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Testo e scansioni: Dott. Balconi Gianluca – Impaginazione, immagini e grafica: Errichelli Giancarlo 1 CORSO ASA OSS ISTITUTO CASNATI 2010 – ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL SISTEMA NERVOSO IL NEURONE. (vedi fig. 1) Il neurone è la cellula caratteristica del tessuto nervoso, è l’elemento capace di condurre gli impulsi nervosi ad elevate velo- cità e capace di creare le vie nervose e i circuiti neuronali che rendono il sistema nervoso una perfetta centrale di controllo di tutte le funzioni del nostro organismo. Come illustrato nello schema il neurone è una cel- lula costituita di un “corpo” (detto anche pirenoforo) che presenta alcuni prolungamenti corti e numerosi,i den- driti, e un pro- lungamento lungo chiamato assone o cilindrasse che mette in comunica- zione distalmente la cellula nervosa con altre cellule andando a realizza- re un contatto det- to sinapsi. Nelle sinapsi in realtà gli assoni non en- trano mai in con- tatto diretto tra loro essendovi tra la membrana presinaptica (quella del primo as- sone) e la membrana postsinaptica (quello del secondo assone) uno spazio detto spazio intersinaptico o fessura sinaptica. Nella fessura sinaptica vengono rilasciati particolari mediatori, i neuro-trasmettitori, deputati a depolarizzare la membrana po- stsinaptica e quindi a trasmettere l’impulso nervoso da una cellu- la alla successiva. Il neurone è circondato da cellule di sostegno e di nutrimento che prendono il nome di cellule gliali, piccole e rotondeggianti. Alcune di esse vanno a costituire una guaina di rivestimento del cilindrasse (o assone) formando la guaina mieli- nica, importante manicotto isolante dell’assone che permette la trasmissione dell’impulso nervoso ad alta velocità. Nel sistema nervoso periferico le cellule che producono la mielina sono dette cellule di Schwann. Nel sistema nervoso centrale invece si parla

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CORSO ASA OSS ISTITUTO CASNATI 2010 – ANATOMIA E FISIOLOGIA DEL SISTEMA

NERVOSO

IL NEURONE. (vedi fig. 1)

Il neurone è la cellula caratteristica del tessuto nervoso, è

l’elemento capace di condurre gli impulsi nervosi ad elevate velo-

cità e capace di creare le vie nervose e i circuiti neuronali che

rendono il sistema nervoso una perfetta centrale di controllo di

tutte le funzioni del nostro organismo.

Come illustrato

nello schema il

neurone è una cel-

lula costituita di

un “corpo” (detto

anche pirenoforo)

che presenta alcuni

prolungamenti corti

e numerosi,i den-driti, e un pro-

lungamento lungo

chiamato assone o

cilindrasse che

mette in comunica-

zione distalmente

la cellula nervosa

con altre cellule

andando a realizza-

re un contatto det-

to sinapsi. Nelle

sinapsi in realtà

gli assoni non en-

trano mai in con-

tatto diretto tra

loro essendovi tra la membrana presinaptica (quella del primo as-

sone) e la membrana postsinaptica (quello del secondo assone) uno

spazio detto spazio intersinaptico o fessura sinaptica.

Nella fessura sinaptica vengono rilasciati particolari mediatori,

i neuro-trasmettitori, deputati a depolarizzare la membrana po-

stsinaptica e quindi a trasmettere l’impulso nervoso da una cellu-

la alla successiva. Il neurone è circondato da cellule di sostegno

e di nutrimento che prendono il nome di cellule gliali, piccole e rotondeggianti. Alcune di esse vanno a costituire una guaina di

rivestimento del cilindrasse (o assone) formando la guaina mieli-nica, importante manicotto isolante dell’assone che permette la

trasmissione dell’impulso nervoso ad alta velocità. Nel sistema

nervoso periferico le cellule che producono la mielina sono dette

cellule di Schwann. Nel sistema nervoso centrale invece si parla

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di oligodendrociti, ma in definitiva la funzione dei due tipi di cellule è identica.

COSTITUZIONE DEL SISTEMA NERVOSO: il sistema nervoso nel suo in-

sieme è costituito di due parti ben distinte, ma sempre stretta-

mente connesse tra loro: il Sistema Nervoso Centrale e il Sistema Nervoso Periferico.

Il Sistema Nervoso Centrale consta di una parte alloggiata nel ca-

nale vertebrale della colonna vertebrale, midollo spinale, e di una parte ospitata nella scatola cranica, l’encefalo. Dal midollo spinale prendono parte almeno in apparenza, tutti i principali

nervi periferici, tranne i nervi cranici, che originano

dall’encefalo all’interno della scatola cranica.

A sua volta l’encefalo è formato da diverse parti in intima con-

nessione tra loro. Procedendo in senso rostro caudale, cioè

dall’alto in basso, troviamo: il telencefalo, ossia la parte più sviluppata, che occupa gran parte della scatola cranica, costitui-

ta dagli emisferi cerebrali e dalle struttura di connessione (cor-

po calloso,fornice, talami,terzo

ventricolo e ventricoli laterali).

Gli emisferi cerebrali presentano

profonde incisure che delimitano

delle aree dette lobi. Ogni lobo

cerebrale è sede di una ben preci-

sa funzione. Subito sotto il te-lencefalo abbiamo il diencefalo, formato da ipotala-

mo,talami,epitalamo. Il telencefa-

lo e il diencefalo (che sono, si

badi, in realtà, un'unica grossa e

complessa struttura) sono detti

nel loro insieme PROENCEFALO.

SUBITO SOTTO vi è UNA FORMAZIONE

Più PICCOLA, IL MESENCEFALO, co-

stituito dai peduncoli cerebrali e

dalla lamina quadrigemina, infine

la struttura più caudale e poste-

riore è il cosiddetto ROMBENCEFA-

LO, costituito dal Ponte di Varo-lio, dal Cervelletto e dal midollo allungato (quest’ultimo viene an-

che detto dagli anatomisti Mielen-

cefalo, perciò se trovate tale di-

citura,non vi spaventate, si trat-

ta per l’appunto solo del midollo

allungato, subito prima di uscire

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dalla scatola cranica per divenire midollo spinale).Il midollo al-

lungato viene anche chiamato bulbo, per la sua forma ovalare. Il bulbo si prosegue in basso col midollo spinale e in alto col PONTE DEL VAROLIO. Quest’ultimo è connesso a sua volta, tramite i cosid-detti peduncoli, al cervelletto. I peduncoli che uniscono il ponte

del Varolio al cervelletto sono sei, tre per lato, denominati pe-duncolo cerebellare superiore, medio e inferiore ( come vedete la

fantasia nomenclatoria degli studiosi di anatomia non conosce li-

miti!).

Il cervelletto è un

organo del peso di

circa 300 gr posto

dietro il ponte del

Varolio e al di sotto

del cervello. E’

strettamente connesso

sia con il midollo

allungato che col ta-

lamo e per mezzo di

questo con la cortec-

cia cerebrale (del

telencefalo). Svolge

importanti funzioni

per il mantenimento

della posizione del

corpo nello spazio, è

sede del senso

dell’equilibrio e

contribuisce con al-

tre zone del cervello al controllo dei movimenti.

Il cervello nel suo insieme pesa circa 1100 gr (nella femmina) e

fino a circa 1300-1400 gr. (nel maschio), tuttavia l’intelligenza

non è correlata col peso o le dimensioni di tale organo, anche se

Dal punto di vista filogenetico gli animali più sviluppati dimo-

strano un telencefalo molto più sviluppato rispetto ad animali più

primitivi.

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LA SOSTANZA BIANCA E LA SOSTANZA GRIGIA

Osservando

l’encefalo in

una qualsiasi

figura

dell’atlante a-

natomico vediamo

che la parte e-

sterna è di co-

lorito grigio,

le parti illu-

strate

all’interno sono

bianche. Anche in natura

è così, infatti

la sottile parte

esterna grigia,

nota come Cor-teccia cerebra-le, è in realtà

la sede dei neuroni che vi si trovano in numero elevatissimo ( ol-

tre dieci miliardi!).

Gli assoni o cilindrassi di

questi neuroni vanno a costi-

tuire la sostanza bianca. Al

di sotto della corteccia i ci-

lindrassi costituiscono le vie

nervose e si interrompono

quando incontrano altre forma-

zioni neuronali, cioè insiemi

di neuroni che vanno a formare

i nuclei che si trovano

all’interno dell’encefalo. O-

gnuno di tali nuclei ha una

funzione precisa ma per la no-

stra trattazione non è impor-

tante esaminarle tutte.

Anche dentro gli emisferi ce-

rebrali scorre il liquido ce-

falorachidiano che è ospitato

in strutture che sono detti

ventricoli, in quanto sono

strutture cave.

Il ventricolo che si trova

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sotto gli emisferi cerebrali, in po-

sizione mediana e disposta sagittal-

mente si chiama III ventricolo, da

esso si dipartono due ventricoli pa-

ri e simmetrici che occupano parte

dell’emisfero cerebrale corrispon-

dente, detti ventricoli laterali,

rispettivamente destro e sinistro. I

ventricoli laterali ospitano forma-

zioni particolari dette plessi co-rioidei dai quali viene prodotto il liquido cefalorachidiano, che vedre-

mo nel prossimo paragrafo. Il III

ventricolo prosegue in basso con uno

stretto canale che si apre infine

nel IV e ultimo ventricolo cerebra-

le, posto sotto il cervelletto e

dentro il Ponte del Varolio: IV ven-tricolo. Il IV ventricolo è importante perché attraverso piccoli fori che in esso vi sono il liquor può passare dai ventricoli alle cisterne e ai fiumi che circondano esternamente l’encefalo (vedi paragrafo successivo).

Il liquido cefalo rachidiano o liquor. (vedi fig. 2 e 3)

Il cervello è

immerso in un

liquido chiaro

che ha la fun-

zione di proteg-

gerlo e di nu-

trirlo, chiamato

liquido cefalo-

rachidiano. Tale

liquido scorre

intorno e dentro

le strutture ce-

rebrali in appo-

site cisterne,

formate da una

specie di invo-

lucro che avvol-

ge il cervello,

costituito da

tre membrane

chiamate Dura Madre, Aracnoide

e Pia Madre che nel complesso vengono dette Meningi. La composi-zione del liquor è diversa da quella del sangue, assomigliando di

più a quella del plasma, il liquor ha un colore chiaro e limpido

ed è estremamente povero in cellule. Durante malattie quali la me-

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ningite il liquor assume un colorito giallastro e appare molto più

denso. Il prelievo del liquor è un importante presidio diagnosti-

co. Il liquor serve anche a veicolare farmaci che vengono poi tra-

sportati all’encefalo e che possono entrare così in diretto con-

tatto con esso ( tecniche quali anestesia spinale peridurale

ecc.).

Il liquor scorre in spazi formati dai rientri e dalle incisure ce-

rebrali che secondo le loro dimensioni prendono il nome di cister-ne o di fiumi. Per la nostra trattazione non è importante che ne conosciate i nomi. Ricordate che , come vedremo nel capitolo sulle

patologie cerebrali, lo spazio compreso tra le meningi può diveni-

re sede di emorragia in caso di rottura di un vaso e dare origine

a emorragie sub aracnoidee (ESA).

LE AREE DELLA CORTECCIA CEREBRALE

La corteccia cerebrale o neopallio è uno strato di cellule grigie dello spessore di alcuni millimetri che riveste la parte esterna

del telencefalo. La cortec-

cia è suddivisa in aree o

lobi da profonde scissure

di cui le più importanti

sono la scissura di Rolando e la scissura di Silvio. La scissura di Rolando è quasi

verticale e separa la cor-

teccia del lobo frontale da quella del lobo parietale. La scissura di Silvio divi-

de quest’ultima dal lobo temporale e dal cosiddetto

lobo dell’insula. Per sem-

plificare si osservi la fi-

gura. Ogni area ha una sua

precipua funzione. Il polo

anteriore della corteccia cerebrale è sede delle attività superio-

ri (pensiero, volontà, decisione ecc). La corteccia del lobo tem-

porale ospita i centri del linguaggio e della scrittura, la cor-teccia del lobo prefrontale invece dà origine alle vie motorie più

importanti, conosciute in base al loro decorso come via piramidale

e via extrapiramidale.

Scissura di Rolando

Scissura di Silvio

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CROCEVIA

LE VIE MOTRICI SONO DISTINTE IN PIRAMIDALE ED EXTRAPIRAMIDALE.

(fig. 6)

I fasci di fibre nervose della via

Piramidale propria, che origina

dalla corteccia prefrontale o fron-

tale ascendente in prossimità della

scissura di Rolando scendono nella

capsula interna della sostanza

bianca e si dirigono poi o ai nervi

cranici, oppure scendono alle pira-

midi bulbari destra e sinistra per

poi decorrere nel fascio cosiddetto

piramidale diretto o crociato, po-sti rispettivamente nel cordone an-teriore e nel cordone laterale del midollo spinale. Il fascio pirami-

dale diretto, nel decorso verso la

parte caudale del midollo, cede man

mano fibre ai nuclei contro latera-

li della sostanza grigia. In tal

modo tutte le fibre durante la di-

scesa si incrociano e vanno a in-

nervare i muscoli della metà contro

laterale del corpo.

I nuclei delle corna anteriori del midollo spinale originano le

fibre della radice ventrale o anteriore dei nervi spinali. A li-

vello del tronco encefalico originano invece le fibre dei nervi

cranici motori oppure la componente motoria dei nervi cranici mi-

sti. Nervi cranici motori sono il IV (trocleare)VI (abducente),

VII (faciale),XI (accessorio) XII (ipoglosso), sono misti il III

(oculomotore) il V (trigemino), il IX (glosso faringeo) e il X

(vago, quest’ultimo il nervo più importante e ramificato, a parte

lo sciatico).

La via motrice piramidale che abbiamo appena visto è la via motri-

ce volontaria, che presiede ai movimenti più fini e coordinati.

Essa viene per così dire aiutata nelle sue funzioni dalla via ex-

trapiramidale o via motrice involontaria. Essa ORIGINA nel lobo

frontale e nel lobo parietale e dopo aver stazionato a livello dei

nuclei della base raggiunge il cervelletto e poi ritorna al Ponte

di Varolio e infine scende lungo il bulbo e il midollo spinale.

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LESIONE DELLE VIE MOTRICI

L’INTERRUZIONE DELLE VIE MOTRICI PIRAMIDALE E EXTRAPIRAMIDALE IN

QUALSIASI PUNTO DEL LORO PERCORSO DETERMINA PERDITA O DIMINUZIONE

DEI MOVIMENTI VOLONTARI E UNA MODIFICAZIONE DEI RIFLESSI E DEL TO-

NO MUSCOLARE. Lesioni del cervelletto causano disturbi o perdita dell’equilibrio, della corretta postura e del tono muscolare, pro-

prio per la sua connessione con le vie motrici extrapiramidali.

L’IPOTALAMO

Al di sotto dei nuclei talamici e

sotto il III ventricolo è posta

una piccola formazione ove sono

concentrati un gran numero di nu-

clei importanti per la nostra vi-

ta. Essendo posto sotto il talamo

questa formazione è stata definita

Ipotalamo.

Funzioni dell’ipotalamo. I nuclei

dell’ipotalamo hanno diverse im-

portanti funzioni tra cui: con-

trollo della pressione e della vo-

lemia mediante la secrezione di

ADH, cioè ormone antidiuretico, da parte dei nuclei sopraottico e paraventricolare.

Regolazione del metabo-

lismo dei carboidrati

dei grassi e delle pro-

teine.

Regolazione della tem-

peratura corporea agen-

do sulla vasocostrizio-

ne e sulla vasodilata-

zione periferiche.

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VIE SENSITIVE

Per quanto riguarda le vie sensitive il discorso è più complesso

rispetto a quello delle vie motrici (che ricordiamo sono quella

volontaria o piramidale e involontaria o extrapiramidale).

Bisogna dire anzitutto che mentre

le vie motrici hanno come stazione

finale i muscoli scheletrici (in-

nervati da fibre specifiche che

originano in grossi motoneuroni

del midollo delle corna anteriori

chiamati motoneuroni alfa) e i fu-

si neuromuscolari (innervati da

motoneuroni più piccoli detti gam-

ma), le vie sensitive originano

invece da una molteplicità di

strutture sensitive, e si dirigono

in modo centripeto allo S.N.C. che

raggiungono grazie all’assone cen-trale delle cellule a T dei gangli spinali o dei gangli dei nervi

cranici. Ma vediamo dapprima quali

sono i recettori dai quali origi-

nano i neuroni periferici del neu-

rone a T del ganglio spinale.

Il caldo e il freddo : corpuscoli di Ruffini e di Krause. Nel derma della nostra cute troviamo queste piccole formazioni tondeggianti ca-

paci di percepire anche modeste variazioni della

temperatura.

Essi sono i recettori della

sensibilità termica.

La pressione : due ulteriori tipi di recettori so-no i corpuscoli di Golgi (vedi sotto la ricostruzione

3D)e quelli di Vater-Pacini (vedi a lato). I

primi sono sensibili alle variazioni di

pressione legge-

re, i secondi

alle pressioni

forti esercitate

sulla cute.

Il dolore : non è stato stabili-

to con

certezza quali siano i recettori del

dolore, ma per semplicità consideriamo che vi siano dei recettori

Corpuscolo di Ruffini

Corpuscolo di Krause

Corpuscolo di Vater-Pacini

Corpuscolo di Golgi

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specifici anche per il dolore presenti nella cute e nei vari orga-

ni ed apparati.

LE CORNA POSTERIORI DEL MIDOLLO SPINALE

Gli assoni delle cellule dei gangli spinali e dei gangli dei nervi cranici si dividono in due : assone periferico, che collega i cor-

puscoli recettori visti prima col ganglio, e assone centrale, che

abbandonato il ganglio penetra nei corna posteriori del midollo spinale. Quindi la vera origine delle vie afferenti sensitive è il

ganglio a T spinale del nervo spinale stesso.

La sensibilità epicritica e la sensibilità protopatica.

La sensibilità epicritica corri-

sponde all’insieme delle seguenti

sensibilità :

- sensibilità propriocettiva,

- sensibilità tattile discrimina-

ta

- sensibilità termica tra 45 e 55

gradi.

La via nervosa che reca tale tipo

di sensibilità prende il nome di

via spino-bulbo-talamo-corticale

perché i neuroni che recano gli im-

pulsi di tali sensazioni contraggo-

no sinapsi nelle stazioni corrispondenti. Per sensibilità proprio-

cettiva si intende la capacità di percepire la posizione dei seg-

menti corporei nello spazio e la tensione muscolare associata

(funzione propria dei cosiddetti fusi neuromuscolari). La via sen-

sitiva della sensibilità epicritica raggiunge la corteccia cere-

brale del lobo parietale nella regione post-rolandica dove viene

elaborata e rappresentata dal cervello a livello cosciente.

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La sensibilità protopatica è l’insieme delle sensibilità dolorifi-ca, termica e tattile indiscriminata, è invece più grossolana e indistinta, ma forse più immediata. I neuroni a T o meglio la par-

te centrale del loro assone, penetrata nella sostanza grigia, su-

bito passano ai cordoni anteriori e laterali della sostanza bianca

del midollo, ascendono al talamo e di qui dopo una seconda sinapsi

giungono alla corteccia post-rolandica dell’area parietale (per la precisione circonvoluzione parietale ascendente, ma è una definizione per tecni-

ci).In genere prima di giungere al talamo le vie sensitive si in-

crociano e quindi le vie sensitive dell’emisoma sinistro arrivano

alla corteccia di destra e

vice versa.

Altre denominazioni. Secon-do i vari autori possiamo

trovare altre classifica-

zioni della sensibilità:

sensibilità soggettive e

oggettive. Vengono classi-

ficate come soggettive tre

tipi di sensibilità: il

prurito il dolore e le pa-

restesie (comunemente rife-

rite come formicolii). Sen-

sibilità oggettive invece

sono le sensibilità super-

ficiali e profonde, vitali

e gnosiche, protopatiche ed

epicritiche, esterocettive

e propriocettive.

LESIONI DEL MIDOLLO SPINALE E SENSIBILITÀ.

A seconda della localizzazione le lesioni del midollo possono in-

teressare prevalentemente le vie della sensibilità profonda oppure

della sensibilità tattile e superficiale. Per esempio nella sirin-gomielia vengono lese le fibre nervose della sostanza grigia pe-riependimale e quindi si ha perdita della sensibilità termica e

dolorifica, mentre viene conservata la sensibilità tattile (infat-

ti il cordone posteriore che ospita i fascicoli di Goll e Burdach

rimane intatto).

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Nella sindrome da Emisezione (sindrome cosiddetta di Brown e Se-quard) del midollo spinale si verifica perdita della capacità mo-toria e della sensibilità propriocettiva dal lato della lesione,

dal lato contro laterale alla lesione anestesia termica e dolori-

fica. Tale sindrome si verifica per la presenza di tumori intra o

extramidollari, degenerazione del midollo, traumi.

Sindrome da lesione trasversa completa: la sezione completa del midollo si esprime con tre fasi successive a livello clinico

1) Fase dello shock midollare con comparsa di paralisi flaccida a valle della sezione, abolizione dei riflessi sia tendinei

che cutanei, anestesia totale delle regioni corporee sotto la

sede della lesione, ritenzione di urine e feci, impossibilità

all’erezione ed eiaculazione,comparsa di turbe trofiche della

cute e delle masse muscolari, caduta della pressione arte-

riosa per vaso paralisi, ipertermia cutanea.

2) Comparsa dei fenomeni cutaneo riflessi di difesa con triplice retrazione dell’arto inferiore e comparsa di automatismi mi-

dollari con emissione di urine e feci in via riflessa

3) Fase cronica con atteggiamento tipico in flessione degli arti specie nel paraplegico

Tabe dorsale : è una condizione patologica che si riscontra in ca-so di neurolue. In questo caso vi è degenerazione dei cordoni po-

steriori con perdita della sensibilità profonda(propriocettiva co-

sciente) e tattile discriminata,mentre risultano conservate la

sensibilità termica e dolorifica

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Questo quadro si può osservare anche in caso di rammollimento del

midollo da insufficiente irrorazione ematica per embolia trombosi,

compressione delle arterie midollari ecc.

Analisi del paziente con deficit motori

Vediamo meglio alcuni aspetti della patologia delle vie motorie.

LESIONE DELLE PIRAMIDI.

La lesione delle vie piramidali comporta un segno caratteristico:

ipertonia piramidale o spasticità, che a livello clinico è eviden-ziabile col segno cosiddetto del temperino o del coltello a serra-manico, perché dopo un’iniziale resistenza si ha la flessione im-provvisa dell’arto. Il pz. atteggia il piede in modo equino varo,

la sua andatura con l’arto emiplegico inferiore esteso e rigido è

detta falciante. Di contro l’arto superiore dal lato leso è fles-so. La spiegazione è che la compromissione della via piramidale

slatentizza le vie che comandano il tono posturale e i muscoli an-

tigravitari, che quindi si contraggono.

LESIONE DELLE VIE EXTRAPIRAMIDALI

La lesione delle vie extrapiramidali produce la rigidità sia dei

muscoli agonisti che antagonisti, quindi l’arto del paziente è ri-

gido si flette con difficoltà dando l’impressione di un tubo di

piombo o di una troclea dentata.

DECEREBRAZIONE

Nell’animale da esperimento

la sezione del tronco ence-

falico tra i tubercoli qua-

drigemini produce un quadro

di rigidità con tutti gli

arti estesi. Nell’uomo si

verifica una rigidità dei

mm. Antigravitari, quindi

pronazione e rotazione in-

terna degli avambracci, e-

stensione e rigidità dei 4

arti, testa in opistotono.

Questo quadro può verifi-

carsi nei traumatizzati

cranici con lesioni del

tronco o delle prime verte-

bre cervicali.

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DECORTICAZIONE

La rigidità decorticata si presenta con flessione degli arti supe-

riori, estensione degli arti inferiori, flessione plantare dei

piedi. Questo atteggiamento si verifica nei casi di lesioni tala-

miche, dei gangli della base e della capsula interna. La spiega-

zione di questi fenomeni è molto complessa e ancora oggi incerta e

comunque esula dalla nostra trattazione.(vedi figura)

LESIONE DEL NEURONE MOTORE CENTRALE E PERIFERICO

I quadri patologici che possono svilupparsi secondo che il neurone

interessato sia un neurone motore centrale o periferico sono ov-

viamente differenti. Vedremo brevemente alcune caratteristiche

delle due situazioni.

Moto Neurone centrale. In tal caso sono sempre interessati più

gruppi muscolari, mai un singolo muscolo. Compare spasticità come

detto per le lesioni piramidali. I riflessi sono aumentati e pos-

sono esservi clonie. Se la lesione riguarda il moto neurone peri-

ferico. Vi è paralisi di un singolo muscolo o di un gruppo di mu-

scoli, vi è flaccidità , i riflessi profondi sono diminuiti o as-

senti, vi sono spesso fascicolazioni e fenomeni vasomotori. Per

la nostra trattazione non è utile approfondire ulteriormente que-

sto argomento.

Test sul paziente

Consiste nell’eseguire sul paziente la prova di Mingazzini sia a-

gli arti superiori che inferiori, per saggiarne la resistenza mu-

scolare. La prova può essere eseguita tanto col paziente sdraiato

a letto che col paziente seduto.

IL COMA

1) Disturbi di coscienza

2) Disturbi del respiro

3) Disturbi delle pupille

4) Alterazioni delle funzioni motorie

Per il punto 1 vi può essere una compromissione dello stato di coscienza che permette comunque di interagire col paziente, an-

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che se questi è soporoso, rallentato e tende ad addormentarsi.

Il malato può eseguire sia pure con difficoltà ordini semplici,

risponde a stimoli verbali. Inoltre localizza lo stimolo doloro-

so e lo allontana.

In un secondo stadio il malato è soporoso e localizza con diffi-

coltà lo stimolo doloroso, non sempre riesce a fare il tentativo

di allontanarlo. Nello stadio di coma profondo il malato non a-

pre gli occhi né per stimoli verbali né dolorosi non localizza

il dolore non allontana lo stimolo doloroso. Inoltre può presen-

tare atteggiamento decorticato o decerebrato.

Il respiro: lesione emisfe-

rica o diencefalica. Respi-

ro di Cheyne Stokes, anche detto periodico, con perio-

di successivi di apnea e

iperpnea.

Lesione del mesencefalo e

del ponte: iperventilazio-ne neurogena

Lesione dei 2/3 pontini

caudali: respiro apneusti-co, a grappolo, atassico.

Lesione bulbare: respiro

regolare lento

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SISTEMA NERVOSO AUTONOMO O VEGETATITVO

Si chiama così quella parte del sistema nervoso che gestisce in

modo indipendente dalla volontà del soggetto tutte le funzioni

vitali quali la pressione arteriosa, il ritmo cardiaco, la fre-

quenza della respirazione, la secrezione acida gastrica, la su-

dorazione, la pilo erezione, il rabbrividimento per innalzare la

temperatura corporea quando fa freddo e così via.

Il sistema nervoso autonomo è classicamente diviso in due parti,

il sistema nervoso Parasimpatico e il Sistema Nervoso Ortosimpa-tico. Mentre il Sistema nervoso Parasimpatico è territorialmente limitato al capo e agli organi pelvici, l’ortosimpatico è molto

esteso e ha una tipica distribuzione metamerica, cioè che segue

un ideale suddivisione che si realizza osservando dove si collo-

cano le uscite delle radici dei nervi dalla colonna vertebrale.

L’origine del sistema Parasimpatico si trova nei nuclei nervosi

del midollo allungato e del Ponte di Varolio, inoltre nel tratto

terminale del midollo spinale.

L’origine del sistema ortosimpatico è invece la colonna laterale

della sostanza grigia del midollo spinale. Gli assoni dei neuro-

ni di tale colonna decorro nelle radici anteriori (e anche in

alcuni casi nelle posteriori) dei nervi spinali e all’altezza

del tronco nervoso del nervo, tramite due tipi di rami comuni-

canti detti rami comunicanti bianchi (fibre mieliniche) e grigi

(fibre mieliniche) vanno a fare sinapsi nel ganglio ortosimpati-

co propriamente detto. I gangli del’ortosimpatico costituiscono

così una catenella ai lati della colonna vertebrale da cui si

dipartono i nervi dell’ortosimpatico che vanno a innervare tutti

gli organi e inoltre le ghiandole sudoripare e i muscoli eretto-

ri del pelo.

Il neurotrasmettitore tipico del sistema nervoso simpatico è

l’acetilcolina (ACH), ma mentre il parasimpatico si serve sempre di questo neurotrasmettitore, l’ortosimpatico lo utilizza fino a

livello delle sinapsi gangliari, i neuroni postgangliari invece

hanno come trasmettitori tipici l’adrenalina e la nor-

adrenalina, molecole che sono note come catecolamine. Unica ec-cezione sono le ghiandole sudoripare che pure essendo innervate

dall’ortosimpatico hanno come neurotrasmettitore l’ACH.

Il sistema nervoso simpatico o vegetativo o autonomo funziona

grazie all’azione contrapposta dei suoi due sottosistemi. Infat-

ti, mentre il sistema parasimpatico rallenta le funzioni vitali

e in generale fa sì che l’organismo umano risparmi energia,

l’ortosimpatico invece accelera e potenzia tutte le funzioni. Le

catecolamine, infatti, aumentano la frequenza cardiaca e la for-

za di contrazione del cuore, la frequenza respiratoria, la pres-

sione arteriosa, la concentrazione, la pilo erezione, la secre-

zione di cortisolo da parte del surrene, aumenta il metabolismo

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degli zuccheri e dei grassi per produrre energia, insomma fa sì

che l’organismo sia pronto a reagire a situazioni di stress (at-

tacco- difesa- fuga ecc ).

LA TRASMISSIONE SINAPTICA ( per chi ha voglia di leggere.)

L’arrivo di un potenziale d’azione (AP) a una sinapsi provoca la di-

smissione nello spazio intersinaptico di quanti di neurotrasmettitore

che nel caso del sistema nervoso vegetativo è l’ACH. Se i quanta di

detto neurotrasmettitore sono sufficienti a causare un’inversione del-

la polarizzazione della membrana postsinaptica, si scatenerà un poten-

ziale d’azione nel secondo neurone, cioè in quello postsinaptico. I

recettori dell’ACH sono di due tipi diversi, come è stato dimostrato

da ricerche in cui l’atropina bloccava un tipo di recettori e la tubo

curarina ( un tipo di curaro) invece solo gli altri. I recettori che

reagiscono alla nicotina e sono bloccati dal curaro sono definiti ni-cotinici, i recettori bloccati dall’atropina e che reagiscono

all’estratto di amanita muscaria (un fungo velenoso) sono detti musca-rinici. A loro volta queste due classi di recettori per l’ACH sono

suddivisi in sottopopolazioni, per esempio i recettori muscarinici so-

no del tipo M1 se sono gangliari, o del tipo M2 se sono a livello del-la placca motrice muscolare. In natura esistono una quantità di so-

stanze capaci di interferire con la trasmissione sinaptica dei neuro-

trasmettitori. Per esempio la cocaina causa un accumulo di catecolami-ne nella sinapsi impedendo la loro rimozione dalla sinapsi stessa, e

questo spiega l’effetto eccitatorio di questa droga. Che cosa accade

all’ACH dopo la sua dismissione nella fessura intersinaptica? Essa

viene rimossa rapidamente e poi idrolizzata da un’enzima noto come a-cetil colinesterasi. Esistono sostanze come gli insetticidi fluorurati ( DFP o Isofluorato, Sarin Paraoxon,Parathion, ecc) capaci di inatti-

vare questo enzima. L’ACH si accumula allora a livello della giunzione

neuromuscolare causando una contrazione continua e spastica della mu-

scolatura, inclusa quella respiratoria, e di conseguenza causa la mor-

te per asfissia del soggetto colpito. Questi composti possono penetra-

re facilmente nel nostro organismi sia con la respirazione che attra-

verso la pelle perché sono estremamente lipofili. Da qui ben si com-

prende la loro pericolosità per coloro che lavorano a contatto con ta-

li sostanze. Dal punto di vista della farmacologia vi sono agenti anti

colinesterasici cosiddetti reversibili, nel senso che la loro azione

ha una durata limitata nel tempo, che vengono usati in terapia in ma-

lattie particolari come la Miastenia Grave o nell’atonia del muscolo

detrusore della vescica. Per completezza di trattazione ricordiamo gli

effetti dell’ACH a livello fisiologico: essa rallenta la frequenza

cardiaca, causa una vaso-dilatazione e caduta della pressione arterio-

sa, diminuisce la forza di contrazione del cuore, promuove la peri-

stalsi della muscolatura liscia intestinale, favorisce la produzione

di succhi gastrici, a livello urinario favorisce lo svuotamento della

vescica, a livello delle ghiandole sudoripare incrementa la secrezione

così come a livello delle ghiandole salivari. Gli agenti chimici che

antagonizzano l’ACH come l’atropina, infatti, causano secchezza delle

fauci e bloccano la peristalsi e la sudorazione, inoltre impediscono

la visione da vicino ( la messa a fuoco da vicino dipende dal Parasim-

poatico e quindi dall’ACH). Infine rallentano la peristalsi intestina-

le e danno stipsi. Nei bambini l’assunzione di colliri a base di atro-

pina può facilmente dare luogo a un’intossicazione da derivati della

belladonna, con confusione, delirio, secchezza delle fauci e iperter-

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mia. Anche il contatto con pomate alla scopolamina, un farmaco simile

all’atropina, può causare intossicazione nei bambini. L’atropina è co-

munque un farmaco molto utile. Rallentando la peristalsi aiuta a dimi-

nuire il dolore di tipo colico addominale, inoltre è usato in oculi-

stica per dilatare le pupille e permettere l’esame del fondo

dell’occhio.

AGENTI BLOCCANTI NEUROMUSCOLARI

Agenti che stabilizzano il potenziale di membrana come il curaro

o che causano una depolarizzazione della membrana come la succi-

nilcolina sono detti agenti bloccanti neuromuscolari e contra-

riamente alle sostanze viste finora agiscono sui recettori nico-

tinici. Il curaro è un veleno conosciuto da secoli. Gli indiani dell’amazzonia usavano avvelenare le loro frecce col curaro per

uccidere gli animali selvatici. Il curaro blocca la muscolatura

respiratoria causando rapidamente la morte. Attualmente in ane-

stesia si usano derivati del curaro per bloccare i muscoli re-

spiratori in sala operatoria e poter così operare il paziente

con maggiore tranquillità (ovviamente il soggetto viene ventila-

to in modo opportuno durante l’intervento). Anche il veleno di

molti serpenti come la Naja e il cobra agiscono in modo simile

al curaro.

Veniamo ora a trattare alcune importanti patologie del SNC che

capita spesso di incontrare nella vita professionale presso le

RSA e le cliniche in cui OSS e infermieri si trovano ad operare,

ovviamente a fianco ai medici.

LE EPILESSIE

Si tratta di una vera e propria costellazione di patologie la

cui origine rimane sostanzialmente ignota e che si presentano in

modo accessuale e periodicamente ripetitivo con attacchi in cui

il paziente può presentare una serie di sintomi che vanno dalla

perdita di conoscenza (grande male) a una crisi tonico-clonica a

coscienza conservata o addirittura a crisi di afasia o disartria

(il paziente non è più in grado, improvvisamente, di parlare o

di esprimersi e di capire quel che gli si dice). La crisi è do-

vuta a una scarica neuronale che può investire tutto il cervello

(crisi generalizzata) o soltanto un’area di esso (crisi parzia-

le). Le crisi parziali possono successivamente generalizzarsi.

Solo l’EEG (ElettroEncefaloGramma) può aiutarci a distinguere

queste due ultime evenienze.

Un tipo particolare di crisi epilettica è la marcia Jacksoniana,

cosiddetta in quanto descritta da Jackson, il quale notò che al-

cuni pazienti avevano delle crisi con coscienza conservata in

cui però la crisi stessa colpiva in successione vari distratti

motori dallo stesso lato del corpo, seguendo lo schema che ri-

troviamo a livello della circonvoluzione parietale ascendente

(homunculus). Oltre alle crisi di grande male vi possono essere

crisi con perdita di conoscenza per pochi secondi o al massimo

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un minuto dette crisi di piccolo male. Specie durante le crisi

di grande male il paziente

tende a mordersi la lingua

mentre è privo di cono-

scenza e se vi sono contra-

zioni tonico cloniche può

battere io capo sul pavi-

mento dopo essere caduto,

privo di conoscenza. Spesso

la crisi si annuncia con un

urlo sordo e rauco.

Chi assiste all’esordio

della crisi deve immediata-mente chiamare soccorso e

posizionare un cuscino o

una giacca dietro la testa

del pazien-

te per im-

pedire che

si ferisca

al capo.

Inoltre se

possibile

bisogna posizionare un cuneo apri bocca in modo

da impedire la morsicatura della lingua. Al

termine della crisi vi può essere perdita di u-

rine, raramente anche di feci.

La causa dell’epilessia non è nota, comunque si

sa che vi sono fattori predisponenti.

Nell’anziano per esempio un improvvisa caduta

della glicemia dovuta a errata somministrazione

di insulina o una crisi ipoglicemica spontanea

possono precipitare la crisi comiziale. Anche i traumi cranici

sono spesso seguiti a distanza di tempo dall’insorgere di crisi

comiziali. Altre cause favorenti sono quelle perinatali (durante

e dopo il parto) o la malattia della madre durante la gravidanza

(specie toxoplasmosi e rosolia). Per quanto riguarda l’incidenza

soffre di epilessia circa il 4% della popolazione, in Italia si

stima che vi siano circa 250.000 epilettici.

Crisi convulsive prolungate ( anche focali) possono provocare danni cerebrali irreversibili e necessitano di intervento medico urgente. Le crisi non convulsive rappresentano circa ¼ degli at-

tacchi epilettici. Lo stato epilettico non convulsivo può essere

generalizzato (stato di assenza ) o complesso senza perdita di

conoscenza. Questi casi rappresentano un minore pericolo per la

vita del paziente ma richiedono intervento terapeutico rapido

perché possono esitare in deficit cognitivi e della memoria.

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COSA FARE

Crisi generalizzata di grande male .

• Durante la crisi: mettere il paziente sdraiato, posizionare

qualcosa di morbido sotto il capo.

• Allontanare oggetti taglienti o rigidi

• Slacciare capi di vestiario troppo stretti.

• Non introdurre nulla tra i denti

• Non bloccare i movimenti degli arti

Dopo la crisi.

• Mettere il paziente in posizione laterale di sicurezza

• Non dare nulla da bere o da mangiare prima che il paziente si

sia del tutto riavuto

• Vigilare sul paziente fino a completa ripresa della coscienza

Crisi parziali complesse (temporali psicomotorie)

Durante la crisi :

• Non cercare di fermare o trattenere il paziente

• Allontanarlo da oggetti pericolosi

• Non scuoterlo

• Non avvicinarlo se sembra aggressivo

Dopo la crisi: osservare il soggetto e restargli a fianco fino a

che non si è del tutto ripreso.