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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA DEI SERVI

Il Gibbo www.ilgibbo.it

V domenica di Pasqua, anno B 29.04.2018

Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 28 aprile 2018 Lectio Divina alle ore 15.30

Io sono la vite, voi i tralci.

Prima lettura.

(At 9,26-31)

In quei giorni, Saulo, venuto a

Gerusalemme, cercava di unirsi ai

discepoli, ma tutti avevano paura di lui,

non credendo che fosse un discepolo.

Allora Barnaba lo prese con sé, lo

condusse dagli apostoli e raccontò loro

come, durante il viaggio, aveva visto il

Signore che gli aveva parlato e come in

Damasco aveva predicato con coraggio

nel nome di Gesù. Così egli poté stare

con loro e andava e veniva in

Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con

quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i

fratelli lo condussero a Cesarea e lo fecero partire per Tarso.

La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si

consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo,

cresceva di numero.

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Seconda lettura.

(1Gv 3,18-24)

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.

In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro

cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e

conosce ogni cosa.

Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e

qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi

comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.

Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e

ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi

comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in

noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Vangelo

(Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è

l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta

frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho

annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non

rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci.

Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, ‘0perché senza di me non potete far

nulla. . Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca. In questo è

glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli

IL COMMENTO DI RONCHI - MARCOLINI

(Da Le ragioni della speranza, commento ai vangeli domenicali, anno B, 128 - 132)

Cornice al Vangelo è la chiesa di Santa sopra Minerva, a due passi dal Pantheon, a Roma,

Giorgio Ciacchella ci guida alla scoperta del luogo.

«La chiesa è custodita dai padri Domenicani ed è così. chiamata perché si riteneva che fosse sorta

sin dall’VIII secolo sui resti dell'antico tempio di Minerva Calcidica, Nel 1280 fu riedificata in stile

gotico ed è considerata l'esempio più puro di questo stile architettonico a Roma. Tra le molte

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opere importanti spiccano i bellissimi affreschi di Filippino Lippi nella cappella Carafa, eseguiti

alla fine dei '400 con storie della vita della Vergine. È inoltre molto famosa la statua di

Michelangelo raffigurante il Cristo Redentore. Sotto l'altare maggiore riposano le reliquie di santa

Caterina da Siena. Possiamo infine ammirare anche la bellissima lastra marmorea della tomba del

Beato Angelico».

① Stupendo brano di Giovanni, dove Gesù fa piazza pulita di tanto cascame di fede stantia, di

tanti pesi inutili caricatici sulle spalle. Vangelo dell'assoluto amore, dell'indissolubile amore.

Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola

linfa. Lui in me e io in lui, come figlio nella madre, come madre nel figlio. Indipendentemente da

ciò che faccio o non faccio, dai miei meriti, dalle mie virtù, dai miei sbagli.

Dice: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato». Siamo già puri solo per

intervento suo, per la sua parola. Il Vangelo entra e spazza via tutte le cose sbagliate,

immature, puerili che ho pensato, che ho detto, che ho fatto. Siamo liberi dal senso di colpa,

resi ala leggera per poter volare al soffio dello Spirito.

Questo A UNA SOLA CONDIZIONE, che non è un condizionamento, ma la base della mia

esistenza: nutrirmi della sua stessa linfa. «Rimanete in me».

“Voi in me, io in voi”. E non sono parole astratte come le parole che usa anche l'amore umano.

Rimanere insieme dei due che si amano, nonostante tutte le distanze e tutti gli inverni, nonostante

le forze che ci trascinano via, Resta con me.

Come si fa? Ebbene, non è difficile. Il primo passo è fare memoria che tu sei già in lui, che lui è

già in te . Non devi inventare niente, non devi costruire nulla. Soltanto mantenere ciò che è già

dato. Prendere consapevolezza che c'è una energia che scorre in te, che proviene da Dio, che

non viene mai meno, alla quale puoi sempre attingere. Tu solo aprire strade, aprire canali a questa

linfa.

② Chi vive in campagna avrà notato che all'inizio della primavera sui tralci potati affiora una

goccia di linfa limpida, che luccica sulla punta del ramo. Mio padre mi portava nella vigna dietro

casa e me la indicava; vedi — diceva — è la vite che va in amore.

Quella linfa, quella goccia d'amore che tante volte ho visto brillare e tremare sulla punta del tralcio

potato, mi parla di me e di Dio: mi dice che c'è un amore che sale dalle radici del mondo, che

mi raggiunge e mi attraversa.

C'è una vita che viene da prima di me, viene da Dio e va in amore, va in frutti d'amore. E io sono

come vite in perenne primavera. E dice a me, piccolo tralcio: ho bisogno di te per una vendemmia

di. sole e di miele.

Il centro di questo brano è nel sostantivo frutto e nel verbo potare. «Ogni tralcio che porta frutto,

lo pota perché porti più frutto». Il dono della potatura... Potare non significa amputare, ma dare

vita, ogni contadino lo sa. E significa anche dare orientamento, ordine, anche porre dei limiti e

dire dei no. Ma rinunciare a tutto ciò che è superfluo equivale a fiorire.

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1.3.3

Sono inaccettabili per me quelle interpretazioni che leggono le potature come le

sofferenze portate dalla vita. Come se il dolore fosse amico dell'uomo, fosse un bene. No, non è

così.

③ Gesù è sempre semplice nel suo parlare e non mi chiede astrazioni o cose

complicate. Mi chiede: va' in una vigna e osserva le viti.

Io vado e guardo una vigna abbandonata. Questa sì che è un'immagine di sofferenza. La vite non

potata soffre, si aggroviglia su se stessa, cade dal palo, si allunga in tralci sempre più esili e arruf-

fati, si ammala, dà pochissimi acini aspri, perfino le foglie sbiadiscono.

La vite potata invece è bella e rigogliosa, le foglie sono grandi e di un verde brillante, sta eretta e

riesce così a non perdersi neanche un raggio di sole, che convoglia nei suoi grandi grappoli gonfi

di acini, pieni di succo.

Esplode di vita, è tracimante di una gioia di vivere che anche altri gusteranno. Nessuna vite

sofferente dà buon frutto. Prima di tutto devo essere sano io, gioioso io. Così Dio mi vuole.

È come se Gesù dicesse: non ho bisogno di sacrifici, ma di grappoli buoni, non ho

bisogno di sofferenze, ma che tu fiorisca. Infatti il Vangelo termina con queste parole: «In

questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto».

Il nome nuovo della morale, secondo li Vangelo è fecondità: gloria di Dio è il frutto buono, un

frutto buono che ha il gusto di tre cose sulla terra: amor e, libertà e coraggio.

Non c'è amore senza libertà, libertà non c'è senza coraggio. E amore, libertà e coraggio sono la

linfa e i frutti buoni di Dio in noi.

Amici, mi sento

un tino bollente

di mosto dopo

felice vendemmia.

In attesa del travaso.

Già potata è la vite

Per una nuova primavera.

(David Maria Turoldo)

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IL COMMENTO DI RAVASI

(da Secondo le Scritture, doppio commento alle letture della domenica, anno B, II, 120 – 133)

Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha

piantato, il germoglio che ti sei coltivato!: questa invocazione del

Salmo 80 ci introduce in un orizzonte simbolico che la Bibbia ama e che il Vangelo di oggi ci

ripropone in una celebre pagina dei discorsi tenuti da Gesù l'ultima sera della sua vita

terrena. Così, Isaia in un mirabile «canto della vigna» (5, 1-7) sceneggia la delusione di Dio

nei confronti di Israele, ma in un'altra lirica ne esalta la bellezza: «Io, il Signore, ne sono il

guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che venga danneggiata, io ne ho cura giorno e notte.

Essa si stringe alla mia protezione, faccia la pace con me, con me faccia la pace!» (27, 3.5).

Geremia (5, 10; 6, 9; 12, 10-11), Ezechiele (15, 1-6; 17, 5-10; 19, 10-14), Osea (10, 1; 14, 8) e

altri profeti celebreranno con passione questo simbolo.

E lo stesso Gesù lo riprenderà per le sue parabole degli operai nella vigna (Mt 20, 1-6), dei due

figli (Mt 21, 28-32), dei vignaioli omicidi (Mt 21, 33-44), del fico piantato nella vigna (Lc 13, 6-9).

ORA, PERÒ, L'IMMAGINE È USATA ÍN MODO NUOVO: la vite non è più Israele, il

popolo di Dio, ma lo stesso Cristo. Tuttavia subito dopo, attraverso i tralci, si fa capire che in

Gesù l'intera comunità dei credenti confluisce in lui, ricomponendo l'antico segno biblico. Perciò

il tema dominante — se vogliamo usare i solenni termini teologici — è cristologico ed

ecclesiologico. In questa «vera vite» c'è il profilo di Cristo e la nostra realtà in modo compatto. È

solo attraverso la violenza, il «taglio» del peccato che l'uomo sí stacca da quella sorgente

di vita, precipitando per terra e nel fuoco. Agostino con una frase lapidaria latina commentava:

«Aut vitis aut ignis», «o la vite o il fuoco». Dall'immagine quasi estiva di una vite florida e

lussureggiante di fogliame fiorisce, allora, una riflessione suggestiva.

La fede come intimità, come comunione. È «rimanere» in Cristo e questo verbo in greco

significa anche «dimorare», avere una comune residenza ed esperienza di vita. Su questo verbo

Giovanni intesse una sua personale meditazione destinata ad esaltare l'unità di tutta la Chiesa e del

singolo credente in Cristo. Alla pallida spiritualità dí molti cristiani che sentono la loro religiosità

come un obbligo o come un mantello esterno, Gesù oppone la religione della comunione in-

teriore, della vivacità, dell'amore, dell'adesione gioiosa. Non per nulla la Bibbia ha usato come

simbolo più alto per rappresentare il legame tra Dio e l'uomo. quello dell'amore nuziale: «Sì, come

un giovane sposa la sua ragazza così ti sposerà il tuo Creatore; come lo sposo è pieno di gioia per

la sua sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62, 5).

Il colloquio con Dio dev'essere dolce come lo è tra due innamorati. La confessione della vita

dev'essere totalmente trasparente. La debolezza dell'uomo è sostenuta dalla potenza del suo

Signore. Una comune vita circola all'interno delle due esistenze. In un'unica parola possiamo

riassumere la parabola giovannea della vigna e questa parola è amore, un termine scandito con

insistenza all'interno delle pagine del quarto vangelo e della Prima Lettera di Giovanni. Da questa

comunione nascono meraviglie, è quel «portare frutto» che Gesù arriverà persino a descrivere

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così: «Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi?» (Gv 14, 12). Ma

uscire da questa comunione significa solo morte. Il tralcio seccato è simile alla pula arida e impal-

pabile che sí distacca dal grano ed è bruciata o portata via dal vento (Sal 1, 4).

Gesù, però, presenta la vite anche a primavera, appena passato l'inverno. È solo un cenno ma

significativo: «Ogni tralcio che porta frutto il vignaiolo lo pota perché porti più frutto».

Subito dopo egli aggiunge: «Voi però siete già mondi», purificati, «potati». È chiaro, allora, che

cosa significhi la potatura che fa gemere la vite, è la purificazione, è un'opera d'amore e di

premura nonostante la sofferenza e il travaglio che genera. Infatti, poche settimane dopo, la vite

ritorna in tutto il suo splendore. L'oscurità della sofferenza non è totale; all'interno di essa si apre

uno spiraglio di speranza e di luce. «Le mani di Dio -scriveva il pastore D. Bonhöffer sono mani

ora di grazia ora di dolore ma sono sempre mani d' amore ».

L'atto della potatura non è, quindi, una nota stonata ma un gesto necessario, anche se faticoso. E

ancora in quella sera che Gesù ha detto, usando una delicata immagine: «La donna, quando

partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si

ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (16, 21). E pochi giorni

prima aveva dichiarato, usando un simbolo agricolo: «Se il chicco di grano caduto in terra non

muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Il discorso sulla «vera

vite» diventa, allora, un simbolo d'amore e di dolore ma non in forma antitetica perché la

sofferenza può nascere dall'amore e produrre amore.

È curioso notare, al termine di questa nostra riflessione, che la tradizione cristiana ha visto in

questa parabola della vite un segno dell'eucaristia, il sacramento della morte salvifica del

Cristo e della comunione con noi e della nostra unione con lui. In uno dei testi cristiani

antichi, la Didacbè («L'insegnamento» degli apostoli), all'interno della preghiera eucaristica si

inserisce questa invocazione: Tí ringraziamo, Padre nostro, per la santa vite dí Davide, tuo servo, che tu ci

hai manifestato per mezzo di Gesù, tuo servo.