abbiamo avuto nel periodo 1997­2001 il 6% negli

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Usa contro il 4,1% nella Uem, nel 2002­06 il 3,1% contro il 2,2%. Fa eccezione il periodo 2007­11 con un

tasso medio annuo Usa peggiore (­3,1%) di quello della Uem(­1,3%). Poi il divario raggiungei 9,6 punti

percentualia svantaggio della Uem nel 2012 e nel tasso medio annuo grezzo di crescita sui sei anni nei

quali gli Usa sono sopra il 4% e la Uem sotto all'1 per cento. Questa dinamica comparata spiega anche

perché il contrasto alla disoccupazione in Europa non può venire durevolmente, ancor più in presenza di

immigrati, da misure emergenziali ma solo creando occupazione durevole. Far dipendere questa dalle sole

riforme del mercato del lavoro, pur necessarie, non basta come dimostra il fatto che il tasso di

disoccupazione della Uem sta scendendo troppo lentamente dall'11% del 2015 al 10,5% del 2016, al

10,2% nel 2017 mentre la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata rimangono storicamente alte

creando problemi alle finanze pubbliche e alla dinamica della produttività. Rigore e crescita La nostra

conclusione è che l'Eurozona non uscirà dalla sua debole crescita, che ha aspetti deflazionistici, sulla

spinta del quantitative easing e dei tassi di interesse negativi che sono un esperimento rischioso se a lungo

protratto. Ci vuole una forte spinta di investimenti e di tecnoscienza sul lungo termine per creare lavoro e

competitività sistemica. Fare queste scelte spetta ai politici ed è perciò utile che tra gli stessi vi sia dialettica

che, se costruttiva, evita anche che ci si assopisca nella routine.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 86

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L'INTERVISTA/ L'ECONOMISTA LORENZO BINI SMAGHI: EURO RAFFORZATO UN PROBLEMA IN PIÙPER LE AZIENDE "Draghi non deve mollare l'acquisto di titoli proceda" EUGENIO OCCORSIO ROMA. «L'area euro ha un problema in più: la rivalutazione delle moneta, non solo sul dollaro ma anche

contro le valute dei Paesi emergenti. Ciò penalizza la competitività dell'export, già colpito dal rallentamento

della Cina e degli stessi Usa. Ma non significa che si deve rinunciare né rallentare il quantitative easing».

Lorenzo Bini Smaghi, oggi a capo della Societé Generale, nel board della Bce dal 2005 al 2011, avverte

che «l'impatto positivo del qe è stato vanificato. Il cambio effettivo verso la media ponderata delle valute è

tornato a un anno e mezzo fa».

Tutto questo è dovuto al voltafaccia della Fed, che ci ha già ripensato sul rialzo dei tassi? «Direi di sì. Ma il

rallentamento dell'economia americana, motivo della frenata sui tassi, è fisiologico per un Paese che

cresce ininterrottamente dal 2010 anche a buon passo, e non ha avuto la seconda recessione». Influiscono

i fallimenti nelle compagnie dello shale oil, spiazzate dai ribassi petroliferi? «In qualche misura, ma non

determinante. Questo è un problema finanziario, dovuto ai default delle obbligazioni con cui le compagnie si

finanziano. Il trasferimento all'economia reale non è automatico. C'è chi vede una nuova crisi modello-

subprime quale detonatore di una reazione a catena. Ma sono diverse le situazioni se non altro perché il

mercato allora era inondato dai titoli spazzatura, appunto quelli connessi ai subprime, ora non è così.

Comunque c'è da fare attenzione alla quantità di titoli ad alto rischio acquistati per la ricerca di migliori

profitti negli anni dei tassi a zero, una tipica controindicazione del qe. Gli investitori potrebbero venderli in

massa a causa delle incertezze esistenti, con forti instabilità sui mercati e l'ampliamento della massa di

liquidità inespressa che già oggi ferma gli investimenti, in America come in Europa».

Ora in America il qe non c'è più, Draghi invece ha indicato che in marzo ne annuncerà un rafforzamento

oltre a nuove misure monetarie. Non basta a controbilanciare l'effetto-Fed? «Solo in parte. I mercati

vogliono vedere i fatti».

Sono rimasti scottati dall'esperienza di dicembre quando Draghi deluse le aspettative? «I mercati vogliono

vedere per credere. Non si basano solo sugli annunci. C'è un'altra questione: la domanda di euro è forte

perché la maggior parte dei Paesi europei registra un surplus commerciale.

Le esportazioni superano le importazioni, e la richiesta di euro (per pagarle, ndr) spinge la moneta. Ecco

perché il qe non basta: ci vogliono misure che facciano crescere la domanda interna, investimenti privati e

pubblici e provvedimenti fiscali per stimolarla specie nei Paesi che se lo possono permettere, dove il debito

pubblico non è troppo alto».

Foto: A FRANCOFORTE Lorenzo Bini Smaghi è stato nel board della Bce dal 2005 al 2011

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L'economia Usa I mercati. L'economia americana cresce solo dello 0,7% e la moneta unica è ai massimidell'ultimo anno rispetto al biglietto verde. La Fed rinvierà l'aumento dei tassi: export europeo e Paesiemergenti in difficoltà L'ANALISI L'ombra di una nuova recessione affossa il dollaro e inguaia l'Europa Le banche di tutto il mondo perdono quota e questo è un ulteriore elemento di instabilità DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK. La cavalcata al rialzo del superdollaro si è interrotta di colpo. La moneta americana si è

indebolita in modo significativo; rilanciando l'euro che ha raggiunto i massimi da un anno. Come si spiega

l'inversione di tendenza così repentina? Chi ci guadagna, chi ci perde? La causa di fondo è il rallentamento

della crescita americana, che crea incertezze sulle prossime mosse della Federal Reserve. L'impatto più

immediato è sulla "guerra delle valute". Tra i danneggiati ci sono i Paesi europei e in particolare gli

esportatori italiani che di un euro debole continuano ad avere bisogno. Tirano un sospiro di sollievo - forse

solo momentaneo - i Paesi emergenti schiacciati dal peso di debiti in dollari.

L'eccesso di debolezza che ha spinto il dollaro al ribasso la scorsa settimane, ha le sue cause dentro

l'economia Usa. L'ultimo trimestre del 2015 si è chiuso con una crescita asfittica (+0,7%) una frenata

rispetto alla velocità di crociera durante la prima parte dell'anno. A gennaio le nuova assunzione sono state

solo 151.000, inferiori alle previsioni e al di sotto della media 2015. Che succede? Forse si sta

semplicemente concludendo un ciclo. Una ripresa americana durata quasi sette anni è già matura, dal

dopoguerra ad oggi pochi periodi di crescita sono durati di più. Sarebbero quasi maturi i tempi per una

recessione. Se è così ha ragione il coro di critiche che accusa la Fed di avere sbagliato i tempi: quando a

dicembre ha deciso il primo rialzo dei tassi dal 2008, potrebbe avere anticipato la "fine della ricreazione".

Adesso i mercati si sono auto-convinti che la Fed sia pentita di quella mossa. Si attendono che a marzo

non annunci ulteriori rialzi dei tassi. La politica monetaria americana in tal caso verrebbe "congelata": tutto

fermo, in attesa di capire se sta arrivando la temuta recessione.

Questo scombussola lo scenario globale. Fino alla fine dell'anno scorso, si dava per scontato che si

sarebbe aperta una forbice nei tassi d'interesse: sempre più su quelli americani, sempre più giù (perfino

sotto zero) dall'Eurozona al Giappone. L'apertura di quella forbice dei rendimenti spingeva i capitali verso

gli Stati Uniti, in cerca d'interessi maggiori. Di conseguenza il dollaro si rivalutava su quasi tutte le altre

monete. Buona notizia per l'export europeo, reso meno caro e più competitivo dal superdollaro. Pessima

notizia per i Paesi emergenti: negli anni del boom tante imprese dalla Cina al Brasile si sono indebitate in

dollari (costava poco, e all'epoca erano le monete emergenti a rafforzarsi); ora devono restituire interessi e

capitali su quei debiti, in una moneta diventata pesante. C'è poi il legame molto stretto fra petrolio e dollaro,

per cui un dollaro forte tende ad accentuare il ribasso petrolifero, quindi a impoverire tanti petro-Stati dal

Golfo alla Russia al Venezuela. Le Borse in tutto questo hanno visto una ulteriore fonte di instabilità. Tra gli

ulteriori fattori di crisi: le banche di tutto il mondo perdono quota e dunque torna ad esserci un rischio-

finanza non solo in Italia; sui ribassi delle Borse pesa la liquidazione di interi patrimoni accumulati negli anni

scorsi dai Paesi del Golfo; infine è questione di tempo prima che si schianti nei default pubblici o privati

qualche "anello debole" tra le economie emergenti. Il rischio è un po' meno acuto sul fronte della finanza

pubblica, cioè delle bancarotte di Stato; i soggetti più fragili sono grandi imprese dei Paesi emergenti che

vendettero junk-bond a gogò. Non aiutano a rasserenare i mercati né i dubbi persistenti sullo stato di salute

reale dell'economia cinese; né la sensazione che le politiche monetarie di "quantitative easing" in Giappone

e nell'Eurozona tardino a diffondere i benefici nell'economia reale.

Il dilemma della Fed è quello che concentra l'attenzione dei mercati. La politica monetaria americana

continua ad esercitare un'influenza esorbitante sul resto del mondo. Negli anni passati fu promossa a pieni

voti: nella versione Usa, il "quantitative easing" fu davvero decisivo per innescare il ciclo di crescita e far

scendere la disoccupazione sotto il 5%. Ma con due problemi.

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Uno è che l'immensa liquidità generata dalla Fed tra il 2008 e il 2014 in parte si è riversata fuori dai confini,

è andata a gonfiare bolle speculative nei Paesi emergenti. L'altro problema è che i tassi americani restano

ancora di poco superiori allo zero. Se dovesse arrivare una recessione a fine anno, i margini per politiche

espansive della Fed sarebbero pericolosamente esigui.

La corsa della moneta unica (cambio euro-dollaro) 2014 2015 2016 FONTE BCE 1.40 1.35 1.30 1.25

1.20 1.15 1.10 1.05 1.00 3 apr 2014 Draghi: "La Bce pronta a misure eccezionali" 18 set 2014 (82,6 mld)

Prima asta Tltro, rifnanziamenti agevolati a 4 anni 21 nov 2014 La Bce inizia l'acquisto di titoli cartolarizzati

(Abs) 21 dic 2014 Seconda asta Tltro 4 dic 2015 Il Qe viene allungato sino a marzo 2017 5 lug 2015 La

Grecia dice no con un referendum all'accordo proposto dall'Ue 4 feb 2016 1,1206 Draghi: "La Bce non si

arrenderà davanti alla bassa infazione" 22 gen 2015 La Bce lancia il Quantitative easing: acquisti di titoli

per 60 mld al mese fno a set 2016 (130 mld) www.federalreserve.gov www.ebc.europa.eu PER SAPERNE

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 89

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R2 L'INTERVISTA / RAFFAELE CANTONE, AUTORITÀ ANTICORRUZIONE "Un pezzo di carta fantasma è la prova che piace ai boss" ENRICO BELLAVIA FACILE da trasportare, consente di avere sotto mano grandi quantità di denaro in un piccolo ingombro.

«Ecco perché - dice Raffaele Cantone, magistrato, da due anni alla guida dell'Autorità nazionale

anticorruzione - la banconota da 500 euro è il taglio preferito per le transazioni illegali».

Solo una questione di praticità? «Per chi ha necessità di accumulare e spostare grosse somme, quel taglio

è facile, 20mila euro stanno in un pacchetto di sigarette, con una borsetta e un peso da due chili si

trasporta quasi un milione di euro: la banconota da 500 obbedisce a ragioni di comodità».

In Gran Bretagna ne vietarono l'acquisto sospettando che fosse solo denaro illegale, un piccolo ufficio di

cambi ne aveva acquistati 4 milioni.

Si stima che solo il 10 per cento di transazioni con quell'importo sia legale. Eppure è la banconota che si

vede circolare meno. Come mai? «Questo è proprio uno dei segnali di allarme che ormai da anni sono stati

lanciati intorno alla circolazione di quelle banconote». Perché? «Perché nonostante ne circolino

apparentemente poche, l'emissione segue un andamento regolare».

Segno che il grosso si muove in una sorta di deep economy? «Evidentemente, da qualche parte finisce e

non fa certo parte dell'esperienza comune della gente normale. Io stesso mi sarò imbattuto in banconote da

500 non più di una dozzina di volte nella mia vita. Come del resto si vedono poco anche quelle da 200

euro».

Già alcuni anni fa tutte le agenzie di contrasto al crimine segnalarono che nei grandi circuiti criminali il

dollaro era stato soppiantato dall'euro.

È anche una questione di disponibilità di tagli? «Non solo l'euro offriva la banconota da 500 che non aveva

un corrispondente in dollari, ma l'euro era moneta forte sul dollaro e questo conta anche nell'economia

criminale».

La banconota da 500 per le transazioni criminali ma anche per la corruzione, è così? «Quando parliamo di

denaro illegale, intendiamo tutto. Certo, anche la corruzione è molto cambiata e la mazzetta tradizionale,

meglio perché più pratica, appunto, in 500 euro, si vede sempre meno. Le forme della corruzione sono

variegate e fantasiose». Il contrasto al riciclaggio poggia sulle segnalazioni di operazioni sospette, crede

che anche il taglio utilizzato dovrebbe far scattare i sensori? «Non solo la quantità di denaro prelevato o

versato ma anche l'utilizzo di alcuni tagli, in primis quello da 500, e la frequenza di certe operazioni

dovrebbe essere sottoposta a segnalazione. Ma non ci si deve illudere».

Di cosa? «Il criminale non va in banca a prelevare i soldi per pagare una partita di droga, né per

corrompere. I sistemi di pagamento seguono triangolazioni e transazioni che hanno dimensione

internazionale».

Foto: MAGISTRATO Raffaele Cantone

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MA RENZI VUOLE UN MINISTRO DEL TESORO EUROPEO? EUGENIO SCALFARI ALCUNI amici che hanno letto la mia intervista di venerdì con la presidente della Camera, Laura Boldrini, si

sono stupiti (positivamente) della fiducia da lei riposta nella politica monetaria di Mario Draghi e di molte

previste ripercussioni che potrà avere sull'auspicabile rafforzamento dell'unità dell'Europa.

Ho avuto modo di parlare telefonicamente l'altro ieri con Draghi, siamo vecchi amici e di tanto in tanto ci

sentiamo. Anche lui aveva apprezzato le riflessioni della Boldrini sul significato della politica monetaria della

Bce. Del resto, a questo punto della situazione in Europa e nel resto del mondo, anche Draghi non ne fa

più mistero. E la situazione è questa: non c'è più tempo, se si vuole impedire che la crisi economica in

corso ormai da otto anni, cui si è aggiunta da oltre un anno una drammatica caduta della domanda nei

paesi emergenti, bisogna agire con immediatezza.

Ci sono almeno cinque aspetti da considerare.

Il tasso demografico europeo è in netta diminuzione, particolarmente in Italia dove a metà del secolo in

corso la "gens italica" sarà molto meno numerosa degli attuali 60 milioni di persone e più vecchia.

La mobilità dei popoli da un continente all'altro: sembra un'emergenza dovuta alle guerre in corso e alla

povertà insopportabile di alcune zone del mondo. Così sembra, ma non lo è, non passerà tra due o tre anni

come molti sperano: è un movimento di interi popoli, che durerà a dir poco mezzo secolo e produrrà

inevitabilmente un'integrazione di culture, di religioni e di sangue; un meticciato graduale ma inevitabile.

UN'ECONOMIA mondiale che vedrà ridursi la domanda di beni manifatturieri ottenuta con l'uso di materie

prime e di energie tradizionali. Al loro posto ci saranno beni e servizi prodotti con tecnologie specializzate e

una diminuzione del lavoro materiale e dell'occupazione.

Infine un aumento del tempo libero che sposterà le persone verso viaggi, turismo, cultura, processi di

integrazione, ricerche scientifiche e applicazioni pratiche dei loro risultati.

Il quinto ed ultimo elemento riguarda il sistema finanziario che dovrà essere profondamente rivisto per

adeguarsi ai predetti mutamenti e che già fin d'ora richiede un cambiamento di fondo dovuto alla mobilità

dei capitali, alla dimensione delle imprese, all'andamento die mercati, alle garanzie dei depositi, alla

creazione di monete internazionali che non si identifichino con quelle emesse e circolanti nei singoli Stati

ma il cui valore abbia come base quello delle monete circolanti adeguatamente valutate. Questa riforma fu

studiata dalla Commissione di Bretton Woods e sostenuta da Keynes, ma fu impedita dall'America che

ravvisò nel dollaro la doppia funzione di moneta circolante e di punto di riferimento nei tassi di cambio di

tutte le altre monete. Ma la società globale ormai in atto esige una appropriata riconsiderazione del

"bancor" proposta più di settant'anni fa da Keynes.

Questa, in sintesi, è la situazione in cui ci troviamo, le prospettive possibili e gli strumenti necessari a

realizzarne gli obiettivi. Cioè la politica e i valori che debbono ispirarla. Difficilmente quei valori saranno

dovunque gli stessi, la società globale proviene dalla comunicazione tra storie diverse, culture diverse e

diverse condizioni di vita, di povertà, di benessere. Ma è globale nel senso delle comunicazioni e la libera e

intensa comunicazione tende all'integrazione, anche dei valori. Un percorso che durerà secoli e configurerà

il futuro.

Per quanto ci riguarda, i nostri valori sono, come ben sappiamo, tre: libertà, eguaglianza, fraternità. Non

sono affatto realizzati, non dico nel mondo, ma neppure nell'Occidente che tuttavia ne ha fatto da oltre due

secoli la sua bandiera. Saranno - dovrebbero essere - il nostro contributo alla società globale della quale

facciamo parte.

*** Guardiamo ora più da vicino i fatti che sono in questi giorni accaduti. Non i fatti episodici, ma quelli che

fanno parte del quadro evolutivo sopra accennato o lo contrastano. Avevamo cominciato con Draghi. A

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Francoforte, pochi giorni fa, ha parlato della politica della Bce da lui sostenuta e applicata ormai da un

anno; ha enumerato i risultati raggiunti ma anche quelli finora mancati e delle nuove modalità che ne

consentiranno la necessaria realizzazione. Le decisioni saranno prese dalla Bce in una riunione già

prevista per il 10 marzo prossimo.

Delle cause che hanno impedito il completo risultato desiderato, soprattutto per quanto riguarda il tasso di

inflazione, abbiamo già riferito il pensiero di Draghi; ma la proposta essenziale e vorrei dire rivoluzionaria

Draghi l'ha detta a Francoforte: ritiene indispensabile e quindi vuole la creazione d'un ministro del Tesoro

unico, che sia l'interlocutore politico della Bce da lui guidata.

Non è la prima volta che Draghi ne segnala la necessità, ma per qualche tempo l'aveva accantonata. Ora

l'ha ripresa con ancor più energia e urgenza di prima; per darle maggior forza ha specificato che dovrà

essere ministro del Tesoro non di tutta la Ue ma soltanto dell'Eurozona; non rappresenterà dunque i 28

paesi membri ma soltanto i 19 che adottano la moneta comune. Il ministro del Tesoro può anche essere

membro della Commissione di Bruxelles con questa specifica e territorialmente delineata funzione. È

evidente che una novità del genere ha bisogno, per nascere, d'una cessione di sovranità di ciascuno dei 19

paesi in questione. A suo tempo il nostro ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si disse favorevole alla

proposta di Draghi. Renzi non ne parlò. Che cosa dicono ora? Padoan è sempre d'accordo? E Renzi? Per

rinnovare e rafforzare l'Europa come Renzi dice motivando in questo modo i suoi dissensi con Bruxelles,

questa del Tesoro unico sarebbe la novità-principe anche perché apre la strada ad un'Europa federata e

non più soltanto confederata. Ecco il passo avanti che i sostenitori degli ideali del Manifesto di Ventotene

chiedono a Renzi. Vorrà rispondere positivamente? Questo sì, gli darebbe un ruolo di altissimo livello.

Isolato dagli altri 18 paesi dell'Eurozona? Forse sì, ma non necessariamente da tutti. Del resto, isolato lo è

già.

Ma c'è un'ipotesi che mi permetto di formulare, può sembrare paradossale ma secondo me non lo è: forse

non sarebbe ostacolato dalla Merkel.

Tutti sappiamo che un'Europa federata si farà soltanto se la Germania si dichiarerà favorevole. È

altrettanto chiaro che in un'Europa federata la Germania sarà la nazione di maggior rilievo, non per sempre

ma certamente per un lungo periodo iniziale. È altrettanto chiaro - la storia d'Europa dell'ultimo secolo ce lo

insegna - che la Francia ancora stregata dalla sua "grandeur", sarà contraria. Ma tutti gli altri paesi non

possono che aderirvi, magari non entusiasti ma rassegnati, perché, come da tempo sappiamo, in una

società globale contano gli Stati con dimensioni continentali; gli altri non contano niente. Questa è la realtà

e forse Angela Merkel è in grado di percepirla e di compiere il primo passo accettando la richiesta di Draghi

del ministro del Tesoro unico dell'Eurozona; richiesta motivata essenzialmente da ragioni economiche.

Lo status di Renzi, se si muovesse per primo su questo terreno, gli aprirebbe una vera e propria

autostrada per quanto riguarda il suo ruolo futuro in Europa. Futuro ma anche attuale perché il suo

principale interlocutore sulla politica economica sarebbe quel ministro del Tesoro, prima della

Commissione.

I democratici renziani ma anche ed anzi soprattutto i dem dissidenti, dovrebbero premere compattamente

su questa strada come dovrebbe anche avvenire sulla legge per le unioni civili. Un Renzi laico ed

europeista vincerà a mani basse il referendum. Ma se così non sarà, se continuerà ad essere contro

l'Europa e con sulle spalle una riforma costituzionale che a molti non piace affatto, allora non è sicuro che il

referendum confermativo passerà a larga maggioranza; potrebbe arrivare un testa a testa con esiti

imprevedibili.

Noi speriamo che se la cavi, alle condizioni sopra indicate perché quello è l'interesse del paese.

Diversamente non speriamo niente.

Anzi: da laici non credenti (personalmente parlando) indichiamo in papa Francesco un simbolo che

rappresenta più e meglio di ogni altro l'epoca globale in cui viviamo. Incontrerà tra pochi giorni a Cuba il

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Patriarca degli ortodossi di Russia per un futuro avvicinamento che probabilmente finirà con un sostanziale

affratellamento tra quelle due Chiese cristiane. Poi visiterà il Messico, i poveri, i carcerati. Poi ci sarà

un'altra riunione cui parteciperà anche il Patriarca ortodosso Bartolomeo che rappresenta gli ortodossi del

Medio Oriente dalla sua sede di Costantinopoli. Infine, a fine ottobre, Francesco incontrerà in Svezia i

rappresentanti di tutte le Chiese luterane sparse nel mondo a cinquecento anni di distanza dalla riforma di

Martin Lutero, puntando da entrambe le parti a superare le differenze riconoscendosi fedeli in Cristo. E noi

balbettiamo sull'unità dell'Europa? E non smettiamo di riaffermare la nostra isolata autonomia? Ognuno per

sé e Dio per tutti? Il vero slogan dovrebbe essere: poiché Dio è spiritualmente per tutti anche noi

politicamente lo siamo.

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Le misure Risparmi sanità incerti e giochi sovrastimati tutti i dubbi Ue sull'Italia Così la Commissione ha alzato le stime sul deficit di Roma Padoan: "Nel 2016 il debito inizierà a calare,bene le entrate" Intanto Renzi continua a lavorare alla rete dei socialisti europei contro l'austerity Sui nostriconti le incognite congiuntura, gettito, spending e clausola di salvaguardia ROBERTO PETRINI ROMA. Sono quattro le sfide che i conti italiani dovranno affrontare nei prossimi mesi, in attesa di aprile

quando con il giudizio della Commissione europea sulla flessibilità e il nuovo Documento di economia e

finanza (Def), i nodi verranno al pettine: congiuntura; tenuta delle entrate; spending review; clausola di

salvaguardia per scongiurare l'aumento Iva nel 2017. Il tutto mentre il premier Renzi lavora ad una rete

parallela della sinistra europea con Francia, Spagna, Portogallo e Austria per quello che a Palazzo Chigi

definiscono "il contropiede" rispetto all'austerity.

La prima questione sui conti italiani emerge dalla correzione al rialzo delle stime Ue sul disavanzo: ha

fissato il rapporto deficit-Pil al 2,5% contro il 2,4 stimato dal governo che comprende peraltro anche lo 0,2

dell'emendamento sicurezza-cultura oggetto del contendere con la Commissione europea.Se non si

considera il pacchetto sicurezza-cultura resta un peggioramento dello 0,1%, che è dovuto sostanzialmente

alla cattiva congiuntura economica. Il Winter forecast dei giorni scorsi infatti riduce le stime di crescita del

governo, tarate su un Pil 2016 all'1,6%, a 1,4%. Il dato del Pil in termini nominali (cioè con l'aggiunta del

tasso di inflazione stimato) previsto dalla Commissione scende dunque al 2,2 (cioè lo 0,4 in meno rispetto

alle previsioni del governo che lo colloca al 2,6%). La caduta del Pil nominale abbatte le entrate (che si

calcolano inflazione compresa) meno della metà per ogni punto: di conseguenza, siccome la caduta del Pil

nominale è calcolata in 0,4 punti, le entrate scendono di circa un decimo e mezzo (0,16 punti), e tale è più o

meno la crescita del deficit.

Tutto ciò è dovuto alla congiuntura internazionale: se peggiorasse (petrolio, Cina, caduta del commercio

mondiale) e nell'eventualità che la crescita nominale fosse dell'1,5 in meno cioè solo dell'1,1% (0,8 di

crescita reale come il 2015 e 0,3 di inflazione), il rapporto deficit-Pil potrebbe avvicinarsi al 3%, un

incremento di sei decimi. Naturalmente l'ipotesi è solo sulla carta (il centro di ricerca Ref già dà tuttavia per

il 2016 una crescita reale del Pil del solo 1%), ma questi sono i criteri in base ai quali bisognerà interpretare

la congiuntura nei prossimi mesi. «I mercati ci dicono che quello che conta è la direzione del debito in

rapporto al Pil, e nel 2016 quello italiano comincerà a scendere», ha detto ieri il ministro dell'Economia Pier

Carlo Padoan, aggiungendo che «la spending review continua» e che «la lotta all'evasione sta dando

risultati importanti».

Proprio su questo punto però si aggiungono altri margini di rischio segnalati dal recente rapporto dell'Upb,

l'autorità sui conti pubblici. L'incertezza riguarda i risparmi del patto sulla salute che «potrebbero non

risultare del tutto conseguibili» sul piano di fattori spesa come i nuovi livelli di assistenza, i farmaci

innovativi, i costi delle prestazioni e i contratti dei dipendenti. L'altro fattore di rischio, avverte il Focus,

l'allargamento della platea delle possibili beneficiarie dell'opzione donna, cioè il pensionamento anticipato a

fronte dell'adesione al ricalcolo dell'assegno con il metodo contributivo, potrebbe aumentare le spese. Infine

le entrate previste dalle tasse extra sui giochi presentano criticità e il meccanismo potrebbe dar vita a

contenziosi in grado di intaccare il gettito. Dubbi anche sull'aumento delle quote di ammortamento per gli

investimenti: il costo potrebbe essere maggiore del previsto.

Se il 2016 presenta delle incognite, è però il 2017 che si annuncia critico. Le previsioni Ue stimano per il

prossimo anno un deficit-Pil dell'1,5%, includendo l'aumento dell'Iva. Il governo, se vuole disinnescarlo

come fatto quest'anno, e come dichiarato da Padoan, dovrà trovare risorse ulteriori per 15,1 miliardi.

Intensificando una spending review che nel 2016, considerando i provvedimenti degli ultimi due anni, ha

fruttato soli 1,5 miliardi.

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Le stime di Ue e governo sull'Italia

GOVERNO ITALIANO

1,42,5132,4 130,3130,6 126,11,6

1,3 1,6

2,4*

1,5

1,1 Crescita Pil Defcit/Pil Debito/Pil UE IN PERCENTUALE 2016 2017 2016 2017 2016 2017 * inclusa

clausola migranti

I PUNTI IL DEFICIT Secondo la Commissione la crescita più lenta spingerà il deficit nel 2016 al 2,5% 2LA

SPENDING Incerti i risparmi attesi dal patto per la salute, dice l'ufficio parlamentare di bilancio LE

ENTRATE Pure il gettito extra della nuova tassa sui giochi è dubbio: si attendono molti contenziosi

Foto: IL CONFRONTO Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker e il ministro

dell'Economia, Pier Carlo Padoan

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L'INTERVISTA / MARTIN WOLF, EDITORIALISTA DEL FINANCIAL TIMES "Dagli Usa all'Europa, élite sempre più isolate" Il crescente distacco tra classi dirigenti e popolo rende le società meno floride e benestanti Il rischio è che ilmondo degli affari appoggi i populisti di destra per difendere i propri interessi ENRICO FRANCESCHINI LONDRA. Il popolo non si sente più rappresentato dalle élite: perciò abbandona i partiti tradizionali e

sostiene movimenti o candidati populisti, di destra e di sinistra. A lanciare questa pietra nello stagno è

Martin Wolf, paradossalmente il più autorevole columnist del Financial Times, il quotidiano della City che tra

le élite di tutto il mondo ha buona parte dei suoi lettori. «La crescente distanza tra la gente e le classi

dirigenti è dannosa non solo da un punto di vista morale e politico, ma pure per stabilità, salute e

produttività dell'economia», spiega a Repubblica il giornalista. «In ultima analisi è come se le élite

facessero del male a se stesse. Il problema è farglielo comprendere prima che sia troppo tardi».

Il suo articolo ha suscitato reazioni? «Ho ricevuto parecchi commenti dai lettori. E sorprendentemente la

maggior parte erano positivi». In quali Paesi si avverte questa crescente disaffezione tra popolo ed élite?

«Senza dubbio negli Stati Uniti, ma anche in Europa, dalla Grecia all'Italia, dalla Spagna alla Francia, dalla

Gran Bretagna alla Scandinavia». Tre dei rimedi da lei suggeriti, ridurre gli eccessi della finanza, far pagare

le tasse alle multinazionali e tagliare il legame fra denaro e politica, fanno parte di un circolo vizioso non

facile da spezzare.

«Indubbiamente. Infatti non è detto che proposte simili vengano recepite. Ma viviamo in un'era in cui anche

le richieste più radicali hanno maggiori possibilità di affermarsi. Comunque la prima cosa da fare è

identificare il problema. Solo quando c'è diffusa consapevolezza si può riuscire a risolverlo». Un tempo le

élite cercavano di non apparire troppo distanti dal popolo per timore che ciò creasse i presupposti per un

sistema alternativo: una rivoluzione socialista. Adesso cosa può spaventarle abbastanza per costringerle a

cambiare? «Il crollo del comunismo come alternativa credibile ha trasformato la politica. La sinistra, anche

quella radicale, non propone più nulla che sovverta o spaventi davvero il sistema capitalistico.

Ma il rischio è che le élite economiche pensino di appoggiare i partiti populisti di destra per difendere i

propri interessi». E questo sarebbe un errore? «Eleggere personaggi come Cruz o Trump a presidente

degli Stati Uniti rischierebbe di scardinare l'ordine mondiale, così come una Marine Le Pen presidente in

Francia potrebbe finire per provocare il crollo dell'Unione europea: processi non certo positivi per i grandi

capitalisti».

La distanza tra le élite e la gente, in altre parole, non è solo un problema morale? «È anche un problema

politico. Ed economico, perché crea una società più diseguale e ingiusta. Diversi studi dimostrano che le

società altamente diseguali non funzionano bene, sono meno dinamiche, floride, benestanti.

Allontanandosi troppo dal popolo, insomma, le élite finiscono per danneggiare anche il business e dunque

se stesse».

Foto: COLUMNIST Sul Financial Times, di cui è editorialista di punta, Martin Wolf ha lanciato l'allarme sul

distacco tra élite e cittadini

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Il decreto banche ancora bloccato spunta lo stralcio Da definire il capitolo indennizzi Risparmiatori in piazza con la Cgil La legge di Stabilità fissa entro la fine dimarzo l'emanazione dei provvedimenti attuativi VALENTINA CONTE ROMA. Il maxi-decreto legge sulle banche, previsto in Consiglio dei ministri venerdì scorso e poi saltato,

balla ancora attorno al capitolo sugli indennizzi destinati ai risparmiatori dei quattro istituti di credito sciolti a

novembre. Lo stallo è palese, non solo per il succedersi di annunci e rinvii, ma anche per il rimpallo tra

organi tecnici e politici. Il livello tecnico del ministero dell'Economia assicura che è tutto pronto: riforma delle

Banche di credito cooperativo, norme fallimentari per accelerare il rientro dei prestiti, nuova garanzia di

Stato per la cessione dei crediti deteriorati cartolarizzati e, appunto, criteri per i rimborsi agli obbligazionisti

azzerati. Si attendono le scelte del livello politico, dunque il ministro Padoan (ieri ha assicurato «nuove

norme per rafforzare il sistema entro la settimana») e il premier Renzi, che però venerdì hanno preso

tempo, in scia a non ben chiariti nodi tecnici da sciogliere. Una tela di Penelope. Si fa e si disfa, dunque. E

finora senza costrutto. Al punto che mercoledì prossimo al Consiglio dei ministri potrebbe arrivare un

decreto legge senza i rimborsi. Così da consentire a Padoan di fregiarsi comunque di un testo sulle banche

alle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin, giovedì e venerdì. Lasciando però fuori la patata bollente dei

risarcimenti agli investitori di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti. La legge di Stabilità

ha d'altronde previsto una procedura arbitrale (e l'arbitro incaricato da Palazzo Chigi è l'Anac di Cantone).

E vincolato il governo all'emanazione di uno o più decreti entro 90 giorni, dunque entro la fine di marzo. Il

tempo c'è, non la chiarezza.

Si torna così all'idea iniziale di fare due decreti per i rimborsi, uno ministeriale per il funzionamento

dell'arbitrato e un dpcm con i criteri per gli indennizzi. Ma la soluzione, sebbene prevista dalla legge, è lenta

(ci vogliono una serie di pareri, tra Consiglio di Stato e commissioni parlamentari). E soprattutto esposta a

ricorsi al Tar che possono facilmente bloccarla. Ecco perché l'altra strada - quella del maxi-decreto legge -

sembrava fin qui preferita. Anche perché consente di riscrivere le norme, anche a prescindere dai paletti

previsti nella legge di Stabilità.

In particolare due: il tetto massimo (punto dolente) e la natura del risarcimento. La legge dice che l'arbitro

deve accertare «responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e

trasparenza». E sulla base di questo distribuire i 100 milioni stanziati dal Fondo interbancario. Se si

procede per questa strada, le somme erogate possono essere solo indennizzi a fronte di un raggiro. E a

quel punto diventa complicato (forse anche incostituzionale) distinguere i risparmiatori tra giovani e anziani,

tra Isee basso o alto, in quanto tutti truffati. Riscrivere invece le norme ex novo in un decreto legge può

riaprire la strada all'idea originaria di Padoan di «intervento umanitario» o «ristoro» nei casi di difficoltà

personale e patrimoniale. Laddove Isee ed età tornano in ballo.

La tensione attorno al decreto è comunque massima. Adusbef e Federconsumatori pensano a una grande

manifestazione nazionale sul risparmio tradito, da organizzare a Roma con i pensionati della Cgil per la fine

del mese o l'inizio di marzo. L'Unione nazionale dei consumatori chiede invece la garanzia per il

risparmiatore di poter uscire dall'arbitrato in tempo per costituirsi parte civile negli eventuali processi penali.

Il Codacons confida nelle promesse di Cantone: decreto entro metà febbraio e fine dell'arbitrato entro due

anni. L'idea di Nicastro, il presidente delle nuove banche di rivalersi su quasi mezzo miliardo di patrimonio

degli ex amministratori, lascia invece freddo Elio Lannutti (Adusbef): «Ammesso che vengano condannati,

ci vorranno 6-7 anni».

I PUNTI RIFORMA BCC La riforma delle Banche di credito cooperativo punta a raggruppare entro 18 mesi

gli istituti sotto una holding da 1 miliardo di capitale DIRITTO FALLIMENTARE Nel decreto sulle banche

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entreranno anche le procedure fallimentari, con norme ad hoc per accelerare il recupero dei crediti GACS E

RIMBORSI In arrivo le nuove regole sulla garanzia di Stato per i crediti in sofferenza. E i criteri di rimborso

dei risparmiatori delle 4 banche

Foto: PROTESTA Un corteo degli investitori penalizzati dal salvataggio delle quattro banche

Foto: FOTO: © LaPresse

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L'intervista. Parla Roberto Nicastro, presidente degli istituti rifondati: Etruria, Marche, Cariferrara eCarichieti "Chiesti 480 milioni a 76 ex manager delle quattro banche Vadano allevittime" ANDREA GRECO MILANO. Mezzo miliardo di danni chiesti a 76 notabili locali protagonisti delle vecchie gestioni, su alcuni dei

quali gli inquirenti già valutano sequestri cautelativi di beni (mentre altri iniziano a proporre le prime

transazioni). Più fondi a territori e imprese, con 2 miliardi di prestiti a 14mila Pmi e 400 milioni di credito a

lungo termine in due mesi. E un valore intrinseco delle nuove Banca delle Marche, Etruria, Cariferrara,

Carichieti - legato ai territori e all'assenza di poltrone da difendere - da far emergere nella vendita in blocco,

che entra nel vivo.

Roberto Nicastro, presidente delle quattro "good bank" rifondate il 22 novembre, fa il punto in attesa del

decreto per indennizzare i risparmiatori che hanno perso 330 milioni in bond subordinati emessi dalle

"vecchie" quattro banche. Si dice che nel Centro Italia qualche ex banchiere locale tema di vedersi

congelare il patrimonio...

«Parliamo intanto di Banca Marche e Cariferrara, le due commissariate da più tempo su cui la ricognizione

è in fase avanzata.

Stiamo depositando in queste ore azioni risarcitorie su Medioleasing (Banca Marche) per 80 milioni, che

portano a 480 milioni la somma richiesta nel complesso. Soldi che chiediamo a 76 soggetti presunti

responsabili, tra organi di gestione e di controllo, manager, società di revisione.

Stiamo verificando con i magistrati l'opportunità di azioni cautelari a tutela e conservazione dei patrimoni di

alcuni di loro. Altri ci stanno inoltrando prime proposte di transazione. Comunque valuteremo di costituirci

parte civile nei procedimenti penali, anche per i danni reputazionali».

Non è che su Banca Etruria siete meno zelanti perché ci sono parentele nel governo? «Su Banca Etruria

non c'è meno zelo. Sia sull'Etruria che su Carichieti concetti e procedure sono sostanzialmente gli stessi,

solo che sono state commissariate più tardi, rispettivamente nel 2015 e nel 2014. Per l'Etruria i commissari

indipendenti sono stati nominati da poche settimane, e sono nella fase iniziale di stima e identificazione dei

presunti responsabili. A Chieti, invece, tale fase si è chiusa ed è stato appena girato il dossier a Bankitalia,

poi passerà ai magistrati».

Non le pare che i proventi dovrebbero andare anche a chi si è visto i bond azzerati per decreto? «Anche se

inizialmente non era previsto, auspico che i proventi delle azioni di responsabilità possano andare a

beneficio dei risparmiatori. È un tema di giustizia, perché nella storia recente di queste banche ci sono stati

degli artefici e dei danneggiati».

Sarà un tema del prossimo consiglio dei ministri? «Credo ci sarà più tempo per lavorare su questo. Il

decreto di settimana prossima immagino articolerà bene tutto il meccanismo degli indennizzi».

Cosa si aspetta? Pare che gli indennizzi saranno di massimo 100mila euro, in due rate e con una taglia

media tra il 30 e il 50% dell'investimento.

«Aspettiamo il testo. Noi prepariamo i dossier e le carte di ogni obbligazionista: finora, anche su verifiche

più puntuali, si conferma che sono un migliaio i più esposti. Ma sarà fondamentale l'esame caso per caso,

perché c'è molta eterogeneità tra quei bond: ci sono situazioni in cui furono acquistati con chiara

consapevolezza, altre in cui non c'è stata corretta applicazione della normativa sul risparmio, altre ancora in

cui furono venduti prima del 2007, quando la percezione dei rischi era molto inferiore. Ricordiamo che il

bail-in ha avuto un effetto retroattivo. Per questo malgrado il desiderio di tutti di vederlo presto, il decreto

richiede tempo».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 99

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La prima fase dell'asta per vendere le quattro banche non ha suscitato grandi entusiasmi. Non sarebbe

meglio chiedere alla Ue di rinviarla a una fase di mercato più serena? «Siamo soddisfatti delle

manifestazioni arrivate. Sui tempi si può chiedere, anche se tocca alle istituzioni. Comunque ci sono

parecchi elementi di valore, e se ci sarà tempo adeguato per farli emergere sarà meglio per tutti.

In linea generale noi manteniamo l'obiettivo di chiudere le vendite entro l'estate. Tanto che in queste ore

stiamo spedendo ai gruppi che hanno risposto al bando gli inviti a visionare i dati riservati». Come vanno le

quattro gestioni? «Dopo un calo fisiologico a dicembre tutto si è normalizzato, con elementi di forza sul

territorio impressionanti: pensi che Banca Marche chiuderà il 2015 con più clienti che nel 2014. Nel

complesso le quattro banche pesano come il decimo gruppo italiano, circa come una delle popolari

valtellinesi o venete non quotate. E potranno avere un ruolo nel risiko delle acquisizioni perché presentano

indubbi vantaggi: nessuna incertezza di leadership (a partire dal sottoscritto, che chiusa la vendita se ne

andrà), attivi ripuliti dalle sofferenze e una presenza geografica compatta e originale».

ENTRO L'ESTATE

Vendita entro l'estate, protagoniste del risiko per attivi e assenza di poltroneIL DECRETO

La settimana prossima i criteri dei rimborsi: mille i casi critici, molto diversiI PUNTII DANNI Agli ex manager delle quattro banche salvate sono stati richiesti i danni per 480 milioni, somma

che potrebbe andare ai risparmiatori penalizzati LA VENDITA Sono arrivate le prime manifestazioni di

interesse per gli istituti risanati.

La vendita, dice Nicastro, dovrebbe essere chiusa entro l'estate

Foto: PROTESTE Un presidio degli investitori penalizzati, davanti alla sede di Banca Etruria

Foto: PRESIDENTE Roberto Nicastro, 51 anni, ex direttore generale di Unicredit, nominato a novembre

presidente delle quattro banche salvate

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 100

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L'ANALISI Usa, frena il lavoro dubbio Fed sui tassi Deludente aumento degli occupati: giù Wall Street, forte pressing sulla Yellen La banca centrale è sotto tiro:le viene contestata la decisione di dicembre Ora è previsto che salti la prevista stretta di marzo. Si temel'inizio della recessione DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK. L'economia americana ha creato 151.000 nuovi posti di lavoro a gennaio, meno che negli

ultimi mesi e meno delle previsioni (190 mila), ma abbastanza per far scendere il tasso di disoccupazione ai

minimi da 8 anni. Con una disoccupazione sotto la soglia simbolica del 5 per cento, al 4,9 per cento per la

precisione, si è tornati "alla casella di partenza" del febbraio 2008, prima che la crisi della finanza

precipitasse gli Stati Uniti e tutto l'Occidente nella recessione. Rispetto al punto di partenza di 8 anni fa in

realtà ci sono 5 milioni di posti in più perché nel frattempo la forza lavoro è aumentata con l'immigrazione e

la crescita demografica. Un altro dato importante di gennaio riguarda le retribuzioni: in media le buste paga

degli americani sono salite del 2,5 per cento su base annua, un miglioramento non eclatante ma che

conferma comunque una moderata ripresa della dinamica salariale dopo anni di stagnazione.

Che conseguenze avranno i dati di ieri sulle mosse della Federal Reserve? Questa è la domanda che

appassiona o inquieta i mercati. A metà marzo la banca centrale Usa dovrebbe decidere se proseguire il

rialzo dei tassi che iniziò nel dicembre scorso. La presidente della Fed, Janet Yellen, sul finire del 2015

diede una tabella di marcia: quattro piccoli ritocchi all'insù nei tassi d'interesse durante il 2016, al ritmo di

uno a trimestre. A colpi di un quarto di punto ogni volta, come a dicembre.

Quello scenario, di una lenta e graduale normalizzazione del costo del denaro dopo la terapia

d'emergenza del tasso zero, segnalava la fiducia della Fed che la crisi fosse davvero finita. Ma da metà

dicembre in poi nuove turbolenze hanno colpito i mercati: l'ulteriore crollo del petrolio, i nuovi segnali di

difficoltà della Cina, i rischi default nei junk-bond e in alcuni paesi emergenti come il Brasile. La stessa

crescita americana ha subito un vistoso rallentamento nell'ultima parte del 2015. Tutto questo ha spinto i

mercati a scommettere che la Fed sarà costretta a cambiare i suoi piani. Ora la previsione più diffusa è che

a marzo non ci sia un aumento dei tassi.

E' proprio questo nuovo consenso dei mercati ad avere provocato negli ultimi giorni un indebolimento del

dollaro. La moneta americana per gran parte del 2015 era stata sospinta al rialzo proprio dall'attesa di un

miglioramento dei rendimenti. Se la Fed si ferma e rinvia i rialzi del costo del denaro, il dollaro a sua volta

ne risente e perde quota.

Brutta notizia per l'Eurozona, dove gli esportatori si erano avvantaggiati del dollaro forte.

Ma da qui a metà marzo la Fed avrà tempo per digerire nuovi dati, aggiornando continuamente la sua

visione sulla forza dell'economia Usa. La banca centrale è sotto tiro, sta crescendo il coro di critiche verso

la sua decisione di dicembre: da alcune parti si sostiene che quel rialzo dei tassi pur modestissimo

(+0,25%) potrebbe avere contribuito a decretare "l'inizio della fine" del ciclo di crescita che dura da quasi

sette anni. Le Borse Usa sono in zona Orso, e questo potrebbe indicare che vedono una recessione

all'orizzonte. Può essere una di quelle profezie che si auto-avverano: un forte calo dei mercati azionari,

attraverso il meccanismo chiamato effetto-ricchezza (in questo caso al negativo), può deprimere i consumi

perché le famiglie che vedono assottigliarsi il valore dei propri risparmi diventano pessimiste. Qualcosa di

simile forse sta succedendo. Di certo è singolare che il crollo del petrolio - che qui negli Stati Uniti si traduce

in un ribasso molto consistente della benzina - non si sia trasferito automaticamente in un forte rilancio dei

consumi. Di solito un calo del prezzo della benzina viene equiparato ad una riduzione delle tasse, in quanto

aumenta il reddito disponibile delle famiglie.

Stavolta invece i consumatori americani preferiscono usare gran parte del maggiore reddito disponibile per

ridurre il proprio indebitamento e rimpolpare i risparmi. Saggio comportamento sotto tanti punti di vista, ma

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 101

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spesso è così che ha inizio una recessione. Di certo le probabilità di una recessione prossima ventura

saranno fra i temi che la Fed discuterà di qui a metà marzo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 102

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Le aziende L'intervista. Parla Alistair Dormer responsabile per l'Europa del gruppo. Padoan: "Si concludal'investimento in tempi rapidi" "Corretta l'Opa di Hitachi Consob si sbaglia su Ansaldo" LUCA PAGNI MILANO. Si dice «molto sorpreso» per la decisione Consob visto che la commissione è stata informata

passo passo. Attacca i fondi di investimento che pensano «a massimizzare i profitti e non al futuro

dell'azienda». E ipotizza che la Procura «si stia interessando ad alcuni investitori che di recente sono

entrati nel capitale».

Il vicepresidente di Hitachi Alistair Dormer, numero uno per tutte le attività ferroviarie del gruppo, interviene

dopo la decisione della Consob che ha alzato il prezzo dell'Opa lanciata proprio da Hiatchi su Ansaldo Sts

e dopo l'apertura di una inchiesta della procura di Milano. Una vicenda che preoccupa anche il Governo,

visto che a vendere è stata Finmeccanica: il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ieri ha auspicato che

l'operazione «possa concludersi positivamente e nei termini più rapidi possibili». Mister Dormer, come

giudica la decisione della Consob di alzare il prezzo dell'Opa? «Siamo molto sorpresi. Abbiamo agito in

piena trasparenza, chiedendo con Finmeccanica proprio alla Commissione la corretta procedura da attuare,

seguendola rigorosamente e informandola in ogni passaggio del processo di vendita». La Consob vi

accusa di "collusione" e sostiene che ha condizionato il prezzo dell'Opa.

«Si sbagliano di grosso. Il processo di vendita organizzato da Finmeccanica si è mosso su due binari

completamente separati.

I gruppi di lavoro hanno operato separatamente sulle due operazioni e abbiamo raggiunto due accordi e

due prezzi distinti per l'acquisto del ramo d'azienda di AnsaldoBreda e della partecipazione in Ansaldo STS.

E' impensabile che la modalità della procedura di vendita possa aver portato ad un trasferimento nel valore

attribuito alle due società, così da influenzare il prezzo d'Opa. Il valore offerto corrisponde ad un premio del

22% rispetto alla media dei prezzi nell'anno precedente all'annuncio di vendita, in linea con i target price più

alti degli analisti che seguono Ansaldo». Secondo lei quella della Consob è una decisione politica? «Mi

auguro di no. In base alla mia esperienza internazionale, le autorità di questo tipo prendono decisioni che

sono al di sopra di tutte parti coinvolte. Detto ciò, mi sorprende molto l'incontrollata fuga di notizie, anche di

natura confidenziale e sensibili per il mercato. Questo ha contribuito a creare un clima incandescente,

coinvolgendo anche attori non direttamente interessati nella transazione e ci ha obbligato, solo alla fine, a

dire la nostra».

Come valuta l'interesse del fondo Elliott e i ricorsi dei fondi Amber e Bluebell? «Mentre Amber è un socio di

lungo periodo di Ansaldo, Elliott è entrato nel capitale solo recentemente. Non sarei sorpreso di apprendere

che Bluebell abbia agito per Elliott sin dal primo momento ed entrambi con l'interesse di generare massimi

profitti nel breve termine da investimenti finanziari, piuttosto che avere a cuore il futuro dell'azienda, dei

lavoratori e degli stakeholders».

Avreste comprato AnsaldoBreda senza comprare Sts? «Il nostro primo passo ufficiale dopo aver

acquistato il ramo d'azienda da AnsaldoBreda è stato quello di iniziare una commessa per i treni regionali

inglesi negli stabilimenti di Pistoia. E Napoli. AnsaldoBreda fin da subito è diventata una parte

fondamentale nella strategia di crescita di Hitachi nella produzione di treni».

La Procura ha aperto una inchiesta per aggiotaggio. Ha rilevanza di operazioni irregolari che avrebbero

potuto alterare il prezzo delle azioni? «Non ho informazioni rispetto all'inchiesta. Noi siamo sempre stati

trasparenti e abbiamo agito in conformità alla legge. Noon abbiamo comprato o venduto nessuna azione

prima del processo di vendita, ne' durante. Visto invece il movimento nei prezzi e nei volumi di scambio del

titolo, è possibile che la Procura si stia interessando ad alcuni investitori che solo recentemente sono entrati

nel capitale sociale».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 103

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L'INCHIESTA

Non so nulla della procura noi siamo stati molto trasparenti su tutto www.hitachi.com

www.saipem.com PER SAPERNE DI PIÙ

Foto: Alistair Dormer

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 104

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Camere con vista L'eterno ritorno del conflitto d'interessi Si vota la legge CARLO BERTINI Dopo anni di attesa, si riapre un fronte oggetto di enormi tensioni ai tempi del berlusconismo, quello del

conflitto di interessi: questa settimana si comincia a votare la nuova legge in commissione Affari

Costituzionali, affrontando così di petto un tema di prima grandezza come la separazione tra poteri pubblici

e poteri privati; il termine degli emendamenti è fissato per oggi e domani si passa ai voti sul testo base

adottato dai relatori, il Pd Francesco Sanna e l'azzurro Francesco Paolo Sisto. Testo in sedici articoli, diviso

per grandi capitoli, che si applica per le cariche di governo, dal premier ai ministri, per governatori,

consiglieri regionali e per i parlamentari; che individua nell'Antitrust l'autorità deputata ad attuare le

disposizioni della legge e ad applicare sanzioni amministrative; e che punta a superare le «criticità» della

Frattini del 2004 disciplinando varie fattispecie di possibili conflitti di interesse: ad esempio stabilisce per

titolari di cariche pubbliche l'obbligo di astenersi dalla partecipazione a qualunque decisione che possa

specificamente incidere sulla situazione patrimoniale propria e dei propri congiunti. Fissa poi il dovere di

informazione sui beni patrimoniali nei confronti dell'Antitrust, il dovere di astensione in presenza di

determinate situazioni, il dovere di opzione quando si versa in situazioni di incompatibilità, il dovere di

separazione del proprio patrimonio qualora si versi in altre posizioni di particolare rilevanza. La proposta si

applica non soltanto alle cariche di G overno nazionali, ma anche alle regioni che adottano principi coerenti

con la normativa nazionale. Modifica anche il metodo di elezione dei membri Antitrust, due in capo alla

Camera e uno al nuovo Senato delle autonomie, proposta questa che potrebbe generare molte polemiche,

come già fanno capire alcuni dei soggetti in campo. Malgrado già in questi giorni si entrerà nel vivo, pare

non vi siano stati ancora incontri di maggioranza per definire una linea comune sui vari nodi aperti, come la

nomina dell'antitrust o il regime di incompatibilità per le cariche pubbliche. E dunque al momento c'è grande

incertezza su quello che succederà su un tema sensibile che agita i partiti. c

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 105

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ALCUNI PAESI ESPORTATORI CERCANO L'INTESA PER TAGLIARE I PREZZI. IN AMERICA IN UNASETTIMANA CHIUSE 48 TORRI DI SHALE OIL Il petrolio iraniano arriva in Europa Negli Usa produttori low cost in crisi Teheran: "Esporteremo 300 mila barili al giorno, presto un incontro con Eni" LUIGI GRASSIA L'Iran ha fretta di tornare da protagonista sul mercato internazionale del petrolio e annuncia che presto

invierà in Europa 300 mila barili al giorno, pari al 54% di quanto esportava prima delle sanzioni. Per metà di

questo greggio in arrivo i tempi sarebbero (si dice) strettissimi: l'agenzia Bloomberg cita il ministro iraniano

del Petrolio Bijan Namdar Zanganeh secondo cui la francese Total vorrebbe comprare 160.000 barili al

giorno già dal 16 febbraio. Invece non è stato ancora firmato un accordo con il gruppo italiano Eni, dice

Zanganeh, aggiungendo però che «funzionari italiani sono attesi presto a Teheran per firmare l'acquisto di

100 mila barili al giorno». Anche l'italiana Saras - prosegue la Bloomberg è interessata a ricevere 60-70

mila barili al giorno. In realtà è possibile che gli iraniani gettino il cuore oltre l'ostacolo. Dalla Saras

rispondono con il classico «no comment». E dall'Eni non trova conferme l'intenzione di acquisire nuovo

greggio. E qui va sottolineato l'aggettivo «nuovo». Infatti sono in corso trattative fra Eni e Teheran per il

recupero di vecchi crediti italiani rimasti bloccati dal tempo delle sanzioni. Si tratta di 800 milioni di dollari,

riguardo ai quali si sta negoziando una restituzione in forma di barili di petrolio anziché in denaro. Questo

sarebbe propedeutico a riallacciare i rapporti d'affari. Però non si tratterebbe, al momento, di un contratto

d'importazione di «nuovo» petrolio. Prima che l'Iran torni con forza sul mercato internazionale dovranno

realizzarsi varie condizioni. La filiera produttiva di Teheran si è molto logorata nei decenni delle sanzioni,

che hanno riguardato anche le tecnologie estrattive. Gli analisti valutano in 100-150 miliardi la necessità di

capitale da parte iraniana per riammodernare le strutture. Però Teheran non ha questi soldi e a livello

globale gli investimenti vengono tagliati, non aumentati; è difficile che un grosso rivolo di denaro si incanali

verso l'Iran a questo scopo. Se gli investimenti nel petrolio vengono tagliati è perché il barile vale poco e

non remunera le spese. La stessa Arabia Saudita, il gigante del greggio, è costretta a indebitarsi sui

mercati finanziari internazionali per tappare il buchi del bilancio pubblico, e progetta pure di privatizzare la

compagnia di Stato Aramco per fare cassa. L'afflusso di nuovo petrolio iraniano abbasserebbe ancora il

prezzo internazionale del barile. Tuttavia il 2016 potrebbe volgere in senso contrario. L'Opec e i produttori

esterni all'organizzazione, come la Russia, stanno sondando la possibilità di tagliare ognuno la produzione

del 5% per eliminare l'attuale surplus di 2 milioni di barili al giorno. L'esperienza consiglia di non credere

troppo a questi accordi, facilmente elusi, ma il mini-rimbalzo del petrolio nei giorni scorsi è stato dovuto

proprio a questa prospettiva. La stessa Opec valuta che quest'anno il surplus possa azzerarsi perché la

domanda di petrolio crescerà di 1,3 milioni di barili al giorno mentre la produzione non-Opec calerà di 600

mila barili. A spese di chi? La società di servizi Baker Hughes, che monitora i produttori di greggio

alternativo, segnala che da quando è cominciato il crollo delle quotazioni del greggio il numero di torri di

«shale oil» negli Stati Uniti è caduto da più di 1600 a 547. Tutti i produttori alternativi americani, nessuno

escluso, sono tecnicamente in bancarotta da parecchi mesi. Solo nella scorsa settimana sono state chiuse

48 torri. A questo ritmo, entro la primavera non ce ne saranno più. c

547 impianti Questo il numero delle torri superstiti di «shale oil» negli Usa Al loro zenit erano 1600

48 in meno Il taglio di torri di shale oil negli Usa solo la scorsa settimana In pochi mesi spariranno

Foto: Firmato l'accordo sul nucleare l'Iran vuol tornare in forze sui mercati internazionali del petrolio

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 106

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INTERVISTA Cimbri (Unipol): che sfide, ma manterremo le promesse Silvia Berzoni Class Cnbc «Il movimento speculativo che si è scatenato sui mercati è figlio di un'incertezza prolungata sui profili

regolamentari. Il continuo innalzamento dei ratio patrimoniali, la minaccia di revisioni sul portafoglio crediti:

sono fattori che creano nervosismo sui mercati. Nel lungo termine, invece, è evidente che si sia chiuso un

ciclo di business: le banche attraverseranno una profonda fase di trasformazione e alcune modalità di

proporre credito non saranno più attuali. Da questa operazione qualcuno uscirà più forte e qualcun'altro

meno». L'ad di UnipolSai, Carlo Cimbri, legge così in questa intervista a The Floor di Class Cnbc dal

parterre di Wall Street l'attuale fase di mercato e le sfide che attendono il mondo finanziario. E ne approfitta

per confermare le promesse al mercato anche in termini di cedola. Domanda. In ogni ristrutturazione ci

sono opportunità. Le state valutando? Risposta. Abbiamo lavorato per consolidare patrimonialmente la

nostra piccola banca e, come ho detto più volte, il suo destino è trovare un'aggregazione fuori dal gruppo.

Dunque, non investiremo ulteriormente nel sistema bancario: siamo un gruppo assicurativo e rimarremo

tale. D. Nel frattempo l'economia in Europa fatica e Draghi si prepara a intervenire, di nuovo. Quanto

incidono negativamente i bassi tassi d'interesse su un business come quello assicurativo? Quali sfide vede

davanti a sé? R. I tassi bassi non piacciono a investitori strutturali come tradizionalmente sono le

compagnie assicurative. D'altra parte, non piace nemmeno un sistema economico in costante ristagno:

abbiamo bisogno di ripresa strutturale. Con la politica monetaria si può resistere, stimolare l'economia ma

la sfida italiana è tornare a produrre ricchezza in modo consistente. Il governo si sta impegnando come mai

era stato fatto negli anni precedenti, non tanto per una banale e stucchevole politica regolatoria con

Bruxelles, ma per dare al Paese da una parte il ruolo che giustamente gli compete - in rapporto alla forza

economica che esprime - dall'altra per favorire la voglia degli imprenditori di scommettere sull'Italia. Noi

l'abbiamo fatto a suo tempo comprando FondiariaSai ma abbiamo bisogno che questo Paese cresca per

poter crescere. D. Anche gli investitori internazionali che incontra credono nell'Italia? R. C'è fame di

investimenti in Italia perché c'è abbondanza di liquidità in cerca di opportunità di yield più interessanti e di

crescita. L'Italia in questa fase è un mercato attraente, l'attenzione si concentra in particolare sul mercato

immobiliare. C'è anche grande attesa per capire che strada prenderà il mercato degli npl: molti operatori

internazionali specializzati sono interessati. È un quadro molto più positivo di quanto non fosse qualche

anno fa. D. L'11 febbraio pubblicherete i conti. L'Ivass chiede prudenza nella politiche dei dividendi. Cosa

deve aspettarsi il mercato? R. Ci aspettiamo buoni risultati, come già era evidente dai conti del terzo

trimestre. Questo è l'ultimo anno del piano industriale successivo all'acquisizione di Fondiaria Sai.

Pensiamo di confermare quanto abbiamo promesso ai mercati. Ci piace rispettare gli impegni presi. D. Vita,

Danni e Rc Auto. Che 2016 sarà? R. Per quanto riguarda il settore Danni e Auto assisteremo al

proseguimento di una tendenza in calo dei prezzi, figlia di un'accentuata competitività. Questo si traduce in

una maggiore compressione dei margini, nella necessità per le compagnie di accettare la sfida di diventare

più efficienti e investire nell'innovazione tecnologica e nei servizi. Una volta erano collaterali del business,

oggi diventano fondamentali in presenza di margini che si riducono. D. Al pari del comparto bancario, le

nuove regole di Solvency II porteranno un maggior consolidamento del settore assicurativo in Europa? R.

Certamente. Per quanto riguarda le assicurazioni una volta che sarà entrata pienamente in vigore la nuova

disciplina Solvency II, assisteremo a un'ondata di consolidamento cui guarderemo con grande interesse.

Per le banche, invece, è un processo in itinere, il 2016 sarà l'anno della verità: c'è una scadenza a fine

anno per la trasformazione delle popolari, qualcosa si muove e si valuteranno le opportunità d'investimento.

D. Wall Streetè anche il tempio della tecnologia: auto che si guidano da sole, intelligenza artificiale... Che

ruolo giocherà l'innovazione nel comparto assicurativo? R. L'innovazione tecnologica è ormai parte

06/02/2016Pag. 9 N.25 - 6 febbraio 2016

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integrante del nostro lavoro. Il futuro del settore assicurativo starà nella capacità di integrare protezione e

servizi. Da un lato, visto che con oltre 2 milioni e 300 mila scatole nere siamo di gran lunga leader di

mercato in Europa, continueremo a investire su questo business. Dall'altro, valutiamo l'innovazione

tecnologica relativa ai servizi alla persona e alle aziende: la nuova frontiera è abbinarli ai temi della

protezione. Con operatori come Google e altri, che hanno fatto della ricerca la parte sostanziale del loro

modello di business, abbiamo discussioni in corso, come penso molte altre aziende italiane. (riproduzione

riservata)

UNIPOL SAI ORD 5 nov '15 5 feb '16 1,5 1,9 2,1 2,3 1,7 2,5 quotazioni in euro Var. % sul 5 nov 2015 1,728

€ -23,47%

Foto: Carlo Cimbri

06/02/2016Pag. 9 N.25 - 6 febbraio 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 108

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INTERVISTA INTESA/2 E non ci fermiamo qui Jole Saggese Tutta colpa degli storni in borsa ma anche e soprattutto di una comunicazione sbagliata sulle sofferenze.

Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, in occasione della presentazione dei risultati di

bilancio 2015, spiega così il cortocircuito tra le banche e gli operatori di mercato. «Eravamo abituati male;

crescevamo sempre e anche molto più di tutte le altre banche europee. In un momento in cui i mercati

fanno i paragoni fra i diversi Paesi, l'Italia diventa un facile bersaglio». Nessuna preoccupazione però sul

2016 per l'Italia e sui progressi di Intesa Sanpaolo Domanda. Considerando il contesto internazionale e la

speculazione in atto sulle azioni delle banche italiane, come pensa che Intesa Sanpaolo quest'anno possa

crescere ai ritmi del 2015? Risposta. Credo nell'Italia, che è un Paese in forte crescita. Se si analizzano gli

ultimi dati diffusi della Commissione Europea, il pil italiano nel 2016 crescerà dell'1,4% contro lo 0,8% del

consuntivo 2015. Si tratta del miglioramento più importante in Europa, meglio che in Francia e in Germania.

Mi aspetto dunque che il 2016 sia un anno di crescita per il Paese e di progressi per il nostro gruppo. D. Da

inizio anno il titolo Intesa Sanpaolo ha perso oltre il 19%, che rappresenta comunque una delle

performance borsistiche migliori tra le banche italiane. Che cosa c'è dietro le vendite e che cosa serve per

riportare la fiducia tra gli investitori? R. Diciamo che ci eravamo abituati male. Gli istituti italiani in borsa

crescevano sempre e anche molto più di tutte le altre banche europee. In un momento in cui i mercati fanno

i paragoni fra i diversi Stati, poiché l'Italia era cresciuta molto, si storna di più proprio il nostro Paese. Poi c'è

un problema di confusione sulle sofferenze, ma sono assolutamente convinto che gli investitori torneranno

ai fondamentali e questo farà superare la crisi in borsa. D. Che cosa non è chiaro in merito alle sofferenze?

R. C'è stata molta confusione, in quanto si è commesso un errore grave parlando di sofferenze lorde, che

non hanno alcun valore. È come se una persona avesse contratto un mutuo alcuni anni fa e avesse pagato

le rate per dieci anni, ma continuasse a parlare dell'importo originario del finanziamento come del debito

residuo nei confronti della banca. Questo è assolutamente non vero. Intesa Sanpaolo ha 40 miliardi di

sofferenze lorde ma ha fatto accantonamenti per 25 miliardi, dunque ha un rischio residuo di 15 miliardi, a

fronte dei quali ha 30 miliardi di collaterali, cioè di garanzie a copertura delle sofferenze stesse. Se

confrontiamo il sistema italiano con quello degli altri Paesi d'Europa, emerge non siamo messi peggio degli

altri Stati. Invece in Europa è passato il messaggio che il nostro sistema è il peggiore ha il maggiore

quantitativo di sofferenze lorde. D. Basterà la riforma bancaria e l'applicazione della cosiddetta bad bank,

sebbene in versione light, per cambiare il clima? R. Credo che il governo sia già fortemente impegnato

nell'accelerare i tempi di recupero delle sofferenze bancarie, che sono il punto di snodo. L'unico punto

debole reale dell'Italia rispetto agli altri Paesi è rappresentato proprio dai tempi di recupero delle sofferenze.

Se venissero ridotti da 5-7 anni a 2-3 anni, il valore delle sofferenze cambierebbe radicalmente e tutto

sarebbe risolto. Quindi è necessario costruire una schema che consenta di recuperare più rapidamente i

crediti, favorendo percorsi agevolati nell'ambito delle contestazioni. D. Quanto i mercati si tranquillizzeranno

e prenderà avvio il risiko bancario, potrebbe essere tentato a fare qualche acquisizione in Italia o all'estero?

R. Assolutamente no; Intesa non ha in programma alcuna acquisizione né in Italia né all'estero. D. È

cambiata la vostra politica d'investimento in m e r i t o a i t i t o li di Stato in vista d e l l ' e v e n t u a l e

stretta della Ue su questo fronte? R. Credo che il problema dei titoli di Stato sia un non problema, una cosa

che viene ripetuta più volte ma che non verrà affrontata nel breve termine, perlomeno non nell'arco dei

prossimi due anni. Abbiamo avuto una contrazione del portafoglio titoli perché abbiamo ridotto la

concentrazione nei titoli di Stato italiano. Da questo a dire che sui titoli di Stato italiani ci sarà un'azione

negativa ce ne passa. Oggi i titoli di Stato italiano sono, nel contesto europeo, quelli che garantiscono il

miglior profilo rischio-rendimento. Si vede dal successo dei Btp trentennali che sono stati collocati e che

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hanno registrato una richiesta eccezionale rispetto all'importo offerto sul mercato dal Tesoro. D. Alla luce di

quanto sta accadendo a molte banche, in primis a Mps, state registrando migrazioni di conti correnti e di

conti deposito a favore di Intesa Sanpaolo? R. No, la crescita della raccolta non ha avuto un'accelerazione

ma è in linea con quella di una banca che è considerata leader in Italia. Non vedo, insomma, alcuna

migrazione da altre banche verso Intesa Sanpaolo. D. Il cambio di governance, con il ritorno al sistema

monistico, avrà conseguenze sul modello di gestione del gruppo? R. Non prevedo impatti sul modello di

gestione. Ci sarà un impatto sui meccanismi delle relazioni tra la supervisione strategica, il controllo e la

gestione, che troveranno in un unico consiglio un punto di sintesi. Ritengo che sia un'evoluzione positiva

che porta la banca tra le migliori in Europa anche in relazione a questo parametro, considerato dalla Bce

come uno degli elementi su cui valutare la banca. D. Ritiene che in qualche modo le tensioni tra Italia e

Germania contribuiscano a creare un brutto clima per il nostro Paese? R. Credo che sia giusto ribadire con

forza il lavoro che è stato fatto dall'Italia. Per anni ci hanno chiesto per anni di fare le riforme; ora sono state

varate e quindi, secondo me, è giusto che ci sia attenzione alla crescita e non soltanto alla riduzione del

debito pubblico. Sebbene quest'ultimo sia un fronte su cui è necessario lavorare e tutti ne siamo

consapevoli. Ricondurrei però alla normalità questo tipo di relazioni tra governi; mi sembrano insomma

dinamiche fisiologiche tra due personaggi importanti come Renzi e Merkel. (riproduzione riservata)

Foto: Carlo Messina

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TENDENZE Regine del fintech Stefania Peveraro Mentre impazza la bufera sui titoli delle banche italiane ed europee e l'attenzione di tutti è concentrata sulla

solidità finanziaria e patrimoniale degli istituti, un occhio andrebbe sempre tenuto alla redditività. Che

sempre di più è destinata a passare per la tecnologia. Gli anglosassoni, manco a dirlo, hanno già coniato

da tempo il termine fintech per identificare tutte le applicazioni tecnologiche che hanno a che fare con la

finanza e i pagamenti e negli Usa sono ormai parecchie le banche d'affari e commerciali che hanno deciso

di scommettere sul cosiddetto peer-to-peer (P2P) lending cioè sulle piattaforme di prestiti tra privati. A

prestare denaro tramite le piattaforme in Usa, Regno Unito, Australia e Cina sono ultimamente sempre di

più gli istituzionali, che riescono ad assicurarsi lauti rendimenti. Così non sorprende, per esempio, che nel

2015 le piattaforme di P2P lending nel Regno Unito abbiano intermediato 2,2 miliardi di sterline di prestiti,

portando lo stock in essere a 4,4 miliardi, il doppio che a fine 2014. Giuliano Cicioni, partner di Kpmg

advisory, che ha appena curato un report che identifica le 100 migliori fintech del mondo, ha spiegato a MF-

Milano Finanza che la fetta più nutrita di startup fintech è comunque quella che lavora nel settore degli

incassi e pagamenti, dell'analisi dati per il credit scoring, del software per il risk management e per l'asset

management. È lì infatti che l'innovazione tecnologica trova le migliori coniugazioni con il mondo

finanziario». Quanto alle banche italiane, ha detto, «comprendono che il futuro è lì, ma come sappiamo le

priorità più imminenti sono altre». Società che sviluppano altri tipi di tecnologia, per esempio quella relativa

ai pagamenti via telefono cellulare, sono spesso invece target dei business angel e dei fondi di venture

capital. I fondi di private equity si concentrano invece sulle grandi piattaforme che gestiscono i pagamenti

bancari come Icbpi in Italia (il cui controllo è stato ceduto l'anno scorso dalle banche alla cordata Advent-

Bain Capital-Clessidra) o sui fornitori di software e strutture utilizzate da banche e piattaforme di

pagamento come Sia (il cui controllo è stato ceduto dalle banche italiane al Fondo Strategico, a F2i e

Orizzonte sgr e si sta preparando allo sbarco in borsa), che l'anno scorso ha lanciato Jiffy, un sistema di

pagamento tra privati accessibile tramite mobile ai clienti delle banche aderenti al servizio (che sono ormai

tutte le principali banche italiane). In ogni caso l'Italia è ancora agli albori, sebbene gli esperimenti

interessanti siano già parecchi. Il punto è, come sempre, la dimensione delle imprese. Come evidenziato

dalla tabella in pagina, le iniziative italiane nel fintech hanno ancora tutte dimensioni molto piccole con

pochissime eccezioni. In questo panorama si distingue in primo luogo Moneyfarm. La società di consulenza

finanziaria online, specializzata nella costruzione di portafogli in Etf e fondata nel febbraio 2011 dal

presidente Paolo Galvani e dal ceo Giovanni Daprà, ha incassato ben 16 milioni di euro dal fondo inglese

Cabot Square Capital e dall'italiano United Ventures, già azionista di MoneyFarm e che a valle dell'uscita

dal capitale da parte di Principia sgr lo scorso aprile, aveva incrementato la sua quota nella società. Va poi

segnalato SatisPay, startup italiana nata nel 2013 che ha sviluppato un'app per i pagamenti con

smartphone. Dopo aver raccolto 5,5 milioni di euro con un primo round di investimenti a settembre 2014, ha

ricevuto altri 3 milioni in aumento di capitale lo scorso settembre, suddivisi a metà tra i vecchi azionisti e un

gruppo di nuovi investitori. Tra gli investitori nella startup fondata da Alberto Dalmasso, Dario Brignone e

Samuele Pinta, si contano i fondatori di Google Wallet, Jonathan Weiner e Ray Iglesias, e Jon Koplin

(responsabile divisione internazionale di Google Wallet); Nicola Carbonari (fondatore di Autoscout24),

Giuseppe Donagemma (vice presidente Networks di Samsung Electronics) e Iccrea Banca. Segue nella

classifica per capitale raccolto Insta Partners, la creatura fintech di Ignazio Rocco di Torrepadula (ex leader

della practice istituzioni finanziarie di Bcg in Europa Centrale e oggi senior advisor di Tikehau Capital), che

sarà operativa dopo avere ottenuto le autorizzazioni di legge, nella seconda metà di quest'anno. Secondo

quanto risulta a MF-Milano Finanza, la società ha appena concluso un nuovo aumento di capitale da 4

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milioni, sottoscritto dagli stessi investitori che avevano sottoscritto la prima la tranche, sempre da 4 milioni.

Il progetto è quello di erogare finanziamenti alle pmi a fronte dell'acquisto di fatture commerciali,

cartolarizzarli e vendere i titoli risultanti dall'operazione a investitori istituzionali, trattenendo sui libri una

quota percentuale come richiesto dalla normativa. Tra gli investitori si segnalano Alessandro e Mauro

Benetton, Paolo Merloni, Lorenzo Pelliccioli, la famiglia Venesio (proprietaria di Banca del Piemonte), Hans

Paul Burkner (chairman di Boston Consulting), Giovanni Landi (partner di Anthilia Sgr) e i partner di

Tikehau Capital tra cui Jean Pierre Mustier, ex capo dell'investment banking di Unicredit. A fondare

l'iniziativa insieme a Rocco sono stati Sabino Costanza (lending officer, ex Bcg e Oliver Wyman), Jacopo

Anselmi (data scientist, proviene da Google Irlanda), Roberto Arnetoli (chief technology officer, ex Western

Union San Francisco), Gershom Charig (product designer, era in MoneyFarm) e Francesca Todeschini

(finance officer, con un passato in GE e McKinsey. E il team si è arricchito nei giorni scorsi di altri due

acquisti: Pamela Gotti (ex Google) in qualità di ingegnere informatico; e Vincenzo Carlà che invece si

occupa di amministrazione e controllo. Un'altra startup attiva nel segmento dei pagamenti via mobile che ha

attratto ben 6 milioni di dollari di investimenti dai fondi Vertis e Principia è Jusp. Nata dall'acceleratore del

Politecnico di Milano, Jusp propone agli esercenti un device compatto, provvisto di display e tastiera

numerica, che, inserito nella presa audio dello smartphone, permette di avere a disposizione un vero e

proprio Pos, offrendo la possibilità di accettare carte di credito e bancomat in mobilità e in totale sicurezza.

Da segnalare ancora tre piattaforme di P2P lending che pure, per gli standard italiani, hanno attratto

parecchi capitali. In particolare Smartika, fondata nel 2012 e presieduta dal banchiere Maurizio Sella, ha

concluso il mese scorso un aumento di capitale da 3,72 milioni di euro (che porta così il capitale a 4,52

milioni), che è stato sottoscritto dalla londinese Hamilton Ventures, da TP&Partners (holding di investimento

fondata da EQValue e da Tommaso Pompei), dall'investitore Luigi Cosenza e altri investitori privati. Il

banchiere Sella è particolarmente sensibile all'argomento fintech. La holding è infatti azionista anche di

un'altra piattaforma di P2P lending, che è Prestiamoci, oltre che tra i fondatori della versione italiana della

piattaforma di equity crowdfunding estera Symbid. Prestiamoci si è a sua volta aggiudicata un round di

investimento da 2 milioni di euro e ora conta tra i suoi investitori, oltre appunto a Banca Sella Holding,

Innogest sgr e Club Italia Investimenti 2, oltre a Digital Magics. Mentre una terza piattaforma di social

lending, Borsa del Credito, ha portato a bordo il venture P101. Il portale Borsa del Credito è di proprietà di

Business Innovation Lab srl, che a sua volta fa capo ai fondatori, cioè al presidente Daniele Blancato, al

vicepresidente Alessandro Andreozzi, al ceo Ivan Pellegrini, al coo Antonio Lafiosca e ad altri soci privati.

Un discorso a parte va fatto infine sulle piattaforme di intermediazione di capitali, come Epic sim e Siamo

Soci. Quest'ultima è una società milanese che è stata la prima piattaforma in Italia di social investing,

fondata più di due anni fa da Dario Giudici come luogo di incontro online tra startup e potenziali investitori.

A fine 2013 Azimut holding spa ha sottoscritto un aumento di capitale da 1,2 milioni di euro rilevando il

22,44% della società. Quanto a Epic sim, la piattaforma digitale per il finanziamento delle pmi (tramite

minibond o altri strumenti finanziari) fondata e guidata dall'amministratore delegato Andrea Crovetto, ha in

corso un aumento di capitale per arrivare a 2 milioni di euro. Al momento la società ha raccolto 1,5 milioni e

in arrivo tra i soci c'è anche il venture incubator quotato Digital Magics. Non hanno attratto l'attenzione degli

investitori finanziari e die business angel in generale, invece, le piattaforme di equity crowdfunding, la cui

attività in Italia fatica ancora a decollare. Della quindicina di piattaforme autorizzate da Consob, infatti,

soltanto una manciata ha già concluso con successo almeno una campagna di raccolta (si vedano le

tabelle a pag. 27). Ma probabilmente la nuova versione del regolamento Consob in arrivo a brevissimo

potrebbe finalmente sbloccare il settore. Nel panorama delle piattaforme va segnalata Equinvest. Fondata

dal ceo Fabio Bancalà con altri quattro amici, ha visto l'ingresso nel capitale del socio istituzionale Equi

Capital Markets, una newco costituita dalla specialized asset management company lussemburghese Equi

Sam, che si proporrà a sua volta, tramite un suo fondo (che sarà raccolto presso terzi investitori), come

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coinvestitore nelle iniziative di crowdfunding proposte dalla piattaforma. (riproduzione riservata)

LE PRINCIPALI INIZIATIVE FINTECH ITALIANE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Moneyfarm sim

Satispay Instapartners Jusp Smartika Prestiamoci (Agata spa) Epic sim SiamoSoci Borsa del Credito

Equinvest Crowdway (ex WolfofTrading Tinaba (This is not a bank) WorkInvoice Symbid Italia

FattureInCloud AscomFidiPiemonte AssitecaCrowd CrowdFundMe Ecomill srl Fundera srl InvestiRe

MuumLab srl Next equity Crowdf. Marche OpStart Roma Venture Consulting (Crowd4Capital) StarsUp

Startzai.com The ING Project srl (TIP Ventures) UnicaSeed WeAreStarting srl consulenza finanziaria online

pagamenti mobile acquisto di fatture online pagamenti mobile P2P lending P2P lending intermed. private

capital intermed. private equity P2P lending equity crowdfunding consulenza per trading online pagamenti

mobile intermediazione fatture online equity crowdfunding fatturazione elettronica pmi equity crowdfunding

equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding

equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding

equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding Consob e Banca d'Italia

In attesa autorizzazione Banca d'Italia Banca d'Italia Banca d'Italia Consob e Banca d'Italia Banca d'Italia

Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord.

Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg.

ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob

Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Cabot Square Capital e United Ventures Jonathan Weiner, Ray

Iglesias, Jon Koplin, Nicola Carbonari, Alessandro e Mauro Benetton, Paolo Merloni, fam. Venesio, Hans-

Paul Bürkner, Lorenzo Pelliccioli, Jean P. Mustier e altri partner di Tikehau Capital, G. Landi e altri altri

privati Vertis Venture e di Principia II Hamilton Ventures, TP&Partners (EQValue e Tommaso Pompei)

Digital Magics, Innogest sgr, B. Sella hold., Club Italia Investimenti 2 Filippo Sabatini e Francesco Pavan

Azimut holding P101 business angel, Equi sam, Iph holding Tim Ventures e Club Italia Investimenti 2 nd

Giuseppe Donagemma e Iccrea Banca Teamsystem nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd 16 mln

(solo nell'ultimo round dai due fondi) 8,5 mln (in due round) 8 mln (in due round) 6 mln di dollari 4,52 mln (in

due round) 3 mln 1,5 mln (in due round) oltre 1,2 mln un milione (dal fondo) 750 mila 150 mila euro 50 mila

nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd Paolo Galvani e Giovanni Daprà Aberto Dalmasso,

Dario Brignone e Samuele Pinta Ignazio Rocco di Torrepadula e soci operativi Roberto Arnetoli, Sabino

Costanza, Jacopo Anselmi, Gershom Charig e Francesca Todeschini) Jacopo Vanetti e Giuseppe Nicola

Saponaro Maurizio Sella, Pierluigi Loy Donà , Ziph Roberto Condulmari, Daniele Loro, Stefano Miari e altri

soci privati Andrea Crovetto, Stefano Visalli, Alceo Rapagna, Guido e Sergio Ferrarini, Prometeia, Andrea

Moneta, Valerio De Molli, Roberto Crapelli e Simonfid Cristiano Esclapon, Dario Giudici, Lorenzo Lamberti

e altri privati Daniele Blancato, Alessandro Andreozzi, Ivan Pellegrini, Antonio Lafiosca Fabio Bancalà e

altri 4 soci Sator Capital (tramite Arepo Ti) Matteo Tarroni, Mario Spongano, Luca Spampinato, Fabio

Bolognini ed Ettore Decio Symbid Holding, Banca Sella e Marco Bicocchi Pichi Daniele Ratti Cooperativa di

Garanzia Fidi Confcommercio Tommaso d'Onofrio, Carlo S. Pellizzari e Assiteca Tommaso Adolfo

Baldissera Pacchetti e le sue sorelle Paola e Chiara Chiara Candelise Fulvio Mariani, Paola Mocci, Carlo

Allevi e altri privati Baldi & Partners Paolo, Davide e Pierpaolo Ciccolella Domenico Formica e Michela

Centioni Alessandro Arioldi Luca e Daniele Francesco Ughi, Milano Venture Co. Stefano Passavalli

Puecher, Andrea Lazzaretto Matteo Piras Startzai srl ( Filippo Cossetti), The Hive (Sida srl) e Università di

Camerino Matteo Masserdotti Unica sim Carlo Allevi Fonte: BeBeez * Equitystartup.it Vigilanza Tipo di

attività Società Altri investitori Capitale raccolto Fondatori

LE OPERAZIONI DI EQUITY CROWDFUNDING IN ITALIA Le startup che hanno avuto successo Le

piattaforme che hanno lavorato GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fonte: Crowdfundingbuzz.it Piattaforma

Raccolta in migliaia di € Numero investitori Investimento medio in migliaia di € Anno Società finanziaria

Pawolonia Kiunsys Bioerg Shin Software Cantieri Savona ME Group Nova Somor Diamantech Wayonara

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Cynny TocTocBox Cynny Assiteca Starsup Next Equity Assiteca Starsup Tip.Ventures Starsup Unicaseed

Tip.Ventures Investi-re Crowdfundme Starsup 520 505 452 402 380 300 250 157 135 116 82 54 12 19 56

19 44 10 3 75 33 48 25 52 43,33 26,59 8,07 21,16 8,64 30,00 83,33 2,09 4,09 2,42 3,28 1,04 2014 2015

2015 2015 2014 2016 2014 2014 2015 2015 2015 2015 Startup finanziate Raccolta in migliaia di € Numero

investitori per startup Investimento medio in migliaia di € per investitore Piattaforma Starsup Assiteca Next

Equity Tip.Ventures Unicaseed Investi-re Crowdfundme Totale complessivo 4 12 1.189 922 452 435 157

116 82 3.354 118 31 56 43 75 48 25 396 297,32 461,00 452,00 217,50 157,00 116,29 82,00 279,47 10,08

29,74 8,07 10,12 2,09 2,42 3,28 8,47

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ORSI&TORI PIAZZA AFFARI In piena tempesta gli investitori possono consolarsi con le cedole. Le societàquotate sono pronte a girare ai loro azionisti un assegno da 17,5 miliardi Lampi e tuoni in borsa Ma è pioggia di dividendi* Con rendimenti fino al 9% Paolo Panerai Non c'è contraddizione fra le tempeste in borsa, ormai su quasi tutte le borse, e la pioggia di dividendi da

aziende come Intesa Sanpaolo e tutte le altre elencate all'interno di questo numero. C'è semplicemente del

marcio. Il marcio che promana da un'Europa ormai sempre meno Unione e quindi prossimo stravecchio

Continente. C'è voluto il coraggio di Mario Draghi per andare a lanciare proprio nella tana della

Bundesbank l'accusa ai (questa volta sì) poteri forti che non vogliono far salire al 2% l'inflazione, come

stabilito nella governance della Banca centrale europea (Bce). In un cammino che più lento non si può

immaginare, se solo si pensa che l'approvazione del trattato di Roma è del 1957 e che in realtà le idee

dell'Europa unita risalgono perfino a Giuseppe Mazzini e hanno ripreso vigore con Altiero Spinelli e Luigi

Einaudi ancora in pieno fascismo, molti si erano illusi che la creazione della moneta unica euro, l'apertura

delle frontiere con Schengen e la fondazione della Banca centrale con sede a Francoforte avrebbero

determinato un trend irreversibile verso uno Stato federale. Nessuno aveva fatto i conti con un'altra unione,

quella delle due Germanie. Salvo di Paolo Panerai l'Inghilterra che, vedendola, non ha aperto le frontiere,

grazie anche al suo essere isola, e si è tenuta tutta la sovranità monetaria. Nessuno aveva tenuto conto

che la Super Germania, pur lacerata moralmente ancora dalla guerra, appena si fosse riunificata avrebbe

riconquistato il vizietto che l'ha vista artefice di ben due guerre mondiali e di una dittatura disumana come

quella del Nazismo. Il vizietto è quello di voler comandare a ogni costo. Non le basta di essere il Paese con

il maggior numero di abitanti in Europa e quindi di avere diritto al maggior numero di parlamentari europei.

Vuole ancora una volta condizionare la vita, gli stili di vita, e la morte degli altri europei. Draghi è andato giù

duro dicendo: «... Nell'economia globale ci sono forze che concorrono a tenere bassa l'inflazione...». E chi

ha paura dell'inflazione anche solo al 2%, terrorizzati ancora dagli effetti della Repubblica di Weimar, se

non proprio i potenti tedeschi che lo stavano ascoltando nella sede della banca centrale tedesca? Per anni

il mondo ha vissuto nel terrore dell'inflazione a due cifre. Avevano terrore di quella crescita pazza dei

prezzi, determinata dal terribile innalzamento del prezzo del petrolio, anche gli italiani, pur drogati da

rendimenti inevitabilmente altrettanto folli dei titoli di Stato. Negli anni 70 gli italiani non avevano il minimo

interesse alle azioni, perché con interessi del 10-13% e più credevano che la loro ricchezza potesse essere

senza fine e chi non era ricco sottoscrivendo Bot, Btp e Cct riusciva a sopravvivere meglio, con in più la

sicurezza di ricevere indietro, a scadenza, l'intero capitale investito. Allora era giusto che in Germania si

pensasse solo a combattere l'inflazione. Sui libri di testo e sui giornali si descriveva quella fase come

l'attacco degli Stati petroliferi all'economia del Vecchio continente e anche negli Stati Uniti, che pure

avevano petrolio a sufficienza, si potevano comprare bond che consentivano di vivere di rendita. Ricordo

un'inchiesta di Capital, ai tempi della fine del mandato di Jimmy Carter, che documentava come con cifre

relativamente modeste si sarebbe potuto vivere di rendita grazie al rendimento per molti anni appunto dei

Treasury bill. Se quella era un'economia folle e in pochi si rendevano conto che non avrebbe potuto e

dovuto durare, altrettanto folle, anzi più folle, è l'economia in deflazione o senza inflazione come quella

europea oggi. E se l'inflazione folle era stata determinata da un gruppo di Paesi che attraverso il mitico

presidente dell' Opec, Ahmed Zaki Yamani, avevano costretto il mondo a fermarsi e andare in bicicletta o a

piedi, per far salire alle stelle il prezzo dell'oro nero, ora la deflazione è stata innescata dalla crisi finanziaria

negli Stati Uniti, simboleggiata dal fallimento della Lehman, ma è stata portata all'estremo in Europa dalla

fobia e dal vizio del potere della Germania. Come è possibile non ragionare, non vedere il fatto che se le

banche Usa, liberate dal vincolo di non poter investire il denaro dei depositanti, erano state la causa, con i

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titoli subprime, dell'esplosione della bolla e quindi dell'arresto dello sviluppo, gli stessi Usa avevano

tracciato e imboccato immediatamente l'unica strada per la ripresa? Certo, per il rilancio era necessario

stampare dollari, iniettando enorme liquidità nel sistema abbassando fin sotto zero i tassi di interesse: cioè

esattamente la filosofia opposta della Germania, che infatti aveva escluso dallo statuto della Bce la

possibilità di stampare euro. Stampare moneta può essere la premessa per creare inflazione, ma non

quando la crescita collassa fino a entrare non solo in recessione ma addirittura in deflazione. Draghi è

arrivato alla presidenza della Bce quando la crisi già mordeva, dato che il predecessore francese Jean-

Claude Trichet non aveva fatto nulla per combatterla. Pur di scuola americana, si è trovato con le mani

legate e con la crisi della Grecia, arrivata alla soglia del default, scongiurata solo da una telefonata notturna

del presidente Barack Obama alla cancelliera Angela Merkel, nella quale le ricordava che la Grecia era un

baluardo della Nato e che il suo fallimento avrebbe avuto gravi ripercussioni geopolitiche. Di fronte

all'immobilismo dell'Europa, gli speculatori di tutto il mondo hanno capito che c'era spazio, sulla scia della

Grecia, per condurre un pesante attacco ribassista ai titoli di Stato dei Paesi del Sud Europa. Così è

esplosa la crisi del 2011 del debito pubblico di vari Paesi deboli e in particolare dell'Italia. Di fronte

all'ottusità dei tedeschi, nell'estate di fuoco dei titoli di Stato e quindi della conseguente dissoluzione

dell'euro, Draghi riuscì a convincere tutti i componenti del consiglio d'amministrazione della Bce, con la sola

eccezione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che era indispensabile intervenire

comprando titoli del debito pubblico, appunto perché era in pericolo l'euro, la cui protezione rientra nei

poteri della banca centrale. I tedeschi hanno subìto ma non digerito, pronti a imporre di nuovo il loro potere.

Per tre anni Draghi è stato sotto tiro e la Merkel, come ha rivelato questo giornale, ha chiesto al presidente

del Consiglio Matteo Renzi, per ben tre volte, di spostarlo ad altro incarico: l'ultima volta in occasione delle

elezioni del presidente della Repubblica. Draghi ha confidato che inizialmente la Merkel lasciava che a

contrastare la sua azione fosse il presidente della Bundsbank e il ministro dell'Economia Wolfgang

Schaeuble. È invece passata all'azione diretta quando, precipitando l'inflazione in tutt'Europa sino alla

deflazione, Draghi ha cominciato a elaborare il progetto Quantitative easing (Qe), sintonizzando la politica

monetaria europea con quella americana ancora in atto. La motivazione e la giustificazione per il Qe, che

prevede immissione di liquidità per oltre 60 miliardi di euro al mese, sono appunto la necessità di far risalire

l'inflazione intorno al 2%. Quindi, mentre la Germania riteneva di poter impedire una politica di espansione

attraverso l'immissione di liquidità con uno statuto della Bce che la escludeva come strumento invece a

disposizione di tutte le banche centrali, Draghi aveva trovato il grimaldello nella necessità di far arrivare

almeno al 2% l'inflazione. Evidentemente la Germania, nel suo ottuso rigorismo, non aveva neppure

ipotizzato che ci fosse una lotta all'inflazione di segno inverso, cioè per farla risalire. Per la Merkel e la

Bundesbank è stato uno smacco. Si sono rifatti conquistando pieno potere nella vigilanza esasperata della

Bce, con un supervisory board completamente indipendente. L'attacco al sistema bancario italiano è partito

da qui e, purtroppo, sia Bankitalia che il governo si sono fatti trovare in ritardo e completamente

impreparati, subendo, come è noto, il diktat, peraltro verbale, della direzione Ue sulla competitività che ha

bollato il Fondo interbancario di garanzia come aiuto di Stato. Così, per quattro banche in dissesto che

rappresentano meno dell'1% del sistema, è partito un attacco sul quale è stato facile inserirsi da parte della

speculazione internazionale. Draghi, che in base alla compliance ora può parlare solo in occasioni

istituzionali, ha di nuovo tentato di riaffermare la verità rispetto alla voce, amplificata da un quotidiano

nazionale, sul fatto che le forti sofferenze dei crediti italiani avrebbero imposto aumenti di capitale. La presa

di posizione di Draghi è servita per un giorno perché nel frattempo è proseguita l'azione del ministro

dell'Economia tedesco, Schaeuble, il quale ha sostenuto che le banche della Ue non potranno avere più del

25% del loro attivo investito in titoli di Stato. Un attacco bello e buono al debito pubblico, che per ora si è

scaricato sui corsi delle azioni. Il ministro tedesco ha risposto così alla sollecitazione di Draghi a varare il

sistema unificato di garanzia dei depositi delle banche europee. Vuoi che ci sia un sistema europeo? Allora

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 116

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le banche devono prima ridimensionare i propri rischi. Una coppiola contro le banche e contro, in

particolare, il debito pubblico italiano, unico, reale punto debole del Paese. Come coristi al ministro tedesco,

hanno parlato più soggetti sia a Bruxelles che a Francoforte, dicendo che l'Italia ha un debito pubblico

troppo alto e che non basta sperare di ridurlo con la crescita dell'economia. È questo un punto su cui chi ha

parlato ha ragione e il presidente Renzi deve ritornare all'idea di due estati fa, quando era pronto a studiare

un intervento straordinario sul debito. A Palazzo Chigi era arrivata non soltanto la voce degli economisti

raccolti dai media di Class editori intorno alla sigla L'Italia c'è, ma anche uno studio dettagliato della banca

Rothschild che, come questo giornale, sostiene la necessità di tagliare il debito vendendo una parte del

patrimonio pubblico. Recentemente Rothschild ha aggiornato il progetto, ricordando che questo, con i

rendimenti quasi a zero dei titoli di Stato, è il momento ideale per effettuare la manovra di scambio: titoli di

una holding o quote di un fondo, poco cambia. Si sa che anche Draghi è favorevole a una tale manovra,

dopo aver contribuito al taglio del debito con le privatizzazioni quando era direttore generale del Tesoro con

ministro Carlo Azeglio Ciampi. Ora da privatizzare c'è ben poco, mentre il taglio deve essere consistente. Il

governo e in particolare un uomo dell'esperienza, sia pure convenzionale, del ministro Pier Carlo Padoan,

devono decidersi. Non può bastare Draghi a puntellare il sistema e ad opporsi ogni volta che può ai tentativi

di strapotere dei tedeschi, come ha fatto, con forte significato, anche parlando presso la Bundesbank.

Anche perché a congiurare per una nuova crisi non è solo il miope rigorismo dei tedeschi, ma appunto la

ripartenza di una speculazione agguerrita, che vuole cogliere tutte le occasioni per portare a casa grandi

guadagni. Magari quelli che sono mancati per il crollo del prezzo del petrolio. Partendo dall'attacco alle

banche, con la complicità dei tedeschi che pure hanno banche disastrate, la speculazione sta facendo

scaricare tempeste, tuoni e fulmini sulle borse. Se il governo italiano non interverrà, dopo le banche e la

borsa sarà il turno del debito pubblico. Che la situazione che si sta delineando sia chiaramente artificiosa,

non corrispondendo alla salute delle banche e delle società quotate, è reso evidente dagli ottimi risultati dei

bilanci 2015 e dei dividendi che vengono confermati. L'esempio più eclatante è quello di Intesa Sanpaolo,

che grazie alla gestione combinata del ceo Carlo Messina e del direttore generale vicario e capo del

corporate, Gaetano Miccichè, ha chiuso un anno straordinario. Intesa Sanpaolo è blindata anche per l'anno

appena iniziato, ma per altre banche e per molte società il 2016 potrebbe essere un anno più difficile del

2015. La speculazione ha quindi spazio, potendo ragionare non sul passato ma sul futuro. E appunto

l'habitat che si va configurando è a forte rischio. Renzi ha assunto una posizione corretta di critica alla

Commissione Ue e alla Germania. Non sbaglia dicendo che l'Italia può essere il leader dello schieramento

anti-Germania, ma solo se si potrà liberare della spada di Damocle del debito pubblico, che da Francoforte

e Bruxelles stanno brandendo. E Draghi da solo non potrà garantire una protezione maggiore di quella che

sta dando. Come dice il proverbio: aiutati che Dio ti aiuta. Il boyscout Renzi sicuramente lo conosce.

(riproduzione riservata) Paolo Panerai Atlantia -0,12 Azimut -7,34 A2a -6,54 B Pop Milano -11,65 Banca

Carige -20,03 Bca Mediolanum -1,38 Bco Popolare -10,21 Bper -18,04 Buzzi Unicem -3,24 Campari -8,00

Cnh Industrial +1,66 Enel -5,89 Enel G. Power -5,17 Eni -5,65 Exor -9,02 Ferragamo -1,68 Ferrari -7,10

Fiat Chrysler -6,79 FinecoBank -7,88 Finmeccanica -11,85 Generali -11,24 IntesaSanpaolo -8,94 Luxottica

-11,03 Mediaset +4,35 Mediobanca -10,39 Moncler -5,59 Mps -11,01 Poste -12,31 Prysmian -4,98 Saipem

-8,85 Snam -4,39 Stm -14,23 Telecom Italia -12,62 Tenaris +1,79 Terna -4,46 Tod's -0,76 Ubi Banca -10,41

Unicredit -9,98 UnipolSai -11,29 Yoox -15,73

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 117

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SCENARIO PMI

7 articoli

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Indagine Il settore cambia pelle e offre nuove opportunità alle Pmi Distribuzione La ritirata delle grandi superfici Avanzano i discount e i piccoli market di prossimità. In aumento il fatturato medio soprattutto nell'alimentare ISIDORO TROVATO L a grande distribuzione organizzata vive un ritorno al futuro. Niente a che vedere con i viaggi nel tempo di

Marty McFly, ma certamente un cambiamento che si articola tra schemi del passato e declinazioni futuribili.

Il settore, infatti, sta sperimentando cambiamenti importanti che riflettono il diminuito potere d'acquisto del

consumatore, le mutate abitudini di consumo, la progressiva affermazione delle vendite online e, in

generale, l'evoluzione degli stili di vita delle famiglie.

Il cambiamento

Il nuovo assetto appare chiaro nel rapporto «Settore Italia» di Unicredit: il formato delle grandi superfici -

che in passato aveva portato al successo i grandi operatori del settore - è oggi in crisi, mentre registrano

crescite significative i punti vendita di dimensione minore e i discount. «Negli ipermercati lo scontrino medio

è di 100/150 euro - spiega Roberto Bucaneve, direttore di Centromarca - adesso che il potere di spesa

degli italiani si è eroso, diventa più frequente rivolgersi ai discount o ai negozi di prossimità senza fare

scorte e rischiare sprechi. Questo ha creato una serie di piccoli negozi a insegna con una incidenza

crescente di alimenti freschi e cibi pronti. La maggior parte di queste realtà appartiene alle grandi catene

che le affidano in franchising a piccoli imprenditori. Questo sta creando un nuovo assetto nel mondo della

grande distribuzione organizzata». Rispetto al passato, quindi, le case sono più piccole, le famiglie meno

numerose, aumentano i single e gli sprechi alimentari sono meno tollerati. Inoltre la società è più

«interconnessa» (soprattutto nella fascia che riguarda i giovani) e quindi si è più sensibili ai servizi, come la

possibilità di acquistare online, le consegne domiciliari, il confezionamento dei prodotti.

«Sul fronte dei servizi - continua Bucaneve - fanno la differenza i minimarket, gli empori o i negozi

alimentari di nuova generazione: quelli in grado di offrire prestazioni su misura e assistenza alla clientela».

Una tendenza che non è solo italiana ma diffusa a livello globale: negli Stati Uniti Walmart - il maggior

retailer a livello mondiale - ha tagliato le sue previsioni di crescita nel 2015 dal 5% al 2-3%. Lo stesso si

osserva per altri operatori che hanno poggiato le loro fortune sulle strutture di grande dimensione: è il caso

di Tesco (Regno Unito), Carrefour (Francia), Metro (Germania). Al contrario, gli empori e i discount

esprimono un forte potenziale di crescita sia nei paesi avanzati, sia nei mercati in via di sviluppo,

rispondendo bene al desiderio del consumatore di avere negozi di riferimento vicini, in grado di soddisfare

gli acquisti rapidi e speciali. Un fenomeno particolarmente accentuato nell'area dei prodotti agroalimentari .

Prospettive

«Anche l'industria sentirà conseguenze di questo cambiamento - osserva il direttore di Centromarca -

cambierà l'approccio a questi nuovi spazi: si modificheranno i formati e l'assortimento, ci sarà una maggiore

profilazione dell'offerta al consumatore. Non è più tempo di sconfinati corridoi di scaffalature riempite da

prodotti massificati in cui tutto sembra assomigliarsi. Il gigantismo della grande distribuzione conosce un

forte rallentamento, il sistema si sta resettando e potrebbe offrire nuove opportunità sia alle imprese della

distribuzione che a quelle della produzione».

Dopo anni di arretramento, il fatturato è tornato a crescere grazie alla ripresa (sia pure modesta) dei

consumi alimentari. Il preconsuntivo 2015 indica un aumento dello 0,7% su base annua, che porterebbe il

fatturato del settore a 90,8 miliardi di euro.

Cresce, in particolare, il fatturato dell'area alimentare (+1%). In prospettiva, si stima che la lieve ripresa

prosegua. Per il 2016, le attese scontano un aumento del fatturato di settore dell'1% su base annua.

Ancora una volta, dovrebbe trainare l'area alimentare (+1,2%), compensando le perdite del segmento no

food (-2,7%).

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 119

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Si torna a crescere Dinamica del fatturato per canale di vendita, 2010-2015 Supermercati Ipermercati

Discounts Superette 3,9% 0,8% 1,0% -0,2% 1,0% -0,7% -2,0% -5,0% -5,4% -0,8% 5,7% -10,6% -5,7% -

5,5% -2,7% -1,3% 2010 2011 2012 2013 2014 2015 0 10 20 30 40 50 60 Miliardi di Euro e variazioni %

annue 5,0% 2,8% 1,9% 2,7% CENTIMETRI

Foto: Brand Roberto Bucaneve direttore di Centromarca associa circa 200 imprese di marca

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 120

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Idee La tendenza all'«open innovation». Nel 2015 negli Usa 350 investimenti di grandi gruppi nelle societàinnovative Imprese I big al mercato delle startup Contrordine, invece di puntare sulla ricerca interna si acquistano aziende «smart» L'esempio di Cisco eAccenture. I casi italiani dall'abbigliamento all'acqua potabile giulia cimpanelli Un investimento di 100 milioni di dollari (circa 91 milioni di euro) su imprese innovative e competenze

digitali nelle aziende italiane. Ad annunciarlo pochi giorni fa è stata Cisco, che si fa capofila di una

tendenza. È quella dell' open innovation , l'innovazione aperta: dove le aziende tradizionali investono in

imprese smart e startup per rinnovarsi. È un processo che si sta lentamente imponendo anche in Italia. Il

concetto: «Vuoi progredire? Smettila di puntare tutto su ricerca e sviluppo interni, acquisisci una startup».

Lo sanno bene gli americani, che nel primo semestre del 2015 hanno registrato oltre 350 investimenti, per

un valore complessivo di 8 miliardi di dollari, da parte di grandi aziende nelle startup (fonte: CBInsight,

giugno 2015). E lo sanno alcune multinazionali. Come Cisco, per esempio, anche Accenture sta spingendo

sulla open innovation . «Due anni fa abbiamo acquisito i4C Analytics, azienda bolognese leader nel Data

analysis - dice Marco Morchio, direttore di Accenture Strategy -. Noi facciamo open innovation

direttamente, acquisendo società innovative, o per i nostri clienti, mettendoli in contatto con le startup».

L'acquisizione, di cui non sono stati resi noti i termini finanziari, ha permesso al colosso della consulenza di

consolidare le competenze di analisi dei dati e al team di i4C di diventare lo zoccolo duro dell'Advanced

Analytics di Accenture International.

Il limite

Ma il limite è la difficoltà di comunicazione tra le grandi imprese e le realtà innovative. «Usano linguaggi

differenti - dice Morchio -. Basti pensare che una grande azienda ci mette tre mesi a organizzare una

riunione e una startup in tre mesi conclude dei round di investimento». Anche in Italia, però, alcune società

iniziano a crederci.

Cln Group, uno dei principali operatori nella distribuzione di acciaio, ha per esempio attivato un fondo di

corporate venture capital interno, per investire in startup. Nel giugno scorso ha acquisito Wib, che progetta

distributori automatici digitali e innovativi. «Abbiamo incontrato oltre 600 startup - commenta Michela

Padovani, responsabile del Corporate Venturing - e attualmente stiamo valutando se investire in altre due».

Ha deciso di fare shopping per rinnovarsi anche Teamsystem, leader nello sviluppo e nella distribuzione di

software rivolti a professionisti e Pmi. L'anno scorso ha acquisito il 51% di Fatture in Cloud, startup fondata

dal ventitreenne Daniele Ratti. Un milione e mezzo di euro di investimento iniziale con un' earn out (formula

con la quale parte del pagamento di un'impresa viene vincolata al verificarsi di determinate condizioni

economiche o finanziarie future) che verrà determinato a seconda dei risultati che la startup raggiungerà

nei prossimi cinque anni. L'esperienza di Fatture in cloud consolida la tendenza del gruppo, sempre alla

ricerca di soluzioni innovative anche fuori dagli uffici aziendali. «Abbiamo sempre cercato di innovare

attraverso servizi aggiuntivi e acquisizioni. Per noi equivale a comperare competenze, quindi valore», dice

l'amministratore delegato Federico Leproux.

Tant'è che quella della startup di Ratti non è la prima esperienza per Teamsystem che in passato ha

acquisito per 4 milioni di euro l'85% della startup di Hfarm H-Umus, Tustena, un «crm cloud» (sistema per

la gestione delle relazioni con i clienti) della software house Digita, e rilevato la divisione software del Sole

24ore. Ma il mondo delle imprese innovative inizia a ingolosire anche la manifattura tradizionale.

Abiti e fanghi

Il lanificio biellese Reda nel 2013 ha investito un milione e mezzo di euro per acquisire quote di capitale (la

maggioranza) di Lanieri, una startup che permette di acquistare online abiti su misura. È stato il gruppo

meccanotessile Santex Rimar a dare alla startup Solwa i mezzi per sviluppare il suo sistema per

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 121

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l'inserimento nel mercato della desalinizzazione e potabilizzazione dell'acqua. All'inizio del 2015 il gruppo

ha rilevato l'80% della startup. La partnership è nata grazie al progetto DryWa, che Solwa utilizza proprio

per Santex. Un sistema innovativo per la gestione dei fanghi biologici derivanti dai processi depurativi delle

acque, capace di ridurre fino al 95% il loro volume.

C'è poi chi fa «innovazione aperta» al contrario: Applix, nata nel 2011 e specializzata in soluzioni Mobile

per le aziende, ha già acquisito tre imprese digitali di più vecchia data. Oggi conta oltre 80 dipendenti e

fattura 4,5 milioni all'anno con una crescita media annua dichiarata del 58%. L'ultimo acquisto, Melazeta, è

del 2015. «Fino a oggi - spiega il fondatore, Claudio Somazzi - abbiamo investito un milione e 750 mila

euro per rilevare tre imprese e completare il pacchetto di servizi digitali da proporre ai clienti». Prima di

Melazeta, Applix aveva acquistato Bsmart, uno dei protagonisti della digitalizzazione degli editori scolastici,

e Xorovo, agenzia con 45 ingegneri che sviluppano i suoi prodotti e manutengono le piattaforme.

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Fonti: «Harnessing the Power of Entrepreneurs to Open Innovation», Accenture, dicembre 2015; panel:

oltre 2.000 imprenditori in 20 Paesi del G20. CBInsight, giugno 2015 Pparra +1,9% Italia +2,2 % Mondo Il

boom negli Usa, I° semestre 2015 LA CRESCITA I risultati della collaborazione tra le imprese tradizionali e

quelle innovative Stima di crescita del Pil I CASI ITALIANI Le grandi aziende che pensano di collaborare

con startup o piccoli imprenditori per diventare digitali 76 % Gli investimenti conclusi Investiti da grandi

Imprese sulle startup 8 miliardi di dollari 350 AZIENDA INVESTIMENTO Teamsystem Applix Reda 1,5

milioni euro 1,8 milioni euro 1,5 milioni euro STARTUP ACQUISITA Fatture in cloud Bismark, Xorovo,

Melazeta Lanieri

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Mef. Il ministro alla scuola di formazione del Pd: sistema bancario solido, in arrivo misure su recuperocrediti Padoan: risultati importanti dalla lotta all'evasione «Serve un impegno comune per una crescita che crei lavoro permanente. Avanti con la riduzione delletasse finanziata da tagli di spesa» Eugenio Bruno PLa lotta all'evasione sta dando «risultati importanti». Parola di Pier Carlo Padoan. Nel suo intervento alla

scuola di formazione del Pd "Classe democratica", in corsoa Roma, il ministro dell'Economia ha anche

individuato le due ragioni del successo nel contrasto al sommerso: da un lato, «l'introduzione di misure

differenziate per varie classi di contribuenti, dalle multinazionali alle piccole imprese e le famiglie»;

dall'altro, «il principio di stabilire un rapporto di fiducia, anche tecnico, fra amministrazione e contribuenti»

così da «prevenire piuttosto che sanzionare ex post un comportamento illegale». Grazie, ad esempio, al

modello precompilato e ai preavvisi di accertamento. A questo tema il responsabile del Tesoro è arrivato

nell'ultima parte della sua "lezione", rispon­ dendo a una domanda della platea. Prima si era soffermato sulla

stretta attualità, nazionalee internazionale. Dalla crescita che non ammette «scorciatoie» e che deve creare

«lavoro in modo sostanziale e permanente» al debito che dal 2016 «comincerà a diminuire, dopo molti anni

di aumento»; dal taglio delle tasse che vanno ridotte continuando nell'operazione di taglio e di

efficientamento della spesa pubblica alle risorse per gli investimenti che troppo spesso restano

«impastoiate nei meccanismi di bilancio» fino al rappor­ to, diciamo controverso, con l'Ue. A Bruxelles, il

titolare del Mef ha inviato due messaggi ben chiari. Che sono poi il riassunto delle puntate precedenti nel

lungo confronto di queste settimane tra il nostro governo e l'esecutivo comunitario. Padoan ha prima

sottolineato che «la politica di bilancio italianaè molto più disciplinata di quello che si legge negli articoli o

che è nelle opinioni degli altri». E, poi, ricordato che in un'unione monetaria «i rischi sono di tutti» e pensare

di poter sfuggire a questo «non è solo sbagliato ma miope, stupidoe controproducente». Con annessi la

considerazione che il Qe è uno strumento «potentissimo ma non sufficiente» e l'appello a riorientare la

politica economica comune verso la creazione di posti di lavoro, «chiedendo ai paesi che hanno spazio

fiscale di usarlo». Come fa l'Italia che «usa tutto il suo spazio fiscale con le clausole di flessibili­ tà» e che, a

suo tempo, ha anche chiesto «di introdurre uno strumento europeo di assicurazione contro la

disoccupazione». Altro argomento "caldo" di queste ore: le banche. Per il titolare di via XX settembre un

sistema bancario come quello italiano, «che ha resistitoa questa crisi senza maggiori crisi bancarie e senza

aiuti di stato contrariamente alla Germania dove sono stati messi più di 200 miliardi di euro, è un sistema

molto solido». Che verrà rafforzato ulteriormente - ha spiegato - dal decreto atteso in Consiglio dei ministri

la prossima settimana. Un testo che conterrà anche le misure per rafforzare il recupero crediti. Fermo

restando «che non si esce da una crisi finanziaria se non si mette in ordine il sistema finanziario» come

hanno fatto gli Stati Uniti che hanno prima rimesso «a posto il sistema finanziario e dopo hanno effettuato

l'aggiustamento fiscale». Mentre in Europa­ ha rilevato Padoan­ «siè fatto il contrario. Siè scelto di dare

priorità all'aggiustamento fiscale rinviando a dopo l'Unione bancaria. Abbiamo perso tempoe ora stiamo

cercando di recuperare».

07/02/2016Pag. 1.5

diffusione:150811tiratura:209613

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 123

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CAPITALE UMANO Storie di vini: Montefalco, Caprai e il Sagrantino Un'esperienza imprenditoriale di successo trasforma il territorio in una ricercata meta turistica Max Bergami Nel cuore dell'Umbria, al centro del triangolo formato da Foligno, Todi e Spoleto, sta Montefalco: un piccolo

comune medioevale di origine romana, abitato da poco più di 5mila persone. Dalla torre del Palazzo

Comunale si dominano le colline circostanti ricoperte di viti. Qui, in un fazzoletto di terra che oltre a

Montefalco comprende parte dei comuni di Bevagna, Giano dell'Umbria, Gualdo Cattaneo e Castel Ritaldi,

viene prodotto il Sagrantino: un vino longevo, strutturato, ricco di polifenoli e tannini. Il successo

internazionale del Sagrantino, la bellezza del territorio, la valorizzazione del patrimonio artistico, insieme a

una diffusa imprenditorialità e alla capacità di fare squadra con le istituzioni hanno trasformato questo

territorio in una ricercata destinazione turistica. Oggi sulla Strada del Sagrantino si produce un fatturato

annuale di 60­70 milioni di euro, calcolando solo la produzione vinicola e il turismo, senza considerare

ristorazione e indotto. La storia inizia come tante altre negli anni Settanta, quando alcuni imprenditori

decidono di recuperare un vitigno ormai scomparso; nel 1979 arriva la denominazione, poi nasce il

Consorzio e infine arriva la Docg. Poi, nel 1988, Marco Caprai, figlio di Arnaldo (uno dei pionieri del

Sagrantino), fa un viaggio in Napa Valley e tocca con mano cosa hanno saputo costruire in California,

partendo da risorse molto inferiori a quelle della maggior parte dei territori italiani. Presa in mano la cantina,

Marco inizia dal vigneto, rivedendo la forma di allevamento delle viti e i tempi di maturazione, garantendo

un'omogeneità qualitativa elevata, grazie alla nuova forma a doppio cordone speronato (come molti dei vini

nobili internazionali)e alla riduzione della distanza tra gli impianti. La vendemmia, che si protraeva anche

fino all'inizio di novembre, tornaa svolgersi nella terza decade di settembre, come nel Cinquecento,

secondo quanto prescritto dagli statuti comunali dell'epoca. La maggior parte delle aziende del Consorzio

inizia a utilizzare questo modello e in pochi anni vengono prodotti vini inattesi in questo piccolo territorio; la

Cantina Arnaldo Caprai realizza un'escalation di risultati: dai 3 bicchieri, ai 97 punti di Robert Parker, fino al

riconoscimento di European Winery of the Year nel 2013, scavalcando i francesi e molti altri. È un successo

dovuto alla qualità del prodotto, realizzato con passionee competenza, ma anchea un approccio

manageriale e a una capacità di comunicazione inusuale per un'azienda di queste dimensioni. Un esempio

tra tuttiè la spettacolarizzazione di testimonial hollywoodiani (quando Zeta Jones e Douglas scelgono il

Sagrantino come vino per il loro banchetto nuziale). Si spiana così la strada verso gli Usa che, insieme ad

altri 40 paesi, nel 2015 hanno assorbito il 40% delle vendite. L'ultima innovazione di Caprai, che ha

coinvolto prima un gruppo di aziende e poi il Consorzio,è la realizzazione del primo protocollo certificato in

Italia sulla sostenibilità in campo vitivinicolo. Secondo un approccio dinamico, finalizzato alla competitività

delle imprese attraverso una nuova relazione con l'ambiente, questo progetto si basa ampiamente sulla

misurazione. La riduzione ad oggi del 30% delle emissioni di CO2, del 20% del consumo di energia

derivante da combustione fossilee del 70% dell'impiego di fitofarmaci sono alcuni indicatori esemplificativi.

Questa esperienza imprenditoriale ha portato grande visibilitàa un contesto locale di piccole imprese. Con

lo stesso spirito, Montefalco ha saputo muoversi attraverso una serie di eventi che hanno collegato il

turismo culturale all'interesse per il Sagrantino. Ecco che di fianco a Cantine Aperte, la Mangialonga, la

settimana enologica, i festival di musica folk, negli ultimi 15 anni sono state proposti eventi culturali di

richiamo internazionale, partendo dalla valorizzazione degli affreschi della Chiesa di San Francesco, sede

del Museo di Montefalco,a opera di Benozzo Gozzoli e del Perugino. Ecco che vengono ospitate tutte le

opere di Benozzo Gozzoli appartenenti a importanti musei internazionali; poi viene esposta una lettera in

cui il maestro scrive di non voler lasciare Montefalco perché impegnato a realizzare gli affreschi; nello

stesso periodo questa pergamena viene acquistata, grazie all'impegno di Arianna Caprai che realizza dei

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 124

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braccialetti Cruciani finalizzati alla raccolta di finanziamenti; in questo momento viene esposta la Madonna

della Cintola, un prestito della Pinacoteca Vaticana, che ha già portato decine di migliaia di visitatori.

Stiamo parlando di un comune piccolissimo, di un territorio limitato e di imprese familiari. Si tratta però di un

caso che propone un modello di crescita sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale,

coerente con le dimensioni della maggior parte delle aziende agricole, delle imprese turistiche, dei comuni

e delle istituzioni artistiche e culturali italiane. Questo territorio ha saputo riscoprire una risorsa (il

Sagrantino), utilizzare un champion (Caprai), valorizzare una risorsa storica (Benozzo Gozzoli), proporre

delle attività culturali (mostre ed eventi) e generare un nuovo tipo di attrattività (turismo internazionale). Per

crescere in questa direzione servono risorse umane, per cui nonè un caso che qui siano presenti

collaborazioni con università e scuole, incluso un progetto sperimentale che hanno trasformato i vigneti

nell'aula didattica di un'Its. Si tratta di un modello ampiamente replicabile perché la specificità non è nel

contesto, ma nel metodo. Per valutarne il potenziale impatto, basti pensarea quanti potrebbero esserei

Montefalco in Italia. Intanto, a sulla Strada del Sagrantino si stanno dando un gran da fare e, considerando

che l'agricoltura è un settore in cui girando l'interruttore, la luce si accende dopo5 anni, chissà cosa

vedremo nel 2020.

Foto: * Bologna Business School, Università di Bologna

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 125

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Un dato in chiaroscuro In gennaio sono stati creati 151mila nuovi posti, in forte calo rispetto a dicembre Delude ma tiene il lavoro Usa Gli effetti sulla politica monetaria Ora è possibile che la Fed decida con maggiore cautela la prossimastretta Creati meno posti del previsto - Scende ancora il tasso di disoccupazione Ai minimi da otto anni,dall'inizio della presidenza Obama, la quota dei senza lavoro pari al 4,9% Incrementi nei salari Marco Valsania NEW YORK pIl mercato del lavoro americano frena in gennaio, inaugurando il 2016 con la creazione di

151mila nuovi impieghi dopo averne generati in media 279mila al mese nel corso del quarto trimestre

dell'anno scorso. Il passo resta tuttavia sufficiente a proseguire il risanamento dell'occupazione, sopra la

soglia di centomila che Janet Yellen ritiene necessaria a garantire stabilità. Ancor più perché

accompagnato da un calo del tasso dei senza lavoro al 4,9% dal 5%, ai minimi da otto anni, e da salari

orari che hanno evidenziato benvenuti incrementi mensili dello 0,5 e del 2,5 nell'ultimo anno. Se

l'espansione americana risente delle tensioni globali, insomma, finora regge i colpi e mostra solidità,

allontanando spettri di ricadute in recessione e rilanciando la possibilità di nuovi rialzi dei tassi d'interesse

quest'anno, forse fin da marzo. Il giudizio più conciso, sulla frenata ma non troppo del mercato del lavoro e

le implicazioni di politica monetaria, è spettato agli analisti di Barclays: "Confusa". Se è stata più brusca

delle previsioni ufficiali di Wall Street ­ 190mila posti­ non ha dato adito ai crolli ormai temuti da molti. Timori

che erano stati aggravati dal recente stillicidio di statistiche deludenti: da un Pil cresciuto dello 0,7% nel

trimestre passato fino al deficit commerciale, reso noto a sua volta ieri, che a dicembre è peggiorato del

2,7% a 43,4 miliardi scontando il terzo calo consecutivo, dello 0,3%, nelle esportazioni. Nell'intero 2015

l'exportè sceso per la prima volta dalla recessione. Quel che emerge dal quadro occupazionale, secondo gli

analisti, è però ciò che in realtà già era parso chiaro davanti alle turbolenze economiche e di mercato: la

Fed, dopo aver avviato la sua manovra di graduale normalizzazione della politica monetaria a dicembre,

potrebbe se necessario procedere con ancora maggior delicatezza, soprattutto rispetto a originali ipotesi di

quattro rialzi nel 2016. Per Barclays al momento sono immaginabili due mini­strette, a giugno e dicembre.

Per altri non più d'una strettaa fine annoe per altri ancora nessun ulteriore intervento restrittivo. Ma, ha

avvertito Moha­ med El­Erian, il capo consigliere economico di Allianz, è «troppo presto per escludere una

nuova stretta a marzo». La "confusione" del dato diventa così per la Fed un dilemma, non un dramma, da

risolvere più che mai dati alla mano­i prossimi da qui a marzo ­ e con il continuo monitoraggio degli sviluppi

internazionali. E il mercato future ha confermato empiricamente che questa convinzione si sta facendo

strada anchea Wall Street: dopo aver spinto in ribasso fino al 10% le probabilità di una stretta a marzo, ieri

le ha subito alzate al 14 per cento.E "vede" il 58% di chance di una stretta a dicembre, in precedenza

invece esclusa. Sulle piazze valutarie il dollaro, a sua volta sostenuto da prospettive di nuove strette sui

tassi, è tornato a guadagnare terreno. Un atteggiamento prudente senza affrettate marce indietro, da parte

della Fed, era stato già adottato dalla Fed nell'ultimo vertice del mese scorsoe successivamente ribadito da

prese di posizioni di suoi influenti esponenti, che hanno segnalato la disponibilità a tener conto di strette

nelle condizioni finanziarie e di un loro eventuale impatto sull'economia. E oggi cautela, non pessimismo,è

contenuta nei dettagli del nuovo dato sull'occupazione. I servizi hanno creato 118mila impieghi in gennaio,

con il comparto retail che ha aggiunto 58mila posti di lavoro, la sanità 37mila impieghi, la finanza 18mila. Il

comparto manifatturiero, seppur reduce da quattro mesi di contrazioni stando all'indice ISM dei direttori

acquisti delle aziende, haa sua volta generato a sorpresa il mese scorso 29mila occupati, mentre l'edilizia

ne ha creati 18mila. Solo il settore minerario ha perso altri 7.000 addetti. I salari orari sono nel frattempo

lievitati di 12 centesimi a 25,39 dollari, aiutati dall'aumento del salario minimo scattato in 14 su 50 stati

americani. Il dipartimento del Lavoro ha inoltre rivisto quasi a somma zero le statistiche occupazionali dei

due mesi precedenti: ha ridimensionato gli impieghi creati a dicembre,a 262mila da 292mila,e alzato quelli

di novembre, a 280mila da 252mila, con una perdita netta complessiva di duemila posti. Il tasso di

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partecipazione alla forza lavoro è rimasto ai minimi da 40 anni ma è risalito al 62,7% dal 62,6 per cento.

Il gap tra America ed Europa10,4 *4,9 ** 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Stati Uniti Unione europea 2014 2015 2016 * Dato al 15/12/2015 -

** Dato al 15/1/2016 Disoccupazione Usa e Ue. In percentuale Fonte: Us Bureau of Labor Statistics,

Eurostat

Foto: Sotto il 5%. Il briefing di Barack Obama sulla disoccupazione,scesa sotto il 5% per la prima volta dal

febbraio 2008

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 127

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IL GRUPPO COVER 50 / L'intervista I pantaloni Pt Torino sbarcano a New York "L'America può valere il 20%del fatturato" L'ad Pierangelo Fassino: lanciamo una nuova società e uno showroom GIUSEPPE BOTTERO Quattrocento metri quadrati nel centro di New York, al numero 171 di Madison Avenue. Cover 50 sbarca in

America dalla porta principale, con una nuova società - P t Usa Corp - e uno showroom che verrà aperto

nel cuore della via dello shopping. «E' un passo importante, coerente con la nostra strategia di

internazionalizzazione», dice Pierangelo Fassino, presidente dell'azienda torinese fondata nei primi Anni

Settanta. Per il gruppo dei pantaloni il 2015 è stato un anno di svolta, con lo sbarco a Piazza Affari sull'Aim,

listino di Borsa italiana dedicato alla piccole e medie imprese. «E' stato impegnativo, ma ora ci permette di

fare operazioni che, altrimenti, sarebbero stati complicate», sorride l'amministratore delegato, il figlio

Edoardo Fassino. I conti del 2015 Nei primi nove mesi dell'anno i ricavi sono aumentati del 3%, sopra quota

22 milioni di euro, e l'Ebitda - pari al 30% del fatturato - è cresciuto sia nei confronti del trimestre

precedente (26%) sia rispetto all'intero esercizio del 2014 (29%). Ora è tempo di cambiare marcia,

soprattutto oltreoceano. «Gli Stati Uniti rappresenteranno uno dei pilastri della nostra crescita nel medio

termine», spiega Fassino. Non si tratta di un salto nel vuoto: la società opera negli States da un paio d'anni,

attraverso un distributore. Ma è arrivato il momento di seguire il business direttamente, ragiona il

presidente, perché «ci sono potenzialità enormi». «Però è un mercato molto complicato», aggiunge

Edoardo Fassino «e sono necessari investimenti importanti». La bandierina piantata nel cuore della Grande

Mela non è l'unica fuori dai confini nazionali: Cover 50, che vende in quaranta Paesi, ha showroom a

Milano, Tokyo e Monaco di Baviera. Non è un caso: il 60% dei ricavi vengono realizzati all'estero e il

Giappone è la prima piazza, seguita da Germania, Olanda, Belgio. Negli anni i pantaloni hanno conquistato

estimatori importanti: sono per esempio entrati nel guardaroba del presidente americano Barack Obama, re

Juan Carlos di Borbone e Marco Tronchetti Provera. Gli eventi negli store L'America è ancora una piccola

fetta nella torta del fatturato, ma l'obiettivo è farla salire oltre il 20 per cento. «Il mercato americano ha

bisogno di u n r i n n ova m e n t o, i n o s t r i p a n t a l o n i s t a n n o a n d a n d o molto bene - dice

Edoardo Fassino -. Cercheremo di aumentare la nostra visibilità nei punti vendita, organizzando degli

eventi». Linee diversificate Il cavallo di battaglia restano i Pt01, pantaloni formali, da uomo, che valgono

oltre il 70% del fatturato. Ma negli anni l'azienda torinese, che nello stabilimento di Pianezza dà lavoro a

una quarantina di dipendenti e produce 300 mila capi all'anno, ha diversificato le linee, con i jeans Pt05, e i

Pt01 dedicati alle donne. Infine, una nicchia: i bermuda. Come da tradizione, anche in futuro, nessuna

svolta improvvisa: «Andiamo avanti con la politica dei piccoli passi - assicura Fassino -. La cosa più

importante è fare bene il nostro lavoro». c

22milioni Nei primi nove mesi dell'anno i ricavi di Cover 50 sono aumentati del 3%

Foto: La base In foto uno showroom di Cover 50 Il prossimo aprirà a New York, in Madison Avenue «E' un

passo importante, coerente con la nostra strategia», commenta il presidente Pierangelo Fassino, che ha

creato l'azienda nei primi Anni Settanta La sede si trova a Pianezza, a pochi chilometri da Torino

Foto: Al vertice Il presidente Pierangelo Fassino con il figlio Edoardo, amministratore delegato dell'azienda

Cover 50 è sbarcata a Piazza Affari la scorsa primavera È quotata sull'Aim, listino di Borsa italiana dedicato

alle piccole e medie imprese

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 128

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SULLA STRADA DEI DUCATI Fiac passa alla svedese Atlas Copco At l a s C o p c o, multinazionale svedese specializzata nella fornitura

di compressori, espansori e sistemi di trattamento dell'aria, e la famiglia Lucchi di Bologna hanno

sottoscritto un accordo preliminare vincolante per la cessione di Fiac. La famiglia Lucchi è stata assistita da

K Finance (sedi a Reggio Emilia e Milano), con l'amministratore delegato Filippo Guicciardi. Atlas Copco è

stata assistita, per la parte legale, dal focus team media impresa di BonelliErede, mentre gli aspetti fiscali

sono stati seguiti da Pwc Tax & Legal. Il closing dell'operazione, che ha coinvolto tutte le società del gruppo

target, con sedi in Italia, Polonia, Russia, Hong Kong, Cina e Brasile (in totale 400 addetti), è previsto nella

primavera di quest'anno. Nel 2014 Fiac ha registrato un fatturato di circa 70 milioni di euro. I compressori

prodotti da Fiac sono usati in un ampio spettro di applicazioni industriali e professionali da piccole e medie

imprese che vanno dalle officine per la riparazione di auto a società manifatturiere. Comprital, dolcezze da

25 milioni Comprital, l'azienda di Settala da trent'anni al top nel settore degli ingredienti per gelateria, apre il

2016 con l'annuncio della nascita di Comprital Group. La holding, presieduta dal fondatore, il bolognese

Gianni Osti, avrà il compito di gestire, oltre alla capogruppo, anche le due aziende estere, Comprital Polska

e Comprital Shanghai e la neo acquisita «La Preferita», azienda parmigiana dagli anni Cinquanta leader

nella produzione di paste per gelateria e pasticceria. Fabrizio Osti assume la presidenza de La Preferita

che vedrà come amministratore delegato Stefania Garavaldi, figlia del fondatore. Giancarlo Tinti invece è il

nuovo amministratore delegato di Comprital Group che porta il fatturato verso i 25 milioni di euro con

l'export ben oltre il 50% in quasi 70 Pesi del mondo.

06/02/2016Pag. 55 N.25 - 6 febbraio 2016

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