Amoris Laetitia Sabato, 23 aprile 2016 Incandescenza dell ......Davvero grandioso è l’affresco...

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11 Sabato, 23 aprile 2016 Amoris Laetitia I l barometro ecclesiastico segna incerto, come il prossimo ponte del 25 aprile. Man mano che ci si addentra nella Amoris laetitia (AL), è impossibile non restarne contagiati. Davvero grandioso è l’affresco dell’amore matrimoniale dipinto da Francesco. Il linguaggio è disarmante per semplicità e concretezza. Chiunque lo può leggere. I contenuti trasudano dello splendore del Vangelo e della sapienza millenaria della Chiesa. Conquista soprattutto il cambio di prospettiva: non più la casistica dei peccati, la fredda geometria del lecito e dell’illecito, la perimetrazione del minimo indispensabile, ma gli orizzonti vasti e le sconfinate praterie dell’amore. Amore che non è scossa emotiva o brivido erotico – come la povertà della cultura contemporanea degli affetti tende a rimpicciolirlo – ma l’incandescenza dell’amore di Cristo (cantato da Paolo nell’Inno alla carità) che attrae a sé, redime e performa tutti gli amori umani: elevandoli ad essere suoi “segni”. Allora anche la fragilità dell’amore di un uomo e di una donna diventa scrigno di perla preziosa, tabernacolo della scintilla divina, conchiglia dove risuona l’eco infinito del mare. Persino la “piccola morte” (così i sessuologi chiamano la pausa refrattaria che consegue all’orgasmo) ne esce redenta, e anche la scossa emotiva e il brivido erotico assurgono a linguaggio tenero e intenso dell’amore. La Chiesa, in tema di amore e matrimonio, ha un vangelo immenso da annunciare al mondo. Lo spettro luminoso dell’amore disegnato da Francesco è vertiginoso e inclusivo: Cristo ne è il compimento unico e assoluto, ma poi i “semi del Verbo” si spargono nel campo immenso dell’umanità. Lì la pastorale misericordiosa della Chiesa è chiamata a “uscire” per coltivarli, illuminarli (discernere) e indirizzarli gradualmente (accompagnare) verso la pienezza (integrare). “Integrare tutti” (AL 297): nessun amore umano è escluso da quest’onda salutifera. Neanche quegli amori impastati di fragilità e peccato che non riflettono ancora (pensiamo alle convivenze) oppure non riflettono più (pensiamo ai fallimenti matrimoniali) l’ideale evangelico. “A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute(Evangelii gaudium 44). Non escluse quelle persone che, sposate e poi divorziate, hanno intrapreso nuove unioni che “non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio” (AL 303). I tanti passi fatti verso di loro (da tempo non li chiamiamo più peccatores manifesti, ma coppie “irregolari”) non bastano, sembra dire Francesco. è significativo che egli vi aggiunga un aggettivo: le unioni «”cosiddette” irregolari» (per esempio AL 301). Quel “cosiddetto” sta a dire che al Papa la categoria dell’irregolare non piace molto, perché troppa divisiva fra quelli che “non sono in regola” e quelli che riteniamo (canonicamente) “a posto” . Naturalmente questo non significa che allora “tutti sono regolari” . Anzi, di fronte a una nuova unione dopo divorzio, “dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone” (AL 298). Semmai dovrebbe valere il contrario: tutti sono in fondo almeno un po’ irregolari, peccatori graziati dalla misericordia di Dio, in cammino gioioso verso la pienezza di Cristo. Ma allora perché – dicevo all’inizio –, di fronte a prospettive così vaste e suggestive, il barometro ecclesiastico segna vento e non sereno? Primo: perché soprattutto i parroci – a cui è demandato di discernere e accompagnare le coppie “cosiddette irregolari” – avvertono la necessità che l’integrazione di tali coppie sia un autentico cammino di fede, e non assomigli invece a un condono edilizio dopo edificazione abusiva. Ma perché questo si realizzi, occorrono criteri di discernimento oggettivi e validati comunitariamente, che non sarà così facile definire. L’abuso, la confusione, la disparità di giudizio su situazioni analoghe, la petulanza di alcuni che, deviati dalla galoppante disinformazione mediatica, verranno a dire che da oggi tutti possono fare la comunione, o che il matrimonio non è più indissolubile, sono rischi reali. Occorrerà allora ribadire che è giusto “formare le coscienze” senza pretendere di sostituirle” (AL 37), guidandole anzi a discernere “il bene possibile” (AL 308), cioè quella donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benchè [ciò] non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo” (AL 303). Ma, nella visione cattolica, la coscienza non sarà mai creativa del bene e del male” (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 55). Sarebbe perciò un’abbaglio se, abbandonata la “visita fiscale” , passassimo alla pura e semplice “autocertificazione” della coscienza. Inoltre (ed è questo un secondo punto): nel momento in cui giustamente la “misericordia pastorale” della Chiesa si china sulla fragilità di alcune situazioni “cosiddette irregolari” , altrettanto giustamente bisognerà far sentire il forte apprezzamento e la grande vicinanza a quella persone che, rimaste sole per il fallimento del loro legame matrimoniale, hanno perseverato nella fedeltà sofferta al loro matrimonio, magari in mezzo a molti sacrifici, dando soprattutto ai giovani una grande testimonianza al valore del matrimonio indissolubile. A meno di tanto, la misericordia pastorale scompenserebbe pericolosamente. Almeno per questi due motivi il barometro ecclesiastico, dopo l’Amoris laetitia, segna vento, e non ancora sereno. Ma coraggio: non è vento di burrasca! è il vento dello Spirito, che spira dalla cattedra di Pietro! don ANGELO RIVA Incandescenza dell’amore. Non un “condono edilizio”... Appunti e precisazioni sui contenuti dell’Esortazione “Amoris Laetitia” «U n esercizio di collegialità». Così lo scorso 16 aprile don Luigi Savoldelli, condirettore dell’Ufficio diocesano di pastorale familiare, ha riassunto i due Sinodi sulla famiglia che hanno portato all’elaborazione dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”. Ad ascoltarlo un uditorio variegato, composto da chi, negli ultimi anni, ha partecipato ai percorsi formativi dell’Ufficio famiglia. A Como, con lui, a illustrare soprattutto dal punto di vista esperienziale il lavoro che ha caratterizzato i due Sinodi, don Roberto Secchi, vice-direttore dell’Ufficio famiglia e collaboratore della parrocchia di Sondrio, il quale, a giugno, completerà il suo percorso di studi, a Roma, proprio sulla pastorale familiare. Decine le persone collegate in streaming in diversi punti della diocesi: Fino Mornasco, Canonica di Cuveglio, Grosio, Sondrio e Chiavenna. Relazioni, quelle di sabato, che sono state soprattutto un dialogo. Sei i punti della “Amoris Laetitiapresi in analisi: il metodo; le fonti; lo stile; le convinzioni di fondo; le indicazioni per il cammino della Chiesa; il capitolo ottavo sulle situazioni “cosiddette irregolari”. «Nel metodo – ha esordito don Luigi – sono tre le parole-chiave: Sinodo, Esodo, Misericordia». Ovvero, in sintesi, guardando al significato etimologico delle parole, «il Sinodo è un cammino percorso insieme, per essere una Chiesa in uscita su strade nuove, avendo come riferimento, in particolare in questo Anno Santo, il tema della “misericordia” , che è il contenuto di ogni agire pastorale, perché non esistono i buoni e i cattivi, ma siamo tutti amati e accolti nell’abbraccio misericordioso di Dio, che sa trasformare la nostra vita». «Durante il Sinodo dello scorso ottobre – ha ricordato don Roberto, che vi ha preso parte come segretario – si è respirato un bel clima: tutti hanno portato la ricchezza del proprio punto di vista e del proprio vissuto. Papa Francesco si è messo in ascolto, raccomandando sincerità ai padri sinodali, tutelando la libertà di esprimere il dissenso. Oggi ci viene chiesta concretezza, vicinanza ai problemi della gente. Con un’accortezza. A papa Francesco – e questo, don Roberto lo ha ascoltato in prima persona dal pontefice – non piace l’espressione “situazioni irregolari” . La misericordia non fa differenza: siamo tutti figli e figlie di Dio e ciascuno fa più o meno fatica nell’affrontare il proprio percorso di vita». Per quanto riguarda le fonti, l’esame di don Luigi ha confermato che il testo a firma di papa Francesco si inserisce pienamente nel magistero della Chiesa: più di 130 citazioni dai lavori sinodali, una cinquantina di riprese da san Giovanni Paolo II, venti da papa Benedetto XVI (in particolare sui temi del corpo e della sessualità umana), molti autori contemporanei e una sessantina di citazioni dalle stesse catechesi di papa Francesco. Senza dimenticare, come ha avuto modo di sottolineare don Roberto, il beato Paolo VI e la “Humanae Vitae”. Lo stile. «Siamo di fronte a un linguaggio pastorale e non dottrinale o normativo – ha ripreso don Savoldelli –. Questa Esortazione è narrativa, concreta: vuole che la vita delle persone si plasmi sulla testimonianza del Vangelo. I valori del matrimonio non si toccano né si mettono in discussione: il testo, però, è molto dinamico, perché dinamica è la vita della famiglia». «Il Papa – è stata la sottolineatura di don Roberto – chiede attenzione e sensibilità a tutte le realtà, per armonizzare le differenze». A partire da alcune convinzioni di fondo: «la famiglia non è un problema per la Chiesa, che anzi, la difende non facendo guerre ideologiche ma proclamandone la bellezza. La famiglia è Vangelo, è la buona notizia “della gioia dell’amore” . La famiglia è il luogo dove si fondono passione e tenerezza, eros (che è molto più complesso di una “genitalità” agita) e felicità umana. La famiglia è un valore “cattolico” perchè coinvolge tutto e si rivolge a tutti». Questa la lettura di don Savoldelli, completata dalla riflessione di don Secchi, il quale ha messo in evidenza come siano rischiose alcune posizioni parziali, che non tengono conto del progetto di Dio sull’uomo nella sua interezza. Quali sono le indicazioni che arrivano per il cammino della Chiesa? Almeno quattro ha affermato don Luigi: «conversione pastorale; accoglienza e inclusione secondo una “legge della gradualità” che guarda ai diversi cammini personali; discernimento (del singolo credente e della comunità); accompagnamento». «Sapendo – è stata l’osservazione di don Roberto – che non si può accompagnare giudicando. Ma nemmeno, soprattutto da sacerdoti, ci si può nascondere dietro i codici o semplicemente accontentarsi di “concedere” ciò che ci viene richiesto». Infine, sulle situazioni cosiddette irregolari: «Evitare rigidismo e lassismo (perché le leggi non sono pietre da scagliare... ma anche il lasciar correre non fa bene ai fedeli!); affidarsi al giudizio pastorale di fronte alle situazioni complesse; riflettere sui singoli casi avendo come scelta privilegiata la via caritatis”». «La misericordia – è stata la chiosa di don Roberto – va testimoniata e a ognuno deve arrivare la luce del Vangelo». Su quest’ultimo punto è utile ricordare la risposta di papa Francesco, ai giornalisti, nella conferenza stampa al termine della visita ai migranti di Lesbo, sabato scorso. Sollecitato sull’accesso ai sacramenti nelle situazioni “cosiddette irregolari” , il pontefice, riconoscendo un atteggiamento rinnovato della Chiesa ma raccomandando la lettura dell’Esortazione apostolica e la valutazione dei singoli casi, ha anche sottolineato come «i media abbiano dato troppa rilevanza alla questione della Comunione ai divorziati risposati. Questo mi ha dato un po’ di tristezza perché non ci si accorge che quello non è il problema importante. Non ci si accorge che la famiglia in tutto il mondo è in crisi, che è la base della società. Non ci si accorge che i giovani non vogliono sposarsi. Non ci si accorge del calo di natalità in Europa, che è da piangere. Non ci si accorge della mancanza di lavoro, che obbliga i papà e le mamme a fare due lavori e i bambini crescono da soli e non imparano a crescere in dialogo con i genitori. Questi sono i grandi problemi...». Leggere L’Esortazione | di Enrica Lattanzi Testimoniare la “misericordia” in famiglia

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11Sabato, 23 aprile 2016Amoris Laetitia

I l barometro ecclesiastico segna incerto, come il prossimo ponte del 25 aprile. Man mano che ci si addentra nella Amoris laetitia (AL), è impossibile

non restarne contagiati. Davvero grandioso è l’affresco dell’amore matrimoniale dipinto da Francesco. Il linguaggio è disarmante per semplicità e concretezza. Chiunque lo può leggere. I contenuti trasudano dello splendore del Vangelo e della sapienza millenaria della Chiesa. Conquista soprattutto il cambio di prospettiva: non più la casistica dei peccati, la fredda geometria del lecito e dell’illecito, la perimetrazione del minimo indispensabile, ma gli orizzonti vasti e le sconfinate praterie dell’amore. Amore che non è scossa emotiva o brivido erotico – come la povertà della cultura contemporanea degli affetti tende a rimpicciolirlo – ma l’incandescenza dell’amore di Cristo (cantato da Paolo nell’Inno alla carità) che attrae a sé, redime e performa tutti gli amori umani: elevandoli ad essere suoi “segni”. Allora anche la fragilità dell’amore di un uomo e di una donna diventa scrigno di perla preziosa, tabernacolo della scintilla divina, conchiglia dove risuona l’eco infinito del mare. Persino la “piccola morte” (così i sessuologi chiamano la pausa refrattaria che consegue all’orgasmo) ne esce redenta, e anche la scossa emotiva e il brivido erotico assurgono a linguaggio tenero e intenso dell’amore. La Chiesa, in tema di amore e matrimonio, ha un vangelo immenso da annunciare al mondo.

Lo spettro luminoso dell’amore disegnato da Francesco è vertiginoso e inclusivo: Cristo ne è il compimento unico e assoluto, ma poi i “semi del Verbo” si spargono nel campo immenso dell’umanità. Lì la pastorale misericordiosa della Chiesa è chiamata a “uscire” per coltivarli, illuminarli (discernere) e indirizzarli gradualmente (accompagnare) verso la pienezza (integrare). “Integrare tutti” (AL 297):

nessun amore umano è escluso da quest’onda salutifera. Neanche quegli amori impastati di fragilità e peccato che non riflettono ancora (pensiamo alle convivenze) oppure non riflettono più (pensiamo ai fallimenti matrimoniali) l’ideale evangelico. “A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute” (Evangelii gaudium 44). Non escluse quelle persone che, sposate e poi divorziate, hanno intrapreso nuove unioni che “non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio” (AL 303). I tanti passi fatti verso di loro (da tempo non li chiamiamo più peccatores manifesti, ma coppie “irregolari”) non bastano, sembra dire Francesco. è significativo che egli vi aggiunga un aggettivo: le unioni «”cosiddette” irregolari» (per esempio AL 301). Quel “cosiddetto” sta a dire che al Papa la categoria dell’irregolare non piace molto, perché troppa divisiva fra quelli che “non sono in regola” e quelli che riteniamo (canonicamente) “a posto”. Naturalmente questo non significa che allora “tutti sono regolari”. Anzi, di fronte a una nuova unione dopo divorzio, “dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone” (AL 298). Semmai dovrebbe valere il contrario: tutti sono in fondo almeno un po’ irregolari, peccatori graziati dalla misericordia di Dio, in cammino gioioso verso la pienezza di Cristo. Ma allora perché – dicevo all’inizio –, di fronte a prospettive così vaste e suggestive, il barometro ecclesiastico segna vento e non sereno? Primo: perché soprattutto i parroci – a cui è demandato di discernere e accompagnare le coppie “cosiddette irregolari” – avvertono la necessità che l’integrazione di tali coppie sia un autentico cammino di fede, e non assomigli invece a un condono edilizio dopo

edificazione abusiva. Ma perché questo si realizzi, occorrono criteri di discernimento oggettivi e validati comunitariamente, che non sarà così facile definire. L’abuso, la confusione, la disparità di giudizio su situazioni analoghe, la petulanza di alcuni che, deviati dalla galoppante disinformazione mediatica, verranno a dire che da oggi tutti possono fare la comunione, o che il matrimonio non è più indissolubile, sono rischi reali. Occorrerà allora ribadire che è giusto “formare le coscienze” senza “pretendere di sostituirle” (AL 37), guidandole anzi a discernere “il bene possibile” (AL 308), cioè quella “donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benchè [ciò] non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo” (AL 303). Ma, nella visione cattolica, la coscienza non sarà mai “creativa del bene e del male” (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 55). Sarebbe perciò un’abbaglio se, abbandonata la “visita fiscale”, passassimo alla pura e semplice “autocertificazione” della coscienza. Inoltre (ed è questo un secondo punto): nel momento in cui giustamente la “misericordia pastorale” della Chiesa si china sulla fragilità di alcune situazioni “cosiddette irregolari”, altrettanto giustamente bisognerà far sentire il forte apprezzamento e la grande vicinanza a quella persone che, rimaste sole per il fallimento del loro legame matrimoniale, hanno perseverato nella fedeltà sofferta al loro matrimonio, magari in mezzo a molti sacrifici, dando soprattutto ai giovani una grande testimonianza al valore del matrimonio indissolubile. A meno di tanto, la misericordia pastorale scompenserebbe pericolosamente. Almeno per questi due motivi il barometro ecclesiastico, dopo l’Amoris laetitia, segna vento, e non ancora sereno. Ma coraggio: non è vento di burrasca! è il vento dello Spirito, che spira dalla cattedra di Pietro!

don ANGELO RIVA

Incandescenza dell’amore. Non un “condono edilizio”...Appunti e precisazioni sui contenuti dell’Esortazione “Amoris Laetitia”

«Un esercizio di collegialità». Così lo scorso 16 aprile don

Luigi Savoldelli, condirettore dell’Ufficio diocesano di pastorale familiare, ha riassunto i due Sinodi sulla famiglia che hanno portato all’elaborazione dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”. Ad ascoltarlo un uditorio variegato, composto da chi, negli ultimi anni, ha partecipato ai percorsi formativi dell’Ufficio famiglia. A Como, con lui, a illustrare soprattutto dal punto di vista esperienziale il lavoro che ha caratterizzato i due Sinodi, don Roberto Secchi, vice-direttore dell’Ufficio famiglia e collaboratore della parrocchia di Sondrio, il quale, a giugno, completerà il suo percorso di studi, a Roma, proprio sulla pastorale familiare. Decine le persone collegate in streaming in diversi punti della diocesi: Fino Mornasco, Canonica di Cuveglio, Grosio, Sondrio e Chiavenna. Relazioni, quelle di sabato, che sono state soprattutto un dialogo. Sei i punti della “Amoris Laetitia” presi in analisi: il metodo; le fonti; lo stile; le convinzioni di fondo; le indicazioni per il cammino della Chiesa; il capitolo ottavo sulle situazioni “cosiddette irregolari”. «Nel metodo – ha esordito don Luigi – sono tre le parole-chiave: Sinodo, Esodo, misericordia». Ovvero, in sintesi, guardando al significato etimologico delle parole, «il Sinodo è un cammino percorso insieme, per essere una Chiesa

in uscita su strade nuove, avendo come riferimento, in particolare in questo Anno Santo, il tema della “misericordia”, che è il contenuto di ogni agire pastorale, perché non esistono i buoni e i cattivi, ma siamo tutti amati e accolti nell’abbraccio misericordioso di Dio, che sa trasformare la nostra vita». «Durante il Sinodo dello scorso ottobre – ha ricordato don Roberto, che vi ha preso parte come segretario – si è respirato un bel clima: tutti hanno portato la ricchezza del proprio punto di vista e del proprio vissuto. Papa Francesco si è messo in ascolto, raccomandando sincerità ai padri sinodali, tutelando la libertà di esprimere il dissenso. Oggi ci viene chiesta concretezza, vicinanza ai problemi della gente. Con un’accortezza. A papa Francesco – e questo, don Roberto lo ha ascoltato in prima persona dal pontefice – non piace l’espressione “situazioni irregolari”. La misericordia non fa differenza: siamo tutti figli e figlie di Dio e ciascuno fa più o meno fatica nell’affrontare il proprio percorso di vita». Per quanto riguarda le fonti, l’esame di don Luigi ha confermato che il testo a firma di papa Francesco si inserisce pienamente nel magistero della

Chiesa: più di 130 citazioni dai lavori sinodali, una cinquantina di riprese da san Giovanni Paolo II, venti da papa Benedetto XVI (in particolare sui temi del corpo e della sessualità umana), molti autori contemporanei e una sessantina di citazioni dalle stesse catechesi di papa Francesco. Senza dimenticare, come ha avuto modo di sottolineare don Roberto, il beato Paolo VI e la “Humanae Vitae”. Lo stile. «Siamo di fronte a un linguaggio pastorale e non dottrinale o normativo – ha ripreso don Savoldelli –. Questa Esortazione è narrativa, concreta: vuole che la vita delle persone si plasmi sulla testimonianza del Vangelo. I valori del matrimonio non si toccano né si mettono in discussione: il testo, però, è molto dinamico, perché dinamica è la vita della famiglia». «Il Papa – è stata la sottolineatura di don Roberto – chiede attenzione e sensibilità a tutte le realtà, per armonizzare le differenze». A partire da alcune convinzioni di fondo: «la famiglia non è un problema per la Chiesa, che anzi, la difende non facendo guerre ideologiche ma proclamandone la bellezza. La famiglia è Vangelo, è la buona notizia “della gioia dell’amore”.

La famiglia è il luogo dove si fondono passione e tenerezza, eros (che è molto più complesso di una “genitalità” agita) e felicità umana. La famiglia è un valore “cattolico” perchè coinvolge tutto e si rivolge a tutti». Questa la lettura di don Savoldelli, completata dalla riflessione di don Secchi, il quale ha messo in evidenza come siano rischiose alcune posizioni parziali, che non tengono conto del progetto di Dio sull’uomo nella sua interezza. Quali sono le indicazioni che arrivano per il cammino della Chiesa? Almeno quattro ha affermato don Luigi: «conversione pastorale; accoglienza e inclusione secondo una “legge della gradualità” che guarda ai diversi cammini personali; discernimento (del singolo credente e della comunità); accompagnamento». «Sapendo – è stata l’osservazione di don Roberto – che non si può accompagnare giudicando. Ma nemmeno, soprattutto da sacerdoti, ci si può nascondere dietro i codici o semplicemente accontentarsi di “concedere” ciò che ci viene richiesto». Infine, sulle situazioni cosiddette irregolari: «Evitare rigidismo e lassismo (perché le leggi non sono pietre da scagliare...

ma anche il lasciar correre non fa bene ai fedeli!); affidarsi al giudizio pastorale di fronte alle situazioni complesse; riflettere sui singoli casi avendo come scelta privilegiata la “via caritatis”». «La misericordia – è stata la chiosa di don Roberto – va testimoniata e a ognuno deve arrivare la luce del Vangelo». Su quest’ultimo punto è utile ricordare la risposta di papa Francesco, ai giornalisti, nella conferenza stampa al termine della visita ai migranti di Lesbo, sabato scorso. Sollecitato sull’accesso ai sacramenti nelle situazioni “cosiddette irregolari”, il pontefice, riconoscendo un atteggiamento rinnovato della Chiesa ma raccomandando la lettura dell’Esortazione apostolica e la valutazione dei singoli casi, ha anche sottolineato come «i media abbiano dato troppa rilevanza alla questione della Comunione ai divorziati risposati. Questo mi ha dato un po’ di tristezza perché non ci si accorge che quello non è il problema importante. Non ci si accorge che la famiglia in tutto il mondo è in crisi, che è la base della società. Non ci si accorge che i giovani non vogliono sposarsi. Non ci si accorge del calo di natalità in Europa, che è da piangere. Non ci si accorge della mancanza di lavoro, che obbliga i papà e le mamme a fare due lavori e i bambini crescono da soli e non imparano a crescere in dialogo con i genitori. Questi sono i grandi problemi...».

✎ Leggere L’Esortazione | di Enrica Lattanzi

Testimoniare la “misericordia” in famiglia