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DIPARTIMENTO DI TECNICA E GESTIONE DEI SISTEMI INDUSTRIALI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA DELL’INNOVAZIONE DEL PRODOTTO TESI DI LAUREA ANALISI DEL COMPORTAMENTO A FATICA DI LAMINATI IN MATERIALE COMPOSITO E NANOCOMPOSITO Relatore: Ing. MICHELE ZAPPALORTO Correlatore: Ing. PAOLO CARRARO Laureando: MARCO ANTONIAZZI ANNO ACCADEMICO 2012-2013

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DIPARTIMENTO DI TECNICA E GESTIONE DEI SISTEMI

INDUSTRIALI

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA DELL’INNOVAZIONE

DEL PRODOTTO

TESI DI LAUREA

ANALISI DEL COMPORTAMENTO A FATICA DI

LAMINATI IN MATERIALE COMPOSITO E

NANOCOMPOSITO

Relatore: Ing. MICHELE ZAPPALORTO

Correlatore: Ing. PAOLO CARRARO

Laureando: MARCO ANTONIAZZI

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

Ringraziamenti

Ringraziamenti

Ogni traguardo richiede impegno e sacrificio. Se oggi sono qui a festeggiare questo

importante successo, lo devo anche a tutte le persone che in questi anni hanno condiviso

con me gioie e dolori.

Desidero quindi ringraziare in primis i miei genitori Mario e Annalisa che sono e saranno

sempre un punto di riferimento importante nella mia vita, le mie sorelle Elena e Laura

che hanno sperimentato sulla loro pelle lo stress che arreca uno studente universitario in

famiglia.

Giorgia che rappresenta il mio presente e il mio futuro, che ha sempre creduto in me, nelle

mie capacità, e mi è sempre stata accanto anche nelle difficoltà del nostro rapporto.

Infine vorrei ringraziare il professor Zappalorto, e gli ingegneri Carraro e Pontefisso per

la loro grande disponibilità dimostratami in questi mesi.

Indice

Indice

Capitolo 1: Introduzione ................................................................................................ 1

1.1 I materiali compositi e i processi di produzione ..................................................... 2

1.2 Nanocompositi e nanotecnologie ............................................................................ 6

1.3 La fatica nei compositi .......................................................................................... 11

Capitolo 2: Ricerca bibliografica ................................................................................. 17

2.1 Introduzione .......................................................................................................... 17

2.2 Articoli

Articolo [1] .......................................................................................................... 17

Articolo [2] .......................................................................................................... 26

Articolo [3] .......................................................................................................... 34

Articolo [4] .......................................................................................................... 42

Capitolo 3: Realizzazione dei provini .......................................................................... 49

3.1 Introduzione .......................................................................................................... 49

3.2 Attrezzature utilizzate ........................................................................................... 49

3.3 Fasi del processo di infusione ............................................................................... 54

3.3.1 Pulizia dello stampo ....................................................................... 54

3.3.2 Preparazione semi stampo inferiore ............................................... 54

3.3.3 Taglio dei materiali ........................................................................ 56

3.3.4 Stratificazione................................................................................. 58

3.3.5 Preparazione del sacco ................................................................... 59

Indice

3.3.6 Preparazione della resina ................................................................ 61

3.3.7 Processo di degassaggio ................................................................. 65

3.3.8 Processo di infusione ...................................................................... 67

3.3.9 Demoulding .................................................................................... 70

3.4 Realizzazione dei provini ...................................................................................... 72

3.5 Scelta dell’angolo di inclinazione ....................................................................... 75

3.5.1 SACL .............................................................................................. 75

Capitolo 4: Test e risultati ............................................................................................ 85

4.1 Introduzione ........................................................................................................... 85

4.2 Attrezzature utilizzate ............................................................................................ 85

4.3 Prove a fatica ......................................................................................................... 87

4.4 Calcolo della cd per le cricche a 90° ..................................................................... 90

4.5 Calcolo della cd per le cricche a +25° ................................................................. 100

4.6 Stima delle velocità di propagazione delle cricche.............................................. 110

4.7 Riduzione della rigidezza .................................................................................... 118

Capitolo 5: Verifica del modello Shear Lag mediante analisi FEM ....................... 123

5.1 Descrizione del modello Shear Lag ..................................................................... 123

5.2 Cross ply criccato [0°,90°] con cricche sullo strato a 0° ..................................... 123

Trazione ................................................................................................. 126

Taglio ..................................................................................................... 136

5.3 Cross ply criccato [0°,90°,02°] con cricche sullo strato a 0° ............................... 143

Trazione ................................................................................................. 144

Taglio ..................................................................................................... 156

Riferimenti ................................................................................................................... 163

Capitolo 1

- 1 -

Capitolo 1

Introduzione

L’obbiettivo di questa tesi è confrontare i risultati ottenuti da prove a fatica effettuate su

laminati in composito e nanocomposito: in particolare è stato osservato come il

danneggiamento indotto dalla nascita e dalla propagazione delle cricche influisce sulle

proprietà del materiale in termini di rigidezza. I materiali testati sono laminati

simmetrici multidirezionali a matrice polimerica base o nanorinforzata con l’aggiunta di

fibre di vetro. I risultati relativi la rigidezza del materiale sono stati utilizzati per

verificare la bontà del modello Shear Lag, sviluppato dall’università di Padova, che

permette di descrivere l’andamento delle tensioni tra due cricche di un laminato

criccato.

In sintesi è riportata una breve descrizione dei capitoli che seguono:

- Introduzione: è una breve introduzione al mondo dei compositi e nanocopositi,

con una particolare attenzione alla loro realizzazione e un breve paragrafo

riguardante il comportamento a fatica di questi materiali.

- Capitolo 2: riassume alcuni articoli pubblicati e presenti nel panorama

scientifico riguardanti il comportamento a fatica di laminati in composito.

- Capitolo 3: sono descritte le fasi di produzione e preparazione dei laminati, la

scelta del lay-up e le lavorazioni fatte per ottenera i campioni pronti da testare.

- Capitolo 4: descrive i test effettuati e riporta i risultati ottenuti elaborati in

termini di crack density e riduzione della rigidezza.

- Capitolo 5: riporta il confronto tra i risultati ottenuti dall’analisi FEM e quelli

ottenuti dal modello Shear Lag.

Capitolo 1

- 2 -

1.1 I materiali compositi e i processi di produzione

I compositi sono solitamente materiali non presenti in natura che sono il risultato di una

combinazione tridimensionale di almeno due materiali aventi ognuno delle proprietà

chimico-fisiche diverse tra loro a livello macroscopico e/o microscopico (le fasi non

devono essere miscelate in leghe o soluzioni): la combinazione che si ottiene vanta

proprietà non riscontrabili nei singoli elementi che la compongono.

I materiali compositi si sono rivelati particolarmente adatti nelle applicazioni strutturali:

il loro sviluppo è stato spinto principalmente dalle industrie aerospaziali ed

aeronautiche, dove da sempre si ricercano materiali ad elevate proprietà meccaniche e

basso peso specifico. Negli ultimi anni, con lo sviluppo delle tecnologie e la riduzione

dei costi, i materiali compositi hanno trovato sempre maggiori spazi di applicazione

anche nell’aviazione civile, nell’industria automobilistica, nell’edilizia e in molti altri

settori (attrezzature sportive, protesi biomediche, ecc.). Un ottimo esempio di impiego

dei materiali compositi nel settore automotive è il telaio monoscocca della Lamborghini

Aventador, totalmente realizzato in fibra di carbonio, con un peso complessivo di

appena 147,5 Kg. In campo edilizio un esempio storico delle potenzialità dei compositi

è il ponte pedonale di Aberfeldy (figura 1.1), costruito in Scozia nel 1992.

Fig.1.1. Ponte pedonale di Aberfeldy, Scozia.

Capitolo 1

- 3 -

In ambito tecnico i materiali compositi vengono suddivisi in due diverse tipologie di

costituenti:

- Matrice: ossia quella fase generalmente continua e omogenea che ha il compito di

racchiudere le altre fasi al proprio interno, garantendo la coesione del composito e la

giusta dispersione e omogeneizzazione delle altre fasi, e che solitamente definisce la

forma e il volume della struttura composita,

- Rinforzi: ossia quelle fasi più o meno disperse all’interno della matrice, inserite per

migliorare o modificare le caratteristiche del composito finale, siano esse

meccaniche, fisiche o chimiche.

E’ possibile ora fare un’ulteriore suddivisione in base alla tipologia di matrice o di

rinforzo presente nel composito. Nello specifico i materiali compositi vengono suddivisi

in:

- compositi a matrice metallica o MMC (Metal Matrix Composite),

- compositi a matrice ceramica o CMC (Ceramic Matrix Composite),

- e infine compositi a matrice polimerica o PMC (Polymer Matrix Composite),

mentre a seconda del tipo di rinforzo essi vengono suddivisi in:

- compositi particellari,

- compositi fibrosi,

- compositi strutturati (sandwich, laminati, ecc.).

I compositi a matrice metallica (MMC) sono prevalentemente realizzati con matrice

metallica leggera e resistente (alluminio, magnesio, titanio, meno spesso acciaio) nelle

applicazioni di tipo strutturale, o da matrici di cobalto o cobalto-nickel nelle

applicazioni di tipo termico, nelle quali vengono inserite le più svariate tipologie di

rinforzi, dalle fibre di carbonio o boro, alle particelle di allumina o carburo di silicio,

per ottenere miglioramenti di tipo meccanico (aumento resistenza trazione, usura, ecc.),

di tipo fisico (conduttività termica, trasparenza), e di tipo chimico (corrosione). I metodi

utilizzati per produrli anche in questo caso sono i più svariati, si passa dalla metallurgia

Capitolo 1

- 4 -

delle polveri, alla deposizione spray, allo squeeze casting, fino ai metodi PVD e CVD,

questo per dimostrare che le possibili applicazioni e realizzazioni sono realmente

numerose.

i mattoni di argilla e paglia possono essere considerati i primi materiali compositi a

matrice ceramica (CMC) della storia, anche calcestruzzo e cemento armato non sono

nient’altro che dei compositi della stessa categoria. Negli ultimi decenni sono stati

sviluppati compositi tecnici a matrice ceramica alto performanti che mantengono le

caratteristiche dei materiali ceramici tradizionali con prestazioni migliori. Essi sono

materiali formati da una matrice prevalentemente di carbonio, carburo di silicio e

allumina, che racchiude particelle o fibre degli stessi materiali, per superare almeno in

parte i difetti intrisici, come la scarsa tenacità a frattura o la scarsa resistenza a shock

termici, dei materiali ceramici tradizionali.

La macro-famiglia a cui si farà riferimento in questo lavoro è invece quella dei

compositi a matrice polimerica (PMC); essi sono probabilmente i compositi di maggior

diffusione al giorno d’oggi, per la loro relativa facilità produttiva e per le caratteristiche

che offrono.

I PMC vengono suddivisi in Termoplastici o Termoindurenti a seconda dalla natura

della matrice polimerica: i Termoplastici sono facili da realizzare e da rifondere per

crearne di nuovi, ma ovviamente le caratteristiche meccaniche e termiche sono molto

scadenti e peggiorano molto con lievi incrementi di temperatura, per questo sono poco

usati; la gran parte dei PMC sono realizzati con matrici Termoindurenti, costituiti da

poliimmidi, poliammidi, poliuretani, resine fenoliche e resine epossidiche (queste

ultime detengono la maggioranza degli usi e studi su di esse).

Anche i processi produttivi hanno conosciuto un’evoluzione costante. Nonostante la

stesura manuale rimanga ancora una tecnica diffusa, nuove tecniche si faranno strada in

alcuni settori ad alta tecnologia. I metodi di realizzazione sono molteplici e differenti tra

loro, ne elenchiamo qui i principali:

- Deposizione spray, tecnica a basso costo, strutturalmente povera.

- Stampaggio in autoclave, tecnica dal costo molto elevato ma che permette di

ottenere le massime prestazioni dai pezzi prodotti. Viene posto un laminato prepreg

Capitolo 1

- 5 -

su uno stampo, all’interno di un sacco a vuoto e successivamente la cura viene fatta

in autoclave controllando la pressione e la temperatura di processo.

- Filament winding, avvolgimento di fibre attorno ad un mandrino, si utilizzata

soprattutto per la realizzazione di serbatoi.

- Pultrusione, processo simile alla trafilatura, dove le fibre vengono tirate attraverso

uno stampo riscaldato, realizzando così contemporaneamente la formatura e la cura

del materiale.

- Stampaggio per compressione (SMC), una carica di semilavorato prepreg viene

posta in mezzo ad uno stampo riscaldato e successivamente pressata.

- Stampaggio per iniezione, simile all’injection molding per i materiali plastici, dove

una vite a pistone spinge la carica all’interno dello stampo.

- Thermostamping (GMT), simile alla termoformatura, nel quale dei tappeti di

prepreg vengono preriscaldati e successivamente pressati nello stampo.

- Resin transfer Moulding (RTM), processo liquido che permette di ottenere

prestazioni simili a quelle ottenute con l’autoclave, nel quale la resina e il

catalizzatore vengono miscelati appena prima di essere iniettati nello stampo dove è

già presente una preforma.

- Infusione, altro processo liquido, a basso costo ma che permette di ottenere laminati

dalle buone prestazioni. La resina viene aspirata all’interno di un sacco dove sono è

presente lo stampo da infondere.

Capitolo 1

- 6 -

1.2 Nanocompositi e nanotecnologie

All’interno della grande famiglia dei compositi, recentemente si è sviluppata una nuova

sottocategoria che desta una crescente attenzione nell’ambiente scientifico e industriale:

i materiali nanocompositi. Essi devono il nome al fatto che almeno una delle dimensioni

del rinforzo è dell’ordine di grandezza del nanometro (10-9 m), con estremi tra 1 e 100

nm, e questo come si vedrà, porta allo sviluppo di interessanti caratteristiche. Tale

rinforzo prende il nome quindi di nanorinforzo, o nanocarica.

Uno dei vantaggi principali evidenziati dai risultati sperimentali è la possibilità di

ottenere materiali che hanno caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche eccezionali

con l’utilizzo di bassissime frazioni volumetriche di carica, dell’ordine di qualche punto

percentuale.

È importante, a questo punto, distinguere tra due categorie fondamentali di materiali

nanocompositi, ovvero i nanocompositi bifasici, ossia quei sistemi in cui è presente

solamente la matrice e una certa percentuale di nanorinforzo, e i nanocompositi trifasici,

ossia quei sistemi in cui è presente la matrice, la nanocarica dispersa all’interno della

matrice, e il rinforzo, solitamente di dimensioni microscopiche, presente come fase

particellare o fibrosa.

Come per i compositi tradizionali, anche per i nanocompositi è possibile fare delle

distinzioni in base alla tipologia di matrice e di rinforzo.

Per quanto riguarda le tipologie di matrice possiamo avere:

- Nanocompositi a matrice ceramica, sono per lo più miscele di nanoparticelle

ceramiche e metalliche finemente disperse. Particolare attenzione va rivolta alla

scelta di particelle che siano immiscibili tra loro (come ad esempio la miscela Cu –

TiO2), poiché a causa delle alte temperature e pressioni di processo, le particelle

rischiano di interagire tra loro e creare una lega. Principalmente vengono utilizzati

per ottenere materiali con elevate caratteristiche tribologiche, di resistenza alla

corrosione e di durezza.

- Nanocompositi a matrice metallica, sono i più importanti tra questi ricordiamo i

Compositi a Matrice Metallica rinforzati con Nanotubi di Carbonio (CNTs MMC),

nei quali si cerca di ottenere un’alevata resistenza a trazione e un incremento della

Capitolo 1

- 7 -

conducibilità elettrica del materiale, disperdendo all’interno della matrice una

frazione ottimale di rinforzo.

- Nanocompositi a matrice polimerica sono i più sviluppati in assoluto. Possono

contenere tutti e tre i tipi di rinforzo visti precedentemente, sono relativamente facili

da produrre e con piccole frazioni di nanorinforzo si possono ottenere incrementi

importanti delle caratteristiche meccaniche, fisiche e chimiche, del materiale. Le

varietà di prodotti realizzati con questi materiali sono tantissime, dall’attrezzatura

sportiva leggera e resistente, ai bio-tessuti da impianto su organi umani. Anche in

questo caso aspetti fondamentali da tenere in considerazione sono la corretta

dispersione e distribuzione del rinforzo e la sua interazione con le catene del

polimero.

I rinforzi utilizzati invece, possono essere sviluppati principalmente su una, due, oppure

tre direzioni.

- Rinforzi 1D: sono nanofogli (nano-platelets), nello specifico silicati idrati di

alluminio e magnesio (argilla), caratterizzati da una struttura lamellare, in cui solo lo

spessore è di dimensione nanometrica.

- Rinforzi 2D: sono nanofibre, solitamente nanotubi di carbonio (Carbon NanoTubes

o CNTs), ossia allotropi (fullereni) di carbonio (cilindretti di diametro nanometrico).

Il rapporto tra la lunghezza e il diametro di tali nanotubi può arrivare anche a

132·106.

- Rinforzi 3D: sono nanoparticelle, per lo più ossidi metallici di forma pressoché

sferica con tutte le dimensioni di scala nanometrica.

Al diminuire delle dimensioni del rinforzo, in particolare al di sotto della scala

micrometrica, la superficie specifica del filler a contatto con la matrice aumenta

esponenzialmente, questo effetto, chiamato nano-effect, giustifica i vantaggi che una

particella di dimensioni nanonmetriche porta con sè rispetto particelle di dimensioni

micrometriche. Possono essere raggiunti in questa maniera valori record di oltre 1300

m2/cm3.

Capitolo 1

- 8 -

Per la tipologia di nanocompositi studiati (a matrice polimerica) questo si traduce in

un’interazione superficiale elevata tra il rinforzo e le catene polimeriche che

costituiscono la matrice, poiché entrambi hanno lo stesso ordine di grandezza. Nella

zona adiacente alle particelle, si ha un’interazione di tipo chimico tra le due sostanze,

che porta ad una modificazione della fase del polimero, che crea così una nuova fase,

chiamata interfase, la quale possiede delle caratteristiche diverse da quelle del rinforzo e

della matrice originari.

Le propietà della matrice che la nanoadditivazione migliora o modifica (in maniera

diversa a seconda del tipo di nanocarica e della frazione in peso) sono suddivisibili in

due categorie, meccaniche e fisiche:

Proprietà meccaniche

- Modulo elastico

- Tensione a rottura

- Tenacità a frattura

- Resistenza a usura

- Resistenza a impatto

Proprietà fisiche

- Conducibilità elettrica

- Idrofobicità

- Trasparenza

- Interrompere il passaggio di gas

Per quanto riguarda le proprietà meccaniche, ragionando ora in termini di compositi

trifasici, dal momento che le proprietà elastiche più influenti sono quelle del rinforzo

micrometrico (solitamente fibroso) introdotto, migliorare le proprietà nella matrice

risulterebbe poco apprezzabile in termini di comportamento globale del laminato. Le

proprietà di resistenza e tenacità a frattura al contrario sono governate dalla matrice e se

si riesce a migliorare tali aspetti, si può migliorare uno dei punti deboli dei laminati o

dei compositi trifasici a matrice polimerica.

Come per ogni cosa, anche per i nanocompositi esistono dei problemi e difficoltà legati

soprattutto alla loro realizzazione e al loro utilizzo. Il primo principale problema è

Capitolo 1

- 9 -

legato ai nanocompositi e alla corretta distribuzione e dispersione del filler all’interno

della matrice. Poiché le proprietà dei nanocompositi come visto si basano

sull’interazione rinforzo-matrice, esse vengono fortemente influenzate dal grado di

dispersione (ossia di aggregazione o meno in cluster) delle nanocariche all’interno della

matrice stessa. Una dispersione più omogenea permette di ottenere notevoli

miglioramenti delle proprietà fisiche e soprattutto meccaniche (figura 1.3).

Fig.1.2. Varie combinazioni di dispersione e distribuzione del rinforzo all’interno della

matrice.

Per ovviare a questo problema e ottenere un miglioramento della dispersione e

distribuzione del nanorinforzo, vengono messe in atto una serie di operazioni. La prima

di queste è la cosiddetta funzionalizzazione, ossia un trattamento chimico (o elettrico nel

caso di nanotubi) sulla superficie del rinforzo che permette contemporaneamente di

migliorare la bagnabilità e l’adesione con la matrice e migliorare la dispersione

riducendo la tendenza all’aggregazione.

La seconda operazione è una miscelazione meccanica mediante agitatori o shear mixer

che hanno il compito di distribuire omogeneamente il nanorinforzo all’interno della

matrice (solitamente in fase liquida).

Ben disperso e mal distribuitoMal disperso e ben distribuito

Ben disperso e ben distribuitoMal disperso e mal distribuito

Capitolo 1

- 10 -

L’ultima operazione è la cosiddetta sonicazione, ossia l’utilizzo di onde acustiche

ultrasoniche per disgregare eventuali cluster di filler che dovessero formarsi.

Alcune problematiche nelle quali si può incorrere durante la realizzazione dei

nanocompositi sono legate intrinsecamente al processo di produzione. Ad esempio nel

caso di produzione di laminati mediante il processo di infusione sotto vuoto, nella fase

di inglobamento del filler e durante la fase di agitazione meccanica, la resina tende

inglobare elevate quantità di aria al suo interno; per ovviare a questo problema è

necessario effettuare un processo di degassaggio sottovuoto della miscela, dalla durata

variabile.

I materiali testati in questa tesi sono come precedentemente accennato, laminati

simmetrici in composito formati da una matrice in resina epossidica base o rinforzata

con nanoparticelle sferiche di silice (SiO2) e con fibre di vetro orientate secondo questa

disposizione [0°,902°,+252° ,-252°]S.

Capitolo 1

- 11 -

1.2 La fatica nei compositi

Sollecitazioni a fatica nei compositi interessano svariate applicazioni, dal campo

aereonautico a quello automobilistico, per questo diversi studi sono stati condotti al fine

di comprendere il comportamento a fatica di questi materiali evidenziando i fattori che

maggiormente ne influenzano la resistenza e il loro danneggiamento.

Per questi materiali, così come per i materiali metallici, la rottura a fatica è una rottura

progressiva che si manifesta con la formazione e la propagazione di difetti, qui

comunque il fenomeno è ben più complesso e ad oggi non completamente compreso.

I principali meccanismi di danneggiamento a fatica nei compositi sono:

- Scollamento della fibra (debonding)

- Fessurazione della matrice

- Rottura della fibra

- Scollamento delle lamine (delaminazione)

Il concetto di danneggiamento è strettamente legato alla particolare applicazione [6]: in

alcune applicazioni il danneggiamento viene letto in termini di riduzione di rigidezza, in

altri il cedimento corrisponde al raggiungimento di una certa deformazione limite.

Contrariamente a quanto accade nei materiali isotropi in cui la nucleazione della cricca

è seguita da una crescita del difetto con legge esponenziale, nei compositi spesso a

causa dell’intima struttura del laminato l’allungamento può subire un arresto e non

portare alla rottura del componente. Ad esempio all’interno della matrice di una lamina,

le fibre potrebbero ostacolare la propagazione di una cricca.

La resistenza a fatica dei materiali compositi dipende da diversi fattori che vanno dalla

natura dei materiali al tipo di sollecitazione, di seguito sono riassunti i parametri

principali che influenzano la vita a fatica di un composito:

- Fibre e tipo di matrice: la miglior resistenza a fatica, si ottiene con materiali che

presentano singolarmente una elevata resistenza a fatica, e una buona adesione

fibra-matrice. In particolare il binomio fibre di vetro e resina epossidica presenta

un ottima resistenza a fatica, soprattutto ad elevato numero di cicli in quanto in

Capitolo 1

- 12 -

essa si hanno delle basse tensioni residue da ritiro post cura, tensioni che

solitamente facilitano l’innesco di cricche e danno luogo a significative

diminuzioni della resistenza a fatica.

Graf.1.1. Influenza della matrice sulla resistenza a fatica di compositi in fibra di

vetro

- Orientamento delle fibre e dalla sequenza di impaccamento: sebbene la massima

resistenza a fatica si abbia nella direzione delle fibre, la resistenza a fatica

massima non si ha per compositi con lamine aventi tutte le fibre allineate con il

carico, anzi in queste condizioni sono abbastanza comuni fenomeni di cedimento

causati dalla bassa resistenza del laminato in direzione trasversale. Risultati

migliori si ottengono disponendo alcune lamine a 90° (cross-ply), ottimi risultati

invece si ottengono disponendo le varie lamine con angoli di ±5° ÷ ±10°.

La sequenza di impaccamento influenza le tensioni interlaminari che a loro volta

giocano un ruolo fondamentale nel resistenza a fatica del componente, in

particolare alcune sequenze sono associate a basse tensioni tangenziali-

interlaminari mentre altre favoriscono elevate tensioni tangenziali e/o tensioni

normali di trazione che facilitano i fenomeni di delaminazione con formazioni di

cricche che propagano più o meno velocemente verso l’interno del provino.

Capitolo 1

- 13 -

Graf.1.2. Influenza dell’orientamento delle fibre sulla resistenza a fatica

- Percentuale volumetrica di fibre: contrariamente per ciò che accade ai materiali

metallici, nei compositi la resistenza a fatica aumenta all’aumentare della

percentuale di fibre presenti, cioè all’aumentare della resistenza statica. Prove

sperimentali su compositi in resina epossidica e fibre di vetro hanno evidenziato

che oltre una percentuale del 70% di rinforzo non si hanno ulteriori

miglioramenti.

Graf.1.3. Curve S-N al variare di Vf.

- Adesione fibra-matrice: quando la formazione e la propagazione di cricche da

luogo a fenomeni di debonding più o meno diffusi, significa che non si ha una

Capitolo 1

- 14 -

buona adesione tra fibra e matrice. Esistono alcuni trattamenti superficiali che

possono essere fatti sulle fibre che favoriscono tale adesione e consentono di

migliorare il comportamento a fatica del materiale, soprattutto in ambienti

umidi.

- Tipo di sollecitazione: contrariamente a quanto avviene per i metalli, nei

compositi non vi è in genere alcuna relazione tra resistenza a taglio e a trazione;

per i compositi in fibra a vetro e matrice epossidica in particolare, il rapporto di

resistenza a fatica per sollecitazioni di taglio è superiore rispetto quello relativo

alla trazione, per altri compositi invece tale dato si inverte. Per ciascun tipo di

sollecitazione quindi non esistono teorie affermate che permettano di mettere in

relazione l’entità di sollecitazione con la corrispondente durata a fatica. Inoltre

nei compositi il danneggiamento è progressivo ma caratterizzato da distinti

momenti di velocità: in particolare i compositi in fibra di vetro e resina

epossidica evidenziano una perdita di rigidezza fino al 30% nei primi cicli di

vita (sotto al 5%).

- Tensione media applicata: come per i materiali isotropi, al crescere della

tensione media (m), la tensione alternata (a) a cui corrisponde una vita a fatica

prefissata decresce (quando la tensione media applicata tende alla tensione di

rottura del materiale, a tende a zero). Nel caso di sollecitazione di compressione

la presenza di una componente media diversa da zero, da luogo a un progressivo

danneggiamento della matrice con conseguenti fenomeni di buckling a

delaminazione e splitting delle fibre; tuttavia per una accettabile valutazione

della resistenza e/o della vita a fatica dei componenti è necessario disporre di un

set di dati sperimentali.

Capitolo 1

- 15 -

Graf.1.4. Influenza della tensione media sulla resistenza a fatica per un composito

poliestere-fibra di vetro.

- Frequenza di carico: a differenza di quanto si verifica nei metalli, nei compositi

un aumento della frequenza di applicazione del carico produce un aumento della

temperatura ed una conseguente diminuzione della resistenza a fatica.

- Ambiente: in generale i fattori ambientali che maggiormente influenzano la

resistenza a fatica di un materiale composito sono: temperatura (T) e umidità

(U); in particolare un aumento di T e U portano a un decadimento della

resistenza a fatica. In particolare le fibre di vetro risultano particolarmente

sensibili a riduzioni di vita a fatica per variazioni di fattori ambientali. Questi

studi sono ancora allo stadio iniziale e in letteratura sono pochi i dati presenti.

- Effetti di intaglio: nei materiali metallici la presenza di un intaglio ha degli

effetti limitati sulla resistenza statica dei materiali ma provoca una sensibile

riduzione della resistenza a fatica. Nei compositi la situazione sembra invertirsi,

avendo questi nella stragrande maggioranza dei casi, comportamento fragile, la

presenza di un intaglio provoca una riduzione della resistenza statica e una

diminuzione marginale della resistenza a fatica. Il danneggiamento che un carico

variabile induce in prossimità della zona dove si ha una concentrazione di

Capitolo 1

- 16 -

tensioni, provoca una sorta di rilassamento delle tensioni con conseguente

aumento della resistenza statica residua dell’elemento.

Nei compositi, le relazioni analitiche da applicare in sede di progetto per stimare la vita

a fatica di un componente, sono poche e richiedono condizioni particolari; esistono

invece diverse equazioni empiriche che mettono in relazione carico applicato e

caratteristiche di sollecitazione, ma richiedono che le costanti poste in gioco siano

determinate sperimentalmente. Per questi materiali si rende quindi necessaria una

indagine sperimentale per una attendibile stima delle costanti empiriche da poter

utilizzare.

Capitolo 2

- 17 -

Capitolo 2

Ricerca bibliografica

2.1 Introduzione

Nelle prossime pagine verranno analizzate alcune pubblicazioni, frutto delle più recenti

scoperte riguardanti i materiali compositi trifasici a matrice polimerica. Per ogni

articolo sarà riportata una sintesi dettagliata di tutti i materiali utilizzati, delle attività

sperimentali svolte e dei risultati ottenuti da questi ricercatori.

2.2 Articoli

Articolo [1]: The tensile fatigue behaviour of a silica nanoparticle-modified

glass fibre reinforced epoxy composite.

Autori: C.M. Manjunatha, A.C. Taylor, A.J. Kinloch, S. Sprenger

L’obbiettivo di questo articolo è quello di studiare il comportamento a fatica di un

composito in resina epossidica nanomodificata e fibra di vetro mediante prove a fatica

in controllo di carico. In particolare l'accento è stato posto sulla comprensione dei

meccanismi che influenzano la vita a fatica del materiale trattato.

Matrice: resina epossidica ‘LY556’ fornita dalla Huntsman, Duxford, UK.

Indurente: metilesaidroftalico ‘Albidur HE 600’ (MER=170g/eq).

Fibra: tessuto in fibre di vetro unidirezionali dal peso di 450 g/m2.

Capitolo 2

- 18 -

Nanocarica: Nanopox F400 ' prodotto dalla Nanoresins, Geesthacht, Germania

(nanoparticelle di silice di diametro 20 nm).

La resina epossidica è stata pesata e degassata alla temperatura di 50°C alla pressione di

1 atm. Le quantità di resina e indurente sono state formulate in modo da avere un 10%

di nanoclay sul composto finale degassato. Tipicamente, per preparare 500 ml (589 g) di

composto con 10% di nanoparticelle di silice, occorrono circa 150 g di Nanopox , 184 g

di LY556 e 255 g di HE600.

Prove effettuate:

1. Prova di trazione sui provini in resina DGEBA e in composito, rispettivamente

secondo le normative ASTM D 638 e ASTM D 3039, con una forza di 100000N

e una velocità di avanzamento costante pari a 1 mm/min.

2. Prova di fatica secondo la normativa ASTM D3479 M con rapporto di ciclo R =

0,1 e con carico ad onda sinusoidale con frequenza tra 1 e 3 Hz per evitare

fenomeni di riscaldamento che penalizzerebbero la vita a fatica del materiale.

Caratteristiche dei provini: le prove sono state condotte su quattro diversi tipi di

provini: un campione in resina epossidica DGEBA, un provino in resina epossidica

DGEBA con all' interno disperse nanoparticelle di silice (10% in peso), un laminato in

fibra di vetro (GFRP) [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 con matrice in resina DGEBA e un

composito in fibra di vetro (GFRP) [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 con matrice in resina

DGEBA nanocaricata con silice (10% in peso).

Per la realizzazione dei provini in resina epossidica, la miscela è stata versata in stampi

di acciaio e riscaldati per 2h in un forno ventilato alla T di 100°C, successivamente è

stato fatto un trattamento di post-curing per10h alla T di 150°C.

I laminati GFRP invece sono stati prodotti per infusione sottovuoto, sovrapponendo

pezzi di tessuto di 330mm2, secondo questa sequenza [(+45°/-45°/0°/90°)s]2

Capitolo 2

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Risultati delle prove a trazione: i risultati delle prove di trazione sono riassunte nella

tabella Tab.2.1.

Tab 2.1. Propietà dei materiali.

Come osservato in precedenti indagini, l'aggiunta di nanoparticelle di silice aumenta la

resistenza a trazione e il modulo elastico sia della resina epossidica, sia del composito

GFRP. In particolare si nota che la UTS è aumentata rispettivamente del 19 % per la

resina e del 5 % per il composito GFRP, mentre il modulo E è aumentato di circa il 17

% per la resina epossidica e del 7% per il composito GFRP. Sebbene gli incrementi

dovuti all'aggiunta delle nanoparticelle siano significativi per la resina epossidica, non

sono così significativi per il composito GFRP, perché ovviamente le proprietà del

composito sono dominate dalle fibre in direzione 1.

Risultati delle prove a fatica: per le resine le prove sono state condotte applicando una

F=25000N: a intervalli di ciclo regolari sono stati raccolti i dati di tensione e

deformazione per un ciclo di fatica completo, per poter calcolare la rigidezza del

materiale testato. I valori di rigidezza poi sono stati normalizzati con il valore Ex0

(ottenuto dal primo ciclo).

Le prove sui provini GFRP sono state condotte applicando un carico max di 150 MPa,

per l’indagine sul danneggiamento della matrice nei compositi GFRP è stata considerata

un'area centrale del provino di circa 25 mm2: dopo l'applicazione di un numero

specifico di cicli, il test è stato interrotto ed è stata fotografata la zona individuata per il

calcolo della crack density, questa procedura è stata ripetuta fino al termine della prova.

Utilizzando un microscopio elettronico SEM a scansione ad alta risoluzione sono state

poi analizzate le superfici di frattura delle resine epossidiche.

Capitolo 2

- 20 -

Nella Fig.2.1 è mostrata una sequenza tipica di fotografie ottenute per il composito

GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 a matrice epossidica ordinaria: il campione vergine senza

cicche è posto in fondo a sinistra.

Fig.2.1. Nucleazione e propagazione delle cricche nella matrice di un composito GFRP

sollecitato a fatica.

Con l'aumento del numero di cicli le cricche si sviluppano sia a ± 45° sia a 90°

apparendo come linee scure: maggiore è il numero di cicli a fatica, e maggiore è il

numero di cricche che si vanno a formare. Sebbene in alcune immagini siano visibili

cricche nel piano a 90°, a causa di una maggiore profondità di questo strato, non

possono essere costantemente osservate in tutte le fotografie, in questo lavoro quindi

sarà analizzata la rigidezza del composito in relazione alla densità di cricche che si

vanno a formare sulle lamine a ± 45° piuttosto che alle cricche che si formano sul piano

a 90°.

Capitolo 2

- 21 -

I risultati dei test a fatica per le resine sono diagrammati in Graf.2.1.

Graf.2.1. Curve S-N per una resina epossidica base e

nanorinforzata con il 10% di silica.

La durata a fatica della resina nanomodificata è maggiore di quella della resina base,

questo aumento è stato osservato su tutta la gamma di livelli di carico esaminati. Per il

calcolo della max è stata applicata la seguente equazione:

'f (FSC) è la tensione individuata a Nf, b (FSE) è il coefficiente che esprime la

pendenza della curva di Wholer: valori di FSC e il FSE sia per le resine base che per le

resine epossidiche nanomodificate sono mostrate in Tab.2.2

Tab 2.2. Propietà dei materiali.

Capitolo 2

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L'aggiunta di nanoparticelle di silice aumenta l'FSC di circa il 34% e fa diminuire il

FSE di circa il 16%.

Fig.2.2. Superfici di frattura per fatica di una resina epossidica base (a) e di una resina

contenente il 10% di nanoparticelle di silice (b).

Dalle immagini SEM della resina base e di quella nanomodificata (Fig.2.2) si evince

che la resina base mostra una superficie di frattura relativamente liscia, priva di

qualsiasi indicazione di deformazione plastica, mentre la matrice nanomodificata

presenta una superficie di frattura ruvida con la presenza di vuoti dovuti al debonding

delle nanoparticelle di silice. La dimensione di questi vuoti è leggermente maggiore

rispetto al diametro della nanoparticella di silice, questo indica che c’è stata una crescita

del vuoto durante la propagazione di cricca [9].

Il presente lavoro mostra un aumento della tenacità a frattura del materiale in seguito

all'aggiunta di nanoparticelle di silice. Diversi autori hanno proposto vari meccanismi

per spiegare questo miglioramento delle propietà del materiale ([9], [10]): dai risultati

ottenuti, è chiaro che le nanoparticelle sono soggette a un fenomeno di debonding che

innesca un meccanismo di crescita del vuoto creatosi.

Nei compositi GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 l'aggiunta di nanoparticelle di silice

migliora la vita a fatica del composito di circa 3-4 volte per l'intera gamma di livelli di

carico adottati.

Capitolo 2

- 23 -

Graf.2.2. Curve S-N per un composito GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 con matrice base e

rinforzata con il 10% di nanoparticelle di silice.

Le proprietà per i compositi GFRP, sono state determinate inserendo i dati della curva

S-N mediante l’equazione (2.1) riportata precedentemente per le resine: i valori sono

riportati in Tab.2.2.

Come osservato per la resina epossidica ma in misura minore, l'FSC del GFRP è

aumentato di circa il 13 %, a causa del nanorinforzo nella matrice, l’FSE invece del

GFRP nanomodificato è rimasto pressoché uguale al composito con resina base.

I valori di rigidezza normalizzata al variare del numero di cicli, sono stati valutati anche

in questo caso per prove di fatica a max = 150 MPa (Graf.2.3).

Capitolo 2

- 24 -

Graf.2.3. Curve E-N per il composito GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 con matrice base e

nanorinforzata.

In generale, si ha una riduzione di rigidezza all’aumentare di N, le curve riportate in

Graf.2.3, in particolare, sono caratterizzate da 2 tratti: si può notare una riduzione di

rigidezza nei tratti I e II ripida e significativa per il composito GFRP in resina base.

Graf.2.4. Curve di cd (±45°) - N per il composito GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 base e

nanorinforzato.

Capitolo 2

- 25 -

La cd, in funzione del numero di cicli, relativa alle cricche a ± 45° è riportata in

Graf.2.4: le curve mostrano che la cd aumenta con il numero di cicli fino a saturare, ma

il livello di saturazione della cd (CDS) è più alto nei compositi a matrice base rispetto i

GFRP a matrice nanomodificata: questo livello di saturazione, viene raggiunto più

rapidamente nei GFRP a matrice base, in circa 6000 cicli, mentre per i compositi GFRP

a matrice nanomodificata viene raggiunto dopo circa 15.000 cicli. E 'chiaro quindi che

per un dato ciclo di fatica, il GFRP con resina base avrà molte più cricche del GFRP

nanomodificato con particelle di silice.

La nascita di delaminazioni interlaminari, in particolare quelle che partono dai bordi

liberi dei campioni, è stata raggiunta dopo un numero simile di cicli di carico:

rispettivamente 6000 e 15.000 cicli.

Sulla base dei risultati ottenuti, si può dire che inizialmente, tutti i compositi GFRP per

effetto dei carichi ciclici sviluppano cricche che propagano nella matrice con

conseguente riduzione della rigidezza globale del materiale. Il processo di

danneggiamento della matrice continua fino al raggiungimento della CDS. Da qui la

formazione di cricche secondarie nella matrice epossidica, perpendicolari alle cricche

primarie, porta alla nascita di delaminazioni. La crescita di queste delaminazioni porta a

una perdita di rigidezza costante nella regione II (Graf. 2.3), soprattutto nei compositi

nanorinforzati in cui questa regione risulta allungata a causa dei ridotti tassi di crescita

delle cricche, per la presenza delle nanoparticelle di silice.

Conclusioni:

1. La vita a fatica della resina epossidica con il 10 wt.% di nanoparticelle di silice è

di circa 3-4 volte superiore rispetto quella base. In prossimità delle

nanoparticelle di silice in seguito al debonding si ha uno scollamento della silice

dalla matrice con una conseguente crescita dei vuoti che assorbono energia e

contribuiscono a un miglioramento della vita a fatica del materiale.

2. La durata a fatica dei compositi GFRP [(+45°/-45°/0°/90°)s]2 con il 10 wt.% di

nanoparticelle di silice è circa 3-4 volte superiore rispetto la durata a fatica del

composito GFRP a matrice epossidica base: nei GFRP nanomodificati infatti, si

ha una riduzione di velocità di propagazione della cricca a causa dei fenomeni di

debonding precedentemente descritto.

Capitolo 2

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Articolo [2]: Fatigue damage behaviors of carbon fiber-reinforced epoxy

composites containing nanoclay.

Autori: Shafi Ullah Khan, Arshad Munir, Rizwan Hussain, Jang-Kyo Kim.

In questo lavoro vengono studiate le prestazioni a fatica di alcuni compositi CFRP

nanorinforzati. In particolare saranno presentate le curve S-N e le proprietà dei

compositi dopo differenti livelli di carico.

Matrice: resina epossidica Epon828, fornita dalla Shell Corp.

Indurente: metilesaidroftalico ‘Albidur HE 600’ (MER=170g/eq).

Fibra: tessuto di carbonio con fibre di carbonio unidirezionali, fornito dalla Taiwan

elettrico isolanti, con un peso unitario di 200 g/m2.

Nanocarica: organoclay Nanomer I30P (nanoargille), fornito dalla Nanocor.

La resina è stata miscelata con l’1,3% di indurente in rapporto di peso 100 a 14.5. Prima

dell’uso, la resina epossidica è stata riscaldata fino a 75°C per abbassarne la viscosità,

anche gli organoclay, sono stati riscaldati a un T di 75 °C per una notte.

La concentrazione di organoclay utilizzata nelle prove varia tra il 0,3%, e il 5% in peso

della miscela resina epossidica-indurente; per facilitare la dispersione delle

nanoparticelle nella resina, sono state eseguite 1h di una miscelazione meccanica e 3h di

sonicazione, utilizzando un ultrasonicatore ad alta frequenza.

Dopo la sonicazione la miscela è stata degassata in un forno sotto vuoto, e in seguito è

stato aggiunto l’agente indurente.

Caratteristiche dei provini: sono stati realizzati 12 laminati stratificando manualmente i

tessuti di carbonio, realizzando la sequenza [0°/90°]3S, in seguito i laminati realizzati

sono stati tagliati anche a 45° per ottenere provini con la seguente sequenza di

impaccamento [±45°]3S. La frazione volumetrica delle fibre di carbonio (Vf), è stata

mantenuta costante e pari a circa 0,55% per entrambi i compositi con e senza

nanoargilla, la quale è stata determinata a partire dal peso e dalla densità dei componenti

noti.

Capitolo 2

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Prove effettuate:

1. prova di trazione secondo la normativa ASTM D3039, con velocità di

avanzamento della testa di 2 mm/min.

2. prova di fatica secondo la normativa ASTM D3479, con rapporto di ciclo 0,1 e

carico ad onda sinusoidale ad ampiezza costante con frequenza di 2 Hz. I provini

testati sono provini rettangolari 230x20x2,5mm. Un estensometro con tratto utile

di 25 mm è stato montato sul provino durante i test per monitorare la

deformazione del materiale.

Per ogni livello di carico sono stati testati almeno quattro campioni e le proprietà

dei compositi sono state misurate dopo differenti periodi di carico (5000, 10000,

20000, 25000 e 30000 cicli di fatica). Mediante una scansione a microscopia

acustica è stata monitirata la crescita progressiva delle cricche nelle diverse fasi

di ciclo.

Risultati delle prove a trazione: i compositi CFRP [0°/90°]3S presentano nelle prime

fasi un comportamento lineare elastico (Graf.2.5).

Graf.2.5. Curve S- dei compositi CFRP [0°/90°]3S nanomodificati, al variare della

frazione % di organoclay.

Capitolo 2

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Si può osservare che la deformazione aumenta con l'aumentare della frazione % di clay

all’interno della resina. In Graf.2.6 è messa in relazione la resistenza a trazione (S) e il

modulo elastico (E) del materiale con la frazione percentuale di nanoclay dispersa.

Graf.2.6. Curve di resistenza a trazione e modulo elastico dei compositi CFRP

[0°/90°]3S nanomodificati in funzione della frazione % di organoclay.

Sia la resistenza a trazione che il modulo elastico, crescono all’aumentare del contenuto

di clay: in linea con quanto riportato in precedenti pubblicazioni [11].

Le diverse morfologie delle superfici di frattura, evidenziano una forte differenza tra i

materiali compositi con o senza nanoargilla. Nei compositi non rinforzati, il debonding

interfacciale fibra-matrice e una limitata deformazione della matrice stessa sono i

meccanismi più evidenti di cedimento che si possono osservare: le superfici di frattura

in questo caso appaiono liscie e piatte indice di una rottura fragile. Nei composti

nanorinforzati con argilla invece, si riscontra un miglioramento del legame interfacciale

fibra-matrice per la presenza dei nanoclay nella matrice stessa: la resina epossidica

modificata quindi risulta ben aderita alle fibre di carbonio e la superficie di frattura per

questi provini appare più ruvida.

Le proprietà dei materiali compositi CFRP con stratificazione [± 45°]S sono dominati

dalle proprietà di taglio: la presenza di nanoclay nella matrice incrementa non solo la

resistenza a trazione del materiale, ma anche la deformazione a rottura: osservazioni

coerenti con i risultati di precedenti pubblicazioni sulla resistenza al taglio interlaminare

nei materiali compositi in fibre di carbonio[12, 13, 14].

Capitolo 2

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Risultati delle prove a fatica:

Graf.2.7. Curve S-N di un composito CFRP [0°/90°]3S nanomodificato, al variare della

% di organoclay.

Le curve riportate in Graf.2.7 evidenziano che a parità di carico applicato il composito

CFRP [0°/90°]3S nanorinforzato presenta una vita a fatica più lunga, in particolare il

miglioramento massimo si è ottenuto con il 3% in peso di nanoargilla: applicando un

carico pari al 45% della resistenza a trazione del provino si ha un incremento del 74% di

durata della vita a fatica.

Nel grafico Graf.2.8, è diagrammata la resistenza a trazione e il modulo di elasticità E in

funzione del numero di cicli per un composito CFRP [0°/90°]3S nanomodificato: le

curve indicano una diminuzione graduale di entrambe le proprietà all’aumentare del

numero di cicli, con piccole differenze tra i diversi campioni, in particolare i provini in

composito con resina nanomodificata al 3% con clay mostrano proprietà migliori

rispetto a tutti gli altri.

Capitolo 2

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Graf.2.8 Curve S-N (a) e E-N (b) di un composito CFRP [0°/90°]3S nanomodificato al

variare della frazione % di clay.

Tra i diversi metodi per caratterizzare l'entità del danno, in questo lavoro è stato

utilizzato l' indice di danneggiamento a fatica (2.2).

Un valore basso di D sta a significare una scarsa riduzione del modulo elastico, per

effetto della fatica. D rappresenta una misura macroscopica di danneggiamento a fatica:

i cambiamenti a livello microstrutturale infatti (cricche nella matrice, rotture

interfacciali tra fibra/matrice, …ecc ) portano a una riduzione macroscopica del modulo

di Young. Il Graf.2.9 riporta i valori dell'indice di danneggiamento in funzione del

numero di cicli per compositi contenenti diverse percentuali di nanoparticelle di argilla.

Capitolo 2

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Graf.2.9 Curve D-N di un composito CFRP [0°/90°]3S nanomodificato al variare della

frazione % di nanocarica.

Si può notare che a basso numero di cicli, nella fase precoce di affaticamento (tra i 0

cicli e i 12500 cicli), i compositi nanomodificati, in genere evidenziano danneggiamenti

più contenuti rispetto i materiali compositi con resina base; in particolare dopo i 13000

cicli il danno subito dai campioni nanomodificati, a parità di numero di cicli si riduce,

rispetto i compositi con resina base. In genere i risultati migliori si ottengono con un 3%

in peso di nanoclay e non di più perché in questo modo si riduce il rischio di formazione

di agglomerati di nanocariche che porterebbero la perdita del ricercato nano-effect.

I compositi nanomodificati, hanno un gran numero di interfacce per la presenza di

nanoparticelle di argilla, e molte di queste interfacce sono deboli. Alcuni meccanismi di

rottura come il debonding potrebbero innescarsi in prossimità di queste interfacce con la

generazione di micro o nano cricche. Queste micro o nanocracks impiegano più tempo a

propagare e a formare danni critici nel materiale rispetto alle cricche che si formano nei

compositi CFRP con sola resina base.

Altri meccanismi di tenacizzazione importanti che impediscono la veloce propagazione

delle cricche, nei compositi nanomodificati, sono stati identificati nella formazione di

vuoti sulla superficie di frattura: questi si formano come risultato di una deformazione

localizzata in prossimità di difetti della matrice (microvuoti, debonding). La dimensione

di questi vuoti, in genere, tende aumentare, incrementando la vita stessa del materiale:

durante la fase iniziale di carico in prossimità di qualche punto debole della matrice, si

Capitolo 2

- 32 -

ha una deformazione plastica localizzata, che promuove la formazione di altre cavità:

più basso è il livello di sforzo applicato, e più si allunga questa fase. Questi vuoti

tendono a crescere in modo stabile all’aumentare del numero di cicli fino a portare a

rottura finale il componente.

L'allargamento di queste zone è altamente collegato al carico applicato.

Vi è una significativa analogia tra i risultati di questo articolo e quelli riportati in lavori

precedenti [4], riguardanti i compositi in fibre di vetro GFRPs contenenti nanotubi di

carbonio (CNT): l'aggiunta dei CNT porta ad una maggiore densità di microcricche

rispetto ai compositi senza CNT.

La presenza dei clay comporta l’innesco di tante microcricche o nanocricche secondarie,

a differenza di ciò che accade nei medesimi compositi in resina base dove si ha una

bassa densità di “grandi” cricche.

Il danno sull'area di riferimento, è diagrammato rispetto il numero di cicli in Graf.2.10:

entrambi i materiali mostrano una distribuzione del danno abbastanza uniforme su tutta

l'area, in particolare al di sotto dei 10000 cicli, i compositi nanomodificati, sono esposti

a danni maggiori rispetto i materiali compositi a matrice base. Sopra i 10000 cicli

invece, l'argilla contrasta in qualche modo il danneggiamento del materiale, in

corrispondenza di 25000 cicli si ha un danneggiamento del 15% in meno.

Graf.2.10 Curve DA%-N per un composito CFRP [0°/90°]3S base e nanocaricato.

Capitolo 2

- 33 -

Sulla base di queste osservazioni, il danneggiamento a fatica nei materiali compositi

CFRP [0°/90°]3S studiati può essere diviso in due fasi: la fase I è un danno stabile ed è

legato all’iniziazione delle cricche e alla loro crescita, la fase II è legata alla rapida

crescita delle cricche con conseguente fallimento del provino. Si è visto che i compositi

nanomodificati presentano una fase I più lunga rispetto ai compositi con resina base pari

circa a 0-20000 cicli contro i 0-15000 dei compositi con sola resina base.

Conclusioni:

1. La resistenza a trazione e il modulo elastico di un composito CFRP [0°/90°]3S

sono significativamente migliorati con l'aggiunta di nanoclay.

2. I compositi CFRP nanomodificati con organoclay hanno mostrato una migliore

performance in termini di resistenza a trazione e modulo elastico rispetto ai

compositi con resina base dopo un determinato numero di cicli.

3. La vita a fatica del materiale è stata notevolmente migliorata con l'inserimento

nella matrice del composito CFRP [0°/90°]3S di nanorinforzi di argilla: il

massimo incremento è stato di circa il 74% ottenuto con il 3% in peso di clay.

4. I nanoclay nei CFRP [0°/90°]3S, tranne nelle prime fasi di carico, limitano

l’aumento del danneggiamento a fatica.

5. I nanoclay migliorano il legame interfacciale fibra/matrice e i vuoti che si creano

sono stati identificati come i meccanismi responsabili del miglioramento della

vita a fatica di questi materiali.

Capitolo 2

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Articolo [3]: Improvement of fatigue life by incorporation of nanoparticles

in glass fibre reinforced epoxy.

Autori: Lars Böger, Jan Sumfleth, Hannes Hedemann e Karl Schulte.

In questo lavoro, sono state eseguite prove di trazione classiche e prove di trazione a

gradini per valutare gli effetti delle sollecitazioni sul danneggiamento del materiale, in

particolare saranno riportati i vantaggi ottenuti modificando la matrice di un materiale

composito GFRPs mediante introduzione di nanoparticelle di CNT o silice.

Matrice: resina epossidica RIM 135, fornita da Hexion, Germania.

Indurente: indurente amminico RIM H137, fornito da Hexion, Germania.

Fibra: sono stati utilizzati due tipi di tessuto.

1. il primo è un tessuto [0°91% , 908%] con un peso totale di 986 g/m2 dove il 91%

del rapporto peso-area (898 g/m2) è occupato da fibre di vetro orientate a 0°,

l’8% del rapporto peso su area totale (80 g/m2) è occupato da fibre di vetro a

90°, e circa l’1 % (8 g/m2) è occupato dal filo che regge le fibre.

2. Il secondo è un tessuto [0°49%, 45°23%, 90°5% , -45°23%] con un rapporto di peso

su area di 1309 g/m2 dove il 49% di peso su area è occupato da fibre a 0° (638

g/m2), il 23% (301 g/m2) da fibre a ± 45°, il 5 % (63 g/m2) da fibre di vetro

orientate a 90° e l’1% (6 g/m2) del rapporto peso-area è occupato dal filo che

sostiene le fibre.

Nanocarica: nanotubi di carbonio (MWCNT Graphistrength C100®) forniti dalla

Arkema, Francia, con diametro esterno di circa 15 nm e lunghezza fino a 10 m; e

nanoparticelle di silice (SiO2 Aerosil A380®) fornita dalla Evonik Degussa, Germania,

di 7 nm di diametro.

La concentrazione di entrambi i riempitivi è stata imposta al 0.3 % del peso totale.

Per disperdere uniformemente le nanoparticelle nella matrice, sono state pre-mescolate

manualmente (senza indurente) all’interno della resina, in seguito la miscela

Capitolo 2

- 35 -

nanoparticelle-resina è stata mescolata con l'indurente mediante agitatore meccanico

sotto vuoto, per evitare l’intrappolamento indesiderato di aria.

I materiali con matrice nanomodificata sono stati prodotti mediante Transfer Molding

(VARTM).

Caratteristiche dei provini: i provini testati a trazione, sono composti da quattro strati

di tessuto [0°91%, 908%] accatastati per realizzare un laminato con il seguente lay-up

[0°,90°,90°,0°]S.

I laminati per le prove di trazione a gradini sono stati prodotti utilizzando due strati di

tessuto [0°49%, 45°23%, 90°5% , -45°23%] per ottenere un laminato dal seguente lay-up [0°,

45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -45°, 0°], questi poi sono stati tagliati parallelamente alla

direzione 0° e sono stati sottoposti a un trattamento di post-cured a 80°C per 15 h.

I laminati con una frazione volumetrica di fibre del 50 % sono stati testati a trazione

mentre i laminati con il 37% di frazione volumetrica di fibre sono stati testati a fatica.

Prove effettuate:

1. prova di trazione, secondo la normativa EN-ISO con una velocità di testa di 2

mm/min.

2. prova di trazione a gradini, dove il provino è stato caricato fino ad un certo

valore di strain e poi scaricato iterativamente; le prove di fatica con R = 0,1(T-

T), R = -1(T-C) ed R = 10(C-C), sono state eseguite alla frequenza di 6 Hz, per

evitare un eccessivo riscaldamento interno dei campioni e per contrastare le

vibrazioni torsionali (che insorgono a causa dell’asimmetria del lay-up).

Risultati delle prove: il Graf.2.11 mostra la curva sforzo deformazione e la curva della

variazione di resistenza elettrica normalizzata rispetto il valore di resistenza elettrica del

materiale integro, al variare della percentuale di deformazione subita.

Capitolo 2

- 36 -

Graf.2.11 Curve S-e R/R0-per un composito [0°,90°,90°,0°]S in fibre di vetro.

Non appena si formano le prime cricche trasversali tra le fibre, negli strati a 90°,

all’interno della matrice, la curva sforzo-deformazione declina, mentre la resistenza

elettrica del materiale aumenta ulteriormente [15,16]. Dopo l’innesco, queste cricche,

propagano fino a portare a rottura finale il provino: i valori del carico alla comparsa

delle prime cricche sono un importante parametro di progettazione poiché il materiale

non deve essere caricato con livelli di stress più elevati, vedi Graf.2.12.

Il grafico evidenzia il carico di rottura medio tra le fibre del materiale di riferimento,

48,3 MPa, e del materiale nanocaricato: l'aggiunta di MWCNT porta ad un aumento del

carico di rottura di circa l’8%, mentre la modifica con silice fumata porta a un

incremento del carico di rottura delle fibre del 16%. La significatività statistica di questi

dati è accreditata dall’elevato numero di campioni testati.

Capitolo 2

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Graf.2.12. Carichi di rottura medi delle matrici per un composito [0°,90°,90°,0°]S.

Per quanto riguarda il laminato modificato con il 3% di MWCNT si ha un aumento

quasi lineare dello stress fino alla prima frattura tra le fibre, questo incremento è

accompagnato da un aumento lineare della resistenza elettrica (vedi Graf.2.11). La

presenza di cricche nella matrice, provoca un aumento della resistenza elettrica del

materiale. Le cricche infatti interrompono la conducibilità elettrica della matrice

provocando un aumento della resistenza elettrica del materiale. Le misure di resistenza

elettrica possono essere utilizzate per rilevare la deformazione dei provini e i danni nei

materiali compositi come già riportato da precedenti lavori[15,17].

In Graf.2.13, la crack density è stata diagrammata per ogni gradino di carico in funzione

della deformazione massima applicata sia per i compositi [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -

45°, 0°] base, sia per quelli a matrice rinforzata con nanoparticelle di silice. I compositi

GFRPs con MWCNT non sono trasparenti, quindi per questi non può essere eseguita

una stima della crack density. Il grafico evidenzia una diminuzione del 3-4% della

deformazione massima necessaria per la comparsa delle prime cricche nei compositi

nanomodificati, rispetto i compositi a matrice base. La densità di cricche nel materiale

composito modificato con nanoparticelle di silice è leggermentee più bassa rispetto la

cd del composito non caricato.

Capitolo 2

- 38 -

Graf.2.13 Curve cd- per compositi [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -45°, 0°] base e

nanorinforzati.

Graf.2.14. Curve max-Nr con R=0.1(T-T) per compositi in fibre di vetro dal seguente

lay-up: [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -45°, 0°].

In Graf 2.14 sono state tracciate due curve relative a un R=0.1(T-T), che interpolano i

valori massimi di sollecitazione in funzione del numero di cicli a rottua: i dati si

dispongono lungo 2 rette: si nota che l'aggiunta di fumed silica o MWCNT nella matrice

epossidica porta a un ritardo dell'iniziazione di cricche, tra le fibre, questo si traduce in

Capitolo 2

- 39 -

un incremento della vita a fatica del materiale, fino ad alcuni ordini di grandezza.

La riduzione dell'ampiezza massima di sollecitazione porta ad un aumento della vita a

fatica sia per i compositi nanomodificati sia per i compositi non modificati. Va denotato

che le due curve sono simili: 2 rette con la stessa pendenza, traslate tra loro.

Lo spostamento della curva di S-N verso l’alto per i compositi con MWCNT può essere

spiegato con meccanismi come il debonding di nanoparticelle e la formazione di vuoti

che portano a un miglioramento delle proprietà del GFRPs: in prossimità di questi vuoti,

si ha una deformazione plastica localizzata per effetto del carico applicato, che

promuove la formazione di nanocavità [1,4].

Il Graf.2.15 mostra i valori di tensione massima in funzione di Nr (numero di cicli di

rottura) per un rapporto di ciclo R = -1, di un composito [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -

45°, 0°] a matrice base e nanocaricata con un 3% di MWCNT. In particolare il

nanorinforzo influenzano la vita a fatica del materiale ad alto numero di cicli: a parità di

tensione massima applicata necessitano di un maggior numero di cicli per essere portati

a fine vita.

Graf.2.15. Curve max -Nr con R=-1(T-C) per compositi [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -

45°, 0°] base e nanorinforzati.

Capitolo 2

- 40 -

Osservando il grafico è chiara la forte influenza del carico applicato nelle prove a

compressione rispetto le prove T-T. Il Graf.2.16 mostra le curve max - Nr delle prove

per a fatica svolte con rapporto di ciclo R = 10, riferite a un composito base, un

composito modificato con MWCNT, e un composito con matrice nanomodificata con

silice pirogenica.

Graf.2.16. Curve max -Nr con R=10 (C-C)

per compositi [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -45°, 0°] base e nanorinforzati.

Le curve max -Nr per i compositi [0°, 45°, 90°, -45°, 45°, 90°, -45°, 0°] a matrice

modificata mostrano una pendenza significativamente più bassa rispetto ai compositi

con matrice base: la vita a fatica a bassi valori di tensione è quindi migliorata. Il

generico valore σmax risulta comunque più basso per queste due prove rispetto a quella

con R = 0,1 e questo è da imputare ai carichi di compressione che si susseguono durante

i cicli di prova, molto più gravosi rispetto a quelli di trazione, almeno per questi

materiali.

Migliorare le proprietà della matrice permette di migliorare il comportamento a fatica

del materiale. Infatti la vita a fatica ad elevato numero di cicli (in termini di N) dei

provini nanomodificati è aumentata di alcuni ordini di grandezza rispetto i provini a

matrice base.

Capitolo 2

- 41 -

In linea di principio, nella compressione, il buckling della fibra ha un ruolo cruciale

sulla vita a fatica del materiale, limitandola. Le nanoparticelle, disperse nella matrice

incrementano la rigidizza della matrice stessa e contrastano, in parte, questa instabilità,

migliorando la vita a fatica del composito.

Un precedente lavoro di Gagel correla la diminuzione di rigidezza con la cd nella

matrice dei GFRPs caricati: i miglioramenti nella fatica ad alto numero di cicli con R =

10 sono indipendenti dal tipo di nanoparticella utilizzata: la fumed silica così come i

MWCNT portano aumenti significativi del numero di cicli fino al fallimento finale del

provino, quindi la forma delle particelle sulla base dei risultati ottenuti dal punto di vista

della resistenza a fatica non è un fattore fondamentale.

Conclusioni:

1. i risultati mostrano un alto aumento della durata a fatica dei compositi GFRPs

nanomodificati, correlato all'aumento di resistenza a frattura della matrice.

Entrambe le nanoparticelle (silice pirogenica e MWCNT) provocano un

aumento della vita a fatica (ordini di grandezza) sia in trazione che in

compressione da imputare a fenomeni di debonding e di deformazione plastica

dei nanovuoti.

2. La nucleazione delle prime cricche nella matrice è correlata a una significativa

riduzione della conducibilità elettrica del materiale per i compositi

nanomodificati con MWCNT, questa quindi rappresenta una tecnica alternativa

di rilevamento cricche per compositi.

Capitolo 2

- 42 -

Articolo [4]: High-cycle fatigue of hybrid carbon nanotube/glass

fiber/polymer composites.

Autori: Christopher S. Grimmer e C. K. H. Dharan

Matrice: EPON 826 Epikure prodotto dalla Hexion Specialty Chemicals (Houston, TX,

USA).

Indurente: 3234 prodotto dalla Hexion Specialty Chemicals (Houston, TX, USA).

Fibra: tessuto [0°/90°] in fibre di vetro di spessore 0,28mm, Type 7500 prodotto dalla

Hexcel (Fullerton, CA, USA).

Nanocarica: CNT a parete multipla di Nanoledge (Clapiers, Francia).

L’EPON 826 è stata miscelata con l’1 % in peso di CNT poiché è stato dimostrato che

tale percentuale migliora il comportamento meccanico dei compositi: superare questa

quantità di carica provoca un aumento eccessivo della viscosità del polimero[7, 8].

Caratteristiche dei provini: per la realizzazione dei laminati sono stati sovrapposti 8

strati di tessuto in fibra di vetro che sono stati infusi con la resina catalizzata e

degassata. Il contenuto di resina nei laminati induriti è stato misurato e risulta essere

circa 44% del peso totale (il rapporto fibra-resina è di 44/56). Dai pannelli di laminato

realizzati, sono stati tagliati mediante una lama diamantata dei provini rettangolari di

queste dimensioni: 24x200. In tutti i campioni, la direzione di ordito del tessuto era

orientata lungo la direzione di carico. Su tutti i campioni al centro, è stato realizzato un

foro di 6,4 mm di diametro, per creare una concentrazione di tensioni e localizzare

quindi i danni subiti dal campione, i provini infine sono stati “invecchiati” per 10 giorni

a 25 °C prima di essere testati.

Prove effettuate:

1. Prove di trazione con una macchina MTS (Eden Prairie, MN, USA) da

100000N, servo-idraulica.

Capitolo 2

- 43 -

2. Prove di fatica con sollecitazioni di picco del 70, 60, 45, e 30% del loro carico

massimo di rottura, con rapporto di ciclo R = 0,15 e frequenza 3 Hz, per ridurre

il riscaldamento del campione.

Risultati delle prove a trazione: il Graf.2.17 mostra le curve sforzo-deformazione

delle prove di trazione sulla resina base e sulla resina nanomodificata: nessun effetto

significativo sul modulo elastico è stato osservato con l’aggiunta di CNT.

Graf.2.17 curve - per resine basi e nanorinforzate.

Questo è prevedibile in quanto la frazione di CNT nella resina è soltanto dell’1% in

peso. I valori massimi di tensione di rottura, tuttavia, si sono rivelati leggermente più

alti nei campioni di resina contenenti CNT rispetto i campioni con resina non

modificata. E’ stato dimostrato anche un aumento di tenacità, ovvero dell’energia di

deformazione a frattura, del materiale [18].

La Fig.5 riporta un ingrandimento della superficie di frattura di un campione in

composito CNT che fallì in una prova di trazione, l’immagine mostra piccoli fori e

nanotubi di carbonio sporgenti dalla matrice: questo può indicare che i nanotubi sono

stati anch’essi spezzati con la matrice.

Capitolo 2

- 44 -

Fig.2.3. Scansione micrografica della superficie di frattura di un composito in fibre di

vetro contenente CNTs.

Un singolo foro (freccia bianca) corrisponde a un nanotubo che è stato estratto dalla

resina: si crede che sia questo processo di estrazione e rottura di nanotubi a contribuire

maggiormente all’incremento della resistenza a frattura, e a fatica dei compositi con

CNTs [19].

Risultati delle prove a fatica: i dati della vita a fatica per i compositi [0°/90°]8 in

resina epossidica e fibre di vetro sono mostrati in Graf.2.18.

Un aumento significativo della vita a fatica per ogni condizione di carico è stato

osservato per i campioni con l’1% di CNT.

Alle alte sollecitazioni, nella matrice, si creano cricche ravvicinate che propagano

rapidamente su più fronti fino alla rottura del campione. A bassi livelli di stress, i danni

alla matrice sono limitati: con cicli continui si formano alcune cricche distanziate che

propagano lentamente fino alla schianto del provino.

Capitolo 2

- 45 -

Graf.2.18 Curve carico ciclico-N per compositi [0°/90°]8 base e nanorinforzati.

L'efficacia relativa dei CNT a basso e alto carico ciclico può essere così giustificata: ad

alti livelli di carico ciclico, la densità di energia di deformazione applicata è elevata e la

propagazione delle cricche avviene su più fronti. In tali condizioni gli ostacoli

(inclusioni o, in questo caso, CNT), non sono molto efficaci nel rallentare la

propagazione delle cricche, poiché ad alti livello di carico ciclico si hanno sollecitazioni

di elevata intensità agli apici delle cricche. A bassi livelli di carico, la propagazione

delle cricche è più lenta in alcuni fronti: questi possono essere rallentamenti efficaci, in

quanto una maggiore frazione di energia di deformazione deve essere dissipata per

superare gli ostacoli.

A bassi livelli di stress ciclici quindi, l’aggiunta di CNT è efficace nel migliorare la

resistenza a fatica rispetto ad alti livelli di carico ciclico. Inoltre, i compositi contenenti

nanotubi, sono caratterizzati da un grande numero di siti di nucleazione. Dato un livello

di energia di deformazione (una data ampiezza del carico ciclico), in un provino con

elevata densità di nanocricche, le cricche cresceranno più lentamente rispetto un provino

che presenta meno densità di cricche ma di dimensioni microcroscopiche (più grandi). Il

risultato è un aumento del numero di cicli richiesti per l'iniziazione e la propagazione

delle cricche, questo si traduce in un miglioramento della vita a fatica del materiale.

Capitolo 2

- 46 -

Isteresi: recentemente è stato dimostrato che il ciclo di isteresi rappresenta un

parametro premonitore della vita a fatica dei compositi [20]. Il Graf.2.19 mostra i dati di

isteresi (per ogni ciclo) di due campioni [0°/90°]8 rappresentativi, che sono stati

sollecitati con una tensione pari al 70% del carico di rottura del materiale, in funzione

del numero di cicli.

Graf.2.19. Cicli di isteresi-N per compositi [0°/90°]8 base e nanorinforzati.

Questi dati mostrano che, dopo una fase iniziale decrescente, del ciclo di isteresi, il

livello di isteresi rimane relativamente stabile fino ad aumentare rapidamente con la

rottura del provino. I compositi senza CNT mostrano un livello di isteresi complessivo

superiore al composito con CNT. Questo rappresenta un miglioramento della vita di

quasi il 60% con solo l’1% in peso di CNT nella matrice.

Capitolo 2

- 47 -

Conclusioni:

1. l'aggiunta dell’1% in peso di CNT nella matrice in resina epossidica e fibre di

vetro permette ai compositi di migliorare la loro resistenza a fatica del 60-250%,

a seconda del carico applicato.

2. Il livello di isteresi complessivo dei compositi in fibra di vetro nanomodificati, è

inferiore rispetto ai compositi non modificati.

3. Prove di trazione sulla resina rinforzata con CNT (senza fibre di vetro), non

hanno mostrato alcun effetto sul modulo elastico del materiale, tuttavia, c'è stato

un leggero aumento del carico di rottura.

4. Una ispezione sui campioni contenenti CNT hanno evidenziato che in queste

matrici, meccanismi di assorbimento di energia e una maggiore densità di siti di

nucleazione sono le cause che provocano un aumento della vita a fatica di questi

materiali. Quindi l'aggiunta di piccole frazioni di CNT nei compositi in fibra di

vetro può portare a un significativo aumento della durata a fatica di questi

materiali, rendendoli più utili in applicazioni che prevedono un affaticamento ad

alto numero di cicli.

Capitolo 3

- 49 -

Capitolo 3

Realizzazione dei provini

3.1 Introduzione

I laminati, o compositi trifasici sono materiali costituiti da una matrice, in genere

nanorinforzata e da fibre di varia natura, solitamente carbonio, vetro o kevlar. In questo

capitolo verrà descritto l’intero processo di realizzazione di laminiti fibrorinforzati

mediante la tecnica di infusione sottovuoto, con resina epossidica base o nanocaricata.

3.2 Attrezzature utilizzate

Miscelatore meccanico DISPERMAT TU (Vma-Getzmann)

Questo miscelatore è formato da una girante in acciaio inossidabile a 12 denti, collegata

ad un motore elettrico a elevata velocità. L’accensione e lo spegnimento sono regolati

da un unità esterna, con la quale è anche possibile regolare la velocità di rotazione della

girante. Il dispositivo è utilizzato per la miscelazione di fluidi, nello specifico è stato

utilizzato per rendere più omogeneo il composto formato da resina EC157, Nanopox

F400 e indurente.

Capitolo 3

- 50 -

Fig.3.1. Miscelatore meccanico DISPERMAT TU

Sonicatore UP 200S (Hielscher)

Fig.3.2. Sonicatore UP 200S

Il sonicatore ha lo scopo di far cavitare le bolle d’aria intrappolate nella resina durante

la miscelazione meccanica, di disgregare eventuali cluster che si sono formati e di

rendere più omogenea la dispersione del nanorinforzo all’interno della resina. Questo

Capitolo 3

- 51 -

strumento sfrutta gli ultrasuoni per generare onde di pressione all’interno del sistema

che espandono e comprimono il fluido; durante l’utilizzo del sonicatore è bene

allontanarsi, in quanto i rischi di queste onde sulla salute umana sono incerti e tutt’ora

argomento di studio per medici e centri di ricerca. I parametri che governano il processo

sono due: l’ampiezza d’onda e la durata di emissione (t) in un periodo (h), tale rapporto

viene definito duty cycle (dc).

tdc

h (3.1)

Questi due parametri influenzano unicamente la potenza di sonicazione, mentre la

frequenza è fissa e pari a 20 KHz.

Circuito per il vuoto

In figura Fig.3.3 e 3.4 è riportato il circuito dell’impianto per il vuoto presente nei

laboratori del DTG a Vicenza, utilizzato per eseguire il degasaggio e l’infusione di una

resina sottovuoto:

ARIA

COMPRESSA

V

1

2

3

4 5

6 7

8 9 10

11 12

13

14

Circuito del

vuoto

Circuito dell’aria

compressa

Circuito della

resina

A B

Fig.3.3. Schema dell’impianto del vuoto.

Capitolo 3

- 52 -

Fig. 3.4 Impianto del vuoto, laboratorio del DTG.

1. Pompa a vuoto, 2. Generatore aria compressa, 3. Pompa a vuoto di Venturi, 4.

Distributore di pressione a, 5. Distributore di pressione b, 6. Filtro di carta a, 7. Filtro di

carta b, 8. Tubo di aspirazione vaso A, 9. Tubo di aspirazione vaso B, 10. Tubo di

mandata del composto dal recipiente A a B, 11. Tubo di ritorno del composto dal

recipiente B ad A, 12. Tubo di colata, 13. Tubo di ritiro, 14. Collegamento tra aria

compressa e tubo di aspirazione (8).

Sui coperchi metallici dei vasi, mediante l’ausilio di un trapano, sono stati ricavati dei

fori calibrati, all’interno dei quali sono stati inseriti dei tubi trasparenti in LLPDE di

diametro leggermente superiore alla dimensione dei fori, in modo da garantire una

buona tenuta sfruttando semplicemente l’elasticità del materiale plastico del tubo; per

garantire una tenuta migliore, in corrispondenza di ogni foro, i canali sono stati fissati

con delle strisce di butilene: durante questa operazione occorre schiacciare con forza il

butilene sul tappo in modo da coprire bene eventuali fessure presenti.

Generalmente, il processo di infusione sotto vuoto richiede l’utilizzo di due vasi: il

primo (A) viene usato come contenitore di resina da infondere, il secondo (C) come

trappola di vuoto e come raccoglitore del primo fronte di resina infusa (ricca di bolle

d’aria) oltre che della resina in eccesso.

Capitolo 3

- 53 -

Nel caso si renda necessario effettuare prima una operazione di degassaggio della

resina, si aggiunge un terzo vaso B delle stesse dimensioni, tutti i collegamenti sono qui

riportati:

- In un foro del tappo che chiude il vaso A, contenente la resina da infondere è stato

inserito un tubo di piccola lunghezza (8), che viene spinto per circa 15 mm all’interno

del contenitore, l’altra estremità del tubo è collegata a un filtro per l’aspirazione

dell’aria (6). Il tubicino viene spinto poco all’interno del vaso per avere a disposizione

una maggior quantità di volume all’interno del recipiente, evitando che l’eventuale

formazione di schiuma durante l’operazione di degassaggio risalga e danneggi il

circuito, un ulteriore tubicino collega il vaso A al sacco (12) e permette l’infusione della

resina.

I canali rimanenti (10-11) sono collegati al vaso B, quest’ultimo collegamento è

necessario per effettuare il degassaggio della resina nanorinforzata: in questo caso

all’interno del vaso A, il tubo (10) tocca il fondo del contenitore mentre il tratto interno

il vaso B viene tagliato più corto in quanto la caduta del composto favorisce il collasso

delle bolle presenti all’interno della resina.

- Analogamente nel vaso B, un canale (9) collega il vaso di recupero a un altro filtro

dello stesso impianto mentre il secondo canale viene sigillato con un morsetto, i

rimanenti canali sono quelli usati per il travaso della resina dal vaso A al vaso B durante

l’operazione di degassaggio, in questo caso è necessario che il tubo di rientro della

resina (11) tocchi il fondo del recipiente B e arrivi solo a metà dello stesso per il motivo

descritto precedentemente.

-Il vaso C rappresenta la trappola di vuoto che viene utilizzata durante l’infusione per

raccogliere il primo fronte di resina ricco di bolle, e la resina in eccesso. Esso è

collegato da un lato al canale di uscita del sacco e dall’altro alla pompa. Per

salvaguardare il vaso C e poterlo riutilizzare diverse volte, viene posto al suo interno

una bottiglia di plastica priva di collo, all’interno della quale sarà raccolta la resina in

eccesso, in uscita dal sacco.

Nel caso in cui si utilizzi resina nanomodificata, l’operazione di degassaggio è

necessaria: si è visto infatti, che le fasi di mixing e sonicazione, tendono ad intrappolare

molta aria all’interno della resina, inoltre il nanorinforzo tende aumentare la viscosità

della resina e quindi si ha una maggior difficoltà a rimuovere l’aria intrappolata.

Andando a processare con cicli di vuoto spinto e pressione atmosferica la resina, tende a

generare un grosso quantitativo di schiuma che, rischierebbe di entrare nell’impianto.

Capitolo 3

- 54 -

3.3 Fasi del processo di infusione

Di seguito vengono descritte tutte le fasi che compongono il processo di infusione

sottovuoto per la realizzazione di laminati da cui sono stati ricavati i provini

successivamente testati .

3.3.1 Pulizia dello stampo

La prima operazione da eseguire è la pulizia della lastra di vetro usata come sotto-

stampo: a seguito del demoulding di laminati prodotti in precedenza infatti, possono

rimanere tracce di resina indurita sulla superficie del vetro, causate dal distacco del

laminato o da filamenti di resina insinuata attraverso le pieghe del sacco durante

l’infusione. Armati di taglierino quindi si va dapprima a rimuovere lo scotch che fa da

contorno allo stampo e poi si va a ripulire il sottostampo dalla resina indurita cercando

di ricreare una superficie perfettamente liscia.

3.3.2 Preparazione del semistampo inferiore

Sulla superficie della lastra a diretto contatto con i materiali stratificati, sono state

applicate alcune passate di cera per rendere più semplice la fase finale di demolding (il

distacco del laminato dal sotto stampo).

L’operazione di stesura viene fatta mediante l’ausilio di un panno, in modo da evitare

zone sguarnite, o concentrazioni eccessive di cera che potrebbero alterare la qualità

finale dell’infusione.

Capitolo 3

- 55 -

Fig.3.5. Stesura della cera.

Agl’angoli dello stampo vengono applicate delle strisce di butilene; bordi e spigoli del

vetro inoltre sono ricoperti con dello scotch carta per evitare che superfici in rilievo

danneggino il sacco di infusione durante la prova.

Fig.3.6. Posizionamento del butilene e dello scotch carta.

Capitolo 3

- 56 -

3.3.3 Taglio dei materiali

La stratificazione viene eseguita andando a sovrapporre diverse tipologie di materiali,

che necessitano di essere presenti per la realizzazione di un laminato.

- Flow-mat: è una retina di colore verde che facilita lo scorrimento della resina durante

l’infusione sottovoto. Questa solitamente viene tagliata della stessa dimensione del sotto

stampo in vetro e viene posta sull’ultimo tessuto che risulterebbe troppo aderente al

sacco, proprio per facilitare il drenaggio della resina durante l’infusione. Delle strisce di

flow-mat vengono applicate anche in corrispondenza dei canali di infusione per

facilitare la fuoriuscita della resina.

Fig.3.7. Rete flow-mat.

- Peel ply: è un tessuto che facilita l’operazione di demolding finale, in particolare per il

distacco del laminato da tutti gli altri materiali utilizzati nella stratificazione. Oltre a

facilitare il distacco, questo tessuto permette di verificare il corretto riempimento dello

stampo: se il peel ply si impregna completamente durante l’infusione questo è indice di

assenza d’aria all’interno del sacco e quindi di una buona infusione.

Capitolo 3

- 57 -

Fig.3.8. Peel-ply.

- UD in fibre di vetro uniderzionale: è “tessuto” di fibre di vetro unidirezionali tenute

insieme da filamenti di cotone. Solitamente questo tessuto viene tagliato in forme

rettangolari delle dimensioni desiderate mediante cesoie rivestite con vernice al titanio.

Il taglio è una operazione molto delicata, per non sfibrare il tessuto è necessario

mantenere le forbici diritte evitando di recidere le fibre trasversalmente.

Fig.3.9. UD in fibre di vetro.

Capitolo 3

- 58 -

-Sacco: è una semplice sacca che viene ricavata a partire da una bobina di nylon: è

importante prestare la massima attenzione durante l’operazione di taglio, il rischio è

quello di bucare il materiale rischiando di avare la formazione di bolle all’interno del

laminato durante l’infusione.

Il sacco viene chiuso alle estremità utilizzando del butilene, una gomma adesiva che

permette di ottenere un ottimo isolamento e un ottima tenuta.

Fig.3.10. Sacco di nylon.

3.3.4 Stratificazione

Tagliati tutti gli elementi necessari a realizzare il laminato, si passa alla loro

stratificazione: l’unica avvertenza è quella di disporre i vari strati prestando molta

attenzione a stenderli correttamente evitando la formazione di grinze e pieghe che

potrebbero compromettere i risultati dei test.

In genere la sequenza di sovrapposizione è la seguente: si applicano sopra lo stampo gli

N strati di tessuto in fibra vetro opportunamente orientati, lo strato di peel-ply e infine la

rete flow-mat.

Terminata la stratificazione del laminato, si vanno a realizzare i canali d’ ingresso e

d’uscita della resina: questi canali vengono creati fissando le estremità dei due tubi in

LLDPE a due spirali, opportunamente tagliate e rifinite per eliminare qualsiasi

Capitolo 3

- 59 -

superficie tagliente che possa forare il sacco durante l’infusione. Le due spirali in

genere vengono inserite tra due strisce di flow.mat (vedi Fig.3.11): questo accorgimento

facilita la fuoriuscita della resina.

Fig. 3.11. Immagine dello stampo pronto per essere inserito all’interno del sacco.

3.3.5 Preparazione del sacco

Il sacco viene ricavato a partire da una doppia pellicola di nylon avvolta in bobina, le

dimensioni devono essere tali da contenere l’intero sistema di stampo e tessuti. Prima di

inserire lo stampo è necessario controllare il pezzo in controluce per verificare che non

vi siano difettosità nel nylon. La prima operazione che viene eseguita è la sigillatura di

una delle due estremità del sacco, mediante del butilene: una gomma adesiva che ha il

pregio di poter essere modellata con facilità anche dopo essere stata applicata. La

chiusura dell’altra estremità del sacco dalla quale fuoriescono i canali di infusione

richiede particolare attenzione. Per favorire l’adesione i tubi in LLDPE vengono avvolti

con delle piccole strisce di butilene in prossimità dei punti di contatto con il sacco.

Durante questa operazione è necessario verificare che non vi siano grinze o pieghe nel

sacco che potrebbero compromettere il risultato finale con formazioni di bolle d’aria

all’interno del materiale, che obbligherebbero l’operatore a cestinare il laminato

ottenuto. La chiusura ermetica del sacco avviene partendo dal centro e facendo aderire

progressivamente la striscia di guarnizione adesiva fino al raggiungimento dei bordi

Capitolo 3

- 60 -

dello stesso involucro. Dapprima si fissa la guarnizione al sacco lasciando la carta

protettiva sulla superficie superiore, successivamente si rimuove la carta facendo aderire

tra loro le due superfici del sacco; pressando energicamente con i polpastrelli, lungo la

linea di giunzione si ottiene la perfetta aderenza tra le due pareti.

Fig.3.12. Stesura del butilene su un lato del sacco

Fig.3.13. Dettaglio sulla chiusura del sacco, lato canali.

Capitolo 3

- 61 -

Terminata la chiusura di entrambi i lati è buona norma ripassare le zone sigillate

esercitando un’ulteriore pressione lungo le strisce di butilene per favorire il contatto ed

evitare infiltrazioni di aria durante l’infusione. Il sacco è pronto e si presenta come in

Fig.3.14, pronto per essere collegato all’impianto.

Fig.3.14. Stampo pronto all’infusione.

3.3.6 Preparazione della resina

Nanopox F400

Il Nanopox F400 è un rinforzo composto al 60% da resina epossidica DGEBA

(Bisphenol A diglycidyl ether) e al 40% da nanoparticelle sferiche di silica (SiO2) con

un diametro nominale di 20 nm. Questo prodotto deve essere diluito nella resina base

fino a raggiungere la percentuale di nanocarica desiderata. Il Nanopox F400 è prodotto

dalla Evonik ed ha le seguenti proprietà (Tab.3.1).

Densità a 20°C 1.4 g/ml

Viscosità a 25°C 60000 mPas

Epoxy Equivalent Weight (EEW) 295 g/eq

Tab.3.1. Caratteristiche principali del Nanopox F400.

Capitolo 3

- 62 -

Resina base e indurente (Elantas EC157 e W152-LR)

La Elantas Camattini EC157 è una resina epossidica DGEBA che va miscelata al

relativo indurente W152-LR con un rapporto in peso di 100:30. Resina ed indurente

hanno le seguenti proprietà:

Proprietà Resina Indurente

Densità a 25°C 1.14-1.16 g/ml 0.93-0.97 g/ml

Viscosità a 25°C 500-600 mPas 20-40 mPas

Tab.3.2. Caratteristiche principali dell’Elantas EC157 e dell’Elantas W152-LR.

Il produttore del Nanopox F400 non fornisce alcun dato sul rapporto in peso tra

nanorinforzo e indurente (W152-LR). Questo problema è stato risolto in un precedente

lavoro di tesi [7]: sfruttando il concetto dell’Equivalent Epoxy Weight (EEW) è stato

realizzato un foglio di calcolo che permette di conoscere la quantità necessaria di

Nanopox F400 e di indurente W152-LR da utilizzare, inserendo come dati di input la

percentuale di nanocarica desiderata e la quantità di resina EC157 di cui si conosce

l’esatto rapporto di peso tra resina e indurente (100:30). Attraverso delle semplici

proporzioni, conoscendo la massa molecolare delle molecole epossidiche della resina e

il numero di gruppi epossidici in esse contenute si è stabilito che il rapporto in peso tra

Nanopox F400 ed indurente deve essere 100:17.5.

Mediante un semplice foglio di calcolo è stato possibile calcolare il peso delle diverse

sostanze, al variare della percentuale di nanocarica richiesta (3% nel nostro caso).

I laminati nanocaricati realizzati per questo lavoro, sono stati ottenuti utilizzando una

percentuale di nanoclay del 3% sul peso totale della miscela.

In questo paragrafo sarà descritta la procedura standard per realizzare una resina

epossidica base e nanocaricata; per ragioni di sicurezza ogni singola fase descritta in

questo sottocapitolo deve essere eseguita in ambiente protetto: all’interno di una camera

dotata di cappa aspirante per il filtraggio e l’espulsione di sostanze volatili nocive.

Capitolo 3

- 63 -

Trattando resine termoindurenti, resina e indurente sono forniti separatamene:

considerando che il rapporto in peso tra resina e indurente dev’essere 10:3, in un vaso

viene versata la quantità desiderata di resina EC157 e successivamente viene aggiunta

un’opportuna dose di sostanza indurente (W152-LR, nello specifico). Utilizzando un

cucchiaio in legno viene eseguita una rapida miscelazione manuale per circa 5 minuti in

modo da garantire una buona dispersione dell’indurente all’interno della resina e quindi

una reticolazione omogenea della stessa.

Esiste un tempo chiamato pot life (il tempo che intercorre da quando resina e indurente

vengono miscelati a quando il sistema non è più fluido), questo tempo varia a seconda

del tipo di resina, indurente e della temperatura: una volta eseguita la miscelazione è

necessario procedere velocemente alle fasi successive per evitare di compromettere

l’infusione.

Fig.3.15. Misura del quantitativo di resina usata per l’infusione.

Se la consegna è quella di realizzare un laminato nanocaricato è necessario aggiungere

all’interno della miscela la percentuale desiderata di Nanopox F400. Il nanorinforzo si

presenta come un composto gelatinoso, altamente viscoso, quindi solitamente viene

utilizzato un cucchiaio in plastica; il rapporto in peso tra Nanopox F400 ed indurente

deve essere 100:17.5, come spiegato nel paragrafo precedente.

Capitolo 3

- 64 -

Lo step successivo è la miscelazione della resina nanocaricata mediante l’utilizzo di un

mixer (Fig.3.16). Il vaso viene fissato alla morsa dello strumento e viene immersa la

girante: mediante un controllo visivo viene individuata la velocità ottimale di mixing,

ovvero il punto di instabilità tra laminare e turbolento, con l’obbiettivo di rendere il

composto il più omogeneo possibile. Le proprietà della resina infatti dipendono

fortemente dalla distribuzione delle nanoparticelle all’interno della stessa, è

fondamentale quindi favorire la loro dispersione mediante una miscelazione energica

che può durare anche diversi minuti, la resina dunque solitamente viene miscelata per

circa 5 minuti alla velocità di 1200 rpm.

Fig.3.16. Processo di miscelazione meccanica mediante mixer.

Anche la dimensione dei cluster (agglomerati di nanoparticelle) influenza notevolmente

le proprietà della resina epossidica, dunque è necessario effettuare una sonicazione (di

circa 15min), della sostanza nano rinforzata, per garantire una buona disgregazione di

questi agglomerati, limitando il rischio di avere sospensioni micrometriche che

potrebbero limitare il ricercato “nano-effect”.

Capitolo 3

- 65 -

La scelta dei parametri di processo per la sonicazione della resina nanorinforzata è

molto delicata, perché se il materiale viene sottoposto a tale processo per troppo tempo

si rischia di compromettere le proprietà della resina a causa dell’eccessivo calore che

tende a sviluppare.

L’esperienza insegna che i risultati migliori si ottengono per tempi di sonicazione di

circa 15 minuti, con una potenza di circa 200 W.

Prima di iniziare il degassaggio è doveroso testare la tenuta a vuoto del sacco e dei vasi

utilizzati.

La prova di tenuta a vuoto dei vasi consiste nel creare il vuoto al loro interno e

verificare dopo un tempo sufficientemente ampio che non ci siano state infiltrazioni

d’aria e quindi aumenti di pressione anomali: se si nota un movimento delle lancette del

manometro rispetto la loro posizione iniziale è bene controllare che non vi siano

eventuali perdite nei tappi in prossimità dei fori o delle filettature. Nello stesso modo

viene verificata anche la tenuta del sacco.

3.3.7 Processo di degassaggio

Fig.3.17. Degassaggio della resina.

Capitolo 3

- 66 -

Il processo di degassaggio consente di eliminare la maggior parte dell’aria intrappolata

nel composto, in modo da ridurre il rischio di formazione di bolle d’aria, all’interno del

laminato. Se si andasse a processare con cicli di vuoto spinto e pressione atmosferica

senza aver effettuato alcuna operazione di degassaggio, la resina, in particolare quella

nonomodificata, già nei primi cicli tenderebbe a produrre una schiuma che rischierebbe

di entrare all’interno del circuito, e rovinare la pompa a vuoto dell’impianto (altamente

costosa).

I processi di mixing e sonicazione tendono a intrappolare molta aria all’interno del

composto, l’aggiunta di nanofiller aumenta la viscosità della resina stessa e rende

difficile la rimozione dell’aria presente al suo interno: la presenza di eventuali bolle

d’aria nei provini genera cavità interne o superficiali che minano le proprietà di

resistenza degli stessi, falsando i risultati delle prove meccaniche.

Il degassaggio prevede cicli alterni di vuoto spinto, e pressurizzazione: creando il vuoto

all’interno del vaso contenete la resina, l’aria intrappolata nella stessa emergere

formando delle bolle; successivamente, pressurizzando, si favorisce il collasso delle

stesse.

Nel caso di resina base basta un’azione esterna: il vaso viene agitato meccanicamente

con le mani; diversamente, nel caso di resine nanomodificate, si genera una schiuma,

molto viscosa che non può essere eliminata mediante semplice agitazione meccanica,

quindi come descritto nel paragrafo precedente, in presenza di resina nanomodificata

per effettuare l’operazione di degassaggio viene utilizzata una soluzione a due vasi,

collegati tra loro da due tubicini in plastica.

In presenza di sola resina base, bastano pochi passaggi di resina per effettuare un

degassaggio completo, al contrario con resine nanomodificate, si rendono necessari

diversi cicli in quanto la schiuma risulta particolarmente viscosa e l’aumento di

pressione tende a schiacciare le bolle senza farle collassare. Realizzando un passaggio

di resina tra vasi diversi (due nel nostro caso) si ottiene un leggero rigonfiamento delle

bolle, ma cadendo sul fondo del vaso ricevente queste tendono a collassare.

Solitamente la pressione all’interno del vaso A che contiene la resina viene portata a

circa –0.8 bar, mentre nel vaso ricevente (B) abbiamo una condizione di vuoto spinto (

-1 bar) in modo da permettere il passaggio della resina da un vaso all’altro. Durante

Capitolo 3

- 67 -

l’operazione i canali collegati direttamente allo stampo, necessari per l’infusione,

vengono sigillati con dei morsetti.

In generale, quando la resina non genera più un’ eccessiva quantità di bolle, si può

ritenere concluso il processo di degassaggio e si può procedere con l’infusione della

resina priva di aria all’interno dello stampo.

3.3.8 Processo di infusione

Fig. 3.18 Apparato di infusione completo di collegamenti al sistema di vuoto.

Per il processo di infusione sotto vuoto vengono utilizzati tre vasi (A,B,C). Due (A,B),

sono collegati direttamente al pannello, e sono quelli usati nel processo di degassaggio,

il terzo (C), viene sfruttato come trappola di vuoto: essa ha la funzione di tenere la zona

del canale di uscita a vuoto spinto (-1bar), oltre che a raccogliere il primo fronte di

resina infusa che, essendo ricco di bolle d’aria, determinerebbe zone ricche di difetti se

dovesse rimanere all’interno del laminato.

Capitolo 3

- 68 -

I tre vasi sono così collegati:

- Vaso A (contenente la resina): un canale è collegato direttamente alla pompa, uno è

collegato al sacco, i due rimanenti sono collegati al vaso B e servono per il travaso della

resina durante il processo di degassaggio.

- Vaso B: un canale è collegato alla pompa dell’impianto, i due canali che rimangono

sono gli stessi precedentemente descritti e usati per il travaso della resina da A a B e

viceversa.

- Il vaso C: rappresenta la trappola ed è collegato da un lato al canale che esce dal sacco

e dall’altra alla pompa per il vuoto.

Per avviare l’infusione occorre creare una differenza di pressione (ΔP) tra il vaso A

contenente la resina e lo stampo: il sacco collegato direttamente alla trappola, si trova

alla pressione di -1bar. Allentando il morsetto che collega il canale di ingresso della

resina allo stampo, la resina inizia a scorrere lentamente tra i tessuti impaccati. Questo

avviene nel momento in cui si regola la pressione all’interno del vaso A, in modo da

ottenere una differenza di pressione ( ΔP ) di 0.2 bar.

Avviato il processo di infusione, l’operazione non può più essere interrotta. Durante la

prova può verificarsi un calo della velocità di avanzamento della resina legato alla

progressiva reticolazione che essa subisce. In questo caso è possibile variare la

pressione di iniezione aumentando quella all’interno del vaso di infusione e preservando

quella nella trappola.

Fig.3.19. Fronte di avanzamento della resina.

Capitolo 3

- 69 -

Visivamente si può riconoscere il fronte superiore di avanzamento della resina, che

impregna la rete flow-mat, e che risulta nettamente più scuro rispetto al sistema di

tessuti stratificati, le fibre tuttavia iniziano ad essere bagnate dal fronte inferiore.

L’avanzamento del fronte sottostante risulta ritardato e più lento in quanto le fibre

rappresentano un ostacolo al moto.

Quando il fronte di resina più interno raggiunge il canale di uscita dallo stampo, occorre

aspettare qualche minuto prima di terminare il processo: il tempo necessario per

permettere alla resina di bagnare completamente tutti i tessuti della stratificazione.

L’espulsione del primo fronte resina ( ricco di bolle d’aria ) verso la trappola di vuoto

permette di ottenere un laminato privo di porosità.

Un fattore che potrebbe rallentare notevolmente l’avanzamento del fronte è la

temperatura: se la resina subisse un aumento di temperatura, il processo di reticolazione

tenderebbe accelerare, portando ad un aumento della viscosità della resina.

Spesso appare utile chiudere momentaneamente il canale di uscita, tenendo comunque

aperto quello di ingresso, in modo da favorire l’omogeneizzazione della pressione

all’interno dello stampo e la spinta di eventuali bolle d’aria rimaste all’interno della

resina verso il canale di uscita così da poterle eliminare con la successiva riapertura del

canale. Quando si ritiene che la resina presente nel canale di uscita dello stampo sia

priva di bolle, il processo si può ritenere concluso: vengono chiusi prima il canale di

uscita e successivamente quello di ingresso utilizzando dei morsetti di plastica.

Fig.3.20. Laminato ottenuto dopo infusione.

Capitolo 3

- 70 -

3.3.9 Demoulding

Dopo l’infusione, occorre aspettare che la resina concluda la reticolazione: trascorsi 3

giorni dalla fine dell’infusione è possibile realizzare il demolding, ovvero la separazione

del laminato dal resto dei materiali che sono stati utilizzati nella realizzazione dello

stampo.

Fig.3.21. Distacco del sottostampo in vetro.

Dopo aver reciso i canali di infusione, contenenti ancora la resina indurita, e dopo aver

aperto il sacco di nylon, viene separata la lastra di vetro dal resto del materiale:

quest’operazione risulta facilitata se la cera è stata distribuita uniformemente sull’intera

superficie dello stampo. Il distacco della rete e del peel ply invece, deve essere eseguito

con più cautela: in particolare è bene non deformare il laminato con brusche

sollecitazioni a flessione o trazione che potrebbero compromettere l’integrità del

materiale e quindi i risultati delle prove sperimentali dei provini che saranno ricavati.

Capitolo 3

- 71 -

Fig.3.22. Rimozione dei peel-ply ed estrazione del laminato.

Capitolo 3

- 72 -

3.4 Realizzazione dei provini

Dai laminati realizzati, sono stati ricavati dei provini rettangolari secondo la normativa

ASTM 3479 che racchiude le direttive standard per testare il comportamento a fatica di

materiali compositi a matrice polimerica sottoposti a un carico ciclico di trazione ad

ampiezza costante.

La lunghezza dei provini non è vincolata, essa può variare in funzione del materiale,

ovviamente il campione deve essere sufficientemente lungo da permettere il

posizionamento dell’estensometro. Se il componente risulta troppo corto c’è il rischio

che la rottura del provino avvenga in prossimità delle zone di afferraggio e questo

potrebbe compromettere i risultati stessi della prova.

Fig.3.23. Provini secondo la normativa ASTM 3479.

Il taglio di questi materiali è un’ operazione delicata che dev’essere eseguita con

precisione e delicatezza da tecnici esperti in quanto, scegliere i parametri di lavoro

(velocità e carico applicato) ottimali permette di ridurre al minimo le alterazioni della

microstruttura in prossimità della zona di taglio che come vedremo costituirà una sede

preferenziale di innesco cricche.

Capitolo 3

- 73 -

Fig.3.24. Taglio dei laminati.

In genere il taglio dei laminati viene eseguito impostando una velocità di rotazione del

disco compresa tra i 50 e i 4000 giri/min e carichi limitati, in genere più il campione

risulta delicato più è necessario ridurre tali parametri. Le regole più importanti che

devono essere rispettate per eseguire una buona operazione di taglio sono l’ancoraggio

del pezzo che dev’essere fatto in modo ottimale, per evitare che si muova durante la

lavorazione, e l’orientazione del campione in modo che il taglio avvenga nella direzione

trasversale più piccola per ridurre vibrazioni indesiderate.

Fig.3.25. Levigatrice orbitale.

Capitolo 3

- 74 -

La lucidatura dei provini è stata eseguita mediante l’utilizzo di una levigatrice orbitale.

La macchina utilizzata è una MECAPOL P320 della PRESI, (Fig.3.25): l’operazione,

non richiede particolari competenze, e permette di ridurre fortemente i difetti

superficiali presenti sul bordo provino provocati dal taglio del materiale.

Questa operazione di levigatura è stata eseguita solamente sui fianchi dei provini per

limitare gli effetti di concentrazioni delle tensioni dovuti alla presenza di difetti, che

provocherebbero la nucleazione massiva di cricche in prossimità di zone ristrette del

campione, durante i test. La lavorazione è stata fatta utilizzando dischi abrasivi a

granulometria intermedia (P600/800) e utilizzando acqua come liquido-lubro-

refrigerante, per limitare la dispersione di polveri residue che avrebbero potuto

danneggiare la salute dell’operatore.

Dopo la lucidatura, i provini sono stati catalogati utilizzando dei pezzi di nastro carta

per evitare errori di assegnazione dati. Come obbliga la normativa e come è riportato

nell’immagine relativa, i provini in materiale composito testati a fatica, necessitano di

essere rinforzati in prossimità delle zone di afferraggio, per questo vengono applicati

utilizzando della colla a presa rapida pezzetti di vecchi laminati sagomati

opportunamente (“tabs”), che hanno la funzione di salvaguardare il provino durante i

test, che rischierebbe di rompersi a ridosso della zona di ancoraggio.

Fig.3.26. provini testati

Capitolo 3

- 75 -

3.5 Scelta dell’angolo di inclinazione

Nella realizzazione pratica di un laminato off-axis sollecitato a trazione, è facile

compiere errori di orientazione delle fibre durante il loro posizionamento. Attraverso

un’analisi preliminare, utilizzando il programma SACL, è stata individuata, al variare di

θ, l’inclinazione migliore delle fibre di vetro che permette di ridurre la variazione di

condizione di multiassialità anche se si commettono errori di pochi gradi durante il

processo di stratificazione manuale.

3.5.1 SACL

Utilizzando il programma SACL, realizzato dall’ Università di Padova, che implementa

la teoria della laminazione, note le proprietà delle lamine, nota l’orientazione θ delle

fibre delle diverse lamine e definiti i carichi, è possibile ottenere le tensioni e le

deformazioni che si hanno sulla superficie inferiore e superiore dei diversi strati.

Le figure riportate (Fig.3.27-2.28) sono immagini estratte dal programma e al loro

interno sono riportati tutti i dati riguardanti le singole lamine: la disposizione degli

strati, lo spessore delle lamine, il tipo di laminato e l’intensità delle forze in gioco (vedi

Tab.3.3).

Nello specifico è stato analizzato un laminato [0°,90°,+θ,-θ,]S.

LAMINATO PIANO SIMMETRICO

xF [N] 1w

[mm] 2w[mm] lamN

s[mm]

4 1 1 8 1

Tab.3.3.Dati relativi al laminato [0°,90°,+θ,-θ,]S.

Capitolo 3

- 76 -

Fig.3.27. SACL.

Fig.3.28. SACL.

Note le proprietà delle fibre, della matrice e della frazione volumetrica utilizzata

(Tab.3.4), mediante la MICROMECCANICA sono state ricavate le proprietà delle

singole lamine (Tab.3.5).

fE [MPa] f mE [MPa] m fV

72000 0.2 3400 0.37 0.51

Tab.3.4

Capitolo 3

- 77 -

1 (1 )f f m fE E V E V (3.2)

2(1 )

f m

f f m f

E EE

V E E V

(3.3)

12 (1 )f f m fV V (3.4)

12(1 )

f m

f f m f

G GG

V G G V

(3.5)

1E [MPa] 2E [MPa] 12 12G [MPa]

38386 9286 0.2833 3437

Tab.3.5

Dall’analisi effettuata sono state ricavate le tensioni L, T, LT, che rappresentano

rispettivamente la tensione 1 (in direzione longitudinale), 2 (in direzione trasversale) e

la LT, al variare dell’angolo di off-axis (θ).

Nella tabella seguente (Tab.3.6) sono riportati i valori delle tensioni al variare

dell’angolo θ lette sulle lamine θ. λ1 e λ12 sono due parametri utilizzati per plottare i

risultati nei grafici che seguono.

1T

L

(3.6)

12LT

T

(3.7)

Capitolo 3

- 78 -

LAMINA θ

θ[°] L [MPa] T [MPa] LT [MPa] 1 12

0 0.618512 0.018826 0 0.030438 0

10 0.616852 0.019499 0.022991 0.03161 1.179086

20 0.604595 0.024471 0.050171 0.040475 2.050223

25 0.588176 0.031132 0.06587 0.05293 2.115829

30 0.560169 0.042493 0.082376 0.075857 1.938578

40 0.459056 0.083511 0.111836 0.181919 1.339177

50 0.308638 0.144529 0.123048 0.46828 0.851372

60 0.159659 0.204962 0.108628 1.283748 0.529991

70 0.054434 0.247649 0.076936 4.549528 0.310665

80 0.01765 0.270446 0.039004 -153.227 0.144221

Tab.3.6. Tensioni calcolate dal programma sulle lamine θ.

Dall’osservazione dei grafici Graf.3.1 e 3.2 si evince che sulla superficie delle lamine a

θ la tensione L è nettamente più grande rispetto la tensione T, indipendentemente

dall’angolo di off-axis che sto considerando. Mentre, all’aumentare di θ, la tensione LT

aumenta fino a raggiungere un valore massimo per poi decrescere: osservando il grafico

Graf.3.2 si può notare che all’interno di una zona ristretta, in corrispondenza di un

angolo θ di 25° il parametro λ12 rimane pressoché costante. La scelta dunque è ricaduta

su un angolo off-axis di 25° in quanto se si commettessero errori di orientazione durante

il posizionamento delle fibre, il rapporto LT/T non varierebbe sensibilmente.

Capitolo 3

- 79 -

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

0 20 40 60 80 100

1

LAMINA a θ

Graf.3.1. Andamento di λ1 in funzione di θ.

LAMINA a

0

0.5

1

1.5

2

2.5

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

12

Graf.3.2. Andamento di λ12 in funzione di θ.

Il laminato simmetrico che è stato realizzato dunque, è il seguente: [0°,90°,+25°,-25°]S.

Dai test effettuati sulle singole lamine, sono state ricavate le proprietà del laminato: in

particolare sono state eseguite prove statiche di trazione che hanno permesso di

verificare che i valori reali di E1, E2, υ12 ipotizzati all’inizio dell’analisi, non si

discostano molto dai valori reali del materiale [8].

Capitolo 3

- 80 -

I dati dei risultati ottenuti sono riportati nella tabella seguente (Tab.3.7).

1E [MPa] 2E [MPa] 12 12G [MPa]

30371.40 10305.9 0.3014 3760

Tab.3.7. Proprietà del laminato ottenute sperimentalmente.

Di seguito è riportato il grafico di confronto del parametro λ12 relativo alle tensioni L e

T ricavate da SACL, inserendo come dati di input, le proprietà teoriche e sperimentali

del laminato.

LAMINA

0

0.5

1

1.5

2

2.5

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80

12

true

teoric

Graf.3.3. Confronto tra λ12 vera e teorica al variare di θ.

La curva vera, ricavata inserendo le proprietà dei test sperimentali eseguiti sulle singole

lamine a 0°, 90°, conferma il valore dell’angolo θ (25°) stimato inizialmente,

utilizzando le proprietà teoriche ipotizzate.

Per le prove a fatica effettuate, è stato necessario raddoppiare il numero di questi strati

[0°,902°,+252°,-252°]S per migliorare il contrasto cricca-sfondo delle immagini

acquisite. Come sarà spiegato nel capitolo 4 questa analisi servirà per chiarire come il

danneggiamento indotto dalla nascita e dalla propagazione delle cricche influenzi la

rigidezza del materiale.

Capitolo 3

- 81 -

Fig.3.29. Laminato [0°,902°,+θ2°,-θ2°]S.

Di seguito sono riportate le tabelle delle proprietà del materiale base e nanocaricato

ottenute dai risultati delle prove sperimentali eseguite sulle singole lamine a 0° e 90°

(Tab.3.7 e Tab.3.8).

1E [MPa] 2E [MPa] 12 12G [MPa]

30071 10305 0,3 4761

Tab.3.7. Proprietà del laminato caricato ottenute sperimentalmente.

1E [MPa] 2E [MPa] 12 12G [MPa]

30876 9488 0,306 3760

Tab.3.8. Proprietà del laminato base ottenute sperimentalmente.

Di seguito sono riportate le tabelle riassuntive delle tensioni L e T ricavate mediante

la teoria della laminazione utilizzando come dati di input, le proprietà sperimentali del

laminato simmetrico e considerando tutti gli strati raddoppiati (tranne quelli a 0°).

Capitolo 3

- 82 -

LAMINA θ base

θ[°] L [MPa] T [MPa] LT [MPa] 1 12

0 1,252257 0,036936 0 0,029495 0

10 1,250659 0,050386 0,06445 0,040288 1,279125

20 1,232462 0,06771 0,139842 0,054939 2,065308

25 1,205303 0,087625 0,183174 0,0727 2,090431

30 1,156856 0,119565 0,22889 0,103353 1,914356

40 0,972316 0,229584 0,312493 0,236121 1,361127

50 0,679734 0,391288 0,349002 0,575649 0,891931

60 0,37087 0,553422 0,31342 1,492226 0,566331

70 0,140727 0,669397 0,224744 4,756706 0,335741

80 0,13312 0,731549 0,114668 5,49541 0,156747

Tab.3.9. Tensioni calcolate dal programma SACL sulle lamine θ a partire dalle

proprietà sperimentali del materiale base.

LAMINA θ caricata

θ[°] L [MPa] T [MPa] LT [MPa] 1 12

0 0.618512 0.018826 0 0,037115 0

10 0.616852 0.019499 0.022991 0,041983 1,5815

20 0.604595 0.024471 0.050171 0,062828 2,294582

25 0.588176 0.031132 0.06587 0,085134 2,246132

Capitolo 3

- 83 -

30 0.560169 0.042493 0.082376 0,121094 2,033207

40 0.459056 0.083511 0.111836 0,265209 1,470999

50 0.308638 0.144529 0.123048 0,610618 0,994139

60 0.159659 0.204962 0.108628 1,503959 0,64698

70 0.054434 0.247649 0.076936 4,574299 0,389751

80 -0.001765 0.270446 0.039004 43,44282 0,183567

Tab.3.10. Tensioni calcolate dal programma SACL sulle lamine θ a partire dalle

proprietà sperimentali del materiale caricato.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

0 10 20 30 40 50 60 70 80

12

CONFRONTO

caricato

base

Graf.3.3. Confronto tra λ12 del materiale base e caricato al variare di θ.

Le curve vere, ottenute utilizzando le proprietà sperimentali di test eseguiti sulle singole

lamine a 0° e 90°, confermano il valore dell’angolo θ=25° stimato inizialmente,

utilizzando le proprietà teoriche e un lay-up dimezzato.

Quest’analisi dunque ha permesso di ricavare l’orientazione ottimale delle fibre a θ per

ridurre i disturbi legati a un non corretto posizionamento dell’UD, durante la

stratificazione.

Capitolo 4

- 85 -

Capitolo 4

Test e risultati

4.1 Introduzione

Nel presente capitolo è riportata la descrizione dei test a fatica eseguiti e una sintesi

dettagliata dei risultati ottenuti.

4.2 Attrezzature utilizzate

MTS Mini Bionix® 858

Fig.4.1 MTS Mini Bionix® 858.

Capitolo 4

- 86 -

La macchina utilizzata per eseguire le prove a fatica è quella presente all’interno del

laboratorio di Fatica Multiassiale, del DTG di Vicenza, ovvero la MTS Mini Bionix®

858 servoidraulica con capacità assiale massima di 25KN (Fig. 4.2.1).

Questa macchina consente di eseguire prove applicando carichi uniderzionali, nel nostro

caso i provini testati sono laminati simmetrici: l’uso di carichi monoassiali su provini

che presentano fibre con angoli di inclinazione diversi dalla direzione di applicazione

del carico provoca delle sollecitazioni multiassili negli strati “fuori asse” come

vedremo.

Panasonic LUMIX TZ5 10x e Videocamera digitale

Fig.4.2. Panasonic LUMIX TZ5. Fig.4.3. Videocamera digitale TC-9000.

La Panasonic LUMIX TZ5 10x è dotata di uno zoom ottico 10x, 28-280mm con

apertura f/3,3 – 4,9; ed è dotata di un sensore CCD da 9 megapixel che permette di

ottenere ingrandimenti di buona qualità. Sul lato destro della macchina una porta USB

permette di trasferire i file dalla macchina a pc.

La videocamera è dotata di porta usb e permette di salvare direttamente le immagini

raccolte su pc, in dotazione con la macchina il software di serie permette di giocare su

alcuni parametri delle immagini per migliorarne la qualità.

Capitolo 4

- 87 -

4.3 Prove a fatica

La frequenza di applicazione del carico è stata fissata sui 10Hz con un rapporto di ciclo

R=0,1 (R rappresenta il rapporto tra la tensione minima e massima applicata).

L’andamento del carico applicato può essere ricondotto a una sollecitazione alterna

simmetrica, dove la tensione applicata è assimilabile a una funzione sinusoidale. In

generale lo studio del comportamento a fatica dei materiali compositi necessita l’uso di

appropriate tecniche sperimentali che consentono il monitoraggio del danneggiamento

subito a seguito della formazione e propagazione della cricca.

Una delle tecniche più utilizzate è l’analisi microscopica di sezioni trasversali mediante

scansioni metallografiche, tale metodo però ha l’inconveniente di essere distruttivo

quindi se si ha la necessità di monitorare il danneggiamento nel tempo, limitando il

numero di provini analizzati, bisogna ricorrere ad altre tecniche. Tra i metodi non

distruttivi citiamo:

- gli ultrasuoni: l’applicazione nei compositi è in fase di sviluppo, grazie a questa

tecnologia è possibile stimare il numero di cricche presenti all’interno del

campione e la loro lunghezza.

- la termografia: l’energia meccanica del ciclo di isteresi, durante la prova viene

dissipata in calore, che provoca un riscaldamento del materiale;

sperimentalmente è possibile osservare che l’aumento di temperatura è correlato

al danneggiamento del provino, cioè le zone più calde sono quelle che

presentano il maggior numero di difetti.

- L’indagine visiva: sfrutta la trasparenza del materiale, e mediante semplici

dispositivi (videocamere o fotocamere digitali) monitora l’evoluzione del

danneggiamento di una zona definita del provino.

Per questo lavoro è stata eseguita una indagine visiva basata sull’utilizzo di una comune

fotocamera digitale: una Panasonic ZT5 con zoom ottico 10x e una videocamera

digitale professionale che ha permesso di automatizzare il processo di acquisizione. Per

riuscire a visualizzare le cricche ed effettuare una accurata analisi di cd e del loro stato

di avanzamento, è stato necessario restringere il campo d’azione dei dispositivi,

Capitolo 4

- 88 -

concentrando le foto su un area calibrata del campione, rappresentativa dell’intero

provino. Individuata la finestra di osservazione e sistemata la foto/videocamera è stato

necessario bloccare il dispositivo di acquisizione, successivamente è stata azionata la

macchina di trazione.

Come sarà menzionato successivamente e come si vedrà dalle immagini in archivio,

l’utilizzo della videocamera ha permesso da un lato di velocizzare le prove in quanto il

software in dotazione aveva la capacità di acquisire immagini in automatico a intervalli

di tempo regolari (a N cicli prefissati) a scapito però della qualità inferiore delle foto. Il

problema della scarsa qualità di queste immagini non è dipeso dalla limitata risoluzione

della videocamera o dall’insufficiente luminosità dell’ambiente ma dal fatto che

l’acquisizione è sempre avvenuta con il provino in movimento: non è stato possibile

mettere in relazione l’acquisitore con la macchina di prova in modo che il dispositivo si

fermasse per permettere lo scatto a fermo immagine, si è dovuti invece giocare sui

parametri digitali che il software permetteva di variare per migliorare i contrasti. Nelle

prime prove è stata utilizzata una lampada al neon per illuminare il retro provino in

seguito si è passati all’utilizzo di una lampada al led, che ha permesso, in parte, di

migliorare la nitidezza delle immagini scattate.

Nello specifico sono stati testati 10 provini, due dei quali sono stati scartati fin da subito

dall’analisi dei dati, in quanto dopo poche centinaia di cicli hanno subito una brusca

delaminazione che ha compromesso l’integrità del materiale stesso e quindi è stato

necessario buttare questi due campioni. Come accennato nel precedente capitolo ogni

campione è stato catalogato all’interno di una delle due macro categorie di partenza: i

provini con resina base sono stati classificati come provini MBn, (dove M sta per

laminati Multiassiali), mentre quelli caricati con MCn, n (compreso tra 2 e 5)

rappresenta in ordine temporale il numero del provino che è stato testato.

I carichi massimi applicati durante la prove, per entrambe le categorie sono stati i

seguenti: 80MPa, 84MPa, 94MPa e 103MPa, nella tabella sottostante (Tab.4.1) è

riportato per ogni codice di identificazione provino il range della corrispondente

tensione applicata e le relative caratteristiche dimensionali necessarie sia per il calcolo

della crack density e per la stima della rigidezza.

Capitolo 4

- 89 -

codice w [mm] s [mm] Smax[MPa] Smin[MPa]

m-b-02 22,52 3,66 84 8,4

m-b-03 22,5 3,69 103 10,3

m-b-04 22,59 3,72 94 9,4

m-b-05 22,66 3,68 80 8

m-c-02 24,39 3,65 94 9,4

m-c-03 24,57 3,78 84 8,4

m-c-04 24,26 3,64 80 8

m-c-05 24,99 3,72 103 10,3

Tab.4.1 Classificazione e dimensione dei provini e relativi carichi applicati

La grandezza “w” rappresenta la larghezza del provino, “s” è lo spessore, la lunghezza

del provino invece è variabile, comunque compresa tra i 200-250mm.

Fig.4.4. Provini testati.

Capitolo 4

- 90 -

4.4 Calcolo della cd per le cricche a 90°

Per il conteggio delle cricche a 90° a +25°, sono stati usati due diversi approcci. Nel

primo caso si è considerata l’intera area rettangolare del provino trascurando due

piccole zone posizionate all’estremità superiore e inferiore (a stretto contatto con il

bordo immagine) in quanto, molte delle foto che sono state scattate dalla videocamera

con il provino in movimento risultavano spostate di qualche millimetro.

Questa immagina riporta l’area di riferimento che è stata utilizzata per il conteggio delle

cricche a 90°.

Fig 4.5 Area di monitoraggio per le cricche a 90°.

Per facilitare l’osservazione dello stato di avanzamento delle cricche a 90° e la loro

classificazione, partendo da un lato del campione è stata realizzata una griglia composta

da 8 colonne: ogni colonna è esattamente il 12,5% della larghezza dell’intero provino,

quindi a intervalli di ciclo crescenti sono state visionate le foto relative ai cicli di

interesse e ciascuna cricca osservata è stata evidenziata con una elisse di colore diverso

in funzione della lunghezza misurata, nella tabella Tab.4.2 sono riportate le specifiche

adottate.

Capitolo 4

- 91 -

giallo arancio verde viola blu rosso bianco nero

0,125 0,25 0,375 0,5 0,625 0,75 0,875 1

Tab.4.2 Classificazione delle cricche a 90°

I valori numerici posti sotto i diversi colori, rappresentano il valore percentuale di

lunghezza di cricca: 0,125 è il 12,5% della larghezza del provino, 0,25 è il 25% … ecc.

L’immagine seguente, relativa al provino MB02 (con carico massimo di 84 MPa)

rappresenta un esempio di come è stata eseguita la classificazione delle cricche a 90°

dalle immagini acquisite: in questo caso si possono osservare diverse cricche con

lunghezza inferiore al 12,5% della larghezza totale del campione.

Fig.4.6. Provino MB02 (84MPa) a 260000 cicli.

La foto mostra come la maggior parte delle cricche tenda a nucleare lungo il bordo

provino. Questo fenomeno è stato riscontrato su tutti i provini analizzati.

Per ciascun provino testato lo studio del danneggiamento è stato riassunto all’interno di

una tabella che riporta per ogni “fascia” precedentemente descritta, in funzione del

numero di cicli, il numero totale di cricche (Tab.4.3).

Capitolo 4

- 92 -

MB02

N giallo arancio verde viola blu rosso bianco nero N°cracks

tot

0,125 0,25 0,375 0,5 0,625 0,75 0,875 1

1000 0 0 0 0 0 0 0 0 0

2000 2 0 0 0 0 0 0 0 2

3000 4 1 0 0 0 0 0 0 5

4000 8 1 0 0 0 0 0 0 9

5000 10 1 0 0 0 0 0 0 11

6000 12 1 1 0 0 0 0 0 14

7000 15 1 1 0 0 0 0 0 17

8000 15 1 1 0 0 0 0 0 17

9000 16 1 1 0 0 0 0 0 18

…..

Tab.4.3 Esempio di classificazione delle cricche a 90° per il provino MB02.

Nello step successivo sono stati calcolati 2 parametri: la crack density totale (cdTOT) e la

crack density pesata (cdW). La prima rappresenta il rapporto tra il numero di cricche

totali conteggiate all’interno dell’area di riferimento e la lunghezza della base maggiore

(4.1); mentre la cdW relativa all’ennesimo ciclo è la somma del numero totale di cricche

pesate per la rispettiva lunghezza, diviso una grandezza di riferimento rappresentata

sempre dalla base più lunga del rettangolo (4.2).

L

cracksNcd TOT

TOT (4.1)

L

lunghezzaNcrackscdW

% (4.2)

Come riportato In Fig.4.4 L è la lunghezza del lato maggiore del rettangolo considerato.

Nelle equazioni si sono utilizzati i valori reali delle lunghezze (in mm), quindi è stato

necessario, per ogni immagine ricorrere a delle proporzioni considerando come costante

Capitolo 4

- 93 -

di riferimento il rapporto tra la larghezza del provino misurata a pc il valore di w

misurato mediante l’utilizzo di un calibro a inizio prova.

Fig.4.7 Rappresentazione delle variabili.

Nella Tab.4.4 vengono riportati i primi valori di crack density relativi al provino MB02

calcolati per le cricche a 90°.

N N°cracksTOT cdTOT cdW

1000 0 0 0

2000 2 0,04821 0,00602

3000 5 0,12052 0,01808

4000 9 0,21634 0,03013

5000 11 0,26515 0,36157

6000 14 0,33747 0,05122

7000 17 0,40978 0,06026

8000 17 0,40978 0,06026

9000 18 0,45799 0,06930

…..

Tab.4.4 cdTOT e cdW in funzione di N per il provino MB02.

Capitolo 4

- 94 -

Queste tabelle sono state realizzate per ogni provino testato, nelle pagine successive

saranno inseriti solo i grafici riassuntivi delle analisi svolte.

I grafici che seguono riportano il valore di crack density totale in funzione del numero

di cicli per gli strati a 90°.

0

1

2

3

4

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 103MPa

base

nanocaricato

Graf.4.1 cdTOT-N a 103MPa per cicche a 90°.

0

1

2

3

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 94MPa

base

caricato

Graf.4.2 cdTOT-N a 94MPa per cicche a 90°.

Capitolo 4

- 95 -

0

1

2

3

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 84MPa

base

caricato

Graf.4.3 cdTOT-N a 84MPa per cicche a 90°.

0

1

2

0 400000 800000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 80 MPa

base

caricato

Graf.4.4 cdTOT-N a 80MPa per cicche a 90°.

Capitolo 4

- 96 -

Questi grafici mostrano come a parità di carico applicato il valore della crack density

totale relativa ai provini nanocaricati risulta generalmente più bassa rispetto al valore di

cdTOT dei provini realizzati con semplice resina base. Da questa prima analisi

sembrerebbe che la nanocarica limiti in qualche modo l’innesco di cricche a 90° rispetto

i campioni non modificati.

0

1

2

3

4

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 base

103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.5 cdTOT-N per provini base al variare dei carichi applicati.

0

1

2

3

4

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT 90 caricato 103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.6 cdTOT-N per provini nanocaricati al variare dei carichi applicati.

Capitolo 4

- 97 -

Sia per i provini caricati, sia per i provini realizzati con resina base i valori della crack

density diminuiscono al diminuire del carico applicato.

Di seguito saranno riportati i grafici della crack density pesata in funzione del numero

di cicli, relativi alle cricche a 90° per ogni provino testato.

0

0,5

1

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 103 MPa

base

caricato

Graf.4.7 cdW-N a 103MPa per cicche a 90°.

0

0,5

1

0 300000 600000 900000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 94 MPa

base

caricato

Graf.4.8 cdW-N a 94MPa per cicche a 90°.

Capitolo 4

- 98 -

0

0,5

1

0 300000 600000 900000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 84 MPa

base

caricato

Graf.4.9 cdW-N a 84MPa per cicche a 90°.

0

0,5

1

0 300000 600000 900000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 80 MPa

base

caricato

Graf.4.10 cdW-N a 80MPa per cicche a 90°.

Capitolo 4

- 99 -

Anche i grafici relativi alla crack density pesata evidenziano come i provini base

manifestino valori maggiori di cdW rispetto i provini nanomodificati, almeno per valori

elevati di N.

0

0,5

1

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 base

103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.11 cdW-N per i provini base al variare dei carichi applicati.

0

0,5

1

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 90 caricato 103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.12 cdW-N per i provini nanocaricati al variare dei carichi applicati.

Capitolo 4

- 100 -

4.5 Calcolo della crack density per le cricche a +25°

Per le cricche a +25° è stato necessario modificare l’area di osservazione e considerare

un parallelogramma che permettesse alla cricca durante l’avanzamento di non

fuoriuscire dalla geometria delineata (Fig.4.5).

Fig.4.8. Esempio dell’area di monitoraggio per le cricche a +25°.

Le cricche a +25° difficilmente propagano oltre il 12,5% di w (a·sen(25°)<w), quindi

per rendere più semplice la classificazione delle cricche, è stata considerata un area

centrale che è la proiezione dell’area del parallelogramma sopra rappresentato i cui lati

minori misurano L e la cui altezza è stata ricavata dalla seguente relazione h=Lsen(25°).

Anche le cricche a +25° cosi come le cricche a 90° tendono a nucleare maggiormente in

prossimità dei bordi, si è pensato quindi di suddividere le due colonne laterali in 6 parti,

in questo modo è stato più semplice osservare il loro stato di avanzamento e

classificarle.

Capitolo 4

- 101 -

La Tab 4.6 riporta i colori delle suddivisioni adottate e le rispettive lunghezze associate.

grigio ciano viole marrone bianco nero

0,0208 0,0416 0,0625 0,0833 0,1041 0,1250

Tab.4.6 Tabella di classificazione delle cricche a +25°

L’immagine seguente è relativa al provino MB03 (103 MPa) a circa 20000 cicli. Questa

immagine riportata solamente come esempio delle cricche a +25° nucleate lungo il

bordo: le cricche evidenziate con il colore ciano presentano una lunghezza percentuale

compresa tra il 2,08 e 4,16% della larghezza totale del provino.

Fig.4.9. Provino MB03 a 20000 cicli.

Per ciascun provino, lo studio effettuato è stato riassunto all’interno di tabelle che

riportano per ogni “fascia” precedentemente descritta, in funzione del numero di cicli, il

numero totale di cricche (Tab.4.7).

Capitolo 4

- 102 -

MB03

N grigio ciano viola marrone bianco nero N°cracks

tot

… 0 1 0 0 0 0 1

8004 0 1 0 0 0 0 1

8819 0 1 0 0 0 0 1

9853 2 3 0 0 0 0 5

20506 2 3 0 0 0 0 5

22040 3 3 0 0 0 0 6

23510 3 3 1 0 0 0 7

26584 4 3 1 0 0 0 8

…..

Tab.4.7 Classificazione delle cricche a +25° per il provino MB03.

In questo caso la crack density totale (cd25TOT) e la crack density pesata (cd25W) sono

state calcolate utilizzando le equazioni (4.3) e (4.4):

)25(25

senL

cracksNcd TOT

TOT (4.3)

)25(

%25

senL

lunghezzaNcrackscd W (4.4)

I grafici successivi riportano il valore della crack density totale in funzione del numero

di cicli per le cricche a +25°.

Capitolo 4

- 103 -

0

1

2

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 103 MPa

base

caricato

Graf.4.13 cdTOT-N a 103MPa per cicche a +25°.

per cricche a +25°.

0

1

2

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 94MPa

base

caricato

Graf.4.14 cdTOT-N a 94MPa per cicche a +25°.

Capitolo 4

- 104 -

0

0,5

1

1,5

2

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 84 MPa

base

caricato

Graf.4.15 cdTOT-N a 84MPa per cricche a +25°.

0

0,5

1

1,5

2

0 300000 600000 900000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 80 MPa

base

caricato

Graf.4.16 cdTOT-N a 80MPa per cricche a +25°.

Capitolo 4

- 105 -

0

1

2

3

4

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 base

103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.17 cdTOT-N per i provini base al variare dei carichi applicati.

-0,5

0,5

1,5

2,5

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdT

OT

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdTOT +25 base

103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.18 cdTOT-N per i provini nanocaricati al variare dei carichi applicati.

Capitolo 4

- 106 -

Sulla base di questi dati esiste una leggera differenza tra provini caricati e provini base

in termini di cdTOT, in generale i campioni nanocaricati tendono ad avere minori valori

ci crack density a parità di carico applicato, ovvero i provini nanorinforzati tendono a

manifestare una migliore capacità a contrastare l’insorgere e la diffusione di cricche

all’interno dei campioni.

La stessa cosa può essere riscontrata andando ad effettuare un confronto in termini di

crack density pesata.

0

0,125

0,25

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 103 MPa

base

caricato

Graf.4.19 cdW-N a 103MPa per cricche a +25°.

Capitolo 4

- 107 -

0

0,125

0,25

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 94 MPa

base

caricato

Graf.4.20 cdW-N a 94MPa per cricche a +25°.

0

0,125

0,25

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 84 MPa

base

caricato

Graf.4.21 cdW-N a 84MPa per cricche a +25°.

Capitolo 4

- 108 -

0

0,125

0,25

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 80 MPa

base

caricato

Graf.4.22 cdW-N a 80MPa per cricche a +25°.

I grafici Graf.4.23-4.24 mettono in relazione tra di loro i diversi valori di crack density,

in funzione del numero di cicli, al variare del carico, per i provini base (Graf.4.23) e per

i provini nanocaricati (Graf.4.24).

0

0,125

0,25

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 base

103MPa

94MPa

84MPa

80MPa

Graf.4.23 cdW-N per i provini base al variare dei carichi applicati.

Capitolo 4

- 109 -

0

0,1

0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000

cdW

[cra

ck/m

m]

nuber of cycles N

cdW 25 caricato

94MPa

84MPa

80MPa

103MPa

Graf.4.24 cdW-N per i provini nanocaricati al variare dei carichi applicati.

A causa della scarsa qualità delle immagini e a causa della spessa stratificazione dei

provini, non è stato possibile effettuare il conteggio delle cricche a -25°, e quindi non è

stato possibile stimare la crack density o effettuare altri tipi di analisi dei difetti degli

strati più interni del laminato simmetrico.

In conclusione si può dire che all’aumentare del carico massimo applicato, la crack

density aumenta; inoltre si può notare che nelle fasi iniziali la cd, in particolare quella

pesata relativa alle cricche a 90°, aumenta rapidamente per poi stabilizzarsi

all’aumentare del numero di cicli. A parità di max, la presenza di nanoclay all’interno

della matrice, riduce la cd: ci si aspetta quindi che la rigidezza di questi compositi

trifasici risulti più alta rispetto i laminati base; come vedremo però le rigidezze

registrate saranno pressochè le stesse sia per i materiali base sia per quelli nanocaricati.

Capitolo 4

- 110 -

4.6 Stima delle velocità di propagazione delle cricche

In questo paragrafo è riportata l’analisi effettuata per stimare la velocità di propagazione

delle cricche a 90°, sia nei provini base sia in quelli nanocaricati. Per la realizzazione di

questi diagrammi vengano considerate cricche distanziate tra loro perché la vicinanza

potrebbe comporta una variazione della condizione di carico a cui sono sottoposte.

Nello specifico sono state visionate 3 cricche per ogni provino testato. Quasi tutte le

cricche considerate per questa analisi sono state individuate partendo dall’osservazione delle

prime immagini: generalmente infatti le prime cricche che si formano lungo i bordi, sono quelle

adatte allo scopo.

A intervalli di ciclo crescenti (inizialmente ogni 1000 cicli e successivamente anche ogni 10000

cicli) sono state registrate le lunghezze delle rispettive cricche, in funzione del numero di cicli: i

valori riportati nella tabella Tab.4.8 sono le lunghezze di 3 cricche in mm relative al provino

MB03. Per una accurata analisi in questo caso si è dovuto ricalcolare le costanti di

proporzionalità (ricavate in funzione della larghezza w del provino, nota) per ogni immagine, in

quanto spesso il provino risultava deformato nelle foto di output e quindi dovendo calcolare

l’esatta lunghezza delle cricche mediante una riga millimetrata, è stato necessario adottare

questo accorgimento.

MB03

N a1 a2 a3 N-Ni

mm mm mm

624 0,2 0,3 0,7 0

1220 0,3 0,5 0,8 596

2314 0,7 1 1,2 1690

3008 1 1,1 1,4 2384

3722 1,1 1,3 1,5 3098

5261 1,4 1,5 1,8 4637

7323 1,5 1,5 2,1 6699

9853 1,6 1,6 2,4 9229

13422 1,8 1,8 2,7 12798

…..

Tab.4.8 tabella delle lunghezze di cricca per il provino MB03

Capitolo 4

- 111 -

Fig.4.10. Stato di avanzamento delle cricche nel provino MB03 a 2618 cicli.

Per ogni provino sono stati realizzati dei grafici che riportano i valori di lunghezza “a”

in funzione del numero di cicli N-Ni, dove Ni rappresenta il numero di cicli iniziale in

corrispondenza del quale la cricca si è formata. Da questi grafici sono state ricavate le

pendenze delle curve passanti per i punti ricavati, ovvero i coefficienti angolari delle

rette che interpolano questi punti, e che rappresentano le velocità di propagazione delle

diverse cricche.

Capitolo 4

- 112 -

y = 1,21E-04x + 5,14E-01

y = 1,03E-04x + 7,08E-01

y = 1,57E-04x + 9,05E-01

0

1

2

3

4

0 5000 10000 15000

a

N-Ni

MB03 103 MPa

a1

a2

a3

Graf.4.25. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MB03.

y = 1,43E-04x + 1,01E+00

y = 1,09E-04x + 5,47E-01

y = 7,39E-05x + 6,36E-01

0

1

2

3

4

5

0 5000 10000 15000 20000 25000

L

N-Ni

MB02 84MPa

a1

a2

a3

Graf.4.26. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MB04.

Capitolo 4

- 113 -

y = 8,847E-05x + 2,355E+00

y = 7,195E-06x + 8,782E-01

y = 6,974E-06x + 1,131E+00

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0 100000 200000 300000 400000 500000 600000

a

N-Ni

MB02 84MPa

a1

a2

a3

Graf.4.27. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MB02.

y = 0.475E-08x + 0.002E+00

y = 0.353E-08x + 0.002E+00

y = 0.757E-08x + 0.001E+00

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0 200000 400000 600000 800000 1000000

a

N-Ni

MB04 80MPa

a1

a2

a3

Graf.4.28. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MB04.

Capitolo 4

- 114 -

y = 3.953E-08x + 0.001E+00

y = 9.172E-08x + 0.003E+00

y = 2.024E-08x + 9.105E-04

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

0 20000 40000 60000 80000 100000

a

N-Ni

MC05 103MPa

a1

a2

a3

Graf.4.29. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MC05.

y = 0.907E-08x + 4.121E-04

y = 0.873E-08x + 7.020E-04

y = 2.255E-08x + 9.934E-04

0

1

2

3

4

0 20000 40000 60000 80000 100000 120000

a

N-Ni

MC02 94MPa

a1

a2

a3

Graf.4.30. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MC02.

Capitolo 4

- 115 -

y = 0.552E-08x + 0.001E+00

y = 1.637E-08x + 0.003E+00

y = 0.365E-08x + 0.002E+00

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

0 200000 400000 600000 800000 1000000

a

N-Ni

MC03 84MPa

a1

a2

a3

Graf.4.31. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MC03.

y = 5E-06x + 1,1676

y = 4E-06x + 0,7778

y = 4E-06x + 1,0856

0

1

2

3

4

5

6

7

0 300000 600000 900000 1200000

a

N-Ni

MC04 80MPa

a1

a2

a3

Graf.4.32. Velocità di propagazione delle cicche nel provino MC04.

Viene riportata la tabella riassuntiva (Tab.4.9) dei valori delle pendenze dell’interlinee

passanti per i dati raccolti relativi alle tre cricche di ogni provino: l’ultima colonna

riporta i valori medi delle velocità di avanzamento, ovvero la media dei coefficienti

Capitolo 4

- 116 -

angolari delle rette interpolatrici (le interpolazioni sono di tipo lineare, ipotesi valida se

si considerano le cricche sufficientemente piccole); tali valori saranno utilizzati per

ricavare le due funzioni velocità al variare del carico applicato.

v base vm base v caricato vm caricato

1 1,57E-04 9,17E-05

103MPa 2 1,21E-04 1,27E-04 3,95E-05 5,05E-05

3 1,03E-04 2,02E-05

1 1,43E-04 2,26E-05

94MPa 2 1,09E-04 1,08E-04 8,73E-06 1,35E-05

3 7,39E-05 9,07E-06

1 8,51E-05 1,64E-06

84MPa 2 6,61E-06 3,29E-05 5,52E-06 8,51E-06

3 6,91E-06 3,65E-06

1 7,57E-06 4,23E-06

80MPa 2 4,75E-06 5,28E-06 4,70E-06 4,42E-06

3 3,53E-06 4,35E-06

Tab.4.9. Tabella riassuntiva delle pendenze.

Di seguito è riportato il grafico che mostra come varia la velocità di propagazione della

cricca in funzione del carico applicato.

0,0E+00

2,0E-05

4,0E-05

6,0E-05

8,0E-05

1,0E-04

1,2E-04

1,4E-04

80 85 90 95 100 105

v[m

m/c

ycl

e]

[MPa]

v -

base

caricato

Graf.4.33 velocità di propagazione al variare del carico applicato

Capitolo 4

- 117 -

E’ possibile osservare che nei provini nanocaricati, la velocità di propagazione delle

cricche a 90° risulta inferiore a quella dei provini con resina base. In particolare questo

grafico mostra come tale differenza incrementi all’aumentare del carico applicato: con

sollecitazioni di 80MPa tale differenza è solo di pochi punti percentuale mentre a

103MPa è di quasi un ordine di grandezza.

Capitolo 4

- 118 -

4.7 Riduzione della rigidezza

La nascita dei difetti nella matrice di questi compositi porta a una riduzione della loro

rigidezza, in questi grafici saranno riportati i valori della rigidezza normalizzata rispetto

la E0 del materiale integro (misurata a 1000 cicli per semplicità). Circa a metà del

provino è stato montato un estensometro, uno strumento altamente sensibile che

consente di misurare le deformazioni locali della regione di interesse sulla quale è

montato.

Il software collegato all’estensometro salva all’interno di un file i valori della tensione

locale e della corrispondente deformazione, nello specifico memorizza 3 cicli reali ogni

mille cicli e mantiene separati questi dati all’interno della stessa cartella, in modo da

ottenere il valore “istantaneo” della rigidezza, sapendo che essa risulta essere la

pendenza della curva sforzo-deformazione. A intervalli di ciclo crescenti sono stati

calcolati i valori “istantanei” delle rigidezze inizialmente ogni mille cicli e

successivamente incrementando tale step.

Le prove effettuate sui provini MB02-03-04 per i quali è stata utilizzata una fotocamera

digitale manuale per l’analisi della crack density sono state interrotte ripetutamente

perché era necessaria la presenza sul posto di un operatore che potesse acquisire le

immagini.

Solitamente quando si interrompe una prova ma in particolare quando l’estensometro

viene smontato e rimontato dal provino, i dati che poi il software restituisce in termini

di deformazione mostrano discrepanze rispetto i valori raccolti prima dell’ultima

interruzione, anche se lo strumento viene posizionato sulla stessa area di osservazione.

Per questo motivo i grafici che riportano la diminuzione di rigidezza in funzione di N si

interrompono a valori non superiori a 300000 cicli. Vengono ora riportati i grafici di

confronto tra provini base e nanocaricati al variare del numero di cicli.

Capitolo 4

- 119 -

0

0,6

1,2

0 10000 20000 30000 40000 50000

Ex/E

x0

N

103MPa

caricato

base

Graf.4.34. Grafico EXnorm-N a 103 MPa.

0

0,6

1,2

0 50000 100000 150000 200000 250000

Ex/E

x0

N

94MPa

base

caricato

Graf.4.35 Grafico EXnorm-N a 94 MPa

Capitolo 4

- 120 -

0

0,6

1,2

0 50000 100000 150000

Ex/E

x0

N

84MPa

caricato

Graf.4.36 Grafico EXnorm-N a 84 MPa

Nel grafico Graf.4.36 viene riportata solo la curva relativa al provino nanocaricato

perché i valori di deformazione del campione base sono stati considerati non attendibili

a causa delle ripetute interruzioni della prova seguite da continui carichi/scarichi del

provino.

0

0,6

1,2

0 100000 200000 300000

Ex

/Ex

0

N

80MPa

caricato

base

Graf.4.37 Grafico EXnorm-N a 80 MPa

Capitolo 4

- 121 -

0,6

0,9

1,2

0 20000 40000 60000 80000 100000

Ex/E

x0

N

base

103MPa

94MPa

80MPa

Graf.4.38 Grafico EXnorm-N per i provini base al variare del carico applicato.

0,6

0,9

1,2

0 300000 600000 900000 1200000

Ex/E

x0

N

caricati

103MPa94MPa84MPa80MPa

Graf.4.39 Grafico EXnorm-N per i provini nanocaricati al variare del carico applicato.

Capitolo 4

- 122 -

Nelle prime fasi la rigidezza cala sensibilmente per poi raggiungere un plateau

orizzontale. Per quanto riportato nel precedente paragrafo sulla velocità di avanzamento

delle cricche, la presenza di nanocariche all’interno del laminato dovrebbe contrastare

l’avanzamento delle cricche, aiutando il materiale a conservare la sua rigidezza iniziale

(E0); in realtà da questi grafici si può osservare che i benefici sperati per effetto delle

nanoparticelle di silice sono limitati. Solo il confronto tra le curve di rigidezza del

campione base e caricato, con carico massimo 103MPa, mostrano una differenza

importante, degna di nota.

La cdW per le cricche a 90° è di un ordine di grandezza più grande rispetto la cd delle

cricche a +25° questo ci fa pensare che la rigidezza sia maggiormente influenzata dalla

cd delle cricche sulle strato a 90°. Se si osservano le curve cdW – N è possibile notare

che i dati relativi al materiale base e nanocaricato sono molti vicini tra loro tranne per il

caso del provino con carico massimo di 103 MPa, questo giustifica i risultati ottenuti in

termini di rigidezza.

Per accertare il beneficio delle nanoparticelle nel caso di tensioni massime elevate

sarebbe opportuno effettuare altre analisi utilizzando lo stesso carico.

Precedenti lavori hanno dimostrato che il comportamento a fatica di campioni con fibre

off-axis e angle-ply è fortemente influenzato dalla propagazione di cricche nella resina

della matrice [5]. Conclusioni simili sono state elaborate anche in un recente studio

dove si è dimostrato che i modi di cedimento erano fortemente legati al carico ciclico

applicato [6]. Inoltre è stato dimostrato che per questi compositi le modalità di rottura

sono sempre dominate dalla matrice.

Capitolo 5

- 123 -

Capitolo 5

Verifica del modello Shear Lag mediante

analisi FEM

5.1 Descrizione del modello Shear Lag

Sviluppato dall’Università di Padova, lo Shaer Lag è un modello per la stima delle

proprietà elastiche di laminati multi direzionali simmetrici, criccati.

Il modello media tensioni e deformazioni sul volume totale di ciascuna lamina e

permette di ottenere la matrice di rigidezza del laminato in funzione della crack density,

richiedendo come dati di imput solamente la geometria e le propietà elastiche delle

lamine.

Il modello proposto trova riscontro con i dati sperimentali e i risultati agli elementi finiti

presenti in letteratura. Il presente capitolo ha lo scopo di verificare mediante

modellazione FEM se il presente modello riproduce correttamente anche la

distribuzione delle tensioni all’interno del materiale sollecitato.

5.2 Cross ply criccato [0°,90°]s con cricche sullo strato a 0°

L’obbiettivo dello studio è quello di confrontare la distribuzione delle tensioni del

modello analitico Shear Lag con le tensioni ottenute dall’analisi FEM, al variare del

valore di crack density (cd), in due diverse condizioni di carico: TRAZIONE e

TAGLIO, al fine di decretarne l’accuratezza non solo per il calcolo dei moduli elastici

Ex e Gxy ma anche per la distribuzione delle tensioni tra due cricche all’interno del

laminato.

Capitolo 5

- 124 -

Mediante l’utilizzo di Ansys e’stato modellato un elementino di dimensioni lxhxw: una

cella unitaria rappresentativa del laminato criccato.

Fig.5.1 Laminato [0°,90°]s criccato.

La Larghezza (w) e la lunghezza (l) della lamina sono state definite in funzione del

parametro “cd”, che rappresenta la crack density ed è la sola variabile che deve essere

definita prima di ogni analisi. Le analisi al variare della crack density sono state

eseguite modificando il file parametrico del modello iniziale.

1

2l

cd (5.1)

w = l (5.2)

All’aumentare di cd diminuisce la lunghezza e la larghezza di cella e si riduce anche la

rigidezza strutturale del laminato sollecitato staticamente.

Nella modellazione FEM si è considerato un materiale con comportamento ortotropo

(cioè che presenta una simmetria di comportamento rispetto tre piani ortogonali tra

loro), e le proprietà definite sono quelle riportate in tabella Tab.5.1:

Capitolo 5

- 125 -

MATERIALE

Ex = Ez 40000 [MPa] PRxy = PRxz 0.2 [MPa] Gxy = Gxz 5000

Ey 10000 [MPa] PRyz 0.4 [MPa] Gyz 3571

Tab 5.1

L’ elemento usato per la modellazione delle lamine è l’elemento Solid 186 a 20 nodi

che presenta 3 gradi di libertà per ogni nodo.

Per realizzare il modello è stata dapprima creata la superficie inferiore della lamina

orientata a 90°: dopo aver definito i keypoints, le linee e l’area, è stata eseguita una

mesh regolare della regione.

La superficie meshata è stata utilizzata come base per la realizzazione del modello:

estrudendo per due volte l’area in direzione Z di una altezza h90 = h0 = 0.3 mm sono

state ricavate le due lamine [0°,90°]; per semplicità le analisi successive sono state

eseguite mantenendo inalterati tali parametri e le proprietà precedentemente definite

(Tab.5.1).

Fig5.2. Modello [0°,90°]s realizzato al FEM.

Capitolo 5

- 126 -

Per creare la diversa orientazione della lamina a 90° è stato necessario definire un

nuovo sistema di riferimento locale, ruotato di 90° attorno all’asse Z e tutti gli elementi

legati alla medesima area sono stati ruotati di un angolo retto mediante il comando

Move Modify.

Trazione

Nell’applicazione dei vincoli si è sfruttata la simmetria di cella: in corrispondenza del

piano di simmetria è stato applicato un vincolo (di simmetria) che garantisce

spostamenti nulli in direzione Z. L’applicazione dei vincoli e dei carichi è la parte più

delicata: il carico in questo caso è rappresentato da uno spostamento in direzione X

della lamina non criccata a 0°, sulle restanti aree del solido sono stati imposti gli

spostamenti “u” secondo il seguente schema, in modo da ottenere una sollecitazione di

pura trazione:

Fig.5.3 Carichi e vincoli a trazione.

La soluzione che si ottiene dall’analisi del modello è quella riportata in Fig.5.4

(l’immagine è riferita al modello con crack density 0.5).

Capitolo 5

- 127 -

Fig.5.4 Distribuzione delle tensioni in trazione.

Nei grafici Graf.5.1 e 5.2 vengono riportati i valori ottenuti analiticamente e dall’analisi

FEM di 1 e 2 al variare della crack density, partendo da un valore di cd pari a 0.1 fino

a un valore massimo di 1.2; in tutte le analisi effettuate l’altezza delle lamine è stata

considerata costante e pari a 0.3 mm.

Osservando i due grafici si può notare che all’aumentare della crack density, quindi al

diminuire di l e di w le tensioni 1 e 2 normalizzate rispetto la tensione globale x,

relative alla lamina a 90° tendono a stabilizzarsi verso un valore di tensione massimo

tanto più rapidamente quanto minore è la densità di cricche: all’aumentare di cd, tale

valore tende a diminuire.

Capitolo 5

- 128 -

-0.2

-0.15

-0.1

-0.05

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,3

cd 0,8

cd 1,2

Graf.5.1 Curve 1 normalizzate al variare di cd.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1x/l

2/

x

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1,2

Graf.5.2 Curve 2 normalizzate al variare di cd.

Tensione 1

Nei grafici seguenti, sono messe a confronto singolarmente le tensioni normalizzate

ricavate dall’analisi FEM, con le tensioni ottenute mediante il modello analitico Shear

Lag al variare del rapporto x/l, per diversi valori di crack density.

Capitolo 5

- 129 -

cd 0.2

-0.2

-0.1

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.3 1 normalizzata con cd 0.2.

cd 0.5

-0.2

-0.1

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.4. 1 normalizzata con cd 0.5.

Capitolo 5

- 130 -

cd 0.8

-0.2

-0.1

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.5. 1 normalizzata con cd 0.8.

cd 1

-0.2

-0.1

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.6. 1 normalizzata con cd 1.

I seguenti grafici (Graf.5.3-5.6) evidenziano che indipendentemente dal valore della

crack density, in vicinanza della cricca si concentrano gli errori più grandi. Con valori

limite di densità di cricca (cd=0.1) si hanno errori di natura numerica all’interno del

codice che implementa il modello analitico e che impediscono un confronto reale tra

tensioni FEM e tensioni ricavate analiticamente.

Capitolo 5

- 131 -

In Graf.5.7 sono riportate le curve dell’errore percentuale tra le tensioni 1 ricavate al

calcolatore e le tensioni 1 del modello analitico in funzione di x/l, per diversi valori di

crack density: i risultati migliori si hanno per valori intermedi di x/l. Vicino la cricca i

valori delle sigma ricavate analiticamente presentano errori del 45% circa,

probabilmente dovuti alla discretizzazione del modello FEM, mentre lontano dalla

cricca le tensioni del modello analitico non coincidono esattamente con le tensioni

ricavate al calcolatore e l’errore percentuale che si ha è circa del 30%

indipendentemente dal valore della crack density. Nel caso di un cross ply criccato

[0°,90°]S con cricca sullo strato a 90°, il modello Shear Lag non è particolarmente

indicato per determinare la distribuzione delle tensioni 1 all’interno del laminato.

cd 0.2 cd 0.5 cd 0.8 cd 1

x/l Errorw 1 [%] Errore 1 [%] Errore 1 [%] Errore 1 [%]

0.125 21.86 47.80 45.41 39.49

0.25 9.69 16.60 19.94 17.78

0.375 16.36 4.67 1.27 2.24

0.5 15.91 22.52 13.57 11.12

0.625 14.24 28.85 24.69 20.56

0.75 13.10 34.71 32.70 27.21

0.875 12.61 37.84 37.26 31.64

1 12.43 38.42 40.03 32.92

Tab.5.2.

Capitolo 5

- 132 -

0

15

30

45

60

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1

Err

ore

x/l

ERRORE % 1 cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1

Graf.5.7. Errore % di 1 tra FEM e modello analitico.

Tensione 2

Nei grafici che seguono è riportato il confronto tra le tensioni 2 ottenute analiticamente

e le stesse ricavate al calcolatore, mediante analisi FEM.

cd 0.2

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.8. 2 normalizzata con cd 0.2.

Capitolo 5

- 133 -

cd 0.5

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.9. 2 normalizzata con cd 0,5.

cd 0.8

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.10. 2 normalizzata con cd 0,8.

cd 1

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.11. 2 normalizzata con cd 1.

Capitolo 5

- 134 -

Il modello analitico in questo caso riproduce fedelmente l’andamento della tensione 2

dell’analisi FEM, di seguito è riportato il grafico (Graf.1.12) dell’errore percentuale tra

analisi FEM e modello analitico relativo alla medesima tensione al variare del rapporto

x/l e della cd.

cd 0.2 cd 0.5 cd 0.8 cd 1

x/l Errore 2 [%] Errore 2 [%] Errore 2 [%] Errore 2 [%]

0.125 7.36 1.59 10.91 21.91

0.25 1.99 6.35 2.96 0.28

0.375 0.32 5.26 6.19 5.99

0.5 1.05 5.45 6.59 6.70

0.625 0.88 1.22 6.40 7.80

0.75 0.59 0.21 4.96 8.88

0.875 0.38 0.93 4.50 7.20

1 0.30 1.15 0.44 7.74

Tab.5.3.

0

10

20

30

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Erro

re

x/l

ERRORE % 2cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1

Graf.5.12. Errore % di 2 tra FEM e modello analitico.

Capitolo 5

- 135 -

L’errore risulta inferiore al 10% indipendentemente dal valore della crack density che si

sta considerando, gli errori maggiori si concentrano nella zona di cricca caratterizzata da

piccoli valori di x/l, che rappresenta comunque l’area meno critica in quanto sollecitata

da tensioni più basse.

Nel grafico seguente è riportato il confronto tra il modulo elastico del modello Shear

Lag e il modulo elastico calcolato utilizzando le tensioni ottenute dalle diverse

simulazioni FEM effettuate. Sono riportati solamente i valori di Ex relativi a una densità

di cricche compresa tra 0.2 e 1, al di sotto di 0.2 le tensioni ricavate al calcolatore sono

segnate da errori di natura numerica che alterano i valori di Ex, tali valori dunque sono

stati esclusi dall’analisi).

cd Ex FEM [MPa] Ex analytic [MPa] Errore [%]

0.2 24353.68 24366.93 0.05

0.5 23306.35 23365.75 0.25

0.8 22415.26 22532.61 0.52

1 21981.23 22096.58 0.52

Tab.5.4.

21700

22400

23100

23800

24500

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Ex

cd

FEM

analytic

Graf.5.13. Modulo elastico Ex FEM e analytic al variare di cd.

Capitolo 5

- 136 -

0,00

0,50

1,00

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Err

ore

cd

ERRORE % Ex

Graf.5.14. Errore % di Ex tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Taglio

Lo stesso modello è stato analizzato anche nel caso di una sollecitazione di puro taglio,

come nel caso della trazione si è sfruttata la simmetria di cella: in corrispondenza del

piano di simmetria è stato applicato il vincolo di simmetria che garantisce spostamenti

nulli in direzione Z. Per ottenere una sollecitazione di puro taglio le diverse aree sono

state vincolate secondo lo schema riportato in Fig.5.5:

Fig.5.5. Carichi e vincoli a taglio.

Capitolo 5

- 137 -

Sulla parete A è stato bloccato lo spostamento in direzione Y, sulla parete B non

criccata è stato applicato un spostamento unitario in direzione Y (rappresenta il carico

utilizzato); mentre sulle pareti C e D è stato imposto il vincolo di uguale spostamento in

tutte le direzioni: X, Y, Z.

La distribuzione delle tensioni ottenuta è riportata in Fig.5.6:

Fig.5.6. Distribuzione delle tensioni a taglio.

Nel grafico Graf.5.14 sono riportati i valori normalizzati della 12 ottenuti dall’analisi

FEM al variare della crack density, partendo da un valore di cd di 0.1 fino a un valore

massimo di 1.2, per tutte le analisi effettuate l’altezza delle lamine è stata considerata

costante e pari a 0.3 mm rispettivamente per la lamina a 0° non criccata e la lamina

criccata a 90°.

Capitolo 5

- 138 -

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1

cd 1,2

Graf.5.14. 12 normalizzata al variare di cd.

Osservando i grafici si può dire che all’aumentare della crack density, quindi al

diminuire della lunghezza e della larghezza di cella la tensione 12 normalizzata rispetto

la tensione globale xy, relativa alla lamina a 90° tende a stabilizzarsi verso un valore di

tensione massimo tanto più rapidamente quanto minore è la densità di cricca, inoltre

all’aumentare della crack density, tale valore diminuisce.

Nei seguenti grafici sono riportate le curve delle tensioni 12 normalizzate, ricavate

dell’analisi FEM, e quelle ricavate dal modello analitico Share Lag al variare del

rapporto x/l, per diversi valori di crack density.

cd 0.5

0

0.5

1

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.15. 12 normalizzata al variare di cd.

Capitolo 5

- 139 -

cd 0.8

0

0.5

1

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1

2/

xy

analytic

FEM

Graf.5.16. 12 normalizzata al variare di cd.

cd 1

0

0.5

1

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/ x

y

analytic

FEM

Graf.5.17. 12 normalizzata al variare di cd.

cd 1.2

0

0.5

1

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.18. 12 normalizzata al variare di cd.

Capitolo 5

- 140 -

I seguenti grafici evidenziano che indipendentemente dal valore della crack density il

modello analitico riproduce abbastanza fedelmente l’andamento delle tensioni ricavate

al calcolatore, con cd inferiori a 0.5 si hanno errori di natura numerica che impediscono

un confronto reale tra le tensioni FEM e le tensioni ricavate analiticamente, per questo

non vengono considerate, in questa analisi.

Il grafico Graf.5.19 mostra la variazione dell’errore percentuale tra le tensioni 12

ricavate al calcolatore e le tensioni del modello analitico in funzione di x/l, per diversi

valori di crack density: i risultati migliori si hanno per valori intermedi di x/l

indipendentemente dalla cd. Nella zona di cricca i valori delle tensioni ricavate

presentano errori dell’ 80% circa, mentre lontano dalla cricca le tensioni del modello

analitico coincidono quasi perfettamente con le tensioni ricavate al calcolatore: per

rapporti di x/l maggiori di 0.8 l’errore percentuale che si ha risulta inferiore al 3%,

indipendentemente dal valore della crack density.

Nel calcolo dell'errore, le tensioni del modello analitico per valori intermedi di x/l non

coincidenti con quelli del FEM sono state calcolate per interpolazione lineare dei dati

disponibili.

cd 0.5 cd 0.8 cd 1 cd 1.2

x/l Errore 12 [%] Errore 12 [%] Errore 12 [%] Errore 12 [%]

0.125 48.90 41.41 48.03 80.50

0.25 24.27 14.19 9.53 21.37

0.375 14.72 6.07 0.99 14.41

0.5 0.71 2.90 4.96 7.15

0.625 6.37 1.64 3.53 5.67

0.75 4.19 1.19 3.85 3.63

0.875 0.69 0.86 4.11 3.37

Tab.5.5.

Capitolo 5

- 141 -

0

20

40

60

80

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Erro

re

x/l

ERRORE % 12 cd 0,5

cd 0,8

cd 1

cd 1,2

Graf.5.19. Errore % di 12 tra FEM e modello analitico.

In Graf.5.20 è riportato il confrontato tra modulo di elasticità tangenziale del modello

Shear Lag e il modulo di Young ricavato utilizzando le tensioni dalle diverse

simulazioni FEM effettuate. Sono riportati solamente i valori di Gxy relativi a crack

density comprese tra 0.5 e 1.2 poiché al di fuori di questo range ho errori numerici che

mi alterano la distribuzione delle tensioni e quindi i relativi Gxy.

cd Gxy FEM [MPa] Gxy analytic [MPa] Errore [%]

0.5 4416.39 4299.60 2.64

0.8 4123.481 3968.56 3.76

1.2 3803.454 3617.34 4.89

Tab.5.6.

Capitolo 5

- 142 -

0

2000

4000

6000

0,4 0,8 1,2

Gxy

cd

FEM

analytic

Graf.5.20. Modulo Gxy FEM e analytic al variare di cd.

0

1

2

3

4

5

0,4 0,6 0,8 1 1,2

Err

ore

cd

Errore % Gxy

Graf.5.21. Errore % di Gxy tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Capitolo 5

- 143 -

5.3 Cross ply criccato [0°/90°/0°1/2]S con cricche sullo strato a 0°

E’ stato modellata un’ unità di cella ripetitiva di larghezza w e lunghezza l che sono

state definite in funzione della crack density (1.1, 1.2), parametro che è necessario

definire all’inizio di ogni analisi. Le diverse analisi al variare di cd sono state eseguite a

partire dal file parametrico del primo modello definito.

All’aumentare della crack density si ha una diminuzione della lunghezza e della

larghezza di cella e la rigidezza del laminato sollecitato staticamente diminuisce

progressivamente.

Nella modellazione FEM si è considerato un materiale con comportamento ortotropo

(cioè che presenta una simmetria di comportamento rispetto tre piani ortogonali tra

loro), e le proprietà definite sono quelle utilizzate anche nel precedente modello (Tab

1.1).

L’elemento usato per la modellazione delle lamine è l’elemento Solid 186 a 20 nodi e

l’intero modello è stato creato a partire dalla realizzazione della superficie inferiore

della lamina a 0°: dopo aver definito i keypoints, le linee e l’area di tale elemento, è

stata eseguita una mesh mapped della superficie creata e tre estrusioni in direzione Z

rispettivamente di h90 = h0 = 0.3mm (h02 = 0.15mm).

La diversa orientazione della lamina a 90° è stato realizzata definendo un sistema di

riferimento locale ruotato di 90° attorno all’asse Z e tutti gli elementi legati alla

superficie di altezza h90 sono stati ruotati del medesimo angolo mediante il comando

Move Modify.

Capitolo 5

- 144 -

Fig.5.7 Modello [0°/90°/0°1/2]S realizzato al FEM

Trazione

Sfruttando la simmetria di cella in corrispondenza del piano condiviso è stato applicato

un vincolo di simmetria che garantisce spostamenti nulli in direzione Z, il carico è stato

definito imponendo uno spostamento unitario in direzione X, alle due lamine non

criccate 0° e 01/2° (parete B). Sulle restanti aree del solido sono stati imposti gli

spostamenti secondo lo schema riportato in Fig.5.8, in modo da ottenere una

sollecitazione di trazione pura.

Sulla parete A inoltre è stato imposto uno spostamento nullo in direzione X, mentre

sulla parete D sono stati bloccati gli spostamenti in direzione Y.

Infine sulla faccia C sono stati imposti spostamenti uniformi lungo Y.

Capitolo 5

- 145 -

Fig.5.8. Carichi e vincoli a trazione.

Dall’analisi del modello abbiamo ottenuto la soluzione riportata in Fig.5.9:

Fig.5.9. Distribuzione delle tensioni di trazione.

Di seguito vengono riportati i valori ottenuti analiticamente e al FEM di 1 e 2 al

variare della crack density (cd), le analisi sono state fatte considerando le altezze dei

laminati costanti e pari a 0.3 mm.

Capitolo 5

- 146 -

-0.15

-0.1

-0.05

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1x/l

1/

x

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1

cd 1,2

Graf.5.22.1 normalizzata al variare di cd.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,3

cd 0,8

cd 1

cd 1,2

Graf.5.23.2 normalizzata al variare di cd.

Osservando i grafici si può notare che all’aumentare del valore di crack density le

tensioni 1 normalizzate rispetto la tensione globale x, relative alla lamina a 90°

risultano negative e all’aumentare di x/l tendono a stabilizzarsi verso un valore di

tensione massimo che varia al variare della crack density e che aumenta all’aumentare

di cd. Le tensioni 2 normalizzate, relative alle stessa lamina, sono positive e tendono a

stabilizzarsi verso un valore di tensione massimo costante tanto più rapidamente quanto

più la densità di cicca del componente tende a diminuire, tale valore inoltre aumenta

riducendo la crack density.

Capitolo 5

- 147 -

Tensione 1

Nei grafici che seguono (Graf.5.24-5.29) sono messe a confrontano le tensioni

normalizzate dell’analisi FEM, con le tensioni ottenute attraverso il modello analitico al

variare del rapporto x/l, per diversi valori di crack density.

cd 0.1

-0.15

-0.1

-0.05

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.24.1 normalizzata con cd 0.1.

cd 0.2

-0.15

-0.1

-0.05

0

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.25.1 normalizzata con cd 0.1.

Capitolo 5

- 148 -

cd 0.5

-0.12

-0.07

-0.02

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.26.1 normalizzata con cd 0.5.

cd 0.8

-0.12

-0.07

-0.02

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.27.1 normalizzata con cd 0.8.

Capitolo 5

- 149 -

cd 1

-0.12

-0.07

-0.02

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.28.1 normalizzata con cd 1.

cd 1.2

-0.12

-0.07

-0.02

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

1/

x

analytic

FEM

Graf.5.29.1 normalizzata con cd 1.2.

I seguenti grafici evidenziano che all’aumentare della crack density indipendentemente

dal rapporto x/l le due curve risultano sempre più divergenti: nello specifico il modello

analitico share Lag riproduce correttamente l’andamento della tensione 1 se si

considerano piccoli valori di cd. Con valori di crack density maggiori di 0.2

indipendentemente dalla distanza che sto considerando dall’apice della cricca, si ha un

errore percentuale molto alto.

Di seguito è riportato il grafico che evidenzia la variazione dell’errore percentuale tra le

tensioni 1 normalizzate, ottenute al FEM e le tensioni 1 del modello analitico in

funzione di x/l, per diversi valori di crack density: come accennato precedentemente per

Capitolo 5

- 150 -

contenere l’errore al di sotto del 20% la cd non deve essere superiore a 0.2, per valori

maggiori le curve del modello analitico divergono pesantemente con errori percentuale

che possono superare il 50%.

Cd 0.1 cd 0.2 cd 0.5 cd 0.8 cd 1 cd 1.2

x/l E 1 [%] E 1 [%] E 1 [%] E 1 [%] E 1 [%] E 1 [%]

0.125 25.32 26.57 33.39 44.08 50.31 55.73

0.25 10.74 21.17 41.90 54.25 59.90 64.47

0.375 8.24 17.11 41.47 56.57 62.72 68.09

0.5 7.46 14.88 39.87 55.71 63.32 68.84

0.625 7.08 13.86 35.65 53.74 62.13 68.58

0.75 6.86 13.35 33.72 51.99 60.77 67.84

0.875 6.74 13.12 32.64 50.77 60.11 67.38

Tab.5.7.

0

20

40

60

80

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Err

ore

x/l

ERRORE % 1cd 0.2

cd 0.5

cd 0.8

cd 1

cd 1.2

cd 0.1

Graf.5.30. Errore % di 1 tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Capitolo 5

- 151 -

Tensione 2

I grafici che seguono riportano il confronto tra le tensioni 2 ottenute analiticamente e le

stesse ricavate al calcolatore normalizzate rispetto la tensione x globale.

cd 0.1

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x analytic

FEM

Graf.5.31.2 normalizzata con cd 0.1.

cd 0.2

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.32.2 normalizzata con cd 0.2.

Capitolo 5

- 152 -

cd 0.5

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.33.2 normalizzata con cd 0.5.

cd 0.8

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.34.2 normalizzata con cd 0.8.

cd 1

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.35.2 normalizzata con cd 1.

Capitolo 5

- 153 -

cd 1.2

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

2/

x

analytic

FEM

Graf.5.36.2 normalizzata con cd 1.2.

Il modello analitico in questo caso riproduce correttamente l’andamento della tensione

2 ottenuta dall’analisi FEM indipendentemente dal valore di cd; di seguito viene

riportato il grafico dell’errore percentuale tra le tensioni del modello analitico e del

FEM al variare di x/l.

cd 0.1 cd 0.2 cd 0.5 r cd 0.8 cd 1 cd 1.2

x/l Errore 2

[%]

Errore 2

[%]

Errore 2

[%]

Errore 2

[%]

Errore 2

[%]

Errore 2

[%]

0.125 6.46 2.75 6.38 15.78 25.86 35.14

0.25 0.37 1.20 3.09 6.42 8.02 7.91

0.375 0.02 0.63 2.44 4.12 4.69 7.82

0.5 0.09 0.33 6.84 3.49 5.15 4.85

0.625 0.11 0.15 1.72 2.77 3.95 1.55

0.75 0.11 0.06 1.53 3.20 2.88 1.84

0.875 0.11 0.02 1.42 3.14 4.21 2.57

Tab.5.8.

Capitolo 5

- 154 -

0

10

20

30

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Err

ore

x/l

ERRORE % 2 cd 0.2

cd 0.5

cd 0.8

cd 1

cd 1.2

cd 0.1

Graf.5.37. Errore % di 2 tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Se si considerano rapporti x/l sufficientemente grandi (maggiori di 0.2) l’errore

percentuale risulta inferiore al 10% indipendentemente dal valore della crack density,

vicino la cricca i valori di tensione del modello risultano sporcati e si possono avere

errori fino al 25% (Graf.5.37).

In Graf.5.38 è riportato il confronto tra modulo elastico Ex del modello Shear Lag e il

modulo elastico calcolato utilizzando le tensioni ottenute delle diverse simulazioni FEM

effettuate. Sono riportati i valori di Ex dell’intero campo di crack density considerato.

cd Ex FEM [MPa] Ex analytic [MPa] Errore [%]

0.2 28006.05 27935.10 0.25

0.5 27858.33 27777.10 0.29

0.8 27412.92 27308.60 0.38

1 26971.94 26861.60 0.41

Tab.5.9.

Capitolo 5

- 155 -

20000

22000

24000

26000

28000

30000

0 0,3 0,6 0,9 1,2

Ex

cd

MODULO ELASTICO EX

FEM

analytic

Graf.5.38. Confronto di x tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Il modello analitico permette di stimare il modulo di elasticità tangenziale con un errore

sotto il 4% (se si considerano valori di cd inferiori a 1), nel caso di un laminato criccato

[0/90/01/2]S. All’aumentare della crack density si ha un aumento dell’errore percentuale,

anche visivamente in Graf.5.47 è possibile osservare che la curva del modulo elastico

tangenziale ricavata attraverso il modello analitico tende divergere dalla curva Gxy

ricavata con le tensioni normalizzate del FEM all’aumentare di cd.

0,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0 0,3 0,6 0,9 1,2

Erro

re

cd

ERRORE % EX

Graf.5.39. Errore % di x tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Capitolo 5

- 156 -

Attraverso il modello Shear Lag è possibile calcolare il modulo elastico Ex di un

laminato [0/90/01/2]S con cricca sulla lamina a 90° con un errore inferiore all’1%

indipendentemente della crack density che si considera.

Taglio

La stessa porzione di laminato [0/90/01/2]S è stata analizzata anche nel caso di una

sollecitazione di puro taglio, anche in questo caso è stata sfruttata la simmetria di cella:

come nel precedente modello in corrispondenza del piano condiviso è stato applicato un

vincolo di simmetria che garantisce spostamenti nulli in direzione Z. Per ottenere una

sollecitazione di puro taglio le aree del modello sono state vincolate secondo lo schema

riportato in Fig 1.10.

Fig5.10. Carichi e vincoli a taglio.

Lungo la parete A sono stati bloccati gli spostamenti uy e ux, in C e D è stato imposto

un vincolo di periodicità tra le due pareti: nelle direzioni X,Y,Z gli spostamenti sono

stati imposti uguali tra loro.

Dopo aver risolto il modello se si va analizzare la distribuzione della tensione xy, si

ottiene la soluzione riportata in Fig 1.11.

Capitolo 5

- 157 -

Fig.5.11. Distribuzione delle tensioni a taglio.

Di seguito vengono riportati i valori della 12 normalizzata al variare della crack density

ottenute dall’analisi FEM, partendo da un valore di cd pari a 0.1 fino a un valore

massimo di 1.2, l’altezza delle lamine è stata considerata costante e pari a 0.3 mm sia

per le lamine a 0° sia per la lamina criccata a 90°.

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

cd 0,1

cd 0,2

cd 0,5

cd 0,8

cd 1

cd 1,2

Graf.5.40.12 normalizzata al variare di cd.

In Graf.5.40 si può notare che all’aumentare della crack density, l’andamento della

tensione 12 normalizzata rispetto la tensione globale xy, relativa alla lamina criccata a

Capitolo 5

- 158 -

90° tende a stabilizzarsi verso un valore di tensione massimo più velocemente al

diminuire di cd, è possibile vedere inoltre che tale valore aumenta più la crack density

risulta piccola.

Di seguito sono riportati i grafici dove le tensioni 12 normalizzate, ricavate dell’analisi

FEM, sono confrontate con le tensioni ottenute mediante il modello analitico Shear Lag

al variare del rapporto x/l, per diversi valori di crack density.

cd 0.2

0

0.5

1

1.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.41.12 normalizzata con cd 0.2.

cd 0.5

0

0.5

1

1.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.42.12 normalizzata con cd 0.5.

Capitolo 5

- 159 -

cd 0.8

0

0.5

1

1.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.43.12 normalizzata con cd 0.8.

cd 1

0

0.5

1

1.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.44.12 normalizzata con cd 1.

cd 1.2

0

0.5

1

1.5

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x/l

12/

xy

analytic

FEM

Graf.5.45.12 normalizzata con cd 1.2.

Capitolo 5

- 160 -

Il grafico successivo (Graf.5.46) mostra la variazione dell’errore percentuale tra le

tensioni 12 ricavate al calcolatore e le tensioni del modello analitico in funzione di x/l,

per diversi valori di crack density ed evidenzia come per valori contenuti di crack

density (inferiori a 0.2) il modello analitico riproduce fedelmente l’andamento della

tensione ricavata al calcolatore: l’errore infatti risulta inferiore al 3% con valori di x/l

maggiori di 0.25. Con cd inferiori a 0.2 si hanno delle imprecisioni di natura numerica

che impediscono un confronto reale tra le due tensione mentre con cd superiori a 0.5

soprattutto vicino la zona criccata si hanno errori in percentuale molto grandi mentre se

si considerano rapporti di x/l maggiori di 0.5 l’errore che il modello analitico ammette

scende sotto il 10%.

cd 0.2 cd 0.5 cd 0.8 cd 1 cd 1.2

x/l Errore 12 [%] Errore 12 [%] Errore 12 [%] Errore 12 [%] Errore 12 [%]

0.125 10.47 47.59 61.17 85.95 109.31

0.25 2.20 21.52 26.59 34.16 39.07

0.375 0.62 11.78 14.63 20.17 28.79

0.5 0.18 7.11 9.31 10.72 18.65

0.625 0.05 4.47 6.75 10.56 15.79

0.75 0.01 2.92 5.45 8.97 12.68

0.875 0.00 1.97 4.72 8.07 12.03

Tab.5.10.

Capitolo 5

- 161 -

0

30

60

90

120

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Err

ore

x/l

ERRORE % 12

cd 0.5

cd 0.8

cd 1

cd 1.2

cd 0.2

Graf.5.46. Errore % di 12 tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Considerando sempre una sollecitazione di puro taglio il grafico che segue riporta il

confrontato tra modulo Gxy ricavato attraverso il modello Shear Lag e il modulo

elastico tangenziale ricavato utilizzando le tensioni ottenute dall’analisi FEM. In

Graf.5.47 sono riportati solamente i valori di Gxy relativi a cracks density comprese tra

0.5 e 1.2 poiché al di fuori di questo range si hanno errori numerici che impediscono un

confronto tra tensioni e quindi tra Gxy.

cd Gxy FEM [MPa] Gxy analytic [MPa] Errore [%]

0.2 4890.83 4924.81 0.69

0.5 4730.48 4816.21 1.81

0.8 4577.23 4713.41 2.98

1 4480.35 4649.32 3.77

1.2 4388.30 4589.53 4.59

Tab.5.11.

Capitolo 5

- 162 -

2000

4000

6000

8000

10000

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2

Gxy

cd

FEM

analytic

Graf.5.47. Confronto di Gxy tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Il modello analitico permette di stimare il modulo di elasticità tangenziale con un errore

sotto il 4% (se si considerano valori di cd inferiori a 1), nel caso di un laminato criccato

[0/90/01/2]S. All’aumentare della crack density si ha un aumento dell’errore percentuale,

anche visivamente in Graf.5.47 è possibile osservare che la curva del modulo elastico

tangenziale ricavata attraverso il modello analitico tende divergere dalla curva Gxy

ricavata con le tensioni normalizzate del FEM all’aumentare di cd.

0

2

4

6

0 0,3 0,6 0,9 1,2

Err

ore

cd

ERRORE % Gxy

Graf.5.48. Errore % di Gxy tra FEM e modello analitico al variare di cd.

Riferimenti

- 163 -

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