Angelo Ingordo, Roberto Vallerignani

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In un giallo che ha il sapore della vera provincia italiana, Vallerignani mescola sapientemente l'introspezione emotiva con la storia antica, l'arte con la morte, il passato con l'avidità del presente.

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Roberto Vallerignani

Angelo ingordo

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...I verbi vivere e sognare sono rigorosamente sinonimi; dimigliaia di apparenze me ne rimarrà una; da un sogno

molto complesso passerò a uno molto semplice.Lo Zahir

Jorge Luis Borges

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I

È notte. Fa freddo. Il buio è buio, ed è ovunque, nellapelle, negli occhi, nella stanza. Di fuori. Il cuore è l’unicorumore che si avverte. Forte, agitato. Il sogno appena sfu-mato ha lasciato un dolore reale, come tutte le notti, allastessa ora. Sistematico fino alla noia, fino alla rabbia. Ma èuna sfida, giusto? Sì, lo è.Si gira su un fianco a cercare di leggere l’ora esatta.

Come se importasse, come se non lo sapesse già. Semprebisogno di con-ferme, l’uomo! Perennemente alla ricercadella via di fuga. Le tre e un quarto. Come si arriveràall’ora impostata sulla sveglia? Quattro ore sono lunghe,interminabili. Con tutta l’ormai solita sfilata di pensieri, didubbi e di domande che si danno di gomito. Magari sipotesse mettere a tacere tutto. Magari.Un rumore nella stanza a fianco gli fa muovere gli

occhi. Non la testa. Non il corpo. Trattiene il respiro perconcentrarsi su un eventuale seguito. Che non c’è. Alloraespira lievemente, l’aria fluisce obbediente. Prova a rilas-sarsi. Un colpo di tosse, pensa. Oppure il transito veloce diun sogno inquietante. Un rigurgito dell’ultimo incubo.Nella stanza dei bambini torna il silenzio, dopo appenasettantadue secondi conteggiati mentalmente.Quanti minuti saranno passati dal... quanti ne manca-

no ancora per tirarsi su senza disturbare o insospettire nes-suno?Si fa fatica a stare fermi nel letto. Si fa fatica anche a

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non svegliare chi ti dorme accanto. Sente i muscoli intor-pidirsi, avverte l’impellente necessità di muoversi, di girar-si su un fianco, di piega-re le ginocchia. Un respiro legge-ro a pochi centimetri da lui lo fa desistere, gli impone lacalma. Ancora qualche minuto, pensa. In attesa che la lucesi insinui tra le stecche della persiana.Chiude gli occhi. Come tutte le volte. L’ennesimo ten-

tativo di esorcizzare l’insonnia. Perché in un’occasione gliriuscì davvero. Certo, ormai è passato quasi un anno, maquella volta... Furono pochi minuti, forse nemmeno quel-li, eppure si sentì meglio, come se avesse riposato per ore.Ci vorrebbe un miracolo, qualcuno che abbia la pietà di

por-tare le lancette fluorescenti della sveglia avanti di qual-che giro, che abbia l’accortezza di far spuntare l’alba conqualche ora d’anticipo sulla normale tabella di marcia, chesi prenda la briga di avviare la vita, di accenderla.Qualcuno che ignori le elementari leggi della fisica e stra-volga per una sola maledettissima volta il lento e mono-tono caracollare del tempo.

Il miracolo si materializzò con lo squillo del telefono,insieme allo sguardo rassegnato di sua moglie che inter-ruppe per un istante la piatta sequenza del buio. Leda sivoltò dall’altra parte tirando le coperte fino a scompariredel tutto.“Sta dalla tua parte… il telefono!”La donna lanciò a caso un braccio alla ricerca della cor-

netta. Lui si tirò su fino ad appoggiarsi allo schienale delletto. Riuscì a sorridere della mano di sua moglie che bran-colava...Dalla stanza a fianco arrivarono dei colpi di tosse, que-

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sta volta reali: la bambina, di sicuro, raffreddata da qual-che giorno. Sua moglie riuscì a trovare il ricevitore e, senzapreoccuparsi di sapere il motivo della chiamata e l’autore,percorse con il braccio l’arco a ritroso e gli porse la cornet-ta quasi colpendolo sulla fronte.“Ispettore, sono Baldi!”Silenzio.“Sono Baldi, ispettore, mi sente? L’ho svegliata?”Baldi era uno degli ultimi arrivati, assunti in commis-

sariato in uno dei pochi turn over concesso dai tagli mini-steriali. Non si era mai saputo chi l’avesse raccomandato,perché, di certo, per vincere quella lotteria qualche santoin Paradiso doveva averlo avuto per forza.L’ispettore Antonelli teneva la cornetta attaccata

all’orec-chio, gli venne in mente di quando suo padre glifaceva ascoltare le conchiglie.Ascolta, lo incoraggiava, ascolta, non senti le onde del

ma-re? Non senti lo sciabordio?Questa volta dall’altra parte c’era la voce secca del-

l’agente Baldi che sollecitava la sua attenzione.“Dimmi, Baldi” gli rispose dopo qualche secondo, “che

ti sta capitando?”.“Forse c’è stato un omicidio!”L’ispettore Antonelli staccò il ricevitore dall’orecchio e

lo guardò fisso.Meglio le onde del mare, pensò.“Baldi, cristosanto, non mi puoi svegliare tutta la fami-

glia in piena notte per giocare a fare il poliziotto. Che mivuoi dire: c’è stato o non c’è stato questo omicidio?”La voce del Baldi tacque per un istante, il tempo neces-

sario per riorganizzare le idee. Poi trovò il coraggio.

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“Hanno trovato una donna morta, ispettore… in unpalazzo del centro. Una signora che abita nello stesso sta-bile non poteva dormire perché una finestra sbatteva insi-stentemente e allora è scesa di sotto, in cortile, per vedereda dove venisse il rumore. Quando ha visto a che piano erail problema si è ricordata che un paio di giorni prima avevavisto scendere di corsa due ragazzi stranieri dal piano dellasignora… signora… aspetti che non ricordo il nome, ah,ecco qua, signora Menotti.”“Baldi” replicò l’ispettore, “da cosa deduci possa trattar-

si di un omicidio?”.“Ma… non so, una sensazione. Cosa facevano due stra-

nieri in quel palazzo? Perché correvano?”Ecco a cosa ci ha portati questa paura dell’altro, pensò

l’ispettore Antonelli, anzi no, non dell’altro, lo corresseuna voce dentro di sé, dell’altro… straniero.“Chi c’è sul posto?”“Nessuno, ispettore. Non ci sono graduati in commis-

sariato per decidere qualcosa... quindi ho pensato di chia-mare lei!”“Che grande troiaio che è diventato questo mestiere”

sussur-rò l’ispettore Antonelli facendo in modo che nessu-no lo sentisse.“Dove mi hai detto è avvenuto questa specie di delitto?”“In via del Corso ma, tanto per semplificare, è il palaz-

zo con quel grande negozio di abbigliamento che fa ango-lo, quello vicino al bar…”“Ho capito, Baldi, ho capito. Il tempo di vestirmi e

sono là. Fai un salto anche tu?”“Verrei volentieri ispettore, ma qui siamo solo in due e

non possiamo lasciare sguarnito il commissariato!”

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“Maledetti tagli!” l’ispettore Antonelli inveì verso lafinestra. “È un ordine Baldi, ci vediamo davanti al porto-ne di sotto fra circa dieci minuti. Intanto avverti tutto ilgruppo di avvoltoi che faranno scempio di quella poveradonna!”“Pure la Scientifica?” chiese timoroso l’agente Baldi.

“Quel-li mi fanno nero se li disturbo a quest’ora.”“Pure la Scientifica, pure la Scientifica. Facciamoli

inner-vosire questi figli di papà. A fra poco, Baldi.”Schiacciò il tasto rosso del fine conversazione e si portò

di nuovo la cornetta all’orecchio.Le onde del mare… Ascolta le onde del mare...La voce di suo padre era calda e leggera, rassicurante. E

le onde del mare si infransero da qualche parte, nella suaimmagi-nazione.Si sollevò dal letto e rimase seduto con i piedi alla ricer-

ca delle pantofole. Nel buio. Si alzò e si mosse lentamentenella stan-za. Posò il telefono portatile sul comodino di suamoglie. Trovò la maniglia della porta con facilità e, unavolta uscito sul corridoio, accese la luce che arrivò sorpren-dendolo come non l’avesse mai vista prima. Scese i sei gra-dini del mezzanino ed entrò nella cucina. La luce al neonera fredda e anonima, lo fece pensare all’obitorio. Con losguardo localizzò il thermos del caffè e ne versò un po’ inun bicchiere. Era ancora caldo, dolce il giusto. Non avevamai capito per quale meccanismo fisico quel contenitoreriuscisse a mantenere calde le bevande, ma gli regalò unpiccolo inchino del capo per congratularsi. Come ognimattina.

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L’aria fredda aggredì il suo viso. Le luci della notte tre-molavano in una leggera foschia. Una motospazzatricedella nettezza urbana aspirava la sporcizia sparsa per la viadeserta, mentre due operai con giubbini arancione laammucchiavano lenta-mente lungo una linea ideale. Leinsegne spente dei negozi facevano sembrare le vie dellacittà il set di un film horror. Incontrò tre persone prima diarrivare in via del Corso, tre anonimi animali not-turniche setacciavano gli angoli della loro insonnia, annusavanoodori stantii, cercavano l’alba. Anche il corso principaleera deser-to, solo uno spreco di denaro pubblico a illumi-nare a giorno ogni centimetro. Le panchine di granitosembravano piccoli altari da riti sacrificali. Le saracinescheblindate dei negozi imitavano idee di prigioni del futuro.Lo attraversò un brivido. Agganciò la lampo del piuminoe si chiuse fino al collo. Ebbe un pensiero fosco a propo-sito del futuro: quale mondo avrebbe lasciato ai propri figlie nipoti? Si fermò. Si accorse che il suo respiro diventavafumo e che il vapore si disperdeva troppo velocemente.Solo allora notò che a circa un centinaio di metri un uomoimbacuccato era fermo in mezzo alla strada. Batteva i piedisul selciato. Accelerò il passo, superò bar chiusi e negozi diabbigliamento con le luci spente. Uno dei monumenti inacciaio che arredavano la città si ergeva in solitudine nellospazio desolato. Arrivò nei pressi del bar centrale.“Baldi, che bella mattinata!”L’agente non rispose immediatamente, batté di nuovo i

piedi e guardò il portone in ferro battuto e vetro blindatodavanti al quale stazionava.“È qua” disse poi con voce ferma.“Siamo i primi?” chiese l’ispettore Antonelli.

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“La signora che ha scoperto il cadavere ci aspetta alprimo piano.”L’agente Baldi pigiò un paio di volte sul tasto del cito-

fono e quasi immediatamente si udì lo scatto elettrico del-l’apriporta.Salirono una piccola rampa di scale che li portò a un

piane-rottolo dove si affacciava il vano ascensore. Si guar-darono, poi convennero tacitamente di salire a piedi.Il palazzo non era bellissimo, ma in buono stato. Era

uno di quegli edifici costruiti nel dopoguerra, senza bada-re troppo all’este-tica, collocato come un cigno nero inmezzo a file di palazzi d’epoca e di antico prestigio. Il suoesterno a mattoncini stonava con le facciate storiche dellealtre costruzioni. Scale di travertino opaco salivano verso laprima fila di portoni. Una donna sulla settantina li ricevet-te già sul pianerottolo. Fu un’esondazione di parole, unavalanga di affermazioni indiziarie che portavano tutte auna sola colpevolezza: i ragazzi dell’est che avevano scesodi corsa le scale qualche giorno prima. Le loro facce nonlasciavano dubbi.L’ispettore Antonelli provò un paio di volte a interlo-

quire, ma il risultato fu disastroso. La donna sembrava tro-vasse nuova linfa dalla voce del poliziotto. Le dava slancio.L’agente Baldi sghignazzava di nascosto, di spalle alladonna. Una voce divina inter-ruppe quel soliloquio, untono basso ma penetrante uscì dalla semioscurità di unportone e si attestò tra di loro.“Maria, per favore” pronunciò un uomo con una folta

barba bianca, “cerchiamo di non svegliare tutto il palazzo!”La mano ossuta dell’uomo si protese verso l’ispettore

Antonelli.

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“Bussotti, piacere.” Quindi si girò verso l’agente Baldi estrinse la mano anche a lui.“Sto in pensione da qualche anno e non sapendo come

passare il tempo mi occupo del condominio.”Si voltò appena verso la moglie, per presentarla.“Mia moglie” aggiunse con un filo di voce.Trafficò con un mazzo di chiavi finché non trovò quel-

la giusta, mostrandola ai due uomini.“Eccola qua, possiamo andare!”L’uomo poggiò l’indice destro sul tasto dell’ascensore. Il

meccanismo si attivò.Il quinto piano era l’ultimo del palazzo. Invece dei tre

appartamenti degli altri piani, sul pianerottolo se ne affac-ciavano solo due.“Questo non è abitato” disse l’uomo uscendo dal-

l’ascensore.Con le chiavi che aveva in mano aprì il portone a fianco.Li colse un odore penetrante, esageratamente forte.

Istinti-vamente si portarono le mani al naso.“Ho aperto tutte le finestre, ma non è bastato!”L’uomo con le chiavi procedette verso una stanza illu-

minata da una luce soffusa.“Ah, non ho toccato nulla!”Un altro schiavo della tv, rifletté l’ispettore Antonelli.L’agente Baldi indossò dei guanti di gomma e accese

tutte le luci dell’appartamento dopo aver aperto ogniporta.“Meglio non muoversi troppo…”“Non ci salverà più nessuno da questa televisione”

sospirò l’ispettore dando le spalle ai due uomini, “la rovi-na dell’umanità”.

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L’appartamento non era piccolo, superava abbondante-mente i cento metri quadrati. Era una mansarda moltocarina e ben curata, con un arredamento che era stato sicu-ramente di pregio al momento dell’acquisto, diversi anniprima.La donna era su un letto matrimoniale, sotto le coper-

te, con la sola luce della lampada del comodino accesa. Unlibro aperto appoggiato sul cuscino accanto. Gli occhichiusi naturalmente, quasi la morte l’avesse sorpresa nelsonno. Il volto era sereno.Sul comodino c’era una confezione di pastiglie e una

ricetta. L’ispettore Antonelli aprì il contenitore di vetro econtò veloce-mente le pastiglie. Da quanto scritto sullaconfezione ne mancava una sola. Rimise tutto a posto eprese la ricetta. Provò a interpretare la scrittura, rinunciòquasi subito. Riuscì a decifrare solo il nome della confezio-ne appoggiata sul comodino e una scritta in corsivo: unacompressa la sera prima di andare a letto. La grafia era quel-la classica dei medici, nervosa, illeggibile.Perché scrivono tutti così?, pensò mentre riponeva con

delicatezza il foglio nel punto esatto dove l’aveva trovato.Stava per andarsene dalla camera quando, istintivamen-

te, gli venne di guardare di nuovo la ricetta: Dr. GiacomoDiamanti, neurologo, psicologo e, nella riga appena sotto,specialista malattie del sonno. Ripeté a memoria diversevolte quel nome, poteva tornare utile.Raggiunse gli altri due sul corridoio e chiese all’agente

Baldi se avesse notato qualcosa di particolare. L’agente fecedi no con la testa. Si rivolse poi all’uomo con le chiavi,chiedendogli quale fosse la finestra che sbatteva di conti-nuo, quella che aveva insospettito la moglie. L’uomo, senza

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muoversi di un passo, indicò quella della camera da doveera appena uscito.“Da che parte del palazzo dà quella finestra?” chiese

l’ispet-tore Antonelli.“Si affaccia sul cortile interno” rispose l’uomo spostan-

do lo sguardo leggermente a destra.L’ispettore tornò nella camera e si avvicinò alla finestra,

si sporse per guardare di sotto e constatò che era pratica-mente impossibile arrampicarsi fin lassù dal cortile. Nonc’erano appigli. Richiuse e uscì di nuovo.“Ha tutta l’aria di essere una bella morte naturale” disse

agli altri due in attesa sul pianerottolo.Stavano per scendere le scale quando da lontano un

ululato assordante iniziò la demolizione dell’ultimo spraz-zo di quiete notturna.“L’ambulanza…” disse l’agente Baldi.“Chi l’ha chiamata?”L’agente Baldi chinò il capo. L’uomo con le chiavi guar-

dò l’ispettore Antonelli. Con gli occhi lo supplicava di noninfierire troppo sull’inesperienza del giovane collega. Daquel momento fu un via vai di gente, medici, infermieri,becchini, agenti della Scien-tifica vestiti come se fossero suun set cinematografico, flash di fotografi, uomini che face-vano domande e appuntavano le risposte su taccuiniminuscoli, poliziotti che cercavano di dare un ordine aquel transito sconclusionato, carabinieri che venivano acuriosare, a salutare colleghi… finché arrivò il magistratodi turno, il solito sbarbatello a cui affidavano tutte leincombenze notturne. Trafelato, si appartò con il medicolegale e con un uomo della Scientifica; parlottarono per unpaio di minuti, poi chiamò l’ispettore Antonelli.

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“Mi dispiace per lei, ispettore, ma mi dicono che peroggi deve rinunciare al suo omicidio!”L’ispettore allargò le braccia. Il magistrato infilò il cor-

ridoio e poi, di corsa, l’uscita.“Lo chiamano tutte le notti…”“Dottor Cecchini…” salutò divertito l’ispettore.“Ogni notte succede qualcosa in questa città.”“Eppure sembra così tranquilla… quasi noiosa.”“Ispettore, mi prende in giro?”“Non oserei mai.”C’era simpatia tra i due. Entrambi erano corpi estranei

in quel mondo.“Quindi nessun omicidio, possiamo tornare a nanna.”“Lei mi fa felice. Sono a un passo dalla pensione e rovi-

narsi la vita con un caso di omicidio sarebbe stata una cat-tiveria!”Il dottor Cecchini prese sottobraccio l’ispettore e salu-

tò tutti con un gesto della mano.“Andiamo, ispettore. Non sente che profumo di cornet-

ti sta salendo dal bar qua sotto?”Erano già a pochi gradini dal quarto piano quando il

medico si bloccò all’improvviso.“Ma l’autopsia la facciamo lo stesso?” chiese all’ispetto-

re Antonelli.“È il magistrato che…”“Oh, quello, mi ha detto che se lo avessi ritenuto

opportuno…”“Il magistrato?”“Non ha ancora capito, ispettore? Quelli pensano solo

a far carriera!”Un profumo intenso di pasticceria saliva dalla tromba

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delle scale. Una saracinesca sferragliò lentamente. Il moto-re di un’auto si accese e rimase per qualche secondo a fareda sottofondo.“Avviso i colleghi di sopra. Sono da lei in un attimo.”Salì le scale a due a due. L’ispettore lo seguì con lo sguardo fino al primo piane-

rottolo, poi lo mollò. Sentiva il rumore dei passi e il chias-so del quinto piano.Brutta levata, pensò stringendosi nelle spalle, brutta

levata per questa gente.Riprese a scendere lentamente.“Insomma, Baldi, quando ti decidi ad andare?” doman-

dò quasi irritato l’ispettore Antonelli, “non lo sai che tantogli straordi-nari non te li pagano?”.“C’è qualcosa che non mi convince…”“Cosa… cosa non ti convince?”“Troppa quiete.”L’ispettore lo scrutò sospettoso.“Troppa quiete, dici...”Espirò come se espellesse fumo di sigaretta.“Troppa quiete…”Lo sguardo cercò le volute di quel fumo.“Proprio così, troppa quiete!” confermò l’agente Baldi

mentre raccoglieva il giubbotto dalla spalliera della sedia.“Nessuno muore così in pace.”L’ispettore Antonelli era arrivato in commissariato alla

fine di un lungo giro. Dopo essere uscito dall’appartamen-to della defunta signora Menotti, era tornato a casa. Eraancora presto e, tra la noia della sua stanza in commissa-riato e la turbolenza della prima mattina nel suo apparta-mento, aveva scelto la turbolenza. Sua figlia Nadia e suo

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figlio Giuseppe erano tornati alla casa natia dopo averperso la felicità coniugale l’una e il lavoro l’altro. Con lorosi erano accampati una figlia di quasi dieci anni, Asia, e unesemplare stranissimo di cucciolo di segugio, Leonardo.Asia aveva seguito la mamma e Leonardo era stato raccol-to da Giuseppe nei pressi dell’isola ecologica comunale. Idue più giovani erano stati folgorati da un immediatocolpo di fulmine e vivevano ormai in assoluta simbiosi. Lamattina era durissima riuscire a convincere Asia ad abban-donare il cane e Leonardo a cessare i tristi latrati che a voltesi protraevano anche fino al ritorno della bambina dascuola.Il bagno era un problema. Ce n’era uno solo e piccolo,

e tutti dovevano partire alla stessa ora, chi per andare alavorare e chi per andarlo a cercare un lavoro. Lo spazio eraun problema. Le scarpe accatastate in ogni angolo e i vesti-ti appesi ovunque facevano oramai parte dell’arredamento.Per non parlare dei libri, quaderni, chiavi... si potevanotrovare nei posti più impensati. La cucina era un proble-ma, piccola, freneticamente affollata.Quando l’ispettore usciva di casa, di solito per ultimo,

aveva una pena nel cuore pensando a sua moglie Leda cheogni mattina si trovava con l’ingrato compito di riportarea un ordine decente quelle poche stanze.Quella mattina si era offerto di accompagnare a scuola

Asia, visto che Nadia non prendeva la macchina per anda-re al lavoro in quanto membro di un gruppo di car sharinge Giuseppe era dovuto scappare poco dopo l’alba per aiu-tare un suo amico giardiniere nel taglio delle siepi nellavilla di un noto cantante, dall’altra parte della città. Avevaabbastanza tempo a disposizione. La bambina, però, si era

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piazzata di fronte a Leonardo, cercando di consolarlo perla sua assenza, e l’ispettore Antonelli aveva dovuto faticarenon poco per convincerla a salire in macchina. Era riusci-to a rispettare i tempi quasi al secondo, nonostante tutto.Due minuti prima delle otto e trenta era in ufficio.

“Cosa vorresti dire?” chiese l’ispettore dopo aver riflet-tuto sulle parole dell’agente Baldi.“Solo una sensazione. La donna viveva da sola, era

vedova e in pensione. Sembra che non avesse una vitatanto movimentata, era una professoressa di storia e sidilettava ancora nello studio. Probabilmente una sensa-zione stupida, lo ammetto. Ma… è che io mi immaginogli studiosi disordinati, libri poggiati ovunque, fogli pienidi appunti in giro per la casa… insomma, un po’ di sanocasino.”“Anche la finestra spalancata…” buttò là improvvisa-

mente l’ispettore Antonelli mentre stava cercando di ela-borare le affermazioni dell’altro.“Anche quella è un’anomalia. Proprio così.

Un’anomalia bella e buona. Lei sarebbe andato a dormirecon la finestra aperta in questi giorni? Fa freddo, nellanotte la temperatura scende prossima allo zero.”“A meno che la morte non l’abbia colta all’improvviso.

Magari aveva aperto la finestra per cambiare l’aria e non haavuto il tempo… certo, queste operazioni si fanno primadi mettersi sotto le coperte.”L’agente Baldi annuì.“Mah!” disse infine l’ispettore, “attendiamo l’autopsia.

Se non si trovano riscontri clamorosi, chiudiamo il caso eci mettiamo l’anima in pace. Dai, Baldi, va’ a riposarti!”.

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***

La prima volta era stata ai cancelli della scuola. In primaelementare. Aveva supplicato con lo sguardo. Aveva imploratocon il pensiero infinite volte. Non lasciare la mia mano,mamma. Non mi abbandonare. Era arrivata all’improvviso,quella sensazione. Un buco dalle parti basse dello stomaco eun inatteso giramento di testa. Si era piantato con i piedi perterra quasi a sincerarsi che l’asfalto non lo stesse trascinandovia. Aveva alzato il volto al cielo e respirato profondamente.Con la mano destra nel vuoto a cercare inconsapevolmente ilcontatto di sua madre, senza essersi accorto che lei era già dispalle e si affrettava a salire sulla sua auto. Non mi lasciaresolo, mamma. Non mi lasciare solo, ti scongiuro. E il cielocominciò a roteare. Le nuvole parevano una giostra allegra cheaccelerava pericolosamente i propri giri. Non riuscì a coprirsigli occhi. Non riuscì a evitare di essere risucchiato in un vuotoscuro apparso proprio in mezzo al cielo.Quando riprese conoscenza, era sdraiato su un divano di

stoffa. Solo. La stanza silenziosa. Dei passi andavano e veni-vano in un corridoio non troppo distante. Voci di bambiniarrivavano soffocate da perentorie adulte ingiunzioni. Tornòper un attimo la quiete. E in quella quiete la porta si aprì.Un uomo sulla sessantina avanzava a passo svelto, dietro dilui una donna molto più giovane. L’uomo indicò il bambinosdraiato sul divano. Lei si avvicinò sorridendo. Si piegò ingi-nocchiandosi e prese la mano del bambi-no. “Mamma” glivenne da pensare.All’età di sedici anni riuscì a scendere a patti con il suo

male. La guerra non avrebbe mai potuto vincerla.

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