Amo la cucina calabrese

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Sì, cari amici, Amo la cucina calabrese con tutto il mio cuore e dedico questo libro – che non vuole essere un elenco completo di tutte le ricette esistenti in Calabria – a tutti voi che mi leggete. è, piuttosto, un omaggio alla bellissima Calabria, dove sono nata e da dove, a pochi anni di età, sono emigrata con la mia famiglia per la Svizzera. In questa mia seconda patria, sono rimasta per tanti anni fino al rientro definitivo. E oggi che abito nelle Marche, ho voluto riscoprire le mie radici culinarie. Vi prego, abbiate pazienza, la cucina calabrese è antichissima e di conseguenza esistono talmente tante ricette che è impossibile riportarle tutte. Vi invito a iscrivervi al gruppo di Facebook “Amo la cucina calabrese!”: non vedo l’ora di leggere i vostri commenti e, se vorrete, le vostre ricette della cucina calabrese che – non dimenticatelo mai – affonda le sue radici nella Magna Grecia!

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Rina Scalise

Amo la cucina calabreseRicette della tradizione

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ISBN: 978-88-96895-98-6

© 2012 Falco EditorePiazza Duomo, 1 – tel. 0984.2313787100 – COSENZAE-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di dicembre 2012da Grafica Pollino Srl – Castrovillari (CS)

per conto di Falco Editore

è vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico,con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata dall’Editore in ogni Paese

L’immagine di copertina è di Marisa Miriello

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Prefazione

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola.

Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammac-cate, i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per appron-tare “qualcosa di caldo”.

Gli umili prodotti della terra e della quotidiana fatica, trasformati da una sapienza antica in prelibatezze degne di suggellare le amicizie, di consolare il dolore ed esaltare l’allegria, diventavano, in qualche modo, un banchetto sacro. Perché in quell’esposizione di tante bontà c’era, an-che, l’offerta, semplice, all’ospite, di se stessi, della propria compagnia, del proprio conforto, del proprio appoggio.

Un senso di ospitalità che – nonostante i cambiamenti sociali non si-ano stati tutti nel senso di un maggiore progresso generale e di migliori condizioni di vita – si conserva ampiamente. Così come, in molte case calabresi o di calabresi dovunque essi siano, si mantiene tuttora una par-te almeno dell’antica tradizione culinaria.

Non si tratta di un’abitudine trascinata per caso ma di una scelta. Una scelta di identità culturale, intorno a cui talvolta si riscoprono altri aspetti ancora attuali o nuovamente attualizzabili di antiche arti, ma an-che un modo di esprimere l’esigenza di un’alimentazione meno inquina-ta da prodotti maturati più dalla chimica che dal sole, meno consumisti-ca, più sana. E, anche – perché no? – un modo di rispondere in positivo alle sfide che la crisi economica impone alle famiglie.

Amo la cucina calabrese è il personale «favorite!» di Rina Scalise a chi voglia entrare nella sua cucina e assaporare i piatti che lei ha cu-cinato centinaia e centinaia di volte, seguendo le ricette della madre e

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della suocera, arricchite con le indicazioni delle amiche e con la propria creatività. E, soprattutto, con il migliore degli ingredienti: l’amore per i commensali, invitati speciali ad un pasto che vuol essere sempre una festa, semplice e sincera, di sentimenti.

Prima di raccogliere in questo volume un’esperienza vera, maturata tra le sue pentole e il suo orto, Rina aveva dato vita ad un gruppo Fb dal-lo stesso nome: una comunità ampia, vivace e fortemente partecipata, che conferma come il cibo sia avvertito, dai locali e dai tanti emigrati sparsi in Italia e nel mondo, come il filo che riannoda alle radici, grazie anche al ricordo delle memorie familiari e del dialetto, prima vera lin-gua, per molti, ascoltata e parlata.

Tra decine e decine di testi di cucina che riempiono gli scaffali delle librerie, Amo la cucina calabrese sa davvero di impasto che lievita, di olio fumante per la pignolata, di fagioli e cicoria, di peperoncini brucenti e di ogni altro odore e sapore della cucina di casa.

Per chi è calabrese, è come aggiungere ai quaderni di appunti che contengono i segreti del sugo di zia Ciccilla e dei “pitrali” di ’Mari Mela i consigli di un’amica largamente riconosciuta come “regina dei fornelli”. Per chi calabrese non è, è scoprire come rasserena la giornata il sorriso di un «favorite!».

Maria Franco

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Introduzione

“Aggiungi un posto a tavolache c’è un amico in più

se sposti un po’ la seggiolastai comodo anche tu...”

Voglio prendere in prestito le parole di un famoso musical italiano per in-vitare voi, cari amici e lettori, alla mia tavola! Già basterebbero per spiegare il perché di questo mio libro perché – secondo me – rispecchiano in pieno l’ospitalità calabrese!

Quando avevo vent’anni, volevo scrivere un libro sulla mia più grande passione, la cucina! In effetti, questo è il manoscritto di allora, caratterizza-to dall’entusiasmo di una giovane donna, che ho custodito gelosamente negli anni e ho arricchito man mano. Oggi, che di anni ne ho più di 50 e sono di-ventata più selettiva rispetto agli anni giovanili, scrivo di cucina… calabrese!

Sì, cari amici, Amo la cucina calabrese con tutto il mio cuore e dedico il libro a tutti voi che mi leggete, ma lo dedico soprattutto a tutti quelli che non si aspettano affatto un saggio storico sulla cucina calabrese. Tantomeno, non vuole essere un elenco completo di tutte le ricette esistenti in Calabria. Le pros-sime pagine vogliono essere, piuttosto, un omaggio alla bellissima Calabria, dove sono nata e da dove, a pochi anni di età, sono emigrata con la mia fa-miglia per la Svizzera. In questa mia seconda patria, sono rimasta per tanti anni fino al mio rientro definitivo. E oggi che abito nelle Marche, ho voluto riscoprire le mie radici culinarie, ma – vi prego – abbiate pazienza, la cucina calabrese è antichissima e di conseguenza esistono talmente tante ricette che non posso – per motivi di spazio – riportarle tutte quante.

Dedico questo libro con tutto il mio cuore a…A mia mamma, Maria, la mia prima maestra in cucina!A mio marito, Pasquale, che ringrazio per il suo continuo supporto! Ai miei figli, Alessandro, Carolina e Luca, per la loro pazienza!

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A mia suocera, Concetta, che ha “integrato” le mie conoscenze in cucina!A tutti i miei amici personali e a tutti i miei amici virtuali che sono iscritti

al mio gruppo “Amo la cucina calabrese!” su Facebook!Vi invito a iscrivervi al gruppo di Facebook, non vedo l’ora di leggere i vo-

stri commenti e, se vorrete, le proposte di ricette della cucina calabrese che – non dimenticatelo mai – affonda le sue radici nella Magna Grecia!

Rina

Abbreviazioni: Fb = Facebook

Alcc = gruppo “Amo la cucina calabrese!”Olio evo = Olio extra-vergine d’oliva

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La pasta

I chiacchieri me vvindu e chii maccarruni mi jincu a panza!(Le parole le vendo, è con i maccheroni che mi riempio la pancia!)

Sulle origini della pasta, vi è una vecchia disputa: se cioè siano stati i cinesi ad inventarla oppure se siamo stati noi italiani a creare per primi questo straordinario alimento. Secondo me, il problema non sussiste! E sapete perché? Ma è chiaro: la pasta cinese, che Marco Polo descrisse così bene, veniva (e viene tuttora) preparata con farina di riso e non di grano! Leggendo qua e là, ho scoperto che la prima pasta in Italia fu preparata in… CALABRIA. Infatti, in un trattato dell’anno 1041, si usa il termine “maccherone” per indicare uno sciocco, un bonaccione. Prova evidente che il “maccherone” in senso alimentare era in uso molto tempo prima che Marco Polo ritornasse a Venezia dalla Cina. Poi, in Calabria (ma anche in altre regioni meridionali) le tagliatelle vengono chiamate làgane, parola che deriva dal greco e che significa “sfoglia di farina”. È evidente che in Magna Grecia (Calabria) le tagliatelle venivano chiamate làgane e da qui si sono diffuse anche nella Roma antica (il resto d’Italia). Dunque, possiamo sostenere che la pasta è stata inventata dai calabresi!!! (Chiedo scusa se do l’impressione di essere presuntuosa, ma non cambio idea!).

Oggi in Calabria si usano tantissimi formati di pasta: tagliolini, sci-latelli (non “scialatielli”, che invece sono campani), schiaffettoni, calan-dretti, cappelli di prete, ricci di donna, ravioloni, covatelli crotonesi, cavatelli, cannelloni, cannarozzoli, gnocchi o rascatelli, ma quelli che in assoluto vengono preparati di più sono i maccheroni al ferretto, chia-mati in dialetto maccarruni ’e casa, oppure maccherruni cu bucu, ’mper-rettati, fusilli, fileja, scilatelli.

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Per realizzarli, io uso un ferretto da calza, ma sembra che si possa utilizzare anche un fustello del salice piangente, oppure un rametto di giunco, di sparto o di ginestra. Qualcuno utilizza addirittura uno dei raggi di una ruota da bici o dell’ombrello: ho scoperto, grazie agli amici del mio gruppo su Facebook, che in Calabria viene chiamato in tantis-simi modi: gruja, cannici, capituastu, danacu, frisiju, dinaculu, dinaciu-lu… ma anche con un ferretto a sezione quadrata ’u f ’rzuh. Dalla lon-tana Australia, un oriundo calabrese, Domenico, aggiunge che i gruja sono della stessa famiglia del giunco e che crescono nelle zone paludose. Ha raccontato che qualche tempo fa è andato a raccoglierli in Australia proprio per farli vedere ai suoi figli e spiegare a cosa servivano: la stessa erba la si usava – e si usa ancora – per fare i vecchi crivi (setacci) e anche le fuscelle, i cestini per formare la ricotta e i formaggi.

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Maccheroni al ferrettoIngredienti:

500 g farina di grano duro, acqua tiepida,

un pizzico di sale,(la classica ricetta non prevede uova,

ma chi vuolepuò aggiungerne uno o due).

A questo punto, manca solo il condimento e nel caso di questi maccheroni al ferretto, si può dire che il tipico sugo di capretto alla calabrese è ’a morte sua. Ma siccome a casa mia non amano molto la carne del capretto, di solito li condisco con un classico della nostra cucina: un buon...

Mettere la farina a fontana sulla spiana-toia, versarci dentro l’acqua tiepida con

il sale. Impastare continuando ad aggiungere altra acqua fino ad ottenere un panetto liscio, duro e asciutto abbastanza da non risultare appiccicoso alle mani. Dopo averla fatta ripo-sare un po’, formare un rotolo lungo, staccare dei tocchetti di pasta lunghi dai 5 ai 10 cm. Infarinare il ferretto e affondarlo nel tocchet-to, rotolandolo con i palmi delle mani. Sfilare poi delicatamente il ferretto, che dovrebbe scivolare facilmente visto che l’impasto è ben asciutto. Mettere ad asciugare i mac-cheroni sopra ad un canovaccio infarinato,

allineandoli uno accanto all’altro a una certa distanza.

Note

I tocchetti di pasta sono denominati “gliommari” nell’entroterra cosentino: sono in realtà un prototipo del fusillo, ossia un fusillo ancora non sviluppato. Da qui il detto offensivo: “S’j nu’ gliommaro!” (potresti essere qualcosa di buono, ma non sei affatto sviluppato!).

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Queste polpettine mi rievocano dei bellissimi episodi della mia infanzia tra-scorsa in Svizzera. Dopo una settimana di duro lavoro, mio padre era solito orga-nizzare di domenica delle gite. Quasi sempre, la meta erano le montagne svizzere e già il giorno prima, mia mamma trafficava in cucina. Preparava quasi sempre il pollo impanato e fritto: lo sezionava, lo impanava e lo poneva in frigo fino alla mattina dopo, quando si metteva a friggerlo poco prima di partire. Il “pezzo

Sugo di pomodorocon polpettine di carne

Ingredienti:600 g carne macinata,

500 g passata di pomodoro, 250 g pane raffermo,

un bicchiere di acqua, pecorino grattugiato,

1 cipolla, 3 uova,

prezzemolo,2 spicchi d’aglio,

sale e pepe, basilico.

Mettere a bagno il pane in un po’ d’acqua. Soffriggere la cipolla con dell’olio di oliva

in una pentola. Quando la cipolla è ben dorata, aggiungere la passata di pomodoro, salare, pepare, aggiungere mezzo bicchiere d’acqua, coprire e lasciar cuocere a fiamma moderata. Preparare a parte un composto con la carne macinata, il pecorino, l’aglio tritato finemente, il prezzemolo, le uova, il sale, il pane raffermo. Amalgamare molto bene e formare delle palline,

avendo cura di compattarle per bene. Friggerle per ca 20 minuti a fiamma moderata per non ri-schiare di ammorbidirle troppo. Preparare una padella con il sugo cotto in precedenza e unirvi le polpette. Chi vuole, può cuocere le polpette, senza friggerle, direttamente nel sugo.

Note

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Note

In Calabria, per il giorno di Ferragosto (15 agosto), ci si riunisce tra paren-ti e amici. Si imbandiscono grandi tavolate o si preparano allegre scampagnate durante le quali ogni bendidio è innaffiato da un buon vino che – natural-mente – non deve mai mancare. Si inizia con gli antipasti: un bel tagliere di soppressata calabrese e capicollo è l’ideale per preparare lo stomaco alle successive portate, accompagnato da un po’ di pane ai semi di finocchio con la ’nduja. Fra i primi, la padrona per questo giorno è la classica “pasta allu fhurnu”, chiamata anche “pasta chijna”...

forte” di mia mamma era un altro piatto: la pasta al forno calabrese a pasta “allu fhurnu” che non poteva mancare in nessuna delle nostre gite! Ma la cosa che a noi bambini piaceva in particolare era il fatto che potevamo mangiare questa pasta direttamente dalla teglia, ognuno con la propria forchetta. Ancora oggi, quando utilizzo questa teglia di alluminio che mia mamma mi ha voluto donare, penso a quei pic-nic con tanti buoni piatti calabresi.

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Pasta al forno calabrese

Far cuocere e scolare la pasta molto al dente. Per il “ripieno”, tagliare a tocchet-

tini la provola, la soppressata e a fettine le uova sode, quindi iniziare la preparazione de-gli strati. In una pirofila da forno, stendere uno strato spesso di pomodoro e polpettine, poi mettere la pasta lessata e freddata, la provola, la soppressata, l’uovo, i piselli, il formaggio grattugiato e ripetere per fare almeno due strati – terminando con un ab-bondante strato di formaggio grattugiato. Infornare a 180° per 20 minuti fino a che

la pasta chijna non abbia formato una bella crosticina.

Note

Ingredienti:pasta,

polpettine di carne macinata,sugo di pomodoro,

uova sode, piselli lessati,

formaggio grattugiato (preferibilmente pecorino),

provola silana,soppressata calabrese.

Ho saputo recentemente dal fratello Mimmo (gruppo Fb “Fedelissimi di Mino Reitano”) che il nostro compianto Mino Reitano amava particolarmente le me-lanzane alla parmigiana, ma soprattutto la “pasta chijna”…

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Sugo di carne (con passata fatta in casa)

Ingredienti: 600 g spuntature e altra carne

di maiale (o carne tritata), salsa di pomodoro,

pomodori a pezzetti, 2 bicchieri di vino rosso (o acqua),

mezzo bicchieredi concentrato di pomodoro,

aglio e 2 foglie di lauro,100 g pancetta a tocchetti,

2 cipolla di Tropea, sale,4 bicchieri d’acqua.

Con questo tipo di sugo condisco alternativamente i seguenti formati di pasta molto usati nelle cucine calabresi:

Far rosolare in poco olio le cipolle tritate e la pancetta a tocchetti, aggiungere il

concentrato di pomodoro e far insapori-re per qualche minuto. Sfumare con il vino

rosso (o acqua) e aggiungere la passata di pomodoro e i pomodori a pezzetti, il lauro e il sale. Aggiungere l’acqua e lasciare cuocere per ca 2 ore.

Ma il condimento per la pastasciutta che ha segnato la mia infanzia e che tuttora preparo a casa mia è il sugo con le spuntature e con altri tagli di carne cosiddetti “poveri”, ma che poveri non sono assolutamente! Raffinata, lenta, per-fetta invenzione gastronomica, ’u rraù, come recita Eduardo, veniva cotto su di una fornacella a carbone e doveva cuocere per almeno sei ore. Oggi, invece, ci accontentiamo del fornello a gas o elettrico. La pentola in cui si dovrebbe cuocere il sugo è un tegame di creta largo e basso, ’a tigana e per rimestarlo occorre la cucchiarella di legno, così che la carne ceda al sugo ogni sua più lieve e segreta fragranza, mescolandosi con il pomodoro, la cipolla, l’olio, il basilico e il vino rosso. Durante l’inverno, quando in casa mia viene accesa la stufa a legna, spesso sfrutto il calore per cuocere questo sugo nella mia tiella di coccio: il gusto del sugo preparato è eccezionale! Ed ecco come lo preparo:

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Gnocchi di patate

Ingredienti: 500 g patate a pasta gialla

e possibilmente vecchie(di dimensioni omogenee),

150 g farina,1 uovo,

sale.

P er prima cosa, lavare bene le patate e poi lessarle in abbondante acqua salata

senza sbucciarle (se si vuole risparmiare tempo, cuocere nel microonde a 1000 w per 8 minuti ca). Saranno pronte quando potre-te infilare uno stuzzicadenti nella loro polpa senza difficoltà. Quando sono ancora calde, si passano attraverso lo schiacciapatate, facendo cadere la polpa sullo spianatoio. Aggiungere la farina, l’uovo, il sale e impa-stare fino ad ottenere un composto liscio e senza grumi. Formare dei filoncini di gros-sezza a vostro piacere (dipende da quanto grande volete preparare i singoli gnocchi) e tagliarli a tocchetti. Ogni tocchetto va pas-sato sui rebbi di una forchetta, ma senza premere troppo. Oppure potete usare il co-siddetto “crivu”, il setaccio fatto di giunco

e che in Calabria tante donne ancora utiliz-zano, arrotolando ogni singolo tocchetto sul suo fondo interno. Io, per fare più in fretta, arrotolo ogni singolo pezzo appoggiandoci due dita. Cuocere gli gnocchi così ottenuti in abbondante acqua salata. Mano a mano che vengono a galla, possono essere raccolti con il mestolo forato. E qualcuno usa prepa-rarli anche solo con farina, uova e acqua. Al posto delle patate e per “colorare” gli gnoc-chi, si aggiungono spesso zucche, spinaci o addirittura delle castagne (magari quelle di Serrastretta!).

Note

Qualche tempo fa, sulla bacheca del mio gruppo su Fb, avevo posto la do-manda su come chiamassero a casa loro il mattarello per spianare la sfoglia. Il risultato è stato sorprendente e a tratti anche divertente: “maccarrunaru”, “la-ganaturu”, “menaturu” (voce del verbo menare?) “lignu di tajiarini”, “’u lignu da pasta”, “manico da’ scupa”(!!!), “mattarennu”, “laghinaturi”, “schianaturi”... Chissà in quanti altri modi viene chiamato quest’oggetto in Calabria! Io lo uso sempre quando preparo la pasta fatta in casa.

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Cavatelli

Disporre a fontana la farina, incorporan-do le uova e aggiungere a poco a poco

una tazzina d’acqua bollente e salata. La-vorare a lungo fino ad ottenere un impasto omogeneo piuttosto duro e coprire con uno strofinaccio. Far riposare una mezz’ora. Ri-prendere l’impasto e continuare a lavorare, allungandolo un poco per volta per poi rica-varne dei cilindretti di ca 2/3 cm di diametro con l’auto di un coltello oppure della spatola (“rasùla”) che di solito si usava per raschia-

re la madia. Con la pressione dell’indice e del dito medio affiancati schiacciarli, trascinan-doli un po’ sulla spianatoia (“jastiere”, “gra-stieri”, “tavulieri”, ecc.). Lasciare riposare per qualche ora e poi lessare in abbondante acqua salata, aggiungendo un filino d’olio (“’na crucia”), per non fare attaccare fra loro i maccheroni. Di solito condisco questi cava-telli con un sugo di pomodoro e carne trita e abbondo con della ricotta salata grattugiata al momento.

Ingredienti: 500 g farina di grano duro,

due uova (facoltative), un pizzico di sale,

acqua q.b.

“O luna, luna, jettami, nu piattu i cavadieddi,jettamili ccu assai casu, si’ no ti rumpu lu grattacusu!”

(O luna, luna, buttami un piatto di cavatelli,buttameli con tanto formaggio, altrimenti ti rompo la grattugia!)

Ma la mia attenzione è andata ad un altro formato di pasta ripiena, che – però – non tutti usano o… non usano più. Sono i cosiddetti “cappieddi du prie-viti”... sono sicura che tantissimi lettori non conoscevano affatto questo formato di pasta!

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I formati di pastaOltre ai già citati maccheroni al ferretto, agli gnocchi di patate e ai

cavatelli, ecco i formati di pasta più in uso in Calabria:

• LAGANIEDDI (o lagani): come le tagliatelle, ma più grosse.• TAGGLIULINI (o tagliolini): sono delle finissime tagliatelle.• SCORZE di FAGIOLI: sono simili ai cavatelli, ma lunghi ca 6 cm. Si

realizzano lavorando la pasta con tre dita muovendo contempora-neamente entrambe le mani (quindi disponendo sei dita, un dito a fianco all’altro).

• SCILATELLI (o fedelini, filatieddi): da un serpentone fine e lungo ca 40 cm, lasciato cadere e “tirato” dal bordo della tavola da lavoro (si allunga da solo per il suo peso), si formano gli scilatelli ognuno di lunghezza diversa durante la cottura (da non confondere con gli scialatielli campani che sono simili alle tagliatelle).

• SCHIAFFETTONI: questa tipica pasta calabrese assomiglia ai pac-cheri napoletani: rettangoli di sfoglia, arrotolati e farciti (ma anche senza farcia). Sono simili ai cannelloni, ma più corti.

• RICCI di DONNA: è una pasta lunga, tipo filej, ma per realizzarlo, bisogna arrotolare a spirale la pasta intorno ad un ferro per lavorare a maglia, cercando di mantenere i “ricci” mentre la si sfila dal ferro.

• RAVIOLI calabresi: pasta ripiena di ricotta e formaggi, qualcuno mette anche della soppressata.

• FUSILLI (o maccheroni al ferretto, filei, f ’llej, ’mparrettati): molto amata dai calabresi, è lunga e si forma con l’aiuto di un ferro per lavorare a maglia.

• COVATELLI CROTONESI: questi covatelli sono uguali nella for-ma ai cavatelli, ma sono più piccoli. Vengono realizzati soltanto con un dito e poi arrotolati.

• CANNELLONI: I calabresi amano molto anche i cannelloni: ret-tangoli di pasta da farcire e poi arrotolare. Simili agli schiaffettoni, ma più grandi.

• CANNARUOZZOLI: I cannaruozzoli assomigliano molto alla pa-sta denominata ditali, ma sono più larghi e più lunghi e vengono per lo più usati nelle zuppe.

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Il libro è acquistabile su

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