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ANIEM
Rassegna Stampa del 08/02/2016
INDICE
ANIEM
08/02/2016 Corriere Imprese Emilia-Romagna
Aimag, sono dieci i pretendenti alla privatizzazione8
ANIEM WEB
05/02/2016 informamolise.com 11:34
L'Aniem presenta le proposte sulla riforma degli appalti11
05/02/2016 www.infobuild.it 03:57
Delega Appalti: professionalità, trasparenza, rigore12
SCENARIO EDILIZIA
07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Ance, le dimissioni a sorpresa del presidente De Albertis14
07/02/2016 Corriere della Sera - Bergamo
Palafrizzoni, lite all'Edilizia Il dirigente cambia settore15
06/02/2016 Corriere della Sera - Roma
Consorzio Linea «C» dopo lo stop cantieri, via ai licenziamenti17
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Italia-Egitto, scambi per 5 miliardi18
08/02/2016 Corriere Economia
Caro-affitti, i rischi per le fasce più deboli20
08/02/2016 Il Sole 24 Ore
Ritardi di pagamento in diminuzione21
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Istat: la crescita prosegue, passo moderato23
06/02/2016 La Repubblica - Roma
Il Colosseo torna "libero" ponteggi via dopo 3 anni25
08/02/2016 La Repubblica - Affari Finanza
Fincantieri, Credit Suisse non ha azioni dell'Ipo26
08/02/2016 Il Messaggero - Nazionale
Costruttori divisi sul dopo crisi, De Albertis pronto a lasciare27
06/02/2016 Il Messaggero - Roma
Metro C, niente arretrati dal Comune alle imprese: operai messi in mobilità28
06/02/2016 ItaliaOggi
#Sbloccascuole, pronti 480 milioni29
08/02/2016 L'Unità - Nazionale
Terremoto all'Ance De Albertis minaccia le dimissioni30
06/02/2016 L'Unità - Nazionale
Scuola, Renzi scrive ai sindaci «Liberati 480 milioni per l'edilizia»31
06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Ancona
Lavoro nero, due ditte nel mirino32
06/02/2016 QN - Il Resto del Carlino - Pesaro
E' crollato l'impero edilizio della coppia Minardi-Taus: un buco da oltre 100 milioni33
07/02/2016 Il Mattino - Nazionale
L'edilizia pubblica tra inefficienza e malessere sociale34
07/02/2016 Il Mattino - Salerno
Lavoro nero blitz nei cantieri e al Campus35
06/02/2016 Il Mattino - Nazionale
Ponticelli, presto una nuova casa per 101 famiglie36
06/02/2016 Il Tempo - Nazionale
Spunta un'altra lista nera di case comunali37
06/02/2016 Espansione
«Monte Carlo terra fertile per le imprese italiane»41
SCENARIO ECONOMIA
07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Sulla corsa alla Casa Bianca le scommesse di Wall Street47
07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Padoan: banche solide senza lo Stato In Germania aiuti per 240 miliardi48
07/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Amazon e Fb campioni in Borsa Ma è l'industria a creare lavoro50
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Non si riparte solo con i bonus51
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Renzi e i margini sui conti pubblici: Bruxelles ci dia quello che ci spetta52
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Più risparmi che consumi54
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Intesa raddoppia l'utile, «l'Italia va»56
06/02/2016 Corriere della Sera - Nazionale
«Mps, un partner per gestire i crediti»58
08/02/2016 Corriere Economia
Il pasticcio di Ansaldo Sts e la nuova (possibile) carriera del giovane Siragusa59
08/02/2016 Corriere Economia
Marcegaglia In campo per la partita Ilva62
08/02/2016 Corriere Economia
L'acciaio esiste (e vive a Bruxelles)64
08/02/2016 Corriere Economia
Mister Edelman: «Più fiducia nelle aziende, ma servono veri leader»65
08/02/2016 Il Sole 24 Ore
Una spallata alle vecchie abitudini67
08/02/2016 Il Sole 24 Ore
Università a dieta: le entrate giù del 15%69
08/02/2016 Il Sole 24 Ore
Ora bisogna ripartire dal Fondo72
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
Il mercato del lavoro e l'enigma che non c'è73
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
La ferita dei giovani disoccupati75
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
Schermaglie tra banche centrali77
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
Banche italiane, la solidità nei bilanci78
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Renzi: la flessibilità è un diritto80
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Padoan: fare presto con l'investimento di Hitachi in Ansaldo*81
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Bankitalia, chiuse tutte le 11 procedure di crisi83
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Guardare lontano per decidere bene e subito85
08/02/2016 La Repubblica - Nazionale
"Draghi non deve mollare l'acquisto di titoli proceda"87
08/02/2016 La Repubblica - Nazionale
L'ombra di una nuova recessione affossa il dollaro e inguaia l'Europa88
08/02/2016 La Repubblica - Nazionale
"Un pezzo di carta fantasma è la prova che piace ai boss"90
07/02/2016 La Repubblica - Nazionale
MA RENZI VUOLE UN MINISTRO DEL TESORO EUROPEO?91
07/02/2016 La Repubblica - Nazionale
Risparmi sanità incerti e giochi sovrastimati tutti i dubbi Ue sull'Italia94
07/02/2016 La Repubblica - Nazionale
"Dagli Usa all'Europa, élite sempre più isolate"96
07/02/2016 La Repubblica - Nazionale
Il decreto banche ancora bloccato spunta lo stralcio97
06/02/2016 La Repubblica - Nazionale
"Chiesti 480 milioni a 76 ex manager delle quattro banche Vadano alle vittime"99
06/02/2016 La Repubblica - Nazionale
Usa, frena il lavoro dubbio Fed sui tassi101
06/02/2016 La Repubblica - Nazionale
"Corretta l'Opa di Hitachi Consob si sbaglia su Ansaldo"103
08/02/2016 La Stampa - Nazionale
L'eterno ritorno del conflitto d'interessi Si vota la legge105
08/02/2016 La Stampa - Nazionale
Il petrolio iraniano arriva in Europa Negli Usa produttori low cost in crisi106
06/02/2016 Milano Finanza
Cimbri (Unipol): che sfide, ma manterremo le promesse107
06/02/2016 Milano Finanza
E non ci fermiamo qui109
06/02/2016 Milano Finanza
Regine del fintech111
06/02/2016 Milano Finanza
Lampi e tuoni in borsa Ma è pioggia di dividendi*115
SCENARIO PMI
08/02/2016 Corriere Economia
Distribuzione La ritirata delle grandi superfici119
08/02/2016 Corriere Economia
Imprese I big al mercato delle startup121
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
Padoan: risultati importanti dalla lotta all'evasione123
07/02/2016 Il Sole 24 Ore
Storie di vini: Montefalco, Caprai e il Sagrantino124
06/02/2016 Il Sole 24 Ore
Delude ma tiene il lavoro Usa126
08/02/2016 La Stampa - Nazionale
I pantaloni Pt Torino sbarcano a New York "L'America può valere il 20% delfatturato"
128
06/02/2016 Milano Finanza
SULLA STRADA DEI DUCATI129
ANIEM
1 articolo
Aimag, sono dieci i pretendenti alla privatizzazione La multiutility della Bassa modenese cerca partner. Il pressing di Hera Nicola Tedeschini Margine operativo lordo a 48 milioni di euro entro il 2018, in modo che sia sempre pari a oltre la metà della
posizione finanziaria netta, e che alimenti gli 85 milioni di investimenti previsti nel triennio. È riassumibile
così, il nuovo piano industriale di Aimag: per la multiutility della Bassa modenese e mantovana, l'equilibrio
di stato patrimoniale non preclude né il miglioramento dei servizi nei settori acqua, energia, gas e ambiente;
né la possibilità, spiega una nota, di «cogliere eventuali opportunità offerte dal mercato». Il gruppo
presieduto da Mirco Arletti, democratico di scuola Pci, ragiona dunque da cacciatore? Invero, le cronache
recenti dicono il contrario, narrando del prosieguo delle manovre per la privatizzazione, ulteriore o totale.
Ad aprile 2015, mentre dal Comune di Mirandola partiva l'invito a presentare le manifestazioni di interesse,
Dino Piacentini, allora accreditato come unico competitor di Hera, si disse possibilista sull'entrata in scena
di altri attori. Non ha avuto torto: i nomi svelati a metà gennaio dall'advisor PwC sono ben sette. La strada
pare in salita per tre di loro: Canarbino, spa con base nella ligure Sarzana; Fratelli Baraldi, storico gruppo
modenese del settore edilizia e grandi opere; e Austep, società di Milano che si occupa di ingegneria
energetica, in particolare per le rinnovabili. Alla fine, la vera carta a sorpresa l'ha invece calata proprio lui,
Piacentini: alfiere delle «sinergie industriali su obiettivi comuni», ha smentito le ipotesi che lo volevano
alleato delle vicine di casa di Aimag, ovvero Tea e Sorgea, presentandosi in cordata con l'ambizioso
Gruppo Estra. Con sede a Prato, Estra è controllata da 97 amministrazioni comunali toscane; e, finora
allargatosi solamente nell'Italia centrale, pare a caccia del primo avamposto a Nord degli Appennini. A
breve, dovrebbe dunque entrare nel capitale di Piacere Aimag, società veicolo fondata l'anno scorso da
Piacentini, già oggi partner della multiutility della Bassa per il servizio idrico, assieme agli altri imprenditori
modenesi Alberto Reggiani, tuttora socio tecnico per i rifiuti, ed Emer Borsari. In tal senso, l'alleato toscano
completa il cerchio con il proprio know how nella distribuzione del gas, terreno sul quale incombono le aste
in calendario per inizio 2017. La cordata propone un doppio binario: insiste sul meccanismo delle azioni
correlate, grazie a cui i partner dell'ex municipalizzata ricevono il 40% dei profitti limitatamente al settore in
cui operano; e punta a rilevare, anche tramite aumento, il 14% della capogruppo. Fissando tale soglia,
Piacentini intende rispettare il dogma della maggioranza assoluta in mano pubblica, quella dei ventuno
Comuni della Bassa, per questo smentendo apparentemente la logica del «tutto tranne Hera». Se a Viale
Berti Pichat resta infatti il 25% conquistato con 35 milioni nella solitaria asta di sette anni fa, l'ultimo 10%
appartiene alle Fondazioni di Carpi e Mirandola, che hanno espresso la disponibilità a salire fino al
raddoppio della quota, acquisendo eventualmente chip di minoranza nelle controllate. L'offerta non è
dissimile, e anzi pare integrabile, a quella messa sul tavolo, al momento in conto proprio, da una loro
possibile alleata, la Tea di Mantova, capace di spostare il baricentro oltre confine, su un asse fortemente
medio-padano. Per Hera, che si è espansa sulla dorsale adriatica fino all'Abruzzo colonizzando una fetta di
Nord-Est, la Pianura Padana dovrebbe essere il giardino di casa: e invece il bottino recente si limita
all'acquisto, a fine 2014, della Ecoenergy di Castiglione delle Stiviere, società di trattamento dei rifiuti
fondata da un politico di centro-destra. Già presente nel cda di Aimag con i propri massimi esponenti,
Tommasi di Vignano e l'ad Stefano Venier, il colosso ha ora confermato nero su bianco di volere la
maggioranza di controllo. La mossa è stata interpretata come propedeutica all'annessione definitiva dalle
opposizioni presenti nei vari Consigli comunali, a cui è ora passata la palla. Sul calendario, è segnato il 9
maggio: quando, salvo rinuncia esplicita, sarà rinnovato fino all'autunno 2017 il patto parasociale tra Hera e
le 21 amministrazioni azioniste. L'alternativa, minacciata ormai da anni, è la sfida fratricida nelle gare per il
08/02/2016Pag. 9 Corriere Imprese Emilia-Romagna
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ANIEM - Rassegna Stampa 08/02/2016 8
gas, Antitrust permettendo. Aimag, che rischierebbe grosso sull'ambito ottimale Modena 1, in sostanza il
bacino da lei servito finora, con il nuovo piano industriale ha destinato alle reti del metano 12 milioni: per
aste all'ultimo sangue, non paiono tantissimi. Piccolo o grande, un cavaliere bianco deve per forza arrivare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Chi sono Tomaso Tommasi di Vignano , presidente di Hera Mirco Arletti
, presidente di Aimag
Dovepuntal'utilitydellaBassa 2014A k€ Leprevisionidelpianoindustriale EBITDA INVESTIMENTI
DIVIDENDI CASHFLOW PFN 45.785 18.517 5.444 8.909 76.885 43.642 23.805 5.749 (2.693) 79.578
43.243 40.702 3.939 (18.950) 98.528 48.445 20.390 3.939 8.350 90.178 45.671 21.927 5.037 3.320
85.794 2015F 2016E 2017EA 2018E
Foto: La competizione In gara Dino Piacentini con il gruppo Estra, Canarbino, Fratelli Baraldi, Austep
Foto: La scadenza Il 9 maggio sarà rinnovato fino al 2017 il patto tra Hera e i 21 Comuni azionisti
08/02/2016Pag. 9 Corriere Imprese Emilia-Romagna
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ANIEM - Rassegna Stampa 08/02/2016 9
ANIEM WEB
2 articoli
L'Aniem presenta le proposte sulla riforma degli appalti L'ANIEM (Associazione Nazionale Imprese Edili a cui l'ACEM aderisce), recependo anche le osservazioni
elaborate dall'ACEM, ha presentato alla Presidenza del Consiglio le proposte sulla riforma degli appalti
pubblici.
Tra le priorità ritenute essenziali dall'ANIEM la valorizzazione del know how reale delle imprese nella
qualificazione: personale, attrezzature ed esperienze; la trasparenza e professionalità delle commissioni
giudicatrici; l'obbligo di pubblicità delle scelte della Pubblica Amministrazione sull'intero iter della
commessa: dalla fase pre gara alle eventuali varianti approvate; il maggiore rigore e selettività nell'uso
dell'avvalimento; l'esclusione automatica delle offerte anomale nei casi di utilizzo del massimo ribasso.
"Riteniamo che negli appalti e nelle concessioni di lavori, ai fini della qualificazione delle imprese, sia
fondamentale valorizzare le risorse umane nell'organico aziendale - spiega il Vice Presidente dell'ANIEM
Angelo Santoro - con particolare attenzione alla manodopera, ossia alla forza operaia, per premiare le
imprese che abbiano un know how reale e per incentivare le assunzioni. L'avvalimento deve essere più
rigoroso e solo per alcune parti specialistiche delle lavorazioni, perché non è concepibile che un soggetto
che nulla sa di edilizia, facendosi prestare i requisiti possa eseguire opere intere".
Tra le proposta presentate alla Presidenza del Consiglio la valorizzazione del dato inerente le attrezzature
tecniche di proprietà, in quanto indice dell'interesse ad effettuare investimenti sui lavori e la necessità che
nei bandi di gara o negli inviti la stazione appaltante indichi se nel lavoro oggetto dell'appalto vi siano
lavorazioni che per la loro specificità richiedono di essere eseguite da imprese con esperienza qualificata:
in tal caso, le imprese che intendano partecipare dovrebbero dimostrare in maniera rigorosa di aver
maturato una significativa esperienza in lavori analoghi a quelli da affidare.
05/02/2016 11:34Sito Web informamolise.com
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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 08/02/2016 11
Delega Appalti: professionalità, trasparenza, rigore Per l'Associazione Aniem è positiva la legge Delega Appalti approvata dal Governo, ma formula le proprie
osservazioni sulla stesura, rispondendo alla consultazione promossa dalla Presidenza del Consiglio.
Queste le priorità evidenziate da Aniem:
Valorizzare il know how reale delle imprese nella qualificazione: personale, attrezzature ed esperienze;
Trasparenza e professionalità delle commissioni giudicatrici;
Obbligo di pubblicità delle scelte della Pubblica Amministrazione sull'intero iter della commessa: dalla fase
pre gara alle eventuali varianti approvate;
Maggiore rigore e selettività nell'uso dell'avvalimento;
Esclusione automatica delle offerte anomale nei casi di utilizzo del massimo ribasso.
Per Aniem negli appalti e nelle concessioni di lavori, ai fini della qualificazione delle imprese, è
fondamentale valorizzare le risorse umane nell'organico aziendale, con particolare attenzione alla
manodopera assunta ( forza operaia), non potendosi ritenersi realmente indicativo il dato del personale
amministrativo assunto.
Ciò, per premiare le imprese che abbiano un know how reale e per incentivare le assunzioni.
Sempre ai fini della qualificazione delle imprese, è necessario valorizzare il dato relativo alle attrezzature
tecniche di proprietà, in quanto indice dell'interesse ad effettuare investimenti sui lavori.
Nei bandi di gara o negli inviti la stazione appaltante dovrà indicare se nel lavoro oggetto dell'appalto vi
sono lavorazioni che per la loro specificità richiedono di essere eseguite da imprese con esperienza
qualificata. In tal caso, ai fini della qualificazione, le imprese che intendono partecipare dovranno
dimostrare di aver maturato una significativa esperienza in lavori analoghi (da interpretarsi in modo
restrittivo) a quello oggetto di gara.
05/02/2016 03:57Sito Web www.infobuild.it
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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 08/02/2016 12
SCENARIO EDILIZIA
21 articoli
Il caso Ance, le dimissioni a sorpresa del presidente De Albertis Prova di forza nell'associazione costruttori. L'imprenditore: dopo la crisi deve cambiare tutto Dario Di Vico Il presidente dell'Ance, Claudio De Albertis, ha messo sul tavolo dell'associazione le proprie dimissioni.
Eletto nel luglio 2015, dopo una dura competizione elettorale con l'emiliano Gabriele Buia che li aveva visti
gareggiare testa a testa, De Albertis non vuole condizionamenti nella sua azione che considera di profondo
rinnovamento della rappresentanza dei costruttori italiani. Da sempre nell'Ance (circa 20 mila aziende
iscritte) esistono più anime, convivono infatti sotto lo stesso tetto le pochi grandi imprese strutturate del
settore (con 3-4 miliardi di ricavi) con la stragrande maggioranza delle piccole e piccolissime (anche con
meno 5 milioni di fatturato). Oltre alla taglia pesano anche le differenze politico-culturali tra i territori, con le
associazioni del Nord - De Albertis è milanese - più orientate al business privato e quelle del Lazio e del
Sud focalizzate sui lavori pubblici. Non va dimenticato poi lo scenario di fondo che vede la filiera del
mattone uscire da 8 anni di recessione che hanno terremotato il settore (nel sola edilizia si sono persi 560
mila posti di lavoro) e lo hanno lasciato senza un modello di business convincente che quantomeno
prometta di far ritrovare la via maestra. «Il nostro mondo e anche la nostra associazione devono cambiare
profondamente - dichiara De Albertis -. Servono innanzitutto nuovi modelli di impresa che siano in grado di
affrontare il mercato, occorrono politiche industriali per il dopo crisi e va instaurato un nuovo rapporto con la
committenza dei lavori pubblici. Il confronto dentro l'associazione riflette questa difficile ricerca».
Uno dei primi atti della presidenza De Albertis è stato quello di avviare una forte riduzione delle spese
interne all'Ance che ha portato a una prima intesa con i dirigenti e impiegati per gestire la riorganizzazione
con i contratti di solidarietà. Ma è molto probabile che la politica di riorganizzazione debba continuare per
dare agli associati il senso di una salutare presa d'atto della nuova situazione e quindi rimodulare le spese.
Se più in generale la linea del precedente presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, era stata molto attenta alle
Pmi e per così dire sindacal-movimentista, De Albertis vuole mettere al centro quella che chiama «la
qualificazione delle imprese», un salto di qualità dell'offerta che permetta al sistema di affrontare i nodi
cruciali della competizione per come si presenta nella nuova fase. Da qui la grande attenzione, ad esempio,
ai temi della rigenerazione urbana e dell'efficientamento energetico. I contrasti di indirizzo dentro l'Ance si
sono acuiti nelle scorse settimane con un picco di tensione fatto registrare giovedì scorso. L'annuncio delle
dimissioni di De Albertis avrà per l'immediato l'effetto di accelerare il confronto interno e già da domani sarà
possibile capire come si schiereranno i vari gradi dell'associazione. L'Ance fa parte di Confindustria ma in
virtù di un vecchio patto tra i presidenti Pininfarina e Pisa gode di ampia autonomia e pur non volendo De
Albertis rinunciare a questa prerogativa è considerato molto vicino a Giorgio Squinzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi èClaudio De Albertis, è stato rieletto presidente dell'Ance nel luglio 2015, dopo aver battuto Gabriele Buia.
Aveva già guidato l'Ance dal 2000 al 2006
L'AnceL'Associazione nazionale costruttori edili è nata nel 1946 L'Ance rappresenta circa 20 mila aziende in tutta
Italia, dai grandi gruppi con 3-4 miliardi di fatturato alle piccole imprese on meno di 5 milioni di ricavi
07/02/2016Pag. 24
diffusione:298071tiratura:412069
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 14
Palafrizzoni, lite all'Edilizia Il dirigente cambia settore L'accusa di un utente a Cimmino: colpito da una testata. Il Comune: solo una discussione Clima pesante Lalite per una pratica rallentata. E da tempo collaborazione difficile con l'assessore Silvia Seminati Una lite negli uffici del Comune di Bergamo. Un'indagine interna. E un dirigente che passa da un settore
(quello dell'Edilizia privata) a un altro (il Verde). Il litigio è scoppiato a Palazzo Frizzoni una decina di giorni
fa, quando cinque persone (tra cui due architetti) si sono presentate davanti all'ufficio dell'architetto Nicola
Cimmino, che fino a quel giorno era il dirigente dell'Edilizia privata. Un ruolo che ricopriva da quasi cinque
anni. Il gruppo di cittadini è arrivato davanti all'ufficio di Cimmino senza preavviso. Con una richiesta:
sapere perché aveva subìto un rallentamento l'iter burocratico di una loro pratica edilizia per il rilascio del
permesso di costruire. Un intoppo, secondo gli uffici, dovuto al passaggio del documento in ragioneria e
non all'inerzia del personale. Ma la giustificazione non è bastata a convincere le cinque persone. Così è
nata la discussione, anche con toni molto accesi.
L'architetto Cimmino è stato accusato di negligenza da uno dei cinque, a cui ha subito risposto per le rime.
Nei giorni successivi, la vicenda è stata raccontata dai due diretti interessati, però con versioni opposte.
L'utente ha scritto al Comune di aver ricevuto una testata dal dirigente. Anche il dipendente comunale ha
scritto agli uffici, lamentando il comportamento delle cinque persone e, in modo particolare, di una di loro.
Cimmino ha anche presentato una querela per denunciare l'episodio. Atti che hanno fatto scattare
un'indagine interna a Palafrizzoni, visto che la vicenda è successa nei corridoi del Comune.
Dalla ricostruzione, svolta sentendo le persone coinvolte, è emerso che sono volate parole grosse. Per
esempio, la frase «mi stai facendo intimidazioni mafiose», uscita, secondo le testimonianze, dalla bocca di
entrambi. L'indagine ha però escluso un contatto fisico tra i due. Non è stato possibile dimostrarlo. Secondo
il Comune, si è trattato di una discussione, anche se veemente e molto accesa. Non si sono però trovati
elementi di prova per aprire un procedimento disciplinare nei confronti di Cimmino. E dal Comune fanno
sapere che il suo spostamento di un anno alla direzione del Verde non è una punizione. Ma una scelta
concordata dal diretto interessato con il direttore generale, Michele Bertola. Si tratta di un ruolo con un peso
affine a quello ricoperto finora.
Cimmino ieri non ha voluto spiegare quanto è accaduto. «Preferisco non dire niente», le poche parole al
telefono. La vicenda ha creato imbarazzo all'interno dell'amministrazione. E non c'è nessuna voglia di
commentare la vicenda, né tra gli esponenti della giunta, né tra i massimi organi dirigenziali. Però chi
frequenta ogni giorno i corridoi del Comune conosce bene l'ambiente in cui si è sviluppata la lite. Tutti
sanno che Cimmino è un dipendente con una grande esperienza amministrativa, ma con un carattere un
po' fumantino. Una caratteristica esasperata dal ruolo che ha ricoperto fino a pochi giorni fa. Perché
l'Edilizia privata è un settore delicato, dove le pressioni psicologiche sono molto forti: il rapporto con i
cittadini e i professionisti è continuo e non è raro trovare qualcuno pronto a chiedere un occhio di riguardo
per la propria pratica. Anche per questo il dirigente avrebbe meditato da tempo di chiedere lo spostamento.
L'ultima lite è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da tempo, poi, si era persa la sintonia tra il
dirigente e l'assessore all'Edilizia privata, Francesco Valesini. Nulla di personale, ma due diversi modi di
lavorare, in alcuni giorni inconciliabili tra loro. Con l'assessore che ha auspicato più volte un cambio di
passo anche nel modo di organizzare l'attività. E ora all'Edilizia privata arriverà Giorgio Cavagnis, che
lascerà proprio il Verde.
La giunta non si è opposta alla turnazione dei dirigenti, anche perché in linea con la legge
sull'anticorruzione. Una norma che prevede la rotazione del personale dirigenziale che ricopre i ruoli più
delicati. Come quello del responsabile dell'Edilizia privata.
07/02/2016Pag. 3 Ed. Bergamo
diffusione:298071tiratura:412069
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 15
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi èNicola Cimmino (foto) , classe 1954, era dirigente dell'Edilizia privata
di Palafrizzoni da quasi
cinque anni Ora andrà
al Verde,
al posto
del dirigente Giorgio Cavagnis 5 anni l'esperienza
di Nicola Cimmino come dirigente
del settore dell'Edilizia privata
del Comune
di Bergamo
07/02/2016Pag. 3 Ed. Bergamo
diffusione:298071tiratura:412069
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 16
Consorzio Linea «C» dopo lo stop cantieri, via ai licenziamenti «Il Comune ci deve 225 milioni di euro» Mobilitazione dei sindacati, lunedì la protesta Il tracciato Avrebbedovuto raggiungere lo Stadio Olimpico. Rischia il fermo a San Giovanni L'offerta Nell'ultima riunione ilCampidoglio avrebbe offerto 26 milioni, il 10 per cento del dovuto Flavia Fiorentino. Dopo lo stop dei cantieri, arrivano i licenziamenti. Centodieci posti di lavoro a rischio per i dipendenti del
Consorzio Metro C mentre altri 500 lavoratori sono già a casa da tempo. Il consorzio, a cui fanno capo le
opere per la terza linea della metropolitana di Roma, ha aperto le procedure per la mobilità e sono partiti i
licenziamenti.La decisione riguarda amministrativi, progettisti, architetti e capi cantiere che ormai da quasi
dieci anni lavorano alla grande opera romana. Si tratta dell' ultimo passo dello scontro sui pagamenti:
all'appello mancano circa 225 milioni di euro da parte di Comune e Roma metropolitane: 185 milioni per
lavori già eseguiti e 70 tra opere già completate e interessi maturati per i ritardi nei pagamenti. L'ultima
riunione con il commissario Tronca risale proprio al 15 dicembre scorso: il Campidoglio non si sarebbe
spinto oltre un possibile saldo di 26 milioni di euro, appena il 10 per cento del dovuto. Una situazione che
nel tempo ha costretto il contraente generale a supplire con risorse proprie per poter mandare avanti i
lavori. Ma da metà dicembre, dopo quasi 9 anni di lavori, 5 anni di ritardo e un costo complessivo di quasi 4
miliardi di euro (un miliardo più del preventivato), è tutto fermo. «Lunedi alle 12 davanti ai cancelli del
campo base in via dei Gordiani - fanno sapere i sindacati territoriali dell'edilizia Feneal Uil di Roma, Filca
Cisl di Roma e Fillea Cgil di Roma e del Lazio - i lavoratori s'incontreranno per denunciare, con numeri e
dati, il completo fallimento della mobilità capitolina e illustrare le proprie proposte e le prossime azioni».
«Nonostante i disagi sopportati negli anni dai cittadini e lo scandaloso esborso di denaro pubblico - si legge
in una nota - la Metro C rischia di rimanere l'ennesima opera capitolina incompiuta. Con l'apertura delle
procedure di mobilità, il Consorzio ha ufficializzato la chiusura dei cantieri: la Metro C si fermerà forse a
San Giovanni».
Al momento infatti manca tutto il tratto centrale che da San Giovanni avrebbe dovuto condurre allo Stadio
Olimpico passando per Colosseo, Piazza Venezia e San Pietro. Cento milioni basterebbero per far ripartire
i lavori ma il Campidoglio tiene i soldi bloccati a causa delle inchieste in atto che vedono protagoniste
Procura di Roma, Corte dei Conti e Autorità Anticorruzione. Sempre secondo i sindacati, i 500 i posti di
lavoro a rischio si aggiungerebbero «agli oltre 27mila già bruciati in edilizia a Roma e provincia negli ultimi
tre anni. Inoltre sono fermi anche i lavori per la costruzione della metro B2. Una mobilità bloccata
nonostante la quale la politica ambisce a candidare la città alle Olimpiadi del 2024. Una mobilità che
penalizza la vivibilità di tutti noi».
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Foto: L'opera Dopo quasi 9 anni di lavori, 5 anni di ritardo e un costo complessivo di quasi 4 miliardi di euro
(un miliardo più del preventivato), è tutto fermo dal dicembre scorso
06/02/2016Pag. 7 Ed. Roma
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 17
Italia-Egitto, scambi per 5 miliardi Dall'energia alle costruzioni, alla meccanica: il commercio è cresciuto del 9,9%. Il ruolo di Eni e Alexbank Francesca Basso MILANO La scoperta dell'Eni nelle acque egiziane del maxi giacimento di gas Zohr, il più grande mai
rinvenuto nel Mar Mediterraneo, è forse il caso più emblematico di quella relazione storica forte tra l'Italia e
l'Egitto - il Cane a sei zampe è entrato nel Paese nel 1954 -, che si traduce in una presenza consolidata
delle nostre imprese. Sono oltre cento quelle che operano nel Paese in diversi settori, dagli idrocarburi al
tessile, dalle costruzioni all'energia, passando dalla meccanica e dal settore bancario. E i big ci sono tutti:
Pirelli, Saipem, Edison, Ansaldo Energia, Breda, Italcementi, Cementir, Danieli, Trevi, Tecnimont, Iveco,
Technit, Carlo Gavazzi. L'interscambio commerciale, secondo i dati Istat, supera i 5 miliardi di euro ed è in
aumento del 9,9% (2014 sul 2013), con un export in crescita ad oltre 2 miliardi.
Dopo le elezioni del maggio 2014, che hanno portato alla presidenza il generale Al Sisi, i rapporti con l'Italia
si sono intensificati e le missioni governative sono state continue, con l'obiettivo di stringere nuovi accordi
commerciali. L'Italia, secondo l'Ice, è il secondo mercato di sbocco in Europa dopo la Germania. La notizia
dell'uccisione dello studente italiano Giulio Regeni è arrivata mentre al Cairo il ministro dello Sviluppo
economico, Federica Guidi, era in missione con una delegazione di 60 aziende e i rappresentanti di Sace,
Simest e Confindustria. «Un momento difficile», ricorda Marcello Sala, presidente del Business Council
italo-egiziano e vicepresidente esecutivo del consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, che faceva parte
della delegazione. Sala conosce bene l'Egitto, ha cominciato a frequentarlo nel 2006 quando Intesa
Sanpaolo è entrata nel Paese con Alexbank, che ora conta 200 sportelli con personale che parla italiano,
una rete di sostegno per le nostre imprese, soprattutto quelle di medie dimensioni, che vogliono sbarcare in
Egitto. «Il legame non si limita allo scambio di import ed export - spiega Sala -. Ci sono molte storie di
travaso di know how , come il progetto "Cotton for life" presentato in luglio all'Expo, che ha come
protagonista la Filmar». La società bresciana sta promuovendo un progetto per lo sviluppo sostenibile
focalizzato sulla coltura e la valorizzazione del cotone egiziano che è di alta qualità. «Nel Paese opera
anche lo storico cotonificio Alpini di Bergamo. Le nostre imprese godono del supporto di preparazione
professionale dell'Istituto salesiano Don Bosco (che ha due sedi, una al Cairo e una ad Alessandria
d'Egitto, ndr ), che quest'anno ha anche avviato un progetto per un corso di ingegneria con il Politecnico di
Torino».
Il governo egiziano sta incoraggiando gli investimenti esteri nel Paese. Alla Conferenza per lo sviluppo
economico dell'Egitto di Sharm el Sheik dello scorso marzo, a cui avevano partecipato oltre 1.800 delegati
da 70 Paesi, il governo aveva illustrato un piano ambizioso che prevede investimenti per circa 80-90
miliardi su settori strategici: energia, edilizia residenziale, trasporti, grandi opere infrastrutturali e logistica.
Settori in cui il Made in Italy è forte. Ma tra le opportunità offerte dal Paese ci sono anche le
telecomunicazioni, uno dei settori in maggiore crescita. Mentre il turismo, che era in forte espansione, sta
subendo una forte contrazione a causa del rischio elevato di attentati terroristici. «L'impatto è stato
pesantissimo - spiega Sala -. Ma mentre l'economia tunisina si basa prevalentemente sul turismo, quella
dell'Egitto è diversificata. Ha una struttura molto sviluppata di piccole e medie imprese e la manifattura ha
un ruolo importante, così come le telecomunicazioni». L'Italia esporta soprattutto prodotti derivati dalla
raffinazione del petrolio, macchinari meccanici ed elettrici, prodotti chimici e materie plastiche, mentre
importiamo petrolio greggio, metalli, filati tessili, minerali e prodotti chimici. L'ultima missione del Mise ha
contribuito alla finalizzazione dell'accordo per l'ammodernamento e l'espansione della raffineria di Midor,
vicino ad Alessandria d'Egitto, progetto affidato a Technip Italy: un investimento da 1,4 miliardi di dollari.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 18
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Esportazioni in Egitto per settori (2014) Il maxi giacimento scoperto dall'Eni Fonte: Sace d'Arco
L'interscambio commerciale (2004-2014) 0 export import Valori in milioni di euro -1.000 -500 500 1.000
1.500 2.000 2.500 3.000 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Israele Libano EGI
T TO Tamar Aphrodite Leviathan Al Gamil El Temsah 130 km 65 km Mar Mediterraneo Gaza Damietta
LNG ELNG Cisgiordania Zohr ITALIA altro 15,2% moda 3,2% gomma, plastica, materiali da costruzione
3,5% app. elettrici 8,8% meccanica strumentale 34,1% prodotti energetici raffinati 16,3% metallurgia e prod.
in metallo 9,8% prod. chimici 9,1%
La parola
SaceSace è una società del gruppo Cassa depositi e prestiti, che opera nel settore dei prodotti assicurativi e
finanziari: credito all'esportazione, assicurazione del credito, protezione degli investimenti, garanzie
finanziarie, cauzioni e factoring. Presta servizi in 189 Paesi, garantendo flussi di cassa stabili e
trasformando i rischi di insolvenza delle 25 mila imprese che ha come clienti in opportunità di sviluppo.
Sace ha un rating pari a A- (Fitch). Finora ha assicurato un ammontare di operazioni per 70 miliardi di euro.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 19
Caro-affitti, i rischi per le fasce più deboli g. pa. Cresce l'emergenza abitativa e a farne le spese sono in primo luogo le famiglie che non riescono a trovare
un alloggio o a sostenere il costo di un affitto, ma anche gli investitori privati che devono fronteggiare
sempre più spesso la morosità degli inquilini.
Il recente rapporto di Federcasa e Nomisma segnala che 1,7 milioni di nuclei familiari hanno un canone di
locazione superiore al 30% del reddito disponibile, un livello che rende a rischio la possibilità di pagarlo.
L'edilizia pubblica riesce a far fronte solo alle esigenze di 700 mila famiglie, per un milione quindi rimane un
problema che la politica di fatto non ha affrontato da decenni e che cerca di risolvere con periodiche
proroghe degli sfratti. Il rapporto presenta il quadro della situazione degli immobili di edilizia pubblica: gli
alloggi gestiti in locazione nell'intero territorio nazionale sono circa 758 mila, l'86% dei quali assegnati; il
resto o è sfitto oppure occupato da abusivi. La gran parte degli inquilini delle case popolari non ha
alternative per abitare una casa: nel 28,3% la persona di riferimento supera i 75 anni, il 19,6% è compreso
tra 65 e 75 anni; il 44,4% guadagna in un anno meno di 10 mila euro. Molto alti i tempi di permanenza negli
alloggi: il 49% vive nella stessa casa da almeno 20 anni, il 28% da oltre 30 anni.
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IN SOFFERENZA L'emergenza abitativa in Italia 65% 758mila 652mila Quota italiani Abitazioni pubbliche -
occupate 1,7 MILIONI Fonte: Federcasa-Nomisma Famiglie in affitto non in grado di pagare il canone ! s.F.
08/02/2016Pag. 33 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 20
IMPRESE Ritardi di pagamento in diminuzione Enrico Netti I pagamenti tra le aziende vedono un calo di ritardi e protesti e tornano ai livelli del 2012 u pagina 10 p«Per
quanto riguarda protesti e abitudini di pagamento la situazione degli ultimi dodici mesi è nettamente
migliorata». Questa la premessa di Gianandrea De Bernardis, ad di Cerved Group, scorrendo i dati
dell'ultimo Osservatorio aggiornato al terzo trimestre del 2015. I numeri parlano chiaro: rispetto al periodo
più acuto della crisi i pagamenti tra le imprese hanno imboccato una via virtuosa riuscendoa fare un salto
nel passato ritornando ai livelli del 2012. Nella seconda parte del 2015 evidenzia l'analisi dei dati
dell'archivio protesti e di Payline, il database di Cerved sulle abitudini di pagamento di quasi 3 milioni di
aziende italiane le fatture sono state liquidate con meno difficoltà, secondo un trend che coinvolge tutti i
settori e le aree del territorio. Inoltre lo stock dei casi di grave ritardo è ai minimi dal 2012. Il saldo arriva in
media a 76 giorni, quasi due giorni in meno del 2014, con un calo del ritardo che è di poco superiore alle
due settimane, al minimo da tre anni. In flessione anche la casistica dei gravi ritardi, quelli oltre i due mesi,
che nel terzo trimestre del 2015 sono stati pari al 6,6 per cento. «Questo miglioramento si deve in parte al
miglioramento della congiuntura, in parte all'uscita dal mercato delle imprese più deboli aggiunge l'ad di
Cerved . Inoltre le imprese sono diventate sempre più attente nel concedere affidamenti». Dello stesso
parere Eugenio Eger, al vertice della Favini, impresa mediogrande leader nel packaging, nell'editoria di
lusso e nei supporti cartacei usati per produrre l'ecopelle. «Rispetto a cinque anni fa il portafoglio clienti e la
qualità del credito sono miglioratie con essi l'affidabilità commenta . Siamo così riusciti a ridurre i casi di
ritardi e mancati pagamenti». Dello stesso parere Emiliano Baldi, ad della Baldi, Pmi marchigiana che
vende food al mondo della ristorazione, che aggiunge: «per evitare situazioni problematiche ci siamo
strutturati per gestire il credito come una banca, con un aggravio dei costi vicino all'1% del fatturato, ma
riusciamo a ridurre gli insoluti che spesso sono l'anticamera del default del cliente». Un investimento
preventivo che permette di evitare maggiori oneri. Cauto Umberto Pengo, amministratore delegato della
Pengo, azienda del Nord Est specializzata nella distribuzione di accessori per la casa, con una clientala
frammentata in tutt'Italia che spazia dalle catene della Gdo ai negozi di prossimità: «Per noi la situazioneè
stabile e non vediamo indizi di un miglioramento» dice. Continua anchea diminuire in numero delle società
protestate: nel terzo trimestre del 2015 sono state 13.200, un quinto in meno rispetto all'anno precedente e
sotto quota 15mila, che rappresentavano la media nel 2007. «Anche i protesti delle imprese di costruzione
per la prima volta sono calati al di sotto dei livelli precrisi rimarca De Bernardis . È l'effetto di un migliorato
clima economico, come testimoniato anche dal calo delle liquidazioni volontarie delle aziende». Arretrano,
con cali a due cifre, i protesti in tutti i settori del manifatturiero e dei servizi. Fanno eccezione il sistema
moda (2,5%), i prodotti intermedi (4,5%) e il largo consumo (8%). Il ritorno della solvibilità è un fenomeno
che interessa tutti i comparti e le regioni. Certo le attività nel Mezzogiorno fanno più fatica ad avvicinarsi ai
livelli precrisi. Per quanto riguarda le condizioni concordate tra le aziende, la formula più utilizzata è quella
dei 60 giorni. Dall'analisi per classe dimensionale, secondo i dati Payline, emerge anche un incremento
della puntualità delle microimprese e le Pmi, tradizionale anello debole della filiera della fornitura.I tempi
medi si riducono nell'industria e nel terziario mentre c'è una battuta d'arresto al miglioramento nelle
costruzioni. Le imprese della distribuzione hanno limato di 2,6 giorni i ritardi, quelle della logistica di 1,5
giorni e i servizi non finanziari di un giorno. Stabili le costruzioni e in controtendenza i media e
l'intrattenimento (+0,6 giorni),i servizi finanziari (+1,5)e l'immobiliare (+5,2 giorni). Nel manifatturiero il saldo
arriva dopo 80,3 giorni grazie a un calo dei ritardi che nella meccanica è molto consistente (6 giorni) e nel
largo consumo (4,8). In alcuni casi l'allungamento dei tempi concordati, come si è visto nel Nord Est, viene
letto come il segno di una maggiore flessibilità dei fornitori che concedono scadenze un po' più lunghe.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 21
Leggendo i dati dell'Osservatorio viene da pensare che l'Italia sia riuscita a lasciarsi alle spalle la crisi.
«Non del tutto perché al Sud e nelle costruzioni i protesti rimangono quasi il doppio della media nazionale.
In Calabria e Sicilia i gravi ritardi, per esempio, sono il triplo rispetto alle regioni più virtuose conclude l'ad di
Cerved . Inoltre i mancati pagamenti sono al di fuori delle medie europei».
76 GIORNI CHE IN MEDIA SERVONO PER RICEVERE IL SALDO
Il confronto 0 15,0 10 5,0 25 20 15 16,1 6,6 ,0 2,5 25,0 20,0 19,1 9,1 10,0 2007 2012 2012 2008 2009
2013 2010 2011 2012 2014 2013 2014 2015 2015 12,5 10,0 7,50 I II III I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I
II III IV I II III IV I II III IV I II III IV Fonte: Cerved Group I II III I II III IV I II III IV GIORNI DI RITARDO I II III IV
I II III IV COSÌ AL SALDO Medie ponderate. In giorni GRAVI RITARDI (scala a destra) GIORNI DI
RITARDO TERMINI CONCORDATI 2013 2014 2015 LE SOCIETÀ PROTESTATE Imprese non individuali
con almeno un protesto In migliaia I II III IV I II III IV I II III IV L'ANDAMENTO Giorni medi di r itardo e % di
imprese con r itardi medi di oltre due mesi 19,1 19,3 19,2 23,2 21,1 20,5 17,7 20,4 18,4 19,0 17,5 19,3 17,2
16,8 16,1 60,7 59,8 62,0 60,6 60,1 57,3 60,0 58,9 59,1 58,0 60,0 58,5 59,3 57,4 59,8 79,8 79,1 81,2 83,8
81,2 77,8 77,7 79,3 77,5 77,0 77,5 77,8 76,5 74,2 76,0
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 22
La ripresa difficile Manifatturiero e costruzioni Incerta la ripresa della manifattura, primi segnali positivi nelsettore delle costruzioni Emergenza Mediterraneo Nella telefonata Renzi-Hollande si è discusso anche deipassi per un governo di unità nazionale in Libia CONTI PUBBLICI Istat: la crescita prosegue, passo moderato Meglio le famiglie, imprese incerte - Confcommercio: consumi +1,6% nel 2015 Nel terzo trimestre 2015 ilpotere d'acquisto delle famiglie è aumentato dell'1,4% e sul quarto è atteso un ulteriore miglioramento Benie servizi per la mobilità registrano una crescita del 7%; alberghi e pasti fuori casa dell'1,3%. Per alimenti ebevande variazione nulla Rossella Bocciarelli PIl barometro della congiuntura interna continua a puntare sul bello «sebbene con un'intensità più
contenuta dei mesi precedenti». È il commento della Nota congiunturale mensile Istat. Che ne deduce, in
ogni caso,«il proseguimento della fase di moderata crescita dell'economia». Il fatto è, spiega l'Istituto diretto
da Giorgio Alleva, che le prospettive economiche di imprese e famiglie si stanno sviluppando in modo
differente. Per le imprese, infatti, non c'è ancora un generalizzato aumento dei ritmi produttivi; anzi, il quarto
trimestre dell'anno appena concluso ha mostrato una dinamica altalenante per il settore manifatturiero. E
«l'incertezza sull'intensità della ripresa dell'attività manifattu riera è attesa estendersi nei prossimi mesi».
Infatti, gli ordinativi hanno registrato una flessione dell'1,8 per cento nel trimestre compreso fra settembre e
novembre scorsi. Il motivo sono le forti riduzioni delle commesse estere(3,3%). In buona sostanza, quindi, il
peggioramento del clima nel commercio internazionale comincia a farsi sentire. E il risultato è che anche il
sentiment delle imprese manifatturiere è peggiorato in gennaio, mentre in controtendenza appare il settore
delle costruzioni, dove, secondo l'Istat, si comincianoa delineare i primi risultati positivi: la produzione ha
segnato un netto rimbalzo (+2,9%). Se il driver del commercio estero rallenta, va meglio il mercato interno.
L'Istat rimarca infatti che nel terzo trime ROMA stre del 2015 il potere d'acquisto delle famiglie, al netto
dell'andamento dell'inflazione è aumentato dell'1,4% rispetto al trimestre precedente. E le informazioni sul
quarto trimestre suggeriscono un ulteriore miglioramento dei consumi, mentre a gennaio 2016 è risultato in
aumento anche il clima di fiducia dei consumatori. Insomma, sono le famiglie, in questo momento, a
sostenere la domanda interna ed è proprio il recupero della domanda interna che dovrebbe garantire la
possibilità di centrare l'obiettivo di sviluppo nel 2016 che secondo il Governo sarà intorno all'1,6 per cento,
secondo Bankitalia potrà arrivare all'1,5 e secondo la Ue dovrebbe attestarsi all'1,4 per cento. Non male,
comunque, soprattutto se si tiene conto delle performance economiche degli anni che abbiamo alle spalle.
Ecco perché l'ufficio studi della Confcommercio dà molto risalto al valore del suo indicatore dei consumi,
che in dicembre ha registrato un'invarianza rispetto al mese precedente e una crescita dell'1,7%
tendenziale, ma che, soprattutto, nel complesso del 2015 «l'Icc ha avuto una crescita dell'1,6%, la prima dal
2007». Insomma, erano otto anni che non si vedeva un incremento di questo tipo: per l'esattezza, la
crescita del consumo dei beni nell'anno ha segnato un +1,7%e quella dei servizi un +1,3%, mentre nel
complesso del 2014 si era registrata una flessione dello 0,5%. L'associazione dei commercianti non manca
di evidenziare, peraltro, che il miglioramento del clima di fiducia dei consumatori stenta ancoraa tradursi in
una ripresa vera della domanda. E ricorda che la crisi degli ultimi anni si è tradotta non solo in un calo dei
consumi, ma anche in un'erosione del risparmio cautelativo e in una sensibile riduzione della tradizionale
forma di investimento delle famiglie, l'acquisto di abitazioni. In questo momento, si osserva, è presumibile
che le famiglie stiano cercando forme di riequilibrio tra consumi, risparmio e investimenti e che solo nei
prossimi mesi i consumi potranno tornarea crescere a ritmi più sostenuti. Nella ricerca si ricorda inoltre
chea dicembre l'occupazione ha registrato una contenuta riduzione su base mensile (21.000 unità) e un
incremento nei confronti dell'analogo mese del 2014 (+109.000 unità), ma che, nel complesso del 2015, gli
occupati sono aumentati di 176.000 unità. Nel dettaglio,i consumi nel 2015 sono cresciuti soprattutto nei
beni e servizi per la mobilità (+7% a fronte del +0,2% del 2014) e nei beni e servizi per le comunicazioni
06/02/2016Pag. 1.5
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 23
(+3,3% rispetto al +1,9% del 2014) ma anche nei benie servizi ricreativi (+1,1% contro il 0,2% del 2014).
Nel settore alberghi e pasti fuori casa si registra un +1,3% (0,3% nel 2014) mentre nei beni alimentari e le
bevande la variazione è stata nulla, dopo un 1,1% registrato nel 2014. Nel settore abbigliamento e
calzature c'è stata una ripresa, con un +0,9% a fronte del 0,8% segnato nel 2014.
Il barometro 0 140 120 100 80 60 108 104 100 96 92 0,8 0,4 -0,4 -0,8 120 110 100 90 80 2011 2012 2013
2011 2012 2013 Istat Fonte: Istat Costruzioni Manifattura 2014 2015 Confcommercio Indici base 2010=100
Servizi Commercio 2014 2015 2016 Variaz. congiunturali (scala dx) LA RIPRESA DEI CONSUMI Dati
destagionalizzati in volumi IL CLIMA DI FIDUCIA DELLE IMPRESE LE PROSPETTIVE DI BREVE
TERMINE Fonte: elaborazione ufficio studi Confcommercio Indicatore anticipatore dell'economia. Indice
2005=100 2013 2014 2015 2016 Ind. anticipatore (scala sx) Clima di fiducia (scala sx) Indicatore consumi
(scala dx)
LA PAROLA CHIAVEPotere d'acquisto 7 È il reddito lordo disponibile delle famiglie in termini reali, ottenuto dall'Istat utilizzando il
deflatore della spesa per consumi finali delle famiglie espressa in valori concatenati con anno di riferimento
2010. Nel caso del settore famiglie nel suo complesso, viene utilizzato il deflatore della spesa per consumi
finali delle famiglie e delle istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie, espressa in valori
concatenati con anno di riferimento 2010
06/02/2016Pag. 1.5
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 24
IL RESTAURO-SHOW DEL MONUMENTO Il Colosseo torna "libero" ponteggi via dopo 3 anni CARLO ALBERTO BUCCI A PAGINA XI IL montacarichi sale verso l'ultimo piano del Colosseo, 50 metri d'altezza con vista
mozzafiato su Roma, sul cantiere (tristemente fermo) della Metro C e su quello del restauro appena
concluso sulla parte esterna dell'arena gladiatoria. Intanto gli operai mandano giù un tubo Innocenti. È
l'addio all'ultimo ponteggio del restauro targato Tod's.
I lavori di pulitura e consolidamento sono finiti dopo tre anni dall'avvio. Passeranno decenni prima che
l'ellisse esterna del monumento più visitato d'Italia (6 milioni di persone all'anno) abbia ancora bisogno di
ponteggi. Quelli attuali verranno smontati entro Pasqua. Mentre cancellate e parapetti di ferro, in stile
all'antica, «saranno qui a fine febbraio così che potremo completare l'installazione lungo i 79 fornici»,
annuncia l'architetto Alex Amirfeiz, presidente di Aspera, la società che a luglio 2014 ha sostituito la
Gherardi, dando un'accelerazione decisa (raddoppio delle forze in campo) al cantiere delle polemiche. Altri
ponteggi, però, arriveranno presto a cingere il Colosseo. Intanto c'è, all'interno, sul fianco di una gradinata,
il cantiere per l'operazione di conservazione straordinaria delle creste dei muri, pagata dalla
Soprintendenza archeologica. E c'è, soprattutto, a completamento del finanziamento di 25 milioni (Iva al
22%) di Diego Della Valle (che per le facciate sta sborsando 6,5 milioni), il cantiere per i restauri dei
sotterranei; il cantiere, che andrà a gara quasi contemporaneamente, per la costruzione del nuovo centro
accoglienza (con bar, toilette, bookshop) da progettarsi dentro la collinetta erbosa, di riporto, sul fianco
dell'Arco di Costantino; infine, terzo step, il ponteggio per la pulitura e il consolidamento delle superfici in
travertino e mattoni dei corridoi interni.
Già, perché ora che archi, colonne, capitelli e pilastri dell'esterno sono tornati a mostrare «tutti i colori del
tempo, dal giallo dorato al rosso dei numeri impressi sugli ingressi, dal bruno scuro al nero delle patine di
ossalato da mantenere», per dirla con Rossella Rea, direttrice del monumento, salta all'occhio la differenza
tra il nero e l'oro, lo sporco e la luce. «Pensi che durante i restauri diretti da Gisella Capponi, capo
dell'Istituto centrale, i 25 restauratori hanno trovato un rifacimento degli anni '40-'50 con il bitume. Sì,
bitume, così che il colore fosse intonato con il nero del travertino», rivela Rea.
Gaetano Correa, il capo cantiere, svela invece il lavoro al tempo dei Flavi. «I miei colleghi dell'80 d.C.
erano divisi in 4 imprese. Lavorarono in contemporanea. E abbiamo trovato i punti di attacco tra le
costruzioni dei 4 team. È stata un'emozione».
LE STAFFE Anche i ferri del '700 di contenimento dei pilastri ("catene") sono stati lasciati in loco e
restaurati con una mano di Paraloid I DIPINTI Al centro di uno degli archi restaurati sono apparsi la figura di
Cristo ( chiave di volta) e (a destra) lo scudo di Roma PIETRE NERE Sul lato Sud si trovano a terra i
blocchi, ancora da pulire, caduti in passato a causa dei molti terremoti che hanno colpito Roma I
CANCELLI Buttati i vecchi tubi innocenti Ognuno dei 79 fornici del primo piano avrà entro fine mese una
cancellata in ferro, forgiata in uno stile all'antica
Foto: Il Colosseo si avvia allo sgombero totale dei ponteggi dopo tre anni di lavori Il maxi restauro restituirà
i colori originali all'Anfiteatro Flavio
06/02/2016Pag. 1 Ed. Roma
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 25
LA LETTERA Fincantieri, Credit Suisse non ha azioni dell'Ipo (•s.ben.) Ci preme replicare all'articolo di Sara Bennewitz dal titolo "Fincantieri, lo scoglio del capitale" dell'I febbraio
perché riteniamo che non tenga in debito conto le dinamiche che caratterizzano il nostro comparto. In primo
luogo, nel passaggio in cui viene citato il report di Banca IMI a proposito dell'accordo con Virgin Cruises, si
potrebbe intendere che questo sarebbe stato raggiunto in perdita ("costi di sviluppo superiori alla norma"),
quando invece è stato perfezionato in u n momento in cui gli armatori fanno a gara per accaparrarsi i bacini
di costruzione, ad u n prezzo quindi ben diverso da quelli del recente passato. Inoltre non risponde al vero
che Credit Suisse, nostro advisor nel processo di quotazione, abbia acquistato "parte delle azioni
dell'offerta pubblica": l'aumento di capitale effettuato nell' IPO provien e tutto da pubblico indistinto.
Fincantieri, che vanta u n carico di lavoro e u n portafoglio ordini attesi di circa 20 e 26 miliardi, e che
concorre a creare circa u n p u n t o di Pil all'anno, sulla base dello scetticismo di Mediobanca richiamato
nel testo, dovrebbe rivoluzionare il proprio modello di business in quanto attività che "brucia cassa". Non
capiamo se gli analisti di Mediobanca ci suggeriscono di uscire dalla crocieristica e chiudere i cantieri di
Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Ancona e Castellammare di Stabia q u a n d o il mercato n e
consente la piena utilizzazione per i prossimi 10 anni. Chi conosce questo settore sa che l'80% delle navi
viene pagato dall'armatore alla consegna, come previsto della Convenzione Ocse sui crediti
all'esportazione, m a dovrebbe sapere anche che il pagamento da parte delle società armatrici avviene
sempre attraverso finanziamenti assunti sul mercato. Gli armatori si indebitano per acquisire navi m a i
costruttori n o n possono farlo? Il nostro debito poi n o n si sviluppa come quello del committente su 12
anni, m a su 3, e in concomitanza con la consegna l'armatore salda l'intero prezzo, permettendoci di
estinguere ogni pendenza. Infine, n o n ci appassiona la questione relativa al futuro assetto manageriale
della società, che vanta u n gruppo dirigenziale coeso capace di fare di Fincantieri u n leader mondiale,
caso rarissimo in Italia, e che continuerà a gestire u n a fase di crescita significativa e l'imponente carico di
lavoro per garantire redditività agli azionisti. Fincantieri Media Relations Fincantieri sa che stare sul mercato
comporta l'obbligo di perseguire sempre il massimo livello di efficienza. Il gruppo in meno di due anni h a
perso il 60% del suo valore. Questo è u n fatto, a prescindere dallo scetticismo di Mediobanca.
08/02/2016Pag. 18 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 26
IL CASO Costruttori divisi sul dopo crisi, De Albertis pronto a lasciare R. Ec. Ai piani alti dell'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori italiani, le scosse di assestamento sono state
sentite forti e chiare. Se seguirà un vero e proprio terremoto ai vertici ancora non è dato sapere. Certo è
che il presidente dell'associazione, Claudio De Albertis, dopo poco più di sei mesi dall'inizio del suo
mandato, ha minacciato di essere pronto a lasciare l'incarico se non avrà il pieno sostegno da parte di tutti
sulla sua strategia per portare il settore fuori dalla secche della crisi. È infatti in corso un dibattito interno,
con l'associazione divisa tra diverse anime, alle quali De Albertis si è rivolto facendo appello all'unità. Il
teatro della frattura è stata l'ultima riunione dell'esecutivo dell'Ance, l'organo di governo dell'associazione,
durante la quale sono venute fuori, con ancora maggiore evidenza, le divisioni interne e le differenze di
visione strategica tra le diverse anime che da sempre convivono nell'associazione dei costruttori. L'Ance
riunisce circa 20 mila aziende private, dalle più grandi alle tante piccole con qualche milione di fatturato
annuo e quindi le esigenze sono comprensibilmente diverse. Il sistema associativo copre tutto il territorio
nazionale ed è articolato in 102 associazioni territoriali e 20 organismi regionali. Insomma un sistema
complesso. Dall'inizio della crisi il settore ha perso 502 mila posti di lavoro (-25,3%) e altri 300.000
nell'indotto; circa 80mila imprese sono uscite dal mercato; gli investimenti nell'edilizia sono crollati del 30%.
Il 2016 dovrebbe essere l'anno delle lenta risalita, ma non tutti i problemi sono stati risolti. «La crisi è stata
durissima e ha praticamente cambiato il volto di questo mestiere, rendendo tutti più consapevoli della
necessità di affrontare nuove sfide, in un contesto di mercato profondamente rinnovato e di fronte a una
domanda molto più esigente rispetto al passato. Servono innanzitutto nuovi modelli di impresa che siano in
grado di affrontare il mercato, occorrono politiche industriali per il dopo crisi e va instaurato un nuovo
rapporto con la committenza dei lavori pubblici» ha recentemente spiegato De Albertis. IL RISANAMENTO
Ovviamente le profonde ferite della crisi hanno avuto ripercussioni pesanti anche sugli stessi conti
dell'associazione: le quote associative si sono dimezzate, passando dagli oltre 23 milioni del 2008 a poco
più di 12 milioni e mezzo dello scorso anno. In questo quadro si inserisce l'azione di risanamento avviata
da De Albertis, con riduzione delle spese, contratti di solidarietà e tagli agli stipendi dei dirigenti. Un'azione
che De Albertis intende portare avanti, ma solo con il sostegno di tutti. «Il nostro mondo e anche la nostra
associazione devono cambiare profondamente. Il confronto dentro l'associazione riflette questa difficile
ricerca» ha continuato De Albertis. Da oggi inizieranno le verifiche interne per capire se quel sostegno
corale e unitario, chiesto dal presidente sin dall'avvio del suo mandato a luglio scorso 2015, esiste ancora
(De Albertis fu eletto a grandissima maggioranza) oppure nel frattempo siano emersi orientamenti diversi.
Foto: DOPO POCO PIÙ DI SEI MESI DALLA SUA NOMINA IL PRESIDENTE ANCE MINACCIA DI
DIMETTERSI
Foto: Claudio De Albertis
08/02/2016Pag. 11
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 27
Metro C, niente arretrati dal Comune alle imprese: operai messi inmobilità OLTRE 200 MILIONI NON EROGATI: LE AZIENDE ANCORA IN ATTESA DI UNA CONVOCAZIONE DALCAMPIDOGLIO Fa.Ro. TRASPORTI Il Campidoglio continua a non versare i fondi arretrati per i lavori della Metro C, la più
importante infrastruttura in costruzione in Italia. E le imprese, dopo oltre un mese e mezzo dalla
sospensione dei cantieri, avviano il procedimento per mettere in mobilità gli operai. «Abbiamo avviato la
procedure di mobilità perché, dopo tutto questo tempo, nessuno si è ancora messo in contatto con noi per
dirci quando e come ci saranno pagati i fondi dovuti - sottolinea il presidente del consorzio Metro C, Franco
Cristini - Siamo in attesa di una convocazione, appena l'avremo potremmo anche fermato le procedure,
altrimenti non abbiamo scelta». Per ora, insomma, nessuna risposta alle istanze delle imprese. Né da parte
dalle istituzioni locali né da Roma Metropolitane, la società partecipata al 100 per cento del Campidoglio
che si occupa dell'ampliamento della rete di trasporto pubblico su ferro della Capitale. I CREDITI L'azienda
capitolina, secondo le imprese costruttrici è in debito per ben 255 milioni di euro: 185 milioni per lavori già
eseguiti, certificati ma mai pagati, più altri 70 milioni tra lavorazioni già completate e non ancora certificate e
interessi maturati per i ritardi nei pagamenti. L'ultima riunione con il commissario straordinario Francesco
Paolo Tronca e il sub commissario Pasqualino Castaldi risale proprio al 15 dicembre, l'ultimo giorno di
attività dei cantieri: il Campidoglio al momento non si sarebbe spinto oltre un possibile saldo di 38 milioni di
euro, circa il 15 per cento del dovuto. Una situazione che in pratica ha costretto il contraente generale a
ovviare con risorse proprie ai mancati pagamenti, pur di mandare avanti i lavori. Ma dalla fine del 2015 è
tutto fermo. Così l'ultima stazione aperta rischia di essere la numero 21, quella di piazza Lodi: niente San
Giovanni, quindi, e niente Fori imperiali. Il progetto realizzato fino ad oggi comprende oltre 18 chilometri di
linea in esercizio, con 21 stazioni, che collegano il capolinea di Monte Compatri-Pantano alla fermata Lodi.
La linea C ha registrato in un anno oltre 6 milioni di accessi, con circa 50 mila passeggeri al giorno. Un
numero destinato progressivamente ad aumentare quando l'opera sarà completata.
Foto: Il cantiere della Metro C a San Giovanni: i lavori sono fermi da metà dicembre per il debito del
Comune con le imprese
Foto: 18,1
Foto: I chilometri della linea C della metropolitana già attivi, con ventuno stazioni aperte
06/02/2016Pag. 41 Ed. Roma
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 28
#Sbloccascuole, pronti 480 milioni Con una lettera del premier Matteo Renzi a oltre 8 mila sindaci e amministratori prende il via l'operazione
#Sbloccascuole, prevista dalla legge di Stabilità 2016. Si tratta, informa una nota della presidenza del
consiglio dei ministri, di 480 milioni di euro liberati dai vincoli di bilancio per comuni, province e città
metropolitane per interventi di edilizia scolastica e per la realizzazione di nuove scuole. Entro il 1° marzo
2016 gli enti locali possono trasmettere la domanda alla struttura di missione per l'edilizia scolastica della
presidenza del consiglio attraverso il sito www.sbloccabilancio.it, compilando il form online. L'operazione
#Sbloccascuole libera la spesa di risorse a valere sull'avanzo di amministrazione e sul ricorso al debito,
andando a completare, per l'edilizia scolastica, lo sblocco delle somme per investimenti pluriennali attuato
con la legge di stabilità 2016. Già dal 2014, grazie a 344 milioni di sblocco del patto di stabilità, 454 comuni
e 107 province e città metropolitane hanno potuto fi nanziare la ristrutturazione totale degli istituti, con
particolare attenzione agli interventi di bonifi ca dell'amianto e di adeguamento alle normative per la
sicurezza antisismica e antincendio, e la costruzione di nuove scuole. Dei 1.158 cantieri aperti, 787 sono
già conclusi. «La salute della scuola», scrive Renzi, «è un tema scritto ai primi punti dell'agenda politica. In
tutto abbiamo già aperto 3.766 cantieri, di cui 2.435 già chiusi. Vuol dire 20.875 posti di lavoro, che
diventeranno 46.882 con i cantieri in partenza nel 2016».
06/02/2016Pag. 23
diffusione:41112tiratura:81689
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 29
Terremoto all'Ance De Albertis minaccia le dimissioni Il presidente dei costruttori chiede unità per poter arontare meglio la crisi Teatro del conitto l'ultima riunionedell'esecutivo R. E. Terremoto ai vertici dell'Ance. Il presidente dell'associazione dei costruttori Claudio De Albertis è pronto a
lasciare l'incarico, dopo poco più di sei mesi dall'inizio del suo mandato, se non avrà il pieno sostegno
dell'associazione sulla strategia per portare il settore fuori dalla crisi. È infatti in corso un dibattito interno,
con l'associazione divisa tra diverse anime, alle quali De Albertis si è rivolto facendo appello all'unità. Il
teatro della frattura è stata l'ultima riunione dell'esecutivo dell'Ance, l'organo di governo dell'associazione,
nel corso del quale De Albertis, che ha già guidato l'Ance dal 2000 al 2006, ha avvertito che andrà avanti
solo con un mandato pieno, facendo all'unità. Quella stessa unità richiamata da De Albertis fin dall'avvio del
suo mandato: il 28 luglio 2015, nel saluto all'Assemblea che lo aveva appena eletto presidente ad
ampissima maggioranza, De Albertis ringraziava «tutti coloro che hanno collaborato affinché la nuova
Presidenza fosse espressione di tutta l'Associazione in un clima di unità e di armonia necessarie per
traghettare finalmente il settore fuori dalla perdu rante crisi da cui fatica a uscire». Le differenze tra le
diverse anime che convivono nell'associazione dei costruttori, che riunisce circa 20 mila aziende, si
sarebbero acuite negli ultimi mesi anche alla luce della dicile situa zione in cui versa ancora il settore, che
dall'inizio della crisi ha perso 502 mila posti di lavoro (-25,3%), con una perdita complessiva che raggiunge
le 780 mila unità considerando anche i settori collegati. L'associazione ha assistito in questi anni di crisi ad
un dimezzamento delle quote associative, passate dagli oltre 23 milioni del 2008 a poco più di 12,5 milioni.
E in questo quadro si inserisce l'azione di risanamento avvia ta da De Albertis, con riduzione delle spese,
contratti di solidarietà e tagli agli stipendi dei dirigenti.
Foto: La recessione ha colpito duramente il comparto che ha perso 502mila posti di lavoro
08/02/2016Pag. 7 L'Unità
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 30
Scuola, Renzi scrive ai sindaci «Liberati 480 milioni per l'edilizia» Il premier: diamo corso a una priorità nell'azione del governo Già aperti quasi 4mila cantieri, istruzioni perle nuove domande negli istituti R. P. Con una lettera del premier Matteo Renzi a oltre 8mila sindaci e amministratori prende il via l'operazione
#Sbloccascuole, prevista dalla legge di stabilità. Lo rende noto un comunicato sul sito di Palazzo Chigi. Si
tratta - viene spiegato - di 480 milioni di euro liberati dai vincoli di bilancio per Comuni, Province e Città
metropolitane per interventi di edilizia scolastica e per la realizzazione di nuove scuole. Entro il primo marzo
2016 gli Enti locali possono trasmettere la domanda alla Struttura di Missione per l'Edilizia Scolastica della
Presidenza del Consiglio. «La scuola e l'edilizia scolastica sono temi che questo Governo ha a cuore sin
dal suo insediamento», scrive il presidente del Consiglio nella lettera inviata ai sindaci. «La salute della
scuola - aggiunge - è un tema scritto ai primi punti dell'agenda politica. In tutto abbiamo già aperto 3.766
cantieri, di cui 2.435 già chiusi. Vuol dire 20.875 posti di lavoro, che diventeranno 46.882 con i cantieri in
partenza nel 2016. Sulla scuola non si scherza». La domanda per interventi di edilizia scolastica e per la
creazione di nuo ve scuole deve essere presentata dalle amministrazioni alla presidenza del Consiglio
attraverso il sito www. sbloccabilancio.it, compilando il form on line. L'operazione - spiega una nota di
Palazzo Chigi - è complementare a quanto già fatto dal Governo per rilan ciare gli investimenti agendo sul
Fondo Pluriennale Vincolato. L'operazione #Sbloccascuole, infatti, libera la spesa di risorse a valere
sull'avanzo di amministrazione e sul ricorso al debito, andando a completare, per l'edilizia scolastica, lo
sblocco delle somme per investimenti pluriennali attuato proprio con la Legge di stabilità 2016. Già dal 2014
- grazie a 344 milioni di sblocco del patto di stabilità - 454 Comuni e 107 Province e Città Metropolitane
hanno potuto finanziare la ristrutturazione totale degli istituti - con particolare attenzione agli interventi di
bonifica dell'amianto e di adeguamento alle normative per la sicurezza antisismica e antincendio - e la
costruzione di nuove scuole, che oggi si presentano come esempi all'avanguardia per le soluzioni
architettoniche adottate. Dei 1.158 cantieri aperti - si legge ancora nella nota - 787 sono già conclusi.
Intanto i sindacati della scuola FlcCgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams hanno deciso
di promuovere per venerdì 12 febbraio una giornata di mobilitazione in difesa dei diritti dei precari.
L'iniziativa nasce - hanno spiegato in una nota unitaria - «per la totale assenza di confronto tra il Ministero e
le organizzazioni sindacali su un tema, l'annunciato bando del concorso, che non può essere arontato
ignorando la realtà di un precariato al quale la legge 107 non ha dato le risposte che il Governo aveva
assunto come suo preciso impegno».
Foto: Cantieri nella scuola. Procede la campagna per l'edilizia scolastica. Foto: ansa
06/02/2016Pag. 7 L'Unità
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 31
CARABINIERI Lavoro nero, due ditte nel mirino -SENIGALLIA- CONTRASTO al lavoro nero nei cantieri del Senigalliese. Nell'ambito dell'attività operativa
programmata dalla Direzione territoriale del lavoro di Ancona, i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro,
insieme agli ispettori della Direzione territoriale hanno controllato alcuni cantieri edili nella zona di Marzocca
Senigallia. Verificata la presenza di due ditte, di cui una con sede in Romania, in cui sono stati trovati
quattro lavoratori in nero, dei quali due rumeni, un ucraino e un albanese. Al termine dell'accertamento,
ispettori e carabinieri hanno emesso un provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale; inoltre è
in corso la denuncia alla Procura della Repubblica per il mancato rispetto degli obblighi in materia di
sorveglianza sanitaria. Secondo il Direttore della Direzione territoriale del lavoro di Ancona, Andrea
Fiordelmondo l'edilizia sarebbe un settore particolarmente delicato, specie per quanto riguarda i problemi di
sicurezza sul lavoro. «La condizione dei lavoratori in nero, in questo ambito è caratterizzata, oltre che da
uno sfruttamento intollerabile in una società civile, spesso da una sottoprotezione e da rischi per
l'incolumità fisica e la vita delle persone - sottolinea il dottor Fiordelmondo -. Spetta alle istituzioni
intervenire prevenendo il peggio».
06/02/2016Pag. 17 Ed. Ancona
diffusione:113338tiratura:156629
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 32
E' crollato l'impero edilizio della coppia Minardi-Taus: un buco da oltre100 milioni IL FALLIMENTO della Polo Holding viene stimato come il secondo crac edilizio della Regione. Era nell'aria,
perché c'erano già stati due tentativi di salvataggio finiti nel nulla. Per uno si era mossa anche una
'squadra' di specialisti della società Ernest & Young di Milano. Niente da fare: il 15 dicembre la società è
stata dichiarata fallita dal tribunale di Pesaro. Il 24 dicembre è stato nominato il curatore fallimentare: il
commercialista pesarese Mirco Stefanelli. Il quale ha dovuto ingaggiare un tecnico per effettuare tutte le
visure catastali legate al gruppo Polo Holding, società che a sua volta era controllata dalla TMT con il 51%
in mano alla famiglia Taus ed il 49% che faceva riferimento alla Minardi spa. I debiti accumulati potrebbero
facilmente superare i 120-130 milioni di euro. Perché 80 sono solo con le banche, poi ci sono le pendenze
col fisco (altri 10 milioni) e quindi l'Imu non pagata su un mare di edifici e terreni, parte a Fano, parte in
Regione ma anche in Sardegna. Sopra bisogna metterci poi tutti i fornitori. Un impero quello di Minardi-
Taus, tanto che nell'epoca d'oro dell'espansione edilizia cittadina, la coppia era soprannominata 'mano sulla
città': storia iniziata nell'era Carnaroli e poi proseguita nell'era Aguzzi anche attraverso la realizzazione
della famosa piscina coperta: una vicenda 'fantasma'. NEL MEZZO a questo crac, con la lottizzazione Fano
Alta, a Gimarra, sono rimasti incastrati anche la giunta e la Curia. Perché su un blocco di circa 30
appartamenti più negozi e uffici «c'erano anche 1000 metri quadrati destinati al centro sociale del Comune
e sui quali l'amministrazione aveva destinato anche i fondi e cioè 900mila euro», dice il presidente della
commissione urbanistica Federico Perini. Non solo perché il centro anziani, ora ospitato in un prefabbricato
e con circa 100 iscritti, è posizionato in un'area destinata a parcheggio della chiesa, per cui entro l'estate
deve essere rimosso. «Noi pensiamo - dice Mirco Stefanelli - di poter sbloccare la pertinenza del Comune
nel giro di quattro o cinque mesi». Nel frattempo la Curia, avendo ormai capito l'andazzo, ha affidato da
tempo il completamento della chiesa ad un'altra impresa edile. E gli oneri di urbanizzazione? In qualche
maniera l'amministrazione sarebbe tutelata perché vi sarebbe una copertura assicurativa. Alla finestra
anche i sindacati perché è crollato un vero e proprio impero: «Questo fallimento - dice Gianluca Di Sante
della Cgil - porta con sè anche i posti degli amministrativi, impiegati e tecnici che lavoravano per la società.
Ma i danni veri sono a caduta perché l'azienda si è sempre affidata a subappaltatori. L'ultimo caso che mi
viene in mente è una ditta di carpenteria che è passata da 60 a due dipendenti. La situazione è drammatica
per cui chiederemo di incontrare i sindaci di Fano e di Pesaro per sbloccare, almeno, i soldi delle opere
collegate all'ampliamento della autostrada. Perché qui è tutto fermo, non si muove niente». A far fallire la
Polo Holding due famiglie che avevano acquistato appartamenti versando la caparra. Intanto la città si
scopre da potentissima, nel campo dell'edilizia, a poverissima: pare infatti che l'Auchan, si stia affidando ad
un impresa edile di fuori città per costruire un nuovo capannone. Maurizio Gennari
06/02/2016Pag. 15 Ed. Pesaro
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 33
che città fa L'edilizia pubblica tra inefficienza e malessere sociale Ernesto Mazzetti Notizie inedite? Ma no! Vengono fuori con clamore; poi torna il silenzio. Come quando
esplose la cosiddetta «affittopoli» romana: case di pregio assegnate a membri della «casta» da enti vari,
oltre che dal Comune. Ne venne fuori la brillante soluzione di vendere sottocosto gli immobili ai medesimi
privilegiati affittuari. Roma «capitale corrotta», secondo una vulgata comune. D'accordo. Ma non è che
Milano, «capitale morale», sia esente da analoghi peccati. Anche lì ha fatto scandalo qualche vicenda di
favoritismi nella gestione degli immobili pubblici; sebbene nelle cronache prevalgono rattristanti vicende di
guerre tra poveri per l'impossessamento di alloggi: case sottratte con la forza a legittimi assegnatari; vecchi
solitari che dopo un ricovero in ospedale si ritrovano l'appartamento occupato da extra comunitari. E i
cosiddetti «centri sociali» spadroneggianti in edifici pubblici o locali dismessi da aziende. E Napoli? Se si
sfogliano le collezioni de Il Mattino di anni recenti vengono fuori tante situazioni, ancora oggi perduranti,
riconducibili al capitolo della cattiva gestione di tutto ciò ch'è patrimonio pubblico: decine di palazzi di
pregio, con molta storia alle spalle; e le migliaia di alloggi popolari costruiti dai tempi del Risanamento
ottocentesco ad oggi per dare un tetto a quanti non l'avevano, o l'avevano perduto per la guerra e per il
terremoto. Senza contare negozi ed edifici non più utilizzati per gli scopi originari. Insomma un'intera città di
proprietà comunale all'interno della metropoli. Che si dilata aggiungendo l'ingente patrimonio edilizio della
Regione e di altri enti. Una ricchezza straordinaria che esige spese largamente superiori agli introiti
prodotti. Ad inefficienze e favoritismi nella gestione dell'edilizia pubblica lamentati a Roma e altrove, a
Napoli s'aggiungono patologie peculiari. Come clientelismi e frodi che non di rado hanno inquinato i
meccanismi di assegnazione. Come le occupazioni abusive, tanto diffuse e, salvo rare eccezioni, non
governabili, a tutto danno delle attese dei legittimi assegnatari. Non dà conforto considerare tutto ciò come
effetto collaterale della povertà che affligge quote rilevanti della popolazione napoletana: sia residente da
generazioni sia inurbata di recente. Pur se gli abusivi non pagano affitti, una qualche manutenzione va
comunque garantita agli alloggi che occupano. Un aggravio per le finanze locali. Per alleggerire l'onere di
gestione dell'edilizia pubblica si è tentato talvolta di trasformare in proprietari quanti, con assegnazioni
regolari, vivono in alcuni dei complessi popolari disseminati dentro e fuori la città. Hanno aderito in pochi,
malgrado le facilitazioni all'acquisto. Proprio dell'area napoletana è il fenomeno della sopraffazione
camorristica nel controllo di alcuni rioni di edilizia popolare: ne offrono esempi allarmanti Scampia, San
Giovanni a Teduccio, Afragola, Giugliano, ed altri. Violenza su famiglie perbene per indurle a cedere la
casa a famiglie malavitose; recinzioni, grate e mura erette per tenere i traffici di droga ad riparo da sguardi
estranei e da intrusioni delle forze dell'ordine. Queste ultime non si sottraggono al loro ruolo; ma i reiterati
interventi hanno purtroppo effetti effimeri. Nella vasta macchia grigia dello spazio edificato ai bordi del Golfo
spiccano squarci desolanti. C'è il tessuto edilizio antico il cui degrado compromette i valori storici della città,
così come l'alienante panorama dei quartieri di edilizia popolare ne compromette i valori civili. Di fronte alle
occupazioni abusive le amministrazioni comunali chiudono gli occhi o dispongono sanatorie: gli sgomberi
coatti creano tensioni e fanno perdere voti. È facile individuare uno stretto legame tra carenze e
malgoverno dell'edilizia pubblica e malessere e devianze sociali. Altrettanto facile, purtroppo, capire che a
Napoli ogni soluzione è rinviata ad un incerto domani.
07/02/2016Pag. 29
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 34
L'operazione Le verifiche dei carabinieri Lavoro nero blitz nei cantieri e al Campus Controlli sulle ditte esterne che realizzano il terminal bus Raffica denunce e maxi multe Paola Florio Il sindacato Passamano «L'ateneo non ha responsabilità dirette ma deve vigilare» ©
RIPRODUZIONE RISERVATA Ancora sotto i riflettori l'università degli studi di Salerno, nulla a che fare,
però, con l'inchiesta su assunzioni sospette e presunti favoritismi sulla quale sta indagando la Procura.
Questa volta non c'entra l'ateneo, ma le ditte (esterne) che stanno realizzando i lavori per le nuove
residenze e per il terminal bus, sei delle quali sono state multate ed i legali rappresentanti deferiti, poiché
ritenuti responsabili, a vario titolo, di violazioni delle normative sul distacco del personale e sulla sicurezza
sui luoghi di lavoro. I controlli sono stati effettuati dai carabinieri della compagnia di Mercato San Severino,
agli ordini del capitano Rosario Basile, insieme al nucleo carabinieri Ispettorato del Lavoro e con ispettori
della Direzione Territoriale del Lavoro di Salerno. Un'operazione espletata nell'ambito di un servizio
finalizzato alla verifica delle norme che disciplinano la sicurezza sui luoghi di lavoro e per far emergere le
attività in nero. In questi cantieri sono state controllate quaranta posizioni lavorative di cui due sono risultate
irregolari per distacco non genuino. Significa, in sintesi, che questi due lavoratori, dipendenti di una delle
ditte che sta eseguendo le realizzazioni, stavano, invece, prestando la loro opera per un'altra impresa,
altrettanto presente per l'intervento in questione. Diverse sono, infatti, le società impegnate per terminare le
residenze e il nuovo terminal bus, ognuna per il proprio ramo di competenza e i rappresentanti legali di sei
di queste, con sede nelle province di Salerno, Caserta e Benevento, sono stati denunciati per violazione
delle normative vigenti sul lavoro e sono state contestate dodici ammende per un totale di ottomila euro. In
questo caso, infatti, è stata applicata la procedura della propedeutica estinzione dei reati in via
amministrativa. I cantieri, quindi, restano aperti. Intanto, anche a Bracigliano sorte simile hanno avuto i
legali rappresentanti di quattro ditte (con sede nella valle dell'Irno) ritenuti responsabili, a vario titolo, di
violazioni in materia di appalti e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Nei cantieri ispezionati, per la
riqualificazione della ex sede municipale e per la ristrutturazione di civili abitazioni, sono risultati anche
cinque lavoratori in nero. Anche per queste imprese è stata applicata la procedura della propedeutica
estinzione dei reati in via amministrativa, contestando undici ammende per un totale di circa tredicimila euro
e maxi sanzioni amministrative per l'impiego dei cinque operai in nero ammontanti complessivamente a
sedicimila euro. Pasquale Passamano, segretario Cisl Università: «La lotta al lavoro nero è una delle
rivendicazioni più importanti del sindacato, sia nel lavoro pubblico che nel lavoro privato. La sicurezza nei
cantieri dell'università di Fisciano non è però competenza dei vertici dell'ateneo ma delle ditte appaltatrici. È
inaccettabile però che all'interno di un cantiere che sta realizzando una struttura per un ente pubblico come
l'università di Salerno ci siano lavoratori senza copertura assicurativa». E precisa: «Per questo motivo, già
nelle prossime ore, la Cisl chiederà al rettore Tommasetti di intervenire immediatamente e di far luce su
questa spiacevole vicenda, anche attraverso i propri uffici tecnici». Blitz Carabinieri durante controlli nei
cantieri a cacia di irregolarità
07/02/2016Pag. 34 Ed. Salerno
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 35
Edilizia popolare Ponticelli, presto una nuova casa per 101 famiglie Valerio Iuliano L'assessore «Nessun alloggio sarà mai assegnato a chi è accusato di camorra» L'edilizia
marcia del primo dopoguerra sta per essere dismessa, mattone dopo mattone. E 101 famiglie avranno
presto una nuova casa a Ponticelli. Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che sostituiscono le
abitazioni fatiscenti del Rione De Gasperi, sono stati assegnati ieri dall'amministrazione comunale,
mediante un sorteggio, presso il Servizio Politiche per la Casa di piazza Cavour. Le nuove abitazioni fanno
parte del gruppo degli alloggi Erp recentemente edificati nel lotto "N" di Via Attila Sallustro. «Roberto
Saviano diceva che la criminalità- ha spiegato l'assessore comunale al Patrimonio Alessandro Fucito- dava
le case in questi rioni. Oggi stiamo dimostrando che non è vero. Non diamo le case a chi ha l'articolo 7 o il
416 bis. Si tratta di una svolta». Quella avviata ieri è la seconda fase delle procedure di assegnazione degli
alloggi ERP a Ponticelli. Già 57 nuclei familiari avevano ottenuto una nuova abitazione a partire dal mese di
giugno del 2015. «Le 101 famiglie assegnatarieha ripreso Fucitoattendono da oltre 30 anni, dopo aver
abitato in un rione che era stato realizzato con i fondi del Piano Marshall, in appartamenti dai bassissimi
requisiti strutturali ed edilizi. Oggi diamo la casa solo a coloro che hanno i requisiti di reddito e anzitutto
penali per poter avere un'abitazione». Ovvio il riferimento alle tante occupazioni abusive delle case
popolari, avvenute in passato. L'abbinamento ha riguardato gli aventi diritto, già residenti negli edifici
oggetto della prima tranche di abbattimento. Il sorteggio è avvenuto tra i nuclei familiari con pari
caratteristiche. Gli alloggi sono stati ordinati in base alle dimensioni affinché ciascun immobile estratto
fosse collegato ad un nucleo familiare. «A Ponticelli- ha concluso Fucito- abbiamo un lotto di palazzi da
abbattere, per dare seguito ad un piano di riqualificazione con giardini e scuole». Sul tema delle case
popolari è intervenuto anche il sindaco. «Altri alloggi ERP verranno assegnati presto a Scampia» ha
annunciato ieri sera de Magistris.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 36
Spunta un'altra lista nera di case comunali Ecco gli immobili affittati a prezzi stracciati che Tronca non ha ancora inviato alla Procura Vincenzo Bisbiglia Non solo centro storico. Anzi. L'Affittopoli capitolina è vasta quanto il suo territorio. Se n'è accorto anche
Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario del Campidoglio, affermando che la lista dei primi 574
immobili (pubblicata ieri in esclusiva da Il Tempo) fosse soltanto il primo passo verso la riorganizzazione del
patrimonio immobiliare capitolino. Certo, fa impressione sapere dell'esistenza di romani che la mattina si
affacciano e vedono la Cupola di San Pietro o il Colosseo e che pagano per il loro appartamento nemmeno
10 euro al mese. Ma non è soltanto la vista a determinare il prezzo di un immobile. Per chi conosce meglio
Roma, farebbe impressione sapere che la stessa accade in altri quartieri eleganti e ben serviti della città,
come i Parioli, Corso Trieste, Corso Francia, Appia Pignatelli. È per questo che Il Tempo propone oggi
un'altra possibile «black-list», un elenco di circa 500 immobili che si trovano in zone della Capitale
tradizionalmente inaccessibili o comunque non certo ai prezzi che vengono fuori. LE NUOVE CASE
SOTTO ESAME Analizzando questa lista, possiamo scoprire che c'è chi paga per un immobile a piazzale
del Verano appena 37 euro al mese, in una zona dove gli studenti de La Sapienza fanno a botte per
accaparrarsi una stanza singola a 400 euro. In via Tripoli, in pieno Quartiere Africano, abbiamo scovato un
appartamento affittato ad appena 200 euro l'anno mentre nella bella e funzionale Appia Pignatelli, con i
parchi naturali e gli acquedotti a portata di mano, si può vivere addirittura a 570 euro l'anno, nemmeno 50
euro al mese. E cosa dire allora di Corso Francia? Il quartiere è fra i più belli e funzionali di Roma: a poche
fermate di tram c'è Piazza del Popolo, poco distante l'Auditorium Parco della Musica e il Maxxi. Qui
abbiamo scovato ben 8 immobili che vanno da un minimo di 410 euro fino a un massimo di 886 euro l'anno:
significa che il più sfortunato di questi affittuari è costretto a sborsare «ben» 73 euro al mese. LE CASE
POPOLARI Una buona parte di questo nuovo elenco è formato da molti immobili di edilizia residenziale
pubblica. Il ragionamento è sempre lo stesso e vale anche per quartieri all'apparenza prestigiosissimi come
Testaccio e Trastevere: Roma è cambiata tanto negli ultimi decenni, e quartieri che oggi appaiono riservati
ai cittadini abbienti, una volta ospitavano famiglie umili, se non indigenti. Così può capitare che la città sia
cambiata intorno a loro. Deve suonare strano, ma non è da escludere che ci siano famiglie che spendono
7,75 euro al mese per vivere a viale Jonio, piuttosto che all'Aurelio o in zona Campi Sportivi. Certo, citando
proprio il prefetto Tronca, va ricordato che «l'85% degli occupanti è senta titolo o senza contratto». Dunque
la revisione dovrebbe essere capillare. Ecco perché i primi stabili dove andrebbe fatta questa verifica sono
quelli di via Colombia e via Stati Uniti d'America, in zona Flaminio, piuttosto che in via Lago Tana (Quartiere
Africano) oppure in via Carlo Cipolla, dove l'affaccio è sul Parco della Caffarella: in quest'ultimo caso, il
canone massimo che troviamo è di 300 euro al mese, ma la media è di almeno 150 euro. INTEGRATA LA
TASK FORCE Certo, Francesco Paolo Tronca non sembra perdere tempo. Ieri il commissario ha chiesto al
Segretario Generale di ampliare subito il personale del Dipartimento del Patrimonio e del Dipartimento per
le Politiche Abitative e Sociali, «per fare fronte - si legge in una nota del Campidoglio - al lavoro imponente
e complesso di censimento e verifica puntuale degli immobili dati in locazione dal Comune e delle relative
posizioni soggettive». Se si rafforza dunque la task-force, si prevedono anche ulteriori contenziosi, che si
aggiungeranno presumibilmente a quelli già in essere. Il commissario straordinario, infatti, ha anche
richiesto all'Avvocatura capitolina «un resoconto di tutto il contenzioso in essere ed ha, altresì, previsto un
sensibile rafforzamento dell'attività operativa della polizia locale, con un incremento significativo delle unità
incaricate delle operazioni di verifica e sgombero in corso, anche in queste ore, in appartamenti occupati
abusivamente». RICHIESTE DI CANDIDATURE La mossa di Tronca sul patrimonio, almeno a livello
mediatico, sembra essere stata azzeccata. Tant'è vero che ora il commissario si guadagna anche degli
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 37
endorsement politici. Il primo è arrivato da Francesco Storace, possibile candidato sindaco del
centrodestra, che ha detto di volerlo addirittura assessore al Patrimonio di una sua ipotetica Giunta. «Spero
- ha scritto l'ex presidente della Regione Lazio che Tronca venga accolto da ciascun candidato sindaco
come un ipotetico collaboratore della giunta di domani magari proprio sulle politiche del Patrimonio».
574 La prima lista Sono gli immobili del centro storico censiti da Tronca e inviati già in Procura
449 La nuova lista Sono gli immobili proposti oggi da Il Tempo su cui si dovrà concentrare l'azione degli
ispettori
L'elenco degli immobili fuori dal centro storicoALLOGGI RELATIVI AL PATRIMONIO IMMOBILIARE
ALLOGGI DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA INDIRIZZO CIVICO CORR. ANNUO 62 119 117/B
117/A 117 113/A 111-111/A 105/A-107 79 79 79 149 151 175 149 175 175 175 175 2A 4 4A 6 07 09 11 7
122 7 11 37-37A 39/A-B 35 5/E 5/C - 5/D 3/C 3/A 1/E 1/D 1/F 79 71 79 85 268 270 953 953 430 65 53 144
144 144 144 171 146 146 148 148 16 10 12 02 04 10 14 02 04 10 12 12 21 01 03 05 07 9 13-15-17 11 02
04 05 07 30 38 € 8.790,09 € 963,96 € 9.315,60 € 9.315,60 € 10.431,84 € 11.568,10 € 17.466,84 €
17.466,84 € 18.062,85 € 451,56 € 491,64 € 1.567,80 € 876,24 € 771,96 € 722,40 € 678,60 € 410,76 €
813,24 € 523,20 € 886,56 € 5.503,92 € 7.076,52 € 7.862,88 € 10.317,84 € 7.862,88 € 924,88 € 4.737,60 €
8.375,28 € 2.544,48 € 3.276,06 € 3.508,56 € 23.289,24 € 23.289,24 € 6.108,72 € 3.337,71 € 13.395,60 €
6.598,68 € 6.622,44 € 7.549,08 € 12.100,20 € 5.448,36 € 199,32 € 10.548,12 € 3.382,44 € 1.918,25 €
1.475,52 € 569,09 € 982,13 € 16.998,48 € 541,45 € 2.233,42 € 1.721,88 € 74.966,04 € 25,70 € 124,38 €
154,12 € 34,77 € 233,84 € 273,32 € 42,37 € 973,80 € 126,32 € 5.960,52 € 1.228,45 € 14.697,84 € 4.515,48
€ 2.170,88 € 341,52 € 1.562,04 € 4.560,00 € 345,36 € 3.794,76 € 2.048,16 € 1.723,80 € 839,40 € 2.639,52
€ 532,08 € 226,68 € 5.525,88 € 5.396,40 € 5.414,40 € 4.158,24 € 2.311,80 € 1.985,44 € 485,88 € 1.725,48
€ 2.395,56 € 291,69 € 6.072,00 € 2.629,32 INDIRIZZO CORR. ANNUO INDIRIZZO CORR. MENSILE
INDIRIZZO CORR. MENSILE € 144,49 € 7,75 € 42,49 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 27,48 € 89,61 €
7,75 € 7,75 € 7,75 € 11,18 € 62,38 € 7,75 € 7,75 € 41,74 € 7,75 € 7,75 € 51,51 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 44,00
€ 7,75 € 56,43 € 7,75 € 40,18 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 57,41 € 49,69 € 7,75 € 7,75 € 15,27 €
7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 28,20 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 159,34 € 7,75 € 180,33 € 7,75 € 131,78 €
82,08 € 98,38 € 53,95 € 28,99 € 46,59 € 7,75 € 39,51 € 29,79 € 52,24 € 20,24 € 52,26 € 7,75 € 7,75 € 7,75
€ 106,30 € 54,62 € 60,00 € 7,75 € 79,24 € 60,52 € 44,94 € 7,75 € 55,26 € 20,02 € 40,47 € 7,75 € 7,75 €
7,75 € 214,82 € 7,75 € 53,44 € 7,75 € 60,40 € 55,31 € 96,49 € 275,30 € 7,75 € 28,41 € 7,75 € 117,55 €
7,75 € 104,49 € 7,75 € 44,02 € 91,40 € 216,68 € 7,75 € 7,75 € 24,20 € 18,40 € 73,98 Via Arno Via Cheren
Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Via Chiana Piazzale del Verano
Piazzale del Verano Piazzale del Verano Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di
Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Corso di Francia Via Eustachio Manfredi Via
Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Eustachio Manfredi Via Famiano
Nardini Via Famiano Nardini Via Flaminia Via Gabaglio Via Generale R.Bencivenga Via Generale
R.Bencivenga Via Giovanni Antonelli Via Giovanni Antonelli Via Goito Via Lambro Via Lambro Via Lambro
Via Lambro Via Lambro Via Lambro Via Lambro Via Tripoli Via Tripoli Via Tripoli Via Ugo Ceccarelli Via di
Monteverde Via Appia Pignatelli Via Appia Pignatelli Via Ardeatina Via Ardeatina Via Ardeatina Via Aurelia
Via Aurelia Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Via dei
Sulpici Via dei Sulpici Via dei Sulpici Piazza Monte Baldo Via Monte Beni Via Monte Canda Via Monte
Canda Via Monte Canda Via Monte Canda Via Monte Canda Via Monte Croce Via Monte Croce Via Monte
Croce Via Monte Croce Via Monte La Fine Via Monte La Fine Via Monte La Fine Via Monte Nevoso Via
Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via
Monte Rocchetta Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via
Monte Ruggero Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 38
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via
Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Colombia Via Degli
Equi Via Lago Tana Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati
Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti d'America Via Stati Uniti
d'America Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo CIVICO CIVICO CIVICO 2 2 31 16
INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 19,73 € 124,44 € 7,75 € 44,13 € 28,79 € 7,75 € 37,09 € 7,75 € 7,75
€ 18,95 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 33,14 € 72,84 € 7,75 € 7,75 € 14,97 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 7,75 €
7,75 € 7,75 € 179,58 € 161,45 € 288,84 € 7,75 € 92,22 € 64,64 € 32,01 € 125,29 € 23,90 € 56,23 € 78,78 €
7,75 € 7,75 € 74,56 € 56,32 € 69,49 € 58,13 € 31,26 € 79,78 € 7,75 € 42,80 € 7,75 € 141,24 € 64,32 €
91,40 € 7,75 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 108,80 € 68,49 € 34,40 € 35,02 € 36,65 € 8,40 € 56,77
€ 7,75 € 636,72 € 32,86 € 296,28 € 72,32 € 66,29 € 71,39 € 35,26 € 182,51 € 569,40 € 85,30 € 27,19 €
33,89 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 17,31 € 29,40 € 36,79 € 63,38 € 48,37 € 25,64 € 233,01 € 76,64 € 54,31 €
7,75 € 103,96 € 53,61 € 109,04 € 111,02 € 7,75 € 36,18 € 76,27 € 26,10 € 103,19 € 53,03 € 34,29 € 7,75 €
39,55 € 7,75 € 219,35 € 67,58 € 7,75 € 45,35 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 54,60 € 65,73 € 7,75 € 83,49
€ 51,50 € 109,46 € 56,13 € 82,66 € 7,75 € 44,22 € 36,94 € 29,53 € 7,75 € 331,29 € 11,76 € 27,92 € 57,76 €
52,22 € 153,21 € 56,10 € 98,71 € 45,32 € 7,75 € 80,26 € 155,84 € 47,79 € 140,96 € 193,12 € 52,73 € 62,40
€ 66,64 € 53,54 € 49,67 € 53,06 € 51,15 € 47,65 € 51,98 € 218,04 € 38,28 € 70,02 € 56,59 € 52,39 € 27,12
€ 59,24 € 25,48 € 7,75 € 25,48 € 49,91 € 7,75 € 42,46 € 74,72 € 63,30 INDIRIZZO CORR. MENSILE €
52,81 € 63,32 € 7,75 € 7,75 € 53,62 € 69,35 € 73,70 € 7,75 € 27,71 € 67,36 € 51,76 € 28,85 € 58,04 €
53,55 € 45,06 € 65,39 € 43,19 € 53,49 € 43,18 € 7,75 € 73,87 € 21,17 € 21,29 € 72,01 € 147,51 € 192,77 €
58,84 € 53,69 € 99,69 € 77,09 € 96,89 € 7,75 € 32,09 € 86,21 € 50,18 € 68,07 € 92,34 € 93,62 € 93,62 €
13,52 € 7,75 € 28,06 € 7,75 € 36,08 € 7,75 € 223,92 € 93,62 € 92,34 € 44,62 € 42,85 € 71,61 € 73,95 Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via
Giorgio Bo Via Giorgio Bo Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 39
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo Cipolla Via Carlo
Cipolla Via Carlo Cipolla Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni
Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte
Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via
Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni
Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte
Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via
Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Beni
Via Monte Beni Via Monte Beni Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte
Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte
Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte
Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Rocchetta Via Monte Ruggero Via Monte
Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte
Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte
Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte
Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte Ruggero Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano Via Monte
Soprano Via Monte Soprano Via Monte Soprano CIVICO 5 7 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41
41 41 41 41 41 41 41 41 INDIRIZZO CORR. MENSILE € 7,75 € 35,52 € 34,34 € 7,75 € 7,75 € 70,69 €
74,19 € 46,16 € 81,59 € 7,75 € 49,53 € 51,71 € 49,77 € 7,75 € 177,36 € 67,06 € 88,86 € 66,80 € 45,06 €
53,69 € 41,05 € 9,44 € 63,54 € 66,89 € 7,75 € 24,21 € 174,43 € 67,36 € 7,75 € 86,94 € 72,44 € 53,19 €
43,61 € 67,36 € 7,75 € 7,75 € 7,75 € 69,97 € 78,22 € 51,34 € 7,75 € 53,57 € 56,44 € 16,86 € 73,68 € 52,60
€ 70,42 CIVICO 36 36 36 36 36 36 36 36 CIVICO 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41
41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 41 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 53 65
CIVICO 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 65 omissis
omissis 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 CIVICO 20 20 20 20 20 20 20
20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 19 19 19 19 19 19 19 19 19 21 21 21 21 21 21 21 21 32
32 32 32 32 32 32 32 32 36 36 36
Foto: Nel grafico di ieri alle pagine 3 e 4 de Il Tempo, nella sezione alloggi di edilizia residenziale pubblica,
il corrispettivo non è annuo ma mensile. Ci scusiamo per l'errore.
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INTERNAZIONALIZZAZIONE «Monte Carlo terra fertile per le imprese italiane» Sono oltre 1200 le aziende e società dello Stivale presenti a AAonaco E con i nuovi accordi voluti daAlberto II, sono destinate ad aumentare CHIARA OSNAGOGADDA Il valore del brand made in Italy è percepito più all'estero che in Italia. Purtroppo però, al di là delle grandi
realtà imprenditoriali e dei grandi marchi che hanno la forza di comunicare ovunque, il singolo, spesso, non
trova alcun supporto per uscire dal proprio «orticello» e pertanto il valore aggiunto italiano è percepito ma
non comunicato e per questo vissuto come qualcosa di irraggiungibile. Esportare il Made in Italy, vuoi dire
invece raccontare un mondo fatto di conoscenza, disciplina e applicazione. Ne è convinto William Grifflni,
Ceo di Carter & Benson, una delle più autorevoli società di Head Hunting presenti sul mercato, interpellato
su quella che può essere, a suo avviso, l'importanza di dare vita a iniziative che esportino il made in Italy
fuori dal nostro Paese, come quella svoltasi a Monte Carlo nel corso di una missione economica di imprese
del made in I taly. Un momento r icco di spunti , confronto e r i f lessione sul l ' importanza
dell'internazionalizzazione delle aziende italiane nel Principato di Monaco, un luogo dove la pertinenza
delle scelte, coraggiose e visionarie, attuate dai Principi Grimaldi lungo tutta la sua storia, ne ha fatto uno
Stato sovrano dagli equilibri invidiabili, che gode di una crescita ininterrotta e può contare su finanze sane.
«Del resto - ha spiegato Griffìni - stabilità, sicurezza, neutralità, fiscalità adeguata, situazione geografica
eccezionale, tessuto imprenditoriale ad alto valore aggiunto, ambiente internazionale, bacino d'impiego,
qualità della piazza, sono da sempre i punti di forza di Monte Carlo, che è dunque anche la location ideale
per fare pubbliche relazioni ed esporre i propri prodotti». SPORTELLO ITALIA Proprio queste motivazioni,
dunque, hanno spinto Sportello Italia, un'associazione di diritto privato che si occupa di favorire gli scambi
commerciali tra imprese italiane e monegasche, ad organizzare, presso il No votel di Monte Carlo, una
missione economica, patrocinata dall'Ambasciata d'Italia nel Principato di Monaco, di imprese italiane dei
settori green technologies, chimico farmaceutico, informatico, della consulenza e del turismo (tra esse, ad
esempio, CloudTel, Consulmarketìng SpA, Huntìng Heads, Scuola di Palo Alto, Cortina Style, Retalco,
ECS, Fondazione Verrocchio, E-Care, Wave for Energy, Kitenergy), interessate al mercato monegasco.
All'evento, condotto e moderato dalla giornalista Chiara Osnago Gadda, il governo di Monaco è stato
presente al massimo livello, nella persona del Ministro di Stato Michel Roger, che ha pronunciato una breve
allocuzione rispondendo all'indirizzo di saluto dell'Ambasciatore d'Italia nel Principato di Monaco, Massimo
Lavezzo Cassinelli, ma erano presenti fra gli altri, anche Laurence Garino, direttrice del «Monaco Welcome
Office», istituzione governativa incaricata delle procedure di accoglienza delle imprese straniere, il vice
presidente della Federazione delle Imprese di Monaco (Fedem), Jean-Franck Bussottì, nonché il
vicepresidente degli Affari Istituzionali di Expo, Matteo Mauri. Dopo un ampio dibattito, dove sono stati
presentati i vantaggi e le opportunità di insediarsi a Monte Carlo, si è tenuto un focus sulle Pmi animato dai
rappresentanti delle istituzioni e del settore aziendale monegasco e italiano, un quadro sugli interventi
normativi che rendono i rispettivi mercati attrattivi per gli investitori e sulle principali novità in materia fiscale,
finanziaria e di semplificazione amministrativa, una presentazione delle aziende della delegazione italiana
con esposizione di concrete opportunità di investimento, con interventi e testimonianze da parte di attori
economici e istituzionali, e di banche monegasche. La mattinata successiva è stata invece dedicata a un
proficuo ciclo di incontri «B2B» fra operatori italiani e monegaschi. «Sportello Italia - ha affermato Fabrizio
Carbone, presidente di Sportello Italia - è nato all'inizio dell'anno come soggetto associativo bilaterale tra
Italia e Monaco, con l'obiettivo di promuovere il Made in Italy nel Principato e di favorire gli investimenti di
aziende italiane nello stesso e di aziende monegasche in Italia, facilitando gli incontri tra gli imprenditori e
avendo rapporti con le autorità istituzionali. Promuovere le aziende italiane a Monaco è infatti oggi molto
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importante, soprattutto alla luce del recente accordo di informazioni di materia fiscale, che apre nuove
prospettive, sia in campo commerciale che degli impegni societari». «Monaco, del resto - ha aggiunto
Daniele Fanteria, direttore generale di Sportello Italia - è un'ottima vetrina, polo attrattivo di molte aziende
ad alto valore aggiunto, aziende che innovano, che non inquinano e che, in generale, performano».
OPPORTUNITÀ PER AFFARI Dunque, un evento fecalizzato su un punto fermo: il territorio monegasco
inteso come baricentro perfetto per gli affari. E che quindi, hanno spinto l'Ambasciata d'Italia nel Principato
di Monaco a sostenere con il patrocinio l'evento di Sportello Italia. «Come ho detto aprendo la missione
delle nostre aziende, di fronte al Ministro di Stato Roger, il Principato di Monaco, sebbene cosi piccolo,
costituisce un'importantissima "vetrina" per l'economia italiana, anche grazie alla vicinanza geografica e agli
stretti rapporti storici e culturali esistenti tra i due Paesi - ha affermato, l'Ambasciatore d'Italia, Massimo
Lavezzo Cassinelli-. L'Italia, infatti, è il primo partner commerciale di Monaco, ma sono soprattutto le quasi
1.500 aziende italiane presenti nel Principato a svolgere un ruolo molto rilevante nel tessuto economico
monegasco, nei settori alberghiero, alimentare, della ristorazione, immobiliare, dell'intermediazione
finanziaria, delle costruzioni, della cantieristica navale e così via Questo però non basta: il Principato,
Paese cosmopolita, è un luogo globale di incontro e di scambio ed è davvero uno spazio che ci è
congeniale. I monegaschi - e il primo è proprio il Principe Alberto II - apprezzano molto la creatività e la
laboriosità italiane, anche perché la maggior parte di loro viene dalle nostre terre. Questa è davvero una
promessa carica di potenzialità. Ecco perché l'Ambasciata non poteva non accogliere molto di buon grado
un evento che, come organizzato da Sportello Italia, tende a portare dall'Italia a Monaco energie fresche,
voglia di fare e, soprattutto, tanto "saper fare"». Perché, dunque, promuovere il Made in Italy nel
Principato? «Occorre saper cogliere le opportunità che il Principato offre come "vetrina" a livello
internazionale. È quindi opportuno e, direi, doveroso garantire ogni sostegno istituzionale alle missioni
imprenditoriali italiane che si recano a Monaco e alla promozione di eventi che possano mostrare al
pubblico locale, veramente cosmopolita, tutte le potenzialità del made in Italy. Occorre approfittare in
proposito, come ho detto anche nel mio intervento, dell'ormai prossima entrata in vigore del recente
accordo italo-monegasco per lo scambio di informazioni nel settore fiscale, che, con la definitiva
eliminazione del Principato dalle "black list" del nostro ministero dell'Economia e delle Finanze, consentirà
senza dubbio un più armonico sviluppo dei rapporti economici e imprenditoriali fra i due Paesi, liberando
ulteriori energie. Potremo così cogliere appieno tutte le opportunità presenti in una situazione, come quella
vigente con il Principato, di consolidata amicizia e collaborazione». Del resto, le relazioni tra l'Italia e il
Principato sono sempre state molto forti nei più svariati settori, dalla politica all'economia, dalla cultura alla
società civile. Esse sono per certi versi uniche, dovute non solo alla comune matrice culturale, ma anche e
soprattutto alla presenza nel Principato di un'importante e ben integrata comunità italiana, così come al
lavoro delle migliaia di imprenditori italiani che credono e scommettono sul valore di questo Paese.
Pertanto, l'attrattività del Principato, che sia per le attività legate al turismo e al tempo libero, o al mondo
degli affari, cosi come ad altri settori, come quello della nautica, è in costante crescita. In particolare poi, il
governo del Principato ha lanciato un'iniziativa globale per facilitare, su tutti i fronti, lo sviluppo delle
imprese a Monaco nel rispetto delle regole di etica, trasparenza ed efficienza. FISCALITÀ «LEGGERA»
Una delle caratteristiche del Principato sta nel fatto che la fiscalità per le persone fisiche è «leggera». L'Iva,
l'imposta sugli utili e le imposte sui trasferimenti immobiliari costituiscono la base della fiscalità monegasca.
Con la modernizzazione del corpus giuridico e con la stabilità del quadro fiscale incentivante, il governo del
Principato è quindi impegnato a favorire l'insediamento e lo sviluppo delle imprese a Monaco. Ed è per
questo che alcune aziende italiane sono state entusiaste di presentarsi al mercato nel corso della missione
dello scorso 6 novembre a Monte Carlo. «Il mercato del Principato di Monaco ha osservato Umberto Cairo,
presidente di Cloudtel, impresa che opera in Italia per sviluppare le comunicazioni d'impresa - se pur
basato su soli 2 km quadrati e mezzo, è un mercato ricco di aziende e persone che nella loro situazione di
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eccellenza necessitano di servizi evolutivi e innovativi. Inoltre, la prosperità economica di cui godono
queste aziende consente certamente una gestione aziendale caratterizzata da un minor stress per il
management, più investimenti per l'azienda e un più ampio sguardo al futuro per l'imprenditore. In questo
scenario, nel Principato di Monaco siamo interessati a cogliere l'occasione di sviluppare una attività locale
cercando di trovare uno spazio di collaborazione con Monaco Telecom, operatore che in esclusiva
garantisce servizi di telecomunicazione nel Principato. Una relazione o partnership con Monaco Telecom
consentirebbe infatti di operare in un ambiente "amico", con la possibilità di vendere i loro servizi e
massimizzare le reciproche vendite. Si potrebbe quindi immaginare una società, magari mista Cloudtel
Monaco Telecom che sviluppi la telefonia Cloud nel Principato, utilizzando la connettività dati e voce di
Monaco Telecom. In pratica, la nostra business Idea, sarebbe quella di offrire alle imprese monegasche le
soluzioni innovative di Cloudtel che proponiamo sul mercato italiano; la proposta Cloudtel Premium è cioè
un'offerta di telefonia Cloud per le imprese, soprattutto le Sme e le holding di gruppi. Del resto, le aziende
che guardano al futuro necessitano di comunicare in modo semplice, efficace ed economico, utilizzando le
nuove tecnologie multimediali integrate. Il nostro obiettivo sarebbe dunque quello di acquisire in breve una
quota del mercato business superiore al 10% e l'action pian quello di aprire una filiale nel Principato di
Monaco assumendo inizialmente 2 tecnici, un responsabile del Back office e un Account manager;
garantendo da Cloudtel Milano il supporto logistico, tecnico e commerciale, definendo accordi di
collaborazione con Monaco Telecom per integrare nella proposta Cloudtel i servizi di MT e sviluppare
servizi con la Pubblica amministrazione». «Le aziende italiane hanno bisogno di andare all'estero - ha
aggiunto Marco Masella, presidente della Scuola di Palo Alto, la business school italiana organizzatrice del
Positive Business Forum e del Positìve Business Award - e Monaco in tal senso è un punto di riferimento
importante, è un trampolino per accedere anche ad altri Paesi e dunque un passo verso
l'internazionalizzazione. Ecco perché, deve essere presente all'interno dei budget di un'azienda
lungimirante e innovativa. La nostra scuola, da anni considerata il punto di riferimento per l'applicazione alle
aziende dei concetti legati alla scienza della positività, vede nell'iniziativa di Sportello Italia l'opportunità di
un'attività non solo sinergica, ma addirittura strategica nell'individuazione delle eccellenze italiane, con la
possibilità di organizzare un'edizione del Positive Business Award nel Principato, organizzando anche
workshop, quale ad esempio quello sulla positività, che illustri la neuroscienza della Positività, ossia quando
lo stato dei nostri circuiti neurali favorisce la produttività aziendale; il concetto di solidità e resilienza; il
vantaggio della Felicità, ossia le 7 regole per aumentare il nostro stato di positività; i segreti delle aziende
positive, un viaggio all'interno delle aziende che utilizzano i concetti della positività per creare vantaggi
competitivi». INTERESSE DIFFUSO Anche Hunting Heads Italia, la brandi italiana del quinto gruppo
mondiale di Executive Search, nata in Germania, dove è tuttora al secondo posto nel settore, già estesa
peraltro in tutta Europa, Asia, Cina, Stati Uniti e recentemente anche a Dubai, guarda al mercato
monegasco con fervido interesse. Come ha infatti affermato nel corso della missione Francesco Festa,
amministratore delegato della società, «per quanto riguarda le caratteristiche del manager con
responsabilità importanti in azienda, vi sono due caratteristiche chiave che HH ricerca ed è capace di
identificare con efficacia: i manager con forte e brillante personalità, vivaci intellettualmente e culturalmente,
motivatoli riconosciuti, con una dose molto elevata di creatività, capaci di anticipare il mercato futuro e
saper identificare le esigenze e i desideri del cliente finale; e i manager di taglio internazionale, abituati a
sopportare lo stress e la concentrazione necessari per fare risultati concreti in realtà complesse, in rapido
mutamento, di culture diverse e spesso "miscelate". In particolare, la seconda caratteristica si attaglia molto
a ciò che per me significa il Principato di Monaco come interesse e opportunità: il Principato è riuscito infatti
con una politica accorta e lungimirante ad attrarre aziende, attività, business, investimenti e continua
sempre più ad attrarne. Ciò significa nel breve periodo, consolidamenti certi e quindi una nuova attenzione
a "strutture", capacità "gestionali" e funzioni di "comando e controllo". Di conseguenza tale massa critica, in
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ulteriore sviluppo, necessita e necessiterà sempre di più in un futuro a breve-medio termine, di manager
internazionali, di management skills del tipo di quelle delineate sopra. Per questo motivo, ritengo il
Principato di Monaco molto attrattivo per Hunting Heads, al punto di pensare a un ufficio di corrispondenti o
ad una sede staccata, per poter coltivare, sviluppare e realizzare Executive e Middle Management Search
sul campo». In definitiva, grazie soprattutto agli accordi siglati con l'Italia, siamo in un'epoca nuova. «Oggi -
conclude Carbone - possiamo davvero parlare di nuove prospettive, soprattutto in alcuni comparti, primi fra
tutti, il terziario avanzato, la tecnologia, la salute e la ricerca. Non coglierle, sarebbe un peccato». I »
«L'obiettivo è quello di promuovere il made in Italy nel Principato»II governo monegasco ha creato le condizioni per facilitare le aziende«Non basta dire internazionalizzazione» // parere di Giuseppe Crìstoferi, Ceo di Elan International, sulle
dinamiche dell 'ampliamento del business «Global, giocai, internazionale, multinazionale,
transnazionale...gli aggettivi volti a descrivere il fenomeno dell'ampliamento delle dimensioni del business
nei tempi moderni si moltipllcano. Non tutti I settori industriali presentano la stessa faccia, non tutti sono
percorsi in eguai modo dalla globalizzazione. Sicuramente, spinta in avanti su questa strada è la moda, il
fashion, il lusso. E certamente, i cacciatori di teste hanno uno spazio più vasto di ricerca, rivolgendosi a
persone già internazionali per formazione, cultura, esperienza. Il possesso della lingua inglese, insieme con
le competenze tecniche, è indiscusso. Pertanto ha buone chance di successo una azienda di head hunting
internazionale, più che fluente nell'inglese, perché opera in ambito mondiale ma entro una stretta nicchia.
Altri settori possiedono queste caratteristiche, ad esempio l'avionico, l'elicotteristica (militare e civile). Ma
già il farmaceutico un po' meno di nicchia, o meno specifico, come ronco/ematologia, o ancor più il primary
care, i generici e i generici branded, l'OTCe l'automedicazione, è fortemente giocai: locai come mercato,
globale come produzione, perché fabbriche dislocate ovunque (anche in Italia, fortunatamente) fanno uscire
prodotti spendibili globalmente, secondo un concetto di vocazione produttiva dei singoli stabilimenti. E
l'Italia ha, anche qui come nella moda, un know-how particolare nella produzionefarmaceutica e
chimicofarmaceutica. In sostanza, nei settori sopra citati, l'Head Hunter ha maggiore successo se è
contemporaneamente radicato sul territorio nazionale ed estende i rami nel mondo. Ci sono, ovviamente,
mercati più nazionali. In genere, sono quelli più normali, o dove c'è una situazione favorevole al monopolio
naturale. Si allude a gran parte dei servizi, all'edilizia (c'è la barriera linguistica), all'energia. Solo guardando
i dati del consumo di energia ci si accorge che meno del 10% è energia importata (per lo più nucleare, dalla
Francia). Il resto, soprattutto le energie rinnovabili, sono un mercato italiano, così come le Utilities
(distributori di gas, acqua, rifiuti) e le concessioni (autostrade, aeroporti, ferrovie). Eppure, anche in questi
settori si fa vivo uno scambio di risorse umane attraverso le frontiere, e una attenta ricerca di personale
apicale non può prescindere da una considerazione per lo meno europea anche per l'Italia. Del tutto
intemazionali sono poi alcune grandi società oil & gas e cantieristica correlata, come quelle di costruzioni e
progettazione ingegneristica. Molto variegata è la metalmeccanica, che comprende una estesa gamma di
situazioni differenziate. Si va dall'automotive (credo che abbiamo tutti sotto gli occhi esempi di
internazionalità evidente), alla meccanica di precisione, all'elettrodomestico (analogo esempio rispetto
all'automotive). Il fil rouge che lega tutte queste differenti realtà è che comunque dall'internazionalità non si
può prescindere se si vuole stare là dove le decisioni sul capitale umano più sensibili vengono prese. Poi,
anche sul capitale umano esistono ancora - e ci auguriamo esistano sempre - specificità italiane».
Foto: Sportello Italia ha organizzato, presso il Movotel, una missione economica, patrocinata
dall'Ambasciata d'Italia nel Principato, di imprese italiane di vari settori, dalla farmaceutica alla consulenza,
fino al turismo
Foto: Nella foto a fianco, William Griffini Ceo di Carter & Benson, società di Head Hunting. Nella foto sopra
Da sinistra a destra: Matteo Mauri, vice direttore affari istituzionali di Expo; Chiara Osnago Gadda,
giornalista e moderatrice dell'evento; Fabrizio Carbone, presidente di Sportello Italia; taurence Garino,
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Head of Office di Monaco Welcome & Business Office; S.E, Massimo tavezzo Cassinelli, Ambasciatore
d'Italia nel Principato; Daniele Fanteria, direttore generale di Sportello Italia.
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SCENARIO ECONOMIA
39 articoli
Corriere Economia Sulla corsa alla Casa Bianca le scommesse di Wall Street Giuditta Marvelli L a campagna elettorale delle elezioni americane è appena cominciata, ma Wall Street e la grande finanza
stanno già votando con i finanziamenti privati e pubblici, quelli dei comitati Super Pac, per i favoriti alla
Casa Bianca. Sotto il candidato trovi l'hedge fund, ed è interessante scoprire chi appoggia chi. Corriere
Economia, in edicola domani con il Corriere, ha costruito una mappa delle alleanze già visibili. Scoprendo
che lo speculatore più famoso del mondo, George Soros, l'uomo che scommise contro la sterlina e che
oggi sta puntando sul crollo dello yuan, ha già versato otto milioni di dollari per la signora Clinton. Una cifra
notevole, che va parametrata ai 115 milioni complessivamente donati dai big di Wall Street a chi corre per
la presidenza degli Stati Uniti. E che i soldi di Wall Street, per motivi diversi non interessano né a Donald
Trump (che di miliardi ne ha a sufficienza per finanziarsi da solo) né a Bernie Sanders.
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07/02/2016Pag. 24
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 47
Padoan: banche solide senza lo Stato In Germania aiuti per 240 miliardi Il ministro: «La Ue fa poco per l'occupazione. L'Italia usa tutta la flessibilità per la crescita» Nuove misure«Il sistema del credito è forte e il governo prende la prossima settimana altre misure» Enrico Marro ROMA Per un giorno è tornato in cattedra. Alla scuola di formazione politica del Pd, davanti a una platea di
giovani, molti dei quali già consiglieri o assessori negli enti locali. Ma il professor Pier Carlo Padoan non ha
dimenticato di essere il ministro dell'Economia. Inevitabile, quindi, la rivendicazione dei risultati ottenuti in
due anni di governo. In un Paese, ha sottolineato Padoan, che veniva da anni di recessione e di declino
strutturale. Un Paese che, dal 2015, ricomincia a crescere, sia pure a ritmi nettamente inferiori alle medie
europee. Tuttavia, secondo il ministro, il successo di una politica si misura su un altro fronte. «All'Europa
dico: come si valuta la qualità di un'economia? Io non ho dubbi, sulla capacità di creare lavoro. E su questo
l'Europa non ha fatto abbastanza». E quindi è importante, per esempio, che nel 2016 per la prima volta
dopo molti anni il debito pubblico cominci finalmente a scendere, ma questo risultato, ha detto Padoan, vale
perché consente di recuperare risorse per la crescita e l'occupazione. E su questi fronti i dati sono in
miglioramento.
Il ministro, per sostenere le sue tesi, ha mostrato 21 slide. Alcune molto eloquenti. Come quando ha
affrontato il tema caldo delle banche. In Italia, ha detto, il sistema produttivo «si basa quasi esclusivamente
sul credito. Quindi è normale che dopo 3-4 anni di recessione le sofferenze (i crediti difficili da riscuotere,
ndr. ) siano aumentati. Ma io dico che un sistema come il nostro, che ha resistito a tutto questo senza crisi
bancarie e senza gli aiuti di Stato che ci sono stati altrove, è un sistema molto solido».
E qui ha fatto vedere un grafico sugli aiuti pubblici che i governi hanno dato alle banche fino al 2014. Al
primo posto c'è la Germania, con quasi 240 miliardi di euro, seguita da Regno Unito (162,5), Spagna
(52,4), Irlanda (41,8), Grecia (39,8) e così via. Chiude la classifica l'Italia con appena un miliardo di euro.
Anche se si potrebbe facilmente obiettare che proprio per questo crescono le preoccupazioni sulla tenuta
delle banche italiane, ora che questi aiuti non vengono più autorizzati da Bruxelles. Ma Padoan ha garantito
che il sistema è forte e che «il governo prenderà la prossima settimana altre misure per rafforzarlo». Il
riferimento è ai provvedimenti sulla riforma del credito cooperativo, sulle procedure concorsuali e sui
rimborsi per gli obbligazionisti delle banche fallite.
Che mettere al riparo il sistema finanziario sia la prima cosa da fare per uscire dalla crisi ce lo insegnano gli
Stati Uniti, ha spiegato il ministro. Lì hanno fatto così e solo dopo si sono occupati dell'aggiustamento
fiscale. «In Europa abbiamo fatto il contrario» dando priorità alle politiche di austerità. «Ma così abbiamo
perso tempo e ora stiamo cercando di recuperare». In realtà, proprio la slide di Padoan sugli aiuti alle
banche sembrerebbe dimostrare che gli altri Paesi non hanno trascurato il soccorso al sistema finanziario.
Bisogna, ha concluso Padoan, «riorientare le politiche europee verso la creazione di lavoro, dando più
spazio fiscale (cioè più flessibilità di bilancio, ndr. ) a chi ne ha poco e chiedendo a chi lo ha di usarlo, e
l'Italia lo usa tutto», ha sottolineato, rivendicando così il punto in più di deficit col quale il governo ha
coperto la legge di Stabilità mentre altri Paesi, come la Germania, non fanno abbastanza per spingere la
domanda. In Italia, invece, ha assicurato Padoan, il governo insisterà sull'«elemento cruciale della nostra
politica economica: la riduzione delle tasse» per favorire consumi e investimenti. Nel 2017 toccherà all'Ires,
l'imposta sulle imprese: l'aliquota scenderà dal 27,5% al 24%. Nel 2018 all'Irpef. Bruxelles permettendo.
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Il confronto Impatto degli interventi pubblici sui sistemi bancari e finanziari (miliardi di euro) Quanto è
cresciuto il debito pubblico dal 2008 al 2014 (% Pil) Fonte: Mef d'Arco Germania Regno Unito Spagna
Irlanda Grecia Olanda Austria Portogallo Belgio Slovenia Francia Danimarca ITALIA Portogallo Regno
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 48
Unito Grecia Lussemburgo Unione Europea Stati Uniti Francia Area Euro Danimarca ITALIA Giappone
Olanda Austria Svezia Belgio Germania 238,984 162,528 52,473 41,849 39,809 36,290 28,024 19,058
18,533 6,782 2,720 1,100 1,071 81,63 70,48 63,32 59,73 45,33 44,43 40,42 37,86 35,13 29,32 28,44 25,23
22,94 21,82 15,39 15,18
La lezioneIl ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (foto) è intervenuto ieri alla scuola di formazione politica del Pd,
davanti a una platea di giovani, molti dei quali già consiglieri o assessori negli enti locali Padoan
ha presentato 21 diapositive con i dati macro relativi a Italia e Ue. Il ministro ha rivendicato i risultati ottenuti
in due anni di governo. Ha anche detto che bisogna «riorientare le politiche Ue verso la creazione di lavoro,
dando più spazio fiscale a chi ne ha poco e chiedendo a chi lo ha di usarlo, e l'Italia lo usa tutto»
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 49
La ricerca Amazon e Fb campioni in Borsa Ma è l'industria a creare lavoro Lo studio di Mediobanca: Google sorpassa Apple al listino solo per un giorno Sergio Bocconi La notizia ha fatto scalpore a inizio febbraio, quando Google ha superato Apple ed è diventata la società
numero uno al mondo per capitalizzazione di Borsa. E anche se il sorpasso è rientrato nel giro di 24 ore,
resta aperta la «sfida» sul primato di valore tra la società fondata da Larry Page e il colosso creato da
Steve Jobs e guidato oggi da Tim Cook.
Una sfida che «racconta» molte cose, a cominciare dal fatto che Google, oggi gruppo Alphabet (la holding
nata nell'agosto 2015) ha da poco superato Microsoft. E poi il testa a testa è fra due società che fanno
parte entrambe della cosiddetta new economy, ma mentre Google appartiene al mondo del software-web,
Apple è un gigante della manifattura. E il sorpasso ha riacceso i riflettori sul «confronto» fra i due mondi.
Che presentano numeri profondamente diversi.
Secondo un'elaborazione di R&S-Mediobanca, le prime dieci big mondiali del «soft-web» capitalizzano oggi
più o meno come le top ten della manifattura («hard»), cioè 2 mila miliardi di euro. Ma le prime hanno
fatturato nei primi sei mesi del 2015 164,2 miliardi, un terzo circa delle seconde (472,8 miliardi) con un
terzo dei dipendenti, 662.992 contro 1.820.565.
Le differenze diventano ancora più macroscopiche guardando ai singoli casi. Partiamo da Google e Apple.
La prima capitalizzava giovedì 442,2 miliardi di euro, mentre la seconda circa 480 (poco meno dell'intera
Piazza Affari, che il 29 gennaio valeva 505 miliardi). Il grande motore di ricerca ha fatturato però nel primo
semestre 2015 31,3 miliardi, mentre il gruppo guidato da Cook ha realizzato ricavi quattro volte superiori,
pari a 118,5 miliardi. Con il doppio dei dipendenti: 110 mila contro 53.600.
La fotografia della diversità appare particolarmente nitida in casi come Facebook: capitalizza 281 miliardi,
ne fattura quasi 7 in sei mesi con poco più di 9 mila dipendenti. General electric, che vale in Borsa 264
miliardi, ne ha fatturati nella prima parte dello scorso anno quasi 45 con 305 mila occupati. Amazon
capitalizza 226 miliardi, poco meno di Nestlé (212), con ricavi simili ma numero di dipendenti pari alla metà
(154 mila contro 339 mila). Nel confronto non si può poi «saltare» la Coca-Cola: capitalizza 165 miliardi, 20
in più della cinese Alibaba, fondata nel 1999 e fra le ultime arrivate in Borsa, fattura però più del triplo con il
quadruplo degli occupati.
Le differenze fra società soft-web e manifattura sono poi numerose altre: le prime sono quasi tutte giovani,
hanno tassi di crescita esponenziali, pochi debiti e tanta liquidità. E in molti casi sono possedute da coloro
che figurano fra gli uomini più ricchi del mondo, come Bill Gates (Microsoft), Larry Ellison (Oracle), Jeff
Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Facebook), Larry Page e Sergey Brin (Google). Titolari di patrimoni
miliardari, detengono saldamente il controllo con poco capitale grazie ad azioni a voto multiplo «molto»
speciali.
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La classifica R&S di Mediobanca Le prime 5 aziende manifatturiere Le prime 5 aziende software/web
d'Arco General Electric *milioni di euro **numero medio ***migliaia di euro 442.256 368.204 281.610
226.046 153.422 479.505 264.089 257.373 212.881 195.397 31.267 39.481 6.780 41.023 6.607 118.517
44.669 31.425 41.144 29.888 53.600 118.000 9.199 154.100 28.072 110.000 305.000 126.500 339.456
110.000 1.167 669 1.474 532 471 2.155 293 497 242 543 1 2 3 4 5 1 2 3 4 5 Fatturato per dipendente
(annualizzato) *** Dipendenti primi sei mesi 2015 ** Fatturato primi sei mesi 2015 * Capitalizzazione al
4/2/2016 *
07/02/2016Pag. 25
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 50
Il governo e l'economia Non si riparte solo con i bonus Dario Di Vico D urante la preparazione della legge di Stabilità abbiamo discusso a lungo - e ci siamo divisi - attorno alla
scelta di abolire Imu e Tasi sulla prima casa. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sostenuto a spada
tratta la sua opzione sulla quale ha investito ben 3,8 miliardi della manovra di fine anno. Siamo a febbraio,
e ancora lontani dalla scadenza in cui avremmo dovute pagarle, ma di quel taglio delle tasse è come se ce
ne fossimo dimenticati. Sarà per le roventi polemiche con Bruxelles che già traguardano ulteriori decisioni
di finanza pubblica, sarà per i fattori di incertezza sempre vivi, quella misura non ha avuto l'effetto
sperato.Nel varare la mossa fiscale Renzi non aveva fatto mistero di voler centrare un doppio obiettivo, uno
di carattere politico invadendo un terreno «berlusconiano» e quindi caro all'elettorato di centrodestra e uno
più strettamente economico dando ossigeno alla risalita del Pil. Per quello che possiamo conoscere
attraverso i sondaggi d'opinione il primo obiettivo non è stato centrato visto che in questi mesi non c'è stato
un travaso di consensi da destra in direzione del Pd. Sul piano economico, poi, il taglio di Tasi e Imu
avrebbe dovuto rappresentare la prima tessera di un intervento governativo che restituisse fiducia agli
italiani sulla bontà dell'investimento immobiliare e rimettesse in moto la filiera del mattone, che per
ampiezza e velocità di reazione in Italia è pressoché unica.
È vero che nella Stabilità sono state inserite almeno altre due misure coerenti con questo indirizzo, il
leasingimmobiliare e la robusta detrazione dell'Iva in caso di acquisti dell'abitazione direttamente dal
costruttore, ma l'insieme di questi provvedimenti non è stato sufficiente per ridare fluidità al mercato. La
sensazione di molti risparmiatori è quella di possedere degli asset molto meno liquidabili che in passato e di
conseguenza sono portati a monitorare in primo luogo l'andamento quantitativo degli scambi di proprietà.
Per di più vedono come la domanda di nuove abitazioni sia diventata selettiva e specie nelle grandi città più
orientata a premiare i servizi che l'immobile in sé. E intuiscono quindi che quando ripartirà si tratterà di un
mercato molto diverso da quello a cui eravamo abituati e comunque non disposto ad assorbire lo stock di
case invendute. Si può obiettare che in fondo il governo avesse un suo piano B e che più che a rilanciare
davvero il mercato immobiliare pensasse in realtà, tagliando le tasse, di bissare l'operazione 80 euro:
mettere più soldi in tasca agli italiani per consentire subito dopo un rilancio dei consumi consistente e non
limitato, come ora, solo ad alcuni beni durevoli (auto). Se questa era la vera intenzione del taglio di Imu e
Tasi bisogna dire che i fatti non hanno dato seguito alle premesse perché come sottolineava ancora ieri
l'Istat, nella sua nota mensile sulla situazione economica, le famiglie italiane nel terzo trimestre del 2015
hanno visto aumentare il loro potere d'acquisto dell'1,4% rispetto al trimestre precedente ma i soldi che si
sono ritrovati in più a fine mese li hanno destinati per una sorta di riflesso condizionato per due terzi al
risparmio (+0,9%). E non perché vedano davanti ai loro occhi particolari e irrinunciabili occasioni di
investimento quanto per paura, accumulano munizioni per una guerra che non è scoppiata ma della quale
pensano di intuire i segni premonitori. Ed è chiaro che davanti a un orientamento così scettico e allarmato
la politica di un bonus dietro l'altro che sembra prediligere Matteo Renzi appare quantomeno un'arma
spuntata.
Dario Di Vico
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06/02/2016Pag. 1.25
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 51
Renzi e i margini sui conti pubblici: Bruxelles ci dia quello che ci spetta Il premier olandese usa parole distensive: mettiamo a frutto la tua leadership Marco Galluzzo ROMA « Se volessi potrei avere sul piatto 25 miliardi di flessibilità, potrei fare come Spagna e Francia, che
sforano il patto di Stabilità, ma noi stiamo rispettando le regole e continueremo a farlo. Ma a Bruxelles
devono darci quello ci spetta, possiamo arrivare all'1 per cento di flessibilità, è previsto dalle regole, è un
nostro diritto, non è materia di interpretazione».
Matteo Renzi ha affrontato ieri sera la cena con Mark Rutte, premier olandese, presidente di turno
dell'Unione Europea, anche con questi argomenti. Sotto i lampadari di cristallo dello storico hotel Des
Indes, nel centro dell'Aia, in una saletta riservata agli ospiti d'onore, i due giovani leader e i loro staff hanno
discusso del futuro della costruzione europea e delle richieste italiane.
Rutte ha qualche anno in più, ma è soprattutto appartenente alla famiglia dei liberali europei, che spesso fa
sponda con i popolari della Merkel. Rappresenta un Paese molto più soddisfatto di noi dello status quo
dell'Unione Europea, mentre per il nostro premier, tema ribadito ieri anche in una telefonata con il
presidente della Francia, François Hollande, il Vecchio continente dovrebbe «cambiare strada, abbinare
alle politiche di austerity un'autentica scelta strategica per la crescita economica».
Una scelta ancora più importante del dibattito sulla flessibilità, delle frecciate con Juncker, delle
incomprensioni con il commissario economico Moscovici, secondo Renzi. «Sono polemicucce», ha detto
durante la visita in Africa dei giorni scorsi. «Ma soprattutto oscurano il vero problema: a me la questione
della flessibilità interessa sino a un certo punto - dice con i suoi - il vero nodo è il futuro dei nostri figli, la
mancanza di una strategia di crescita della Ue, la perdita di centralità, politica ed economica, del nostro
continente».
Per questo ieri sera con Rutte il nostro premier ha parlato di riforme, della necessità di riprendere in mano
l'agenda di «cambiamenti strutturali» nei meccanismi dell'Unione. «Sono fiducioso nella leadership di Mark,
per un'Europa meno burocratica e più efficiente e che metta al centro la crescita e il lavoro», ha detto Renzi
entrando in albergo.
Due i punti di contatto fra Italia e Olanda in questo momento: la garanzia unica sui depositi bancari, che
vede attualmente la Germania in minoranza, e tutta l'agenda del mercato unico, con le proposte contenute
del cosiddetto rapporto dei 5 presidenti.
Una sintonia possibile che ieri Rutte ha rimarcato: «C'è tanto da fare nella nostra presidenza e nel resto
dell'anno, quindi stasera è una serata per mettere a frutto la leadership di Matteo su crescita e lavoro, per
far funzionare l'Europa davvero, sono molto felice della visita di Matteo, discuteremo di crescita e
occupazione, immigrazione, ma la cosa più importante è che stringeremo ancora di più il legame che
abbiamo ».
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La vicendaSono diversi i fronti aperti tra il governo italiano e la Commissione europea Sull'Ilva, il gruppo siderurgico
commissariato dall'esecutivo, la Commissione ha dato il via libera a un'indagine per sospetti aiuti di Stato
Anche sulla questione della bad bank (200 miliardi di euro di crediti in «sofferenza» nei bilanci delle banche
italiane) Bruxelles non ha ancora detto sì alle proposte di Roma perché si configurereb-bero come aiuti di
Stato C'è un braccio di ferro anche sui dazi alla Cina: i Paesi del Nord Europa vorrebbero eliminarli, l'Italia
si oppone temendo conseguenze sull'export Sui conti pubblici, in primavera il governo saprà se c'è l'ok
della Commissione alla legge di Stabilità finanziata con un aumento del deficit. Dal 2017, poi, saranno più
stringenti i vincoli imposti dal Fiscal compact che invece Renzi vorrebbe allentare Sui migranti l'Italia
06/02/2016Pag. 10
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 52
respinge la procedura d'infrazione per la mancata registrazione dei profughi e non ha dato l'ok ai 3 miliardi
che la Commissione vuole stanziare per la Turchia
Foto: Spagna e Francia sforano il patto di Stabilità, ma noi stiamo rispettando le regole
Matteo Renzi
Foto: Parleremo di crescita e immigra-zione, ma soprattutto stringeremo di più il legame che abbiamo
Mark Rutte
Foto: Intesa Il primo ministro Matteo Renzi, 41 anni, ricevuto all'Aia dal premier olandese, il liberale Mark
Rutte, 48 (Afp)
06/02/2016Pag. 10
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 53
Più risparmi che consumi La ripresa italiana resta fragile La previsione dell'Istat: tra i cittadini c'è incertezza anche dopo lo spread aimassimi di agosto, a quota 125 Export Nel manifatturiero -3,3% delle commesse estere nel trimestresettembre-novembre Enrico Marro ROMA Dopo la commissione europea, anche l'Istat frena: la crescita dell'economia italiana sarà più lenta
del previsto, spiega la Nota mensile diffusa ieri dall'istituto di statistica. Le incertezze che pesano sullo
scenario internazionale si riflettono negativamente sulle prospettive delle esportazioni mentre l'aumento dei
consumi sembra lasciare spazio a una ricostituzione dei risparmi erosi durante la recessione.
L'anno scorso la ripresina del prodotto interno lordo dello 0,8% (0,7% correggendo il dato per i giorni
lavorativi, secondo le stime della Banca d'Italia) c'è stata proprio grazie all'aumento della domanda interna
che ha compensato la riduzione di quella estera (le esportazioni totali sono scese dello 0,8% nel terzo
trimestre del 2015 rispetto al secondo). Quest'anno il quadro del commercio estero è incerto. Sottolinea
l'Istat che sulle prospettive dell'attività manifatturiera nei prossimi mesi pesano le «forti riduzioni delle
commesse estere (-3,3%) nel trimestre settembre-novembre».
Sarà ancora di più la domanda interna a supplire e a trainare la crescita. A favorire i consumi è la crescita
del reddito disponibile delle famiglie, dovuto all'aumento dell'occupazione, al miglioramento delle
retribuzioni contrattuali (+1,2% nel 2015 rispetto al 2014) e alla stabilità dei prezzi. Il potere d'acquisto al
netto dell'inflazione, dice la nota, è così salito dell'1,4% nel terzo trimestre del 2015 rispetto al precedente.
Ma questo reddito in più è stato utilizzato maggiormente sul versante del risparmio, aumentato dello 0,9%
nel terzo trimestre, che su quello dei consumi, cresciuti dello 0,4%. Il tasso di risparmio, tradizionale punto
di forza degli italiani, sta quindi risalendo verso il 10%, dal minimo del 7% toccato nel 2012 - quando le
famiglie hanno fronteggiato la recessione mettendo mano appunto ai risparmi - ma ancora distante dal 12-
13% degli anni pre-crisi.
In questo quadro, conclude l'Istat, «le prospettive di famiglie e imprese appaiono evolvere in modo diverso.
Mentre per le prime ci si attende il proseguimento della crescita del reddito disponibile, cui contribuisce
l'attuale fase di bassa inflazione, per le imprese non si segnala ancora un generalizzato aumento dei ritmi
produttivi, in presenza di un peggioramento del clima di fiducia e una riduzione delle prospettive di
crescita». Le previsioni di aumento del Pil restano positive, «ma con un'intensità più contenuta rispetto ai
mesi precedenti». Il che porterebbe a concludere, appunto, che la stima del governo di un Pil a +1,6%
quest'anno vada ridotta di qualche decimale di punto (la commissione europea dice 1,4%).
Anche l'ufficio studi della Confcommercio, che ieri ha diffuso il dato sull'Indicatore dei consumi, che per la
prima volta dal 2007 ha segnato un aumento (+1,6% nel 2015), concorda sul fatto che «le famiglie stiano
cercando forme di riequilibrio tra consumi, risparmio e investimenti». Del resto i fattori d'incertezza sono
tanti. A cominciare dallo spread, il differenziale con i titoli di Stato tedeschi, che ieri ha toccato i livelli record
da agosto, a quota 125. Quanto dureranno l'inflazione a zero, il petrolio ai minimi, il cambio favorevole, i
tassi d'interesse bassi sui mutui? La stessa politica di finanza pubblica espansiva sembra vicina al
capolinea, se Bruxelles non concederà altri margini di flessibilità. Quelli concessi finora e quelli che il
governo con qualche azzardo si è preso hanno consentito di passare dalla recessione alla ripresina. Che
però resta fragile .
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I componenti del Pil Var. % sul periodo precedente Pil Importazioni totali Domanda nazionale Consumi
nazionali spesa delle famiglie altre spese Investimenti fissi lordi costruzioni altri beni Esportazioni totali 4°
trim. 2014 -0,1 +0,4 -0,5 +0,3 +0,2 +0,5 +0,1 -0,4 +0,7 +1,9 2014 -0,4 +2,9 -0,6 +0,1 +0,4 -0,7 -3,5 -5,0 -1,9
+3,1 2015 1° trim. 2° trim. 3° trim. Dati trimestrali; indice: 2007=100 Fonte: elaborazioni su dati Istat d'Arco
06/02/2016Pag. 11
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 54
Pil Consumi e investimenti Esportazioni (scala di destra) +0,4 +2,5 +0,8 +0,1 +0,1 - +1,2 +0,6 +1,9 +1,0
+0,3 +1,6 +0,3 +0,2 +0,4 -0,4 -0,1 -0,5 +0,3 +1,3 +0,2 +0,5 +0,6 +0,4 +0,4 +0,3 -0,4 - -0,7 -0,8 2007 2008
2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 85 70 90 80 9 90 100 100 105 110
La vicendaIeri l'Istat ha diffuso la Nota mensile sull'andamento dell'economia, che contiene anche le previsioni
dell'istituto di statistica sui prossimi mesi Il quadro internazionale risentirà del rallentamento della crescita
Usa mentre nell'area euro «si delinea il proseguimento dell'attuale fase di moderato incremento dell'attività
economica» L'Italia rafforzerà la crescita, ma meno del previsto
06/02/2016Pag. 11
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 55
Intesa raddoppia l'utile, «l'Italia va» Messina: il nostro miglior bilancio, mercati confusi. Bazoli e Gros-Pietro? Presidenti perfetti Patrimonio eprestiti «Patrimonializzazione? Siamo al top in Europa I prestiti saliranno da 41 a 47 miliardi» Paola Pica Carlo Messina presenta «il miglior bilancio di Intesa Sanpaolo dal 2007», anno di nascita della superbanca,
chiuso con un utile quasi raddoppiato a 3 miliardi (2,7 al netto del contributo straordinario al fondo di
risoluzione) e una proposta di un extra dividendo cash di 2,4 miliardi dai 2 previsti dal piano. La cedola
salirà a 3 miliardi il prossimo esercizio, che sarà anche il primo con la nuova governance all'anglosassone e
il consiglio di amministrazione unico. Mentre il consigliere delegato snocci ola prima agli analisti e poi alla
stampa i numeri record del suo secondo anno pieno di mandato, il titolo in Borsa resta sull'ottovolante della
speculazione, prima in rialzo del 5% e poi in ribasso del 3,9%.
«Sono 10 giorni che non guardo l'andamento del titolo in Borsa. Sui mercati c'è una confusione totale -
dice - e vorrei rassicurare le famiglie e le imprese. Per patrimonializzazione, Intesa Sanpaolo è al top in
Europa. E se la nostra banca è forte crescita, nel solo 2015 sono stati concessi prestiti per 41 miliardi, le
erogazioni saliranno a 47 miliardi nel 2016, si possono prevedere gli effetti virtuosi degli investimenti sul Pil,
nell'anno seguente». Per Messina, anche le previsioni d'inverno della Ue sono da leggere positivamente:
«Un più 1,4% nel 2016 rispetto al precedente più 0,6% rappresenta il delta di crescita più consistente in
Europa». Tutto un problema di comunicazione, dunque, dati su crediti deteriorati compresi. «Continuare a
ragionare sulle sofferenze lorde è una fesseria - sostiene - le sofferenze nette sono assolutamente gestibili
e in linea con quelle di tanti altri Paesi». La questione, casomai, è quella dei tempi di recupero delle
sofferenze e per questo Messina si augura che nei prossimi decreti governativi «possa esserci qualche
forma di accelerazione, servono procedure rapide sulla risoluzione sui beni sottostanti alle sofferenze».
Quanto al bail-in, «quando sono state approvate queste disposizione ero fortemente contrario ma sono
abituato a guidare l'azienda all'interno delle regole stabilite ».
Quello che accade al listino è a tratti «sconcertante», ma il capo del primo gruppo italiano del credito
esclude ci sia una trama ai danni del nostro Paese e delle sue banche. «Piazza Affari era cresciuta negli
ultimi due anni molto di più degli altri mercati. Un complotto non è credibile».
A una domanda sul presunto flusso straordinario di nuova clientela in arrivo da altri istituti, Messina ha
replicato che la raccolta cresce dal 2011, «a ritmi fisiologici» e almeno a gennaio «non tali da comportare
crisi di liquidità di altre banche».
Nel 2015 le commissioni hanno segnato la crescita più alta di sempre a 7,5 miliardi (+11%) supportate dal
risparmio gestito (aumento delle masse in due anni del 27% a 328 miliardi). Per la prima volta si è ridotto lo
stock dei crediti deteriorati, mentre è calato anche il flusso di nuove sofferenze. L'anno in corso sarà anche
il primo con la nuova governance che «ci porta in linea con le best practice». Messina ricorda come «le
banche siano fatte di persone e quindi conteranno le persone che saranno scelte per il nuovo consiglio.
Oggi Intesa Sanpaolo funziona bene perché ci sono due presidenti , Giovanni Bazoli e Gian Maria Gros-
Pietro che interpretano il loro ruolo con misura perfetta».
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d'Arco I numeri del 2015 L'ANDAMENTO IN BORSA Ieri 2,384 -3,87% 2,566 2,521 2,478 2,431 2,386
2,341 10:00 12:00 14:00 16:00 2,4 3 L'AMMONTARE DEI DIVIDENDI CASH IL RISULTATO NETTO
Valore in miliardi di euro Valore in miliardi di euro 13,1% Il common equity ratio 8% L'aumento del risultato
della gestione operativa 28% La riduzione dello stock dei crediti deteriorati 41% La crescita dei profitti ante-
imposte
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 56
I verticiIn alto il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, sotto l'amministratore delegato del gruppo Carlo
Messina. Bazoli, quando la banca darà l'addio al sistema duale, diventerà presidente emerito del gruppo.
Un lungo percorso di crescita, quello che ha portato, a partire dal Nuovo Banco Ambrosiano all'acquisizione
della Cariplo e della Comit e poi del Sanpaolo, alla nascita di Intesa Sanpaolo. Il 26 febbraio è stata
convocata la assemblea per il varo del nuovo statuto con il sistema monistico
Foto: Se si guarda alla crescita dell'Italia, quest'anno, i livelli sono più alti rispetto agli altri partner europei.
L'effetto dei prestiti sul Pil si sentirà tra un anno
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«Mps, un partner per gestire i crediti» L'istituto chiude con utili per 388 milioni. Viola: abbiamo fatto uno sforzo straordinario Sergio Bocconi La nuova gestione ha fatto uno «sforzo straordinario» per massimizzare l'efficienza e l'obiettivo per il 2016
di Montepaschi «è generare un utile netto organico, impegno che abbiamo preso e crediamo sia
assolutamente raggiungibile». Lo ha detto ieri l'amministratore delegato della banca senese, Fabrizio Viola,
presentando agli analisti i conti dell'esercizio appena concluso. A conferma di quanto comunicato in
gennaio sui dati preliminari, il bilancio si è in chiuso con un risultato positivo per 388 milioni, includendo,
come richiesto dalla Consob, l'effetto della contabilizzazione "a saldi chiusi" del derivato Alexandria. Al
netto della riclassificazione, è stato sottolineato, l'esercizio si chiuderebbe con una perdita di 112 milioni,
anche a causa del contributo straordinario di 88 milioni al fondo di risoluzione del sistema bancario.
L'istituto, il cui titolo ieri in Piazza Affari ha guadagnato il 3,51%, ha deciso di individuare un partner
specializzato per migliorare la performance di recupero dei Non performing loan e di spingere
sull'acceleratore per la cessione dei crediti in sofferenza oltre i 5,5 miliardi già previsti dal piano industriale
entro il 2018. Viola ha spiegato che sarà creata «una piattaforma indipendente per beneficiare del regime di
garanzia che il governo ha recentemente approvato per la cartolarizzazione volontaria di crediti in
sofferenza». Al 31 dicembre 2015 i crediti deteriorati lordi di Mps sono pari a 46,9 miliardi, in aumento del
3,4% rispetto a fine 2014, ma in calo di circa 600 milioni rispetto a settembre 2015, a seguito del
rallentamento dei flussi lordi, del miglioramento delle performance di recupero e della cessione di circa 1
miliardo di sofferenze realizzata a dicembre 2015.
Sui progetti di aggregazione, il top manager ha detto che l'istituto «continua con la strategia stand-alone e
nello stesso tempo è aperta a qualsiasi opzione di acquisizione e fusione che si possa presentare in futuro.
Nel frattempo continuiamo a lavorare per migliorare fondamentali della banca». Il Monte Paschi di Siena,
ha ribadito, è una banca «solida dal punto di vista finanziario e patrimoniale»». E a proposito del recente
deflusso di depositi che ha colpito banca, Viola ha sottolineato che ciò è venuto soprattutto da parte di
clientela corporate, meno da quella retail. La situazione dei depositi, ha aggiunto, «si è stabilizzata» dopo la
diffusione dei risultati preliminari di fine gennaio.
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Così in Borsa d'Arco 1,043 0,911 0,78 0,648 0,516 0,385 4 12 18 24 28 3 Gennaio Febbraio +3,51% 0,59
euro Ieri
46,9 miliardi di euro. Il livello dei crediti deteriorati di Mps, in calo di circa 0,6 miliardi da settembre388 milioni di euro. Gli utili netti realizzati dal Monte dei Paschi nel 2015, inclusa l'operazione Alexandria
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 58
PRIVATIZZAZIONI Il pasticcio di Ansaldo Sts e la nuova (possibile) carriera del giovaneSiragusa puato A pagina 8
Mercoledì 3 febbraio l'ingegnere elettrotecnico Stefano Siragusa, 40 anni, figlio d'immigrati da Campania e
Sicilia, collezionista di cravatte (in particolare Hérmes) da quando è un manager e non deve più
preoccuparsi di trovare i soldi per pagare la pizza alle ragazze, a Londra non c'è andato. Amministratore
delegato di Ansaldo Sts dal gennaio 2014 e neopresidente della Metro 5 di Milano, doveva ritirare il premio
Pfi Award «Transport Deal of the Year 2015», per la migliore operazione sui trasporti dell'anno, assegnato
alla metro Lilla. Ma non c'era da stappare champagne, meglio stare a Milano in previsione del temporale. E
in effetti la doppia sciabolata su Ansaldo Sts - l'ex gioiello della pubblica Finmeccanica che produce fra
l'altro i sistemi di segnalamento che tengono in sicurezza i treni, passata ai giapponesi di Hitachi con la
gestione di Mauro Moretti - è arrivata. Prima il comunicato di Consob, la sera del 3, poi della Procura di
Milano, il giorno dopo.
Colpi e dossier
Il primo esplicitamente parlava di «collusione» tra Finmeccanica e Hitachi sulla cessione del 40% di
Ansaldo Sts, avvenuta il 2 novembre «a pacchetto» con Ansaldo Breda. Secondo la Commissione di
controllo sulla Borsa i due gruppi si sono accordati per sopravvalutare di 32 milioni Breda (difficile da
vendere) e sottovalutare la quotata Sts. La denuncia è venuta da azionisti di minoranza, il fondo Amber e la
società di consulenza Bluebell. Consob l'ha ritenuta fondata e ha imposto di aumentare da 9,50 a 9,899 il
prezzo dell'Opa in corso, l'Offerta pubblica di acquisto obbligatoria lanciata da Hitachi per togliere da Piazza
Affari Ansaldo Sts, rilevandone il restante 60%.
Una doccia fredda, a due giorni dalla prevista chiusura dell'Opa (il 5), che Consob ha prorogato di due
settimane: scadrà il 19 febbraio. «Agito con correttezza», hanno risposto sia Hitachi sia Finmeccanica
(scivolata il 5 in Borsa, tanto da fare intervenire il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan che ha auspicato
«tempi rapidi per l'investimento di Hitachi»). Stessa gelata per il comunicato della Procura di Milano
sull'apertura di un'inchiesta, per ora senza indagati, sull'intesa Hitachi-Finmeccanica. Ipotesi di reato:
aggiotaggio, ostacolo all'autorità di vigilanza.
Un gran pasticcio, insomma, nel quale Siragusa si sarebbe trovato suo malgrado. Circolano voci di un
misterioso dossier col quale il giovane manager avrebbe espresso preoccupazione sulla gestione
dell'operazione in tempi non sospetti, prendendone le distanze. Un viatico per uscite future. L'uomo è in
predicato, secondo fonti insistenti, per l'eventuale successione ai «due Giuseppe» delle partecipate di Stato
(e Cdp), cioè Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia (dove il padre di Siragusa lavorava da
impiegato), e Bono, il suo omologo in Fincantieri.
Bono è in carica da 14 anni, Zampini da 15. È naturale un passaggio del testimone alle assemblee
primaverili, con i consigli in scadenza. Potrebbero entrambi restare in azienda, nel caso, con ruolo da
presidente (Zampini almeno due anni, finché decadrà da presidente di Confindustria Liguria).
Quando fu nominato in Sts, portato a soli 37 anni dall'allora presidente Sergio De Luca che lo presentò a
tutti in Finmeccanica, Siragusa veniva dal Boston Consulting group, dove aveva lavorato su dossier come
Alitalia, Ferrovie e (dagli Usa) Fiat Chrylser. Prima ancora era stato in Siemens. Laurea con lode al
Politecnico di Milano con specializzazione sugli impianti d'energia, master al Mip e ad Harvard, cattedra in
Luiss e membro dell'Aspen, nel Bcg è stato responsabile europeo di Aerospazio e Difesa. La sua nomina
suscitò malumori perché esterna al gruppo , ma nulla vieta che la scelta possa essere replicata ora (anche
se in Fincantieri sembra meno semplice).
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 59
Le incertezze
Siragusa è vincolato a Sts fino al 30 marzo, dicono i documenti, poi è libero di scegliere se restare o no.
L'Hitachi guidata dall'amministratore delegato Hiroaki Nakanishi e, nella sua parte Rail, dall'inglese Alistair
Dormer che di Sts è ora presidente, ha apprezzato i risultati sul gruppo, cresciuto secondo i dati preliminari
2015 (da confermare) sia nei ricavi (+6,2% nell'anno) sia nell'utile netto (+15,3% ). Ma gli ordini acquisiti
sono calati del 27% (come però previsto) anche per le tensioni sui destini dell'azienda. In prevedibile
aumento, visti i tempi lunghi e le incertezze.
Contro la decisione di Consob, Hitachi è pronta infatti a ricorrere al Tar. Verserà su un conto vincolato la
differenza fra i 9,50 euro per azione stabiliti e i 9,899 imposti: se il tribunale amministrativo le darà ragione,
verserà quei soldi (tra qualche mese) ai venditori, altrimenti se li riprenderà. Chi volesse aderire all'offerta è
dunque pagato solo in parte subito, il resto si vedrà. Non è proprio un incentivo.
Se l'Opa salta, Hitachi resta azionista di minoranza di quell'Ansaldo Sts che viene già indicata come «A
Hitachi Company Group». L'ipotesi regge. A venerdì 4 le adesioni erano al 4%. Inoltre il socio Amber (che
ha il 2,38%) ritiene il prezzo ancora troppo basso; e l'altro fondo socio al 2%, Elliott, si è detto indisponibile
e di fatto blocca il 10% del capitale con posizioni a lungo termine. Difficile per Hitachi arrivare al 90% che
serve per il delisting. L'alternativa (fondi permettendo) è raggiungere il 66%, maggioranza qualificata che in
assemblea le consentirebbe di deliberare una fusione per incorporazione in un veicolo non quotato.
Nel documento Opa, comunque, Hitachi si riserva di fondere nel gruppo l'Ansaldo Sts, nome che
scomparirebbe come già è successo a Breda. Senza impegnarsi in investimenti straordinari. Non
stupirebbe che Siragusa lasciasse.
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La storia di Ansaldo Sts è un saliscendi. Ecco le tappe principali.
2001
Tolta dalla Borsa Usa Ansaldo Signal, che era quotata al Nasdaq, Ansaldo Trasporti viene integrata nel
gruppo Finmeccanica.
2006
Nasce Ansaldo Sts dalla fusione fra Ansaldo Trasporti e sistemi ferroviari (ingegneria ferroviaria) e Ansaldo
Signal (segnalamento). In marzo viene quotata in Piazza Affari. La rilancerà, dall'anno dopo,
l'amministratore delegato storico, Sergio De Luca.
2015
In febbraio Hitachi ( guidata dal ceo Hiroaki Nakanishi, foto qui sotto ) firma l'impegno per l'acquisto del
40%. A vendere è Finmeccanica condotta da Mauro Moretti ( foto a sinistra ). Il 2 novembre si conclude:
trasferite le quote.
2016
Il 4 gennaio inizia l'Opa di Hitachi per avere tutta l'azienda e delistarla. Il 3 febbraio Consob contesta
l'accordo, aumenta il prezzo dell'Opa e la prolunga fino al 19.
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Portafoglio ordini Ordini acquisiti Ricavi Risultato operativo Utile netto Surplus di cassa 6.410 1.336
1.383,8 135,8 93 338,7 +5% -27% +6% +9% +15% +15% 2015* (milioni di euro) Var.% su 2014 LA
CRESCITA Soci e bilancio di Ansaldo Sts Stefano Siragusa amministratore delegato *10,063% per
posizioni lunghe complessive *stime preliminari di consuntivo Fonte: Ansaldo Sts (sito web, investor
relations), Borsa Italiana Hitachi Rail Italy Investments 40,066% Flottante 45,328% Paul Singer (Elliot)
2,029%* Amber Capital 2,38% Ubs 7,227% Old Mutual 2,97% 4/8/2015 SEI MESI IN BORSA ago 2015 set
ott nov dic gen 2016 feb 2016 9,46 10,0 9,9 9,8 9,7 9,6 9,5 9,4 9,94 4/2/2016 +5% 1 Le tappe, dal Nasdaq
a Piazza Affari e ritorno storia di Ansaldo Sts è saliscendi. Ecco le tappe principali. 2001 Tolta dalla Borsa
Usa Ansaldo Signal, che era quotata al Nasdaq, Ansaldo Trasporti viene integrata nel gruppo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 60
Finmeccanica. 2006 Nasce Ansaldo Sts dalla delegato storico, Sergio De Luca. 2015 In febbraio Hitachi
(guidata dal ceo Hiroaki Nakanishi, foto qui sotto) firma l'impegno per l'acquisto del 40%. A vendere è
Finmeccanica condotta da Mauro Moretti (foto a sinistra). Il 2 novembre si conclude: trasferite le quote.
2016 Il 4 gennaio inizia l'Opa di Hitachi per avere tutta l'azienda e delistarla. Il 3 febbraio Consob contesta
l'accordo, aumenta il prezzo dell'Opa e la prolunga fino al 19. fusione fra Ansaldo Trasporti e sistemi
ferroviari (ingegneria ferroviaria) e Ansaldo Signal (segnalamento). In marzo viene quotata in Piazza Affari.
La rilancerà, dall'anno dopo, l'amministratore
Foto: Le tappe, dal Nasdaq a Piazza Affari e ritorno
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Acciaio Mercoledì 10 il gruppo della lavorazione siderurgica depositerà una manifestazione di interesse perTaranto Marcegaglia In campo per la partita Ilva Gli imprenditori mantovani si candidano a un ruolo. E archiviano un ampio riassetto societario Le attivitànon core includono il 35% di Gabetti e il solare in alleanza con Enel Via al finanziamento di 450 milioni conBanca Imi, Bpm, Unicredit, Bpm, Bnp Paribas, Mps Daniela Polizzi Nuova finanza per 450 milioni. Munizioni che serviranno a dare più elasticità alla struttura finanziaria del
gruppo Marcegaglia, impegnato in un ampio riassetto, funzionale anche all'ingresso di nuovi soci nel core
business della lavorazione dell'acciaio. Un mercato dove il gruppo di Gazoldo degli Ippoliti raccoglie 4
miliardi di ricavi. La somma sarà anche fieno in cascina per la partita dell'Ilva che il gruppo guidato da
Emma e Antonio Marcegaglia, entrambi amministratori delegati, ha deciso di provare a giocare. Mercoledì
10 i vertici del gruppo consegneranno infatti la manifestazione d'interesse per il polo siderurgico di Taranto
e a ruota potranno così accedere alla «data room» per ottenere le informazioni societarie. Dopodiché
decideranno quale posizione prendere e con quali alleati schierarsi. Visto che Marcegaglia non potrà certo
giocare da sola.
Il nuovo finanziamento, scadenza a sette anni e destinato a ribilanciare il profilo del debito, è stato
finalizzato la scorsa settimana da un pool di nove banche, che include le capofila Banca Imi, Unicredit,
Bpm, Mps, Banco Popolare, Bnp Paribas ed è stato sindacato tra Bper, Popolare di Vicenza, Sondrio e
Banco do Brasil. Sono linee a lungo termine su un'esposizione complessiva che include anche circa 1,1
miliardi di debiti commerciali a fronte di un patrimonio netto di 828 milioni.
È il tassello finale di un riassetto di ampio respiro avviato lo scorso anno da Emma, (è anche presidente
dell'Eni) assieme al fratello Antonio che della società è anche presidente. È un riordino che favorirà anche
una risistemazione dei pesi in famiglia e vedrà i due imprenditori dell'acciaio al comando con presa diretta
sul 50% a testa. In sintesi, il nuovo schema ha visto le attività siderurgiche passare sotto il controllo dalla
nuova Marcegaglia steel, divise in tre aree poli: Marcegaglia Carbon steel (acciaio piano e tubi, 2,6 miliardi
di fatturato sui 4,2 di consolidato atteso quest'anno), Specialties (inox e barre trafilate, pesa un miliardo),
Plates (lamiere da treno, vale 200 milioni). Le partecipate estere sono state assegnate alle tre subholding a
seconda della prevalenza del business. L'obiettivo? Valutare in futuro l'opportunità di aprire il fronte delle
alleanze per ogni singola attività. Il punto di partenza è un mercato mondiale che ha visto il perimetro
restringersi, con una crescita dell'1% nel 2015 che potrebbe assottigliarsi ancora quest'anno a un +0,7%, in
base alle stime di settimana scorsa della World Steel Association. Ma a differenza dei produttori di
commodity come ArcelorMittal e Nippon Steel, il polo mantovano è un trasformatore di materia prima, il più
grande al mondo.
La nuova sfida
Il focus è sugli acciai speciali e al carbonio, quelli ad alto valore aggiunto dove tra i maggiori clienti c'è
anche Fiat Chrysler automobiles sul fronte dei produttori automotive, e Thyssenkrupp. Con questo nuovo
profilo organizzativo, Marcegaglia si presenterà all'appuntamento per l'Ilva, fornitore cruciale al quale è
tornata a chiedere ordinativi importanti alla fine dell'anno. Il gruppo di Gazoldo degli Ippoliti ha studiato in
passato un intervento a Taranto, con un ruolo di minoranza, a fianco di ArcelorMittal, in una cordata di
matrice italiana. È ancora d'attualità l'alleanza? Dipenderà da numerosi fronti, tutti aperti. Il gruppo indiano
ha avviato una ricapitalizzazione da 3 miliardi di dollari per compensare le perdite in un settore battagliato.
Appare quindi meno scontata la sua partecipazione al progetto sull'Ilva.
Un ruolo chiave per il gruppo lombardo potrebbe avere l'eventuale «chiamata» del governo, con la Cassa
depositi e prestiti, affiancata dall'advisor Citibank, che a fine gennaio si è detta disponibile a un progetto
sull'Ilva. Ma è chiaro che il ruolo di Marcegaglia non potrà che essere di partner di minoranza.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 62
Cessioni
Resta comunque la volontà del gruppo siderurgico di cercare aggregazioni nell'industria dell'acciaio,
attraverso partnership con industriali o finanziari. Da ricercare nella Penisola e fuori dai confini, anche tra
gruppi come gli indiani di Tata e Jindal.
Quanto al resto del riassetto, le attività diversificate hanno trovato una nuova destinazione sotto la
Marcegaglia Investment. Si tratta di oltre 300 milioni di ricavi tra il 35% di Gabetti, le energie alternative e le
attività nel turismo. In Puglia il gruppo Marcegaglia è in joint venture con l'Enel nel fotovoltaico. Tutte
partecipazioni classificate non core e quindi cedibili o da combinare con realtà più grandi. Perché il principio
è di creare dei campioni in ogni settore. A sostegno del riassetto, in autunno il gruppo aveva varato un
aumento di capitale da 32 milioni.
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* il 41,5% è in nuda propietà (usufrutto a Palmira Balzani) 3.956 2015 2016 2017 4.264 224 275 322 4.398
Ricavi Dati in milioni di euro Ebitda I CONTI DELL'ACCIAIO 50% * Antonio Marcegaglia Emma
Marcegaglia Marcegaglia Holding FINMAR MARFIN Marcegaglia Steel Marcegaglia Investment Gabetti
Property Appia Energy Taranto Solar Euro Energy Renova 50% 50% 13% 100% 100% 50% miliardi di euro
di ricavi milioni di tonnellate di acciaio lavorate Stabilimenti (16 in Italia) mila clienti mila dipendenti 4 5 7 43
15 35% 51% 49% 51% 87%
Foto: Al comando
A sinistra
Emma
Marcegaglia, co-amministratore delegato del polo siderurgico, a fianco di Antonio, che del gruppo è anche
presidente. I due fratelli si dividono con il 50% a testa il controllo del gruppo con sede a Gazoldo degli
Ippoliti (Mantova) che fattura
4 miliardi.
08/02/2016Pag. 1.7 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 63
L'analisi L'acciaio esiste (e vive a Bruxelles) dario di vico L'Europa siderurgica stenta ad elaborare una sua visione unitaria e globale. Di fronte ai problemi creati
dalla sovraproduzione nel Vecchio continente, e davanti all'avanzata dei Paesi asiatici, Bruxelles non riesce
a fare il salto di qualità che sarebbe necessario.
Lo abbiamo visto in Italia quando si propose con tutta la sua drammaticità la vertenza dell'Ast di Terni e
vennero fuori le contraddizioni di una politica anti-concorrenza rimasta irrimediabilmente datata e incapace
di fare i conti con le profonde discontinuità di questi ultimi anni. Lo dobbiamo constatare di nuovo oggi alle
prese con i problemi, ancor più drammatici, dell'Ilva.
Il contenzioso con Bruxelles è solo una parte dei problemi del più grande gruppo siderurgico italiano ma è
la condizione senza la quale Taranto non potrà avere un futuro. Sotto esame da parte italiana non c'è solo
la posizione della Commissione europea ma anche l'orientamento dei grandi gruppi presenti nel Vecchio
Continente, come ThyssenKrupp e ArcelorMittal, che potrebbero essere tentati - a prescindere dalla
presenza o meno di uno di essi nelle cordate per Ilva - di scaricare sull'impatto pugliese i problemi di
sovraproduzione che angosciano il sistema continentale e le stesse autorità preposte.
La tensione che si è creata nelle ultime settimane tra il governo Renzi e il presidente Jean Claude Juncker
sicuramente pesa sul dossier acciaio ma dobbiamo evitare di finire come il famoso vaso di coccio. E, come
mi è capitato già di scrivere, proprio per evitare una conclusione ingloriosa varrà la pena tener presente
quello che per noi italiani è un doloroso precedente, l'Italsider di Bagnoli.
Anche in quella stagione - fine degli anni 80 - eravamo davanti a una crisi di sovracapacità e il negoziato
con Bruxelles aveva un ruolo centrale. Si cominciò a gestire la crisi di Bagnoli chiudendo un altoforno e poi
in successione tutti gli altri mettendo così a repentaglio il conto economico dello stabilimento e facilitandone
la caduta. Il vanto di Taranto sono i 4 altoforni che ne fanno l'impianto più importante che esiste in Europa
ed è normale che qualche concorrente possa essere tentato di pensare di chiudere l'area primaria e far
rimanere la fabbrica pugliese solo come impianto di laminatoi rifornito dall'esterno. In questo modo però
non solo si ripercorrerebbe mutatis mutandis la stessa strada di Bagnoli, ma si amputerebbe l'occupazione
(11.400 addetti). Di quanto? Forse della metà.
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08/02/2016Pag. 7 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 64
Media & Nuove relazioni Mister Edelman: «Più fiducia nelle aziende, ma servono veri leader» ENRICA RODDOLO Daniel Edelman, fondatore dell'impero di famiglia delle relazioni pubbliche (pr), iniziò alla Cbs News.
«Aveva studiato alla Columbia e mosso i primi passi nel giornalismo in un quotidiano locale, ma arrivò la
guerra e finì arruolato per interpretare la propaganda nazista», racconta al Corriere il figlio Richard che ne
ha raccolto il testimone. Poi, in tempo di pace, si ritrovò a promuovere i dischi di Mel Torme ed Ella
Fitzgerald: da lì l'idea di dedicarsi a marketing e pubbliche relazioni.
Mister Edelman, proprio il mondo dei media tradizionali, l'editoria palestra di suo padre, oggi getta il guanto
di sfida al mondo di advertising e pubbliche relazioni tradizionali. O no?
«Certo, dal New York Times a Condé Nast, gli editori oggi si attrezzano per fornire alle aziende un servizio
di comunicazione completo: penso proprio al Nyt che ha stretto un accordo da un milione di dollari con
Ford. Per quel che ci riguarda, come società di pubbliche relazioni, contrattacchiamo».
E come?
«Reinventandoci continuamente, oggi l'attività di pr è in gran parte digitale. E cercando a nostra volta di
sostituirci ad altri. Per esempio, con quello che abbiamo chiamato collaborative journalism : un servizio di
storytelling che mettiamo a disposizione dei nostri clienti; oppure arruolando nei nostri uffici molti creativi
dalle agenzie di pubblicità».
Come si fa crescere invece, quest'anno dell'8,5% (con ricavi per 833 milioni di dollari), un impero di famiglia
delle relazioni pubbliche? Avviato nel 1952, il vostro sembra ormai una mosca bianca in un mondo di
advertising e comunicazione dominato da colossi che hanno inglobato decine di società indipendenti.
«Semplicemente, tutte le volte che ci si è avvicina qualche offerta abbiamo detto di no. E abbiamo
continuato a crederci, nel lungo periodo. Quando ne avranno la maturità toccherà alle mie figlie, due sono
già nel business, decidere se continua a essere di loro interesse».
A Davos ha appena presentato l'edizione 2016 dell'Edelman Trust Barometer (su un campione di 30 mila
persone di 28 Paesi, tra i 25 e i 64 anni), una cartina di tornasole dello stato di fiducia globale. Ne viene
fuori che è proprio il mondo del business ad avvantaggiarsi di più della crescita di fiducia del 2016. Perché?
«Merito dei servizi finanziari che sono ripartiti. E del mondo delle imprese che torna a essere percepito
come capace di produrre ricchezza e dare risposte alle ansie economiche e sociali delle persone. Ma le
aziende, per parte loro, devono fare la loro parte: non c'è fiducia nella visione di corto periodo guidata dai
profitti, c'è voglia di visione di lungo periodo. Gli amministratori delegati devono smettere di essere
manager e decidersi a essere veri leader».
In parallelo, la fiducia nei governi si è in generale ridimensionata.
«Perché, semplicemente, non possono farcela. Tutto quel che può fare Renzi è abbassare le tasse. E a
proposito di Italia, nel Paese la fiducia verso il mondo degli affari è più alta che negli altri Paesi europei, con
il 57% del campione propenso a dare fiducia ai business: è il 9% in più di un anno fa. Quanto al governo,
cresce del 3% confermato il trend iniziato nel 2014. Considerando la fiducia nei singoli settori, gli italiani
danno più fiducia a tecnologia, food beverage e telecomunicazioni. In risalita la finanza, in ultima posizione
il settore farmaceutico».
Erano gli anni 70, lei era alla Harvard Business School quando suo padre la chiamò per informarla che era
arrivata una grande offerta. E decideste che avreste detto di no, e continuato l'avventura assieme. Ma il
panorama dei media è molto cambiato. Quale evoluzione ancora immagina per il futuro?
«Oggi le relazioni pubbliche coprono il 4-5% del totale delle attività di comunicazione. Ma sono destinate a
raddoppiare il peso».
08/02/2016Pag. 11 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 65
A scapito di chi?
«Dell' advertising , perché la gente è stanca di pubblicità e tende sempre più a saltarla. Mentre funzionano
bene social media ed eventi».
Alle aziende che si rivolgono a Edelman, lei che cosa consiglia?
«Non più la corporate social responsibility né la filantropia, ma di mettere la sostenibilità all'interno del loro
stesso business. Per esempio? Produrre uno shampoo che permetta un lavaggio dei capelli con minor
spreco di acqua. È questa la nuova direzione da seguire».
E ai governi?
«Più trasparenza»
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Foto: Pubbliche relazioni Richard Edelman
08/02/2016Pag. 11 N.5 - 8 febbraio 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 66
IL MONITO DELLA CRISI Una spallata alle vecchie abitudini Morya Longo IBoT hanno tassi d'interesse sotto zero. Le obbligazioni bancarie, quelle che per decenni hanno costituito
un'importante forma di investimento delle famiglie italiane, sono improvvisamente diventate rischiose con la
normativa del bailin. Le banche ormai non erogano più credito alle imprese come un tempo. È evidente che
gli imprenditori e i risparmiatori italiani, per per decenni illusi dalle offerte delle banche e coccolati dai titoli di
Stato, negli ultimi anni abbiano perso i loro punti di riferimento. Ma non è detto che questo sia negativo.
Anzi: scardinare le vecchie certezze potrebbe aiutare il mercato finanziario italiano, un piccolo mondo
antico ormai fuori dai tempi, a fare un balzo nell'era moderna. In Italia ci sono infatti due "tesori" da
preservare. Il primo è rappresentato dalla ricchezza delle famiglie che, sebbene mal distribuita, ammonta
tutt'ora a quasi 4mila miliardi di euro escludendo gli immobili. Il secondo è il tessuto imprenditoriale che,
nonostante le fragilità del sistema, ha fatto grande il «made in Italy». Il problema è che questi due "tesori" si
trovano in un Paese che ha una cultura finanziaria da terzo mondo: secondo una ricerca di S&P, in questo
campo l'Italia è più arretrata di Tanzania, Zimbabwe o Senegal. La scarsa alfabetizzazione ha sempre
impedito al mercato finanziario italiano di svilupparsi: questo ha reso le imprese troppo dipendenti dal
credito bancario e il risparmio ostaggio delle politiche commerciali delle banche stesse. Ma la crisi di oggi
può essere l'occasione per svoltare. Continua u pagina 3 u Continua da pagina1 Isegnali che qualcosa stia
cambiando già si vedono. Sta per esempio pian piano iniziando a mutare l'atteggiamento dei risparmiatori.
Sebbene mantengano l'approccio di fondo dei vecchi "BoTpeople" (il sondaggio Ipsos che presentiamo in
questa pagina dimostra che la maggioranza degli italiani cerca sicurezza), per la prima volta le famiglie
stanno prendendo la consapevolezza che il faidate non paga. Che bisogna diversificare gli investimenti.
Che non esiste nulla di sicuro al 100% (neppure gli Stati e le banche lo sono). Che bisogna informarsi. Che
le banche possono essere in conflitto d'interessi quando vendono prodotti. Lo dimostra il boom del
risparmio gestito: questo significa che sempre più italiani diversificano e affidano i propri soldi a investitori
professionisti. Lo conferma anche la perdita di appeal delle obbligazioni bancarie, che (secondo i dati
dell'Abi) in due anni sono diminuite di 124 miliardi di euro. Lo ribadiscono infine le testimonianze di gestori
di fondi e di patrimoni, secondo i quali i risparmiatori oggi chiedono servizi di consulenza sempre più
sofisticati. Anche sul fronte delle imprese qualcosa cambia: il minimo sviluppo del mercato dei minibond e
la crescita dell'Aim (il listino di Borsa dedicato alle piccole imprese) sono i primi timidi segnali di uno
svezzamento in corso dal biberon delle banche. È evidente che questi piccoli cambiamenti siano dettati più
dalle circostanze sfavorevoli di questi anni che da una reale voglia di cambiare. Le imprese non avrebbero
mai pensato ai minibond se prima non ci fosse stata una legge ad hoc e una contrazione del credito
bancario tale da bruciare oltre 100 miliardi di euro di finanziamenti. I risparmiatori non avrebbero mai
abbandonato i BoT a favore dei fondi comuni se i loro rendimenti non fossero scesi sotto zero. E non
avrebbero mai messo in discussione i bond bancari se non fosse arrivato il bailin. Ma questo importa poco:
quello che conta, oggi, è che in Italia si sta sviluppando l'humus per far nascere una consapevolezza
nuova. Questa è la premessa per un mercato finanziario più efficiente, a sua volta condizione necessaria
per imprese più sane (con fonti di finanziamento diversificate) e risparmiatori più consapevoli. Affinché
questi timidi segnali diventino una svolta seria e strutturale, servono però molti passi in avanti. Urge in Italia
una maggiore attenzione alla tutela del risparmio: semplificando i prospetti, combattendo i conflitti
d'interesse delle banche, favorendo lo sviluppo di advisor indipendenti. È necessaria poi una spinta forte
affinché i grandi investitori puntino più sull'economia reale: per esempio nei minibond o nelle infrastrutture.
Serve infine che la normativa (per esempio quella sul private equity) venga completata con tutti i decreti
attuativi. Per l'Italia questa crisi è un'occasione unica per dotarsi di un propulsore importante per l'economia
08/02/2016Pag. 1,3
diffusione:150811tiratura:209613
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 67
reale: un sano mercato finanziario che permetta (senza eccessi però) di convogliare la ricchezza delle
famiglie nei posti giusti.
08/02/2016Pag. 1,3
diffusione:150811tiratura:209613
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 68
I CONTI DEGLI ATENEI STATALI Università a dieta: le entrate giù del 15% Gianni Trovati Tra il 2010e il 2015 le università statali hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strut turali e hanno
sforbiciato dell'11,5% le uscite (tagli scaricati soprattutto sulle spese per il personale). Sul fronte degli
incassi, l'autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra entrate proprie (tasse e contributi,
prima di tutto) e trasferimenti è cresciuto dal 26 al 34,2 per cento. Evoluzione inevitabi le, dal momento che
rispetto al 2010 il fondo di finanziamento ordinario ha perso un miliardo. Servizio u pagina4 con Analisi di
Alessandro Schiesaro pLa spending review nell'università non è solo materia di corsi e convegni, ma negli
ultimi anni ha rappresentato una presenza sempre più costante nelle scelte gestionali degli atenei: lo
diconoi numeri, dai quali emerge il panorama di un settore in pesante crisi di risorse, che nel suo
complesso ha però provato a difendere il livello di servizi e prestazioni. Le cifre in gioco I numeri, quindi: tra
il 2010e il 2015 le università hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strutturali e hanno sforbiciato
dell'11,5% le uscite. I tagli, ed è questo l'aspetto più qualificante, si sono scaricati in particolare sulle spese
per il personale, che sono state schiacciate dal blocco degli scatti e dai vincoli al turnover, e hanno perso in
cinque anni il 13,8% del loro peso. Le spese peri «servizi agli studenti», un capitolo che comprende borse
di dottorato, assegni di ricercae scuole di specializzazione, ma anchei programmi di mobilità e di scambi
culturali per gli studenti, invece hanno tenuto, e tra il 2010e il 2015 sono cresciute del 2%, mantenendo di
conseguenza quasi lo stesso ritmo della miniinflazione del periodo. Identica la dinamica delle «spese di
funzionamento», voce canonica nelle teorie della spending, che però merita un'analisi più puntuale: gli
aumenti nelle spese per le utenze (elettricità, gas, acqua e telefonia +7,5%) e per la pulizia (+7%)
confermano le difficoltà vissute finora dai sistemi di controllo degli appalti e di centralizzazione degli
acquisti, ma altre voci come le uscite peri laboratori (+6%) potrebbero spiegarsi anche con una piccola
spinta ulteriore alle attività. Bilanci trasparenti I numeri chiave, però, sono altri e si concentrano nella
colonna delle entrate. Tutte le cifre di questa pagina riguardano gli andamenti effettivi di cassa e arrivano
da due fonti. Quelle complessive, aggiornate a fine 2015 per il confronto annuale, sono tratte dal Siope, il
cervellone telematico del ministero dell'Economia che monitora quotidianamente incassi e pagamenti di
tutta la pubblica amministrazione; i numeri relativi alle singole università (aggiornati per il momento al 2014)
arrivano invece da «bilanci atenei», il portale che il ministero dell'Università ha lanciato sul proprio sito
istituzionale per offrire il quadro della salute economicofinanziaria dei bilanci accademici: di ogni ateneo, in
una rassegna che per ora esclude i non statali, è finalmente possibile consultare tutti i principali dati di
bilancio, spulciando anche i numeri delle società partecipate, mentre in forma sintetica vengono offerti i dati
sui principali indicatori dei conti, come il rapporto fra spese fisse e finanziamenti statali, quello fra spese di
personale ed entrate e la sostenibilità dell'indebitamento. Le entrate Sono le entrate, dunque, a offrire le
chiavi di lettura più importanti. La prima: l'autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra
entrate proprie (tasse e contributi, prima di tutto, ma anche l'attività commerciale e gli accordi di
programma) e trasferimenti è cresciuto di un terzo, passando dal 26 al 34,2 per cento. Si tratta di
un'evoluzione inevitabile, dal momento che rispetto al 2010, quando era ancora "puntellato" da voci
provvisorie come i 500 milioni del piano straordinario targato MussiPadoa Schioppa, il fondo di
finanziamento ordinario ha perso in termini di incassi un miliardo di euro, mentre altri 100 milioni annuali si
sono volatilizzati alla voce «trasferimenti per borse di studio». A sostenere i conti accademici, di
conseguenza, sono stati chiamati sempre di più gli studenti e le loro famiglie, anche se in termini assoluti il
loro valore non è riuscito a crescere a causa dell'emorragia di studenti che in cinque anni ha fatto perdere
alle università il 6,5% dei propri iscritti in cinque anni accademici (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre
2015). Tasse e contributi, nel frattempo, sono scesi "solo" del 3,5%, attestandosi a quota 1,7 miliardi tondi,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 69
aumentando quindi il loro peso percentuale sul totale delle entrate universitarie. Mezzogiorno in crisi È nelle
università del Sud che i conti traballano pericolosamente, messi in crisi da un circolo vizioso che parte dalla
perdita di studenti (e quindi di contributi), si riflette nella flessione delle performance e di conseguenza
produce assegni statali alleggeriti per i tagli nella «quota premiale» collegata ai risultati. Le entrate
strutturali degli atenei meridionali crollano in cinque anni del 20%, cioè il doppio rispetto alle università del
Nord, e la stessa forbice si riscontra nei numeri del fondo universitario (13,6% di incassi al Nord, 24,8% al
Sud). Le prospettive In questo quadro va detto che l'ultima manovra, per la prima volta da molto tempo,
riporta qualche segno «più» nelle voci del finanziamento statale all'università, con una serie di
miniinterventi relativi a rafforzamento della quota premiale, piano straordinario per i ricercatori e fondo
«Giulio Natta» per il reclutamento all'estero, che in totale racimolano 116 milioni per il 2016e 165,5 milioni
dal 2017. Una boccata d'ossigeno importante, che da sola non riuscirà però a cambiare le dinamiche
strutturali, soprattutto nelle aree con il fiato più corto.
ENTRATE TOTALI*
Il bilancio3.6702.44814.09413.1528.0306321.7621.5311.2487.9252.9201.96311.6386.9395351.7011.5671.2736.83512.095 2 0 1 0 2 0 1 5 873 283 853 227 -2,3 437 175 417 157 -4,5 -2,4 -14,2 453 174 431 151 -20 -4,9 745
565 738 590 -9,8 -0,9 +4,3 -9,1 315 384 377 317 -2 368 402 452 367 -0,2 Entrate totali* (-3,5%) 3.299
NORD 6.230 2.938 5.592 -10,9 -19,7 -10,2 1.980 3.629 Altro 3.113 1.932 -10,2 Altro 2.751 4.235 2.068
3.390 -24,8 -13,4 Risorse umane Spese totali** 3.287 5.701 NORD 2.964 5.181 2.152 3.531 Altro 1.791
2.939 Altro -16,8 +0,6 -16,8 2.486 3.920 3.519 2.080 -16,3 -10,2 +12,4 INCASSI Contributi studenteschi
Contributi studenteschi Contributi studenteschi (-14,2%) ENTRATE TOTALI* Inter venti a favore di studenti
(-13,8%) Contributi studenteschi Contributi studenteschi SPESE TOTALI** SPESE TOTALI** (-11,5%)
Fondo di finanziamento ordinario Trasferimenti statali per borse di studio TOTALE ITALIA PAGAMENTI
Spese di funzionamento TOTALE ITALIA Fondo di finanziamento ordinario Fondo di finanziamento
ordinario 2010 2015 Diff. % Trasferimenti statali per borse di studio Trasferimenti statali per borse di studio
2010 2015 Diff. % 2010 2015 Diff. % 2010 2015 Diff. % Fondo di finanziamento ordinario Fondo di
finanziamento ordinario 2010 2015 Diff. % Trasferimenti statali per borse di studio Trasferimenti statali per
borse di studio 2010 2015 Diff. % CENTRO SUD (+2,3%) (+2%) CENTRO SUD
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 70
Fonte: Elaborazione del Sole 24 Ore su dati Siope (-13,6%) (-15,3%) Le dinamiche di incassi e pagamenti
fra il 2010 e il 2015. Dati in milioni di euro * Al netto di prestiti, partite di giro e trasfer imenti interni: il totale
non è la somma delle voci indicate nel grafico ** Al netto di partite di giro, pagamenti da regolar izzare e
trasfer imenti interni: il totale non è la somma delle voci indicate nel grafico
I conti delle università statali Bari Lecce Foggia Ateneo Ferrara Firenze Milano 2014 2014 2014 Pisa
Pavia Siena Udine Parma Torino Trento Trieste Urbino Verona 2014 2014 2014 Brescia Cagliari Cassino
Catania Genova Bologna Insubria L'Aquila Messina Bergamo Macerata Camerino Catanzaro Diff % sul
2010 Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Ateneo Padova Perugia Salerno Sassari Teramo Palermo Potenza
Roma Tre Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Diff % sul 2010 Campobasso Chieti Pescara Milano Bicocca Bari
Politecnico Fondo di finanziamento ordinario Venezia Iuav Viterbo Tuscia Siena Stranieri Napoli Orientale
Perugia Stranieri Fondo di finanziamento ordinario Benevento Sannio Napoli Federico II Milano Politecnico
Marche Politecnica Calabria Arcavacata Modena e Reggio Emilia Roma Foro Italico Roma Tor Vergata
Roma La Sapienza Torino Politecnico Napoli Parthenope Venezia Ca' Foscari Napoli II Università
Piemonte Orientale Reggio C. Mediterranea Incassi Pagamenti Incassi Pagamenti 276,3 50,7 278,5 57,0
Fonte: Fonte: Elaborazione su dati Miur sito Bilanci Atenei 300,4 -11,3 307,4 -4,0 187,0 -12,8% 290,3 -
15,6 320,3 -17,9 204,4 -11,2% 62,8 -10,1 63,9 -8,8 42,9 -10,7% 36,2 -14,1 43,5 13,6 21,3 -27,1% 80,4 0,6
70,5 9,2 46,5 -10,6% 638,1 -10,7 703,6 5,7 393,8 -13,9% 122,5 -20,7 124,8 -10,7 79,1 -24,7% 217,3 -7,0
210,1 -0,7 128,7 -10,7% 174,0 -18,0 176,4 -4,3 103,4 -30,6% 60,6 -1,5 54,5 -15,0 40,3 8,2% 43,5 -26,3
44,7 -11,0 31,1 -33,6% 46,2 -14,8 50,7 -9,1 31,6 -7,1% 271,1 -28,1 276,1 -18,1 188,5 -28,1% 85,0 -0,6
102,3 35,7 40,7 -29,7% 142,5 -17,1 123,2 -14,6 93,5 -29,8% 138,9 -11,9 133,0 -1,9 87,4 -13,4% 433,9 -9,3
411,4 -11,9 268,2 -3,3% 68,5 -24,5 76,3 2,8 39,0 -27,2% 82,9 -17,4 82,5 2,2 49,7 -33,2% 100,8 -30,6 109,5
-14,8 76,7 -33,4% 117,5 -22,0 132,3 -6,7 77,3 -24,8% 53,4 -8,1 47,7 -17,3 38,4 -16,5% 130,6 -18,9 130,1 -
9,5 80,8 -22,7% 203,6 -21,6 226,3 -8,2 155,8 -26,5% 506,5 -7,0 483,0 -6,8 294,7 -8,2% 205,9 -8,4 204,7
0,5 126,7 -13,2% 412,8 -3,1 378,5 -0,4 211,1 -11,7% 185,1 -1,2 184,7 0,1 106,6 -2,6% 570,7 0,8 545,8 -4,0
360,5 -10,5% 62,3 -34,9 52,9 -5,9 42,4 -46,5% 327,3 -3,7 340,7 2,5 224,3 -6,6% 193,8 -18,4 204,1 -5,5
127,9 -22,5% 215,2 -16,7 215,0 -15,9 137,0 -15,5% 83,9 -19,7 80,0 -6,8 53,0 -24,8% 53,8 -15,1 60,5 9,0
31,8 -33,6% 58,9 -0,6 57,1 13,2 42,6 11,3% 15,0 -22,8 15,9 -2,9 9,8 -37,3% 761,0 -20,6 769,8 -14,8 519,4 -
22,1% 283,1 -6,6 296,0 -9,0 173,3 -0,1% 179,2 -22,7 174,5 -4,7 122,6 -31,3% 148,3 -23,3 150,3 0,8 78,6 -
34,8% 217,4 -37,2 220,8 -25,8 122,6 -6,6% 35,5 -30,7 36,5 -20,4 27,2 -32,7% 468,9 -18,6 461,6 -8,3 277,2
-22,4% 241,9 -8,2 229,2 -6,9 130,8 -7,6% 47,6 -19,3 51,8 -2,2 30,1 -22,8% 195,5 -14,1 193,9 1,5 115,3 -
17,8% 58,9 -6,4 54,0 -15,5 41,1 -0,5% 205,7 -24,6 198,6 -9,5 152,3 -30,5% 44,7 -11,2 46,2 -8,8 31,3 -
11,3% 505,7 -22,5 511,0 -9,1 295,0 -24,9% 218,1 -7,1 211,9 -10,4 138,7 -5,3% 20,3 -25,8 19,2 -15,1 13,4 -
26,8% 335,2 -12,7 343,5 -4,5 210,0 -9,1% 210,2 -11,1 186,0 -7,5 152,1 -0,4% 16,5 11,0 14,3 3,4 7,7 -7,3%
160,0 -12,7 162,4 -7,3 97,0 -14,0% 139,1 -3,3 125,8 -17,4 84,1 -0,3% 74,4 -4,9 69,9 -15,3 46,3 2,3% 128,1
-17,8 132,1 7,8 79,6 -23,9% L'andamento di incassi e pagamenti complessivi ateneo per ateneo Valori in
milioni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 71
L'ANALISI Ora bisogna ripartire dal Fondo Alessandro Schiesaro Negli ultimi cinque anni le università hanno fatto fronte al calo dei contributi statali e a quello delle tasse
pagate dagli studenti soprattutto contraendo le spese di personale, che costituiscono la voce principale dei
loro bilanci. La contrazione ha agito su due fronti. Da un lato, il blocco salariale, che doveva originariamente
durare un solo triennio, ha occupato un intero lustro. Dall'altro, una misura anch'essa temporanea quale la
riduzione del turnover,è stata prolungata, con percentuali variabili, fino al 2018. Nel 2016, per esempio, è
consentito assumere in misura pari al 60% del costo del personale cessato nel 2015, anche se i ricercatori
a tempo determinato non tenuretrack sono stati finalmente (e giustamente) esclusi dal calcolo. Ne
consegue un quadro complessivo di forte disagio, che sta avendo ripercussioni tangibili nella vita
quotidiana degli atenei. I problemi hanno origine lontana. Da quando è stato creato il Fondo di
finanziamento ordinario, nel 1993, la sua crescita è stata costante, quali che fossero i governi, fino al 2009,
se si eccettua una lieve flessione nel 2006. Gran parte degli incrementi annuali del fondo era vincolata alla
necessità di far fronte alla crescita automatica degli stipendi e, soprattutto tra il 1999e il 2008,a quella
dell'organico, cresciuto di circa un terzo in cifra assoluta. È per far fronte a questa dinamica difficilmente
controllabile che, quando nel 2007 si trattò di trovare altri 500 milioni per accrescere il fondo, l'allora
ministro PadoaSchioppa, convinto com'era che gli atenei dovessero rendere "più produttiva" la loro spesa,
li concesse- novità assoluta solo per il triennio 20082010, senza consolidarli a regime. Al venir meno di
questa "bolla" si sono poi aggiunti altri tagli, tra i quali spicca per consistenza quello del 2013 (5,1%
sull'anno precedente), senza che venisse mai davvero impostata una netta inversione di tendenza, tale da
riportare il fondo, se non al picco del 2009 (7,83 miliardi), almeno alla soglia di sicurezza del 2012 (7,33
miliardi): il recupero del 2014 (+0,9%) è infatti stato azzerato dal 1,4% del 2015. Neppure quest'anno
sembra segnare l'avvio di una nuova stagione. Il fondo parte con un tenue segno positivo (+25 milioni, pari
allo 0,4%), ma solo grazie ai 38 milioni stanziati per le controverse "cattedre Natta", e i rischi di
aggiustamenti in corso d'anno sono comunque sempre in agguato. Nel frattempo della seconda tranche del
piano straordinario associati, pur prevista per legge, siè persa ogni traccia fin dal lontano gennaio 2013.
Queste dinamiche sono particolarmente deludenti alla luce dei progressi tangibili compiuti dal sistema per
razionalizzare la spesa e soprattutto per riqualificarla, sforzi che lo pongono all'avanguardia nel settore
pubblico. Bilancio unico di ateneo, costo standard per studente, limiti all'indebitamento, crescita della quota
di fondi distribuita sulla base della valutazione e non della spesa storica sono tutte tappe di un processo di
responsabilizzazione che si scontrano però con la parallela diminuzione delle risorse. Il rischio non è ormai
più quello di interrompere il processo, ma di vanificarlo e basta. I rimedi sono noti da tempo: recupero
graduale del Ffo almeno a quota 2012 e sua stabilizzazione pluriennale. Servirebbero circa 300 milioni, una
cifra come quella appena stanziata per la bizzarra, e regressiva, "carta cultura": l'obiettivo di mettere in
sicurezza l'università pubblica, volendolo, non dovrebbe quindi essere irraggiungibile.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 72
DATI ISTAT E INPS Il mercato del lavoro e l'enigma che non c'è Luca Ricolfi Il 2015 è passato, la decontribuzione completa non c'è più, forse è tempo di tentare un bilancio. Sono
servite le misure di Renzi per rianimare il mercato del lavoro? Apparentemente, la risposta dipende dalla
fonte. Se guardiamo ai dati Inps parrebbe di sì: da circa un anno la quota di assunzioni con contratti piùo
meno precariè in costante diminuzione. Se invece guardiamo ai dati Istat parrebbe di no: il peso
dell'occupazione precaria è in costante aumento, e nell'ultima in dagine trimestrale ha toccato il massimo
storico. Chi ha ragione? Re Salomone avrebbe risolto l'enigma dicendo: hanno ragione tutti e due,
dopotutto i dati delle due fonti non sono comparabili, visto che l'Inps si occupa di flussi (assunzioni e
cessazioni), o più precisamente di variazioni del numero e del tipo di contratti, mentre l'Istat si occupa di
stock, ossia dell'andamento dei livelli di occupazione. Continua pagina 18 Continua da pagina 1 Questa
visione scettica del problema del conflitto fra dati Inps e dati Istat è anche spesso ap prodata sui giornali,
dando luogo alla tesi secondo cui Inps e Istat dovrebbero parlarsi di più, se non altro per evitare le continue
strumentalizzazioni politiche dei dati sul mercato del lavoro. La realtà, tuttavia, è meno ambigua di quel che
sembra. Anche se i dati Inps e Istat non sono direttamente confrontabili (l'Inps trascura alcuni settori, e
ignora quasi completamente il lavoro autonomo), il quadro che da essi si può ricavare è relativamente
coerente, purché si tengano sempre presenti le differenze fra le due fonti. Se la domanda è: il peso
dell'occupazione precaria sta diminuendo? La risposta è un no reciso non solo sulla base dei dati Istat, ma
anche su quella dei dati Inps. Quando si osserva che la percentuale di nuovi contratti stipulati a tempo
indeterminato aumenta, si dimentica infatti un dato fondamentale: quello delle cessazioni, ossia dei rapporti
di lavoro che muoiono o per licenziamento o per altri motivi. Ebbene anche nell'anno di grazia 2015,
baciato dalla decontribuzione e dal Jobs Act, il numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato cessati
ha ampiamente superato il numero di rapporti di lavoro attivati, mentre il contrario è accaduto per i rapporti
di lavoro temporanei, che hanno visto le attivazioni superare le cessazioni. Ecco perché il peso
dell'occupazione precaria, puntualmente registrato dall'Istat, è aumentato anche nell'anno del Jobs Act. Se
lo scopo del Jobs Act era abbattere il tasso di occupazione precaria, il bilancio non può che essere
negativo: il Jobs Act ha mancato l'obiettivo. E tuttavia questa conclusione sarebbe non solo affrettata, ma
alquanto semplicistica e riduttiva, e questo per due distinte ragioni. La prima è che le misure che possono
aver prodotto effetti rilevanti sul mercato del lavoro sono almeno tre: decreto Poletti (marzo 2014),
decontribuzione (gennaio 2015), Jobs Act (marzo 2015). La seconda ragione è che fra tali effetti bisogna
anche considerare la spinta occupazionale, ovvero la capacità di creare posti di lavoro. Ebbene, su questo
occorrerà attendere i dati definitivi dell'Inps e dell'Istat relativi all'ultimo trimestre del 2015, ma intanto si può
notare che il bilancio non è del tutto negativo. A fronte di un assai preoccupante calo del lavoro autonomo
(circa 100 mila occupati in meno), il 2015 fa registrare una lenta ripresa dell'occupazione dipendente, che
tuttavia era già visibile prima del Jobs Act, prima della decontribuzione, e in qualche misura prima del
decreto Poletti (l'inversione di tendenza sul mercato del lavoro risale all'ultimo trimestre del 2013, ancora
regnate Enrico Letta). Il problema è che l'intensità di tale ripresa è piuttosto modesta nonostante tutti gli
stimoli, interni e internazionali, che l'economia sta ricevendo da più di un anno a questa parte. Nel 2014,
ossia prima del Jobs Act ma vigente il decreto Poletti, la spinta occupazionale era valutabile in 150 mila
posti di lavoro dipendente all'anno, nel 2015 tale spinta è salita a circa 230 mila posti di lavoro l'anno, 80
mila in più. Un po' pochini, tenuto contro che sono costati 12 miliardi alle casse pubbliche (circa 150 mila
euro per lavoratore). Se si pensa che l'elemento chiave di questa accelerazione è stata la decontribuzione
totale, e che tale misura è già caduta a partire dal 1° gennaio di quest'anno, non c'è da essere
particolarmente ottimisti sul futuro. La realtà, temo, è che la "portante" dell'economia italiana,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 73
indipendentemente da chi ha la ventura di governarla, è da diversi anni la riduzione progressiva della base
produttiva. E l'indicatore più diretto, più drammatico, di tale riduzione lo forniscono proprio i dati Inps, che
da quando vengono pubblicati regolarmente (dal 2009) invariabilmente segnalano una distruzione
pressappoco costante di posti di lavoro a tempo indeterminato. Ora quella distruzione continua, ma a un
ritmo molto più lento che un anno fa. Difficile pensare che le misure di sostegno dell'occupazione varate dal
governo non abbiano avuto alcun ruolo in tale rallentamento. Ma ancor più difficile è credere che, con
l'incertezza che domina i mercati e il venir meno della decontribuzione totale, si possano raggiungere i due
obiettivi fondamentali che la riforma del mercato del lavoro si era data: creare tanti posti di lavoro, ridurre il
peso del lavoro precario.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 74
La ferita dei giovani disoccupati Fabrizio Galimberti pagina 14 Se c'è una ferita aperta nel tessuto sociale italiano, è quella della disoccupazione giovanile (1524
anni). Il tasso di disoccupazione è un rapporto fra coloro che cercano lavoro e tutti quelli, in quella fascia di
età, che non sono né occupati, né studenti, né seguano corsi di formazione. E questo tasso, al 37,9% (dati
di dicembre 2015),è un gran male. Non si tratta solo di un fatto economico, di un mancato guadagno. Si
tratta di un male psicologico e sociale. Un sistema economico, se servea qualcosa, serve ad assicurare la
dignità di un lavoro a chi abbia capacità e voglia di lavorare. Un lavoro assicura indipendenza- non solo
finanziaria-e rispetto di se stessi. Se la società non provvede questo lavoro,i giovani cominciano a pensare
che c'è qualcosa che non va nella società stessa,e cadono facilmente vittima di ideologie radicali. In ogni
caso, si sfilaccia il tessuto sociale, e più a lungo dura lo stato di disoccupazione, più difficile diventa trovare
lavoroe più gravi le ferite psicologiche. Ciò detto, e prima di passare a cause e rimedi, guardiamo, come
sempre si dovrebbe fare, le cifre. Il grafico mostra due variabili: il tasso di disoccupazione giovanile in
diversi Paesi (l'ultimo disponibile si riferiscea dicembre 2015)e la variazione di questo tasso rispetto
all'inizio del 2015. La prima variabile- il livello- fotografa la situazione comparata nei diversi Paesi. La
seconda variabile - la variazione - ci dice se le cose stanno migliorandoo peggiorando. Questo grafico
suggerisce, per prima cosa, che la disoccupazione giovanile nonè una maledizione che colpisce tutti. Ci
sono enormi differenze in questa patologia del mercato del lavoro: si va da un tasso del 57% di Giapponee
Germania a tassi del 4649% di Grecia e Spagna (il tasso medio dell'Eurozonaè del 22%). Il che vuol dire
che ci sono assetti della società - tutti i Paesi raffigurati nel grafico sono Paesi a economia di mercato- che
permettono di avere bassi livelli di disoccupazione fra i giovani, ed evitare quei mali che abbiamo descritto.
Sappiamo che da molti anni l'Italia non cresce. Vuol dire che la colpa dell'alta disoccupazione giovanile è
da attribuire alla mancata crescita dell'economia italiana? Sì e no. Cioè a dire, è certamente vero che,
rispetto al 2007 - l'ultimo anno prima della crisi che culminò nella Grande recessione - la caduta del Pil
italiano si è accompagnata a un impressionante aumento del tasso di disoccupazione giovanile: dal 19,4%
dell'aprile 2007 al recente 37,9 per cento. Maè pur vero che quel minimo del 19,4% del 2007 era anche
allora nettamente superiore al tasso medio dell'Eurozona, del 14,9%: già nella situazione di partenza c'era
una netta differenzaa sfavore dell'Italia. Questa differenza ha radici lontane: si riscontra non solo nella
disoccupazione giovanile ma nella disoccupazione totalee nel tasso di occupazione (cioè il numero di
occupati nella forzalavoro, che a sua volta si definisce come la somma di occupati e disoccupati). Queste
radici stanno nella difficoltà della nostra società- nei suoi assetti istituzionalie sociali- nel creare lavoro. Una
difficoltà che a sua volta si scompone in molte cause: cattivo funzionamento del sistema scolastico (la
percentuale della forzalavoro con un diploma di istruzione terziaria è molto più bassa in Italia rispetto agli
altri Paesi europe), cattivi collegamenti fra scuola a impresa, incapacità di collaborare efficacemente fra
pubblico e privato, mentalità antiimpresa, e, in alcune zone del Paese, l'influenza della criminalità
organizzata. C'è poi il fattore più importante di tutti, cioè il cattivo funzionamento del mercato del lavoro,
diviso fra una fascia di protettie una fascia di precari. Ma proprio su quest'ultimo punto si appuntano le
speranze di un miglioramento. La seconda variabile del grafico mostra come sia cambiato - migliorato o
peggiorato - il tasso di disoccupazione giovanile dall'inizio del 2015 alla fine. In alcuni Paesi è peggiorato -
Belgio, Francia, Austria - ma in altri è migliorato, e di molto - Grecia, Spagna, Italia. È significativo che il
miglioramento sia avvenuto proprio nei Paesi che avevano il più alto tasso di disoccupazione giovanile.
Questi Paesi, fra cui l'Italia, sono stati "costretti" a introdurre riforme del mercato del lavoro - vedi il Jobs Act
in Italia - che hanno favorito la discesa della disoccupazione. Il ruolo cruciale, in Italia, del mercato del
lavoro nel determinare gli andamenti di occupazionee disoccupazione, nonè nuovo. Le riforme del 1997
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 75
erano voltea rendere più flessibile quel mercato riducendo i privilegi di coloro che già erano occupati. Le
difficoltà di licenziare diventavano difficoltà ad assumere,e quelle riforme, che allentavano le esagerate
garanzie che coprivano il posto di lavoro, ebbero un effetto benefico. Molti dicono che l'alta disoccupazione
in Italia è colpa dell'euro, ma le cifre non confortano questa tesi. L'euro fu introdotto nel 1999 (con la fissità
dei tassi di cambio- come moneta fisica vide la luce nel 2002), e a gennaio del 1999 il tasso di
disoccupazione totale in Italia era dell'11%,e quello giovanile del 30%. Ma le riforme del 1997 stavano
lentamente cambiando le fattezze del mercato del lavoro, e nell'aprile del 2007 - poco prima dell'inizio della
crisi che avrebbe poi avviluppato il mondo nella Grande recessione- il tasso di disoccupazione totale in
Italia era sceso al 5,9% (anche più basso di quello medio dell'Eurozona),e quello giovanile, come detto
prima, al 19,4 per cento. C'è da sperare che la storia si ripeta e che le riforme del mercato del lavoro
avviate l'anno scorso possano lentamente portare a risultati analoghi. Ma c'è molto di più che si può fare
per ridurre la disoccupazione giovanile. Ne parleremo la prossima domenica, allargando lo sguardo al resto
del mondo. [email protected] DISOCCUPAZIONE NONÈ SOLO UN MANCATO GUADAGNO
ECONOMICO. È UN MALE PSICOLOGICO E SOCIALE. UN LAVORO ASSICURA INDIPENDENZA
FINANZIARIAE RISPETTO DI SE STESSI. SE IL SISTEMA ECONOMICO NON CREA QUESTO
LAVORO,I GIOVANI PENSANO CHE QUALCOSA NON VA NELLA SOCIETÀE DIVENTANO
FACILMENTE VITTIMA DI IDEOLOGIE RADICALI
LE CAUSE DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE: SISTEMA SCOLASTICO, CATTIVI COLLEGAMENTI
FRA SCUOLAE IMPRESA, INCAPACITÀ DI COLLABORARE FRA PUBBLICO E PRIVATO, MENTALITÀ
ANTIIMPRESA,CRIMINALITÀ ORGANIZZATA C'È CHI ATTRIBUISCE LA RESPONSABILITÀ DE
LL'ALTA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE ALL'EURO, MAÈ UN ERRORE. LE RIFORME DEL 1997E IL
JOBS ACT DIMOSTRANO IL CONTRARIO AFP
PER SAPERNE DI PIÙ «Esclusione e lavoro. Alcuni percorsi di ricerca tra crisi economica, traiettorie
soggettive e welfare locale», di Rachele Benedetti, Plus, 2011 «Disoccupazione perché. Scienze sociali a
confronto», di Barbara Giullari e Michele La Rosa, Franco Angeli, 1996 «La disoccupazione estrema», di
Rosanna Nisticò, Rubbettino, 2004 «Occupazione, disoccupazione e riduzione dell'orario di lavoro», di
Antonio Garofalo e Concetto P. Vinci, Giappichelli, 2001 «Disoccupazione giovanile: spezzare il cerchio», a
cura di E. Colombatto, Mondadori, 1982 «Scuola e disoccupazione giovanile», autori vari, Cittadella, 1977
«Disoccupazione giovanile ed esclusione sociale Un approccio interpretativo e primi elementi di analisi», a
cura di Michele La Rosa e Thomas Kieselbach, Franco Angeli, 1999
ILLUSTRAZIONE DI UMBERTO GRATI
Andamento della disoccupazione giovanile nel 2015 Usa 48,6 37,9 25,9 22,7 22,0 20,5 11,2 11,2 7,0
5,2 19,2 13,5 10,3 -1,1 -0,2 -0,2 -0,6 +2,0 -2,0 -3,0 -1,1 -0,7 +1,8 +1,1 -3,6 -4,2 -3,9 It alia Grec ia B elgio
Irlanda S pagna Franc ia P olonia A ust ria 46,0 E uroz ona Germania Giappone Danimarca Regno Unito
Fonte: Elaborazioni del Sole 24 Ore su dati Eurostat Dicembre 2015. Dati destagionalizzati TASSO DI
DISOCCUPAZIONE VARIAZIONE DA 2/15 A 12/15
Foto: Più interessante del liceo? Il segreto della bassa disoccupazione giovanile in Germania sta nelle
scuole cosiddette "vocazionali", dove, con un misto di insegnamenti teorici ed esperienze pratiche, si
apprende un mestiere. Questi istituti professionali mantengono uno stretto collegamento con il mondo
dell'impresa , agevolando i giovani che, terminata la scuola, cercano un'occupazione.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 76
L'ANALISI Schermaglie tra banche centrali Walter Riolfi Se si vuole scorgere qualche indizio sulla direzione della politica monetaria, è meglio lasciar perdere le
Borse che, di questi tempi, sono afflitte da altri problemi. Ma sotto l'altrettanto volatile comportamento delle
valute e dei Treasury Usa si intravvede una schermaglia tra banche centrali che si fa sempre più rumorosa.
Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Se Wall Street, venerdì, ha perso quasi il 2%, perché si pensa che
150mila nuovi assunti siano troppo pochi e per questo gli Stati Uniti stiano scivolando verso una nuova
recessione, si sbaglia di grosso: quel numero resta nettamente superiore agli 8090mila nuovi occupati al
mese che bastano a stabilizzare a questi buoni livelli il mercato del lavoro. Ma se la borsa americana è
scesa, perché i salari sono cresciuti un po' più del previsto e per questo ripartirà l'inflazione e la Fed sarà
costretta ad alzare i tassi d'interesse, sbaglia ancor di più: ci vuole ben altro che un aumento annuo del
2,5% degli stipendi per creare inflazione. Infine, tutta questa attenzione sul numero dei nuovi assunti pare
davvero eccessiva, perché il mercato del lavoro è un indicatore ritardato dell'economia (almeno di 46 mesi).
Sappiamo che l'economia sta rallentando, quanto meno da novembre. Ma, sostenere, per questo, che si
vada verso una recessione è una di quelle esagerazioni di cui spesso si nutrono i mercati azionari: tutt'al
più si tratta di una frenata della crescita in un ciclo economico che si sta rivelando il più tiepido degli ultimi
70 anni. E per giunta pieno d'insidie che la Fed, come le altre banche centrali, hanno ben presenti. In
realtà, mercati un po' più efficienti, come quello valutario e dei titoli di Stato, non hanno drammatizzato il
deludente numero dei nuovi occupati: il dollaro ha recuperato nella seduta di venerdì solo lo 0,6%, dopo
aver perso in settimana 4 punti rispetto all'euro. Il rendimento del Treasury a 10 anni è sceso all'1,84%, il
minimo da 12 mesi, e quello del titolo a due anni è salito di tre miseri centesimi, ai livelli di fine ottobre,
ossia ben prima del ritocco dei tassi Fed di dicembre. In effetti gli investitori non stanno stimando altri rialzi
nel corso del 2016: o, meglio, ne ipotizzano uno (con probabilità attorno al 40%) a dicembre. Non è detto
che abbiano ragione, per quanto il mercato si sia rivelato in questi anni più attendibile delle stime (i dot plot)
degli stessi membri della Fed. Potrebbe stavolta errare per eccesso, poiché non è detto che la banca
centrale americana possa decidere nei prossimi mesi, se le cose restassero così, di tagliare i tassi
d'interesse, fino a renderli negativi. Il più grosso cruccio di Janet Yellen dev'essere, di questi tempi, quello
d'aver visto il dollaro irrobustirsi su tutte le valute, mentre l'economia Usa dava segni di cedimento, molti dei
quali proprio a causa della ridotta competitività della valuta. Malgrado parecchi analisti avessero previsto un
dollaro ancor più forte, anche oltre la parità sull'euro, il biglietto verde s'è mosso negli ultimi due mesi tra
1,08 e 1,09, perché altri operatori, con maggior avvedutezza, avevano capito che la Fed non avrebbe mai
lasciato alla sola Bce (o alla sola BoJ) la gestione del cambio, In altre parole, se la politica monetaria in
Giappone ed eurozona si sta spingendo oltre i limiti accettabili, attraverso quantitative easing e tassi
negativi (limiti del resto varcati in precedenza dalla stessa Fed), la banca centrale Usa si troverà costretta a
rimodellare la propria politica su quella dei "concorrenti". Quale sia il livello ritenuto accettabile per il dollaro
in questa fase é difficile dirlo. Si può ipotizzare che la Fed ritenga assai poco conveniente un cambio con
l'euro sotto 1,1. Allo stesso modo si può supporre che la Bce non possa accettare un cambio, diciamo,
sopra 1,15. Questi livelli ovviamente sono indicativi, poiché le banche centrali ragionano su cambi pesati
sul valore degli scambi commerciali. Ma di una cosa si può essere certi: che quando la Fed afferma che
ogni decisione sui tassi dipende dai «dati», in quei dati c'è anche la politica monetaria delle banche
"concorrenti". Tanto più se, in mercati così fortemente manipolati, il gioco degli attori va ben oltre le parole e
la moral suasion, come s'è visto dieci giorni fa nella sorprendente decisione della BoJ di rendere negativo il
suo tasso d'interesse.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 77
PATRIMONIO E RISCHIO Banche italiane, la solidità nei bilanci Marco Fortis Il tema dei crediti deteriorati ha dominato in modo disordinato le vicende borsistiche italiane di questo inizio
2016. Per almeno quattro ragioni. La prima è che vi è stata grande confusione sui numeri. Infatti, come ha
ribadito il ministro dell'Economia Piercarlo Padoan, «il nostro sistema bancarioè solido. Le sofferenze nette
corrispondono oggia 88 miliardi,e non ai 201 miliardi di cui si parla». Continua pagina 2 Continua da pagina
1 La seconda ragione è che non sembra essere noto a tutti che le banche italiane non solo hanno a
bilancio uno dei più alti tassi di copertura dei bad loans (attraverso opportune rettifiche), ma che a fronte dei
crediti dubbi vantano anche un elevato stock di garanzie reali, principalmente immobiliari. Nell'annunciare i
suoi dati del 2015, ad esempio, Intesa Sanpaolo ha precisato di avere un livello di copertura complessiva
dei crediti deteriorati, considerando le garanzie reali, pari al 139% a fine dicembre 2015 (al 146%
considerando anche le garanzie personali), con una copertura complessiva della componente costituita
dalle sofferenze pari al 140% (al 147% considerando anche le garanzie personali). Si tratta di livelli di
copertura che anche le altre nostre banche maggiori presentavano nel 2014, come ha ricostruito giorni fa "Il
Sole 24 Ore", e sarebbe forse utile che tutte lo ribadissero con analoga precisione e tempestività in
occasione della imminente presentazione dei loro bilanci 2015. La terza ragione è che non è scritto da
nessuna parte che le sofferenze debbano essere gestite dal sistema bancario italiano come qualcosa da
vendere affannosamente e «sotto pressione», cioè in tempi brevi e "a saldo", seguendo le acrobatiche ed
improbabili simulazioni che in questi giorni sono state elaborate anche da alcune agenzie di rating. Le quali
hanno preso a riferimento i valori delle svalutazioni delle sofferenze appli cate in occasione del recente
salvataggio straordinario delle 4 banche oggetto di risoluzione: un benchmark davvero assurdo per il resto
del sistema bancario, diciamolo chiaramente. Come è assurdo stimare arbitrariamente presunte necessità
di aumento di capitale a cui andrebbero incontro persino diverse tra le banche italiane più solide in uno
scenario di vendita in blocco dei loro crediti dubbi agli stessi para metri applicati alla Popolare Etruria o alla
Banca Marche. Mentre qualunque banchiere navigato sa benissimo che, gestendo in modo professionale
ed efficiente le sofferenze, da che mondo e mondo con esse «si fanno i bilanci»: altro che necessità di
futuri aumenti di capitale! La quarta ragione è che il problema dei crediti deteriorati non è un problema di
stabilità economicofinanziaria delle banche, posto, ovviamente, che abbiano adeguate dotazioni di capitale
(come la grande maggioranza di quelle italiane). È invece soprattutto un problema di impatto sull'economia
reale, che fatalmente riceve in media meno prestiti in tempi come questi in cui le banche sono impegnate a
ridurre il peso eccessivo dei crediti dubbi accumulati durante una lunga recessione come quella da cui
siamo appena usciti. Sotto questo profilo è perciò importante che il Governo introduca delle misure incisive
per ridurre i tempi del recupero crediti e per riattivare più rapidamente condizioni di normalità
nell'erogazione dei prestiti. Peraltro, questo giornale ha documentato con precisione che c'è in Europa un
problema bancario ben più preoccupante di quello (ipotetico) italiano. Infatti, se le perdite in borsa sono
state più forti in gennaio per le banche italiane (sotto l'infuriare della "sindrome" da sofferenze), per le più
grandi banche europee il declino dei valori azionari è stato più accentuato rispetto a un anno e tre anni fa.
La ragione è molto semplice. Molti bilanci sono pessimi. Inoltre le dotazioni di capitale di mol te banche
sistemiche europee sono inadeguate. E sono troppo alte le loro leve, con bassi rapporti di capitale pregiato
sulla leva. Basta guardare ai dati della tabella a fianco, dove sono confrontati i valori dei ratio di CET1 fully
loaded (a pieno regime di Basilea III) e di leva dei sistemi bancari dei 7 maggiori Paesi dell'Euroarea
(oggetto di vigilanza unica) con quelli delle 6 principali banche italiane e delle prime due banche tedesche,
francesi e spagnole per capitalizzazione di borsa. Dalla lettura di tale tabella, i cui dati si riferiscono a
giugno 2015, emerge chiaramente che: a)nel CET1 ratio, nonostante il peso distorsivo dei bassi valori delle
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 78
due popolari venete non quotate (Popolare Vicenza e Veneto Banca), il valore nazionale italiano è elevato
e non distante da quelli di Germania e Francia. b)la prima banca Italiana, Intesa Sanpaolo, surclassa per
CET1 ratio la prima banca tedesca, francese e spagnola; e la seconda banca italiana, Unicredit, precede la
seconda banca tedesca, francese e spagnola. c)anche UBI Banca e BPM hanno valori di CET1 ratio
superiori alla prima banca tedesca, francese e spagnola. Banco Popolare, Unicredit e MPS a loro volta
presentano valori superiori a quelli della seconda banca tedesca e delle prime due banche francesi e
spagnole. d)nel leverage ratio il valo re nazionale italiano è tra i più alti e quelli di BPM, Intesa Sanpaolo e
UBI banca sono ai vertici assoluti; inoltre, Banco Popolare, Unicredit e MPS precedono la prima banca
tedesca e le prime due banche francesi. Guardando a questi dati, e tenuto conto delle osservazioni
anzidette sulle sofferenze, è del tutto evidente che è improprio parlare di un "caso" delle banche italiane in
Europa. Piuttosto emerge un quadro preoccupante per diverse banche sistemiche europee. Sicché, specie
in questi tempi assai curiosi in cui in altri Paesi va di moda costituire «comitati di saggi» che, tutelando in
primis neanche tanto velatamente i propri interessi nazionali, si ergono a suggeritori di proposte
nell'interesse europeo (come quella di attribuire un livello di rischio o di mettere un tetto al quantitativo di
titoli di debito pubblico detenuti dalle banche), c'è da chiedersi se non varrebbe la pena che anche l'Italia
costituisca uno o più propri «comitati di saggi». In campo bancario, ad esempio, l'Italia potrebbe
innanzitutto suggerire all'Europa che venga elevata la dotazione di capitale delle grandi banche sistemiche.
Inoltre che la vigilanza unica sia estesa anche alle banche regionali e medie. Infine, che le autorità di
vigilanza pretendano di avere dati certi sull'ammontare dei derivati nei bilanci bancari.
LA PAROLA CHIAVELeverage ratio 7 La leverage ratio, o leva finanziaria, nel settore bancario è in genere definita come il
rapporto tra il capitale netto dell'istituto e il totale delle attività. Questo significa che più è alta la leva più la
banca in questione opera non usando capitali propri, tenendo quindi un maggior profilo di rischio. Quando
la leva è eccessiva il pericolo è che una svalutazione di parti dell'attivo comporti un'erosione ampia del
patrimonio.
Banche europee a confronto 13,3 12,9 12,6 12,3 12,1 11,4 11,3 11,1 10,7 9,8 6 Bpm 11 Mps 12,4 10,8
10,7 10,6 10,5 10,4 10,4 10,4 10,0 1 Bpm 3 Bbva Fonte:: Eba 16 Bbva 9 ITALIA 15 Belgio 2 Olanda 4
Francia 12 Austria 18 Spagna 3 Germania 5 Ubi Banca Cet1 ratio fully loaded 15 Mps 9 Belgio 7 ITALIA 17
Olanda 5 Austria 6 Spagna 13 Francia 4 Ubi Banca Leverage ratio 10 Unicredit 13 Bnp Paribas 7 Deusche
Bank 14 Commerzbank Paesi e banche 8 Banco Popolare 1 Intesa Sanpaolo 11 Germania 14 UniCredit 19
Bnp Paribas 16 Deusche Bank 12 Commerzbank Paesi e banche 2 Intesa Sanpaolo 17 Societé Generale
19 Banco Santander 10 Banco Popolare 8 Banco Santander 18 Societé Generale I NUMERI DEL
CONFRONTO Patrimonializzate Per valutare la solidità delle banche vengono impiegati degli indicatori,
come il Cet 1 ratio, che mostrano il rapporto fra il capitale della banca e le sue attività. Nella tabella si vede
che il capitale delle banche italiane sulle attività ponderate per il rischio è elevato La leva Il confronto fra
leverage ratio delle banche europee rapporto tra il capitale netto dell'istituto e il totale delle attività mostra
che le banche italiane hanno mediamente più capitale delle banche europee in rapporto alle proprie attività
complessive. Medie nazionali delle prime 6 banche italiane e prime 2 banche nei maggiori Paesi
dell'Eurozona
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 79
Renzi: la flessibilità è un diritto Gerardo Pelosi Uscire dall'isolamento in Europa ma senza alcuna retromarcia, meno che mai sulla flessibilità nei conti
pubblici. È questa la missione che il premier Matteo Renzi siè dato dopo giorni di polemiche con scambi di
accusea distanza tra Roma e Bruxelles. In mattinata al te lefono con il presidente francese Hollande e poi a
cena all'Aja con il premier olandese Rutte (presidente di turno del Consiglio Ue) Renzi ha ribadito le sue
posizioni su flessibilità, crescita, migrantie futuro dell'Ue. Continua u pagina 5 u Continua da pagina 1 Tesi
già ampiamente illustrate nelle ultime occasioni pubbliche compreso il viaggio in Africa. Proprio in quella
circostanza il Presidente del Consiglio ha anticipato alcuni concetti sviluppati meglio ieri alla cena con
Rutte. «La flessibilità non è un regalo - avrebbe scandito Renzi al premier olandese tra un piatto e l'altro è
un mio diritto perché è scritta nelle regole europee». Per poi aggiungere: «Se volessi potrei anche fare
come Francia e Spagna che sforano rispetto al parametro del 3%, io invece ho deciso di non sforare ma se
lo facessi avrei una flessibilità aggiuntiva di 25 miliardi». Una scelta "virtuosa" fatta «non perché ce lo
chiede l'Europa ma perché lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti». Con il premier olandese, Renzi ha
trovato un terreno comune di dialogo sull'Europa che «non funziona», l'eccesso di burocrazia, il mercato
interno «ancora incompleto» e la garanzia unica sui depositi da rendere realmente operativa. Prima della
cena, in brevi dichiarazioni sia Rutte che Renzi hanno sottolineato le sfide attuali che la presidenza
olandese si trova ad affrontare. «Sono molto felice di essere qui - ha osservato Renzi Mark è un grande
sostenitore di un'Europa che metta al centro la crescita, il lavoro, l'innovazione, meno burocrazia e più
efficienza, possiamo sicuramente lavorare bene insieme». Temi analoghi al centro della telefonata di Renzi
con Hollande con il quale sono state passate in rassegna le principali questioni dell'agenda europea, a
partire dai temi economici, dalle prospettive del negoziato con la Gran Bretagna, dalla situazione migratoria
e dalla lotta al terrorismo. I due leader, fano sapere a Palazzo Chigi, «hanno condiviso la necessità di un
rilancio di forte impegno europeista e di una politica economica centrata sulla crescita e la creazione di
occupazione». Nel colloquio sarebbe stata affrontata anche la situazione nel Mediterraneo e i prossimi
passi necessari alla creazione di un governo di unità nazionale in Libia, premessa necessaria per l'invio di
una missione internazionale in quel Paese. Sia con Rutte che con Hollande Renzi è tornato sulla questione
delle politiche migratorie, il via libera necessario alla "facility" di 3 miliardi di euro alla Turchia per le spese
necessarie all'accoglienza dei profughi siriani ma anche lo scorporo dal Patto di stabilità delle spese italiane
(circa2 miliardi) spesi per salvare vite umane nel Canale di Sicilia. Temi questi ultimi al centro della riunione
informale dei ministri degli Esteri (Gymnich) in corso ad Amsterdam. «Le riunioni informali possono essere
anche molto utili nel definire delle posizioni comuni - ha spiegato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni si
cercherà di farlo su alcune delle crisi internazionali più rilevanti, soprattutto nel Mediterraneo, in Siria e in
Libia». La prima parte della riunione si è svolta nel formato congiunto EsteriDifesa (presente quindi anche il
ministro Roberta Pinotti) con al centro la strategia globale dell'Ue. Oggi, nella discussione sulla crisi
migratoria, parteciperanno anche i ministri degli Esteri dei Paesi candidati all'adesione all'Ue. Sulle
prospettive di sviluppo della politica di difesa comune, per Gentiloni «c'è un impegno di alcuni Paesi,
dell'Italia in particolare, dell'Alto rappresentante per la Politica estera e di difesa comune dell'Ue, Federica
Mogherini, e ci sono alcune iniziative già prese... tra le più rilevanti la missione navale europea nel
Mediterraneo, la cosiddetta Eunavfor Med a guida italiana».
Foto: L'Aja. Mark Rutte e Matteo Renzi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 80
Trasporti. Consob: da noi nessun fascicolo alla Procura Padoan: fare presto con l'investimento di Hitachi in Ansaldo* Finmeccanica: «Processo trasparente, nessun impatto sulle guidance 2015» Vito Lops PIl ministro dell'Economia Padoan auspica che «l'investimento di Hitachi in Ansaldo si concluda
positivamente e in tempi rapidi». Finmeccanica precisa di aver agito «con un processo trasparente»
tenendo sempre informata Consob. pagina 20 p«Il ministro Padoan auspica che l'investimento di Hitachi in
Italia nell'importante settore dell'industria ferroviaria possa concludersi positivamente e nei termini più rapidi
possibili». Così spiega una nota del ministero dell'Economia, un intervento che nasce dalla volontà di dare
un segnale alla compagnia giapponese Hitachi di proseguire nella trattativa. L'intervento del Tesoroè
arrivato in serata, al culmine di una giornata turbolenta per i mercati e per Finmeccanica che lo scorso anno
ha ceduto Ansaldo Breda e il 40% della controllata Ansaldo Sts alla giapponese Hitachi. Con la cessione
della quota di maggioranza di Ansaldo Stsè scattata l'Opa obbligatoria. Dalle vendite che hanno infatti
colpito Piazza Affari (2,13% in chiusura, 19% da inizio anno la peggiore performance globale a parte
Shanghai) non è stata risparmiata neppure la società aerospaziale che ha terminato gli scambi a 5,9%e
chea questi livelli, secondo il parere degli analisti finanziari, quota con uno sconto rispetto ai competitor di
oltre il 30%. Al clima di turbolenza generale che vede il listino milanese venduto in modo indiscriminato,e al
di là dei fondamentali delle singole aziende, nel caso specifico della società aerospaziale può aver influito il
pretesto dell'indagine da parte della Procura di Milano sull'eventuale esistenza di una collusione tra Hitachi
e Finmeccanica nel processo di cessione del 40% di Ansaldo Sts, sottovalutando il prezzo di quest'ultimaa
vantaggio dell'altra controllata Ansaldo Breda. La Consob ha preso distanze. Interpellata dal Sole 24 Ore fa
sapere di non aver mai fornito fascicoli e materiali relativi all'Opa alla Procura. Dal suo punto di vista la
vicenda èquindi chiusa. Finmeccanica «in relazione alla dismissione della partecipazione in Ansaldo Sts,
ribadisce di aver condotto un processo competitivo trasparente il cui esito è stato determinato solo tenendo
conto della più alta valorizzazione espressa tra tuttii partecipanti nell'intero processo». In una nota la
società conferma che «non sono intervenute né, avuto riferimento alla recente delibera Consob,
interverranno variazioni negli effetti economicofinanziari delle operazioni già comunicati e inclusi nella
guidance 2015». Finmeccanica conferma inoltre «la assoluta correttezza del proprio operato» che peraltro
«mentre si svolgeva, è stato costantemente reso noto anche all'organo di controllo del mercato (Consob)».
L'indagine nonè l'unico elemento sotto l'esame degli investitori. Ci sono anche le notizie diffuse,a partire dal
2 febbraio dal sito americano Defense News, da altri portali specializzati e ieri dal Sole 24 Ore che hanno
anticipato l'annuncio di uno slittamento nella trattativa. Fino ad arrivare al sito arabo kuwaitnews.com che
ha addirittura parlato di un blocco alla fornitura di 28 Eurofighter al Kuwait. Il titolo ha continuato a perdere
terreno e ha toccato il minimo di giornata con un ribasso superiore al 7% anche dopo la precisazione, nel
primo pomeriggio, di un portavoce di Finmeccanica alla Reuters, che ha ribadito che la fornitura dei 28
Eurofighter nonè saltata. Nel finale di seduta il titolo ha poi leggermente recuperato. Finalmente ieri siè fatta
chiarezza: dopo la precisazione del portavoce è arrivata anche una nota del ministro della Difesa Roberta
Pinotti cheha dichiarato: «Sono destituite di ogni fondamento le indiscrezioni stampa riguardanti la mancata
finalizzazione del contratto con il Kuwait per l'acquisto di velivoli Eurofighter». «Nel mio incontro tenuto
mercoledì scorso a Roma con il ministro della Difesa del Kuwait ha aggiunto il ministro è stata confermata
la sceltaa favore della cooperazione strategica con l'Italia basata sul progetto Eurofighter e la volontà di
giungere quanto prima alla firma del contratto». Il Paese del Golfo dovrebbe acquistare 28 caccia multiruolo
in una commessa stimata sugli 8 miliardi, di cui circa un 50% dovrebbero essere appannaggio del gruppo
Finmeccanica, che ha il 21% di partecipazione societaria al consorzio multinazionale Eurofighter e una
partecipazione industriale del 36%. Le azioni Finmeccanica hanno chiuso ieri le contrattazionia quota 9,7
06/02/2016Pag. 1.19.20
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euro (5,91%). «Il titolo per noi vale 15e trattaa questi prezzi 11 volte il rapporto prezzo/utili attesi per il 2016,
mentre i titoli dei competitor valgono 16 volte i prossimi utili spiega Gabriele Gambarova, analista di Banca
Akros. C'è uno sconto importante rispetto ai competitor europei, superiore al 30%. Va poi detto che il titolo
non prezza al momento i benefici sui conti che arriveranno una volta che sarà firmato il contratto in Kuwait,
cosa di cui non dubitiamo».
Dati in milioni di euro da gennaio a settembre
Ricavi
I numeri di Ansaldo Sts
952,690,990,9870,585,380,651,1 100 50 100 50 100 50 EBIT Risultato operativo
Fonte: dati societari Utile (Perdita) netto 2014 2015 2014 2015 2014 2015 2014 2015
Foto: Cessione ai giapponesi. Il marchio Ansaldo Sts
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 82
Bankitalia, chiuse tutte le 11 procedure di crisi Isabella Bufacchi pagina 4 Il 31 gennaio scorso, la Banca di credito cooperativo di Terra D'Otranto è tornata in gestione
ordinaria con un nuovo cda: una chiusura indolore per i creditori, la fine di una procedura di
amministrazione straordinaria sotto la guida della Banca d'Italia. La stessa sorte, positiva per i
creditoririsparmiatori di banche in stato di crisi, è toccata alle altre 10 situazioni di amministrazione
straordinaria pendenti a fine anno e ora definite e risolte da Via Nazionale, in modo da garantire la
continuità dei servizi bancari e soprattutto la piena tutela dei depositanti. A esclusione delle quattro banche
recentemente in risoluzione (Cari Ferrara, Banca Marche, Cari Chietie Popolare Etruria), e dopo il clamore
suscitato dalle perdite sui bond subordinati imposte dalle nuove procedure europee, la Banca d'Italia ha
dipanato tra fine annoe inizio 2016 la matassa di 11 situazioni di banche in difficoltà, dalla piccolissima
Banca Popolare delle Province Calabre un istituto di credito monosportello alla ben più grande Bcc
Padovana. Tutti casi che erano rimasti in sospeso e che, sia pur di dimensioni non grandi e non sistemiche,
sono infine ricaduti nel quadro del nuovo meccanismo europeo di risoluzione, della stretta sugli aiuti di
Stato della DG concorrenza a Bruxelles, e dell'avvio di procedure europee che prevedevano fino al 31
dicembre il burden sharing (perdite estese ad azionisti e detentori di obbliga zioni subordinate) e dal primo
gennaio il bailin che coinvolge, nelle eventuali perdite dovute a soluzioni liquidatorie tramite risoluzione, gli
azionisti,i detentori di obbligazioni subordinate e senior,e poi via viai depositanti oltre i 100mila euro (prima
quelli delle grandi imprese, poi delle Pmi e dei privati). La Banca d'Italia ha risolto questi 11 casi di crisi in
maniera diversa, adattandosi di volta in volta alla specificità della situazione. Sei istituti sono tornati in
bonise dunque in gestione ordinaria: chi attraverso una ricapitalizzazione da parte della casa madre (Cari
Loreto), chi con cessione delle attività a un acquirente (Bcc Padovana con Bcc Roma e Popolare Etna con
Igea finanziaria); l'istituto campano Bcc Flumeri ha acquistato il ramo di azienda buono della Bcc
Irpinia,lasciando i crediti problematici dal fondo volontario del sistema cooperativo. Per Bcc Cascina e
Credito Trevigiano, che sono state sempre in bonis ma sotto amministrazione straordinaria per motivi di
irregolaritàe non di finanza, non sono stati necessari interventi in soldoni: è stato rinominato il cda ed
estirpate alla radice le fonti di attività non regolare. In dirittura d'arrivo con soluzioni già definite e chiavi in
mano il Credito sportivo (unico ente bancario pubblico per il quale spetta al Tesoro la nomina del cda) e
Bcc Brutia, con una chiusura della pratica che non comporterà perdite con coinvolgimento dei creditori, che
siano sottoscrittori di bond subordinati, senior bond o depositanti, assicurano fonti bene informate di Via
Nazionale. Stefano De Polis, che dal 21 settembre 2015 ha assunto la titolarità dell'Unità di Risoluzionee
gestione delle crisi e dal marzo 2015 è membro del Single Resolution Board, ha spiegato che «le 11
situazione in stato di crisi avanzata andavano risolte in tempi rapidi, entro il 2015 o la massimo all'inizio del
2016, e lo abbiamo fatto trovando soluzioni di sistema. Abbiamo lavorato per garantire la continuità dei
servizi bancari e la piena tutela non solo dei depositanti ma, quando c'erano, dei detentori di obbligazioni
subordinate». Il sistema bancario ha dunque fatto squadra. In molti di questi casi, i crediti in sofferenza
c'erano e la cessione aprezzo di mercato avrebbe fatto emergere buchi nel bilancio della banca. Il
problema è stato risolto per il credito cooperativo attivando un fondo volontaristico di tutela dei depositi
alimentato dalle stesse Bcc, che è tollerato dalla DG concorrenza e non fa scattare l'aiuto di Stato: è quanto
è avvenuto nel caso di Cassa Rurale Folgaria (il fondo della cooperazione trentina), di Bcc Padova na, Bcc
Irpinia. L'orientamento della Commissione europea, gli interventi dei sistemi di garanzia dei depositanti,
effettuati con risorse delle banche aderenti, sono assimilabili ad aiuti di Stato quando costituiti in forma
"obbligatoria". L'aiuto di Stato, tra l'altro, scatta solo all'interno della nuova procedura europea di
risoluzionee dunque solo nell'ambito del bailin: previa imposizione di perditea carico di azionistie creditori
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 83
tramite bond subordinati, seniore depositanti oltre i 100mila euro. In nessuno di questi 11 casi in
amministrazione straordinarie si è arrivati a questo. Nell'ambito dell'Unione bancaria, la vigilanza e la
gestione delle crisi delle banche di grandi dimensioni e di rilevanza sistemica sono seguite e gestite dal
Meccanismo di vigilanza unico e dal Meccanismo di risoluzione unico, in stretta collaborazione con le
autorità nazionali. Per le banche di dimensioni "meno significative" e quindi per l'Italia le Bcc e le Popolari,
la gestione delle crisi resta affidata alla autorità nazionali di risoluzione: tuttavia la Banca d'Italia è chiamata
ad agire "nell'ambito degli orientamenti e delle linee guida stabiliti dal Comitato di risoluzione unico e a
informarlo sulle modalità di soluzione delle crisi". Il Comitato in teoria in questo ambito non ha poteri ma
oltre ad essere informatoe in casi eccezionali può esercitare poteri di sostituzione.
Le banche fuori dal tunnel Bcc Brutia Bcc Irpinia Cari Loreto Bcc Credito Trevigiano Bcc Terra di Otranto
Nuovo cda Cassa Rurale Folgaria Bcc Padovana Bcc di Cascina B. Popolare Etna Credito sportivo B.
Popolare Province Calabre Venduto tutto a compratore Risolti problemi di governance Tornata in gestione
ordinaria Tornata in bonis e in gestione ordinaria Tornata in bonis e in gestione ordinaria Tornata in bonis e
in gestione ordinaria Liquidazione volontaria cessione ramo azienda buono Soluzione di mercato con Bcc
Roma acquirente Soluzione di mercato con Igea finanziaria acquirente Procedura in chiusura Procedura in
chiusura con piena tutela depositanti Ripulita da gravi irregolarità e infiltrazioni criminali Ricapitalizzazione
Fondo volontario acquista sofferenze Fondo volontario acquista sofferenze Fondo volontario acquista
sofferenze In arrivo nuovo cda nominato dal Tesoro Nominato nuovo Cda Banca monosportello Ripulita da
irregolarità Nessuna perdita su bond subordinati Banca Tipo di soluzione Dettagli
Gli 11 istituti di credito in amministrazione straordinaria uscite dallo stato di crisi avanzata senza perdite per
i creditori/risparmiatori
Foto: .@isa_bufacchi [email protected]
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 84
EUROPA E CRESCITA Guardare lontano per decidere bene e subito Alberto Quadrio Curzio La Commissione europea ha pubblicato il Rapporto «Previsioni economiche invernali» atteso in Italia per
trovare indicazioni sulla nostra situazione economica e su quella europea. E magari qualche spunto
polemico che andava invece escluso a priori per chi conosce la tonalità di questi Rapporti. Si tratta infatti di
documenti piuttosto tecnici di ottimo livello dove naturalmente non mancano giudizi di valore, più o meno
espliciti. Qui possono emergere le diversità valutative che anche noi faremo con riferimento alla Eurozona.
Guardare lontano. Leggendo il Rapporto si pensa che abbia una visione troppo di brevemedio termine,
anche se imposta dalle esigenze analiticoprocedurali, e decisionale legata al "semestre europeo". Questo
rende difficile individuare le dinamiche di mediolungo termine e la messa a punto di strategie. Sappiamo
che c'è il grande progetto «Europa 2020» ma constatiamo che poi prevalgono le scelte annuali incapaci di
cogliere la forza di lungo periodo delle dinamiche economiche mondiali verso le quali l'Europa appare
spesso un soggetto sorpreso dagli eventi. Così nella grande crisi, l'Europa sembra essersi accorta solo ex
post di quanto fosse lunga. Adesso viene sorpresa dalla deflazione che danneggia le sue esportazioni e dai
movimenti migratori che cambieranno la sua società ed economia. Tecnici e politici. Spesso si dice che la
colpa è dei tecnici ma sarebbe bene ricordare che le gabbie deflazionistiche come il fiscal compact o il non
uso per fare investimenti del Fondo Esm o il tentativo di scardinare Schengen sono scelte politiche. Il fatto
che il Rapporto sia in prevalenza sul breve termine non è una scelta tecnica anche se poi questa fornisce ai
politici elementi per le loro decisioni e per confermare o per rivedere le loro convinzioni. Il dualismo tra
tecnica e politica è molto delicato e spesso solo l'intelligenza delle parti lo rende creativo. Continua u
pagina 16 di Alberto Quadrio Curzio Prendiamo il caso della lenta crescita in Europa con un incremento del
Pil all'1,7% nel 2016 (a fronte dell'1,6% del 2015) con una previsione dell'1,9% nel 2017. È opinione diffusa
che la crescita sia sostenuta adesso prevalentemente dai consumi interni spinti dagli aumenti dei redditi
reali favoriti dai bassi prezzi dell'energia e dalla bassa inflazione. A questa spinta si associa adesso quella
dalle spese pubbliche connesse alla immigrazione. Che tutto ciò non basti trova concordi tecnici e politici
anche se con diverse intonazioni. Nella Prefazione al Rapporto del Direttore Generale agli Affari Economici
e Monetari della Commissione Europea, Marco Buti dice in modo netto che vanno spinti gli investimenti per
ricollocare la Ue e la Uem su un trend di crescita. Più sfumato ed ottimistico ci sembra invece essere il
commento del Commissario europeo Pierre Moscovici. Rischi e rimedi Tra il Rapporto più tecnicoe il
Commissario più politico vi sono tuttavia concordanze piene sui rischi di lungo periodo e la necessità di
politiche economiche europee e degli Stati membri. I rischi esterni sono il rallentamento delle economie (in
particolare della Cina) e del commercio internazionale ma anche quelli dei mercati finanziari e del
terrorismo. I rischi interni sono connessi ai movimenti migratori e al possibile collasso di Schengen. Non
meno gravi sono i rischi che, malgrado la politica monetaria espansiva e i consumi in ripresa, non si riesca
a spingere la crescita e l'occupazione. Per noi solo una forte politica di investimento darebbe crescita
durevole all'Europa. Anche nel Rapporto la crescita all'1,9% nel 2017 dipenderà dal rilancio degli
investimenti da mantenere nel lungo periodo. Anche Moscovici è sulla stessa lunghezza d'onda ritenendo
però ottimisticamente che gli investimenti aumenteranno per le condizioni di finanziamento più favorevoli,
per l'aumento nei margini di profitto, per la riduzione dell'indebitamento delle imprese, per la riduzione della
capacità produttiva inutilizzata. Noi non crediamo che questi elementi bastino così come non basta il pur
apprezzabile Piano Juncker la cui origine andrebbe rivisitata per verificare se il Presidente della
Commissione non fosse incline ad uno più incisivo poi bloccato dalla Germania. Paese che dovrebbe
riflettere sui divari tra la Uem e gli Usa nella dinamica degli investimenti totali su 20 anni, dal 1997 al 2017.
In termini di tassi medi annui di crescita degli investimenti abbiamo avuto nel periodo 19972001 il 6% negli
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 85
Usa contro il 4,1% nella Uem, nel 200206 il 3,1% contro il 2,2%. Fa eccezione il periodo 200711 con un
tasso medio annuo Usa peggiore (3,1%) di quello della Uem(1,3%). Poi il divario raggiungei 9,6 punti
percentualia svantaggio della Uem nel 2012 e nel tasso medio annuo grezzo di crescita sui sei anni nei
quali gli Usa sono sopra il 4% e la Uem sotto all'1 per cento. Questa dinamica comparata spiega anche
perché il contrasto alla disoccupazione in Europa non può venire durevolmente, ancor più in presenza di
immigrati, da misure emergenziali ma solo creando occupazione durevole. Far dipendere questa dalle sole
riforme del mercato del lavoro, pur necessarie, non basta come dimostra il fatto che il tasso di
disoccupazione della Uem sta scendendo troppo lentamente dall'11% del 2015 al 10,5% del 2016, al
10,2% nel 2017 mentre la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata rimangono storicamente alte
creando problemi alle finanze pubbliche e alla dinamica della produttività. Rigore e crescita La nostra
conclusione è che l'Eurozona non uscirà dalla sua debole crescita, che ha aspetti deflazionistici, sulla
spinta del quantitative easing e dei tassi di interesse negativi che sono un esperimento rischioso se a lungo
protratto. Ci vuole una forte spinta di investimenti e di tecnoscienza sul lungo termine per creare lavoro e
competitività sistemica. Fare queste scelte spetta ai politici ed è perciò utile che tra gli stessi vi sia dialettica
che, se costruttiva, evita anche che ci si assopisca nella routine.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 86
L'INTERVISTA/ L'ECONOMISTA LORENZO BINI SMAGHI: EURO RAFFORZATO UN PROBLEMA IN PIÙPER LE AZIENDE "Draghi non deve mollare l'acquisto di titoli proceda" EUGENIO OCCORSIO ROMA. «L'area euro ha un problema in più: la rivalutazione delle moneta, non solo sul dollaro ma anche
contro le valute dei Paesi emergenti. Ciò penalizza la competitività dell'export, già colpito dal rallentamento
della Cina e degli stessi Usa. Ma non significa che si deve rinunciare né rallentare il quantitative easing».
Lorenzo Bini Smaghi, oggi a capo della Societé Generale, nel board della Bce dal 2005 al 2011, avverte
che «l'impatto positivo del qe è stato vanificato. Il cambio effettivo verso la media ponderata delle valute è
tornato a un anno e mezzo fa».
Tutto questo è dovuto al voltafaccia della Fed, che ci ha già ripensato sul rialzo dei tassi? «Direi di sì. Ma il
rallentamento dell'economia americana, motivo della frenata sui tassi, è fisiologico per un Paese che
cresce ininterrottamente dal 2010 anche a buon passo, e non ha avuto la seconda recessione». Influiscono
i fallimenti nelle compagnie dello shale oil, spiazzate dai ribassi petroliferi? «In qualche misura, ma non
determinante. Questo è un problema finanziario, dovuto ai default delle obbligazioni con cui le compagnie si
finanziano. Il trasferimento all'economia reale non è automatico. C'è chi vede una nuova crisi modello-
subprime quale detonatore di una reazione a catena. Ma sono diverse le situazioni se non altro perché il
mercato allora era inondato dai titoli spazzatura, appunto quelli connessi ai subprime, ora non è così.
Comunque c'è da fare attenzione alla quantità di titoli ad alto rischio acquistati per la ricerca di migliori
profitti negli anni dei tassi a zero, una tipica controindicazione del qe. Gli investitori potrebbero venderli in
massa a causa delle incertezze esistenti, con forti instabilità sui mercati e l'ampliamento della massa di
liquidità inespressa che già oggi ferma gli investimenti, in America come in Europa».
Ora in America il qe non c'è più, Draghi invece ha indicato che in marzo ne annuncerà un rafforzamento
oltre a nuove misure monetarie. Non basta a controbilanciare l'effetto-Fed? «Solo in parte. I mercati
vogliono vedere i fatti».
Sono rimasti scottati dall'esperienza di dicembre quando Draghi deluse le aspettative? «I mercati vogliono
vedere per credere. Non si basano solo sugli annunci. C'è un'altra questione: la domanda di euro è forte
perché la maggior parte dei Paesi europei registra un surplus commerciale.
Le esportazioni superano le importazioni, e la richiesta di euro (per pagarle, ndr) spinge la moneta. Ecco
perché il qe non basta: ci vogliono misure che facciano crescere la domanda interna, investimenti privati e
pubblici e provvedimenti fiscali per stimolarla specie nei Paesi che se lo possono permettere, dove il debito
pubblico non è troppo alto».
Foto: A FRANCOFORTE Lorenzo Bini Smaghi è stato nel board della Bce dal 2005 al 2011
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 87
L'economia Usa I mercati. L'economia americana cresce solo dello 0,7% e la moneta unica è ai massimidell'ultimo anno rispetto al biglietto verde. La Fed rinvierà l'aumento dei tassi: export europeo e Paesiemergenti in difficoltà L'ANALISI L'ombra di una nuova recessione affossa il dollaro e inguaia l'Europa Le banche di tutto il mondo perdono quota e questo è un ulteriore elemento di instabilità DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK. La cavalcata al rialzo del superdollaro si è interrotta di colpo. La moneta americana si è
indebolita in modo significativo; rilanciando l'euro che ha raggiunto i massimi da un anno. Come si spiega
l'inversione di tendenza così repentina? Chi ci guadagna, chi ci perde? La causa di fondo è il rallentamento
della crescita americana, che crea incertezze sulle prossime mosse della Federal Reserve. L'impatto più
immediato è sulla "guerra delle valute". Tra i danneggiati ci sono i Paesi europei e in particolare gli
esportatori italiani che di un euro debole continuano ad avere bisogno. Tirano un sospiro di sollievo - forse
solo momentaneo - i Paesi emergenti schiacciati dal peso di debiti in dollari.
L'eccesso di debolezza che ha spinto il dollaro al ribasso la scorsa settimane, ha le sue cause dentro
l'economia Usa. L'ultimo trimestre del 2015 si è chiuso con una crescita asfittica (+0,7%) una frenata
rispetto alla velocità di crociera durante la prima parte dell'anno. A gennaio le nuova assunzione sono state
solo 151.000, inferiori alle previsioni e al di sotto della media 2015. Che succede? Forse si sta
semplicemente concludendo un ciclo. Una ripresa americana durata quasi sette anni è già matura, dal
dopoguerra ad oggi pochi periodi di crescita sono durati di più. Sarebbero quasi maturi i tempi per una
recessione. Se è così ha ragione il coro di critiche che accusa la Fed di avere sbagliato i tempi: quando a
dicembre ha deciso il primo rialzo dei tassi dal 2008, potrebbe avere anticipato la "fine della ricreazione".
Adesso i mercati si sono auto-convinti che la Fed sia pentita di quella mossa. Si attendono che a marzo
non annunci ulteriori rialzi dei tassi. La politica monetaria americana in tal caso verrebbe "congelata": tutto
fermo, in attesa di capire se sta arrivando la temuta recessione.
Questo scombussola lo scenario globale. Fino alla fine dell'anno scorso, si dava per scontato che si
sarebbe aperta una forbice nei tassi d'interesse: sempre più su quelli americani, sempre più giù (perfino
sotto zero) dall'Eurozona al Giappone. L'apertura di quella forbice dei rendimenti spingeva i capitali verso
gli Stati Uniti, in cerca d'interessi maggiori. Di conseguenza il dollaro si rivalutava su quasi tutte le altre
monete. Buona notizia per l'export europeo, reso meno caro e più competitivo dal superdollaro. Pessima
notizia per i Paesi emergenti: negli anni del boom tante imprese dalla Cina al Brasile si sono indebitate in
dollari (costava poco, e all'epoca erano le monete emergenti a rafforzarsi); ora devono restituire interessi e
capitali su quei debiti, in una moneta diventata pesante. C'è poi il legame molto stretto fra petrolio e dollaro,
per cui un dollaro forte tende ad accentuare il ribasso petrolifero, quindi a impoverire tanti petro-Stati dal
Golfo alla Russia al Venezuela. Le Borse in tutto questo hanno visto una ulteriore fonte di instabilità. Tra gli
ulteriori fattori di crisi: le banche di tutto il mondo perdono quota e dunque torna ad esserci un rischio-
finanza non solo in Italia; sui ribassi delle Borse pesa la liquidazione di interi patrimoni accumulati negli anni
scorsi dai Paesi del Golfo; infine è questione di tempo prima che si schianti nei default pubblici o privati
qualche "anello debole" tra le economie emergenti. Il rischio è un po' meno acuto sul fronte della finanza
pubblica, cioè delle bancarotte di Stato; i soggetti più fragili sono grandi imprese dei Paesi emergenti che
vendettero junk-bond a gogò. Non aiutano a rasserenare i mercati né i dubbi persistenti sullo stato di salute
reale dell'economia cinese; né la sensazione che le politiche monetarie di "quantitative easing" in Giappone
e nell'Eurozona tardino a diffondere i benefici nell'economia reale.
Il dilemma della Fed è quello che concentra l'attenzione dei mercati. La politica monetaria americana
continua ad esercitare un'influenza esorbitante sul resto del mondo. Negli anni passati fu promossa a pieni
voti: nella versione Usa, il "quantitative easing" fu davvero decisivo per innescare il ciclo di crescita e far
scendere la disoccupazione sotto il 5%. Ma con due problemi.
08/02/2016Pag. 16
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 88
Uno è che l'immensa liquidità generata dalla Fed tra il 2008 e il 2014 in parte si è riversata fuori dai confini,
è andata a gonfiare bolle speculative nei Paesi emergenti. L'altro problema è che i tassi americani restano
ancora di poco superiori allo zero. Se dovesse arrivare una recessione a fine anno, i margini per politiche
espansive della Fed sarebbero pericolosamente esigui.
La corsa della moneta unica (cambio euro-dollaro) 2014 2015 2016 FONTE BCE 1.40 1.35 1.30 1.25
1.20 1.15 1.10 1.05 1.00 3 apr 2014 Draghi: "La Bce pronta a misure eccezionali" 18 set 2014 (82,6 mld)
Prima asta Tltro, rifnanziamenti agevolati a 4 anni 21 nov 2014 La Bce inizia l'acquisto di titoli cartolarizzati
(Abs) 21 dic 2014 Seconda asta Tltro 4 dic 2015 Il Qe viene allungato sino a marzo 2017 5 lug 2015 La
Grecia dice no con un referendum all'accordo proposto dall'Ue 4 feb 2016 1,1206 Draghi: "La Bce non si
arrenderà davanti alla bassa infazione" 22 gen 2015 La Bce lancia il Quantitative easing: acquisti di titoli
per 60 mld al mese fno a set 2016 (130 mld) www.federalreserve.gov www.ebc.europa.eu PER SAPERNE
DI PIÙ
08/02/2016Pag. 16
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 89
R2 L'INTERVISTA / RAFFAELE CANTONE, AUTORITÀ ANTICORRUZIONE "Un pezzo di carta fantasma è la prova che piace ai boss" ENRICO BELLAVIA FACILE da trasportare, consente di avere sotto mano grandi quantità di denaro in un piccolo ingombro.
«Ecco perché - dice Raffaele Cantone, magistrato, da due anni alla guida dell'Autorità nazionale
anticorruzione - la banconota da 500 euro è il taglio preferito per le transazioni illegali».
Solo una questione di praticità? «Per chi ha necessità di accumulare e spostare grosse somme, quel taglio
è facile, 20mila euro stanno in un pacchetto di sigarette, con una borsetta e un peso da due chili si
trasporta quasi un milione di euro: la banconota da 500 obbedisce a ragioni di comodità».
In Gran Bretagna ne vietarono l'acquisto sospettando che fosse solo denaro illegale, un piccolo ufficio di
cambi ne aveva acquistati 4 milioni.
Si stima che solo il 10 per cento di transazioni con quell'importo sia legale. Eppure è la banconota che si
vede circolare meno. Come mai? «Questo è proprio uno dei segnali di allarme che ormai da anni sono stati
lanciati intorno alla circolazione di quelle banconote». Perché? «Perché nonostante ne circolino
apparentemente poche, l'emissione segue un andamento regolare».
Segno che il grosso si muove in una sorta di deep economy? «Evidentemente, da qualche parte finisce e
non fa certo parte dell'esperienza comune della gente normale. Io stesso mi sarò imbattuto in banconote da
500 non più di una dozzina di volte nella mia vita. Come del resto si vedono poco anche quelle da 200
euro».
Già alcuni anni fa tutte le agenzie di contrasto al crimine segnalarono che nei grandi circuiti criminali il
dollaro era stato soppiantato dall'euro.
È anche una questione di disponibilità di tagli? «Non solo l'euro offriva la banconota da 500 che non aveva
un corrispondente in dollari, ma l'euro era moneta forte sul dollaro e questo conta anche nell'economia
criminale».
La banconota da 500 per le transazioni criminali ma anche per la corruzione, è così? «Quando parliamo di
denaro illegale, intendiamo tutto. Certo, anche la corruzione è molto cambiata e la mazzetta tradizionale,
meglio perché più pratica, appunto, in 500 euro, si vede sempre meno. Le forme della corruzione sono
variegate e fantasiose». Il contrasto al riciclaggio poggia sulle segnalazioni di operazioni sospette, crede
che anche il taglio utilizzato dovrebbe far scattare i sensori? «Non solo la quantità di denaro prelevato o
versato ma anche l'utilizzo di alcuni tagli, in primis quello da 500, e la frequenza di certe operazioni
dovrebbe essere sottoposta a segnalazione. Ma non ci si deve illudere».
Di cosa? «Il criminale non va in banca a prelevare i soldi per pagare una partita di droga, né per
corrompere. I sistemi di pagamento seguono triangolazioni e transazioni che hanno dimensione
internazionale».
Foto: MAGISTRATO Raffaele Cantone
08/02/2016Pag. 27
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 90
MA RENZI VUOLE UN MINISTRO DEL TESORO EUROPEO? EUGENIO SCALFARI ALCUNI amici che hanno letto la mia intervista di venerdì con la presidente della Camera, Laura Boldrini, si
sono stupiti (positivamente) della fiducia da lei riposta nella politica monetaria di Mario Draghi e di molte
previste ripercussioni che potrà avere sull'auspicabile rafforzamento dell'unità dell'Europa.
Ho avuto modo di parlare telefonicamente l'altro ieri con Draghi, siamo vecchi amici e di tanto in tanto ci
sentiamo. Anche lui aveva apprezzato le riflessioni della Boldrini sul significato della politica monetaria della
Bce. Del resto, a questo punto della situazione in Europa e nel resto del mondo, anche Draghi non ne fa
più mistero. E la situazione è questa: non c'è più tempo, se si vuole impedire che la crisi economica in
corso ormai da otto anni, cui si è aggiunta da oltre un anno una drammatica caduta della domanda nei
paesi emergenti, bisogna agire con immediatezza.
Ci sono almeno cinque aspetti da considerare.
Il tasso demografico europeo è in netta diminuzione, particolarmente in Italia dove a metà del secolo in
corso la "gens italica" sarà molto meno numerosa degli attuali 60 milioni di persone e più vecchia.
La mobilità dei popoli da un continente all'altro: sembra un'emergenza dovuta alle guerre in corso e alla
povertà insopportabile di alcune zone del mondo. Così sembra, ma non lo è, non passerà tra due o tre anni
come molti sperano: è un movimento di interi popoli, che durerà a dir poco mezzo secolo e produrrà
inevitabilmente un'integrazione di culture, di religioni e di sangue; un meticciato graduale ma inevitabile.
UN'ECONOMIA mondiale che vedrà ridursi la domanda di beni manifatturieri ottenuta con l'uso di materie
prime e di energie tradizionali. Al loro posto ci saranno beni e servizi prodotti con tecnologie specializzate e
una diminuzione del lavoro materiale e dell'occupazione.
Infine un aumento del tempo libero che sposterà le persone verso viaggi, turismo, cultura, processi di
integrazione, ricerche scientifiche e applicazioni pratiche dei loro risultati.
Il quinto ed ultimo elemento riguarda il sistema finanziario che dovrà essere profondamente rivisto per
adeguarsi ai predetti mutamenti e che già fin d'ora richiede un cambiamento di fondo dovuto alla mobilità
dei capitali, alla dimensione delle imprese, all'andamento die mercati, alle garanzie dei depositi, alla
creazione di monete internazionali che non si identifichino con quelle emesse e circolanti nei singoli Stati
ma il cui valore abbia come base quello delle monete circolanti adeguatamente valutate. Questa riforma fu
studiata dalla Commissione di Bretton Woods e sostenuta da Keynes, ma fu impedita dall'America che
ravvisò nel dollaro la doppia funzione di moneta circolante e di punto di riferimento nei tassi di cambio di
tutte le altre monete. Ma la società globale ormai in atto esige una appropriata riconsiderazione del
"bancor" proposta più di settant'anni fa da Keynes.
Questa, in sintesi, è la situazione in cui ci troviamo, le prospettive possibili e gli strumenti necessari a
realizzarne gli obiettivi. Cioè la politica e i valori che debbono ispirarla. Difficilmente quei valori saranno
dovunque gli stessi, la società globale proviene dalla comunicazione tra storie diverse, culture diverse e
diverse condizioni di vita, di povertà, di benessere. Ma è globale nel senso delle comunicazioni e la libera e
intensa comunicazione tende all'integrazione, anche dei valori. Un percorso che durerà secoli e configurerà
il futuro.
Per quanto ci riguarda, i nostri valori sono, come ben sappiamo, tre: libertà, eguaglianza, fraternità. Non
sono affatto realizzati, non dico nel mondo, ma neppure nell'Occidente che tuttavia ne ha fatto da oltre due
secoli la sua bandiera. Saranno - dovrebbero essere - il nostro contributo alla società globale della quale
facciamo parte.
*** Guardiamo ora più da vicino i fatti che sono in questi giorni accaduti. Non i fatti episodici, ma quelli che
fanno parte del quadro evolutivo sopra accennato o lo contrastano. Avevamo cominciato con Draghi. A
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 91
Francoforte, pochi giorni fa, ha parlato della politica della Bce da lui sostenuta e applicata ormai da un
anno; ha enumerato i risultati raggiunti ma anche quelli finora mancati e delle nuove modalità che ne
consentiranno la necessaria realizzazione. Le decisioni saranno prese dalla Bce in una riunione già
prevista per il 10 marzo prossimo.
Delle cause che hanno impedito il completo risultato desiderato, soprattutto per quanto riguarda il tasso di
inflazione, abbiamo già riferito il pensiero di Draghi; ma la proposta essenziale e vorrei dire rivoluzionaria
Draghi l'ha detta a Francoforte: ritiene indispensabile e quindi vuole la creazione d'un ministro del Tesoro
unico, che sia l'interlocutore politico della Bce da lui guidata.
Non è la prima volta che Draghi ne segnala la necessità, ma per qualche tempo l'aveva accantonata. Ora
l'ha ripresa con ancor più energia e urgenza di prima; per darle maggior forza ha specificato che dovrà
essere ministro del Tesoro non di tutta la Ue ma soltanto dell'Eurozona; non rappresenterà dunque i 28
paesi membri ma soltanto i 19 che adottano la moneta comune. Il ministro del Tesoro può anche essere
membro della Commissione di Bruxelles con questa specifica e territorialmente delineata funzione. È
evidente che una novità del genere ha bisogno, per nascere, d'una cessione di sovranità di ciascuno dei 19
paesi in questione. A suo tempo il nostro ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si disse favorevole alla
proposta di Draghi. Renzi non ne parlò. Che cosa dicono ora? Padoan è sempre d'accordo? E Renzi? Per
rinnovare e rafforzare l'Europa come Renzi dice motivando in questo modo i suoi dissensi con Bruxelles,
questa del Tesoro unico sarebbe la novità-principe anche perché apre la strada ad un'Europa federata e
non più soltanto confederata. Ecco il passo avanti che i sostenitori degli ideali del Manifesto di Ventotene
chiedono a Renzi. Vorrà rispondere positivamente? Questo sì, gli darebbe un ruolo di altissimo livello.
Isolato dagli altri 18 paesi dell'Eurozona? Forse sì, ma non necessariamente da tutti. Del resto, isolato lo è
già.
Ma c'è un'ipotesi che mi permetto di formulare, può sembrare paradossale ma secondo me non lo è: forse
non sarebbe ostacolato dalla Merkel.
Tutti sappiamo che un'Europa federata si farà soltanto se la Germania si dichiarerà favorevole. È
altrettanto chiaro che in un'Europa federata la Germania sarà la nazione di maggior rilievo, non per sempre
ma certamente per un lungo periodo iniziale. È altrettanto chiaro - la storia d'Europa dell'ultimo secolo ce lo
insegna - che la Francia ancora stregata dalla sua "grandeur", sarà contraria. Ma tutti gli altri paesi non
possono che aderirvi, magari non entusiasti ma rassegnati, perché, come da tempo sappiamo, in una
società globale contano gli Stati con dimensioni continentali; gli altri non contano niente. Questa è la realtà
e forse Angela Merkel è in grado di percepirla e di compiere il primo passo accettando la richiesta di Draghi
del ministro del Tesoro unico dell'Eurozona; richiesta motivata essenzialmente da ragioni economiche.
Lo status di Renzi, se si muovesse per primo su questo terreno, gli aprirebbe una vera e propria
autostrada per quanto riguarda il suo ruolo futuro in Europa. Futuro ma anche attuale perché il suo
principale interlocutore sulla politica economica sarebbe quel ministro del Tesoro, prima della
Commissione.
I democratici renziani ma anche ed anzi soprattutto i dem dissidenti, dovrebbero premere compattamente
su questa strada come dovrebbe anche avvenire sulla legge per le unioni civili. Un Renzi laico ed
europeista vincerà a mani basse il referendum. Ma se così non sarà, se continuerà ad essere contro
l'Europa e con sulle spalle una riforma costituzionale che a molti non piace affatto, allora non è sicuro che il
referendum confermativo passerà a larga maggioranza; potrebbe arrivare un testa a testa con esiti
imprevedibili.
Noi speriamo che se la cavi, alle condizioni sopra indicate perché quello è l'interesse del paese.
Diversamente non speriamo niente.
Anzi: da laici non credenti (personalmente parlando) indichiamo in papa Francesco un simbolo che
rappresenta più e meglio di ogni altro l'epoca globale in cui viviamo. Incontrerà tra pochi giorni a Cuba il
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 92
Patriarca degli ortodossi di Russia per un futuro avvicinamento che probabilmente finirà con un sostanziale
affratellamento tra quelle due Chiese cristiane. Poi visiterà il Messico, i poveri, i carcerati. Poi ci sarà
un'altra riunione cui parteciperà anche il Patriarca ortodosso Bartolomeo che rappresenta gli ortodossi del
Medio Oriente dalla sua sede di Costantinopoli. Infine, a fine ottobre, Francesco incontrerà in Svezia i
rappresentanti di tutte le Chiese luterane sparse nel mondo a cinquecento anni di distanza dalla riforma di
Martin Lutero, puntando da entrambe le parti a superare le differenze riconoscendosi fedeli in Cristo. E noi
balbettiamo sull'unità dell'Europa? E non smettiamo di riaffermare la nostra isolata autonomia? Ognuno per
sé e Dio per tutti? Il vero slogan dovrebbe essere: poiché Dio è spiritualmente per tutti anche noi
politicamente lo siamo.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 93
Le misure Risparmi sanità incerti e giochi sovrastimati tutti i dubbi Ue sull'Italia Così la Commissione ha alzato le stime sul deficit di Roma Padoan: "Nel 2016 il debito inizierà a calare,bene le entrate" Intanto Renzi continua a lavorare alla rete dei socialisti europei contro l'austerity Sui nostriconti le incognite congiuntura, gettito, spending e clausola di salvaguardia ROBERTO PETRINI ROMA. Sono quattro le sfide che i conti italiani dovranno affrontare nei prossimi mesi, in attesa di aprile
quando con il giudizio della Commissione europea sulla flessibilità e il nuovo Documento di economia e
finanza (Def), i nodi verranno al pettine: congiuntura; tenuta delle entrate; spending review; clausola di
salvaguardia per scongiurare l'aumento Iva nel 2017. Il tutto mentre il premier Renzi lavora ad una rete
parallela della sinistra europea con Francia, Spagna, Portogallo e Austria per quello che a Palazzo Chigi
definiscono "il contropiede" rispetto all'austerity.
La prima questione sui conti italiani emerge dalla correzione al rialzo delle stime Ue sul disavanzo: ha
fissato il rapporto deficit-Pil al 2,5% contro il 2,4 stimato dal governo che comprende peraltro anche lo 0,2
dell'emendamento sicurezza-cultura oggetto del contendere con la Commissione europea.Se non si
considera il pacchetto sicurezza-cultura resta un peggioramento dello 0,1%, che è dovuto sostanzialmente
alla cattiva congiuntura economica. Il Winter forecast dei giorni scorsi infatti riduce le stime di crescita del
governo, tarate su un Pil 2016 all'1,6%, a 1,4%. Il dato del Pil in termini nominali (cioè con l'aggiunta del
tasso di inflazione stimato) previsto dalla Commissione scende dunque al 2,2 (cioè lo 0,4 in meno rispetto
alle previsioni del governo che lo colloca al 2,6%). La caduta del Pil nominale abbatte le entrate (che si
calcolano inflazione compresa) meno della metà per ogni punto: di conseguenza, siccome la caduta del Pil
nominale è calcolata in 0,4 punti, le entrate scendono di circa un decimo e mezzo (0,16 punti), e tale è più o
meno la crescita del deficit.
Tutto ciò è dovuto alla congiuntura internazionale: se peggiorasse (petrolio, Cina, caduta del commercio
mondiale) e nell'eventualità che la crescita nominale fosse dell'1,5 in meno cioè solo dell'1,1% (0,8 di
crescita reale come il 2015 e 0,3 di inflazione), il rapporto deficit-Pil potrebbe avvicinarsi al 3%, un
incremento di sei decimi. Naturalmente l'ipotesi è solo sulla carta (il centro di ricerca Ref già dà tuttavia per
il 2016 una crescita reale del Pil del solo 1%), ma questi sono i criteri in base ai quali bisognerà interpretare
la congiuntura nei prossimi mesi. «I mercati ci dicono che quello che conta è la direzione del debito in
rapporto al Pil, e nel 2016 quello italiano comincerà a scendere», ha detto ieri il ministro dell'Economia Pier
Carlo Padoan, aggiungendo che «la spending review continua» e che «la lotta all'evasione sta dando
risultati importanti».
Proprio su questo punto però si aggiungono altri margini di rischio segnalati dal recente rapporto dell'Upb,
l'autorità sui conti pubblici. L'incertezza riguarda i risparmi del patto sulla salute che «potrebbero non
risultare del tutto conseguibili» sul piano di fattori spesa come i nuovi livelli di assistenza, i farmaci
innovativi, i costi delle prestazioni e i contratti dei dipendenti. L'altro fattore di rischio, avverte il Focus,
l'allargamento della platea delle possibili beneficiarie dell'opzione donna, cioè il pensionamento anticipato a
fronte dell'adesione al ricalcolo dell'assegno con il metodo contributivo, potrebbe aumentare le spese. Infine
le entrate previste dalle tasse extra sui giochi presentano criticità e il meccanismo potrebbe dar vita a
contenziosi in grado di intaccare il gettito. Dubbi anche sull'aumento delle quote di ammortamento per gli
investimenti: il costo potrebbe essere maggiore del previsto.
Se il 2016 presenta delle incognite, è però il 2017 che si annuncia critico. Le previsioni Ue stimano per il
prossimo anno un deficit-Pil dell'1,5%, includendo l'aumento dell'Iva. Il governo, se vuole disinnescarlo
come fatto quest'anno, e come dichiarato da Padoan, dovrà trovare risorse ulteriori per 15,1 miliardi.
Intensificando una spending review che nel 2016, considerando i provvedimenti degli ultimi due anni, ha
fruttato soli 1,5 miliardi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 94
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Le stime di Ue e governo sull'Italia
GOVERNO ITALIANO
1,42,5132,4 130,3130,6 126,11,6
1,3 1,6
2,4*
1,5
1,1 Crescita Pil Defcit/Pil Debito/Pil UE IN PERCENTUALE 2016 2017 2016 2017 2016 2017 * inclusa
clausola migranti
I PUNTI IL DEFICIT Secondo la Commissione la crescita più lenta spingerà il deficit nel 2016 al 2,5% 2LA
SPENDING Incerti i risparmi attesi dal patto per la salute, dice l'ufficio parlamentare di bilancio LE
ENTRATE Pure il gettito extra della nuova tassa sui giochi è dubbio: si attendono molti contenziosi
Foto: IL CONFRONTO Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker e il ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 95
L'INTERVISTA / MARTIN WOLF, EDITORIALISTA DEL FINANCIAL TIMES "Dagli Usa all'Europa, élite sempre più isolate" Il crescente distacco tra classi dirigenti e popolo rende le società meno floride e benestanti Il rischio è che ilmondo degli affari appoggi i populisti di destra per difendere i propri interessi ENRICO FRANCESCHINI LONDRA. Il popolo non si sente più rappresentato dalle élite: perciò abbandona i partiti tradizionali e
sostiene movimenti o candidati populisti, di destra e di sinistra. A lanciare questa pietra nello stagno è
Martin Wolf, paradossalmente il più autorevole columnist del Financial Times, il quotidiano della City che tra
le élite di tutto il mondo ha buona parte dei suoi lettori. «La crescente distanza tra la gente e le classi
dirigenti è dannosa non solo da un punto di vista morale e politico, ma pure per stabilità, salute e
produttività dell'economia», spiega a Repubblica il giornalista. «In ultima analisi è come se le élite
facessero del male a se stesse. Il problema è farglielo comprendere prima che sia troppo tardi».
Il suo articolo ha suscitato reazioni? «Ho ricevuto parecchi commenti dai lettori. E sorprendentemente la
maggior parte erano positivi». In quali Paesi si avverte questa crescente disaffezione tra popolo ed élite?
«Senza dubbio negli Stati Uniti, ma anche in Europa, dalla Grecia all'Italia, dalla Spagna alla Francia, dalla
Gran Bretagna alla Scandinavia». Tre dei rimedi da lei suggeriti, ridurre gli eccessi della finanza, far pagare
le tasse alle multinazionali e tagliare il legame fra denaro e politica, fanno parte di un circolo vizioso non
facile da spezzare.
«Indubbiamente. Infatti non è detto che proposte simili vengano recepite. Ma viviamo in un'era in cui anche
le richieste più radicali hanno maggiori possibilità di affermarsi. Comunque la prima cosa da fare è
identificare il problema. Solo quando c'è diffusa consapevolezza si può riuscire a risolverlo». Un tempo le
élite cercavano di non apparire troppo distanti dal popolo per timore che ciò creasse i presupposti per un
sistema alternativo: una rivoluzione socialista. Adesso cosa può spaventarle abbastanza per costringerle a
cambiare? «Il crollo del comunismo come alternativa credibile ha trasformato la politica. La sinistra, anche
quella radicale, non propone più nulla che sovverta o spaventi davvero il sistema capitalistico.
Ma il rischio è che le élite economiche pensino di appoggiare i partiti populisti di destra per difendere i
propri interessi». E questo sarebbe un errore? «Eleggere personaggi come Cruz o Trump a presidente
degli Stati Uniti rischierebbe di scardinare l'ordine mondiale, così come una Marine Le Pen presidente in
Francia potrebbe finire per provocare il crollo dell'Unione europea: processi non certo positivi per i grandi
capitalisti».
La distanza tra le élite e la gente, in altre parole, non è solo un problema morale? «È anche un problema
politico. Ed economico, perché crea una società più diseguale e ingiusta. Diversi studi dimostrano che le
società altamente diseguali non funzionano bene, sono meno dinamiche, floride, benestanti.
Allontanandosi troppo dal popolo, insomma, le élite finiscono per danneggiare anche il business e dunque
se stesse».
Foto: COLUMNIST Sul Financial Times, di cui è editorialista di punta, Martin Wolf ha lanciato l'allarme sul
distacco tra élite e cittadini
07/02/2016Pag. 10
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 96
Il decreto banche ancora bloccato spunta lo stralcio Da definire il capitolo indennizzi Risparmiatori in piazza con la Cgil La legge di Stabilità fissa entro la fine dimarzo l'emanazione dei provvedimenti attuativi VALENTINA CONTE ROMA. Il maxi-decreto legge sulle banche, previsto in Consiglio dei ministri venerdì scorso e poi saltato,
balla ancora attorno al capitolo sugli indennizzi destinati ai risparmiatori dei quattro istituti di credito sciolti a
novembre. Lo stallo è palese, non solo per il succedersi di annunci e rinvii, ma anche per il rimpallo tra
organi tecnici e politici. Il livello tecnico del ministero dell'Economia assicura che è tutto pronto: riforma delle
Banche di credito cooperativo, norme fallimentari per accelerare il rientro dei prestiti, nuova garanzia di
Stato per la cessione dei crediti deteriorati cartolarizzati e, appunto, criteri per i rimborsi agli obbligazionisti
azzerati. Si attendono le scelte del livello politico, dunque il ministro Padoan (ieri ha assicurato «nuove
norme per rafforzare il sistema entro la settimana») e il premier Renzi, che però venerdì hanno preso
tempo, in scia a non ben chiariti nodi tecnici da sciogliere. Una tela di Penelope. Si fa e si disfa, dunque. E
finora senza costrutto. Al punto che mercoledì prossimo al Consiglio dei ministri potrebbe arrivare un
decreto legge senza i rimborsi. Così da consentire a Padoan di fregiarsi comunque di un testo sulle banche
alle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin, giovedì e venerdì. Lasciando però fuori la patata bollente dei
risarcimenti agli investitori di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti. La legge di Stabilità
ha d'altronde previsto una procedura arbitrale (e l'arbitro incaricato da Palazzo Chigi è l'Anac di Cantone).
E vincolato il governo all'emanazione di uno o più decreti entro 90 giorni, dunque entro la fine di marzo. Il
tempo c'è, non la chiarezza.
Si torna così all'idea iniziale di fare due decreti per i rimborsi, uno ministeriale per il funzionamento
dell'arbitrato e un dpcm con i criteri per gli indennizzi. Ma la soluzione, sebbene prevista dalla legge, è lenta
(ci vogliono una serie di pareri, tra Consiglio di Stato e commissioni parlamentari). E soprattutto esposta a
ricorsi al Tar che possono facilmente bloccarla. Ecco perché l'altra strada - quella del maxi-decreto legge -
sembrava fin qui preferita. Anche perché consente di riscrivere le norme, anche a prescindere dai paletti
previsti nella legge di Stabilità.
In particolare due: il tetto massimo (punto dolente) e la natura del risarcimento. La legge dice che l'arbitro
deve accertare «responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e
trasparenza». E sulla base di questo distribuire i 100 milioni stanziati dal Fondo interbancario. Se si
procede per questa strada, le somme erogate possono essere solo indennizzi a fronte di un raggiro. E a
quel punto diventa complicato (forse anche incostituzionale) distinguere i risparmiatori tra giovani e anziani,
tra Isee basso o alto, in quanto tutti truffati. Riscrivere invece le norme ex novo in un decreto legge può
riaprire la strada all'idea originaria di Padoan di «intervento umanitario» o «ristoro» nei casi di difficoltà
personale e patrimoniale. Laddove Isee ed età tornano in ballo.
La tensione attorno al decreto è comunque massima. Adusbef e Federconsumatori pensano a una grande
manifestazione nazionale sul risparmio tradito, da organizzare a Roma con i pensionati della Cgil per la fine
del mese o l'inizio di marzo. L'Unione nazionale dei consumatori chiede invece la garanzia per il
risparmiatore di poter uscire dall'arbitrato in tempo per costituirsi parte civile negli eventuali processi penali.
Il Codacons confida nelle promesse di Cantone: decreto entro metà febbraio e fine dell'arbitrato entro due
anni. L'idea di Nicastro, il presidente delle nuove banche di rivalersi su quasi mezzo miliardo di patrimonio
degli ex amministratori, lascia invece freddo Elio Lannutti (Adusbef): «Ammesso che vengano condannati,
ci vorranno 6-7 anni».
I PUNTI RIFORMA BCC La riforma delle Banche di credito cooperativo punta a raggruppare entro 18 mesi
gli istituti sotto una holding da 1 miliardo di capitale DIRITTO FALLIMENTARE Nel decreto sulle banche
07/02/2016Pag. 20
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 97
entreranno anche le procedure fallimentari, con norme ad hoc per accelerare il recupero dei crediti GACS E
RIMBORSI In arrivo le nuove regole sulla garanzia di Stato per i crediti in sofferenza. E i criteri di rimborso
dei risparmiatori delle 4 banche
Foto: PROTESTA Un corteo degli investitori penalizzati dal salvataggio delle quattro banche
Foto: FOTO: © LaPresse
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 98
L'intervista. Parla Roberto Nicastro, presidente degli istituti rifondati: Etruria, Marche, Cariferrara eCarichieti "Chiesti 480 milioni a 76 ex manager delle quattro banche Vadano allevittime" ANDREA GRECO MILANO. Mezzo miliardo di danni chiesti a 76 notabili locali protagonisti delle vecchie gestioni, su alcuni dei
quali gli inquirenti già valutano sequestri cautelativi di beni (mentre altri iniziano a proporre le prime
transazioni). Più fondi a territori e imprese, con 2 miliardi di prestiti a 14mila Pmi e 400 milioni di credito a
lungo termine in due mesi. E un valore intrinseco delle nuove Banca delle Marche, Etruria, Cariferrara,
Carichieti - legato ai territori e all'assenza di poltrone da difendere - da far emergere nella vendita in blocco,
che entra nel vivo.
Roberto Nicastro, presidente delle quattro "good bank" rifondate il 22 novembre, fa il punto in attesa del
decreto per indennizzare i risparmiatori che hanno perso 330 milioni in bond subordinati emessi dalle
"vecchie" quattro banche. Si dice che nel Centro Italia qualche ex banchiere locale tema di vedersi
congelare il patrimonio...
«Parliamo intanto di Banca Marche e Cariferrara, le due commissariate da più tempo su cui la ricognizione
è in fase avanzata.
Stiamo depositando in queste ore azioni risarcitorie su Medioleasing (Banca Marche) per 80 milioni, che
portano a 480 milioni la somma richiesta nel complesso. Soldi che chiediamo a 76 soggetti presunti
responsabili, tra organi di gestione e di controllo, manager, società di revisione.
Stiamo verificando con i magistrati l'opportunità di azioni cautelari a tutela e conservazione dei patrimoni di
alcuni di loro. Altri ci stanno inoltrando prime proposte di transazione. Comunque valuteremo di costituirci
parte civile nei procedimenti penali, anche per i danni reputazionali».
Non è che su Banca Etruria siete meno zelanti perché ci sono parentele nel governo? «Su Banca Etruria
non c'è meno zelo. Sia sull'Etruria che su Carichieti concetti e procedure sono sostanzialmente gli stessi,
solo che sono state commissariate più tardi, rispettivamente nel 2015 e nel 2014. Per l'Etruria i commissari
indipendenti sono stati nominati da poche settimane, e sono nella fase iniziale di stima e identificazione dei
presunti responsabili. A Chieti, invece, tale fase si è chiusa ed è stato appena girato il dossier a Bankitalia,
poi passerà ai magistrati».
Non le pare che i proventi dovrebbero andare anche a chi si è visto i bond azzerati per decreto? «Anche se
inizialmente non era previsto, auspico che i proventi delle azioni di responsabilità possano andare a
beneficio dei risparmiatori. È un tema di giustizia, perché nella storia recente di queste banche ci sono stati
degli artefici e dei danneggiati».
Sarà un tema del prossimo consiglio dei ministri? «Credo ci sarà più tempo per lavorare su questo. Il
decreto di settimana prossima immagino articolerà bene tutto il meccanismo degli indennizzi».
Cosa si aspetta? Pare che gli indennizzi saranno di massimo 100mila euro, in due rate e con una taglia
media tra il 30 e il 50% dell'investimento.
«Aspettiamo il testo. Noi prepariamo i dossier e le carte di ogni obbligazionista: finora, anche su verifiche
più puntuali, si conferma che sono un migliaio i più esposti. Ma sarà fondamentale l'esame caso per caso,
perché c'è molta eterogeneità tra quei bond: ci sono situazioni in cui furono acquistati con chiara
consapevolezza, altre in cui non c'è stata corretta applicazione della normativa sul risparmio, altre ancora in
cui furono venduti prima del 2007, quando la percezione dei rischi era molto inferiore. Ricordiamo che il
bail-in ha avuto un effetto retroattivo. Per questo malgrado il desiderio di tutti di vederlo presto, il decreto
richiede tempo».
06/02/2016Pag. 20
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 99
La prima fase dell'asta per vendere le quattro banche non ha suscitato grandi entusiasmi. Non sarebbe
meglio chiedere alla Ue di rinviarla a una fase di mercato più serena? «Siamo soddisfatti delle
manifestazioni arrivate. Sui tempi si può chiedere, anche se tocca alle istituzioni. Comunque ci sono
parecchi elementi di valore, e se ci sarà tempo adeguato per farli emergere sarà meglio per tutti.
In linea generale noi manteniamo l'obiettivo di chiudere le vendite entro l'estate. Tanto che in queste ore
stiamo spedendo ai gruppi che hanno risposto al bando gli inviti a visionare i dati riservati». Come vanno le
quattro gestioni? «Dopo un calo fisiologico a dicembre tutto si è normalizzato, con elementi di forza sul
territorio impressionanti: pensi che Banca Marche chiuderà il 2015 con più clienti che nel 2014. Nel
complesso le quattro banche pesano come il decimo gruppo italiano, circa come una delle popolari
valtellinesi o venete non quotate. E potranno avere un ruolo nel risiko delle acquisizioni perché presentano
indubbi vantaggi: nessuna incertezza di leadership (a partire dal sottoscritto, che chiusa la vendita se ne
andrà), attivi ripuliti dalle sofferenze e una presenza geografica compatta e originale».
ENTRO L'ESTATE
Vendita entro l'estate, protagoniste del risiko per attivi e assenza di poltroneIL DECRETO
La settimana prossima i criteri dei rimborsi: mille i casi critici, molto diversiI PUNTII DANNI Agli ex manager delle quattro banche salvate sono stati richiesti i danni per 480 milioni, somma
che potrebbe andare ai risparmiatori penalizzati LA VENDITA Sono arrivate le prime manifestazioni di
interesse per gli istituti risanati.
La vendita, dice Nicastro, dovrebbe essere chiusa entro l'estate
Foto: PROTESTE Un presidio degli investitori penalizzati, davanti alla sede di Banca Etruria
Foto: PRESIDENTE Roberto Nicastro, 51 anni, ex direttore generale di Unicredit, nominato a novembre
presidente delle quattro banche salvate
06/02/2016Pag. 20
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 100
L'ANALISI Usa, frena il lavoro dubbio Fed sui tassi Deludente aumento degli occupati: giù Wall Street, forte pressing sulla Yellen La banca centrale è sotto tiro:le viene contestata la decisione di dicembre Ora è previsto che salti la prevista stretta di marzo. Si temel'inizio della recessione DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK. L'economia americana ha creato 151.000 nuovi posti di lavoro a gennaio, meno che negli
ultimi mesi e meno delle previsioni (190 mila), ma abbastanza per far scendere il tasso di disoccupazione ai
minimi da 8 anni. Con una disoccupazione sotto la soglia simbolica del 5 per cento, al 4,9 per cento per la
precisione, si è tornati "alla casella di partenza" del febbraio 2008, prima che la crisi della finanza
precipitasse gli Stati Uniti e tutto l'Occidente nella recessione. Rispetto al punto di partenza di 8 anni fa in
realtà ci sono 5 milioni di posti in più perché nel frattempo la forza lavoro è aumentata con l'immigrazione e
la crescita demografica. Un altro dato importante di gennaio riguarda le retribuzioni: in media le buste paga
degli americani sono salite del 2,5 per cento su base annua, un miglioramento non eclatante ma che
conferma comunque una moderata ripresa della dinamica salariale dopo anni di stagnazione.
Che conseguenze avranno i dati di ieri sulle mosse della Federal Reserve? Questa è la domanda che
appassiona o inquieta i mercati. A metà marzo la banca centrale Usa dovrebbe decidere se proseguire il
rialzo dei tassi che iniziò nel dicembre scorso. La presidente della Fed, Janet Yellen, sul finire del 2015
diede una tabella di marcia: quattro piccoli ritocchi all'insù nei tassi d'interesse durante il 2016, al ritmo di
uno a trimestre. A colpi di un quarto di punto ogni volta, come a dicembre.
Quello scenario, di una lenta e graduale normalizzazione del costo del denaro dopo la terapia
d'emergenza del tasso zero, segnalava la fiducia della Fed che la crisi fosse davvero finita. Ma da metà
dicembre in poi nuove turbolenze hanno colpito i mercati: l'ulteriore crollo del petrolio, i nuovi segnali di
difficoltà della Cina, i rischi default nei junk-bond e in alcuni paesi emergenti come il Brasile. La stessa
crescita americana ha subito un vistoso rallentamento nell'ultima parte del 2015. Tutto questo ha spinto i
mercati a scommettere che la Fed sarà costretta a cambiare i suoi piani. Ora la previsione più diffusa è che
a marzo non ci sia un aumento dei tassi.
E' proprio questo nuovo consenso dei mercati ad avere provocato negli ultimi giorni un indebolimento del
dollaro. La moneta americana per gran parte del 2015 era stata sospinta al rialzo proprio dall'attesa di un
miglioramento dei rendimenti. Se la Fed si ferma e rinvia i rialzi del costo del denaro, il dollaro a sua volta
ne risente e perde quota.
Brutta notizia per l'Eurozona, dove gli esportatori si erano avvantaggiati del dollaro forte.
Ma da qui a metà marzo la Fed avrà tempo per digerire nuovi dati, aggiornando continuamente la sua
visione sulla forza dell'economia Usa. La banca centrale è sotto tiro, sta crescendo il coro di critiche verso
la sua decisione di dicembre: da alcune parti si sostiene che quel rialzo dei tassi pur modestissimo
(+0,25%) potrebbe avere contribuito a decretare "l'inizio della fine" del ciclo di crescita che dura da quasi
sette anni. Le Borse Usa sono in zona Orso, e questo potrebbe indicare che vedono una recessione
all'orizzonte. Può essere una di quelle profezie che si auto-avverano: un forte calo dei mercati azionari,
attraverso il meccanismo chiamato effetto-ricchezza (in questo caso al negativo), può deprimere i consumi
perché le famiglie che vedono assottigliarsi il valore dei propri risparmi diventano pessimiste. Qualcosa di
simile forse sta succedendo. Di certo è singolare che il crollo del petrolio - che qui negli Stati Uniti si traduce
in un ribasso molto consistente della benzina - non si sia trasferito automaticamente in un forte rilancio dei
consumi. Di solito un calo del prezzo della benzina viene equiparato ad una riduzione delle tasse, in quanto
aumenta il reddito disponibile delle famiglie.
Stavolta invece i consumatori americani preferiscono usare gran parte del maggiore reddito disponibile per
ridurre il proprio indebitamento e rimpolpare i risparmi. Saggio comportamento sotto tanti punti di vista, ma
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 101
spesso è così che ha inizio una recessione. Di certo le probabilità di una recessione prossima ventura
saranno fra i temi che la Fed discuterà di qui a metà marzo.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 102
Le aziende L'intervista. Parla Alistair Dormer responsabile per l'Europa del gruppo. Padoan: "Si concludal'investimento in tempi rapidi" "Corretta l'Opa di Hitachi Consob si sbaglia su Ansaldo" LUCA PAGNI MILANO. Si dice «molto sorpreso» per la decisione Consob visto che la commissione è stata informata
passo passo. Attacca i fondi di investimento che pensano «a massimizzare i profitti e non al futuro
dell'azienda». E ipotizza che la Procura «si stia interessando ad alcuni investitori che di recente sono
entrati nel capitale».
Il vicepresidente di Hitachi Alistair Dormer, numero uno per tutte le attività ferroviarie del gruppo, interviene
dopo la decisione della Consob che ha alzato il prezzo dell'Opa lanciata proprio da Hiatchi su Ansaldo Sts
e dopo l'apertura di una inchiesta della procura di Milano. Una vicenda che preoccupa anche il Governo,
visto che a vendere è stata Finmeccanica: il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ieri ha auspicato che
l'operazione «possa concludersi positivamente e nei termini più rapidi possibili». Mister Dormer, come
giudica la decisione della Consob di alzare il prezzo dell'Opa? «Siamo molto sorpresi. Abbiamo agito in
piena trasparenza, chiedendo con Finmeccanica proprio alla Commissione la corretta procedura da attuare,
seguendola rigorosamente e informandola in ogni passaggio del processo di vendita». La Consob vi
accusa di "collusione" e sostiene che ha condizionato il prezzo dell'Opa.
«Si sbagliano di grosso. Il processo di vendita organizzato da Finmeccanica si è mosso su due binari
completamente separati.
I gruppi di lavoro hanno operato separatamente sulle due operazioni e abbiamo raggiunto due accordi e
due prezzi distinti per l'acquisto del ramo d'azienda di AnsaldoBreda e della partecipazione in Ansaldo STS.
E' impensabile che la modalità della procedura di vendita possa aver portato ad un trasferimento nel valore
attribuito alle due società, così da influenzare il prezzo d'Opa. Il valore offerto corrisponde ad un premio del
22% rispetto alla media dei prezzi nell'anno precedente all'annuncio di vendita, in linea con i target price più
alti degli analisti che seguono Ansaldo». Secondo lei quella della Consob è una decisione politica? «Mi
auguro di no. In base alla mia esperienza internazionale, le autorità di questo tipo prendono decisioni che
sono al di sopra di tutte parti coinvolte. Detto ciò, mi sorprende molto l'incontrollata fuga di notizie, anche di
natura confidenziale e sensibili per il mercato. Questo ha contribuito a creare un clima incandescente,
coinvolgendo anche attori non direttamente interessati nella transazione e ci ha obbligato, solo alla fine, a
dire la nostra».
Come valuta l'interesse del fondo Elliott e i ricorsi dei fondi Amber e Bluebell? «Mentre Amber è un socio di
lungo periodo di Ansaldo, Elliott è entrato nel capitale solo recentemente. Non sarei sorpreso di apprendere
che Bluebell abbia agito per Elliott sin dal primo momento ed entrambi con l'interesse di generare massimi
profitti nel breve termine da investimenti finanziari, piuttosto che avere a cuore il futuro dell'azienda, dei
lavoratori e degli stakeholders».
Avreste comprato AnsaldoBreda senza comprare Sts? «Il nostro primo passo ufficiale dopo aver
acquistato il ramo d'azienda da AnsaldoBreda è stato quello di iniziare una commessa per i treni regionali
inglesi negli stabilimenti di Pistoia. E Napoli. AnsaldoBreda fin da subito è diventata una parte
fondamentale nella strategia di crescita di Hitachi nella produzione di treni».
La Procura ha aperto una inchiesta per aggiotaggio. Ha rilevanza di operazioni irregolari che avrebbero
potuto alterare il prezzo delle azioni? «Non ho informazioni rispetto all'inchiesta. Noi siamo sempre stati
trasparenti e abbiamo agito in conformità alla legge. Noon abbiamo comprato o venduto nessuna azione
prima del processo di vendita, ne' durante. Visto invece il movimento nei prezzi e nei volumi di scambio del
titolo, è possibile che la Procura si stia interessando ad alcuni investitori che solo recentemente sono entrati
nel capitale sociale».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 103
L'INCHIESTA
Non so nulla della procura noi siamo stati molto trasparenti su tutto www.hitachi.com
www.saipem.com PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: Alistair Dormer
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 104
Camere con vista L'eterno ritorno del conflitto d'interessi Si vota la legge CARLO BERTINI Dopo anni di attesa, si riapre un fronte oggetto di enormi tensioni ai tempi del berlusconismo, quello del
conflitto di interessi: questa settimana si comincia a votare la nuova legge in commissione Affari
Costituzionali, affrontando così di petto un tema di prima grandezza come la separazione tra poteri pubblici
e poteri privati; il termine degli emendamenti è fissato per oggi e domani si passa ai voti sul testo base
adottato dai relatori, il Pd Francesco Sanna e l'azzurro Francesco Paolo Sisto. Testo in sedici articoli, diviso
per grandi capitoli, che si applica per le cariche di governo, dal premier ai ministri, per governatori,
consiglieri regionali e per i parlamentari; che individua nell'Antitrust l'autorità deputata ad attuare le
disposizioni della legge e ad applicare sanzioni amministrative; e che punta a superare le «criticità» della
Frattini del 2004 disciplinando varie fattispecie di possibili conflitti di interesse: ad esempio stabilisce per
titolari di cariche pubbliche l'obbligo di astenersi dalla partecipazione a qualunque decisione che possa
specificamente incidere sulla situazione patrimoniale propria e dei propri congiunti. Fissa poi il dovere di
informazione sui beni patrimoniali nei confronti dell'Antitrust, il dovere di astensione in presenza di
determinate situazioni, il dovere di opzione quando si versa in situazioni di incompatibilità, il dovere di
separazione del proprio patrimonio qualora si versi in altre posizioni di particolare rilevanza. La proposta si
applica non soltanto alle cariche di G overno nazionali, ma anche alle regioni che adottano principi coerenti
con la normativa nazionale. Modifica anche il metodo di elezione dei membri Antitrust, due in capo alla
Camera e uno al nuovo Senato delle autonomie, proposta questa che potrebbe generare molte polemiche,
come già fanno capire alcuni dei soggetti in campo. Malgrado già in questi giorni si entrerà nel vivo, pare
non vi siano stati ancora incontri di maggioranza per definire una linea comune sui vari nodi aperti, come la
nomina dell'antitrust o il regime di incompatibilità per le cariche pubbliche. E dunque al momento c'è grande
incertezza su quello che succederà su un tema sensibile che agita i partiti. c
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 105
ALCUNI PAESI ESPORTATORI CERCANO L'INTESA PER TAGLIARE I PREZZI. IN AMERICA IN UNASETTIMANA CHIUSE 48 TORRI DI SHALE OIL Il petrolio iraniano arriva in Europa Negli Usa produttori low cost in crisi Teheran: "Esporteremo 300 mila barili al giorno, presto un incontro con Eni" LUIGI GRASSIA L'Iran ha fretta di tornare da protagonista sul mercato internazionale del petrolio e annuncia che presto
invierà in Europa 300 mila barili al giorno, pari al 54% di quanto esportava prima delle sanzioni. Per metà di
questo greggio in arrivo i tempi sarebbero (si dice) strettissimi: l'agenzia Bloomberg cita il ministro iraniano
del Petrolio Bijan Namdar Zanganeh secondo cui la francese Total vorrebbe comprare 160.000 barili al
giorno già dal 16 febbraio. Invece non è stato ancora firmato un accordo con il gruppo italiano Eni, dice
Zanganeh, aggiungendo però che «funzionari italiani sono attesi presto a Teheran per firmare l'acquisto di
100 mila barili al giorno». Anche l'italiana Saras - prosegue la Bloomberg è interessata a ricevere 60-70
mila barili al giorno. In realtà è possibile che gli iraniani gettino il cuore oltre l'ostacolo. Dalla Saras
rispondono con il classico «no comment». E dall'Eni non trova conferme l'intenzione di acquisire nuovo
greggio. E qui va sottolineato l'aggettivo «nuovo». Infatti sono in corso trattative fra Eni e Teheran per il
recupero di vecchi crediti italiani rimasti bloccati dal tempo delle sanzioni. Si tratta di 800 milioni di dollari,
riguardo ai quali si sta negoziando una restituzione in forma di barili di petrolio anziché in denaro. Questo
sarebbe propedeutico a riallacciare i rapporti d'affari. Però non si tratterebbe, al momento, di un contratto
d'importazione di «nuovo» petrolio. Prima che l'Iran torni con forza sul mercato internazionale dovranno
realizzarsi varie condizioni. La filiera produttiva di Teheran si è molto logorata nei decenni delle sanzioni,
che hanno riguardato anche le tecnologie estrattive. Gli analisti valutano in 100-150 miliardi la necessità di
capitale da parte iraniana per riammodernare le strutture. Però Teheran non ha questi soldi e a livello
globale gli investimenti vengono tagliati, non aumentati; è difficile che un grosso rivolo di denaro si incanali
verso l'Iran a questo scopo. Se gli investimenti nel petrolio vengono tagliati è perché il barile vale poco e
non remunera le spese. La stessa Arabia Saudita, il gigante del greggio, è costretta a indebitarsi sui
mercati finanziari internazionali per tappare il buchi del bilancio pubblico, e progetta pure di privatizzare la
compagnia di Stato Aramco per fare cassa. L'afflusso di nuovo petrolio iraniano abbasserebbe ancora il
prezzo internazionale del barile. Tuttavia il 2016 potrebbe volgere in senso contrario. L'Opec e i produttori
esterni all'organizzazione, come la Russia, stanno sondando la possibilità di tagliare ognuno la produzione
del 5% per eliminare l'attuale surplus di 2 milioni di barili al giorno. L'esperienza consiglia di non credere
troppo a questi accordi, facilmente elusi, ma il mini-rimbalzo del petrolio nei giorni scorsi è stato dovuto
proprio a questa prospettiva. La stessa Opec valuta che quest'anno il surplus possa azzerarsi perché la
domanda di petrolio crescerà di 1,3 milioni di barili al giorno mentre la produzione non-Opec calerà di 600
mila barili. A spese di chi? La società di servizi Baker Hughes, che monitora i produttori di greggio
alternativo, segnala che da quando è cominciato il crollo delle quotazioni del greggio il numero di torri di
«shale oil» negli Stati Uniti è caduto da più di 1600 a 547. Tutti i produttori alternativi americani, nessuno
escluso, sono tecnicamente in bancarotta da parecchi mesi. Solo nella scorsa settimana sono state chiuse
48 torri. A questo ritmo, entro la primavera non ce ne saranno più. c
547 impianti Questo il numero delle torri superstiti di «shale oil» negli Usa Al loro zenit erano 1600
48 in meno Il taglio di torri di shale oil negli Usa solo la scorsa settimana In pochi mesi spariranno
Foto: Firmato l'accordo sul nucleare l'Iran vuol tornare in forze sui mercati internazionali del petrolio
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 106
INTERVISTA Cimbri (Unipol): che sfide, ma manterremo le promesse Silvia Berzoni Class Cnbc «Il movimento speculativo che si è scatenato sui mercati è figlio di un'incertezza prolungata sui profili
regolamentari. Il continuo innalzamento dei ratio patrimoniali, la minaccia di revisioni sul portafoglio crediti:
sono fattori che creano nervosismo sui mercati. Nel lungo termine, invece, è evidente che si sia chiuso un
ciclo di business: le banche attraverseranno una profonda fase di trasformazione e alcune modalità di
proporre credito non saranno più attuali. Da questa operazione qualcuno uscirà più forte e qualcun'altro
meno». L'ad di UnipolSai, Carlo Cimbri, legge così in questa intervista a The Floor di Class Cnbc dal
parterre di Wall Street l'attuale fase di mercato e le sfide che attendono il mondo finanziario. E ne approfitta
per confermare le promesse al mercato anche in termini di cedola. Domanda. In ogni ristrutturazione ci
sono opportunità. Le state valutando? Risposta. Abbiamo lavorato per consolidare patrimonialmente la
nostra piccola banca e, come ho detto più volte, il suo destino è trovare un'aggregazione fuori dal gruppo.
Dunque, non investiremo ulteriormente nel sistema bancario: siamo un gruppo assicurativo e rimarremo
tale. D. Nel frattempo l'economia in Europa fatica e Draghi si prepara a intervenire, di nuovo. Quanto
incidono negativamente i bassi tassi d'interesse su un business come quello assicurativo? Quali sfide vede
davanti a sé? R. I tassi bassi non piacciono a investitori strutturali come tradizionalmente sono le
compagnie assicurative. D'altra parte, non piace nemmeno un sistema economico in costante ristagno:
abbiamo bisogno di ripresa strutturale. Con la politica monetaria si può resistere, stimolare l'economia ma
la sfida italiana è tornare a produrre ricchezza in modo consistente. Il governo si sta impegnando come mai
era stato fatto negli anni precedenti, non tanto per una banale e stucchevole politica regolatoria con
Bruxelles, ma per dare al Paese da una parte il ruolo che giustamente gli compete - in rapporto alla forza
economica che esprime - dall'altra per favorire la voglia degli imprenditori di scommettere sull'Italia. Noi
l'abbiamo fatto a suo tempo comprando FondiariaSai ma abbiamo bisogno che questo Paese cresca per
poter crescere. D. Anche gli investitori internazionali che incontra credono nell'Italia? R. C'è fame di
investimenti in Italia perché c'è abbondanza di liquidità in cerca di opportunità di yield più interessanti e di
crescita. L'Italia in questa fase è un mercato attraente, l'attenzione si concentra in particolare sul mercato
immobiliare. C'è anche grande attesa per capire che strada prenderà il mercato degli npl: molti operatori
internazionali specializzati sono interessati. È un quadro molto più positivo di quanto non fosse qualche
anno fa. D. L'11 febbraio pubblicherete i conti. L'Ivass chiede prudenza nella politiche dei dividendi. Cosa
deve aspettarsi il mercato? R. Ci aspettiamo buoni risultati, come già era evidente dai conti del terzo
trimestre. Questo è l'ultimo anno del piano industriale successivo all'acquisizione di Fondiaria Sai.
Pensiamo di confermare quanto abbiamo promesso ai mercati. Ci piace rispettare gli impegni presi. D. Vita,
Danni e Rc Auto. Che 2016 sarà? R. Per quanto riguarda il settore Danni e Auto assisteremo al
proseguimento di una tendenza in calo dei prezzi, figlia di un'accentuata competitività. Questo si traduce in
una maggiore compressione dei margini, nella necessità per le compagnie di accettare la sfida di diventare
più efficienti e investire nell'innovazione tecnologica e nei servizi. Una volta erano collaterali del business,
oggi diventano fondamentali in presenza di margini che si riducono. D. Al pari del comparto bancario, le
nuove regole di Solvency II porteranno un maggior consolidamento del settore assicurativo in Europa? R.
Certamente. Per quanto riguarda le assicurazioni una volta che sarà entrata pienamente in vigore la nuova
disciplina Solvency II, assisteremo a un'ondata di consolidamento cui guarderemo con grande interesse.
Per le banche, invece, è un processo in itinere, il 2016 sarà l'anno della verità: c'è una scadenza a fine
anno per la trasformazione delle popolari, qualcosa si muove e si valuteranno le opportunità d'investimento.
D. Wall Streetè anche il tempio della tecnologia: auto che si guidano da sole, intelligenza artificiale... Che
ruolo giocherà l'innovazione nel comparto assicurativo? R. L'innovazione tecnologica è ormai parte
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 107
integrante del nostro lavoro. Il futuro del settore assicurativo starà nella capacità di integrare protezione e
servizi. Da un lato, visto che con oltre 2 milioni e 300 mila scatole nere siamo di gran lunga leader di
mercato in Europa, continueremo a investire su questo business. Dall'altro, valutiamo l'innovazione
tecnologica relativa ai servizi alla persona e alle aziende: la nuova frontiera è abbinarli ai temi della
protezione. Con operatori come Google e altri, che hanno fatto della ricerca la parte sostanziale del loro
modello di business, abbiamo discussioni in corso, come penso molte altre aziende italiane. (riproduzione
riservata)
UNIPOL SAI ORD 5 nov '15 5 feb '16 1,5 1,9 2,1 2,3 1,7 2,5 quotazioni in euro Var. % sul 5 nov 2015 1,728
€ -23,47%
Foto: Carlo Cimbri
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 108
INTERVISTA INTESA/2 E non ci fermiamo qui Jole Saggese Tutta colpa degli storni in borsa ma anche e soprattutto di una comunicazione sbagliata sulle sofferenze.
Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, in occasione della presentazione dei risultati di
bilancio 2015, spiega così il cortocircuito tra le banche e gli operatori di mercato. «Eravamo abituati male;
crescevamo sempre e anche molto più di tutte le altre banche europee. In un momento in cui i mercati
fanno i paragoni fra i diversi Paesi, l'Italia diventa un facile bersaglio». Nessuna preoccupazione però sul
2016 per l'Italia e sui progressi di Intesa Sanpaolo Domanda. Considerando il contesto internazionale e la
speculazione in atto sulle azioni delle banche italiane, come pensa che Intesa Sanpaolo quest'anno possa
crescere ai ritmi del 2015? Risposta. Credo nell'Italia, che è un Paese in forte crescita. Se si analizzano gli
ultimi dati diffusi della Commissione Europea, il pil italiano nel 2016 crescerà dell'1,4% contro lo 0,8% del
consuntivo 2015. Si tratta del miglioramento più importante in Europa, meglio che in Francia e in Germania.
Mi aspetto dunque che il 2016 sia un anno di crescita per il Paese e di progressi per il nostro gruppo. D. Da
inizio anno il titolo Intesa Sanpaolo ha perso oltre il 19%, che rappresenta comunque una delle
performance borsistiche migliori tra le banche italiane. Che cosa c'è dietro le vendite e che cosa serve per
riportare la fiducia tra gli investitori? R. Diciamo che ci eravamo abituati male. Gli istituti italiani in borsa
crescevano sempre e anche molto più di tutte le altre banche europee. In un momento in cui i mercati fanno
i paragoni fra i diversi Stati, poiché l'Italia era cresciuta molto, si storna di più proprio il nostro Paese. Poi c'è
un problema di confusione sulle sofferenze, ma sono assolutamente convinto che gli investitori torneranno
ai fondamentali e questo farà superare la crisi in borsa. D. Che cosa non è chiaro in merito alle sofferenze?
R. C'è stata molta confusione, in quanto si è commesso un errore grave parlando di sofferenze lorde, che
non hanno alcun valore. È come se una persona avesse contratto un mutuo alcuni anni fa e avesse pagato
le rate per dieci anni, ma continuasse a parlare dell'importo originario del finanziamento come del debito
residuo nei confronti della banca. Questo è assolutamente non vero. Intesa Sanpaolo ha 40 miliardi di
sofferenze lorde ma ha fatto accantonamenti per 25 miliardi, dunque ha un rischio residuo di 15 miliardi, a
fronte dei quali ha 30 miliardi di collaterali, cioè di garanzie a copertura delle sofferenze stesse. Se
confrontiamo il sistema italiano con quello degli altri Paesi d'Europa, emerge non siamo messi peggio degli
altri Stati. Invece in Europa è passato il messaggio che il nostro sistema è il peggiore ha il maggiore
quantitativo di sofferenze lorde. D. Basterà la riforma bancaria e l'applicazione della cosiddetta bad bank,
sebbene in versione light, per cambiare il clima? R. Credo che il governo sia già fortemente impegnato
nell'accelerare i tempi di recupero delle sofferenze bancarie, che sono il punto di snodo. L'unico punto
debole reale dell'Italia rispetto agli altri Paesi è rappresentato proprio dai tempi di recupero delle sofferenze.
Se venissero ridotti da 5-7 anni a 2-3 anni, il valore delle sofferenze cambierebbe radicalmente e tutto
sarebbe risolto. Quindi è necessario costruire una schema che consenta di recuperare più rapidamente i
crediti, favorendo percorsi agevolati nell'ambito delle contestazioni. D. Quanto i mercati si tranquillizzeranno
e prenderà avvio il risiko bancario, potrebbe essere tentato a fare qualche acquisizione in Italia o all'estero?
R. Assolutamente no; Intesa non ha in programma alcuna acquisizione né in Italia né all'estero. D. È
cambiata la vostra politica d'investimento in m e r i t o a i t i t o li di Stato in vista d e l l ' e v e n t u a l e
stretta della Ue su questo fronte? R. Credo che il problema dei titoli di Stato sia un non problema, una cosa
che viene ripetuta più volte ma che non verrà affrontata nel breve termine, perlomeno non nell'arco dei
prossimi due anni. Abbiamo avuto una contrazione del portafoglio titoli perché abbiamo ridotto la
concentrazione nei titoli di Stato italiano. Da questo a dire che sui titoli di Stato italiani ci sarà un'azione
negativa ce ne passa. Oggi i titoli di Stato italiano sono, nel contesto europeo, quelli che garantiscono il
miglior profilo rischio-rendimento. Si vede dal successo dei Btp trentennali che sono stati collocati e che
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 109
hanno registrato una richiesta eccezionale rispetto all'importo offerto sul mercato dal Tesoro. D. Alla luce di
quanto sta accadendo a molte banche, in primis a Mps, state registrando migrazioni di conti correnti e di
conti deposito a favore di Intesa Sanpaolo? R. No, la crescita della raccolta non ha avuto un'accelerazione
ma è in linea con quella di una banca che è considerata leader in Italia. Non vedo, insomma, alcuna
migrazione da altre banche verso Intesa Sanpaolo. D. Il cambio di governance, con il ritorno al sistema
monistico, avrà conseguenze sul modello di gestione del gruppo? R. Non prevedo impatti sul modello di
gestione. Ci sarà un impatto sui meccanismi delle relazioni tra la supervisione strategica, il controllo e la
gestione, che troveranno in un unico consiglio un punto di sintesi. Ritengo che sia un'evoluzione positiva
che porta la banca tra le migliori in Europa anche in relazione a questo parametro, considerato dalla Bce
come uno degli elementi su cui valutare la banca. D. Ritiene che in qualche modo le tensioni tra Italia e
Germania contribuiscano a creare un brutto clima per il nostro Paese? R. Credo che sia giusto ribadire con
forza il lavoro che è stato fatto dall'Italia. Per anni ci hanno chiesto per anni di fare le riforme; ora sono state
varate e quindi, secondo me, è giusto che ci sia attenzione alla crescita e non soltanto alla riduzione del
debito pubblico. Sebbene quest'ultimo sia un fronte su cui è necessario lavorare e tutti ne siamo
consapevoli. Ricondurrei però alla normalità questo tipo di relazioni tra governi; mi sembrano insomma
dinamiche fisiologiche tra due personaggi importanti come Renzi e Merkel. (riproduzione riservata)
Foto: Carlo Messina
06/02/2016Pag. 15 N.25 - 6 febbraio 2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 110
TENDENZE Regine del fintech Stefania Peveraro Mentre impazza la bufera sui titoli delle banche italiane ed europee e l'attenzione di tutti è concentrata sulla
solidità finanziaria e patrimoniale degli istituti, un occhio andrebbe sempre tenuto alla redditività. Che
sempre di più è destinata a passare per la tecnologia. Gli anglosassoni, manco a dirlo, hanno già coniato
da tempo il termine fintech per identificare tutte le applicazioni tecnologiche che hanno a che fare con la
finanza e i pagamenti e negli Usa sono ormai parecchie le banche d'affari e commerciali che hanno deciso
di scommettere sul cosiddetto peer-to-peer (P2P) lending cioè sulle piattaforme di prestiti tra privati. A
prestare denaro tramite le piattaforme in Usa, Regno Unito, Australia e Cina sono ultimamente sempre di
più gli istituzionali, che riescono ad assicurarsi lauti rendimenti. Così non sorprende, per esempio, che nel
2015 le piattaforme di P2P lending nel Regno Unito abbiano intermediato 2,2 miliardi di sterline di prestiti,
portando lo stock in essere a 4,4 miliardi, il doppio che a fine 2014. Giuliano Cicioni, partner di Kpmg
advisory, che ha appena curato un report che identifica le 100 migliori fintech del mondo, ha spiegato a MF-
Milano Finanza che la fetta più nutrita di startup fintech è comunque quella che lavora nel settore degli
incassi e pagamenti, dell'analisi dati per il credit scoring, del software per il risk management e per l'asset
management. È lì infatti che l'innovazione tecnologica trova le migliori coniugazioni con il mondo
finanziario». Quanto alle banche italiane, ha detto, «comprendono che il futuro è lì, ma come sappiamo le
priorità più imminenti sono altre». Società che sviluppano altri tipi di tecnologia, per esempio quella relativa
ai pagamenti via telefono cellulare, sono spesso invece target dei business angel e dei fondi di venture
capital. I fondi di private equity si concentrano invece sulle grandi piattaforme che gestiscono i pagamenti
bancari come Icbpi in Italia (il cui controllo è stato ceduto l'anno scorso dalle banche alla cordata Advent-
Bain Capital-Clessidra) o sui fornitori di software e strutture utilizzate da banche e piattaforme di
pagamento come Sia (il cui controllo è stato ceduto dalle banche italiane al Fondo Strategico, a F2i e
Orizzonte sgr e si sta preparando allo sbarco in borsa), che l'anno scorso ha lanciato Jiffy, un sistema di
pagamento tra privati accessibile tramite mobile ai clienti delle banche aderenti al servizio (che sono ormai
tutte le principali banche italiane). In ogni caso l'Italia è ancora agli albori, sebbene gli esperimenti
interessanti siano già parecchi. Il punto è, come sempre, la dimensione delle imprese. Come evidenziato
dalla tabella in pagina, le iniziative italiane nel fintech hanno ancora tutte dimensioni molto piccole con
pochissime eccezioni. In questo panorama si distingue in primo luogo Moneyfarm. La società di consulenza
finanziaria online, specializzata nella costruzione di portafogli in Etf e fondata nel febbraio 2011 dal
presidente Paolo Galvani e dal ceo Giovanni Daprà, ha incassato ben 16 milioni di euro dal fondo inglese
Cabot Square Capital e dall'italiano United Ventures, già azionista di MoneyFarm e che a valle dell'uscita
dal capitale da parte di Principia sgr lo scorso aprile, aveva incrementato la sua quota nella società. Va poi
segnalato SatisPay, startup italiana nata nel 2013 che ha sviluppato un'app per i pagamenti con
smartphone. Dopo aver raccolto 5,5 milioni di euro con un primo round di investimenti a settembre 2014, ha
ricevuto altri 3 milioni in aumento di capitale lo scorso settembre, suddivisi a metà tra i vecchi azionisti e un
gruppo di nuovi investitori. Tra gli investitori nella startup fondata da Alberto Dalmasso, Dario Brignone e
Samuele Pinta, si contano i fondatori di Google Wallet, Jonathan Weiner e Ray Iglesias, e Jon Koplin
(responsabile divisione internazionale di Google Wallet); Nicola Carbonari (fondatore di Autoscout24),
Giuseppe Donagemma (vice presidente Networks di Samsung Electronics) e Iccrea Banca. Segue nella
classifica per capitale raccolto Insta Partners, la creatura fintech di Ignazio Rocco di Torrepadula (ex leader
della practice istituzioni finanziarie di Bcg in Europa Centrale e oggi senior advisor di Tikehau Capital), che
sarà operativa dopo avere ottenuto le autorizzazioni di legge, nella seconda metà di quest'anno. Secondo
quanto risulta a MF-Milano Finanza, la società ha appena concluso un nuovo aumento di capitale da 4
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 111
milioni, sottoscritto dagli stessi investitori che avevano sottoscritto la prima la tranche, sempre da 4 milioni.
Il progetto è quello di erogare finanziamenti alle pmi a fronte dell'acquisto di fatture commerciali,
cartolarizzarli e vendere i titoli risultanti dall'operazione a investitori istituzionali, trattenendo sui libri una
quota percentuale come richiesto dalla normativa. Tra gli investitori si segnalano Alessandro e Mauro
Benetton, Paolo Merloni, Lorenzo Pelliccioli, la famiglia Venesio (proprietaria di Banca del Piemonte), Hans
Paul Burkner (chairman di Boston Consulting), Giovanni Landi (partner di Anthilia Sgr) e i partner di
Tikehau Capital tra cui Jean Pierre Mustier, ex capo dell'investment banking di Unicredit. A fondare
l'iniziativa insieme a Rocco sono stati Sabino Costanza (lending officer, ex Bcg e Oliver Wyman), Jacopo
Anselmi (data scientist, proviene da Google Irlanda), Roberto Arnetoli (chief technology officer, ex Western
Union San Francisco), Gershom Charig (product designer, era in MoneyFarm) e Francesca Todeschini
(finance officer, con un passato in GE e McKinsey. E il team si è arricchito nei giorni scorsi di altri due
acquisti: Pamela Gotti (ex Google) in qualità di ingegnere informatico; e Vincenzo Carlà che invece si
occupa di amministrazione e controllo. Un'altra startup attiva nel segmento dei pagamenti via mobile che ha
attratto ben 6 milioni di dollari di investimenti dai fondi Vertis e Principia è Jusp. Nata dall'acceleratore del
Politecnico di Milano, Jusp propone agli esercenti un device compatto, provvisto di display e tastiera
numerica, che, inserito nella presa audio dello smartphone, permette di avere a disposizione un vero e
proprio Pos, offrendo la possibilità di accettare carte di credito e bancomat in mobilità e in totale sicurezza.
Da segnalare ancora tre piattaforme di P2P lending che pure, per gli standard italiani, hanno attratto
parecchi capitali. In particolare Smartika, fondata nel 2012 e presieduta dal banchiere Maurizio Sella, ha
concluso il mese scorso un aumento di capitale da 3,72 milioni di euro (che porta così il capitale a 4,52
milioni), che è stato sottoscritto dalla londinese Hamilton Ventures, da TP&Partners (holding di investimento
fondata da EQValue e da Tommaso Pompei), dall'investitore Luigi Cosenza e altri investitori privati. Il
banchiere Sella è particolarmente sensibile all'argomento fintech. La holding è infatti azionista anche di
un'altra piattaforma di P2P lending, che è Prestiamoci, oltre che tra i fondatori della versione italiana della
piattaforma di equity crowdfunding estera Symbid. Prestiamoci si è a sua volta aggiudicata un round di
investimento da 2 milioni di euro e ora conta tra i suoi investitori, oltre appunto a Banca Sella Holding,
Innogest sgr e Club Italia Investimenti 2, oltre a Digital Magics. Mentre una terza piattaforma di social
lending, Borsa del Credito, ha portato a bordo il venture P101. Il portale Borsa del Credito è di proprietà di
Business Innovation Lab srl, che a sua volta fa capo ai fondatori, cioè al presidente Daniele Blancato, al
vicepresidente Alessandro Andreozzi, al ceo Ivan Pellegrini, al coo Antonio Lafiosca e ad altri soci privati.
Un discorso a parte va fatto infine sulle piattaforme di intermediazione di capitali, come Epic sim e Siamo
Soci. Quest'ultima è una società milanese che è stata la prima piattaforma in Italia di social investing,
fondata più di due anni fa da Dario Giudici come luogo di incontro online tra startup e potenziali investitori.
A fine 2013 Azimut holding spa ha sottoscritto un aumento di capitale da 1,2 milioni di euro rilevando il
22,44% della società. Quanto a Epic sim, la piattaforma digitale per il finanziamento delle pmi (tramite
minibond o altri strumenti finanziari) fondata e guidata dall'amministratore delegato Andrea Crovetto, ha in
corso un aumento di capitale per arrivare a 2 milioni di euro. Al momento la società ha raccolto 1,5 milioni e
in arrivo tra i soci c'è anche il venture incubator quotato Digital Magics. Non hanno attratto l'attenzione degli
investitori finanziari e die business angel in generale, invece, le piattaforme di equity crowdfunding, la cui
attività in Italia fatica ancora a decollare. Della quindicina di piattaforme autorizzate da Consob, infatti,
soltanto una manciata ha già concluso con successo almeno una campagna di raccolta (si vedano le
tabelle a pag. 27). Ma probabilmente la nuova versione del regolamento Consob in arrivo a brevissimo
potrebbe finalmente sbloccare il settore. Nel panorama delle piattaforme va segnalata Equinvest. Fondata
dal ceo Fabio Bancalà con altri quattro amici, ha visto l'ingresso nel capitale del socio istituzionale Equi
Capital Markets, una newco costituita dalla specialized asset management company lussemburghese Equi
Sam, che si proporrà a sua volta, tramite un suo fondo (che sarà raccolto presso terzi investitori), come
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 112
coinvestitore nelle iniziative di crowdfunding proposte dalla piattaforma. (riproduzione riservata)
LE PRINCIPALI INIZIATIVE FINTECH ITALIANE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Moneyfarm sim
Satispay Instapartners Jusp Smartika Prestiamoci (Agata spa) Epic sim SiamoSoci Borsa del Credito
Equinvest Crowdway (ex WolfofTrading Tinaba (This is not a bank) WorkInvoice Symbid Italia
FattureInCloud AscomFidiPiemonte AssitecaCrowd CrowdFundMe Ecomill srl Fundera srl InvestiRe
MuumLab srl Next equity Crowdf. Marche OpStart Roma Venture Consulting (Crowd4Capital) StarsUp
Startzai.com The ING Project srl (TIP Ventures) UnicaSeed WeAreStarting srl consulenza finanziaria online
pagamenti mobile acquisto di fatture online pagamenti mobile P2P lending P2P lending intermed. private
capital intermed. private equity P2P lending equity crowdfunding consulenza per trading online pagamenti
mobile intermediazione fatture online equity crowdfunding fatturazione elettronica pmi equity crowdfunding
equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding
equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding
equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding equity crowdfunding Consob e Banca d'Italia
In attesa autorizzazione Banca d'Italia Banca d'Italia Banca d'Italia Consob e Banca d'Italia Banca d'Italia
Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord.
Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg.
ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob
Reg. ord. Consob Reg. ord. Consob Cabot Square Capital e United Ventures Jonathan Weiner, Ray
Iglesias, Jon Koplin, Nicola Carbonari, Alessandro e Mauro Benetton, Paolo Merloni, fam. Venesio, Hans-
Paul Bürkner, Lorenzo Pelliccioli, Jean P. Mustier e altri partner di Tikehau Capital, G. Landi e altri altri
privati Vertis Venture e di Principia II Hamilton Ventures, TP&Partners (EQValue e Tommaso Pompei)
Digital Magics, Innogest sgr, B. Sella hold., Club Italia Investimenti 2 Filippo Sabatini e Francesco Pavan
Azimut holding P101 business angel, Equi sam, Iph holding Tim Ventures e Club Italia Investimenti 2 nd
Giuseppe Donagemma e Iccrea Banca Teamsystem nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd 16 mln
(solo nell'ultimo round dai due fondi) 8,5 mln (in due round) 8 mln (in due round) 6 mln di dollari 4,52 mln (in
due round) 3 mln 1,5 mln (in due round) oltre 1,2 mln un milione (dal fondo) 750 mila 150 mila euro 50 mila
nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd Paolo Galvani e Giovanni Daprà Aberto Dalmasso,
Dario Brignone e Samuele Pinta Ignazio Rocco di Torrepadula e soci operativi Roberto Arnetoli, Sabino
Costanza, Jacopo Anselmi, Gershom Charig e Francesca Todeschini) Jacopo Vanetti e Giuseppe Nicola
Saponaro Maurizio Sella, Pierluigi Loy Donà , Ziph Roberto Condulmari, Daniele Loro, Stefano Miari e altri
soci privati Andrea Crovetto, Stefano Visalli, Alceo Rapagna, Guido e Sergio Ferrarini, Prometeia, Andrea
Moneta, Valerio De Molli, Roberto Crapelli e Simonfid Cristiano Esclapon, Dario Giudici, Lorenzo Lamberti
e altri privati Daniele Blancato, Alessandro Andreozzi, Ivan Pellegrini, Antonio Lafiosca Fabio Bancalà e
altri 4 soci Sator Capital (tramite Arepo Ti) Matteo Tarroni, Mario Spongano, Luca Spampinato, Fabio
Bolognini ed Ettore Decio Symbid Holding, Banca Sella e Marco Bicocchi Pichi Daniele Ratti Cooperativa di
Garanzia Fidi Confcommercio Tommaso d'Onofrio, Carlo S. Pellizzari e Assiteca Tommaso Adolfo
Baldissera Pacchetti e le sue sorelle Paola e Chiara Chiara Candelise Fulvio Mariani, Paola Mocci, Carlo
Allevi e altri privati Baldi & Partners Paolo, Davide e Pierpaolo Ciccolella Domenico Formica e Michela
Centioni Alessandro Arioldi Luca e Daniele Francesco Ughi, Milano Venture Co. Stefano Passavalli
Puecher, Andrea Lazzaretto Matteo Piras Startzai srl ( Filippo Cossetti), The Hive (Sida srl) e Università di
Camerino Matteo Masserdotti Unica sim Carlo Allevi Fonte: BeBeez * Equitystartup.it Vigilanza Tipo di
attività Società Altri investitori Capitale raccolto Fondatori
LE OPERAZIONI DI EQUITY CROWDFUNDING IN ITALIA Le startup che hanno avuto successo Le
piattaforme che hanno lavorato GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fonte: Crowdfundingbuzz.it Piattaforma
Raccolta in migliaia di € Numero investitori Investimento medio in migliaia di € Anno Società finanziaria
Pawolonia Kiunsys Bioerg Shin Software Cantieri Savona ME Group Nova Somor Diamantech Wayonara
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 113
Cynny TocTocBox Cynny Assiteca Starsup Next Equity Assiteca Starsup Tip.Ventures Starsup Unicaseed
Tip.Ventures Investi-re Crowdfundme Starsup 520 505 452 402 380 300 250 157 135 116 82 54 12 19 56
19 44 10 3 75 33 48 25 52 43,33 26,59 8,07 21,16 8,64 30,00 83,33 2,09 4,09 2,42 3,28 1,04 2014 2015
2015 2015 2014 2016 2014 2014 2015 2015 2015 2015 Startup finanziate Raccolta in migliaia di € Numero
investitori per startup Investimento medio in migliaia di € per investitore Piattaforma Starsup Assiteca Next
Equity Tip.Ventures Unicaseed Investi-re Crowdfundme Totale complessivo 4 12 1.189 922 452 435 157
116 82 3.354 118 31 56 43 75 48 25 396 297,32 461,00 452,00 217,50 157,00 116,29 82,00 279,47 10,08
29,74 8,07 10,12 2,09 2,42 3,28 8,47
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 114
ORSI&TORI PIAZZA AFFARI In piena tempesta gli investitori possono consolarsi con le cedole. Le societàquotate sono pronte a girare ai loro azionisti un assegno da 17,5 miliardi Lampi e tuoni in borsa Ma è pioggia di dividendi* Con rendimenti fino al 9% Paolo Panerai Non c'è contraddizione fra le tempeste in borsa, ormai su quasi tutte le borse, e la pioggia di dividendi da
aziende come Intesa Sanpaolo e tutte le altre elencate all'interno di questo numero. C'è semplicemente del
marcio. Il marcio che promana da un'Europa ormai sempre meno Unione e quindi prossimo stravecchio
Continente. C'è voluto il coraggio di Mario Draghi per andare a lanciare proprio nella tana della
Bundesbank l'accusa ai (questa volta sì) poteri forti che non vogliono far salire al 2% l'inflazione, come
stabilito nella governance della Banca centrale europea (Bce). In un cammino che più lento non si può
immaginare, se solo si pensa che l'approvazione del trattato di Roma è del 1957 e che in realtà le idee
dell'Europa unita risalgono perfino a Giuseppe Mazzini e hanno ripreso vigore con Altiero Spinelli e Luigi
Einaudi ancora in pieno fascismo, molti si erano illusi che la creazione della moneta unica euro, l'apertura
delle frontiere con Schengen e la fondazione della Banca centrale con sede a Francoforte avrebbero
determinato un trend irreversibile verso uno Stato federale. Nessuno aveva fatto i conti con un'altra unione,
quella delle due Germanie. Salvo di Paolo Panerai l'Inghilterra che, vedendola, non ha aperto le frontiere,
grazie anche al suo essere isola, e si è tenuta tutta la sovranità monetaria. Nessuno aveva tenuto conto
che la Super Germania, pur lacerata moralmente ancora dalla guerra, appena si fosse riunificata avrebbe
riconquistato il vizietto che l'ha vista artefice di ben due guerre mondiali e di una dittatura disumana come
quella del Nazismo. Il vizietto è quello di voler comandare a ogni costo. Non le basta di essere il Paese con
il maggior numero di abitanti in Europa e quindi di avere diritto al maggior numero di parlamentari europei.
Vuole ancora una volta condizionare la vita, gli stili di vita, e la morte degli altri europei. Draghi è andato giù
duro dicendo: «... Nell'economia globale ci sono forze che concorrono a tenere bassa l'inflazione...». E chi
ha paura dell'inflazione anche solo al 2%, terrorizzati ancora dagli effetti della Repubblica di Weimar, se
non proprio i potenti tedeschi che lo stavano ascoltando nella sede della banca centrale tedesca? Per anni
il mondo ha vissuto nel terrore dell'inflazione a due cifre. Avevano terrore di quella crescita pazza dei
prezzi, determinata dal terribile innalzamento del prezzo del petrolio, anche gli italiani, pur drogati da
rendimenti inevitabilmente altrettanto folli dei titoli di Stato. Negli anni 70 gli italiani non avevano il minimo
interesse alle azioni, perché con interessi del 10-13% e più credevano che la loro ricchezza potesse essere
senza fine e chi non era ricco sottoscrivendo Bot, Btp e Cct riusciva a sopravvivere meglio, con in più la
sicurezza di ricevere indietro, a scadenza, l'intero capitale investito. Allora era giusto che in Germania si
pensasse solo a combattere l'inflazione. Sui libri di testo e sui giornali si descriveva quella fase come
l'attacco degli Stati petroliferi all'economia del Vecchio continente e anche negli Stati Uniti, che pure
avevano petrolio a sufficienza, si potevano comprare bond che consentivano di vivere di rendita. Ricordo
un'inchiesta di Capital, ai tempi della fine del mandato di Jimmy Carter, che documentava come con cifre
relativamente modeste si sarebbe potuto vivere di rendita grazie al rendimento per molti anni appunto dei
Treasury bill. Se quella era un'economia folle e in pochi si rendevano conto che non avrebbe potuto e
dovuto durare, altrettanto folle, anzi più folle, è l'economia in deflazione o senza inflazione come quella
europea oggi. E se l'inflazione folle era stata determinata da un gruppo di Paesi che attraverso il mitico
presidente dell' Opec, Ahmed Zaki Yamani, avevano costretto il mondo a fermarsi e andare in bicicletta o a
piedi, per far salire alle stelle il prezzo dell'oro nero, ora la deflazione è stata innescata dalla crisi finanziaria
negli Stati Uniti, simboleggiata dal fallimento della Lehman, ma è stata portata all'estremo in Europa dalla
fobia e dal vizio del potere della Germania. Come è possibile non ragionare, non vedere il fatto che se le
banche Usa, liberate dal vincolo di non poter investire il denaro dei depositanti, erano state la causa, con i
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 115
titoli subprime, dell'esplosione della bolla e quindi dell'arresto dello sviluppo, gli stessi Usa avevano
tracciato e imboccato immediatamente l'unica strada per la ripresa? Certo, per il rilancio era necessario
stampare dollari, iniettando enorme liquidità nel sistema abbassando fin sotto zero i tassi di interesse: cioè
esattamente la filosofia opposta della Germania, che infatti aveva escluso dallo statuto della Bce la
possibilità di stampare euro. Stampare moneta può essere la premessa per creare inflazione, ma non
quando la crescita collassa fino a entrare non solo in recessione ma addirittura in deflazione. Draghi è
arrivato alla presidenza della Bce quando la crisi già mordeva, dato che il predecessore francese Jean-
Claude Trichet non aveva fatto nulla per combatterla. Pur di scuola americana, si è trovato con le mani
legate e con la crisi della Grecia, arrivata alla soglia del default, scongiurata solo da una telefonata notturna
del presidente Barack Obama alla cancelliera Angela Merkel, nella quale le ricordava che la Grecia era un
baluardo della Nato e che il suo fallimento avrebbe avuto gravi ripercussioni geopolitiche. Di fronte
all'immobilismo dell'Europa, gli speculatori di tutto il mondo hanno capito che c'era spazio, sulla scia della
Grecia, per condurre un pesante attacco ribassista ai titoli di Stato dei Paesi del Sud Europa. Così è
esplosa la crisi del 2011 del debito pubblico di vari Paesi deboli e in particolare dell'Italia. Di fronte
all'ottusità dei tedeschi, nell'estate di fuoco dei titoli di Stato e quindi della conseguente dissoluzione
dell'euro, Draghi riuscì a convincere tutti i componenti del consiglio d'amministrazione della Bce, con la sola
eccezione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che era indispensabile intervenire
comprando titoli del debito pubblico, appunto perché era in pericolo l'euro, la cui protezione rientra nei
poteri della banca centrale. I tedeschi hanno subìto ma non digerito, pronti a imporre di nuovo il loro potere.
Per tre anni Draghi è stato sotto tiro e la Merkel, come ha rivelato questo giornale, ha chiesto al presidente
del Consiglio Matteo Renzi, per ben tre volte, di spostarlo ad altro incarico: l'ultima volta in occasione delle
elezioni del presidente della Repubblica. Draghi ha confidato che inizialmente la Merkel lasciava che a
contrastare la sua azione fosse il presidente della Bundsbank e il ministro dell'Economia Wolfgang
Schaeuble. È invece passata all'azione diretta quando, precipitando l'inflazione in tutt'Europa sino alla
deflazione, Draghi ha cominciato a elaborare il progetto Quantitative easing (Qe), sintonizzando la politica
monetaria europea con quella americana ancora in atto. La motivazione e la giustificazione per il Qe, che
prevede immissione di liquidità per oltre 60 miliardi di euro al mese, sono appunto la necessità di far risalire
l'inflazione intorno al 2%. Quindi, mentre la Germania riteneva di poter impedire una politica di espansione
attraverso l'immissione di liquidità con uno statuto della Bce che la escludeva come strumento invece a
disposizione di tutte le banche centrali, Draghi aveva trovato il grimaldello nella necessità di far arrivare
almeno al 2% l'inflazione. Evidentemente la Germania, nel suo ottuso rigorismo, non aveva neppure
ipotizzato che ci fosse una lotta all'inflazione di segno inverso, cioè per farla risalire. Per la Merkel e la
Bundesbank è stato uno smacco. Si sono rifatti conquistando pieno potere nella vigilanza esasperata della
Bce, con un supervisory board completamente indipendente. L'attacco al sistema bancario italiano è partito
da qui e, purtroppo, sia Bankitalia che il governo si sono fatti trovare in ritardo e completamente
impreparati, subendo, come è noto, il diktat, peraltro verbale, della direzione Ue sulla competitività che ha
bollato il Fondo interbancario di garanzia come aiuto di Stato. Così, per quattro banche in dissesto che
rappresentano meno dell'1% del sistema, è partito un attacco sul quale è stato facile inserirsi da parte della
speculazione internazionale. Draghi, che in base alla compliance ora può parlare solo in occasioni
istituzionali, ha di nuovo tentato di riaffermare la verità rispetto alla voce, amplificata da un quotidiano
nazionale, sul fatto che le forti sofferenze dei crediti italiani avrebbero imposto aumenti di capitale. La presa
di posizione di Draghi è servita per un giorno perché nel frattempo è proseguita l'azione del ministro
dell'Economia tedesco, Schaeuble, il quale ha sostenuto che le banche della Ue non potranno avere più del
25% del loro attivo investito in titoli di Stato. Un attacco bello e buono al debito pubblico, che per ora si è
scaricato sui corsi delle azioni. Il ministro tedesco ha risposto così alla sollecitazione di Draghi a varare il
sistema unificato di garanzia dei depositi delle banche europee. Vuoi che ci sia un sistema europeo? Allora
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/02/2016 116
le banche devono prima ridimensionare i propri rischi. Una coppiola contro le banche e contro, in
particolare, il debito pubblico italiano, unico, reale punto debole del Paese. Come coristi al ministro tedesco,
hanno parlato più soggetti sia a Bruxelles che a Francoforte, dicendo che l'Italia ha un debito pubblico
troppo alto e che non basta sperare di ridurlo con la crescita dell'economia. È questo un punto su cui chi ha
parlato ha ragione e il presidente Renzi deve ritornare all'idea di due estati fa, quando era pronto a studiare
un intervento straordinario sul debito. A Palazzo Chigi era arrivata non soltanto la voce degli economisti
raccolti dai media di Class editori intorno alla sigla L'Italia c'è, ma anche uno studio dettagliato della banca
Rothschild che, come questo giornale, sostiene la necessità di tagliare il debito vendendo una parte del
patrimonio pubblico. Recentemente Rothschild ha aggiornato il progetto, ricordando che questo, con i
rendimenti quasi a zero dei titoli di Stato, è il momento ideale per effettuare la manovra di scambio: titoli di
una holding o quote di un fondo, poco cambia. Si sa che anche Draghi è favorevole a una tale manovra,
dopo aver contribuito al taglio del debito con le privatizzazioni quando era direttore generale del Tesoro con
ministro Carlo Azeglio Ciampi. Ora da privatizzare c'è ben poco, mentre il taglio deve essere consistente. Il
governo e in particolare un uomo dell'esperienza, sia pure convenzionale, del ministro Pier Carlo Padoan,
devono decidersi. Non può bastare Draghi a puntellare il sistema e ad opporsi ogni volta che può ai tentativi
di strapotere dei tedeschi, come ha fatto, con forte significato, anche parlando presso la Bundesbank.
Anche perché a congiurare per una nuova crisi non è solo il miope rigorismo dei tedeschi, ma appunto la
ripartenza di una speculazione agguerrita, che vuole cogliere tutte le occasioni per portare a casa grandi
guadagni. Magari quelli che sono mancati per il crollo del prezzo del petrolio. Partendo dall'attacco alle
banche, con la complicità dei tedeschi che pure hanno banche disastrate, la speculazione sta facendo
scaricare tempeste, tuoni e fulmini sulle borse. Se il governo italiano non interverrà, dopo le banche e la
borsa sarà il turno del debito pubblico. Che la situazione che si sta delineando sia chiaramente artificiosa,
non corrispondendo alla salute delle banche e delle società quotate, è reso evidente dagli ottimi risultati dei
bilanci 2015 e dei dividendi che vengono confermati. L'esempio più eclatante è quello di Intesa Sanpaolo,
che grazie alla gestione combinata del ceo Carlo Messina e del direttore generale vicario e capo del
corporate, Gaetano Miccichè, ha chiuso un anno straordinario. Intesa Sanpaolo è blindata anche per l'anno
appena iniziato, ma per altre banche e per molte società il 2016 potrebbe essere un anno più difficile del
2015. La speculazione ha quindi spazio, potendo ragionare non sul passato ma sul futuro. E appunto
l'habitat che si va configurando è a forte rischio. Renzi ha assunto una posizione corretta di critica alla
Commissione Ue e alla Germania. Non sbaglia dicendo che l'Italia può essere il leader dello schieramento
anti-Germania, ma solo se si potrà liberare della spada di Damocle del debito pubblico, che da Francoforte
e Bruxelles stanno brandendo. E Draghi da solo non potrà garantire una protezione maggiore di quella che
sta dando. Come dice il proverbio: aiutati che Dio ti aiuta. Il boyscout Renzi sicuramente lo conosce.
(riproduzione riservata) Paolo Panerai Atlantia -0,12 Azimut -7,34 A2a -6,54 B Pop Milano -11,65 Banca
Carige -20,03 Bca Mediolanum -1,38 Bco Popolare -10,21 Bper -18,04 Buzzi Unicem -3,24 Campari -8,00
Cnh Industrial +1,66 Enel -5,89 Enel G. Power -5,17 Eni -5,65 Exor -9,02 Ferragamo -1,68 Ferrari -7,10
Fiat Chrysler -6,79 FinecoBank -7,88 Finmeccanica -11,85 Generali -11,24 IntesaSanpaolo -8,94 Luxottica
-11,03 Mediaset +4,35 Mediobanca -10,39 Moncler -5,59 Mps -11,01 Poste -12,31 Prysmian -4,98 Saipem
-8,85 Snam -4,39 Stm -14,23 Telecom Italia -12,62 Tenaris +1,79 Terna -4,46 Tod's -0,76 Ubi Banca -10,41
Unicredit -9,98 UnipolSai -11,29 Yoox -15,73
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SCENARIO PMI
7 articoli
Indagine Il settore cambia pelle e offre nuove opportunità alle Pmi Distribuzione La ritirata delle grandi superfici Avanzano i discount e i piccoli market di prossimità. In aumento il fatturato medio soprattutto nell'alimentare ISIDORO TROVATO L a grande distribuzione organizzata vive un ritorno al futuro. Niente a che vedere con i viaggi nel tempo di
Marty McFly, ma certamente un cambiamento che si articola tra schemi del passato e declinazioni futuribili.
Il settore, infatti, sta sperimentando cambiamenti importanti che riflettono il diminuito potere d'acquisto del
consumatore, le mutate abitudini di consumo, la progressiva affermazione delle vendite online e, in
generale, l'evoluzione degli stili di vita delle famiglie.
Il cambiamento
Il nuovo assetto appare chiaro nel rapporto «Settore Italia» di Unicredit: il formato delle grandi superfici -
che in passato aveva portato al successo i grandi operatori del settore - è oggi in crisi, mentre registrano
crescite significative i punti vendita di dimensione minore e i discount. «Negli ipermercati lo scontrino medio
è di 100/150 euro - spiega Roberto Bucaneve, direttore di Centromarca - adesso che il potere di spesa
degli italiani si è eroso, diventa più frequente rivolgersi ai discount o ai negozi di prossimità senza fare
scorte e rischiare sprechi. Questo ha creato una serie di piccoli negozi a insegna con una incidenza
crescente di alimenti freschi e cibi pronti. La maggior parte di queste realtà appartiene alle grandi catene
che le affidano in franchising a piccoli imprenditori. Questo sta creando un nuovo assetto nel mondo della
grande distribuzione organizzata». Rispetto al passato, quindi, le case sono più piccole, le famiglie meno
numerose, aumentano i single e gli sprechi alimentari sono meno tollerati. Inoltre la società è più
«interconnessa» (soprattutto nella fascia che riguarda i giovani) e quindi si è più sensibili ai servizi, come la
possibilità di acquistare online, le consegne domiciliari, il confezionamento dei prodotti.
«Sul fronte dei servizi - continua Bucaneve - fanno la differenza i minimarket, gli empori o i negozi
alimentari di nuova generazione: quelli in grado di offrire prestazioni su misura e assistenza alla clientela».
Una tendenza che non è solo italiana ma diffusa a livello globale: negli Stati Uniti Walmart - il maggior
retailer a livello mondiale - ha tagliato le sue previsioni di crescita nel 2015 dal 5% al 2-3%. Lo stesso si
osserva per altri operatori che hanno poggiato le loro fortune sulle strutture di grande dimensione: è il caso
di Tesco (Regno Unito), Carrefour (Francia), Metro (Germania). Al contrario, gli empori e i discount
esprimono un forte potenziale di crescita sia nei paesi avanzati, sia nei mercati in via di sviluppo,
rispondendo bene al desiderio del consumatore di avere negozi di riferimento vicini, in grado di soddisfare
gli acquisti rapidi e speciali. Un fenomeno particolarmente accentuato nell'area dei prodotti agroalimentari .
Prospettive
«Anche l'industria sentirà conseguenze di questo cambiamento - osserva il direttore di Centromarca -
cambierà l'approccio a questi nuovi spazi: si modificheranno i formati e l'assortimento, ci sarà una maggiore
profilazione dell'offerta al consumatore. Non è più tempo di sconfinati corridoi di scaffalature riempite da
prodotti massificati in cui tutto sembra assomigliarsi. Il gigantismo della grande distribuzione conosce un
forte rallentamento, il sistema si sta resettando e potrebbe offrire nuove opportunità sia alle imprese della
distribuzione che a quelle della produzione».
Dopo anni di arretramento, il fatturato è tornato a crescere grazie alla ripresa (sia pure modesta) dei
consumi alimentari. Il preconsuntivo 2015 indica un aumento dello 0,7% su base annua, che porterebbe il
fatturato del settore a 90,8 miliardi di euro.
Cresce, in particolare, il fatturato dell'area alimentare (+1%). In prospettiva, si stima che la lieve ripresa
prosegua. Per il 2016, le attese scontano un aumento del fatturato di settore dell'1% su base annua.
Ancora una volta, dovrebbe trainare l'area alimentare (+1,2%), compensando le perdite del segmento no
food (-2,7%).
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 119
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Si torna a crescere Dinamica del fatturato per canale di vendita, 2010-2015 Supermercati Ipermercati
Discounts Superette 3,9% 0,8% 1,0% -0,2% 1,0% -0,7% -2,0% -5,0% -5,4% -0,8% 5,7% -10,6% -5,7% -
5,5% -2,7% -1,3% 2010 2011 2012 2013 2014 2015 0 10 20 30 40 50 60 Miliardi di Euro e variazioni %
annue 5,0% 2,8% 1,9% 2,7% CENTIMETRI
Foto: Brand Roberto Bucaneve direttore di Centromarca associa circa 200 imprese di marca
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 120
Idee La tendenza all'«open innovation». Nel 2015 negli Usa 350 investimenti di grandi gruppi nelle societàinnovative Imprese I big al mercato delle startup Contrordine, invece di puntare sulla ricerca interna si acquistano aziende «smart» L'esempio di Cisco eAccenture. I casi italiani dall'abbigliamento all'acqua potabile giulia cimpanelli Un investimento di 100 milioni di dollari (circa 91 milioni di euro) su imprese innovative e competenze
digitali nelle aziende italiane. Ad annunciarlo pochi giorni fa è stata Cisco, che si fa capofila di una
tendenza. È quella dell' open innovation , l'innovazione aperta: dove le aziende tradizionali investono in
imprese smart e startup per rinnovarsi. È un processo che si sta lentamente imponendo anche in Italia. Il
concetto: «Vuoi progredire? Smettila di puntare tutto su ricerca e sviluppo interni, acquisisci una startup».
Lo sanno bene gli americani, che nel primo semestre del 2015 hanno registrato oltre 350 investimenti, per
un valore complessivo di 8 miliardi di dollari, da parte di grandi aziende nelle startup (fonte: CBInsight,
giugno 2015). E lo sanno alcune multinazionali. Come Cisco, per esempio, anche Accenture sta spingendo
sulla open innovation . «Due anni fa abbiamo acquisito i4C Analytics, azienda bolognese leader nel Data
analysis - dice Marco Morchio, direttore di Accenture Strategy -. Noi facciamo open innovation
direttamente, acquisendo società innovative, o per i nostri clienti, mettendoli in contatto con le startup».
L'acquisizione, di cui non sono stati resi noti i termini finanziari, ha permesso al colosso della consulenza di
consolidare le competenze di analisi dei dati e al team di i4C di diventare lo zoccolo duro dell'Advanced
Analytics di Accenture International.
Il limite
Ma il limite è la difficoltà di comunicazione tra le grandi imprese e le realtà innovative. «Usano linguaggi
differenti - dice Morchio -. Basti pensare che una grande azienda ci mette tre mesi a organizzare una
riunione e una startup in tre mesi conclude dei round di investimento». Anche in Italia, però, alcune società
iniziano a crederci.
Cln Group, uno dei principali operatori nella distribuzione di acciaio, ha per esempio attivato un fondo di
corporate venture capital interno, per investire in startup. Nel giugno scorso ha acquisito Wib, che progetta
distributori automatici digitali e innovativi. «Abbiamo incontrato oltre 600 startup - commenta Michela
Padovani, responsabile del Corporate Venturing - e attualmente stiamo valutando se investire in altre due».
Ha deciso di fare shopping per rinnovarsi anche Teamsystem, leader nello sviluppo e nella distribuzione di
software rivolti a professionisti e Pmi. L'anno scorso ha acquisito il 51% di Fatture in Cloud, startup fondata
dal ventitreenne Daniele Ratti. Un milione e mezzo di euro di investimento iniziale con un' earn out (formula
con la quale parte del pagamento di un'impresa viene vincolata al verificarsi di determinate condizioni
economiche o finanziarie future) che verrà determinato a seconda dei risultati che la startup raggiungerà
nei prossimi cinque anni. L'esperienza di Fatture in cloud consolida la tendenza del gruppo, sempre alla
ricerca di soluzioni innovative anche fuori dagli uffici aziendali. «Abbiamo sempre cercato di innovare
attraverso servizi aggiuntivi e acquisizioni. Per noi equivale a comperare competenze, quindi valore», dice
l'amministratore delegato Federico Leproux.
Tant'è che quella della startup di Ratti non è la prima esperienza per Teamsystem che in passato ha
acquisito per 4 milioni di euro l'85% della startup di Hfarm H-Umus, Tustena, un «crm cloud» (sistema per
la gestione delle relazioni con i clienti) della software house Digita, e rilevato la divisione software del Sole
24ore. Ma il mondo delle imprese innovative inizia a ingolosire anche la manifattura tradizionale.
Abiti e fanghi
Il lanificio biellese Reda nel 2013 ha investito un milione e mezzo di euro per acquisire quote di capitale (la
maggioranza) di Lanieri, una startup che permette di acquistare online abiti su misura. È stato il gruppo
meccanotessile Santex Rimar a dare alla startup Solwa i mezzi per sviluppare il suo sistema per
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 121
l'inserimento nel mercato della desalinizzazione e potabilizzazione dell'acqua. All'inizio del 2015 il gruppo
ha rilevato l'80% della startup. La partnership è nata grazie al progetto DryWa, che Solwa utilizza proprio
per Santex. Un sistema innovativo per la gestione dei fanghi biologici derivanti dai processi depurativi delle
acque, capace di ridurre fino al 95% il loro volume.
C'è poi chi fa «innovazione aperta» al contrario: Applix, nata nel 2011 e specializzata in soluzioni Mobile
per le aziende, ha già acquisito tre imprese digitali di più vecchia data. Oggi conta oltre 80 dipendenti e
fattura 4,5 milioni all'anno con una crescita media annua dichiarata del 58%. L'ultimo acquisto, Melazeta, è
del 2015. «Fino a oggi - spiega il fondatore, Claudio Somazzi - abbiamo investito un milione e 750 mila
euro per rilevare tre imprese e completare il pacchetto di servizi digitali da proporre ai clienti». Prima di
Melazeta, Applix aveva acquistato Bsmart, uno dei protagonisti della digitalizzazione degli editori scolastici,
e Xorovo, agenzia con 45 ingegneri che sviluppano i suoi prodotti e manutengono le piattaforme.
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Fonti: «Harnessing the Power of Entrepreneurs to Open Innovation», Accenture, dicembre 2015; panel:
oltre 2.000 imprenditori in 20 Paesi del G20. CBInsight, giugno 2015 Pparra +1,9% Italia +2,2 % Mondo Il
boom negli Usa, I° semestre 2015 LA CRESCITA I risultati della collaborazione tra le imprese tradizionali e
quelle innovative Stima di crescita del Pil I CASI ITALIANI Le grandi aziende che pensano di collaborare
con startup o piccoli imprenditori per diventare digitali 76 % Gli investimenti conclusi Investiti da grandi
Imprese sulle startup 8 miliardi di dollari 350 AZIENDA INVESTIMENTO Teamsystem Applix Reda 1,5
milioni euro 1,8 milioni euro 1,5 milioni euro STARTUP ACQUISITA Fatture in cloud Bismark, Xorovo,
Melazeta Lanieri
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 122
Mef. Il ministro alla scuola di formazione del Pd: sistema bancario solido, in arrivo misure su recuperocrediti Padoan: risultati importanti dalla lotta all'evasione «Serve un impegno comune per una crescita che crei lavoro permanente. Avanti con la riduzione delletasse finanziata da tagli di spesa» Eugenio Bruno PLa lotta all'evasione sta dando «risultati importanti». Parola di Pier Carlo Padoan. Nel suo intervento alla
scuola di formazione del Pd "Classe democratica", in corsoa Roma, il ministro dell'Economia ha anche
individuato le due ragioni del successo nel contrasto al sommerso: da un lato, «l'introduzione di misure
differenziate per varie classi di contribuenti, dalle multinazionali alle piccole imprese e le famiglie»;
dall'altro, «il principio di stabilire un rapporto di fiducia, anche tecnico, fra amministrazione e contribuenti»
così da «prevenire piuttosto che sanzionare ex post un comportamento illegale». Grazie, ad esempio, al
modello precompilato e ai preavvisi di accertamento. A questo tema il responsabile del Tesoro è arrivato
nell'ultima parte della sua "lezione", rispon dendo a una domanda della platea. Prima si era soffermato sulla
stretta attualità, nazionalee internazionale. Dalla crescita che non ammette «scorciatoie» e che deve creare
«lavoro in modo sostanziale e permanente» al debito che dal 2016 «comincerà a diminuire, dopo molti anni
di aumento»; dal taglio delle tasse che vanno ridotte continuando nell'operazione di taglio e di
efficientamento della spesa pubblica alle risorse per gli investimenti che troppo spesso restano
«impastoiate nei meccanismi di bilancio» fino al rappor to, diciamo controverso, con l'Ue. A Bruxelles, il
titolare del Mef ha inviato due messaggi ben chiari. Che sono poi il riassunto delle puntate precedenti nel
lungo confronto di queste settimane tra il nostro governo e l'esecutivo comunitario. Padoan ha prima
sottolineato che «la politica di bilancio italianaè molto più disciplinata di quello che si legge negli articoli o
che è nelle opinioni degli altri». E, poi, ricordato che in un'unione monetaria «i rischi sono di tutti» e pensare
di poter sfuggire a questo «non è solo sbagliato ma miope, stupidoe controproducente». Con annessi la
considerazione che il Qe è uno strumento «potentissimo ma non sufficiente» e l'appello a riorientare la
politica economica comune verso la creazione di posti di lavoro, «chiedendo ai paesi che hanno spazio
fiscale di usarlo». Come fa l'Italia che «usa tutto il suo spazio fiscale con le clausole di flessibili tà» e che, a
suo tempo, ha anche chiesto «di introdurre uno strumento europeo di assicurazione contro la
disoccupazione». Altro argomento "caldo" di queste ore: le banche. Per il titolare di via XX settembre un
sistema bancario come quello italiano, «che ha resistitoa questa crisi senza maggiori crisi bancarie e senza
aiuti di stato contrariamente alla Germania dove sono stati messi più di 200 miliardi di euro, è un sistema
molto solido». Che verrà rafforzato ulteriormente - ha spiegato - dal decreto atteso in Consiglio dei ministri
la prossima settimana. Un testo che conterrà anche le misure per rafforzare il recupero crediti. Fermo
restando «che non si esce da una crisi finanziaria se non si mette in ordine il sistema finanziario» come
hanno fatto gli Stati Uniti che hanno prima rimesso «a posto il sistema finanziario e dopo hanno effettuato
l'aggiustamento fiscale». Mentre in Europa ha rilevato Padoan «siè fatto il contrario. Siè scelto di dare
priorità all'aggiustamento fiscale rinviando a dopo l'Unione bancaria. Abbiamo perso tempoe ora stiamo
cercando di recuperare».
07/02/2016Pag. 1.5
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 123
CAPITALE UMANO Storie di vini: Montefalco, Caprai e il Sagrantino Un'esperienza imprenditoriale di successo trasforma il territorio in una ricercata meta turistica Max Bergami Nel cuore dell'Umbria, al centro del triangolo formato da Foligno, Todi e Spoleto, sta Montefalco: un piccolo
comune medioevale di origine romana, abitato da poco più di 5mila persone. Dalla torre del Palazzo
Comunale si dominano le colline circostanti ricoperte di viti. Qui, in un fazzoletto di terra che oltre a
Montefalco comprende parte dei comuni di Bevagna, Giano dell'Umbria, Gualdo Cattaneo e Castel Ritaldi,
viene prodotto il Sagrantino: un vino longevo, strutturato, ricco di polifenoli e tannini. Il successo
internazionale del Sagrantino, la bellezza del territorio, la valorizzazione del patrimonio artistico, insieme a
una diffusa imprenditorialità e alla capacità di fare squadra con le istituzioni hanno trasformato questo
territorio in una ricercata destinazione turistica. Oggi sulla Strada del Sagrantino si produce un fatturato
annuale di 6070 milioni di euro, calcolando solo la produzione vinicola e il turismo, senza considerare
ristorazione e indotto. La storia inizia come tante altre negli anni Settanta, quando alcuni imprenditori
decidono di recuperare un vitigno ormai scomparso; nel 1979 arriva la denominazione, poi nasce il
Consorzio e infine arriva la Docg. Poi, nel 1988, Marco Caprai, figlio di Arnaldo (uno dei pionieri del
Sagrantino), fa un viaggio in Napa Valley e tocca con mano cosa hanno saputo costruire in California,
partendo da risorse molto inferiori a quelle della maggior parte dei territori italiani. Presa in mano la cantina,
Marco inizia dal vigneto, rivedendo la forma di allevamento delle viti e i tempi di maturazione, garantendo
un'omogeneità qualitativa elevata, grazie alla nuova forma a doppio cordone speronato (come molti dei vini
nobili internazionali)e alla riduzione della distanza tra gli impianti. La vendemmia, che si protraeva anche
fino all'inizio di novembre, tornaa svolgersi nella terza decade di settembre, come nel Cinquecento,
secondo quanto prescritto dagli statuti comunali dell'epoca. La maggior parte delle aziende del Consorzio
inizia a utilizzare questo modello e in pochi anni vengono prodotti vini inattesi in questo piccolo territorio; la
Cantina Arnaldo Caprai realizza un'escalation di risultati: dai 3 bicchieri, ai 97 punti di Robert Parker, fino al
riconoscimento di European Winery of the Year nel 2013, scavalcando i francesi e molti altri. È un successo
dovuto alla qualità del prodotto, realizzato con passionee competenza, ma anchea un approccio
manageriale e a una capacità di comunicazione inusuale per un'azienda di queste dimensioni. Un esempio
tra tuttiè la spettacolarizzazione di testimonial hollywoodiani (quando Zeta Jones e Douglas scelgono il
Sagrantino come vino per il loro banchetto nuziale). Si spiana così la strada verso gli Usa che, insieme ad
altri 40 paesi, nel 2015 hanno assorbito il 40% delle vendite. L'ultima innovazione di Caprai, che ha
coinvolto prima un gruppo di aziende e poi il Consorzio,è la realizzazione del primo protocollo certificato in
Italia sulla sostenibilità in campo vitivinicolo. Secondo un approccio dinamico, finalizzato alla competitività
delle imprese attraverso una nuova relazione con l'ambiente, questo progetto si basa ampiamente sulla
misurazione. La riduzione ad oggi del 30% delle emissioni di CO2, del 20% del consumo di energia
derivante da combustione fossilee del 70% dell'impiego di fitofarmaci sono alcuni indicatori esemplificativi.
Questa esperienza imprenditoriale ha portato grande visibilitàa un contesto locale di piccole imprese. Con
lo stesso spirito, Montefalco ha saputo muoversi attraverso una serie di eventi che hanno collegato il
turismo culturale all'interesse per il Sagrantino. Ecco che di fianco a Cantine Aperte, la Mangialonga, la
settimana enologica, i festival di musica folk, negli ultimi 15 anni sono state proposti eventi culturali di
richiamo internazionale, partendo dalla valorizzazione degli affreschi della Chiesa di San Francesco, sede
del Museo di Montefalco,a opera di Benozzo Gozzoli e del Perugino. Ecco che vengono ospitate tutte le
opere di Benozzo Gozzoli appartenenti a importanti musei internazionali; poi viene esposta una lettera in
cui il maestro scrive di non voler lasciare Montefalco perché impegnato a realizzare gli affreschi; nello
stesso periodo questa pergamena viene acquistata, grazie all'impegno di Arianna Caprai che realizza dei
07/02/2016Pag. 13
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 124
braccialetti Cruciani finalizzati alla raccolta di finanziamenti; in questo momento viene esposta la Madonna
della Cintola, un prestito della Pinacoteca Vaticana, che ha già portato decine di migliaia di visitatori.
Stiamo parlando di un comune piccolissimo, di un territorio limitato e di imprese familiari. Si tratta però di un
caso che propone un modello di crescita sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale,
coerente con le dimensioni della maggior parte delle aziende agricole, delle imprese turistiche, dei comuni
e delle istituzioni artistiche e culturali italiane. Questo territorio ha saputo riscoprire una risorsa (il
Sagrantino), utilizzare un champion (Caprai), valorizzare una risorsa storica (Benozzo Gozzoli), proporre
delle attività culturali (mostre ed eventi) e generare un nuovo tipo di attrattività (turismo internazionale). Per
crescere in questa direzione servono risorse umane, per cui nonè un caso che qui siano presenti
collaborazioni con università e scuole, incluso un progetto sperimentale che hanno trasformato i vigneti
nell'aula didattica di un'Its. Si tratta di un modello ampiamente replicabile perché la specificità non è nel
contesto, ma nel metodo. Per valutarne il potenziale impatto, basti pensarea quanti potrebbero esserei
Montefalco in Italia. Intanto, a sulla Strada del Sagrantino si stanno dando un gran da fare e, considerando
che l'agricoltura è un settore in cui girando l'interruttore, la luce si accende dopo5 anni, chissà cosa
vedremo nel 2020.
Foto: * Bologna Business School, Università di Bologna
07/02/2016Pag. 13
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 125
Un dato in chiaroscuro In gennaio sono stati creati 151mila nuovi posti, in forte calo rispetto a dicembre Delude ma tiene il lavoro Usa Gli effetti sulla politica monetaria Ora è possibile che la Fed decida con maggiore cautela la prossimastretta Creati meno posti del previsto - Scende ancora il tasso di disoccupazione Ai minimi da otto anni,dall'inizio della presidenza Obama, la quota dei senza lavoro pari al 4,9% Incrementi nei salari Marco Valsania NEW YORK pIl mercato del lavoro americano frena in gennaio, inaugurando il 2016 con la creazione di
151mila nuovi impieghi dopo averne generati in media 279mila al mese nel corso del quarto trimestre
dell'anno scorso. Il passo resta tuttavia sufficiente a proseguire il risanamento dell'occupazione, sopra la
soglia di centomila che Janet Yellen ritiene necessaria a garantire stabilità. Ancor più perché
accompagnato da un calo del tasso dei senza lavoro al 4,9% dal 5%, ai minimi da otto anni, e da salari
orari che hanno evidenziato benvenuti incrementi mensili dello 0,5 e del 2,5 nell'ultimo anno. Se
l'espansione americana risente delle tensioni globali, insomma, finora regge i colpi e mostra solidità,
allontanando spettri di ricadute in recessione e rilanciando la possibilità di nuovi rialzi dei tassi d'interesse
quest'anno, forse fin da marzo. Il giudizio più conciso, sulla frenata ma non troppo del mercato del lavoro e
le implicazioni di politica monetaria, è spettato agli analisti di Barclays: "Confusa". Se è stata più brusca
delle previsioni ufficiali di Wall Street 190mila posti non ha dato adito ai crolli ormai temuti da molti. Timori
che erano stati aggravati dal recente stillicidio di statistiche deludenti: da un Pil cresciuto dello 0,7% nel
trimestre passato fino al deficit commerciale, reso noto a sua volta ieri, che a dicembre è peggiorato del
2,7% a 43,4 miliardi scontando il terzo calo consecutivo, dello 0,3%, nelle esportazioni. Nell'intero 2015
l'exportè sceso per la prima volta dalla recessione. Quel che emerge dal quadro occupazionale, secondo gli
analisti, è però ciò che in realtà già era parso chiaro davanti alle turbolenze economiche e di mercato: la
Fed, dopo aver avviato la sua manovra di graduale normalizzazione della politica monetaria a dicembre,
potrebbe se necessario procedere con ancora maggior delicatezza, soprattutto rispetto a originali ipotesi di
quattro rialzi nel 2016. Per Barclays al momento sono immaginabili due ministrette, a giugno e dicembre.
Per altri non più d'una strettaa fine annoe per altri ancora nessun ulteriore intervento restrittivo. Ma, ha
avvertito Moha med ElErian, il capo consigliere economico di Allianz, è «troppo presto per escludere una
nuova stretta a marzo». La "confusione" del dato diventa così per la Fed un dilemma, non un dramma, da
risolvere più che mai dati alla manoi prossimi da qui a marzo e con il continuo monitoraggio degli sviluppi
internazionali. E il mercato future ha confermato empiricamente che questa convinzione si sta facendo
strada anchea Wall Street: dopo aver spinto in ribasso fino al 10% le probabilità di una stretta a marzo, ieri
le ha subito alzate al 14 per cento.E "vede" il 58% di chance di una stretta a dicembre, in precedenza
invece esclusa. Sulle piazze valutarie il dollaro, a sua volta sostenuto da prospettive di nuove strette sui
tassi, è tornato a guadagnare terreno. Un atteggiamento prudente senza affrettate marce indietro, da parte
della Fed, era stato già adottato dalla Fed nell'ultimo vertice del mese scorsoe successivamente ribadito da
prese di posizioni di suoi influenti esponenti, che hanno segnalato la disponibilità a tener conto di strette
nelle condizioni finanziarie e di un loro eventuale impatto sull'economia. E oggi cautela, non pessimismo,è
contenuta nei dettagli del nuovo dato sull'occupazione. I servizi hanno creato 118mila impieghi in gennaio,
con il comparto retail che ha aggiunto 58mila posti di lavoro, la sanità 37mila impieghi, la finanza 18mila. Il
comparto manifatturiero, seppur reduce da quattro mesi di contrazioni stando all'indice ISM dei direttori
acquisti delle aziende, haa sua volta generato a sorpresa il mese scorso 29mila occupati, mentre l'edilizia
ne ha creati 18mila. Solo il settore minerario ha perso altri 7.000 addetti. I salari orari sono nel frattempo
lievitati di 12 centesimi a 25,39 dollari, aiutati dall'aumento del salario minimo scattato in 14 su 50 stati
americani. Il dipartimento del Lavoro ha inoltre rivisto quasi a somma zero le statistiche occupazionali dei
due mesi precedenti: ha ridimensionato gli impieghi creati a dicembre,a 262mila da 292mila,e alzato quelli
di novembre, a 280mila da 252mila, con una perdita netta complessiva di duemila posti. Il tasso di
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 126
partecipazione alla forza lavoro è rimasto ai minimi da 40 anni ma è risalito al 62,7% dal 62,6 per cento.
Il gap tra America ed Europa10,4 *4,9 ** 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Stati Uniti Unione europea 2014 2015 2016 * Dato al 15/12/2015 -
** Dato al 15/1/2016 Disoccupazione Usa e Ue. In percentuale Fonte: Us Bureau of Labor Statistics,
Eurostat
Foto: Sotto il 5%. Il briefing di Barack Obama sulla disoccupazione,scesa sotto il 5% per la prima volta dal
febbraio 2008
06/02/2016Pag. 1.2
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 127
IL GRUPPO COVER 50 / L'intervista I pantaloni Pt Torino sbarcano a New York "L'America può valere il 20%del fatturato" L'ad Pierangelo Fassino: lanciamo una nuova società e uno showroom GIUSEPPE BOTTERO Quattrocento metri quadrati nel centro di New York, al numero 171 di Madison Avenue. Cover 50 sbarca in
America dalla porta principale, con una nuova società - P t Usa Corp - e uno showroom che verrà aperto
nel cuore della via dello shopping. «E' un passo importante, coerente con la nostra strategia di
internazionalizzazione», dice Pierangelo Fassino, presidente dell'azienda torinese fondata nei primi Anni
Settanta. Per il gruppo dei pantaloni il 2015 è stato un anno di svolta, con lo sbarco a Piazza Affari sull'Aim,
listino di Borsa italiana dedicato alla piccole e medie imprese. «E' stato impegnativo, ma ora ci permette di
fare operazioni che, altrimenti, sarebbero stati complicate», sorride l'amministratore delegato, il figlio
Edoardo Fassino. I conti del 2015 Nei primi nove mesi dell'anno i ricavi sono aumentati del 3%, sopra quota
22 milioni di euro, e l'Ebitda - pari al 30% del fatturato - è cresciuto sia nei confronti del trimestre
precedente (26%) sia rispetto all'intero esercizio del 2014 (29%). Ora è tempo di cambiare marcia,
soprattutto oltreoceano. «Gli Stati Uniti rappresenteranno uno dei pilastri della nostra crescita nel medio
termine», spiega Fassino. Non si tratta di un salto nel vuoto: la società opera negli States da un paio d'anni,
attraverso un distributore. Ma è arrivato il momento di seguire il business direttamente, ragiona il
presidente, perché «ci sono potenzialità enormi». «Però è un mercato molto complicato», aggiunge
Edoardo Fassino «e sono necessari investimenti importanti». La bandierina piantata nel cuore della Grande
Mela non è l'unica fuori dai confini nazionali: Cover 50, che vende in quaranta Paesi, ha showroom a
Milano, Tokyo e Monaco di Baviera. Non è un caso: il 60% dei ricavi vengono realizzati all'estero e il
Giappone è la prima piazza, seguita da Germania, Olanda, Belgio. Negli anni i pantaloni hanno conquistato
estimatori importanti: sono per esempio entrati nel guardaroba del presidente americano Barack Obama, re
Juan Carlos di Borbone e Marco Tronchetti Provera. Gli eventi negli store L'America è ancora una piccola
fetta nella torta del fatturato, ma l'obiettivo è farla salire oltre il 20 per cento. «Il mercato americano ha
bisogno di u n r i n n ova m e n t o, i n o s t r i p a n t a l o n i s t a n n o a n d a n d o molto bene - dice
Edoardo Fassino -. Cercheremo di aumentare la nostra visibilità nei punti vendita, organizzando degli
eventi». Linee diversificate Il cavallo di battaglia restano i Pt01, pantaloni formali, da uomo, che valgono
oltre il 70% del fatturato. Ma negli anni l'azienda torinese, che nello stabilimento di Pianezza dà lavoro a
una quarantina di dipendenti e produce 300 mila capi all'anno, ha diversificato le linee, con i jeans Pt05, e i
Pt01 dedicati alle donne. Infine, una nicchia: i bermuda. Come da tradizione, anche in futuro, nessuna
svolta improvvisa: «Andiamo avanti con la politica dei piccoli passi - assicura Fassino -. La cosa più
importante è fare bene il nostro lavoro». c
22milioni Nei primi nove mesi dell'anno i ricavi di Cover 50 sono aumentati del 3%
Foto: La base In foto uno showroom di Cover 50 Il prossimo aprirà a New York, in Madison Avenue «E' un
passo importante, coerente con la nostra strategia», commenta il presidente Pierangelo Fassino, che ha
creato l'azienda nei primi Anni Settanta La sede si trova a Pianezza, a pochi chilometri da Torino
Foto: Al vertice Il presidente Pierangelo Fassino con il figlio Edoardo, amministratore delegato dell'azienda
Cover 50 è sbarcata a Piazza Affari la scorsa primavera È quotata sull'Aim, listino di Borsa italiana dedicato
alle piccole e medie imprese
08/02/2016Pag. 18TUTTO SOLDI
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 128
SULLA STRADA DEI DUCATI Fiac passa alla svedese Atlas Copco At l a s C o p c o, multinazionale svedese specializzata nella fornitura
di compressori, espansori e sistemi di trattamento dell'aria, e la famiglia Lucchi di Bologna hanno
sottoscritto un accordo preliminare vincolante per la cessione di Fiac. La famiglia Lucchi è stata assistita da
K Finance (sedi a Reggio Emilia e Milano), con l'amministratore delegato Filippo Guicciardi. Atlas Copco è
stata assistita, per la parte legale, dal focus team media impresa di BonelliErede, mentre gli aspetti fiscali
sono stati seguiti da Pwc Tax & Legal. Il closing dell'operazione, che ha coinvolto tutte le società del gruppo
target, con sedi in Italia, Polonia, Russia, Hong Kong, Cina e Brasile (in totale 400 addetti), è previsto nella
primavera di quest'anno. Nel 2014 Fiac ha registrato un fatturato di circa 70 milioni di euro. I compressori
prodotti da Fiac sono usati in un ampio spettro di applicazioni industriali e professionali da piccole e medie
imprese che vanno dalle officine per la riparazione di auto a società manifatturiere. Comprital, dolcezze da
25 milioni Comprital, l'azienda di Settala da trent'anni al top nel settore degli ingredienti per gelateria, apre il
2016 con l'annuncio della nascita di Comprital Group. La holding, presieduta dal fondatore, il bolognese
Gianni Osti, avrà il compito di gestire, oltre alla capogruppo, anche le due aziende estere, Comprital Polska
e Comprital Shanghai e la neo acquisita «La Preferita», azienda parmigiana dagli anni Cinquanta leader
nella produzione di paste per gelateria e pasticceria. Fabrizio Osti assume la presidenza de La Preferita
che vedrà come amministratore delegato Stefania Garavaldi, figlia del fondatore. Giancarlo Tinti invece è il
nuovo amministratore delegato di Comprital Group che porta il fatturato verso i 25 milioni di euro con
l'export ben oltre il 50% in quasi 70 Pesi del mondo.
06/02/2016Pag. 55 N.25 - 6 febbraio 2016
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/02/2016 129