ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

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ANALISI DELLE SERIE STORICHE: Strumenti econometrici utilizzati in finanza Capitolo I di Stefano Caprioli [email protected] TUTTI I DIRITTI RISERVATI 3

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ANALISI DELLE SERIE STORICHE:Strumenti econometrici utilizzati in finanza

Capitolo I

di Stefano Caprioli [email protected]

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

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CAPITOLO I ........................................................................................................................... 5

Analisi delle serie storiche .................................................................................................................. 5 - Introduzione ................................................................................................................................... 5 1.1 - Identificazione e Previsione ..................................................................................................... 6 1.2 - Strumenti di analisi per l’identificazione e la previsione: le medie mobili e lo smorzamento esponenziale ..................................................................................................................................... 9 1.2.1 - Smussamento singolo .......................................................................................................... 10 1.2.2 - Smorzamento doppio (ad un parametro) ............................................................................. 14 1.2.3 - Smorzamento moltiplicativo ............................................................................................... 14 1.2.4 - Smorzamento additivo (tre parametri) ................................................................................ 15 1.2.5 - Smorzamento non stagionale a due parametri ..................................................................... 15 1.3 - Momenti di un processo stocastico ....................................................................................... 16 1.3.1 - Valore medio atteso ............................................................................................................. 16 1.3.2 - Varianza ............................................................................................................................. 17 1.3.3 - Autocovarianza ................................................................................................................... 17 1.4 – Una breve analisi delle funzioni di autocorrelazione ............................................................ 17 1.5 - Ergodicità ............................................................................................................................... 18 1.6 - Stazionarietà dei processi stocastici ....................................................................................... 19 1.7 - Invertibilità dei processi stocastici ......................................................................................... 21 1.8 - I modelli stocastici di Box e Jenkins ..................................................................................... 21 1.8.1 - Modello autoregressivo di ordine p (AR(p)) ....................................................................... 22 1.8.2 -Processo AR(1) .................................................................................................................... 22 1.8.3 - Modello a media mobile ...................................................................................................... 23 1.8.4 - Processo MA(1) ................................................................................................................. 24 1.8.5 - Stazionarietà ed invertibilità per processi AR(p) ed MA(q) ............................................... 25 1.8.6 - Il modello ARMA(p,q) ........................................................................................................ 26 1.9 - Significatività statistica del coefficiente di autocorrelazione ................................................. 27 1.10 - Differenze successive e Modelli ARIMA ............................................................................ 28

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Capitolo I

Analisi delle serie storiche

- Introduzione

Si definisce una serie storica una successione ordinata di numeri reali che misura un certo

fenomeno seguendo un preciso ordine temporale. Lo studio di tale successione trova la propria

ragion d'essere nel fatto che la conoscenza di quanto è avvenuto determina ciò che avverrà secondo

un principio generale di inerzia e di stabilità delle leggi che conosciamo. Nel caso in cui la serie

storica oggetto di studio non è di tipo deterministico ma si basa su una certa distribuzione di

probabilità, sarà chiamata processo stocastico.

Si definisce processo stocastico una famiglia di variabili casuali caratterizzate da un parametro "t"

(nel caso delle serie storiche tale parametro consiste nell'unità di tempo considerata). Tali variabili

casuali sono definite tutte nel medesimo spazio fondamentale "S"1.

In altre parole si può affermare che una data serie temporale è una particolare realizzazione di un

processo stocastico.

Figura 1.1 Esempio di una serie storica: serie osservata dei prezzi di riferimento giornalieri del titolo B.di Roma dal 4/02/’99 all’1/12/’99.

1 Lo spazio fondamentale è l’insieme degli eventi possibili. Quando si parla di variabili casuali esso coincide con il campo di esistenza di una funzione, la variabile casuale appunto, la quale va da SàR con R insieme dei numeri reali.

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Figura 1.2: Serie osservata dei prezzi di riferimento settimanali2 del titolo B.Roma nel periodo Febbraio /Dicembre ’99.

1.1 - Identificazione e Previsione

Prima di approfondire l’analisi dell’investigazione di una serie storica, vanno sottolineate le due

principali finalità da perseguire allorquando si studia una sequenza di dati osservati nel corso del

tempo: innanzitutto va identificata la natura del fenomeno rappresentato dalla sequenza di

osservazioni a disposizione3; il secondo aspetto da valutare è la possibilità di operare previsioni

attendibili di sequenze di dati futuri sulla base delle informazioni disponibili dalla sequenza

osservata. Tali fattori vengono riportati in letteratura rispettivamente con i termini di identificazione

e previsione. Per perseguire entrambi molto spesso si assume che i dati siano la realizzazione di una

combinazione nota di un set di componenti predefinite più un termine di errore di natura stocastica

che normalmente crea delle difficoltà di identificazione del modello che si presta meglio a spiegare

il fenomeno osservato. In generale va detto che la maggior parte delle serie storiche possono essere

descritte in termini di due componenti fondamentali: il trend e la stagionalità. Il primo rappresenta

una componente della serie che cambia nel corso del tempo senza tuttavia presentare dei cicli

prevedibili a priori; la componente stagionale, al contrario, esprime delle variazioni riscontrabili ad

intervalli regolari e sistematici. Per quanto riguarda l’analisi del trend va sottolineato che non

esistono tecniche sempre valide ed “immediate” per evidenziare un trend, tuttavia laddove il trend è

monotono crescente o decrescente l’analisi risulta piuttosto facilitata. Molto spesso una semplice

osservazione visiva della serie permette di diagnosticare la presenza di un trend, tuttavia, laddove

2 I grafici delle figure 1.1 ed 1.2 riportano l’andamento dei prezzi del medesimo titolo e nel medesimo arco temporale, tuttavia l’unità temporale di riferimento che caratterizza il parametro t è giornaliera nel primo grafico, settimanale nel secondo. Risulta in tal modo chiaro quanto possa essere determinante la scelta del parametro temporale per descrivere un fenomeno oggetto di studio.3Il processo di identificazione comporta un’attenta analisi della serie osservata volta a delineare la giusta relazione funzionale da associare alla serie:l’impatto che le variabili esaminate hanno sulla serie nel corso del tempo.

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non si è certi di poter fare affidamento su semplici impressioni, può essere utile analizzare le

funzioni di autocorrelazione in seguito specificate4. Spesso è necessario, al di là della mera

evidenziazione, rimuovere la componente di trend. A riguardo esistono varie metodologie, tra tutte

la più usata, nonché la più facile da utilizzare, risulta essere quella delle differenze successive5. Tale

approccio si rivela molto conveniente allorquando si rimane nell’ambito della modellistica ARIMA

in seguito analizzata. In generale risulta utile “ridurre” la presenza di fattori di “disturbo” che

possono “nascondere” la componente di trend: tale obiettivo può essere raggiunto attraverso

l’utilizzo di opportune medie mobili. La componente stagionale è invece facilmente riscontrabile

osservando l’eventuale correlazione tra un elemento della serie e gli elementi successivi. Da un

punto di vista formale ciò è possibile attraverso l’analisi della funzione di autocorrelazione: un utile

strumento sia per l’analisi del trend che per l’analisi di fattori stagionali. Va sottolineato inoltre che,

anche per “smussare” le componenti stagionali, le medie mobili rappresentano un metodo efficace

in quanto, per costruzione, tendono a ridimensionare eventuali “outperformance”.

020406080100120140160180

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29

Figura 1.3: Esempio di serie storica con una chiara presenza di una componente di trend definita e crescente.

4 In particolare, se la funzione di Autocorrelazione globale tende a zero molto lentamente e con un andamento rettilineo, si può essere certi della presenza di una componente di trend che caratterizza la serie di dati esaminata.Ulteriori importanti indicazioni si possono dedurre dall’analisi della funzione di autocorrelazione parziale che, in presenza di trend, fornirà valori prossimi a uno e molto più vicini a zero per K>1.5 Una definizione completa delle differenze successive è presente nel paragrafo 1.10.

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0

20

40

60

80

1001 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29

Figura 1.4: Evidenziazione del trend nella serie della figura 1.3 attraverso una media mobile esponenziale con peso pari a 2/(n+1) dove n è la numerosità della serie osservata.

Figura 1.5: Esempio di come detrendizzare (o eliminare la componente di trend) la serie della figura 1.3. Per ottenere la serie detrendizzata è stata applicata una differenza prima alla serie della figura 1.3. In altre parole il valore assunto dalla serie detrendizzata al tempo t è dato dalla differenza tra il valore della serie della figura 1.3 al tempo t, meno il valore della serie in figura 1.3 al tempo t-1. In tal modo si ottiene una serie priva della componente di trend lineare.

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1.2 - Strumenti di analisi per l’identificazione e la previsione: le medie mobili e lo smorzamento esponenziale

La figura 1.4 rappresenta in concreto come evidenziare la componente di trend di una serie

osservata utilizzando le medie mobili. In generale le tecniche di smussamento rappresentano il

primo passo per individuare un opportuno modello di previsione da applicare alla serie oggetto di

studio. La serie smussata attraverso l’utilizzo di una media mobile evidenzia un andamento

chiaramente lineare crescente, lasciando presupporre che un buon modello di previsione capace di

prevedere al meglio i valori futuri della serie potrebbe essere un modello lineare in funzione del

tempo: l’unità temporale diventa regressore del modello adottato. Le medie mobili vengono

calcolate su un insieme di osservazioni di numerosità costante e predeterminata, da aggiornarsi nel

tempo mediante l’eliminazione dei dati più vecchi e l’introduzione di quelli più recenti: in tal modo

si ottiene, così come si vede nella figura 1.4, una serie storica appiattita, caratterizzata da un ritardo

temporale rispetto a quella originaria, alla quale di solito viene affiancata. Un’ulteriore decisione

riguarda la metodologia di computo della media; di solito si utilizzano la media semplice, quella

ponderata o quella esponenziale. La media mobile semplice è quella più utilizzata:

n

inPnMMS

n

i∑

=−

=

1

0)(

)(

In questo caso ai dati della serie viene attribuito un identico peso, 1/n, che si annulla

istantaneamente nel momento in cui gli stessi vengono gradualmente eliminati. Tale indicatore è

caratterizzato dal fatto di presentare una scarsa sensibilità ai dati più recenti. La media mobile

ponderata viene invece utilizzata allorquando si vuole conservare il più possibile l’informazione

derivante dai dati più recenti. Essa può essere sintetizzata nella formula seguente:

∑∑

=

=

−−= 1

0

1

0

)(

)()()( n

i

n

i

inW

inWinPnMMP

in cui W è un opportuno fattore di ponderazione. Tali sistemi non riducono il rischio di perdita

istantanea delle informazioni meno recenti; per tale scopo vengono utilizzate le medie mobili

esponenziali, le quali assegnano pesi più alti ai dati più recenti mantenendo comunque un peso

consistente per i dati passati. Dalle medie mobili esponenziali si ottengono delle curve vicine alle

serie storiche originarie da cui scaturiscono le sequenze di medie mobili. La formula per calcolare la

media mobile esponenziale con numerosità n è la seguente:

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∑−

=

=

−−= 1

0

)(

1

0

)()()( n

i

in

n

i

in

W

WinPnMME

Con 0<W<1 in modo da attenuarne gradualmente l’effetto senza mai annullarlo. Per il calcolo di

tale media risulta molto utile la seguente relazione ricorsiva:

MME(t)=MME(t-1)(1-W)+Pt(W) .

- Lo smorzamento esponenziale

L’Exponential Smoothing rappresenta un utile strumento di previsione puntuale, soprattutto quando

si hanno a disposizione pochi dati. Esso si rivela un utile metodo per la previsione sotto ipotesi di

aspettative adattive. Tale procedura si basa sull’idea che una ragionevole previsione del valore di

una serie X al tempo t possa essere costituita da una combinazione lineare della previsione fatta

sulla stessa serie nell’istante precedente. Tale combinazione lineare deve però tener conto della

variazione registrata nell’unità temporale precedente tra l’effettivo valore della serie e la previsione

realizzata. Di solito si sceglie tra cinque metodi di smussamento:

• Parametro singolo

• Doppio smussamento

• Moltiplicativo

• Additivo

• Non stagionale.

1.2.1 - Smussamento singolo

Tale metodo si rivela particolarmente appropriato per serie che si muovono casualmente attorno ad

un valore medio costante senza trend o componenti stagionali.

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. Figura 1.6: La serie in rosso è un tipico esempio di serie da “smorzare” attraverso lo smussamento singolo

Lo smorzamento esponenziale rappresenta il primo strumento da utilizzare per poter eventualmente

“decomporre”6 la serie originaria in un set di componenti predefinito e conseguentemente per

spiegare la serie osservata attraverso un opportuno modello sufficientemente esplicativo ed

efficiente da un punto di vista previsionale. Nell’esempio relativo alla serie ottenuta dal modello

moltiplicativo della figura 1.7 si può riscontrare la capacità dello smorzamento esponenziale di

evidenziare eventuali componenti stagionali da riportare allorquando si vuole costruire un modello

sufficientemente esplicativo per la serie osservata. Se, infatti, si applica a tale serie uno

smussamento esponenziale con costante di smussamento a=0,3, si ottiene il grafico della figura 1.9

dove risulta evidente un aumento repentino dei valori osservati dalla ventisettesima osservazione in

poi, a testimonianza della presenza di una componente di segno positivo che caratterizza l’intervallo

temporale che va dalla ventisettesima osservazione alla sessantesima.

6 Il termine non è stato usato a caso in quanto in questi casi si parla di metodi di decomposizione della serie osservata: si cerca cioè di individuare ed isolare le componenti di trend, stagionalità ed eventuali componenti cicliche e si analizza il tipo di relazione che intercorre tra queste stesse componenti (additiva, moltiplicativa, etc.).

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-4

-2

0

2

4

6

81 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58

Figura 1.7: Esempio di serie storica con una componente di trend moltiplicata per una componente stagionale più una componente casuale di tipo normale.

La serie della figura 1.7 è stata ottenuta moltiplicando una componente di trend per una componente

stagionale più un termine di errore di natura stocastica. In pratica tale serie è la risultante di tre

componenti: trend, stagionalità e fattore casuale. La relazione è di tipo moltiplicativo, sintetizzabile

con il seguente modello:

tttt tBSX ε+= **

con tS componente stagionale pari ad 1 per t che va da 1 a 27, uguale a 2 per le restanti

osservazioni. La componente di trend è stata posta pari a 0,3 mentre il termine di errore è stato

ottenuto attraverso l’uso di un generatore di numeri casuali provenienti da una distribuzione

normale standard. Applicando una media mobile di tipo esponenziale a otto termini con peso W=2/

(n+1), così come si può osservare nella figura 1.8, vengono maggiormente messi in risalto sia il

trend crescente che la componente stagionale che fa “lievitare” la serie dalla ventisettesima

osservazione in poi. Da notare che in questo caso basta applicare una trasformazione logaritmica

alla serie originaria per avere le tre componenti (trend, stagionalità e componente casuale) legate da

una reazione puramente additiva di facile approccio. In questo caso si è usato il metodo dello

smussamento singolo poiché la componente di trend non era particolarmente rilevante. In generale,

se il campione di osservazioni va da 1 a T, la previsione per il valore futuro della serie al tempo

(T+k), con K>0, risulta essere: TkT FF =+ . Da sottolineare infine che molto spesso risulta

particolarmente conveniente attuare delle trasformazioni di tipo logaritmico o di tipo esponenziale

per “facilitare” il compito di un’esatta identificazione.

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-1

-0,50

0,51

1,52

2,53

3,54

1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55

Figura 1.8: Sequenza di medie mobili esponenziali di otto termini applicata alla serie della figura 1.6.

-2-101234567

1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58

Figura 1.9: Smussamento esponenziale della serie della figura 1.3 con costante di smorzamento a=0,3. Lo smussamento evidenzia il fattore stagionale dalla ventisettesima osservazione in poi.

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Figura 1.10: La serie in blu rappresenta la serie originaria costituita da un trend lineare più un termine di errore proveniente da una popolazione con distribuzione normale con media zero e varianza uno. La serie verde rappresenta la serie blu smussata attraverso il metodo dello smussamento singolo, quella in rosso rappresenta la serie smussata attraverso il metodo dello smussamento doppio.

1.2.2 - Smorzamento doppio (ad un parametro)Tale approccio risulta molto efficace allorquando si analizza una serie con trend chiaramente

lineare. In questo caso si effettua uno smorzamento preventivo. Per ulteriori dettagli su tale metodo

vedi il paragrafo 1 dell’Appendice.

1.2.3 - Smorzamento moltiplicativoTale metodo è appropriato per serie con trend lineare e variazione stagionale moltiplicativa. La serie

smussata F sarà data dalla seguente relazione:

kcbkaF tkT ++=+ )(

con a intercetta o componente permanente, b trend della serie, tc fattore moltiplicativo stagionale.

Questi tre coefficienti sono definiti in maniera formale nell’appendice, paragrafo A1.

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Figura 1.10: L’efficacia dello smussamento doppio per serie con trend lineare evidente è riscontrabile in tale figura.

1.2.4 - Smorzamento additivo (tre parametri)Tale metodo è appropriato per serie con un trend lineare nel corso del tempo ed una variazione

stagionale additiva. La serie smussata è data dalla seguente relazione:

ktkt cbkaF ++ ++=

con a intercetta o componente permanente, b componente di trend, tc fattore stagionale additivo di

trend. Le formule relative a tali coefficienti sono riportate in appendice.

In questo caso una previsione al tempo (T+k) è data da:

sktkT ckTbTaF −++ ++= )()(

1.2.5 - Smorzamento non stagionale a due parametri7

Tale metodo risulta appropriato per serie con trend lineare e senza variazioni stagionali. Esso è

simile al metodo dello smorzamento doppio ma rispetto a questo utilizza si differenzia poiché

utilizza due parametri invece che uno. La serie smussata è data da:

bkaF kT +=+

7 Oltre ai suddetti metodi ne esistono molti altri (tra gli altri va ricordato il filtro di Hodrick-Prescott), la conoscenza dei quali porta ad un approfondimento dell’argomento al di sopra del livello necessario di conoscenze per lavorare con serie storiche di tipo finanziario.

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con a intercetta e b componente di trend. Le relazioni analitiche relative ai parametri della serie

smussata vengono, come al solito, riportate in Appendice.

1.3 - Momenti di un processo stocastico Finora si è implicitamente assunto che, nello studio di una serie storica osservata, si lavora in realtà

con due serie: quella empirica e quella desunta dal modello scelto da associare alla sequenza

osservata. Se per esempio guardiamo ai vari metodi di smussamento esponenziale esposti in

precedenza, si può vedere come alla fine le serie siano sempre due: X ed F, dove F è la serie X

"smorzata" o serie delle previsioni (Forecast). La differenza tra le due serie risulta essenziale se si

vuole avere un'idea sulla bontà della scelta effettuata per quanto riguarda il modello da associare

alla serie empirica. In quest'ottica risulta fondamentale studiare i momenti della serie scaturita dal

modello scelto, i cosiddetti momenti teorici, attraverso i quali si possono accettare determinate

ipotesi, come ad esempio la stazionarietà, che facilitano enormemente lo studio di una serie. Lo

studio dei momenti, ed in particolare di alcuni momenti della serie, deriva dal fatto che tutti i

modelli stocastici sono in grado di generare una serie temporale di lunghezza infinita, di

conseguenza è necessario riassumere le informazioni a disposizione attraverso poche grandezze

caratteristiche. Tale compito può essere svolto in due modi: o attraverso la specificazione della

distribuzione di probabilità congiunta della serie nel corso del tempo, o attraverso il calcolo dei

momenti del processo teorico. La prima opzione risulta piuttosto complicata, di conseguenza si

analizzano i momenti teorici, in particolare i momenti di primo e second'ordine. Di seguito verranno

esposte le relazioni formali che esprimono i momenti teorici di primo e second'ordine sottolineando

come essi siano tutti in funzione dell'unità temporale.

1.3.1 - Valore medio attesoUna volta assunto il modello da "associare" alla sequenza di valori osservati, si assume che i valori

generati da tale modello appartengano ad un processo stocastico che chiameremo tZ . Il valore

medio atteso del processo stocastico suddetto sarà espresso dalla relazione:

)()( tZEt =µ

dove E sta per Expected value. Tale terminologia sta a sottolineare che il valore espresso è il valore

che si attende dovrebbe realizzarsi nel lungo periodo. In realtà la relazione suddetta è un vero e

proprio "artificio teorico" poiché, essendo la serie di lunghezza infinita, probabilmente non si

arriverà mai al valore suddetto. Il valore medio costituisce il momento di prim'ordine della serie

teorica studiata e si differenzia notevolmente dal momento di prim'ordine della serie osservata: in

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quest'ultimo caso infatti il valore non è nient'altro che la media dei valori osservati. Da notare che,

così come evidenziato dalla formula, il valore atteso è espresso in funzione del parametro

temporale.

1.3.2 - Varianza In formulae si ha:

[ ] )var()()( 22tt ZtZEt =−= µσ

Anche in questo caso la relazione evidenzia la dipendenza della varianza dal tempo. La varianza è

un momento di second'ordine che esprime una misura della dispersione media della variabile Z

rispetto al suo valore atteso nel corso del tempo. La radice quadrata della varianza si definisce come

scarto quadratico medio.

1.3.3 - AutocovarianzaL’autocovarianza è la covarianza tra valori della serie Z in istanti temporali diversi. Normalmente la

covarianza misura la tendenza di due grandezze a variare nello stesso senso, in questo caso si

utilizza un’unica variabile misurata in due istanti temporali diversi. In formulae si ottiene:

[ ] )cov())())(((),( kttktt ZZtZtZEktt ++ =−−=+ µµγ

Da notare che l’autocovarianza è funzione di due istanti temporali, t e (t+k). In quest’ottica la

varianza risulta essere un caso particolare dell’autocovarianza, ponendo k=0.

1.4 – Una breve analisi delle funzioni di autocorrelazioneSempre nell’ottica del perseguimento di un’esatta identificazione del modello più appropriato da

associare alla serie osservata, risulta molto importante l’analisi delle funzioni di autocorrelazione e

di autocorrelazione parziale. L’autocorrelazione supera, rispetto all’autocovarianza, il limite di

quest’ultima di non essere compresa fra limiti fissi in quanto compresa tra i valori estremi di –1 e

+1. L’autocorrelazione si ottiene semplicemente dividendo l’autocovarianza per il prodotto degli

scarti quadratici medi di tZ e ktZ − .

La “funzione di autocorrelazione globale” )(kρ del processo stocastico tX è il coefficiente di

correlazione lineare tra le variabili casuali tZ ed ktZ − calcolato al variare di k=0,1,2,….

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)()(),()()(

ktt

kttktt ZVarZVar

ZZCovZZCorrk−

−− ==ρ ;

Lo strumento utilizzato per visualizzare le eventuali correlazioni seriali tra i termini della serie è il

correlogramma. Esso rappresenta l’insieme dei coefficienti di autocorrelazione per k=0,1, 2,3,…..

riportati su di un sistema di assi cartesiani che vede sull’asse delle ascisse il lag K8 e sull’asse delle

ordinate )(kρ . I valori ottenuti saranno tutti compresi tra –1 e +1. Molto spesso la morfologia

assunta dal correlogramma aiuta nel processo di identificazione del giusto modello da associare alla

sequenza osservata. Va sottolineato inoltre che l’eventuale presenza di una forte correlazione

seriale rende impossibile assumere l’ipotesi di indipendenza dei valori osservati, ponendo non pochi

problemi per quanto riguarda l’identificazione di un modello significativo. Un altro utile metodo per

esaminare la dipendenza seriale tra i termini della serie in esame è la funzione di Autocorrelazione

parziale. Essa rappresenta un’estensione della funzione di Autocorrelazione globale. La funzione di

autocorrelazione parziale kkφ viene definita come la correlazione lineare tra tZ e ktZ − al netto delle

correlazioni lineari intermedie. Un’analisi più dettagliata di tale funzione verrà fatta allorquando si

tratteranno i modelli di Box & Jenkins.

1.5 - Ergodicità La stima della funzione di autocorrelazione globale a partire da una serie storica richiede il

concetto di ergodicità9. Formalmente un P.S. temporale si dice ergodico se la media di insieme

tende alla media temporale al divergere delle osservazioni dove per media d’insieme si deve

intendere n

tztz

n

jij

i

∑== 1

)()(

, la media cioè nella medesima unità temporale it di n manifestazioni del

processo stocastico z; la media temporale risulta invece essere la media dei valori riscontrati su z

per più unità temporali:

n

tztz

i

n

ik )(

)( 1∑

== .

8 Per lag k si intende il ritardo di ordine k. Se k=1, allora si ha k=t-(t-1), se k=2, k=t-(t-2).9 Il fatto che si possa ottenere una stima consistente delle proprietà statistiche di un P.S. stazionario dallo studio di un solo campione temporale di lunghezza finita non è per nulla ovvio; quello che si ricerca è un P.S. nel quale la rilevazione effettuata su una singola manifestazione temporale in un gran numero di punti successivi porta alle stesse distribuzioni statistiche che si otterrebbero considerando un gran numero di valori riferiti allo stesso istante t. Se viene riscontrato ciò allora risulta molto conveniente considerare una singola manifestazione in tempi successivi piuttosto che ricorrere a più manifestazioni dello stesso processo.

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1.6 - Stazionarietà dei processi stocasticiTutte le relazioni analizzate finora risultano funzioni del tempo comportando notevoli problemi di

analisi. Se ad esempio si afferma che il valore medio atteso )()( tZE t µ= , implicitamente si assume

che al variare del tempo il valore atteso di Z sarà quasi sempre diverso rispetto al periodo

precedente. Tale relazione “perennemente mutabile” potrebbe continuare all’infinito visto che la

relazione è in funzione del tempo ed inoltre anche le grandezze descritte precedentemente,

autocovarianza, autovarianza e funzioni di autocorrelazione, avrebbero lo stesso problema. Tale

inconveniente viene in qualche modo aggirato introducendo l’ipotesi di stazionarietà di opportune

trasformazioni del processo stocastico analizzato.

Da un punto di vista formale si considerano due definizioni di stazionarietà: in senso debole ed in

senso forte.

Un processo stocastico tX si dice stazionario in senso debole di ordine10 due se sono rispettate le

seguenti condizioni:

µ=)( tXE

+ ∞<=−= 22 ])[()( σµtt XEXV

)()])([(),( kXXEXXCov kttktt γµµ =−−= −− per ogni K≠0;

Con μ, 2σ e )(kγ indipendenti dal tempo; 2σ con un valore finito; )(kγ dipendente solo da K.

La stazionarietà in senso forte di un P.S. è invece una condizione molto più restrittiva, difficilmente

riscontrabile e, di conseguenza, poco utile da un punto di vista operativo: essa poggia sull'assunto

che tX abbia associata una forma di distribuzione che non varia nel tempo.

Un semplice esempio di P.S. stazionario è il White Noise (WN), o Rumor Bianco, nel quale le

variabili casuali hanno una distribuzione indipendente ed egualmente distribuita (i.i.d.):

0)( =tE ε ;

;)()( 22 + ∞<== σεε tt EV

)(0)(),( kECov kttktt γεεεε === −− per ogni K≠0.

10 Si è specificata la stazionarietà in senso debole di ordine due poiché è la più usata, in generale l’ordine coincide con il numero di momenti che si richiede debbano essere indipendenti dal tempo.

19

Page 18: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Figura 1.11: Visualizzazione di una sequenza di dati generati da un processo stocastico stazionario.Si può osservare come vi sia un continuo ritorno al valore medio, continue oscillazioni attorno ad esso.

Figura 1.12: Correlogramma di un processo AR(1) stazionario con parametro positivo.

20

Page 19: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Figura 1.13: Correlogramma di un processo AR(1) non stazionario. Da notare come il correlogramma decresca molto lentamente nel tempo.

1.7 - Invertibilità dei processi stocasticiUna seconda proprietà molto importante non sempre riscontrabile nei processi stocastici è

l’invertibilità. Nello studio dei modelli econometrici molto spesso si trova, tra le ipotesi di base dei

modelli, oltre alla stazionarietà, anche l’invertibilità. Tale ipotesi viene richiesta per evitare la

molteplicità dei modelli applicabili al fenomeno oggetto di studio: può accadere infatti che ad

uguali strutture statistiche possano corrispondere due o più modelli diversi. Per quanto riguarda i

modelli comunemente utilizzati nel campo finanziario, tale problema si incontra per i processi a

media mobile11 mentre per quanto riguarda quelli autoregressivi tale condizione è sempre verificata.

Vedremo come tale proprietà sia facilmente riscontrabile allorquando si lavora con i modelli di Box

& Jenkins.

1.8 - I modelli stocastici di Box e JenkinsI modelli di Box e Jenkins sono numerosi ma tutti derivano da due fondamentali:

il modello autoregressivo ed il modello a media mobile. Vi è poi il modello misto che comprende i

due precedenti. Nella descrizione dei modelli di Box & Jenkins, senza perdita di generalità, verrà

posta µ=0 (assenza di intercetta).

11 I modelli Autoregressivi, a media mobile ed i modelli misti vengono analizzati nei paragrafi successivi.

21

Page 20: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

1.8.1 - Modello autoregressivo di ordine p (AR(p))

tptpttt azzzz ++++= −−− φφφ .....2211

I parametri pφφφ ,......,, 21 costituiscono i coefficienti della regressione lineare della variabile casuale

tz rispetto ai suoi stessi valori passati, ta , processo WN, è il termine di errore. In modo sintetico il

modello autoregressivo viene indicato con AR(p). Da rilevare che la presenza come regressori di

valori passati della variabile dipendente fa si che la teoria classica della regressione non si possa

applicare completamente al modello esaminato12.

Si può sottolineare come un AR(1) possa essere derivato dalla decomposizione di Wold (Vedi

Appendice: Il teorema di Wold) scegliendo opportunamente i pesi13; se infatti si pone jj φψ = , il

processo { }tX potrà essere scritto come:

ttttttttt aXaaaaaaX +=+++=+++= −−−−− 12122

1 ...)(.... φφφφφ

In generale, lavorando con processi AR(p), risulta conveniente utilizzare l’operatore backshift B,

denominato anche lag operator, che semplifica notevolmente determinate relazioni. Tale operatore

si definisce come segue:

1−= tt XBX

ed in generale si ha:

mttm XXB −=

mentre se si ha a che fare con una costante µ si ha:

µµ =mB .

1.8.2 -Processo AR(1)Utilizzando il lag operator, il processo autoregressivo di ordine uno potrà essere espresso nel

seguente modo:

tt aXB =− )1( φ

in modo tale da avere:

......)1()1( 22

1221 +++=+++=−= −−

−tttttt aaaaBBaBX φφφφφ

Quest’ultima relazione convergerà solo se 1<φ (condizione di stazionarietà per il processo X).

12 La presenza di variabili ritardate comporta una distorsione (Bias) delle stime dai parametri φ per piccoli campioni.13 Tale assunzione vale per processi stocastici AR(p) di tipo stazionario.

22

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Un processo AR(1) ha, così come si è dimostrato in Appendice, una funzione di autocorrelazione

globale data da kk φρ = . In tal modo si può affermare che per φ>0 la funzione di autocorrelazione

globale tende a zero in modo monotono, mentre per φ<0 essa varierà tra –1 ed 1 a segni alterni.

In definitiva, osservando anche i correlogrammi riportati nelle figure 1.12, 1.13, 1.14, un andamento

monotono decrescente chiaro e rilevabile già dopo pochi lag indica che il processo analizzato

potrebbe essere un AR(1) stazionario con parametro positivo, un correlogramma che presenta un

andamento altalenante del tipo della figura 1.12 suggerisce che il processo in esame può essere un

AR(1) stazionario con parametro negativo; infine un correlogramma che presenta un andamento

decrescente “slowly” come quello in figura 1.11 suggerisce di considerare il processo in esame

come un AR(1) non stazionario.

Figura 1.14: Correlogramma di un AR(1) stazionario con parametro φ<0.

1.8.3 - Modello a media mobile

qtqttt aaaz −− −−−= θϑ ....11

I parametri qθθ ,.......,1 sono costanti, a è il termine di errore, questa volta presente come regressore

nelle q unità temporali considerate. In questo caso, da un punto di vista formale, il modello viene

denominato MA(q): Moving Average di ordine q.

Essendo q un numero reale, il processo è costituito da un numero finito di termini q. Quest’ultima

considerazione permette di assicurare la stazionarietà di un MA(q) senza nessuna restrizione per

quanto riguarda i parametri del processo.

23

Page 22: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

La media di un MA(q) è zero poiché tale processo, senza intercetta, non è altro che una

combinazione lineare di variabili casuali di tipo WN con media zero.

Le autocovarianze di un MA(q) sono espresse dalla seguente relazione:2

2211 )...( akqqkkkk σθθθθθθθγ −−− ++++−= (k=1,2,3,…,q)

0=kγ (k>q)

Come al solito la varianza si ottiene dall’autocovarianza ponendo k=0:222

22

10 )...1( aq σθθθγ ++++=

Tali relazioni confermano la stazionarietà di un processo MA(q) poiché nessuna delle grandezze

descritte dipende da t.

1.8.4 - Processo MA(1)Un processo del tipo:

11 −−= ttt aaz ϑ

si definisce MA(1). Anche in questo caso si può esprimere il processo suddetto in funzione del lag

operator, ottenendo la seguente relazione:

tt aBZ )1( θ−= .

Figura 1.15: Correlogramma di un processo MA(1) con parametro –0,4.

24

Page 23: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Come si può osservare dalla figura 1.15, il processo MA(1) presenta una spiccata correlazione tra le

osservazioni immediatamente successive (o precedenti) (K=1) mentre per le altre osservazioni il

processo non ha memoria, determinando un correlogramma sostanzialmente diverso da quelli

analizzati per i processi autoregressivi. Tali difformità morfologiche aiutano nel processo di

identificazione di una serie storica. Un’altra caratteristica rilevante per un processo MA(1) si ottiene

osservando la funzione di autocorrelazione globale per k=1: da essa si ricava infatti la seguente

equazione:

0112 =++ ρθρθ

Dalla quale si ricava, per valori del parametro θ reali, 21

21

1 <<− ρ . L’equazione suddetta lascia

spazio ad un’ulteriore considerazione che richiama il concetto di invertibilità precedentemente

espresso: essa infatti ha come soluzioni reali sia θ che 1/θ, il che equivale a dire che per ogni

correlogramma come quello espresso nella figura 1.15, corrispondono due processi MA(1), uno con

parametro θ e l’altro con parametro 1/θ. In questi casi si privilegia il processo MA(1) con parametro

–1<θ<1 poiché in tal modo si lavora con un processo MA(1) che può essere trasformato in un

processo autoregressivo stazionario di ordine infinito (AR(∞)):

tttt aZZZ +++= −− ...2211 ππ

con ∞<∑ jπ (pesi convergenti).

1.8.5 - Stazionarietà ed invertibilità per processi AR(p) ed MA(q)Le due condizioni di stazionarietà e di invertibilità per i processi stocastici sopra descritti vengono

presentate congiuntamente poiché si può dimostrare che la condizione di stazionarietà per un AR(p)

coincide con la condizione di invertibilità di un MA(p). Si è già visto come un processo MA(q) è

sempre stazionario, analogamente un processo AR(p) è sempre invertibile. L’invertibilità, è bene

ribadirlo, consente di far corrispondere ad una certa funzione di autocorrelazione uno ed un solo

modello esplicativo. Un processo MA(q) non è invece sempre invertibile. Nell’Appendice viene

riportata la condizione di Box & Jenkins per l’invertibilità di un MA(q) (o per la stazionarietà di un

AR(q)).

25

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1.8.6 - Il modello ARMA(p,q)Il terzo modello fondamentale di B&J è una combinazione tra il processo autoregressivo e quello a

media mobile. Si può considerare, ad esempio, la combinazione tra un AR(1) ed un MA(1), noto

come ARMA(1,1):

111 −− −=− tttt aaZZ θφ ,

Il modello ARMA(1,1) porta quindi sia ad una rappresentazione infinita di un processo

autoregressivo che di un processo a media mobile sempre con infiniti pesi.

In generale, generalizzando ad un processo ARMA(p,q), le condizioni viste nei paragrafi precedenti

e nell’Appendice riguardanti la stazionarietà dei processi AR e l’invertibilità dei processi MA

valgono anche per i processi ARMA.

Per le determinazioni delle funzioni di Autovarianza, Autocovarianza ed Autocorrelazione vedi

l’Appendice. In generale un processo ARMA(p,q) può essere ottenuto dalla combinazione tra un

AR(p) ed un MA(q):

qtqttptptt aaaZZZ −−−− −−−=−−− θθφφ ...... 1111

o, alternativamente, espresso dalla relazione:

tq

qtp

p aBBZBB )...1()...1( 11 θθφφ −−−=−−−

sinteticamente esprimibile come:

tt aBZB )()( θφ = .

Le condizioni di stazionarietà e di invertibilità associate rispettivamente ai processi AR(p) e MA(q)

permangono per il processo ARMA(p,q). Il correlogramma di un processo ARMA(p,q) conserva le

stesse caratteristiche di un correlogramma di un AR(p) tranne che per i primi q-p valori iniziali. La

funzione di autocorrelazione parziale, per k>p-q, si comporta come un processo MA(q).

I tre correlogrammi di seguito evidenziati rappresentano, rispettivamente, partendo da sinistra ed

andando in senso orario, i correlogrammi di un AR(1) stazionario, di un MA(1) e di un ARMA(1,1)

stazionario. I parametri dei tre processi non sono uguali tuttavia risulta lo stesso visibile quanto

esposto in precedenza: il processo ARMA(1,1) ha una funzione di correlazione globale simile a

quella di un processo AR(1) e le funzioni di autocorrelazioni parziali simili a quelle di un processo

MA(1).

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1.9 - Significatività statistica del coefficiente di autocorrelazioneL’importanza dei correlogrammi è stata ampiamente evidenziata nei paragrafi precedenti. La forma

assunta da questi permette di associare un modello ad una serie empirica di osservazioni da

esaminare. I grafici riportati presentano tuttavia, oltre alla rappresentazione delle determinazioni

assunte dalle funzioni di autocorrelazione all’aumentare del lag k, anche delle “bande di

oscillazione” tratteggiate volte a determinare l’intervallo di confidenza entro cui non si rifiuta

l’ipotesi di assenza di autocorrelazione. Il correlogramma di un processo WN, ad esempio, presenta

una serie di valori giacenti tutti all’interno degli intervalli tratteggiati, in linea con una caratteristica

fondamentale del WN, l’assenza di autocorrelazione per ogni k. La costruzione dei suddetti

intervalli di confidenza si basa su una intuizione di Bartlett, il quale ha dimostrato che un WN ha un

coefficiente di autocorrelazione la cui distribuzione è riconducibile ad una normale con media zero

e varianza 1/n, con n numerosità campionaria. Sotto tale ipotesi è possibile costruire gli intervalli

di confidenza come quelli tratteggiati delle figure presentate precedentemente. In particolare gli

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Page 26: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

intervalli evidenziati graficamente corrispondono ad un livello di significatività del 95% con i due

estremi14 pari a n

196,1 ⋅± .

1.10 - Differenze successive e Modelli ARIMAL’operatore differenza è simile al lag operator, presentando proprietà simili a quest’ultimo. Si

definisce l’operatore differenza D( tY )= 1−− tt YY . Analogamente, come per il lag operator, si ha:

)()()( 12

tttt YDDYYDYD ⋅=−= − ; in generale: )()(...)( 11 t

mttt

m YDDYYDDDYD ⋅=−⋅⋅= −− .

Tale operatore risulta molto spesso fondamentale allorquando si ha a che fare con serie non

stazionarie che, una volta applicato il D-operator, diventano stazionarie. In quest’ottica un modello

ARMA applicato ad una serie tW ottenuta come differenza d-esima di una serie tX viene definito

processo ARIMA(d,p,q) dove d è il numero di differenze per rendere la serie stazionaria, p sono i

termini della parte autoregressiva del processo e q sono i termini della parte a media mobile del

modello. Da sottolineare che l’operatore di differenziazione tende a rendere la serie fortemente

regolare. In sintesi si ha un processo stazionario se d=0, se d=1 il processo è tale che i suoi

incrementi sono stazionari, se d=2 il processo ha livello e pendenza che si modificano nel tempo.

14 Un’analisi dei principali test statistici volti ad individuare l’eventuale presenza di stazionarietà è riportata nel capitolo successivo.

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ANALISI DELLE SERIE STORICHE:Strumenti econometrici utilizzati in finanza

Capitolo II

di Stefano Caprioli [email protected]

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

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CAPITOLO II .......................................................................................................................... 5

Serie non stazionarie .......................................................................................................................... 5 - Introduzione ................................................................................................................................... 5 2.1 - Test per la correlazione seriale ................................................................................................. 5 2.1.1 - Test di Durbin-Watson (DB) ................................................................................................. 6 2.1.2 - Test Q di Ljung-Box ............................................................................................................. 6 2.1.3 - Il test di Dickey e Fuller ...................................................................................................... 10 2.1.4 - Il test di Phillips-Perron ...................................................................................................... 11 2.2 - Identificazione e verifiche di stazionarietà: un caso pratico .................................................. 12

2.3 - L’Analisi di Cointegrazione ................................................................................................... 17 2.4 - Ulteriori considerazioni sulla Cointegrazione ....................................................................... 18 2.5 - Test per la verifica della presenza di cointegrazione tra variabili .......................................... 19 2.6 - Caratteristiche ed interpretazione del test di Johansen ........................................................... 20 2.7 - Un caso pratico: Mibtel e Mib30 ........................................................................................... 23

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Capitolo II

Serie non stazionarie

- Introduzione

Vi sono importanti differenze tra serie stazionarie e non stazionarie. Uno shock ad una serie

stazionaria è necessariamente di natura temporanea poiché nel corso del tempo esso si annullerà e la

serie tornerà al suo livello medio di lungo periodo. Viceversa, una serie di tipo non stazionario,

avendo media e varianza in funzione del tempo, non ritorna necessariamente a livelli già raggiunti.

Volendo riassumere le principali caratteristiche tipiche di una serie non stazionaria, si può affermare

che:

- essa non presenta un valore medio atteso verso cui la serie tende nel lungo periodo;

- la varianza risulterà dipendente dal tempo ed andrà all’infinito al tendere dell’arco temporale

all’infinito;

- il correlogramma non presenterà un andamento decrescente, al più, per campioni finiti, esso

decrescerà molto lentamente.

In generale l’analisi della funzione di autocorrelazione serve per vedere se la serie presenta una

componente di trend: se così fosse la serie non potrebbe considerarsi stazionaria poiché i suoi

momenti sarebbero in funzione dell’unità temporale t. Un andamento decrescente “slowly” della

funzione di autocorrelazione è un ottimo indicatore della presenza di un trend. Esistono test formali

che possono aiutare a determinare se una serie contiene o no un trend e se il trend è di tipo

deterministico (in funzione di t) o stocastico (in funzione di una variabile casuale). Va tuttavia

sottolineato come i test disponibili presentano una scarsa capacità nel distinguere tra processi non

stazionari e processi che somigliano a processi non stazionari. Tale difetto è dovuto al fatto che

alcuni “falsi” processi non stazionari presentano un correlogramma molto simile a quello di un

processo realmente non stazionario.

2.1 - Test per la correlazione seriale

Esistono numerosi test finalizzati a verificare l’eventuale stazionarietà dei dati osservati. Per quanto,

così come si è visto nel capitolo precedente, la prima verifica da fare è quella di un’attenta

osservazione del correlogramma della serie, risulta sempre opportuno applicare un test che accerti

5

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formalmente l’eventuale stazionarietà della serie in esame. Si è già parlato (vedi par. 1.9)

dell’intuizione di Bartlett, tuttavia risulta più conveniente verificare congiuntamente l’assenza di

autocorrelazione seriale per più lag. In quest’ottica vanno considerati i test successivamente

riportati: essi sono solo alcuni dei tanti a disposizione, tuttavia tutti conservano la logica sottostante

i test riportati.

2.1.1 - Test di Durbin-Watson (DB)Il test di Durbin-Watson parte da un processo autoregressivo di ordine uno del tipo:

ttt aYY += − 1φ .

Il sistema di ipotesi è il seguente:

≠=

1:0:

11

1

φφ

HHo

Il test viene utilizzato di solito per verificare l’eventuale natura autoregressiva del termine di errore

di un modello di regressione lineare: ipotesi quest’ultima che comporta seri problemi di stima e di

inferenza nell’implementazione di un modello significativo. In questo caso il test può, se viene

accettata l’ipotesi di base 1φ =0, evidenziare la natura di un processo WN per la serie osservata. In

pratica i due autori hanno dimostrato che, se la statistica da essi realizzata assume valori prossimi,

se pur inferiori, a due, allora il parametro 1φ è significativamente maggiore di zero, viceversa, per

valori del test compresi tra due e quattro il test evidenzia la negatività del parametro 1φ , mentre al di

fuori di tali intervalli non si può formulare nessuna ipotesi sulla natura dl processo in esame. Tale

test risulta estremamente restrittivo, non molto utile quindi nella ricerca della stazionarietà di un

processo stocastico. I test riportati in seguito cercano di superare tale limite utilizzando un sistema

di ipotesi diverso.

2.1.2 - Test Q di Ljung-Box

Una caratteristica fondamentale di un processo stocastico stazionario è che tutti i coefficienti di

autocorrelazione seriale kρ risultano essere significativamente non diversi da zero. Tale

assunzione comporta che la determinazione assunta dalla serie al tempo t non influenza il valore

assunto dalla serie al tempo (t+s)>t per qualsiasi s. In quest’ottica tutti i test che verificano l’assenza

di autocorrelazione seriale al variare del lag k verificano, conseguentemente, l’eventuale

stazionarietà della serie. In sintesi il sistema di ipotesi risulta essere:

6

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≠=

kunalmenoperkogniper

k

k

00

ρρ

La statistica Q di Ljung-Box permette di verificare il suddetto sistema di ipotesi attraverso la

seguente relazione:

∑ −+=

k

j

j

jnnnQ

1:

2

)2(ρ

con n numerosità campionaria.

Al di là della verifica formale, risulta chiaro che valori bassi della statistica Q inducono a non

rifiutare l’ipotesi di base di assenza di autocorrelazione seriale, al contrario valori elevati di Q

inducono a non rifiutare l’ipotesi alternativa che porta a considerare la serie non stazionaria. Da un

punto di vista statistico la statistica Q, sotto ipotesi di base, ha una distribuzione 2χ . I gradi di

libertà della 2χ a cui fare riferimento sono pari al numero delle autocorrelazioni meno il numero di

termini autoregressivi meno i termini a media mobile. In altre parole, se la serie osservata è

riconducibile ad un modello ARMA(d,q), allora i gradi di libertà per la 2χ saranno pari a s-d-q se

si vuole verificare l’assenza di autocorrelazione seriale per k=1,2,…,s.

Riportiamo di seguito l’output relativo alla verifica di ipotesi di non stazionarietà di in processo

ARMA(1,1):

Figura 2.1:Correlogramma relativo alla funzione di autocorrelazione totale (prima colonna), parziale (seconda colonna), output della statistica Q (terza colonna), probabilità di rifiuto dell’ipotesi di assenza di autocorrelazione seriale.La prima colonna rappresenta i lag osservati.

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Il correlogramma relativo alla funzione di autocorrelazione globale presenta una forma simile a

quello di un processo AR(1), quello della funzione di autocorrelazione parziale è simile a quello di

un processo MA(1), di conseguenza risulta ragionevole associare alla serie osservata un processo

ARMA(1,1). Le linee tratteggiate verticali rappresentano i livelli di significatività del test di Bartlett

al 95%: anch’esse confermano che le correlazioni seriali significativamente diverse da zero sono le

prime due (osservando congiuntamente le due funzioni di autocorrelazione). La statistica Q è

significativamente elevata, a conferma che le autocorrelazioni seriali osservate non possono essere

trascurate. Da rilevare che l’ultima colonna, costituita da tutti valori nulli, esprime in realtà il fatto

che la probabilità di avere a che fare con una serie stazionaria è così bassa da essere riportata dal

semplice valore nullo. Tale probabilità si ricava dalla distribuzione di una 2χ con i gradi di libertà

pari a (k-2) (k, il lag, meno 1, il termine autoregressivo, meno 1, il termine a media mobile). Di

seguito viene riportato l’output relativo ad una serie stazionaria, in particolare un processo WN per

verificare analogie e differenze con quanto esposto finora.

Figura 2.2: I due correlogrammi testimoniano l’assenza di “memoria” del processo, così come la statistica Q:La probabilità di avere a che fare con una serie stazionaria cresce sempre di più all’aumentare del lag k.

La figura 2.2 evidenzia la differenza di output tra un processo ARMA(1,1) ed un processo WN.

Le principali differenze si notano nella terza e nella quarta colonna. I due processi, della medesima

numerosità campionaria, presentano valori della statistica Q sostanzialmente diversi. I bassi valori

della Q nel WN confermano l’assenza di autocorrelazione seriale del processo osservato. La quarta

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colonna evidenzia che la probabilità di avere coefficienti di autocorrelazione seriale

significativamente non diversi da zero cresce al crescere di k.

Figura 2.3: Grafico di un processo Random Walk.

Figura 2.4: Correlogramma del processo RW della figura 2.1.

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2.1.3 - Il test di Dickey e Fuller

Dickey e Fuller hanno realizzato una procedura per verificare la non stazionarietà di un processo

oggetto di studio molto usata e presente sui principali software di econometria. Si supponga di voler

verificare l’eventuale stazionarietà della serie ttt aYY ++= − 1βα con, come al solito, ta WN. Il

sistema di ipotesi potrebbe essere implementato nel modo seguente:

<=

astazionarièserieLaHastazionariènonserieLaH o

1:1:

1 ββ

Tale sistema di ipotesi non può essere verificato utilizzando un test t (ipotizzando quindi che sotto

ipotesi nulla la serie abbia una distribuzione riconducibile ad una t di Student), poiché per

costruzione il modello presenta tra i regressori la variabile dipendente calcolata nell’unità temporale

immediatamente precedente (t-1). Per superare tale inconveniente Dick & Fuller hanno pensato di

ricorrere a procedure di calcolo numerico (il cosiddetto metodo di Monte Carlo), ricavando una

propria distribuzione di probabilità volta a verificare il sistema di ipotesi suddetto. I due hanno

generato per mezzo di un computer migliaia di sequenze di valori provenienti da pseudo1

passeggiate aleatorie2 (Random Walk) con intercetta α:

ttt aYY ++= − 1βα con β=1.

Sebbene la maggior parte delle stime ottenute risulteranno prossime ad uno, alcune lo saranno

maggiormente di altre: dai dati ottenuti è possibile ricavare una distribuzione empirica delle stime di

β sotto ipotesi che il β reale sia, per costruzione, pari ad uno. Il lavoro di D&F può essere riassunto

nei seguenti passi:

1) Per ogni pseudo RW generato, si è stimato il β.

2) Si è calcolata la differenza tra la stima ottenuta del β ed il valore reale, cioè 1.

3) La differenza ottenuta al punto (2) viene divisa per l’errore standard.

Se, per esempio, per un processo pseudo RW, è stato stimato un β pari a 0,9247 con standard error

pari a 0,037, allora si ha:

|(0,9247-1)/0,037|=2,035. Ripetendo i passi suddetti per migliaia di sequenze di pseudo RW, D&F

hanno osservato che:

- Il 90% dei valori stimati di β risultano avere uno standard error inferiore a 2,58;

- Il 95% presenta uno standard error inferiore a 2,89

1 Si parla di pseudo passeggiate aleatorie poiché il computer può generare valori pseudo casuali e non puramente casuali. In altre parole vengono utilizzati algoritmi che generano sequenze di valori simili a valori puramente casuali. 2 In questo caso si può notare l’importanza del calcolo numerico e delle tecniche di generazione di valori casuali determinante in molti casi. Nel campo finanziario tali tecniche di simulazione che utilizzano generatori di valori casuali sono ultimamente molto utilizzate soprattutto per il pricing delle opzioni.

10

Page 36: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

- Il 99% delle stime ottenute ha uno standard error inferiore a 3,51.

In tal modo D&F ottengono dei valori critici per verificare la non stazionarietà di un qualsiasi

processo stocastico. In altre parole, dinanzi ad un processo di cui non si conosce la genesi, non si

potrà rifiutare l’ipotesi di non stazionarietà del processo se il valore stimato di β ha una deviazione

standard, come nel nostro esempio, pari a 2,035. I due autori, nella realizzazione del test, hanno

modificato l’equazione originale sottraendo ad entrambi i membri il termine 1−tY in modo tale da

ottenere la seguente relazione:

ttt aYY ++=∆ − 1φα , con sistema di ipotesi riparametrizzato:

<=

astazionarièserieLaHastazionariènonserieLaH o

0:0:

1 φφ

.

Il parametro φ è uguale a (β-1) in modo da avere –2<φ<0 come parametro da analizzare. Da rilevare

che il test descritto è valido solo se la serie osservata è un processo AR(1) con disturbo di tipo WN.

Se la serie è correlata con ritardi di ordine più elevato o gli errori sono autocorrelati l’equazione

ttt aYY ++=∆ − 1φα va generalizzata, utilizzando una delle tre riportate di seguito3:

∑=

+−− +∆++=∆p

itititt ayyy

2110 βγα

∑=

+−− +∆+=∆p

itititt ayyy

211 βγ

∑=

+−− +∆+++=∆p

itititt aytyy

21210 βαγα

Le differenze tra le tre regressioni riguarda la presenza di due elementi di natura deterministica

come 0α e t2α . La prima regressione rappresenta una semplice passeggiata aleatoria, la seconda

aggiunge un’intercetta o drift, la terza include entrambe. In tutti e tre i casi il parametro di interesse

nella regressione è γ: se γ=0, la sequenza { }ty potrà essere considerata non stazionaria. Il test

comporta la stima di una o più equazioni usando il metodo dei minimi quadrati (OLS) per ottenere

il valore stimato di γ e l’errore standard ad esso associato.

2.1.4 - Il test di Phillips-Perron

Tale test ha le medesime finalità del test di D&F pur partendo da considerazioni diverse. In pratica i

due autori cercano di correggere il test t mentre D&F cercarono di generalizzare la regressione

iniziale 3 La generalizzazione porta all’implementazione del cosiddetto test ADF (D&F aggiustato).

11

Page 37: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

ttt aYY ++=∆ − 1φα .

Va ricordato che il test t si ottiene dal rapporto tra la stima di β e la sua deviazione standard

campionaria.

La distribuzione asintotica del test PP è la stessa del test di D&F aggiustato: anche in questo caso va

specificato se inserire nel test una componente deterministica di trend e l’intercetta. Per un ulteriore

approfondimento degli aspetti formali e delle relazioni funzionali del test vedi l’Appendice al

capitolo II.

2.2 - Identificazione e verifiche di stazionarietà: un caso pratico

Sia data da analizzare la serie del grafico 2.5:

Figura 2.5: Grafico di una serie con trend definito.

La serie presenta un trend definito, tuttavia va visto se tale trend è di natura deterministica o

stocastica e se la serie è stazionaria o non stazionaria. La figura 2.6 evidenzia la non stazionarietà

della serie in figura 2.5 (che chiameremo serie 2.5) poiché la componente di trend è fortemente

significativa:

12

Page 38: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Figura 2.6: Correlogramma della serie 2.5. Risulta evidente la non stazionarietà della serie.

Tabella 2.1: Il valore ottenuto dal test di D&F, ipotizzando l’assenza di trend, conferma che tale ipotesi è inverosimile: il valore ottenuto è ben lontano dai valori critici.

Il test di D&F implementato nel caso di assenza di trend e di intercetta risulta non praticabile. La

tabella 2.1 è stata riportata per sottolineare l’importanza della scelta dell’equazione di riferimento

del test D&F: omettere una componente di trend chiaramente visibile e riscontrabile anche

attraverso il correlogramma rende privo di senso il test.

Ipotizzando la presenza di trend e di intercetta si verifica, o attraverso il test di D&F, o attraverso il

test di Phillips-Perron, la stazionarietà della serie. La tabella 2.2 riporta l’output del PP test con i

relativi valori critici:

Tabella 2.2: Il valore –14,78040 cade a sinistra dei valori critici, testimoniando la stazionarietà della serie detrendizzata.

13

Page 39: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Per una corretta identificazione del modello da associare alla serie empirica va stimato il trend. A

riguardo conviene analizzare la serie delle differenze prime della serie originaria poiché l’intercetta

della serie delle differenze prime rappresenta il trend della serie originaria. Tale intercetta è

stimabile dalla media della serie stessa: essa rappresenta così il coefficiente di trend della serie 2.5.

Figura 2.7: Serie delle differenze prime della serie 2.5. Si nota un’intercetta positiva che rappresenta il trend della serie 2.5.

Siamo ora in grado di “detrendizzare” la serie originaria sottraendole il fattore β*t , dove β è il

coefficiente di trend e t è l’unità temporale. La serie ottenuta è la serie della figura 2.8 (che

chiameremo serie 2.8). Tale serie risulta chiaramente stazionaria, così come si può verificare

osservando l’output del test di D&F riportato nella tabella 2.3:

Tabella 2.3: Output del test di D&F per la serie detrendizzata in figura 2.8.

14

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Figura 2.8: Serie 2.5 detrendizzata.

Per stimare i parametri della serie 2.8 va analizzato il correlogramma della stessa (figura 2.9). La

morfologia del correlogramma in figura 2.9 evidenzia la possibilità di avere un processo

ARMA(1,1) o addirittura un processo ARMA(1,2) viste le rispettive somiglianze del

correlogramma della funzione di autocorrelazione globale con quello di un processo AR(1)

stazionario e del correlogramma delle funzioni di autocorrelazioni parziali con quello di un

processo a media mobile di primo o second’ordine.

Figura 2.9: Correlogramma della serie detrendizzata 2.8.

15

Page 41: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Accettando l’ipotesi di avere a che fare con un processo ARMA(1,1), la stima dei parametri avviene

attraverso complesse procedure iterative, utilizzando le stime campionarie delle autocorrelazioni. In

tal modo si stima prima il coefficiente autoregressivo φ, poi si determina la serie data dalla

differenza tra la serie 2.8 e φ*serie2.8(-1). Se si definisce la serie 2.8 come tX , la serie 2.8(-1) sarà

uguale a 1−tX . La serie ottenuta dovrebbe essere il termine di errore del tipo: 1−+ tt aa θ il cui

correlogramma è osservabile in figura 2.10.

Figura 2.10: Correlogramma della variabile di disturbo nel processo ARMA(1,1). Si nota la correlazione seriale di prim’ordine e forse anche di ordine due. Accettando che la serie della figura 2.10 abbia una componente autoregressiva di ordine uno,

implicitamente si assume che la serie 2.8 sia ARMA(1,1) e la componente a media mobile

dell’ARMA(1,1) si ottiene stimando la componente autoregressiva della serie 2.10. In tal modo si

ottiene una serie stimata della serie ARMA(1,1) non molto lontana dalla serie originaria

detrendizzata.

16

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Figura 2.11: In rosso la serie originaria detrendizzata, in blu quella stimata.

2.3 - L’Analisi di Cointegrazione

Attraverso l’analisi di cointegrazione si cerca di individuare un legame lineare tra processi stocastici

non stazionari in modo tale che la suddetta relazione lineare sia stazionaria. In tal modo si individua

un legame stabile nel corso del tempo tra variabili che, in quanto non stazionarie, stabili non sono.

Prima di definire da un punto di vista formale la cointegrazione, occorre specificare il concetto di

serie integrata di un certo ordine. Quest’ultimo concetto è strettamente legato all’operatore

differenza . Una serie si dice integrata di ordine p se:

ttp XD ε=)(

se cioè la serie ottenuta da p differenze risulta essere una serie stazionaria.

L’analisi formale della cointegrazione, affrontata per la prima volta da Engle e Granger nel 1987,

comincia considerando un set di variabili tali che:

0...2211 =+++ txxx nntt βββ

Sia ),...,,( 21 nββββ = e )',...,,( 21 ntttt xxxX = , allora la medesima relazione potrà essere espressa

come: 0=tXβ . Se vale tale relazione, allora il set di variabili )',...,,( 21 ntttt xxxX = viene

considerato in equilibrio (Long run equilibrium). Viceversa la variazione dall’equilibrio viene

chiamata equilibrium error ed è definita come:

tt Xe β= .

Se l’equilibrium error è stazionario, allora le variabili )',...,,( 21 ntttt xxxX = sono in equilibrio.

17

Page 43: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Per una definizione formale di Cointegrazione vedi l’Appendice al Capitolo II, paragrafo A2.2.

Figura 2.12: Esempio di serie I(1) cointegrate.

Figura 2.13: Differenza tra le serie della figura 2.12 La serie ottenuta è chiaramente Stazionaria.

2.4 - Ulteriori considerazioni sulla Cointegrazione

La cointegrazione si riferisce ad una combinazione lineare di variabili non stazionarie.

Teoricamente potrebbe essere possibile che una relazione di tipo non lineare esista tra le variabili

18

Page 44: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

esaminate, tuttavia la procedura descritta non permette di verificare questa possibilità. Va poi

sottolineato come il vettore cointegrante non è necessariamente unico. Se ),...,,( 21 nββββ = è un

vettore cointegrante, allora per ogni valore non nullo di λ, ),...,,( 21 nλ βλ βλ β è ancora un vettore

cointegrante. Di solito una delle variabili viene utilizzata per normalizzare il vettore cointegrante

fissando il suo coefficiente pari ad uno. In altre parole si pone 1

λ = .

Da rilevare inoltre che tra le condizioni richieste vi è l’integrazione di uno stesso ordine d per tutte

le variabili in gioco. Naturalmente ciò non implica che tutte le variabili di tipo I(d) siano

cointegrate.

Se il vettore )',...,,( 21 ntttt xxxX = ha n componenti, ci potrebbero essere al massimo n-1 vettori

cointegranti linearmente indipendenti. Ad esempio, un vettore )',( 21 ttt xxX = può contenere al

massimo un vettore cointegrante indipendente. Il numero di vettori cointegranti è chiamato rango di

cointegrazione di tX .

Va sottolineato che la maggior parte della letteratura sulla cointegrazione si concentra sul caso in

cui ciascuna variabile è integrata di ordine 1 (I(1)): tale cioè che la differenza prima della variabile è

di tipo I(0) e quindi stazionaria. La ragione di ciò sta nel fatto che poche variabili economiche sono

integrate di ordine superiore ad uno.

2.5 - Test per la verifica della presenza di cointegrazione tra variabili

Dato un gruppo di variabili non stazionarie, si può verificare se esse risultano essere cointegrate. Di

seguito viene riportata la metodologia utilizzata da Johansen.

Si considera un vettore autoregressivo di ordine p del tipo:

ttptptt BXYAYAY ε++++= −− ...11 , dove tY è un vettore k-dimensionale di variabili non stazionarie

di tipo I(1), tX è un vettore di variabili deterministiche, tε è un vettore delle innovazioni o di

disturbo. Il vettore autoregressivo può essere riscritto come:

∑−

−− ++∆Γ+=∆1

1:1

p

ittititt XYYY εβπ ; dove:

∑=

−=p

ii IA

1

π , ∑+

−=Γp

ijji A

1:, I è la matrice identità. Il teorema della rappresentazione di Granger

(Vd. Appendice al Capitolo II) assicura che, se la matrice dei coefficienti π ha rango r<k, allora

19

Page 45: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

esistono due matrici (k x r) α e β, ciascuna di rango r, tali che 'α βπ = , con tY'β stazionaria. In tal

modo r rappresenta il numero delle relazioni cointegranti (il rango cointegrante) e ciascuna colonna

di β è un vettore cointegrante. Gli elementi di α sono noti come parametri di aggiustamento. Il

metodo di Johansen stima la matrice π per poi verificare se si possono rifiutare le restrizioni

implicite nel rango ridotto di π.

2.6 - Caratteristiche ed interpretazione del test di Johansen

Per verificare il rango della matrice π si utilizza un test 2χ , tuttavia Johansen sottolinea la necessità

di specificare alcuni elementi caratterizzanti del test prima di applicarlo, poiché un’errata

specificazione degli input può portare a risultati errati. In base agli input scelti il test assumerà una

forma diversa e la distribuzione 2χ di riferimento cambierà poiché cambieranno i gradi di libertà

della statistica. L’autore si sofferma sull’eventualità che le serie esaminate e/o le equazioni

cointegranti presentino intercetta e trend considerando in particolare cinque possibilità:

1. Le serie tY su cui va verificata l’eventuale presenza di cointegrazione non presentano un

trend di natura deteministica e non hanno intercetta. In questo caso si ha:

112 ':)( −− =+ ttt YBXYrH α βπ ;

2. Le serie esaminate non presentano una componente di trend ma le equazioni cointegranti

hanno intercetta: )'(:)( 11*1 ottt YBXYrH ρβαπ +=+ −− ;

3. Le serie presentano una componente di trend lineare ma le equazioni cointegranti hanno

solo l’intercetta: 0111 )'(:)( γαρβαπ ⊥−− ++=+ ottt YBXYrH ;

4. Sia le serie che le equazioni cointegranti presentano una componente di trend lineare:

0111 )'(:)(* γαρρβαπ ⊥−− +++=+ tYBXYrH ottt ;

5. Le serie hanno trend quadratico e le equazioni cointegranti hanno trend lineare:

)()'(:)( 10111 ttYBXYrH ottt γγαρρβαπ ++++=+ ⊥−− ;

dove ⊥α è una matrice non unica k x (k – r) tale che ⊥αα ' =0 ed il rango di ⊥αα | è uguale a k.

Questi cinque casi sono legati dalle seguenti relazioni di inclusione:

)()()()()( 2*

212*122 rHrHrHrHrH

rkrrkr −−

⊂⊂⊂⊂χχχχ .

Quest’ultima relazione assume un’importanza pratica fondamentale poiché essa evidenzia il tipo

di distribuzione 2χ da utilizzare in relazione alla scelta effettuata su elementi caratterizzanti

20

Page 46: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

quali l’intercetta e la componente di trend. Tali scelte vanno ovviamente fatte in relazione alla

conoscenza del fenomeno e delle serie a disposizione. Una volta scelta la serie di riferimento

(uno dei cinque casi sopra esposti), va costruita la statistica test che servirà per verificare

l’eventuale presenza di cointegrazione. Tale statistica può essere riassunta con il seguente

sistema:

≈−−

≈−−

=

+−

r

irii

k

rirkii

n

n

1

2*

1:

2*

))1/()1log((

))1/()1log((

χλλ

χλλ;

Si utilizzerà la prima se si è nei casi 5 e 3, la seconda negli altri tre casi. iλ e *iλ rappresentano i

più grandi autovalori rispettivamente per i modelli H(r) e )(* rH .

L’output del test di Johansen, così come di solito si presenta sui principali software

econometrici, viene riportato nelle tabelle 2.4 e 2.5:

Tabella 2.4: Output tratto dall’Help on line di E-views. In questo caso si rifiuta l’ipotesi di CI(1) per le Serie LRM, LRY, IBO, IDE.

Tabella 2.5: output tratto dall’Help on line di E-views: caso di CI(1) tra le serie LOG(CS) e LOG(INC)

Nella tabella 2.4 viene riportato un caso in cui non vi è cointegrazione: va verificata la presenza di

cointegrazione tra quattro serie, LRM, LRY, IBO, IDE, avendo nel sistema anche tre variabili

esogene: D1, D2, D3.

21

Page 47: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

La prima colonna a partire da sinistra presenta gli autovalori necessari per l’implementazione della

statistica di Johansen, la seconda la determinazione che la statistica di Johansen assume in

corrispondenza di quell’autovalore. Le due colonne successive presentano i valori critici per

rifiutare le ipotesi riportate nell’ultima colonna. Il test differisce dai soliti test, quantomeno

nell’interpretazione dell’output, poiché il primo autovalore serve per verificare l’ipotesi di base di

assenza di cointegrazione; il secondo autovalore serve per verificare l’ipotesi di base della presenza

di una sola equazione cointegrante, il k-esimo autovalore serve per verificare l’ipotesi della

presenza di k-1 equazioni cointegranti. In questo caso il primo autovalore, 0,433165, determina una

statistica (LR Ratio) pari a 49,14436, inferiore al valore critico 53,12 al 95% di significatività. Ciò

implica che si può ragionevolmente accettare l’ipotesi di assenza di equazioni cointegranti.

Viceversa, nella tabella 2.5, il primo autovalore è pari a 0,145518, da cui scaturisce una statistica

LR pari a 25,20440, maggiore del valore critico 15,41. In tal modo si rifiuta l’ipotesi di assenza di

cointegrazione. Il secondo autovalore, 0,014098, determina una statistica LR pari a 2,087119,

inferiore al valore critico 3,76, facendo si che si possa accettare l’ipotesi della presenza di

un’equazione cointegrante ad un livello di significatività del 95%.

Figura 2.14

22

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2.7 - Un caso pratico: Mibtel e Mib30

A scopo esemplificativo viene riportata una verifica empirica sulla relazione cointegrante che lega

l’indice Mibtel con l’indice Mib30. I dati analizzati vanno dal 5/01/’93 al 6/12/’99 e si riferiscono

ai valori di chiusura dei due indici. Come al solito il primo passo effettuato nell’analisi è stato

l’esame dei correlogrammi (Figure 2.15 e 2.16) delle due serie relative ai due indici. Entrambi i

correlogrammi suggeriscono di considerare l’ipotesi di processi non stazionari di natura

autoregressiva. In particolare l’osservazione delle due funzioni di autocorrelazione globale consiglia

di ritenere i due processi non stazionari.

La fase successiva dell’analisi si è spostata sulla verifica della non stazionarietà delle serie. In

merito si è pensato di utilizzare l’ADF test (il test aggiustato di D&F) con risultati (presenti nelle

tabelle 2.6 e 2.7) che confermano le impressioni tratte dai correlogrammi: ad un livello di

significatività del 99% si può rifiutare l’ipotesi di stazionarietà delle due serie. In realtà, per

verificare che le serie siano effettivamente integrate di ordine uno, è consigliabile attuare l’ADF test

anche sulle differenze prime delle due serie per accertarsi che le due serie differenziate siano

stazionarie (I(0)). In questo caso, così come si può verificare, le due serie delle differenze prime dei

due indici risultano tali da non poter rifiutare l’ipotesi di stazionarietà. Essendo entrambe le serie di

tipo I(1), si è poi verificata l’ipotesi di cointegrazione tra le due attraverso il test di Johansen

(tabella 2.8). Si è pensato di optare per una stima dell’equazione cointegrante scaturita dalle ipotesi

di presenza di trend lineare nei dati ed intercetta nell’equazione cointegrante. Da rilevare che la

maggior parte dei software econometrici fornisce, in questi casi, anche il rapporto di

logverosimiglianza che permette di scegliere la giusta opzione tra le cinque possibili nel test di

Johansen (si sceglie la combinazione di ipotesi su equazione cointegrante e dati che fornisce il

valore più elevato del rapporto di logverosimiglianza). Dall’output del test, presente nella tabella

2.8, si può osservare che si può accettare l’ipotesi di una ed una sola equazione cointegrante con

equazione cointegrante normalizzata rispetto al Mibtel pari a: Mibtel=0,689374Mib30+72,07138.

Il grafico finale dimostra la validità dell’equazione cointegrante rispetto alla serie originaria del

Mib30.

23

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Figura 2.15

Figura 2.16

24

Page 50: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Tabella 2.6

Tabella 2.7

Tabella 2.8: Test di Johansen.

25

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Figura 2.17

26

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ANALISI DELLE SERIE STORICHE:Strumenti econometrici utilizzati in finanza

Capitolo III

di Stefano Caprioli [email protected]

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

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CAPITOLO III ......................................................................................................................... 5

Modelli ARCH e GARCH .................................................................................................................. 5 3-1 - La modellistica ARCH ............................................................................................................. 5 3.2 - L’ARCH LM Test .................................................................................................................... 7 3.3 - Modello ARMA con disturbi ARCH ....................................................................................... 7 3.4 - Esempio di modello ARCH: l’ARCH(1) ................................................................................. 8 3.5 - Distribuzione di un processo ARCH(p) ................................................................................... 9 3.6 - Il modello lineare GARCH(p,q) ............................................................................................... 9 3.7 - Il modello ARCH-M ............................................................................................................. 10 3.8 - L’Asimmetria della Volatilità ............................................................................................... 11 3.9 - Il Modello E-Garch ............................................................................................................... 13 3.10 - Un caso pratico: il Mibtel ..................................................................................................... 14

4

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Capitolo III

Modelli ARCH e GARCH

3-1 - La modellistica ARCH

Nel primo capitolo sono stati analizzati i processi AR, MA, ARMA ed ARIMA. Una delle

caratteristiche fondamentali di tali processi è la presenza di una distribuzione della varianza

condizionata del termine di errore omoschedastica. In realtà è piuttosto frequente osservare come

numerose serie finanziarie presentino un andamento eteroschedastico della varianza condizionata.

Si parla di varianza condizionata poiché si fa riferimento a quella porzione della variabilità della

serie spiegata dal modello utilizzato. In generale, data una generica variabile casuale tY , il valore

atteso e la varianza non condizionata sono espressi dalle seguenti relazioni:

µ=)( tYE ;

22 ])[()( σµ =−= tt YEYV .

Se la medesima variabile tY può essere “spiegata” da un set informativo 1−tI , il valore atteso e la

varianza condizionata sono dati da:

);/( 1−= ttt IYEm

)/(]/)[()/( 12

12

1 −−− =−= tttttt IeEImYtEIYV ,

da cui si ricava che la varianza condizionata coincide con lo scarto al quadrato 2te . Se si assume

che il set informativo 1−tI è rappresentato dalla combinazione lineare dei p valori passati della stessa

variabile tY , i due momenti condizionati diventano:

ptptt YYm −− +++= ααα ...11 ;

]/[])...[()/( 122

111 −−−− =−−−−= ttptptttt IeEYYYEIYV ααα

5

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L’eteroschedasticità si evidenzia osservando il secondo momento condizionato, spesso

caratterizzato da periodi di forti oscillazioni alternati a periodi di “calma”. Conseguentemente a ciò

è sembrato inopportuno l’utilizzo di processi con varianza condizionata omoschedastica. In

quest’ottica si è cercato di individuare delle variabili significative che spiegassero l’andamento della

varianza condizionata. Il primo a fornire una risposta a tale problema è stato Engle, proponendo il

processo ARCH(p).

La sigla ARCH sta per Autoregressive Conditional Heteroschedasticity with Estimates of the

Variance. L’idea alla base del lavoro di Engle consisteva nell’assunzione di una varianza

condizionata che dipendesse dal passato.

Engle parte da un P.S. autoregressivo di ordine uno poiché la modellistica ARIMA si era rivelata un

ottimo strumento previsivo proprio per l’uso che in essa veniva fatto della media condizionata della

variabile in esame nell’insieme delle informazioni disponibili. L’idea era quella di introdurre le

informazioni passate anche nella varianza condizionata oltre che nella media condizionata. In tal

modo utilizza una nuova classe di processi stocastici caratterizzati da incorrelazione seriale e media

nulla, con varianza non condizionata costante e varianza condizionata non costante ma dipendente

dal set di informazioni disponibile al tempo t-1. Il modello, da un punto di vista formale, risulta

essere:

);,,.......,,,(

;22

32

22

1

2/1

αεεεε

ε

pttttt

ttt

hhhz

−−−−=

=

con :

;1)(;0)(

.;..);,0(/ 1

==

>−−

t

t

t

ttt

zVarzEdiiz

hNψε

dove p è l’ordine del processo ARCH ed α è un vettore di parametri incogniti, h varianza

condizionata.

In termini operativi tε rappresenta solitamente le innovazioni di altri processi stocastici. L’esempio

più comune a riguardo è costituito dal modello ARCH di regressione lineare del tipo:

),,......,,,(

;22

32

22

1 αεεεε

εβ

pttttt

ttt

hhAX

−−−−=

+=

con:

);,0(/);,(/

1

1

ttt

tttt

hNhANX

>−>−

ψεβψ

con A vettore di variabili predeterminate e β vettore dei parametri.

6

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3.2 - L’ARCH LM Test

Per verificare l’ipotesi nulla che non vi siano componenti ARCH fino all’ordine q nei residui di un

modello si costruisce la regressione:22

1102 ... qtqtt eee −− +++= βββ (1)

con te residui del modello stimato. Verificando l’ipotesi nulla di assenza di significatività dei

coefficienti della regressione (1), si verifica congiuntamente l’ipotesi di assenza di componenti

ARCH fino all’ordine q per la varianza del modello. I test di solito utilizzati a riguardo sono il test F

ed il test di Breusch-Godfrey. In particolare il test B-D è determinato dal prodotto tra la dimensione

della serie osservata ed il coefficiente di determinazione della regressione. Tale statistica è

asintoticamente distribuita come una 2qχ .

Tabella 3.1: Il test F ed il test B-D applicati alla serie storica relativa ai valori di chiusura del Mib30 dal 5/01/’93 al 6/12/’99. L’ipotesi nulla di non significatività di una componente ARCH non è accettabile ad un livello di significatività per entrambi i test del 95%..

3.3 - Modello ARMA con disturbi ARCH

Accettando l’ipotesi di una varianza condizionata non costante nel corso del tempo, si può pensare

di inserire il modello ARCH in un modello ARMA:

;)()( tt LbXLa ε=

con

).,,........,,,(

);,0(/22

32

22

1

1

αεεεε

ψε

pttttt

ttt

hhhN

−−−−

=

>−

da notare che in tal modo si riesce a trasferire l’informazione passata sia sulla variabile oggetto di

studio che sul termine di errore.

In generale il processo ARCH presenta una pluralità di caratteristiche che lo rendono molto

attraente per un molteplice uso. In primis va sottolineato che la costruzione della varianza

condizionata th linearmente dipendente dal quadrato dei residui passati permette di catturare

l’andamento tipico delle serie finanziarie con l’alternarsi di periodi di forti fluttuazioni alternati a

periodi di stasi con oscillazioni irrilevanti. Un secondo aspetto molto importante è legato al modello

7

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di regressione ARCH, capace di approssimare una regressione più complessa con disturbi non

ARCH: in altre parole la varianza ARCH comprende l’eteroschedasticità presente in modo da

sopperire anche ad eventuali errate specificazioni del modello o a cambi strutturali particolarmente

rilevanti.

3.4 - Esempio di modello ARCH: l’ARCH(1)

Il più semplice modello ARCH può essere espresso nella forma:

;2/1ttt hz=ε

con:

210

1 );,0(/

+=

>−

tt

ttt

hhN

α εα

ψε

dove:

.1)(;0)(

.;..;0;00

==

≥>

t

t

t

zVarzEdiiz

αα

00 >α e 0≥α vengono dette condizioni di regolarità: esse garantiscono la condizione di non

negatività della varianza. Da notare che i momenti dispari del processo risultano sempre nulli

mentre per quelli pari vale il Teorema 3.1 in Appendice di cui si omette la dimostrazione.

Applicando il suddetto Teorema 3.1 ai primi due momenti della distribuzione non condizionata di

tε si ottiene:

1)1(

)( 02 <⇔∞<−

= αα

αε tE

13)31()1(

)1(3)( 2

2

2204 <⇔∞<

−−

−= α

αα

ααε tE .

Dalle relazioni precedenti si evince che 1<α è condizione necessaria e sufficiente per la

stazionarietà in covarianza del processo non condizionato di tε . Analogamente 13 2 <α è condizione

necessaria e sufficiente per l’esistenza del momento quarto non condizionato.

Qualora risultino soddisfatte le condizioni appena citate è possibile calcolare l’indice di Curtosi (K)

nel modo seguente:

8

Page 59: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

22

4

)]([)(

εε

EEK = .

L’indice di curtosi di una distribuzione normale è K=3. laddove K assume un valore maggiore di

tre, siamo di fronte ad una distribuzione leptocurtica, cioè caratterizzata da code più alte di una

normale; distribuzione peraltro tipica dei processi ARCH.

3.5 - Distribuzione di un processo ARCH(p)

Il modello ARCH di ordine p deriva dalla semplice generalizzazione di un processo ARCH di

prim’ordine e può essere così rappresentato:2/1

ttt hz=ε ,

con ),0(| 1 ttt hN≈−ψε . La varianza th assumerà la seguente espressione:22

110 ... ptptth −− +++= εαεαα , con ;00 >α 0,...,, 21 ≥pααα .

Queste ultime due condizioni, dette di regolarità, garantiscono la positività della varianza.

Per quanto riguarda i vincoli necessari a garantire la stazionarietà in covarianza del processo vale il

Teorema 3.2 riportato in Appendice. In base a tale Teorema un processo ARCH(p) è stazionario in

covarianza se: 11

<∑=

p

jjα .

3.6 - Il modello lineare GARCH(p,q)

Uno dei problemi generalmente riscontrabili nella stima dei modelli ARCH è costituito dalla

necessità di introdurre una quantità considerevole di ritardi temporali nell’equazione della varianza

condizionata. Al fine di disporre di una parametrizzazione più parsimoniosa del modello si pensò

(T.Bollerslev, “Generalized Autoregressive Conditional Heteroskedasticity”, Journal of

Econometrics 1986) di utilizzare la stessa logica che permette di passare dai processi AR(p) ai

processi ARMA(p,q). La varianza dell’errore è stata perciò definita sulla base di un processo

eteroschedasico generalizzato autoregressivo di ordine “p”, “q”:

ttqtqtptptt hLLhhh )()(...... 2011

22110 βεααββεαεαα ++=++++++= −−−− ;

con 0,...,,0,...,,;0 21210 ≥≥> qp βββαααα ;

9

Page 60: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Il comportamento della varianza condizionata dipende dunque, oltre che dagli errori passati al

quadrato, anche dai valori antecedenti della varianza stessa. Risulta inoltre immediato che per q=0

si ricade nella modellistica ARCH(p).

L’analisi del processo è condotta in modo analogo a quella già vista per il modello ARCH(p),

portando alla conclusione che la stazionarietà in covarianza di un processo GARCH(p,q) lineare è

possibile, se e solo se, è soddisfatto il seguente vincolo:

111

<+ ∑∑==

q

jj

p

ii βα .

Oltre a ciò il calcolo della Curtosi mostra che anche in questo caso la distribuzione degli tε è

leptocurtica.

Va sottolineato infine che è stato dimostrato che le proprietà statistiche degli tε al quadrato sono

simili a quelli di un processo ARMA perciò la procedura di identificazione degli ordini “p” e “q”

comunemente usata può essere analoga a quella indicata da Box e Jenkins per l’identificazione dei

modelli classici ARMA(p,q).

3.7 - Il modello ARCH-M

Tutti i modelli ARCH/GARCH sono caratterizzati dalla presenza di due equazioni fondamentali:

l’equazione relativa al modello (Mean Equation) e l’equazione relativa alla varianza (Variance

Equation). Nei modelli esaminati finora la Mean Equation era caratterizzata dal non presentare tra

le variabili indipendenti o regressori nessun elemento che spiegasse la volatilità. In realtà, nel

cercare di spiegare fenomeni di natura finanziaria, molto spesso i rendimenti attesi di un’attività o di

un portafoglio risultano correlati con una misura del rischio atteso. In tale ottica si è pensato di

introdurre direttamente nella Mean Equation una componente di rischio, a scelta tra la varianza

condizionata e la deviazione standard condizionata, per meglio spiegare l’andamento dei

rendimenti. In pratica, se si ritiene che i rendimenti di un’attività siano correlati con la volatilità del

periodo in esame, il modello di base si “arricchisce” di un ulteriore regressore costituito dalla

varianza condizionata o dalla deviazione standard condizionata. Da rilevare che i software che

forniscono delle stime ARCH/GARCH presentano l’opzione di inserimento di elementi che

rendono il modello ARCH/GARCH-M.

10

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3.8 - L’Asimmetria della Volatilità

In ambito finanziario è stato riscontrato molto spesso un fattore di asimmetria nella relazione

Rischio/Rendimento. Tale fattore fa si che la volatilità sia molto più sensibile ad informazioni

negative piuttosto che ad informazioni positive. In pratica si è osservato che la volatilità è molto

più sensibile a forti ribassi piuttosto che a forti rialzi. Di seguito viene presentato un esempio

grafico relativo all’indice Mibtel (Figure 3.1, 3.2, 3.3).

Figura 3.1: Rialzo dell’indice Mibtel rilevato con frequenza giornaliera. In 60 giorni l’indice ha subito una variazione positiva del 30,539%.

Per ovviare a tale particolarità della volatilità sono stati introdotti dei modelli “asimmetrici” quali,

ad esempio, il TARCH e l’E-Garch. Senza soffermarci troppo sugli aspetti analitici e formali dei

due modelli, va sottolineato come i due modelli affrontino il problema dell’asimmetria con approcci

sostanzialmente diversi. Il TARCH è un modello ARCH con una variabile dummy applicata alla

componente ARCH in modo tale da avere:

211

21

21

2−−−− +++= ttttt d β σγ εα εωσ

11

Page 62: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

dove 011 <=− tt sed ε , 001 >=− tt sed ε . In tal modo il modello prevede impatti diversi sulla

volatilità per buone e cattive notizie. In termini tecnici si è soliti affermare che per periodi in cui

d=1, il fattore ARCH è α+γ e si è in presenza di un effetto leva (Leverage Effect) significativo.

Figura 3.2: Andamento della deviazione standard a 252 giorni dell’Indice Mibtel nel medesimo periodo della Figura 3.1. La volatilità ha subito una variazione del 5,156% in questo periodo di forti rialzi.

12

Page 63: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Figura 3.3: Grafico giornaliero Mibtel in un periodo di ribassi che fanno variare l’indice: -34,3986%..

Figura 3.4: andamento della Deviazione standard a 252 giorni del Mibtel nel medesimo periodo della figura 3.3.In questa fase di forti ribassi la volatilità ha registrato una variazione pari a –28,0977%.

3.9 - Il Modello E-Garch

Sicuramente più famoso del TARCH, l’E-Garch si propone come risposta alternativa al TARCH per

il problema dell’asimmetria della volatilità. Tale modello, definito anche Exponential Garch, è stato

proposto per la prima volta da Nelson (1991). Esso si basa su una specificazione del logaritmo della

varianza condizionata che tenga conto del Leverage effect. In formulae si ha:

1

1

1

121

2 )2()log()log(−

−− +−++=

t

t

t

ttt σ

εγ

πσε

ασβωσ ;

Nelson costruisce il modello in maniera tale da non dover presupporre necessariamente la normalità

dei termini di errore. La relazione appena descritta si riferisce ad un E-Garch(1,1), generalizzando

ad un E-Garch(p,q) si ha:

it

itq

ii

it

iti

q

ijt

p

jjt

=−

=−

=∑∑∑ +−++=

σε

γπσ

εασβωσ

11

2

1

2 )2()log()log( .

13

Page 64: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Da sottolineare l’importanza del parametro γ che esprime il cosiddetto leverage Effect, poiché se si

riscontra la significatività di questo, implicitamente si accetta l’idea che la serie osservata presenti

una componente di asimmetria in linea con la teoria di un modello EGARCH.

3.10 - Un caso pratico: il Mibtel

E’ stato preso in considerazione l’indice MIBTEL dal 5/01/’93 al 6/12/’99. La serie dei logaritmi

dei rendimenti giornalieri (Figura 3.5) presenta una variabilità accentuata in prossimità di una fase

di ribasso. Tale asimmetria è riscontrabile anche visivamente come si può osservare (parte destra

del grafico della figura 3.5). L’idea di base quindi è che i rendimenti non presentino una volatilità

omoschedastica ma, al contrario, una chiara relazione rischio/rendimento.

Figura 3.5: Rendimenti giornalieri (calcolati come log(It/It-1) dell’indice Mibtel.

Dall’osservazione della figura 3.7, e delle statistiche riassuntive presenti in essa, emerge una curtosi

elevata, mentre il test J-B sconsiglia di accettare l’ipotesi di normalità della serie. L’analisi dei

correlogrammi e delle relative statistiche (Figura 3.6) suggeriscono di scegliere come modello

identificativo un AR(1). In tal modo si può applicare l’ARCH–test (Tabella 3.2) che conferma la

presenza di componenti ARCH da non trascurare nell’identificazione del modello. A questo punto

si può implementare un modello AR(1) che tenga conto dell’asimmetria della volatilità riscontrata

nei paragrafi precedenti; si è pensato, dopo svariati tentativi, di verificare la significatività di un

modello E-Garch(4,4) in Mean per spiegare eventuali fattori di asimmetria o Leverage Effect. La

14

Page 65: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Tabella 3.3 evidenzia la significatività dei parametri del modello AR(1) e della varianza E-

Garch(1,1) in Mean. In particolare, facendo riferimento all’output della Tabella 3.3, il

RES/SQR[GARCH(1)] rappresenta il Leverage Effect di lag1, in questo caso ampiamente

significativo.

Figura 3.6: Correlogramma della serie osservata dei logrendimenti giornalieri del mibtel.

15

Page 66: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Figura 3.7: Istogramma e statistiche riassuntive della distribuzione della serie dei rendimenti del Mibtel della figura 3.5. Da sottolineare la curtosi elevata e la statistica Jarque-Bera che sconsigliano di accettare l’ipotesi di normalità della serie.

Figura 3.8: Correlogramma della serie in Figura 3.5. La statistica Q suggerisce la presenza di elementi autoregressivi.

Tabella 3.2: Ipotizzando un modello autoegressivo di ordine uno per i log-rendimenti dell’indice Mibtel, si è verificata la presenza di eventuali componenti ARCH nei residui. I due test (F e Bg) suggeriscono di rifiutare l’ipotesi di asenza di componenti ARCH.

Tabella 3.3: Output relativo ad un modello EGARCH(4,4) in Mean.

16

Page 67: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Nel modello EGARCH specificato nel paragrafo precedente il Leverage Effect è il parametro γ. In

questo caso 1γ è pari a –0.026948, valore piccolo che “sottopesa” l’effetto della volatilità sul

rendimento. Per verificare la bontà del modello adottato si isola la varianza non spiegata dalla

modellistica ARCH/GARCH per verificarne l’omoschedasticità e l’assenza di ulteriori componenti

ARCH/GARCH. Da rilevare che l’accettazione della modellistica GARCH nega l’ipotesi di

omoschedasticità della varianza condizionata, rendendo inapplicabile il modello tradizionale del

CAPM. Le stime GARCH risultano inoltre estremamente efficaci per stimare una volatilità

adeguata da inserire nei più comuni modelli di pricing delle opzioni.

Per verificare la bontà del modello è sufficiente analizzarne i residui standardizzati: se questi

risultano essere privi di autocorrelazione seriale, con media zero e deviazione standard 1 e si può

accettare l’ipotesi di normalità della distribuzione, allora si può accettare il modello adottato,

ritenendolo sufficientemente esplicativo per la serie osservata.

17

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18

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ANALISI DELLE SERIE STORICHE:Strumenti econometrici utilizzati in finanza

APPENDICE

di Stefano Caprioli [email protected]

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

3

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APPENDICE .......................................................................................................................... 5

A1.1 - Exponential Smoothing .......................................................................................................... 5 Metodo dello smussamento singolo ................................................................................................. 5 Smorzamento doppio ad un parametro ............................................................................................. 5 - Smorzamento moltiplicativo .......................................................................................................... 6 - Smorzamento additivo (tre parametri) ........................................................................................... 6 - Smorzamento non stagionale a due parametri ................................................................................ 7

A1.2 - Momenti teorici di un processo stazionario in senso debole .............................................. 7

A1.3 - Funzione di Autocorrelazione parziale per un processo stocastico stazionario in senso debole ................................................................................................................................................... 8

A1.4 - Decomposizione di Wold ........................................................................................................ 9

A1.5 - Momenti di un processo AR(p) ............................................................................................. 9

A1.6 - Processo Autoregressivo di Ordine 1 (AR(1)) .................................................................... 10

A1.7 - Funzioni di Autovarianza, Autocovarianza e Autocorrelazione di un MA(1) ................ 10

A1.8 - Condizione di Box & Jenkins di Invertibilità di un MA(q) o di Stazionarietà di un AR(p) ................................................................................................................................................ 11

A1.9 - Processi ARMA(p,q) ............................................................................................................ 12

A2.1 - Il test di Phillips-Perron ....................................................................................................... 13

A2.2 - L’Analisi di Cointegrazione ................................................................................................. 13

A2.3 - Cointegrazione ed Error correction ................................................................................... 13

A2.4 - Metodo di Johansen ............................................................................................................ 14

A2.5 - L’approccio di ENGLE-GRANGER .................................................................................. 15

A3.1 - TEOREMA 3.1 ................................................................................................................... 16

A3.2 - TEOREMA 3.2 ...................................................................................................................... 16

A3.3 - L’Approccio di ENGLE ....................................................................................................... 16

4

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APPENDICE

A1.1 - Exponential Smoothing

Metodo dello smussamento singolo

In formulae si ha:

11 )1()( −+ −+=+−= tttttt FaaXFFXaF (1)

con a costante di smussamento ed F serie “smorzata” di X o serie delle previsioni su X. Da rilevare

che la costante “a”, in valore assoluto, determina in quale misura le previsioni rispondono agli errori

della previsione precedente.

Si può osservare che la relazione (1) può essere riscritta nel seguente modo:

∑−

=−−=

1

0

)1(t

sst

st XaaF

Quest’ultima relazione mostra chiaramente la natura “esponenziale” di tale metodo: la serie

“Forecast” F è una media ponderata dei valori passati di X, con i pesi che “declinano”

esponenzialmente nel corso del tempo.

Smorzamento doppio ad un parametro

In formulae si ha:

1

1

)1()1(

−+=−+=

ttt

ttt

FaaSFSaaXS

Le previsioni con tale metodo al tempo (T+k) risultano essere:

kFSa

aFSFa

akSa

akF TTTTTTkT )(1

2)1

1()1

2( −−

+−=−

+−−

+=+

ciò implica che le previsioni giacciono su una retta con intercetta TT FS −2 e coefficiente angolare

)1/()( aFSa TT −− .

5

Page 72: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

- Smorzamento moltiplicativo

La serie smussata F è data dalla seguente relazione:

kcbkaF tkT ++=+ )(

))1()1()(1()(

)( −+−−+−

= tbtastc

Xtat

t αα ;

)1()1())1()(()( −−+−−= tbtatatb ββ ;

)()1()(

)( stcta

Xtc tt

t −−+= γγ ;

con i parametri α,β strettamente positivi, γ<1. Il parametro s rappresenta il cosiddetto “Cycle for

Seasonal”, vale a dire che i precedenti parametri vengono calcolati partendo dalle ultime s

osservazioni.

- Smorzamento additivo (tre parametri)

La serie smussata è data dalla seguente relazione:

ktkt cbkaF ++ ++=

con a intercetta o componente permanente, b componente di trend, tc fattore stagionale additivo di

trend. Questi tre coefficienti sono definiti dalle seguenti relazioni di tipo ricorsivo:

;10,)()1())(()(

)1()1())1()(()())1()1()(1())(()(

<>−−+−=

−−+−−=−+−−+−−=

γβαγγ

ββαα

stctaFtctbtatatb

tbtastcFta

ttt

tt

In questo caso una previsione al tempo (T+k) è data da:

sktkT ckTbTaF −++ ++= )()(

6

Page 73: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

- Smorzamento non stagionale a due parametri

La serie smussata è data da:

bkaF kT +=+

con a intercetta e b componente di trend. Tali parametri vengono ottenuti dalle seguenti relazioni

ricorsive:

))1()1()(1()( −+−−+= tbtaFta t αα

)1()1())1()(()( −−+−−= tbtatatb ββ

con α>0, β<1.

A1.2 - Momenti teorici di un processo stazionario in senso deboleLa stazionarietà in senso debole di second’ordine comporta l’indipendenza del valore medio e della

varianza dal tempo t: tali valori risulteranno costanti al variare del tempo. La funzione di

autocovarianza dipende solo da K: in altre parole la distribuzione congiunta di )( 1tX e di )( 2tX

dipende solo dalla distanza fra 1t e 2t e non dai valori effettivi di 1t e 2t . Sotto questa ipotesi è

sufficiente considerare la differenza (lag)

K= 2t - 1t .

In sintesi la stazionarietà in senso debole di second’ordine richiede media e varianza costanti ed

autocovarianza funzione solo di K. Da notare che, in presenza di stazionarietà, sia la funzione di

autocovarianza che quella di autocorrelazione risultano simmetriche rispetto al lag k:

)()( kk −= γγ

)()( kk −= ρρ

Tale proprietà permette di evitare di calcolare i valori delle due funzioni per lag negativi. Da

rilevare inoltre che la funzione di autocorrelazione, sempre in presenza di stazionarietà, può essere

espressa dalla seguente relazione:

0γγρ k

k = .

La matrice delle autocorrelazioni di un processo stazionario è definita positiva, dando luogo a

conseguenze limitatrici sui valori che possono assumere i coefficienti di autocorrelazione:

7

Page 74: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

01

1

1

1 >ρ

ρ

ossia 01 21 >− ρ e quindi 11 1 <<− ρ . Per K=2 si ha:

01

11

21

21

21

>ρρ

ρρρρ

da cui si ottiene:

11 1 <<− ρ ; 11 2 <<− ρ ; 11

1 21

212 <

−−<−

ρρρ

.

A1.3 - Funzione di Autocorrelazione parziale per un processo stocastico stazionario in senso debole

Nel caso in cui un P.S. è stazionario, i coefficienti di autocorrelazione parziale assumono

espressioni piuttosto semplici. Tali coefficienti vengono generalmente indicati con kkφ .

Si può dimostrare (vd. Box-Jenkins (1970), pag. 64) che nel caso di un P.S. stazionario, questi

coefficienti sono espressi dal rapporto:

k

kkk R

R*

dove sia il numeratore che il denominatore sono rappresentati da due determinanti quadrati e

precisamente:

- quello del denominatore kR è il determinante della matrice dei coefficienti di autocorrelazione

totale kρ , ossia:

021

201

110

................................

...

...

det

ρρρ

ρρρρρρ

−−

=

kk

k

k

kR

- quello del numeratore *kR è uguale a kR con la sola differenza dell’ultima colonna che viene

sostituita dai coefficienti kρρρ ,...,, 21 ed ha quindi come espressione:

kkk

kR

ρρρ

ρρρρρρ

.................................

...

...

det

21

201

110

−−

= .

8

Page 75: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

A1.4 - Decomposizione di WoldAlla base dell’analisi delle serie storiche vi è un teorema, conosciuto come il teorema della

decomposizione di Wold. In tale teorema si dimostra che ogni processo stocastico stazionario in

senso debole del tipo )( µ−tX può essere scritto come una combinazione lineare di una sequenza di

variabili casuali incorrelate tra loro. Risulta fondamentale, prima di applicare tale risultato, depurare

il processo oggetto di studio da eventuali componenti deterministiche che renderebbero il teorema

inapplicabile. Se il teorema è applicabile, allora il processo )( µ−tX potrà essere espresso come:

∑∞

=−−− =+++=−

02211 ..)(

jjtjtttt aaaaX ψψψµ

con ;10 =ψ

La sequenza { },...2,1,0: ±±=tat è costituita da elementi di variabili casuali incorrelate, talvolta

denominate innovazioni, provenienti da una distribuzione data con:

∞<==

=22 )()(

;0)(

σtt

t

aEaV

aE

e ,0),(),( == −− kttktt aaEaaCov per ogni 0≠k .

Come si può facilmente osservare, il processo { }ta è un rumor bianco (WN).

Di notevole importanza i pesi ψ, poiché è assolutamente equivalente affermare che essi convergono

assolutamente )( ∞<∑ iψ o che il processo { }tX è stazionario.

A1.5 - Momenti di un processo AR(p)Il valore medio atteso di un processo stocastico autoregressivo di ordine p con intercetta µ è dato

da:

ptXE

φφφµ

−−−−=

...1)(

21

Da rilevare che nel paragrafo 1.7 il modello AR(p) è stato presentato senza intercetta, in questo caso

il valore medio atteso risulta pari a zero. L’inserimento di un’intercetta non cambia la natura del

processo, sempre che questa non abbia una natura stocastica.

La varianza 0γ e le autocovarianze ,...,.....,, 21 pγγγ si calcolano con le seguenti relazioni:

Xapp22

22110 ... σσγφγφγφγ =++++=

pkpkkk −−− +++= γφγφγφγ ...2211 (k=1,2,…,p)

Le autocovarianze sono in numero infinito e per j>p si ricorre alla seguente relazione:

9

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pjpjjj −−− +++= γφγφγφγ ...2211

che prende il nome di equazione di Yule-Walker.

Quest’ultima relazione è piuttosto utile per la risoluzione di due problemi:

- Se si è stabilito che il modello da associare alla serie osservata è proprio l’AR(p) e sono

quindi noti i parametri pφφφ ,....,, 21 , allora si potranno calcolare le autocovarianze teoriche

corrispondenti al modello scelto.

- Se, viceversa, di un dato modello sono ignoti i parametri pφφφ ,....,, 21 , questi potranno essere

stimati sostituendo ai valori teorici delle autocovarianze kγ i corrispondenti valori

campionari che si ricavano dalla serie osservata.

Se si divide la funzione dell’autocovarianza per l’autovarianza 0γ si ottiene la funzione di

autocorrelazione:

pkpkkk −−− +++= ρφρφρφρ ...2211 (k=1,2,…3,…)

Si può osservare come tutte le relazioni viste finora siano di natura ricorsiva, e quindi di facile

derivazione.

Quest’ultima relazione, come la precedente, permette, partendo da 0ρ =1, di ottenere tutti gli altri

coefficienti di autocorrelazione teorica.

A1.6 - Processo Autoregressivo di Ordine 1 (AR(1)) Si può ricavare la funzione di autocorrelazione globale di un processo AR(1) moltiplicando

entrambi i membri della relazione tt aXB =− )1( φ per ktX − , con 0≥K , e calcolando il valore atteso

del risultato ottenuto. In tal modo si ottiene: 1−= kk φ γγ , per ogni k>0, e, conseguentemente,

0γφγ kk = . Un processo AR(1) ha perciò una funzione di autocorrelazione globale data da k

k φρ = .

In tal modo si può affermare che per φ>0 la funzione di autocorrelazione globale tende a zero in

modo monotono, mentre per φ<0 essa varierà tra –1 ed 1 a segni alterni.

A1.7 - Funzioni di Autovarianza, Autocovarianza e Autocorrelazione di un MA(1)

La funzione di autovarianza di un processo MA(1) assume la forma seguente:

)1( 220 θσγ +=

mentre la funzione di autocovarianza sarà:

10

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θσγ 21 −= per k=1, 0=kγ per k>1.

Dalle precedenti relazioni si ricava la funzione di autocorrelazione globale:

>=+−=

1,01 21

kkρθθρ

A1.8 - Condizione di Box & Jenkins di Invertibilità di un MA(q) o di Stazionarietà di un AR(p)

Un processo MA(q) può essere scritto utilizzando l’operatore B come:

tq

qt aBBBZ )...1( 221 θθθ −−−−= ;

Box & Jenkins hanno dimostrato che un processo MA(q) è invertibile se l’equazione caratteristica

0)...1()( 221 =−−−−= q

qBBBB θθθθ

presenta soluzioni esterne al cerchio di raggio unitario. Per rendere più chiaro quest’ultimo

importantissimo concetto, alla base dello studio delle serie storiche, viene trattato di seguito il caso

di un processo MA(2):

tttt aaaZ +−−= −− 2211 θθ ;

L’equazione caratteristica assumerà la seguente espressione: 01 221 =−− BB θθ . Le radici di tale

equazione possono essere reali e distinte, reali ed uguali, complesse e complesse coniugate. Se il

determinante è maggiore o uguale a zero, allora le radici sono reali ed in modulo inferiori ad uno,

per cui dovrà aversi:

>+±−

−<+±−⇒≥+

222

11

22112

21 24

2404

θθθθ

θθθθθθ

da cui si ricava:

112 <+ θθ e 112 <− θθ .

Se il determinante è minore di zero, le radici sono complesse e si ha:

1114

44

1 22

22

22

21

2

21 <⇒>−=−−+=⇒> θ

θθθθ

θθBB .

Le suddette relazioni rappresentano le condizioni di invertibilità di un MA(2) (o di stazionarietà di

un AR(2)) che sinteticamente vengono riassunte sotto la condizione di radici esterne al cerchio di

raggio unitario.

Analogamente, sempre utilizzando il lag operator, un processo AR(p) può essere espresso dalla

seguente relazione:

11

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......)1()1( 22

1221 +++=+++=−= −−

−tttttt aaaaBBaBZ φφφφφ

in questo caso la condizione espressa per l’invertibilità di un Ma(q), se valida per l’AR(p), permette

di accertare la stazionarietà del processo AR esaminato.

A1.9 - Processi ARMA(p,q)Si può dimostrare che i pesi di un processo MA(∞) sono dati da:

11

1)(φ

θψ−−= BB ,

di conseguenza si ha:

∑ ∑∞

=

=−

−−+=−==0 0

111 )()1)(()(

i iit

itt

iitt aaaBBaBZ φθφθφψ ;

da un punto di vista speculare i pesi di un processo AR(∞) si presentano nella forma:

BBB

θφπ

−−=

11)( 1 .

Da tale relazione si ricava la seguente espressione:

( ) tti

iit aZBBZB =−

= ∑

=

φθπ 1)(0

, o ( ) titi

it aZZ +

−= −

=

−∑0

11 θθφ .

Il modello ARMA(1,1) porta quindi sia ad una rappresentazione infinita di un processo

autoregressivo che di un processo a media mobile sempre con infiniti pesi.

La funzione di autocovarianza di un processo ARMA(1,1) assume la seguente espressione:

11 −= kk γφγ ;

tale relazione si riferisce a lag maggiori di uno (k>1) mentre per k=0 e k=1 si ha:2

12

110 )( σθφθσγφγ −−=− , e 2011 θ σγφγ −=− .

Da tali equazioni si ricava la funzione di autocorrelazione globale per un processo ARMA(1,1):

θφθθφθφρ

12

111 21

))(1(−+

−−=

11 −= kk ρφρ per k>1.

In generale un processo ARMA(p,q) può essere ottenuto dalla combinazione tra un AR(p) ed un

MA(q):

qtqttptptt aaaZZZ −−−− −−−=−−− θθφφ ...... 1111 , o, alternativamente, espresso dalla relazione:

tq

qtp

p aBBZBB )...1()...1( 11 θθφφ −−−=−−− , sinteticamente esprimibile come:

tt aBZB )()( θφ = .

12

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A2.1 - Il test di Phillips-PerronLa correzione al test t è di tipo non parametrico poiché si usa una stima dello spettro del termine di

errore a frequenza zero. In tal modo si ottiene un test più robusto rispetto al problema

dell’eteroschedasticità della serie e per forme di autocorrelazione non perfettamente identificabili.

Il test di Phillips-Perron assume la seguente relazione formale:

σωβγω

ωγ

ˆ2)()( 0

22/10 Snt

t pp⋅−

−⋅

= ,

con S(β) deviazione standard di β, t rapporto tra la stima di β e la sua deviazione standard

campionaria, 2/1

10 1

12

+

−+= ∑=

q

jjq

j γγω .

Le funzioni ∑+=

−=n

jtjttj aa

n 1

~~1γ sono stime campionarie delle funzioni di autocovarianza, q è l’ultimo

lag ritenuto significativo o, analogamente, il numero di periodi da includere nella correlazione

seriale.

A2.2 - L’Analisi di CointegrazioneEngle e Granger fornirono la seguente definizione di cointegrazione:

Le componenti del vettore )',...,,( 21 ntttt xxxX = sono dette cointegrate di ordine (d,b), denotando

tale definizione con ),( bdCIX t ≈ , se:

- Tutti i componenti di )',...,,( 21 ntttt xxxX = sono integrati di ordine d.

- Esiste un vettore ),...,,( 21 nββββ = tale che la combinazione lineare

tnntt Xtxxx ββββ =+++ ...2211 è integrata di ordine (d-b), con b>0.

Se tali condizioni sono verificate il vettore β viene definito vettore cointegrante.

A2.3 - Cointegrazione ed Error correctionUn vettore di variabili (n x 1) )',...,,( 21 ntttt xxxX = ha una “error correction representation” se può

essere espresso nella forma: tptptttt XXXXX επππππ +∆++∆+∆+−=∆ −−−− ...221110 ; dove 0π è

un vettore (n x 1) con i termini di intercetta, iπ sono matrici di dimensione (n x n) con termini jkπ ;

π è una matrice con almeno un termine non nullo ed infine tε è un vettore (n x 1) i cui termini non

13

Page 80: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

sono necessariamente incorrelati tra loro. Sia ciascuna singola variabile tX integrata di ordine uno

(I(1)): se tali variabili )',...,,( 21 ntttt xxxX = sono rappresentabili attraverso la relazione

tptptttt XXXXX επππππ +∆++∆+∆+−=∆ −−−− ...221110 (1), allora esisterà necessariamente una

combinazione lineare di esse stazionaria. Formalmente, risolvendo la relazione precedente per

1−tXπ , si ottiene: ∑ −∆−−∆= −− tititt XXX επππ 01 . Dato che tutti gli elementi della parte destra

della precedente relazione risultano essere stazionari, 1−tXπ , elemento di sinistra della relazione, è

anch’esso stazionario. Da rilevare che, poiché la matrice π contiene solo costanti, ciascuna riga

rappresenta un vettore cointegrante per tX . Ad esempio, la prima riga può essere scritta come

)...( 1,11,2121,111 −−− +++ tnntt XXX πππ . Poiché ciascuna serie 1, −tiX è I(1), ),...,,( 11211 nπππ deve essere

un vettore cointegrante per tX . In definitiva, una “error correction representation” per variabili di

tipo I(1) implica necessariamente la presenza di cointegrazione tra le variabili. Analogamente può

essere dimostrato che la presenza di cointegrazione implica l’error correction representation

(teorema della rappresentazione di Granger).

A2.4 - Metodo di Johansen A scopo esemplificativo si consideri il caso di un vettore colonna tX di dimensione (n x 1) del tipo:

ttt XAX ε+= − 11 ; dove )',...,,( 21 ntttt εεεε = , 1A è una matrice di parametri di dimensione (n x n).

Sottraendo ad entrambi i membri 1−tX , si ha: ttttt XXAIX επε +=+−−=∆ −− 111)( . π è una matrice

(n x n). Da notare che stiamo trattando un caso particolare del caso più generale

tptptttt XXXXX επππππ +∆++∆+∆+−=∆ −−−− ...221110 . Se il rango della matrice π è zero, allora

ciascun elemento di π deve essere nullo, il che è equivale ad affermare che ttX ε=∆ . In questo caso

ciascuna variabile { }itx è di tipo I(1) e non c’è nessuna combinazione lineare delle variabili che sia

stazionaria. All’altro estremo, si supponga che π sia a rango pieno. In questo caso la soluzione al

sistema ttttt XXAIX επε +=+−−=∆ −− 111)( è dato da n equazioni indipendenti:

0.....

0...0...

2211

2222121

1212111

=+++

=+++=+++

ntnntntn

ntntt

ntntt

xxx

xxxxxx

πππ

ππππππ

14

Page 81: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Ciascuna di queste n equazioni è una restrizione della soluzione di equilibrio di lungo periodo. In

questo caso ciascuna delle n variabili è stazionaria. Ciascuna riga della matrice π è un vettore

cointegrante così che ci sono n vettori cointegranti su n variabili presenti nel sistema. Nei casi

intermedi, nei quali il rango di π è uguale ad r, ci sono r vettori cointegranti.

A2.5 - L’approccio di ENGLE-GRANGERPer spiegare l’approccio al problema della verifica dell’assenza/presenza di cointegrazione da parte

di Engle e Granger, si suppone che due variabili, tY e tZ , siano di tipo I(1) e si vuole determinare se

esiste una relazione di equilibrio tra le due. Dalla definizione di Cointegrazione risulta necessario

che le due variabili siano integrate dello stesso ordine. Da ciò si deduce che il primo passo da

compiere nell’analisi è di verificare che ciascuna variabile sia effettivamente I(1), altrimenti si può

già affermare che le due variabili non sono cointegrate. Tale verifica va fatta con il test di D&F o

con quello di Phillips-Perron precedentemente esposti. Se entrambe le variabili risultano

effettivamente di tipo I(1), allora si stima la relazione di equilibrio: ttt eZY ++= 10 ββ .

Se le variabili sono cointegrate, una regressione OLS comporta una stima dei parametri di

regressione 0β e 1β ”super consistente”. Stock (1988) dimostrò che le stime OLS di 0β e 1β per

variabili cointegrate convergono più rapidamente delle stime OLS per variabili stazionarie. Per

verificare se le variabili sono cointegrate occorrerebbe verificare la stazionarietà degli te , in realtà

non si può fare altro che lavorare con gli scarti ttt eYY ˆˆ =− .

Se ttt eYY ˆˆ =− è una serie stazionaria (I(0)), le due variabili esaminate, Y e Z, risultano essere

cointegrate. In pratica, se il test di D&F verifica la stazionarietà dei residui, si ha 01 =a nella

relazione ttt eae ε+=∆ − 11 ˆˆ .

Il limite di tale approccio consiste nel fatto che non sempre i test di D&F o di PP possono essere

applicati ai residui poiché il ricercatore non conosce la serie te ma solo ttt eYY ˆˆ =− . Fortunatamente

Engle e Granger fornirono un test statistico che può essere usato per verificare l’ipotesi 01 =a ,

tuttavia in questi casi è consigliabile utilizzare entrambi i test (Engle-Granger e Johansen) per

verificare al meglio l’eventuale relazione cointegrante tra le variabili.

15

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A3.1 - TEOREMA 3.1

Per “r” intero, il momento di ordine “2r” di un processo ARCH lineare di ordine uno con 00 >α e

0≥α esiste se e solo se1:

∏=

<−r

j

r j1

1)12(α

A3.2 - TEOREMA 3.2

Il processo ARCH(p) con 0,...,,,0 210 ≥> pαααα , è stazionario in covarianza se, e solo se,

l’equazione caratteristica associata ha tutte le radici al di fuori del cerchio unitario. Il momento

secondo è dato da:

∑=

−= p

jj

tE

1

02

)1()(

α

αε

.

A3.3 - L’Approccio di ENGLE

Engle partì da un processo AR(1) stazionario:

ttt XX ερµ ++= − 1

con 1<ρ

),( 2σε oWNt = .

Tale processo ha come momenti primo e secondo condizionati i seguenti:

;)/(

;)/(2

1

11

σψ

ρψ

=

=

−−

tt

ttt

XVarXXE

mentre i momenti primo e secondo non condizionati risultano essere rispettivamente pari a:

0)( =tXE ;

22 )1(

1)( σρ−

=tXVar .

1 Per la dimostrazione di tale teorema vd. Engle(1982).

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INEFFICIENZA DEL MERCATO E ANALISI TECNICA

Il crescente interesse da parte di grandi e piccoli investitori nei confronti dell’analisi

tecnica e di quella fondamentale depongono a favore di una visione del mercato non

efficiente:il rifiuto dell’ipotesi di efficienza debole incoraggia l’uso di indicatori di

natura tecnica per poter “battere” il mercato; il rifiuto dell’ipotesi di efficienza semi-

forte induce gli investitori ad adottare strumenti di analisi fondamentale per

individuare titoli sopra o sotto quotati. Il “trade union” tra i due approcci consiste nel

rifiuto dell’ipotesi di un mercato in cui l’informazione (analisi di settore, notizie di

carattere aziendale o di tipo macroeconomico) non si trasferisce nella quotazione in

modo corretto e con la rapidità necessaria a rendere inutile qualsiasi tentativo di

previsione. A tale proposito occorre operare una sintesi tra le tre ipotesi di efficienza

del mercato: efficienza debole, semi-forte e forte.

Si parla di un mercato efficiente in forma debole se la conoscenza della storia passata

dei prezzi non aiuta l’investitore a migliorare la “performance”: le informazioni

disponibili e gratuite sono utilizzate dagli investitori per realizzare acquisti e vendite

in un mercato che non ha costi transattivi. Tali condizioni non vengono nemmeno

ritenute strettamente necessarie affinché un mercato possa essere ritenuto ancora

efficiente: ciò accade nel caso in cui le informazioni sono disponibili ad un numero

adeguato di investitori, non esistono gruppi che sistematicamente interpretano meglio

di altri l’informazione e i costi di negoziazione non impediscono le contrattazioni. La

verifica di tale ipotesi porterebbe ad un mercato in cui non esisterebbero titoli

sovra/sotto stimati e la correzione istantanea dei prezzi impedirebbe la realizzazione

di un qualsiasi strumento o indicatore volto a migliorare le capacità previsionali di un

analista.

Page 84: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Si parla invece di efficienza semi-forte allorquando le informazioni aziendali

pubbliche sono trasferite nel prezzo con rapidità ed in modo corretto in modo tale che

la loro conoscenza non consente di realizzare profitti particolari. L’insieme

informativo dell’ipotesi semi-forte è più ampio di quello della forma debole ed è

composto da dati e notizie tratti dallo studio dei bilanci, dall’insieme delle

comunicazioni societarie sui risultati, i programmi e le prospettive dell’impresa.

L’ipotesi di efficienza forte consiste nella completa accessibilità da parte degli

investitori a tutte le informazioni rilevanti, comprese quelle di natura privata.

Rifiutando l’ipotesi di un mercato efficiente, appaiono molto interessanti gli

strumenti di analisi tecnica poiché essi si basano sull’idea che i prezzi rispecchiano

non solo le informazioni rilevanti riscontrabili dall’analisi dei fondamentali dei titoli,

ma anche l’insieme degli elementi psicologici ed umorali che influenzano, a volte

pesantemente, l’esito delle contrattazioni. Di seguito saranno esposti i contenuti

principali della teoria di Dow, il padre fondatore dell’analisi tecnica; successivamente

verranno illustrate le nozioni fondamentali per l’utilizzo degli strumenti base della

materia, con particolare interesse per le medie mobili e gli oscillatori, infine verranno

analizzate le teorie dei pivot e delle japanese candlestick.

GLI INIZI DELL’ANALISI TECNICA

É opinione diffusa che il primo e più importante apporto alla nascita ed allo sviluppo

delle metodologie che possono essere comprese nell’analisi tecnica è identificabile

nel complesso di regole e metodi contenuti negli editoriali pubblicati all’inizio del

secolo da Charles Henry Dow sul Wall Street Journal, di cui lo stesso Dow fu

fondatore ed editore.

Page 85: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

La teoria di Dow prevede il confronto di due indici, l’Industrial Average ed il Rail

Average; il presupposto fondamentale della teoria di Dow è rappresentato dal

concetto per il quale la maggioranza delle azioni segue per buona parte del tempo

preso in esame la sottostante tendenza del mercato. Ciò premesso, Dow pensò bene di

misurare il mercato costruendo i due indici suddetti, il Dow Jones Industrial Average

(una combinazione di dodici titoli guida) ed il Dow Jones rail average (comprendente

dodici titoli delle principali compagnie ferroviarie), destinati successivamente, nel

1928, a dar luogo all’attuale indice Dow Jones.

I principi fondamentali della teoria di Dow sono sei e sono riassumibili come segue:

Il prezzo è l’elemento catalizzatore delle decisioni aggregate e delle relative

emozioni degli operatori che alimentano il rapporto tra domanda e offerta. La

rilevazione del prezzo (chiusura giornaliera) e della sua media si presenta quindi di

importanza basilare per l’interpretazione degli altri principi.

I mercati riempiono lo spazio, nel tempo, alternando ciclicamente la stessa

dinamica. Tale dinamica si caratterizza per una tendenza primaria (rialzista o

ribassista) destinata a durare mediamente almeno due anni e oltre. Una tendenza

secondaria, che evidenzia una direzionalità opposta alla tendenza primaria, della

durata variabile da un minimo di tre settimane a circa sei/dieci mesi, che solitamente

rintraccia circa il 33, 50 0 66% del percorso evidenziato dalla tendenza primaria. E

infine una tendenza minore che temporalmente si inserisce da un minimo di alcune

ore a un massimo di tre settimane e che, direzionalmente, fa parte della tendenza

primaria.

Page 86: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Le linee indicano il movimento. Pertanto variazioni di prezzo che non fanno

registrare uno scostamento superiore del 5% rispetto alla propria media identificano

una fase. Le fasi sono classificabili con una sequenza destinata a ripetersi nel tempo

con accumulazione, convinzione, speculazione, distribuzione, convinzione, panico,

rassegnazione, accumulazione e così via, il tutto a disegnare una configurazione

geometrica assimilabile a un trapezio destinato a ribaltarsi e a riprendere posizione

ciclicamente nel tempo.

Le relazioni tra prezzo e volume confermano il movimento. Un trend rialzista si

definisce normale quando la tendenza è confermata da volumi in crescita e le

correzioni si caratterizzano da volumi in diminuzione. Le discordanze tra le due

relazioni devono essere interpretate quale primo campanello d’allarme e non come

segnale di inversione di tendenza.

La dinamica registrata dal prezzo determina la tendenza.

Un trend rialzista si contraddistingue da una sequenza di massimi che superano i

precedenti e da una sequenza di minimi che rintracciano livelli di prezzo superiori ai

minimi precedenti. Viceversa, un trend ribassista si identifica per una progressiva

discesa dei massimi e dei minimi relativi.

Gli indici devono confermarsi a vicenda. I due indici creati da Dow dovevano

confermarsi a vicenda per avvalorare il segnale di acquisto, poiché Dow riteneva che

i cambiamenti dei cicli economici dovevano essere avvalorati sia dalla qualità di

un’economia in espansione (DJ industrial average) sia dai suoi riflessi commerciali

legati al trasporto e alla circolazione delle merci (DJ rail average).

Page 87: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

In sintesi l’andamento dei mercati ricalca generalmente uno schema evolutivo, il

trend, basato sullo sviluppo sequenziale di movimenti attivi e di correzioni. Per

movimento attivo si deve intendere l’andamento dei corsi con direzione conforme al

trend di fondo (crescente in un trend rialzista, decrescente in uno ribassista); si parla

di correzione se si fa riferimento alla dinamica dei corsi con direzione contraria alla

tendenza principale. La sequenza e l’intersezione dei diversi trend segue un

andamento ciclico distinto in tre fasi: accumulazione, rialzo e distribuzione. Nella

fase di accumulazione inizia un lento ma continuo rastrellamento di titoli da parte dei

grandi investitori: i prezzi si mantengono stabili o leggermente crescenti, i volumi

tendono lentamente ad intensificarsi. La fine di questa fase ed il contemporaneo

inizio della fase rialzista è riscontrabile nella crescita simultanea di prezzi e volumi

dovuti al fatto che le informazioni rilevanti incominciano ad arrivare ad un numero

meno ristretto di investitori. La fase di distribuzione prevede prezzi e volumi stabili

su livelli elevati ma i grandi investitori incominciano gradualmente a vendere per poi

generare un segnale comune di vendita che da luogo ad un periodo di generali ribassi.

Un limite notevole alla teoria di Dow consiste nei ritardi operativi dovuti a mancate

convergenze tra i vari indici oggetto d’esame: il timing operativo è, per lo più,

lasciato al buon senso dell’investitore.

PRINCIPALI STRUMENTI DELL’ANALISI TECNICA: LE MEDIE MOBILI

Page 88: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

L’interpretazione dei corsi relativi a medie mobili di range diverso rappresenta

l’indicatore più facile ed efficace nell’analisi tecnica per identificare il trend di fondo

espresso dai movimenti dei prezzi. Notevolmente influenzate nella loro reattività dal

dominio temporale, le medie mobili ben si prestano a indicare livelli di supporto e

resistenza dinamici il cui incrocio con la linea dei prezzi dà luogo a segnali operativi.

La situazione tipica è rappresentata dalla generazione di un segnale di acquisto in

occasione della violazione al rialzo della media da parte della linea dei prezzi e di

vendita in caso contrario. Tale sistema, eccellente nei casi di trend ben definiti, è in

grado di indicare da quale parte del mercato stare, ma sempre in funzione del trend.

Nei casi, peraltro estremamente frequenti, di movimenti laterali e in assenza di trend

direzionali, qualsiasi sistema basato esclusivamente sull’incrocio tra prezzi e relative

medie mobili è inevitabilmente destinato a produrre perdite. Proprio per questo

motivo, nel tempo, sono state introdotte nuove formule per il calcolo delle medie e

nuovi indicatori che, se associati alle medie stesse, aiutano a filtrare i falsi segnali.

In generale la media mobile viene calcolata su un insieme di osservazioni di

numerosità costante e predeterminata, da aggiornarsi nel tempo mediante

l’eliminazione dei dati più vecchi e l’introduzione di quelli più recenti. Le medie con

un range breve sono più adatte per le cosiddette fasi orizzontali del mercato,

risultando maggiormente sensibili anche ai segnali minori, quelle “lunghe” sono

ottimali per periodi di trend definito. Si ottiene in tal modo una serie storica

appiattita, caratterizzata da un ritardo temporale rispetto a quella originaria, alla quale

di solito viene affiancata, in modo da poterne comparare l’andamento evidenziano i

punti di intersezione.

Un’ulteriore decisione riguarda la metodologia di computo della media; di solito si

utilizzano la media semplice, quella ponderata o quella esponenziale. La media

mobile semplice è quella più utilizzata:

n

inPnMMS

n

i∑

=

−=

1

0

)()(

Page 89: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

In questo caso ai dati della serie viene attribuito un identico peso, 1/n, che si annulla

istantaneamente nel momento in cui gli stessi vengono gradualmente eliminati. Tale

indicatore ravvisa una scarsa sensibilità ai dati più recenti, risulta, di conseguenza,

più opportuno un diverso sistema di pesi da attribuire ai prezzi. A riguardo può

risultare utile la media mobile ponderata:

∑∑

=

=

−−= 1

0

1

0

)(

)()()( n

i

n

i

inW

inWinPnMMP

in cui W è un opportuno fattore di ponderazione. La ponderazione riduce

notevolmente il ritardo tipico della media semplice.

Tali sistemi non riducono il rischio di perdita istantanea delle informazioni meno

recenti; per tale scopo vengono utilizzate le medie mobili esponenziali, le quali

assegnano pesi più alti ai prezzi più recenti mantenendo comunque un peso

consistente per i dati passati. Dalle medie mobili esponenziali si ottengono delle

curve vicine alle linee dei prezzi ma che riescono ad anticipare i segnali tecnici

necessari per il trading. La formula per calcolare la media mobile esponenziale a n

giorni è la seguente:

∑−

=

=

−−= 1

0

)(

1

0

)()()( n

i

in

n

i

in

W

WinPnMME

Con 0<W<1 in modo da attenuarne gradualmente l’effetto senza mai annullarlo. Per

il calcolo di tale media risulta molto utile la seguente relazione ricorsiva:

MME(t)=MME(t-1)(1-W)+Pt(W) .

Page 90: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Un considerevole passo avanti è stato compiuto con l’introduzione di un nuovo tipo

di media mobile in grado di adattare la propria reattività in funzione della volatilità

della serie di prezzi a cui è applicata. Fra i primi a introdurre un sistema

sostanzialmente trend-following in grado di modificarsi in funzione della volatilità

dei prezzi Tushar Chande ha sviluppato una serie di strumenti tecnici di notevole

valore che hanno contribuito a cambiare il modo di fare trading negli ultimi anni. Il

concetto di fondo alla base dei risultati ottenuti da Chande consiste nel vedere il

fattore di ponderazione come specchio della variabilità dei dati sottostanti: maggiore

è la variabilità dei dati, tanto maggiore sarà il fattore di ponderazione.

Un altro sistema che ha come obiettivo il miglioramento delle indicazioni fornite

dalle medie mobili è lo spostamento in avanti delle medie stesse in un contesto che

preveda la rappresentazione multipla di una media mobile di un determinato dominio

temporale. Tale sistema illustra, graficamente, come nei momenti di trend le medie si

distanzino per poi riavvicinarsi e aggrovigliarsi nei momenti di congestione.

Un interessante sistema è stato proposto da Bill Williams: vengono prese in

considerazione tre medie mobili a cinque, otto e tredici periodi, rispettivamente

spostate in avanti di tre, cinque e otto periodi. Tale sistema, che prende il nome di

Alligator, aiuta molto a identificare i momenti di congestione nei quali è

sconsigliabile operare.

SUPPORTI RESISTENZE-

Osservando attentamente il grafico di un titolo si notano spesso dei valori che

costituiscono una “barriera”, di cui occorre imparare a tener conto. Per esemplificare

meglio il concetto si è scelto un vero titolo del mercato azionario, del quale viene

riportato il grafico dei valori da Agosto 1994 a Maggio 1996.

Le lettere in basso sono le iniziali dei mesi.

Page 91: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

Sono state inoltre tracciate sul grafico due linee orizzontali, in corrispondenza dei

valori 4.000 e 3.000 lire.

I numeri racchiusi in quadrati corrispondono a dei punti richiamati dal testo di

spiegazione che segue.

Il titolo, intorno alla metà di Ottobre 1994, è sceso sotto le 4.000 lire (punto 1). Nei

tre mesi successivi il suo valore ha oscillato al di sotto di tale cifra, senza riuscire a

risalirvi con decisione, per poi continuare in discesa. Nei primi di Aprile il titolo

strappa verso l'alto, ma si “scontra” a quota 3.000 (punto 2), dalla quale viene

respinto verso il basso.

Verso i primi di Luglio '95 il titolo riprende a salire, raggiunge quota 3.000 (punto 3),

questa volta riesce a superarla, vi indugia intorno quasi a prendere fiato, vi rimbalza

sopra e finalmente riparte verso nuove vette.

Arrivato ad Ottobre ancora sulla fatidica quota 4.000 (punto 4), si scontra

nuovamente con un muro invisibile e viene respinto brutalmente verso il basso. Nel

ripiegare, il titolo incontra a metà Novembre di nuovo quota 3.000 (punto 5). Da

questa è respinto verso l'alto: riprende la salita, raggiunge in Febbraio livello 4.000

(punto 6) e, questa volta, sfonda la barriera usandola poi come trampolino per

ripartire al rialzo.

Le ipotetiche linee tracciate a quota 3.000 e 4.000 sono di resistenza/supporto:

Page 92: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

- Una linea che sta per essere perforata al ribasso, è chiamata supporto, sostenendo in

qualche modo il titolo.

- Una linea che sta per essere perforata al rialzo, è chiamata resistenza, opponendosi

in qualche modo all'ulteriore salita del titolo. Nell'esempio riportato, mentre il titolo

scendeva, ha incontrato il suo supporto a quota 4.000 e, mentre risaliva, ha incontrato

la sua resistenza nello stesso punto.Esaminando un titolo occorre notare con quanta

forza certe linee vengono perforate, ricavando importanti informazioni sull'incertezza

o decisione dei movimenti del titolo. In modo analogo, occorrerà valutare il

momento opportuno d'acquisto, o vendita, di un titolo che interessa, tenendo presente

che l'incontro con resistenze o supporti più volte verificati in passato rappresentano

spesso momenti di verifica.

Uno sviluppo delle linee di resistenza e supporto è dato dal concetto di Trend. Oltre a

linee orizzontali, infatti, è possibile racchiudere il movimento di un titolo, all'interno

di linee inclinate che ne limitano le oscillazioni.

Come nel caso di supporti e resistenze, per semplicità di esposizione viene riportato il

grafico di un titolo preso dalla realtà.

Page 93: ANALISI DELLE SERIE STORICHE - Strumenti Econometrici Utilizzati in Finanza - Di Stefano Caprioli

IL TRADING SYSTEM

Si parla di trading system allorquando ci si riferisce ad un insieme di regole

precostituite alla base dei processi decisionali dei traders. Gli operatori di borsa

adottano un sistema di trading per realizzare decisioni il più possibile aderenti agli

effettivi sviluppi del mercato, limitando il più possibile il costo relativo alla pressione

psicologica gravante su di essi. I trading system offrono infatti un supporto utilissimo

eliminando la soggettività nella valutazione dell’andamento dello strumento

finanziario e portando all’attenzione del trader quelle situazioni che hanno dimostrato

una certa profittabilità. Molto spesso per un trader lo stress può riflettersi in un

rallentamento dei processi decisionali, a volte determinante in un’operazione di

compravendita. Le caratteristiche di robustezza, significatività ed efficienza di un

trading system rappresentano i requisiti necessari per poter “legittimare” un sistema e

renderlo meritevole di considerazione per un eventuale utilizzo nelle transazioni

future.

Un sistema viene considerato robusto se genera risultati positivi senza dipendere da

un insieme limitato di parametri. Al contrario, un sistema che funziona bene solo con

un insieme ristretto di parametri è detto overfitted, sovraottimizzato. Molto spesso

capita che un sistema sia eccezionalmente profittevole se testato sul passato ma,

applicato al mercato nel presente, dia risultati deludenti. Questo succede perché il

processo di ottimizzazione è stato essenzialmente volto ad individuare le variabili che

massimizzano il rendimento del sistema nel passato.

Il modo migliore per verificare la robustezza di un trading system consiste nella

realizzazione dello stesso nei diversi periodi e per diversi titoli: minore è la sensibilità

del sistema a variazioni dell’orizzonte temporale ed alla composizione del

portafoglio, maggiore sarà il livello di robustezza del sistema.

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Un secondo fattore determinante nella valutazione di un sistema operativo di trading

è la significatività del sistema stesso. La misura della significatività di un sistema

adottata sui principali software operativi, consiste nell’errore di rilevazione, uguale, a

sua volta, all’inverso della radice quadrata del numero di operazioni necessarie per

realizzare il trading. Indicando con n il numero di tali operazioni, la presente misura

potrà essere sintetizzata con la seguente formula:

nError 1=

Se ad esempio vi sono venticinque operazioni, l’errore di calcolo sarà più o meno del

20%. Per mantenere il livello di errore entro il 5% servirebbero circa 400 operazioni.

Sfortunatamente sono pochissimi i sistemi che generano tanti segnali.

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Per misurare invece l’efficienza di un sistema, si prende in considerazione la

proporzione tra il profitto possibile ed il profitto potenziale, teorico quest’ultimo, di

un dato mercato:

......totpotenzprof

totproftotaleeff =

In altre parole si considera il guadagno del sistema in esame rispetto a un sistema

ideale che compra sempre sui minimi e vende sui massimi. Oltre all’efficienza totale

del sistema occorre calcolare anche l’efficienza rispetto alle singole operazioni.

L’efficienza dei segnali (calcolata in rapporto alla differenza tra massimi e minimi

relativi del dato intervallo di riferimento), è bassa se inferiore al 60%. Viceversa tale

limite si ridimensiona al 20% per l’efficienza totale. In questa misurazione occorre

scartare i valori estremi. Un sistema che può dare dieci operazioni, delle quali nove

hanno un’efficienza del 15% ed una sola del 100% avrebbe come media un

fuorviante 23,5%. Tre altri fattori che influenzano pesantemente sulla valutazione

dell’efficacia di un sistema di trading sono il drowdown (la cosiddetta perdita

massima realizzata dal sistema), la percentuale di operazioni vincenti realizzate ed il

numero di operazioni negative che si verificano all’atto della completa attuazione del

sistema operativo.

Una volta definiti i cardini per una corretta valutazione di un sistema operativo, non

resta che decidere quanto rischiare.

La scelta è legata alla propensione al rischio dell’investitore, tuttavia i traders

restringono il campo al cosiddetto rischio di rovina: la possibilità cioè di perdere

tanto (in termini finanziari e psicologici) da essere impossibilitati ad operare. Tale

rischio viene visto in funzione di tre fattori: la probabilità di successo, il payoff ratio

(dato dal rapporto vincita media/perdita media) e la parte di capitale esposta al

trading. Da sottolineare che il rischio di rovina aumenta con l’incrementarsi della

percentuale di capitale esposta ed è invece inversamente proporzionale alla

probabilità di successo.

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In genere i grandi trader tendono a non rischiare mai più del 4% del capitale per

operazione e molti di loro addirittura si limitano al due.

Alla base di quasi tutti i trading system adottati vi è l’analisi tecnica per la facilità di

comprensione dei segnali e per l’efficacia riscontrata.