AMMORTIZZATORI SOCIALI E POLITICHE ATTIVE - IPSOA · LA NUOVA CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA...

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EUFRANIO MASSI

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Copyright 2017 Wolters Kluwer Italia s.r.l. Strada 1, Palazzo F6 – 20090 Milanofiori Assago (MI)

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adatta-mento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può com-portare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze.

Finito di stampare nel mese di aprile 2017 dalla L.E.G.O. S.p.A.

Sommario

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SOMMARIO

Capitolo I LA NUOVA ASSICURAZIONE SOCIALE

PER L’IMPIEGO 1. Premessa ................................................................................................. 3

Capitolo II LA NUOVA CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA

1. Premessa ............................................................................................................ 15 2. Chiarimenti operativi su alcuni profili essenziali ......................................... 17 3. Concessione dell'integrazione salariale ordinaria ........................................ 20 4. Esame delle domande ed istituzione della relazione tecnica ..................... 21 5. Mancanza di lavoro e di commesse o crisi di mercato ............................... 22 6. Fine di cantiere, di lavoro, di fase lavorativa, perizia di variante e sup-

pletiva al progetto ............................................................................................ 22 7. Mancanza di materie prime o componenti .................................................. 23 8. Eventi meteorologici ....................................................................................... 24 9. Sciopero di un reparto o di altra impresa ..................................................... 25 10. Incendi, crolli, alluvioni, calamità naturali e mancanza di energia elet-

trica ..................................................................................................................... 26 11. Guasti ai macchinari e manutenzione straordinaria .................................... 26 12. Cumulo tra CIGO e contratti di solidarietà ................................................. 27 13. Motivazione del provvedimento e supplemento di istruttoria .................. 28 14. Considerazioni conclusive .............................................................................. 28

Capitolo III LA RIFORMA DELL’INTEGRAZIONE SALARIALE ORDINARIA

E STRAORDINARIA 1. Premessa ............................................................................................................ 31 2. Norme comuni a tutti gli ammortizzatori sociali (CAPO I) ..................... 33 3. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali ordinarie (CAPO

II) ........................................................................................................................ 57

Sommario

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4. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali straordinarie (CAPO III) ........................................................................................................ 68

5. Disposizioni relative a trattamenti straordinari di integrazione salariale a seguito di accordi già stipulati ...................................................................... 89

6. Disposizioni transitorie e finali ....................................................................... 90

Capitolo IV SOLIDARIETÀ ESPANSIVA: CHE FARE? LE MODALITÀ

OPERATIVE SPIEGATE DAL MINISTERO DEL LAVORO 1. Premessa ............................................................................................................ 95

Capitolo V L’INTEGRAZIONE SALARIALE ATTRAVERSO I FONDI

DI SOLIDARIETÀ 1. Premessa ............................................................................................................ 99 2. Fondi di solidarietà bilaterali ........................................................................... 102 3. Fondi di solidarietà bilaterali alternativi ........................................................ 104 4. Fondo di solidarietà residuale ......................................................................... 107 5. Fondo di integrazione salariale ....................................................................... 108 6. Assegno ordinario ............................................................................................ 110 7. Assegno di solidarietà ...................................................................................... 111 8. Erogazione delle prestazioni e termine per il rimborso delle prestazioni

............................................................................................................................. 113 9. Prestazioni ulteriori .......................................................................................... 113 10. Contributi di finanziamento ............................................................................ 114 11. Contribuzione correlata ................................................................................... 115 12. Equilibrio finanziario dei Fondi ..................................................................... 115 13. Comitato amministratore ................................................................................ 116 14. Requisiti di competenza e assenza di conflitto di interesse ........................ 117 15. Requisiti di onorabilità ..................................................................................... 118 16. Disposizioni generali ........................................................................................ 118 17. Disposizioni particolari .................................................................................... 119 18. Abrogazioni ....................................................................................................... 120

AMMORTIZZATORI SOCIALI E POLITICHE ATTIVE

Capitolo I – La nuova assicurazione sociale per l'impiego

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Capitolo I LA NUOVA ASSICURAZIONE SOCIALE

PER L’IMPIEGO Sommario: 1. Premessa

1. Premessa Attraverso il D.Lgs. n. 22/2015, entrato in vigore il 7 marzo 2015

(ma la parte più importante relativa alla nuova ASpI è dal successivo 1° maggio), si è data attuazione alla delega contenuta nella legge n. 183/2014.

La breve riflessione che segue seguirà, pedissequamente, l’articolato, ricordando che l’INPS ha fornito le proprie direttive amministrative, at-traverso le circolari n. 94 del 12 maggio e n. 194 del 27 novembre 2015.

Art. 1 Dal 1° maggio 2015, viene istituita la Nuova Assicurazione Sociale

per l’Impiego (NASpI), con la funzione di sostegno del reddito in favore dei lavoratori che, involontariamente, hanno perso un lavoro. Essa sosti-tuisce l’ASpI e la mini-ASpI, già previste dall’art. 2 della legge n. 92/2012.

Art. 2 La NASpI si applica a tutti i lavoratori dipendenti: le uniche eccezioni

concernono i dipendenti a tempo indeterminato della Pubblica Ammini-strazione (tali sono i datori di lavoro richiamati dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001) e gli operai agricoli a tempo determinato od inde-terminato che, per questo specifico aspetto, godono di una disciplina di settore.

Art. 3 I requisiti richiesti debbono essere posseduti congiuntamente e sono:

a) stato di disoccupazione involontaria, a seguito di licenziamento (i sog-getti debbono essere disponibili alla svolgimento ed alla ricerca di una occupazione secondo le modalità fissate dai servizi competenti): vi rientrano, per effetto dei chiarimenti intervenuti da parte del Ministero del Lavoro nel corso del mese di aprile 2015, anche i soggetti che

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hanno accettato l’offerta conciliativa ex art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015, attesoché si tratta pur sempre di lavoratori licenziati;

b) almeno tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio dello stato di disoccupazione;

c) almeno trenta giornate lavorative (a prescindere dal minimale) nei do-dici mesi antecedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. L’indennità viene riconosciuta anche in caso di dimissioni per giusta

causa (e valgono le interpretazioni amministrative fornite, a suo tempo, dall’INPS per la fruizione dell’indennità di disoccupazione) ed in caso di risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966.

Art. 4 La misura della indennità è rapportata alla retribuzione imponibile

ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni (vi rientrano sia le mensi-lità aggiuntive che gli elementi continuativi e non continuativi), divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il coef-ficiente 4,33. Essa è pari al 75% delle quote di retribuzione fino a 1195 euro, rivalutato annualmente secondo l’indice ISTAT. Se la somma è superiore va aggiunto il 25% delle quote di retribuzione eccedenti i 1195 euro, con un massimo fissato a 1300 euro, anch’esso rivalutato annualmente. La somma non è soggetta al prelievo contributivo pari al 5,84%.

Art. 5 L’indennità è corrisposta mensilmente per un numero pari alla metà

delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni (quindi, per un massimo di due anni). Nel computo non rientrano i periodi contributivi che hanno già dato luogo alla erogazione di prestazioni di disoccupa-zione.

Il valore dell’indennità cala del 3% al mese a partire dal quinto mese, ma dal 2016 l’abbattimento inizia dal quarto mese.

Art. 6 L’istanza per la fruizione va presentata, in via telematica, all’INPS

entro sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Essa spetta dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto, se l’istanza viene presentata entro l’ottavo giorno o, in alternativa, dal giorno

Capitolo I – La nuova assicurazione sociale per l'impiego

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successivo a quello di presentazione della domanda, se questa viene pre-sentata dopo l’ottavo giorno.

Art. 7 La fruizione dell’indennità è condizionata alla regolare partecipazione

del lavoratore alle iniziative di attivazione lavorativa ed ai percorsi di ri-qualificazione proposti dai servizi competenti. Attraverso il decreto legi-slativo n. 150/2015 (corretto, in alcuni punti, dal decreto legislativo n. 185/2016) che ha attuato l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (AN-PAL), sono individuate misure destinate a condizionare il godimento dell’indennità alla ricerca di una occupazione ed al reinserimento produt-tivo. Le condizioni saranno determinate da un DM del Ministro del La-voro al termine di un iter procedimentale che vede coinvolta la confe-renza Stato-Regioni.

Art. 8 La norma, ricalcando precedenti esperienze relative alla fruizione

dell’indennità di mobilità, e di quella di ASpI in un’unica soluzione (per la parte non goduta), afferma che ciò potrà avvenire: a) a titolo di incentivo per l’avvio di una attività autonoma o di impresa

individuale; b) per la sottoscrizione di una quota sociale di una cooperativa in cui il

rapporto mutualistico ha per oggetto la prestazione lavorativa del so-cio. L’erogazione in una sola soluzione non dà diritto agli assegni familiari

ed alla contribuzione figurativa. Il lavoratore deve inoltrare all’INPS, in via telematica, a pena di de-

cadenza, una domanda entro i trenta giorni successivi dalla data di inizio dell’attività autonoma o di impresa individuale o dalla data di sottoscri-zione della quota di capitale sociale della cooperativa.

Il lavoratore che instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo cui si riferisce l’indennità di NASpI è tenuto alla restituzione dell’intero importo con la sola eccezione del caso in cui il rapporto di lavoro subordinato sia stato instaurato con la cooperativa con la quale ha sottoscritto la quota del capitale.

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Art. 9 Si tratta di un articolo molto importante atteso che disciplina i casi in

cui il lavoratore beneficiario svolge attività lavorativa subordinata. Se il reddito annuale derivante dal rapporto di lavoro subordinato è

superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, il lavoratore decade dalla prestazione, fatto salvo il caso che la durata del rapporto non sia superiore a sei mesi, cosa che comporta la sospensione d’ufficio per la durata del rapporto. La contribuzione relativa è utile ai fini della matu-razione dei requisiti e della durata di una eventuale ulteriore prestazione in caso di futura disoccupazione.

Se il reddito annuale derivante da rapporto di lavoro subordinato è inferiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, resta il diritto all’indennità che, però, è ridotta di un importo pari all’80%, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina l’indennità o, se antecedente, a condizione che: a) il lavoratore comunichi all’INPS, il reddito annuo previsto: ciò va fatto

entro trenta giorni dopo l’inizio dell’attività; b) il datore di lavoro o l’utilizzatore (se c’è un contratto di somministra-

zione) siano diversi dal datore o dall’utilizzatore per i quali il lavoratore prestava la propria attività quando è cessato il rapporto che ha deter-minato il diritto alla NASpI e non presentino rapporti di collegamento o di controllo o assetti proprietari sostanzialmente coincidenti. Anche in questo caso ai fini della contribuzione versata valgono i principi sopra indicati. Il lavoratore titolare di più rapporti a tempo parziale che cessa per

licenziamento, risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966, o dimissioni per giusta causa, da uno di questi rapporti, ed il cui reddito sia inferiore al limite utile per la conservazione dello stato di disoccupa-zione, ha diritto, se in possesso degli altri requisiti, a percepire l’indennità ridotta: ovviamente, deve comunicare all’INPS, entro trenta giorni dalla domanda con la quale chiede l’indennità, il reddito annuo previsto.

Art. 10 La norma tratta l’ipotesi in cui durante la fruizione della indennità il

lavoratore intraprenda una attività autonoma o di impresa individuale dalla quale scaturisca un reddito inferiore al limite utile ai fini della con-servazione dello stato di disoccupazione. Nei trenta giorni successivi

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all’inizio dell’attività sussiste l’obbligo di comunicare all’INPS il reddito annuo previsto. La riduzione dell’indennità è pari all’80% ed è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Se il lavoratore non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve autocertificare il reddito dichiarato con una comunicazione inviata all’INPS entro il 31 marzo dell’anno successivo.

Art. 11 La decadenza dalla indennità è prevista per:

a) perdita dello stato di disoccupazione; b) inizio di una attività subordinata o di attività autonoma o di impresa

individuale senza che il lavoratore provveda alle comunicazioni obbli-gatorie nei confronti dell’INPS;

c) raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata;

d) acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, a meno che l’interessato non opti per la NASpI.

Art. 12 La contribuzione figurativa è correlata alla retribuzione imponibile ai

fini previdenziali degli ultimi quattro anni, divisa per il numero delle set-timane di contribuzione e moltiplicata per 4,33, entro il limite di retribu-zione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile dell’indennità per l’anno in corso.

Art. 13 A partire dal 1° maggio 2015, la NASpI è corrisposta non soltanto ai

soci lavoratori delle cooperative ex D.P.R. n. 602/1970 ma anche al per-sonale artistico con rapporto di lavoro subordinato: gli importi sono gli stessi previsti, nella totalità dei casi, dall’art. 4.

Art. 14 Alla NASpI si applicano per quanto compatibili le disposizioni in

materia di ASpI.

Art. 15 Prevista per il 2015 e, poi, prorogata nel 2016, la DIS-COLL è stata

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ulteriormente prorogata fino al 30 giugno 2017 dalla legge n. 19/2017 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 144/2016. La DIS-COLL dovrebbe, poi, divenire strutturale per effetto di un emendamento che è stato inserito nel disegno di legge sul lavoro autonomo attualmente all'e-same del Parlamento.

In attesa del superamento delle collaborazioni coordinate e continua-tive anche a progetto viene prevista, in via sperimentale, per gli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel corso del 2015, prorogata an-che al 2016, una indennità (con esclusione di sindaci ed amministratori), per i soggetti iscritti, in via esclusiva, alla gestione separata INPS, non pensionati e privi di partite IVA.

L’indennità (DIS–COLL) viene riconosciuta alle seguenti condizioni: a) stato di disoccupazione al momento di presentazione dell’istanza; b) tre mesi di contribuzione nel periodo compreso tra il 1° gennaio

dell’anno solare antecedente la cessazione dell’attività e tale evento; c) un mese di contribuzione nell’anno in cui si è verificato l’evento di

cessazione dell’attività, oppure un rapporto di collaborazione di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo ad un reddito pari almeno alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione. L’indennità è legata alla permanenza nello stato di disoccupazione ed

alla partecipazione alle iniziative anche di riqualificazione professionale offerte dai servizi competenti.

L’indennità è rapportata al reddito imponibile ai fini previdenziali de-rivante dai contributi versati a seguito dei rapporti di collaborazione, re-lativo all’anno nel quale si è verificata la cessazione dell’attività lavorativa ed all’anno solare precedente, diviso per il numero dei mesi di contribu-zione, con valori percentuali che sono del tutto simili a quelli previsti per la NASpI. L’indennità subisce una riduzione mensile del 3% a partire dal quarto mese.

La DIS–COLL viene corrisposta a cadenza mensile per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione che risultano accreditati nel periodo compreso tra il 1° gennaio dell’anno precedente la cessazione dell’attività e l’evento. Non vengono calcolati i periodi contributivi che hanno già portato ad una erogazione dell’indennità. La durata massima non può superare i sei mesi.

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I contributi figurativi non vengono riconosciuti per i periodi di frui-zione della DIS–COLL.

L’istanza va presentata, in via telematica, all’INPS entro sessantotto giorni (ed il termine ha natura perentoria).

La DIS–COLL spetta: a) dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto; b) dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se questa

viene inviata dopo l’ottavo giorno. In caso di nuova occupazione a tempo determinato il lavoratore de-

cade dal diritto all’indennità se il rapporto ha una durata superiore a cin-que giorni. Se è, invece, di durata inferiore, l’indennità viene sospesa d’uf-ficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie riprende a decorrere al termine del periodo di sospensione.

Se viene iniziata una attività autonoma o di impresa individuale il la-voratore ha l’obbligo di comunicare all’INPS l’inizio dell’attività ed il red-dito che presume di ottenere: il tutto va effettuato entro trenta giorni dall’inizio dell’attività, pur se pensa che dallo stesso derivi un reddito in-feriore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupa-zione. L’indennità è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previ-sto e viene calcolata d’ufficio al momento della presentazione della de-nuncia dei redditi. Se il lavoratore non è tenuto alla stessa, entro il 31 marzo dell’anno successivo, deve presentare all’Istituto una auto dichia-razione riguardante il reddito ricavato dall’attività lavorativa, pena la re-stituzione della stessa.

I collaboratori coordinati e continuativi già beneficiari dell’”una tan-tum” ex art. 2, commi da 51 a 56, della legge n. 92/2012, fruiscono, fino al 31 dicembre 2015, della nuova prestazione.

Art. 16 A decorrere dal 1° maggio 2015 e per il 2015 (successivamente pro-

rogato al 2016 e, poi, al 2017), viene introdotto l’assegno di disoccupa-zione (ASDI).

L’ASDI è destinato ai fruitori di NASpI che, al termine del tratta-mento, siano privi di occupazione ed in condizione economica di biso-gno. In sede di prima applicazione l’ASDI è riservata ai lavoratori con nuclei familiari con minorenni ed ai lavoratori vicini al pensionamento.

L’indennità è condizionata alla partecipazione obbligatoria (pena la

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perdita dell’ASDI) a tutte le iniziative formative e di riqualificazione offerte dai servizi competenti ed alla accettazione di adeguate proposte di lavoro.

L’indennità è erogata con cadenza mensile, per un massimo di sei mesi, in misura pari al 75% dell’ultima indennità NASpI percepita e, co-munque, non superiore all’importo dell’assegno sociale (nel 2015 il valore mensile è 448,52 euro), incrementato con gli eventuali carichi familiari.

L’estensione dell’ASDI ad anni successivi è rimandata ad eventuali futuri provvedimenti normativi.

Art. 17 Dopo una semplice apparizione all’interno del comma 215 dell’art. 1

della legge n. 147/2013, il contratto di ricollocazione assume una propria specifica identità come strumento di politica attiva del lavoro attraverso l’art. 17 e, soprattutto, attraverso il “Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria” isti-tuito presso l’INPS e finanziato con 18 milioni di euro per il 2015 e 20 milioni per il 2016: a tali somme si aggiunge un ulteriore importo, per il 2015, pari a 32 milioni di euro tratti dal gettito proveniente dal contributo previsto dall’art. 2, comma 31, della legge n. 92/2012 che è quello deri-vante dalla risoluzione dei contratti a tempo indeterminato calcolati su un massimo di trentasei mesi di anzianità aziendale (valore massimo della contribuzione riferita al 2015 pari a 1470,30 euro). Le modalità esplicative e quelle relative ai versamenti che hanno causato, nel tempo, molte criti-che, sono state dettate dall’INPS con la circolare n. 44/2013. Le Regioni, attraverso l’attività di programmazione delle politiche attive del lavoro, come postulato dall’art. 1, comma 4, lettera u), della legge delega n. 183/2014, possono attuare e finanziare il contratto di ricollocazione.

Ma, quale è l’iter del contratto di ricollocazione e, soprattutto, in cosa consiste?

Potranno beneficiare del nuovo strumento di politica attiva i soggetti in stato di disoccupazione che hanno diritto a ricevere dai servizi per il lavoro pubblici o privati accreditati un servizio di assistenza intensiva fi-nalizzato alla ricerca di un lavoro a condizione che gli stessi si sottopon-gano alla procedura di definizione del proprio profilo di occupabilità, come definito dall’art. 1, comma 4, della legge n. 183/2014.

L’obiettivo dell’Esecutivo è quello di fare del contratto di ricolloca-zione lo strumento di raccordo tra le politiche passive e quelle attive

Capitolo I – La nuova assicurazione sociale per l'impiego

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(ahimè, finora sostanzialmente assenti nel nostro ordinamento) attra-verso una sorta di condizionamento: “ti sostengo a condizione che tu segua un certo percorso e ti sottoponga ad una serie di iniziative finaliz-zate ad un tuo reingresso nel mondo del lavoro”. Sembra un principio ovvio e di civiltà moderna del lavoro ma, nel nostro Paese è, da sempre, mancata al tavolo delle politiche occupazionali quella della ricerca effet-tiva di una occupazione, seguita, monitorata ed assistita, essendo stata rimessa ad iniziative personali e di “sostanziale, tacita accettazione” del principio: “io ti do un beneficio economico legato al tuo status di lavora-tore disoccupato o in mobilità e, poi, arrangiati”, cosa che ha portato (è inutile ignorarlo) alla proliferazione del lavoro nero durante il periodo di “godimento” del sostegno al reddito. Con questo provvedimento, sia pure in modo prudente (su ciò influiscono le scarse risorse finanziarie) si tenta di spostare il diritto del lavoro dalla difesa, ad oltranza, del posto (con interventi economici di sostegno al reddito che hanno accompa-gnato i lavoratori anche in presenza di aziende in stato di “decozione” senza alcuna possibilità di ripresa produttiva) alla occupabilità, secondo uno schema operativo ben presente, da anni, nei Paesi del nord Europa.

Il passaggio tra la prima e la seconda lettura che ha dato origine al testo definitivo si è avvalso del proficuo confronto all’interno della Conferenza Stato-Regioni, cosa che ha portato all’allargamento della platea degli inte-ressati: in un primo momento la “chance” era riservata ai lavoratori “neo assunti” licenziati illegittimamente, anche per giustificato motivo oggettivo o a seguito di procedura collettiva di riduzione di personale (la norma, pur non parlandone esplicitamente, sembrava, inopinatamente, escludere an-che chi, seppur licenziato, non aveva fatto opposizione o aveva accettato l’offerta conciliativa ex art. 6 del D.Lgs. n. 23/2015).

I disoccupati ammessi al percorso ricollocativo (comma 3) hanno di-ritto di ricevere dal centro per l’impiego territorialmente competente (in base alla residenza) una “dote individuale di ricollocazione” che si con-cretizza in un “voucher economico”, condizionato dal profilo delle pro-prie competenze professionali. L’ammontare sarà diverso in relazione alla occupabilità del soggetto che, al momento, non appare quantificato, ma lo sarà quando sarà pienamente operativo il Decreto Legislativo attuativo n. 150/2015. L’operazione di profilazione da parte dei centri per l’im-piego (una prima esperienza è in corso con il programma “Garanzia Gio-

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vani”) è assolutamente propedeutica alla individuazione del grado di dif-ficoltà occupazionale.

Effettuata questa operazione il lavoratore si deve presentare presso una struttura pubblica o privata per il lavoro che si è accreditata e sotto-scrivere un contratto di ricollocazione con la stessa che deve contenere alcuni elementi essenziali: a) diritto del lavoratore ad una assistenza appropriata, programmata,

strutturata e gestita secondo le migliori tecniche di settore; b) diritto del lavoratore a che l’agenzia effettui iniziative di ricerca, adde-

stramento, formazione o riqualificazione professionale mirate su sboc-chi occupazionali effettivamente esistenti (e non corsi di formazione teorici senza – o con scarse – prospettive) in relazione sia alle capacità dell’interessato che delle condizioni del mercato del lavoro locale;

c) dovere del lavoratore di porsi effettivamente a disposizione e di coo-perare con le iniziative dell’Agenzia. Una riflessione appare necessaria: il Legislatore delegato parla di

“agenzie accreditate” senza ulteriori specificazioni: bisognerà vedere se sarà ipotizzata una nuova procedura di accreditamento o (ma non se ne è parlato) si faccia riferimento alla previsione contenuta nell’art. 7 del D.Lgs. n. 276/2003 (con i sistemi di accreditamento regionali che, in pas-sato, sono stati molto limitati, sia in termini numerici che di funzionalità). Tutto questo impatterà con l’attività dei centri per l’impiego che, già ca-renti sotto l’aspetto delle politiche attive e promozionali, sono in una fase di passaggio delicata che, tra le altre cose, vede il superamento delle Pro-vince per effetto della legge n. 54/2014.

Come si diceva, l’ammontare della dote individuale è proporzionale alla profilazione ed il soggetto accreditato ha diritto ad incassarlo soltanto allorquando il risultato occupazionale sarà raggiunto: il Decreto Legisla-tivo n. 150/2015, attuativo di uno dei principi contenuti nella legge n. 183/2014, emanato in materia di politiche attive del lavoro prevede forme adeguate di controllo e di raggiungimento del risultato previsto. Con questo provvedimento, presumibilmente, si darà una configurazione completa al contratto di ricollocazione che, come appena visto, non può limitarsi alla consegna di un “buono” finalizzato alla accettazione di un percorso (tutto da scrivere e da verificare) finalizzato ad una occupabilità discendente dal grado di profilazione.

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Ma, quali sono le conseguenze per il soggetto che, senza alcuna plau-sibile motivazione non si fa parte attiva nelle iniziative proposte, non fre-quenta corsi di qualificazione, riqualificazione o di addestramento o ri-fiuta una offerta congrua di lavoro ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 181/2000 pervenuta all’interno del programma di accom-pagnamento attivo al lavoro?

Il soggetto decade sia dalla fruizione della dote individuale che dallo stato di disoccupazione, con la perdita del diritto alla NASpI.

La nuova esperienza dei contratti di ricollocazione (alcune sperimen-tazioni a livello regionale sono in corso in Lombardia e, per gli ex dipen-denti dell’Alitalia, nel Lazio) rappresenta una opportunità, veramente nuova ai fini del reingresso nel mondo produttivo: si dovrebbe passare da un sistema in cui, finora, la “dote” che il lavoratore poteva portare al possibile nuovo datore di lavoro era, unicamente, rappresentata dalle possibili assunzioni correlate alla sua posizione personale, attraverso un sistema di ricerca personale, di “passa parola”, attesa anche l’assenza ope-rativa sul mercato del lavoro dei centri per l’impiego (fatte salve, alcune lodevoli eccezioni) che sono stati soltanto meri recettori di moduli, di richieste, ma non soggetti attivi.

C’è il rischio che le attenzioni delle Agenzie (almeno di una parte di esse) si concentrino sui lavoratori che presentano maggiori possibilità di ricollocazione: ma qui, sta alle Regioni ed alle Province Autonome “in primis”, che hanno competenza primaria sulla materia, ma anche al Mi-nistero del Lavoro ed alla costituenda Agenzia Nazionale per l’Occupa-zione (i cui contenuti operativi non sono ancora conosciuti) fare in modo di “tarare”, significativamente, l’entità del riconoscimento economico al grado di “ricollocabilità” del soggetto interessato.

Per quel che può valere si ricordano alcune linee di indirizzo espresse dalla Regione Lombardia per il contratto di ricollocazione. Esse appaiono ispirate da una logica razionale e si possono riassumere nel modo seguente: a) il contratto di ricollocazione va stipulato tra il lavoratore e l’Agenzia

prescelta, con un raccordo con il servizio pubblico; b) va assicurata una disponibilità ragionevole, nel senso che il servizio di

assistenza deve essere indirizzato, prioritariamente, al reperimento di un lavoro corrispondente alle capacità professionali;

c) va specificato, “a priori” se la collaborazione del soggetto in cerca di occupazione è, in termini temporali, a tempo pieno o parziale;

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d) il “tutor” designato dall’Agenzia deve essere identificato anche come responsabile del servizio e del controllo degli adempimenti posti a ca-rico del lavoratore;

e) il servizio, a carico del lavoratore, deve essere completamente gratuito; f) il lavoratore, qualora sia inottemperante (ad esempio, non frequenti,

senza alcuna plausibile giustificazione, un corso di riqualificazione professionale, o non accetti un posto di lavoro che corrisponda alle caratteristiche fissate nel contratto di ricollocazione, susseguente alla profilazione), va segnalato al servizio per l’impiego competente per una sospensione del trattamento di sostegno del reddito o di ASpI. Indubbiamente, il sistema dei voucher “costa”: però, a fronte degli

esborsi già programmati nel Decreto Legislativo n. 22/2015 ci si deve porre la domanda di quanto costi alla collettività un sistema che lascia un lavoratore in balia delle sole “politiche passive”, con gli ammortizzatori sociali erogati fino alla scadenza (ed anche oltre sol che si pensi a quelli in deroga), senza alcuna occupazione stabile all’orizzonte e con forme di “lavoro nero” sempre più dilagante, che viene inteso, nel “comune sen-tire” degli interessati, come forma di integrazione del reddito.

L’esecutivo si rende conto della scarsità delle risorse e il comma 7 prevede che alla eventuale estensione del rifinanziamento del Fondo per gli anni successivi al 2015 si provveda con una quota parte delle risorse derivanti dai decreti legislativi attuativi della legge delega n. 183/1984.

Una riflessione va, necessariamente, effettuata sul momento in cui questo primo strumento di politica attiva si cala nel nostro ordinamento: le Province, dalle quali formalmente dipendono i centri per l’impiego che già di per sé mostrano i segni evidenti di una scarsa capacità di incidere sul mercato del lavoro, sono state esautorate nelle loro competenze per effetto dei provvedimenti adottati nel corso del 2014. La nuova Agenzia nazionale per il Lavoro, pur “ufficialmente nata” con il D.Lgs. n. 150/2015, ha emesso soltanto il primo “vagito” con la nomina del suo Presidente e sta, ancora, strutturandosi (ha, tra l’altro, assorbito, dal 1° gennaio 2017, le funzioni ed il relativo personale della Direzione Gene-rale per le politiche attive e per l’impiego del Ministero del Lavoro): tutto questo, pur nella positività del contratto di ricollocazione, rischia, forte-mente, di pesare sull’avvio compromettendone, da subito, l’efficacia.

Capitolo II – La nuova cassa integrazione guadagni ordinaria

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Capitolo II LA NUOVA CASSA INTEGRAZIONE

GUADAGNI ORDINARIA Sommario: 1. Premessa 2. Chiarimenti operativi su alcuni profili essenziali 3. Concessione dell'integrazione salariale ordinaria 4. Esame delle domande ed isti-tuzione della relazione tecnica 5. Mancanza di lavoro e di commesse o crisi di mercato 6. Fine di cantiere, di lavoro, di fase lavorativa, perizia di variante e sup-pletiva al progetto 7. Mancanza di materie prime o componenti 8. Eventi meteo-rologici 9. Sciopero di un reparto o di altra impresa 10. Incendi, crolli, alluvioni, calamità naturali e mancanza di energia elettrica 11. Guasti ai macchinari e manu-tenzione straordinaria 12. Cumulo tra CIGO e contratti di solidarietà 13. Moti-vazione del provvedimento e supplemento di istruttoria 14. Considerazioni con-clusive

1. Premessa La riforma degli ammortizzatori sociali, realizzatasi con il decreto le-

gislativo n. 148/2015 e con una piccola correzione intervenuta con il de-creto legislativo n. 185/2016, è una sorta di cantiere aperto nel senso che, con cadenza pressoché quotidiana, si succedono, su varie questioni, prov-vedimenti normativi e chiarimenti amministrativi provenienti sia dal Mi-nistero del Lavoro che dall'INPS: a tale destino non sfugge la nuova CIGO che, dopo l'emanazione del decreto ministeriale n. 95442 ha regi-strato, in data 1 luglio 2016, l'emanazione da parte dell'Istituto del mes-saggio n. 2908 con il quale vengono forniti una serie di elementi e di indirizzi operativi ai Direttori delle sedi chiamati ad esaminare le istanze ed a concedere il trattamento ordinario di integrazione salariale, dopo la fine della competenza delle commissioni provinciali per l'industria e l'e-dilizia, avvenuta il 31 dicembre 2015. Successivamente, pur rimandando ad una successiva nota le questioni legate al contributo addizionale, l'I-stituto, in data 1 agosto 2016, ha emanato la circolare n. 139 che esamina, in maniera precisa ed approfondito una serie di problemi e, al contempo, fornisce ai Direttori delle sedi elementi particolarmente pre-cisi e puntuali finalizzati a rendere uniformi, sul territorio, le decisioni adottate dagli stessi.

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Per completezza di informazione si ricorda che un primo chiari-mento amministrativo era intervenuto con la circolare n. 197/2015 alla quale era seguita la n. 7/2016 che si era soffermata, in particolar modo, sul "radicamento" della competenza territoriale delle varie sedi per la presentazione, la valutazione e la decisione delle istanze.

La circolare n. 139 ricorda che, a breve, la gestione delle integrazioni salariali ordinarie cambierà completamente e sarà gestita attraverso il si-stema del "Ticket" che prevede: a) l'invio della domanda di prestazione e del flusso Uniemens da parte

dell'azienda con associazione del ticket in caso di richiesta di CIGO; b) la concessione della prestazione da parte delle sedi territoriali

dell'INPS; c) l'abbinamento della stessa con i flussi informativi inviati; d) il controllo sui dati delle sospensioni inviati con l'Uniemens, il calcolo

della prestazione autorizzabile ed il pagamento della stessa, distinto tra diretto ed anticipato dall'azienda, soggetto a conguaglio. Il D.M. n. 95442 del 15 aprile 2016, richiesto dall'art. 16 del decreto

legislativo n. 148/2015, doveva uscire entro lo scorso 23 novembre, ma ritardi burocratici ne hanno rallentato l'emanazione: destinato a fornire indicazioni ai Direttori dell'INPS per l'esame e la concessione dei trattamenti di integrazione salariale ordinaria è stato reso noto nella seconda metà di maggio e, successivamente, pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Il messaggio e la circolare dell'INPS sopra citati, che saranno oggetto di riflessione unitamente ai contenuti del D.M., ribadiscono che il ricorso a questo ammortizzatore sociale richiede "situazioni transitorie e di breve durata" legate, essenzialmente, ma non solo (come si vedrà, successivamente) a situazioni di carenza di commesse o crisi di mercato e che, in ogni caso, dalla documentazione prodotta o successivamente ri-chiesta, il Direttore della sede, al momento della emanazione del prov-vedimento concessorio, potrà dedurre elementi positivi attestanti, da un lato, la solidità finanziaria e, dall'altro, la certezza che al termine del periodo di sospensione o di riduzione dell'orario, l'impresa possa ripren-dere la normale attività produttiva.

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2. Chiarimenti operativi su alcuni profili essenziali Il Decreto Ministeriale si sostanzia in una serie di definizioni, già, pe-

raltro, conosciute dagli addetti ai lavori: l'analisi che segue percorrerà, articolo per articolo, quanto stabilito dal provvedimento, premettendo una serie di definizioni, procedure ed istituti che è opportuno ricapi-tolare sia pure brevemente.

Ci si riferisce, in particolare, ai concetti di unità produttiva ed ai 90 giorni di lavoro effettivo. Qui la circolare INPS n. 197/2015 ha fatto riferimento ad un orientamento giurisprudenziale consolidato ove con tale espressione si identificano le sedi, le filiali, gli stabilimenti ed i laboratori funzionalmente autonomi, con esclusione dei cantieri tempo-ranei e di quelli edili di breve durata che erano quelli (messaggio INPS n. 7336/2015) la cui attività non superava i sei mesi, ma che la circolare n. 139, su espressa indicazione del Ministro del Lavoro, ha ridotto ad un mese. La stessa nota oltre a ribadire che la sussistenza dell'unità produt-tiva deve essere autocertificata dal datore di lavoro all'atto della presen-tazione dell'istanza, chiarisce che in presenza di un appalto verbale, non potendo essere allegato alcun contratto, lo stesso dovrà essere autocerti-ficato. Ovviamente, il personale deve essere adibito in maniera continua-tiva nell'unità produttiva che deve svolgere in tutto od in parte l'attività di produzione di servizi o di beni dell'impresa.

Per quel che riguarda, invece, il requisito dell'anzianità aziendale di 90 giorni esso vale sempre, fatta salvo il caso in cui l'evento sia impon-derabile o in presenza di un appalto e i 90 giorni, se necessario, si considerano con riguardo all'anzianità maturata sul posto di lavoro (quindi, calcolando anche il periodo trascorso alle dipendenze del prece-dente appaltatore). I 90 giorni, da verificare al momento della presenta-zione della domanda, sono raggiungibili, per effetto di quanto previsto nella circolare del Ministero del Lavoro n. 24/2015, computando anche le ferie, le festività, gli infortuni ed i periodi di astensione obbligatoria. La circolare n. 139 chiarisce, opportunamente, due questioni che avevano sollevato alcuni dubbi: la prima relativa alla computabilità del sabato e delle giornate di riposo domenicale (o altro giorno della settimana) laddove l'orario settimanale risulta articolato su 5 giorni, è stata risolta positivamente, partendo dal presupposto che esse si inseriscono, senza soluzione di continuità, nel normale rapporto di lavoro. La seconda ri-guarda il "trascorrere" dei 90 giorni di lavoro effettivo con lo svolgimento,

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sempre nella stessa unità produttiva, di mansioni diverse: ebbene, anche qui, la risposta è stata positiva in quanto il Legislatore delegato si è riferito all'art. 1, comma 2, non al tipo di attività svolta, ma al "mero" decorso temporale. Ovviamente, ad avviso di chi scrive, tali orientamenti, sicura-mente concordati con il Dicastero del Lavoro, si applicano anche per gli interventi di CIGS.

Nulla è cambiato, rispetto al passato, circa il campo di applicazione (art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015), le causali (art. 11), la procedura per l'esame congiunto ed i tempi per la definizione della stessa (art. 14), mentre ciò che è mutato (oltre alla contribuzione addizionale particolar-mente pesante) riguarda i tempi di presentazione dell'istanza telematica che va prodotta alla Direzione dell'INPS competente per territorio, con la documentazione richiesta, entro i 15 giorni successivi all'inizio della sospensione o della riduzione di orario (art. 15, comma 2): tale regola, come vedremo, non è assoluta in quanto per gli eventi oggettivamente non evitabili l'art. 2 del decreto legislativo n. 185/2016, dispone la fissa-zione del termine con la fine del mese successivo.

Va, in ogni caso, rimarcato come, a proposito dell'esame congiunto (la norma non richiede il raggiungimento dell'accordo) l'Istituto richieda, nel quadro N, copia sia della comunicazione inviata alle organizzazioni sindacali che dell'eventuale verbale di consultazione: l'importanza di tale richiesta risiede nel fatto che la mancata attivazione è motivo di rigetto dell'istanza.

La circolare n. 139 affronta, poi, la questione delle ferie e del trattamento integrativo salariale ordinario ove viene richiamato l'indi-rizzo espresso dal Ministero del Lavoro con l'interpello n. 19/2011: se l'intervento integrativo è a "zero ore", le ferie maturate potranno ben essere "godute" in un periodo successivo alla ripresa dell'attività produt-tiva, nel rispetto della previsione contenuta nell'art. 10 del decreto legisla-tivo n. 66/2003. Diverso, invece, si presenta il discorso relativo ad un intervento salariale ad "orario ridotto": qui, ricorda la nota dell'Istituto, il datore di lavoro non può differire la fruizione delle ferie maturate, in quanto le stesse sono finalizzate al recupero psico-fisico delle energie.

La circolare chiarisce, anche alla luce del messaggio n. 779/2016, il significato relativo al calcolo di 1/3 delle ore ordinati lavorabili (il para-metro sono i dipendenti occupati nel semestre precedente), nella versione contenuta al comma 5 dell'art. 12. Qui le autocertificazioni dei datori

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di lavoro debbono avere ad oggetto "le ore di integrazione salariale effet-tivamente fruite".

Prima di entrare nel merito dell'articolato va sottolineato come il concetto della ripresa effettiva dell'attività aziendale sia sempre imma-nente e la relazione tecnica tenda sempre a valorizzare questa condi-zione essenziale.

In tale logica va esaminato anche il problema della CIGO e degli eventuali esuberi: la circolare n. 139 chiarisce, qualora ce ne fosse biso-gno, che la concessione della CIGO "costituisce un diritto soggettivo perfetto" nei confronti dei lavoratori interessati e che eventuali risolu-zioni del rapporto, durante la fruizione, sia per licenziamento che per dimissioni non esplicano alcun effetto sul provvedimento. La questione, invece, va tenuta presente nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una istanza di proroga: qui, occorrerà ben valutare se la causale sia riconducibile a quelle ordinarie, di natura transitoria, oppure sia un modo per gestire gli esuberi (ed in questo caso non va concessa). In ogni caso, prima della concessione, il Direttore della sede dovrà valutare una serie di situazioni sia preesistenti che coeve alla domanda, come l'apertura di una procedura di mobilità, una istanza di fallimento o una richiesta di concordato preven-tivo.

Ma cosa succede se ad un periodo di CIGO l'imprenditore fa seguire una richiesta di CIGS (riorganizzazione o crisi aziendale)?

Le motivazioni alla base dei due istituti sono diverse e la crisi azien-dale potrebbe benissimo, dice la circolare n. 139, essersi aggravata: di conseguenza, qualora sussistano i presupposti per l'autorizzazione di CIGO, essa va rilasciata o, se già rilasciata, essa è perfettamente legittima.

Ma, l'azienda può "passare" dalla CIGO alla CIGS (a prescindere dalle causali) senza riprendere l'attività produttiva (elemento essenziale ai fini della fruizione della integrazione salariale ordinaria)?

La risposta fornita dall'Istituto è positiva. È possibile, dopo 52 settimane di CIGO, seguito da un periodo di

"solidarietà" difensiva abbastanza lungo (due anni) chiedere un nuovo in-tervento di CIGO?

La risposta della circolare n. 139 è positiva (purché sussistano le condizioni "legali" e di ammissibilità della richiesta), in quanto l'intervento del contratto di solidarietà difensivo si configura come una "ripresa dell'at-tività", sia pure ad orario ridotto.

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Un altro chiarimento fornito dall'INPS riguarda gli eventi non og-gettivamente evitabili di cui parla l'art. 12, comma 4, del decreto legi-slativo n. 148/2015: i periodi concessi (ma sono escluse le imprese industriali ed artigiane dell'edilizia ed affini, del settore lapideo e dell'e-scavazione) non rientrano nel computo delle 52 settimane all'interno del biennio mobile, ma sono compresi sia nei 24 mesi del quinquennio mo-bile che nel terzo delle le ordinarie lavorabili nel biennio mobile (art. 12, comma 5), essendo questo un limite quantitativo relativo alle ore autoriz-zabili.

La circolare n. 139 ricorda, poi, qualora ce ne fosse bisogno, che è il datore di lavoro ad anticipare ai lavoratori il trattamento, potendolo recu-perare, successivamente (ma entro il termine perentorio di sei mesi) at-traverso il sistema del conguaglio. In presenza di documenti difficoltà finanziarie, (v. Allegato n. 2 alla circolare n. 197/2015) l'Istituto può autorizzare, anche in contemporanea con il provvedimento di conces-sione, il c.d. "pagamento diretto".

Fatte queste doverose e necessarie premesse, si entra nel merito di quanto affermato dal D.M. n. 95442.

3. Concessione dell'integrazione salariale ordinaria L'art. 1 effettua un chiaro richiamo alle causali generali, già indivi-

duate dal Legislatore delegato, che sono: situazioni aziendali dovute a fatti transitori e non imputabili

all'impresa o ai lavoratori, incluse le intemperie stagionali: la non imputabilità fa riferimento alla involontarietà dell'evento ed alla sua non riconducibilità a negligenza imprenditoriale (come una cattiva organizzazione) o ad imperizia dei dipendenti. La transitorietà è un altro elemento essenziale: essa va coniugata ad una prevedibile ripresa della normale attività al termine del trattamento di integrazione salariale. Qui, la circolare n. 139 declina, in maniera precisa e puntuale che, in presenza di situazioni "cicliche" che si ripetono a "cadenze prefissate" non si può procedere al riconoscimento del trattamento integrativo, in quanto, nella maggior parte dei casi, questo evento è prevedibile e, sovente, dipende da una organizzazione della attività produttiva "non ottimale";

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situazioni temporanee di mercato, ove la crisi dipende da un andamento involutivo del settore. Gli articoli del D.M. che vanno da 3 a 9 integrano "in toto" le causali

appena richiamate.

4. Esame delle domande ed istituzione della relazione tecnica L'art. 2 rappresenta un momento fondamentale del provvedimento

in quanto si sofferma, da un punto di vista generale (sui contenuti spe-cifici occorre rifarsi alle singole motivazioni) sulla relazione tecnica detta-gliata con la quale l'imprenditore deve, sotto la propria responsabilità, for-nire una serie di elementi concentrati sulle ragioni che hanno determinato la sospensione o la riduzione di orario, la continuità di operatività sul mer-cato: si tratta di elementi oggettivi che potranno essere supportati (talora, anche su richiesta) da documenti finanziari, tecnici, da nuove acquisi-zioni di ordini e da partecipazioni a gare di appalto. C'è la concreta possibilità, quindi, che nella fase istruttoria l'INPS "penetri" nella realtà aziendale molto più che in passato. Su questo aspetto la circolare n. 139 si sofferma con dovizia di particolari, in quanto la relazione tecnica, che può essere supportata anche da altri elementi non richiesti, espressamente, nella bozza di modello allegata sia al messaggio n. 2908 che alla stessa circolare, rappresenta l'elemento cardine sul quale il Di-rettore della sede poggerà le proprie valutazioni di merito.

Una breve considerazione appare opportuna: rispetto al passato vengono richiesti elementi sui quali si sorvolava, ritenendosi sufficiente l'esame congiunto, le eventuali dichiarazioni delle organizzazioni sinda-cali, nella maggior parte dei casi interne all'impresa, magari, supportate, da elementi probatori dell'azienda aggiunti sulla base di "crocettature" apposte su modelli prestampati.

Oggi, la relazione tecnica dettagliata, della quale la circolare n. 139 sottolinea la specifica valenza, resa sotto forma di dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà (viene richiamato l'art. 47 del D.P.R. n. 445/2000) e sottoscritta dal legale rappresentante è, indubbiamente, diversa, a se-conda delle motivazioni ed è anche per questo che, in allegato al mes-saggio n. 2908, l'INPS ha previsto un certo numero di schemi, "plasman-doli" in relazione alle necessità. Essa va prodotta, in via telematica come

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tutta la documentazione (utilizzando la PEC o il "cassetto bidirezio-nale"), anche nel caso in cui l'imprenditore presenti una istanza di proroga, atteso che le due situazioni vengono trattate come distinte ed il datore di lavoro è tenuto a dimostrare che perdurano le motivazioni e le condizioni che hanno portato alla prima richiesta.

5. Mancanza di lavoro e di commesse o crisi di mercato L'art. 3 fa riferimento alla "mancanza di lavoro o di commesse ed alla

crisi di mercato": tutto questo deve comportare un notevole abbassa-mento del livello degli ordini in agenda o una riduzione per mancanza di lavoro scaturente dall'andamento del mercato. Qui la relazione tecnica deve soffermarsi, con dovizia di particolari, sull'andamento involutivo temporaneo allegando tutto ciò che riguarda il bilancio ed il fatturato. L'Istituto, ove necessario, può chiedere ulteriori elementi di valutazione concernenti l'andamento di una serie di indicatori economici e finanziari.

In linea di massima, elementi che, ai fini della concessione, pos-sono essere presi in considerazione e documentati dallo stesso datore di lavoro richiedente sono l'andamento involutivo del fatturato, del risul-tato di impresa, del risultato operativo o dell'indennità.

La mancanza di lavoro o la crisi di mercato non possono essere richieste da imprese che hanno iniziato l'attività produttiva da meno di tre mesi: fanno eccezione gli eventi oggettivamente non evitabili, ivi compresi quelli meteorologici nel settore edile.

6. Fine di cantiere, di lavoro, di fase lavorativa, perizia di variante e suppletiva al progetto L'art. 4 riguarda, essenzialmente, l'edilizia in quanto si parla di "fine

cantiere, fine lavoro, fine fase lavorativa" che sono ipotesi dal contenuto comune ove la breve sospensione (non superiore a 3 mesi) riguarda lavoratori specializzati (ad esempio, carpentieri o "pontaroli") che sono rimasti inattivi e sono in attesa di un reimpiego. Qui, la relazione tecnica ha uno scopo ben preciso essendo finalizzata a provare la durata della sospensione prevista a seguito della fine di lavori o della fase lavo-rativa: viene, altresì, stabilito che, se necessario, copia del contratto o del verbale del direttore dei lavori attestante la fine degli stessi, venga allegata

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alla relazione. Ovviamente, una richiesta che dovesse riguardare tutto il personale non darebbe luogo ad accoglimento.

La circolare n. 139 "mette in guardia" i Direttori delle sedi territoriali dalle ipotesi presenti in molti capitolati di appalto ove le stazioni com-mittenti si riservano "la piena ed insindacabile facoltà di chiedere la sospensione dei lavori per sopravvenute necessita od eventi imprevisti" e continuano affermando che "la sospensione non dà diritto ad alcun in-dennizzo": in questi casi l'evento, rientrando nella prevedibilità, non dà diritto al trattamento integrativo ordinario. Ovviamente, potrebbero es-serci eccezioni che andranno valutate caso per caso (ad esempio, casi fortuiti o forza maggiore) ma che, come tali, restano sempre eccezioni.

Ma, l'art. 4 parla anche di "perizia di variante e suppletiva al progetto": con questi termini il provvedimento, afferma la circolare n. 139, si riferisce ad una sospensione imprevedibile che non dipende dalla volontà del committente o delle parti e che non sia frutto di una variazione del progetto originario dettata da esigenze di ampliamento palesatesi in corso d'opera (cosa che, in passato, alcune volte era stata richiesta, pur "ammantata" sotto altre ipotesi). In questo caso la relazione deve portare prove circa la imprevedibilità degli eventi che hanno portato alla perizia di variante, supportando il tutto, se necessario, con dichia-razioni della pubblica autorità. Viene, in ogni caso, chiarito che non è supportabile con l'intervento della CIGO l'ipotesi di variazione del pro-getto originario per poter usufruire, ad esempio, dei ribassi rispetto alla base d'asta susseguenti ad una richiesta di ampliamento dei lavori od alla necessità di provvedere a nuovi calcoli.

7. Mancanza di materie prime o componenti Con l'art. 5 si affronta la causale della "mancanza di componenti o

materie prime". I contenuti della relazione tecnica dovranno fornire una descrizione delle modalità riguardanti lo stoccaggio, la data dell'ordine con le quali sono state richieste le materie prime ed i componenti mancanti, le iniziative scelte per reperire altro materiale equivalente, comprese ido-nee iniziative di mercato attivabili attraverso mezzi di comunicazione (web, stampa, ecc.). Ovviamente, la mancanza di materie prime o di componenti non deve essere causata da inadempienze contrattuali

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dell'imprenditore che, ad esempio, sia in forte ritardo con i pagamenti delle forniture precedenti.

8. Eventi meteorologici L'art. 6 si occupa degli eventi meteorologici che rendono impossibile

l'attività. Secondo il D.M. la relazione deve illustrare l'attività in essere nel momento in cui si è verificato l'evento e le relative conseguenze. Alla relazione vanno allegati i bollettini meteo rilasciati da organi accreditati (ossia dall'Aeronautica Militare o da altri organismi come l'ARPA): ad avviso di chi scrive, questi ultimi potrebbero essere richiesti diretta-mente dall'INPS che, in ogni caso, a cadenze prefissate, li ottiene per le integrazioni salariali dell'agricoltura (CISOA) ove la competenza alla concessione è rimasta in capo alla commissione provinciale per l'agricol-tura come stabilito, da ultimo, dall'art. 18, comma 1, del decreto legislativo n. 148/2015. Qui, sia detto per inciso, il D.M. chiedendo alle parti di acquisire i bollettini sembra fare una forzatura, non consentita, sulla legge n. 183/2011 che all'art. 15, intervenendo nel "corpus" del D.P.R. n. 445/2000, stabilisce che è fatto divieto alle Pubbliche Amministra-zioni (e tale risulta essere l'INPS) di chiedere al cittadino dati o certifica-zioni già in possesso di altro Ufficio pubblico (e tali sono, ad esempio, l'Aeronautica Militare o l'ARPA regionale). La circolare n. 139, sul punto, non sembra aver fatto lo sforzo che, in altra occasione e per un caso analogo (la produzione dei documenti in possesso di altra Pubblica Am-ministrazione a carico del lavoratore richiedente l'indennità di ASPI in unica soluzione) fece un'altra nota dell'Istituto, la circolare n. 145/2013, affermando che dovendo essere trasmessi, in ossequio alla legge n. 183/2011, i soli dati identificativi: qui, si invitano, le sedi a comunicare ai diretti interessati gli organismi abitualmente consultati (lo "sforzo" non appare immane essendo, sostanzialmente, due).

L'art. 2 del decreto legislativo n. 185/2016, modificando, in parte, l'art. 15, comma 2, del decreto legislativo n.148/2015 ha previsto che per gli eventi oggettivamente non evitabili tra i quali, evidentemente, rientrano quelli meteorologici, il termine finale per presentare all'Istituto l'istanza, corredata dalla relazione e dai bollettini meteo, è fissato alla fine del mese successivo. Si tratta di una semplificazione giusta che viene incontro, soprattutto, alle imprese edili che possono, così, fare una sola domanda

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per più eventi atmosferici, semplificando anche, sotto l'aspetto temporale, l'acquisizione dei predetti bollettini.

Detto questo, però, tornando al circolare n. 139, si forniscono alcune ulteriori delucidazioni.

La prima riguarda le imprese di impiantistica che svolgono la loro attività "non al coperto": ebbene, la relazione tecnica dovrà tendere a di-mostrare che la normale prosecuzione in altro modo non era possibile anche valutando l'aspetto del prolungamento dei tipi di lavoro, della qualità del servizio reso o dell'aumento dei costi.

La seconda concerne i criteri di concessione che, ovviamente, sono sempre rapportabili sia al lavoro svolto che alla stagione: qui vengono richiamati quelli evidenziati nel messaggio n. 28336 del 28 luglio 1998, da applicare integralmente e che, in talune situazioni e lavorazioni, fanno riferimento, non soltanto al freddo, alla pioggia, alla neve o al gelo, ma anche al caldo ed al vento.

9. Sciopero di un reparto o di altra impresa L'art. 7 riguarda la causale dello sciopero di un reparto o di altra

impresa: qui la sospensione o la riduzione dell'attività dovuta ad asten-sione dal lavoro effettuato nell'impresa (ma anche azioni di picchettag-gio) deve avere avuto effetti diretti su altro personale in servizio, mentre quello che ha investito un'altra impresa deve aver prodotto effetti correlati e diretti su quella richiedente la CIGO. Alla luce di tali criteri la relazione tecnica deve, in maniera precisa e puntuale, dimostrare gli effetti dello sciopero sui reparti per i quali si è chiesto l'intervento integrativo. Qui il provvedimento del Ministro del Lavoro fornisce al Dirigente della sede INPS chiamato a decidere, ulteriori parametri di valutazione: la Cassa può essere concessa se lo sciopero non ha riguardato il reparto per il quale è stato richiesto l'intervento, se l'astensione lavorativa è, effettivamente, alla base della mancata evasione degli ordini e se (in caso di sciopero in altra azienda) venga dimostrato lo stretto collegamento con l'attività della richiedente (si pensi, ad esempio, allo sciopero dei conducenti delle betoniere di un'altra azienda che hanno fatto mancare il materiale nell'impresa di costruzione). La circolare n. 139 ricorda, poi, che nel caso in cui ci sia stata attività di picchettaggio il datore di lavoro dovrà allegare alla relazione una dichiarazione di una pubblica autorità (ad esempio,

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la locale stazione dei Carabinieri) attestante l'impossibilità, per le mae-stranze, di recarsi al lavoro.

10. Incendi, crolli, alluvioni, calamità naturali e mancanza di energia elettrica L'art. 8 si occupa, essenzialmente, delle sospensioni dovute ad eventi

naturali: incendi, alluvioni, terremoti, crolli, mancanza di energia elet-trica, tali da rendere impraticabili i locali dell'impresa. Ovviamente, nel caso degli incendi o della mancanza di energia elettrica, non si deve ri-scontrare una responsabilità del datore di lavoro o dei suoi dipendenti.

La relazione tecnica deve essere descrittiva della impossibilità di continuare l'attività "a pieno regime": di qui la necessità di supportarla, ove necessario, con un verbale dei Vigili del Fuoco, con una dichiarazione della società erogatrice di energia elettrica, con un'ordinanza del Pre-fetto, del Sindaco o di altra autorità che attesti l'impraticabilità dei locali.

La circolare n. 139 ricorda come i provvedimenti giudiziali od amministrativi, sia pur provvisori, escludano l'integrabilità.

11. Guasti ai macchinari e manutenzione straordinaria Con l'art. 9 il Decreto Ministeriale tocca la causale dei guasti ai mac-

chinari e quella della manutenzione straordinaria (come è noto, quella ordinaria non è assolutamente integrabile). La relazione deve dimostrare che la manutenzione ordinaria viene effettuata alle scadenze previste e che il guasto verificatosi rientra tra gli eventi imprevedibili (qui è necessaria anche la dichiarazione in tal senso dell'impresa che è intervenuta ad effet-tuare la riparazione). Tale dichiarazione è indispensabile anche per la ma-nutenzione straordinaria, con la specificazione che, nel caso di specie, non ci si trova di fronte, in alcun modo, ad una ipotesi di manutenzione ordi-naria.

Prima di esaminare gli articoli successivi che escono "fuori" dalle sin-gole causali che sono state, sia pure sommariamente, esaminate, vale la pena di sottolineare alcune situazioni in presenza delle quali non è possibile chiedere l'integrazione salariale. Si tratta di ipotesi "consoli-date" nel tempo che la circolare n. 139 si limita ad elencare: a) mancanza di fondi;

Capitolo II – La nuova cassa integrazione guadagni ordinaria

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b) chiusura per ferie; c) preparazione del campionario; d) infortunio o morte del titolare; e) sosta stagionale, inventario; f) mancanza di fondi del committente.

12. Cumulo tra CIGO e contratti di solidarietà L'art. 10, invece, tratta l'ipotesi in cui, nella stessa unità produttiva,

venga richiesto l'intervento della CIGO, mentre è in corso un contratto di solidarietà ex art. 21, comma 1, lettera c, del decreto legislativo n. 148/2015 (ma anche stipulato prima del 24 settembre 2015 con la vecchia normativa).

Ciò è possibile nel rispetto di due precise condizioni: la prima con-siste nel fatto che i lavoratori destinatari dei due ammortizzatori sociali siano diversi, la seconda riguarda l'ampiezza dell'intervento integrativo ordinario che non può essere superiore a 3 mesi. Come si vede, la normativa è cambiata: fino al 23 settembre 2015, era possibile "cumu-lare" in capo alla stessa persona trattamenti di CIGO e di contratto di solidarietà difensivo.

Particolarmente importante è la constatazione di come avviene il computo del periodo integrativo nell'unità produttiva interessata, cosa ne-cessaria sia ai fini del quinquennio mobile, che del biennio mobile che del superamento del terzo delle ore lavorabili da personale in forza nel semestre precedente, sempre riferito ai due anni mobili (art. 12, comma 5). Ebbene, le giornate di coesistenza dei due ammortizzatori, vengono calcolate per intero come giornate di CIGO.

Per completezza di informazione si ricorda che il D.M. n. 94033/2016 con il quale sono stati indicati i criteri per la concessione dei trattamenti integrativi straordinari e dei contratti di solidarietà difensiva, ha previsto che nella stessa unità produttiva possano coesistere insieme, sia la CIGO che la CIGS, a condizione che, sin dall'inizio, i lavoratori siano diversi ed individuati attraverso elenchi nominativi.

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13. Motivazione del provvedimento e supplemento di istruttoria Il D.M. tratta, infine, all'art. 11, alcune questioni di natura ammini-

strativa, sottolineando che, anche in caso di reiezione la motivazione deve essere adeguata con indicazione dei documenti presi in considerazione e, soprattutto, deve ben valutare la prevedibilità della ripresa lavorativa. La circolare n. 139 si sofferma, in più passaggi, sulla necessità che la deci-sione sia ben ponderata sulla base degli elementi rilevabili al momento della richiesta di concessione.

Nel caso in cui, per un completo "quadro d'insieme", si rendano necessari ulteriori approfondimenti, l'Istituto può effettuare un supple-mento di istruttoria a seguito della quale possono essere richiesti al datore di lavoro altri elementi (ha 15 giorni di tempo per rispondere) e possono essere sentiti i sindacalisti che hanno partecipato all'esame congiunto, propedeutico alla richiesta di Cassa. Quando si parla di organizzazioni sindacali il discorso non dovrebbe essere limitato soltanto a quelle dei lavoratori ma dovrebbe essere esteso a quelle dei datori di lavoro se hanno partecipato all'incontro.

Fin qui il D.M. che viene "completato" dalla circolare n. 139 con altre due indicazioni: la prima riguarda la individuazione dei c.d. "codici evento", necessari a fini istruttori, la seconda concerne l'identificazione di una data, quella del 29 giugno 2016, che rappresenta una sorta di "spar-tiacque", in quanto le istanze presentate prima di tale giorno debbono essere esaminate sulla base di criteri individuati dalla prassi amministra-tiva seguita dalle commissioni provinciali per l'industria e per l'edilizia che hanno cessato la propria attività con il 31 dicembre 2015, mentre quelle arrivate dopo seguono le nuove regole.

14. Considerazioni conclusive Dopo questa breve carrellata si ritiene necessario soffermare l'atten-

zione sul fatto che l'accesso alla CIGO, soprattutto in virtù delle novità introdotte dal decreto legislativo n. 148/2015, è profondamente cambiato sia sotto l'aspetto delle condizioni che dei costi.

Una vecchia "prassi", magari "mediata" dalle parti sociali presenti ne-gli organi collegiali decisionali, non è più possibile: l'accoglimento o la

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reiezione dell'istanza discendono da elementi finanziari concreti, da cer-tezze che derivano dall'andamento del mercato, da un esame della crisi o della carenza di commesse che si spinge ben al di là del semplice verbale di esame congiunto e del modello allegato come avveniva talora. Queste difficoltà tecnico-operative non rappresentano, però, il solo ostacolo in quanto a pesare di più sono i costi, diretti ed indiretti, introdotti dal Legislatore delegato a partire dal 24 settembre 2015.

Ci si riferisce al contributo addizionale che, calcolato sulla retribu-zione globale persa (comprensiva delle mensilità aggiuntive) e non sulla integrazione corrisposta dall'INPS, è pari al 9%,12% o al 15% qualora la richiesta sia presentata, rispettivamente, in un arco temporale compreso nei 12, 24 o 36 mesi del quinquennio mobile di riferimento. Tutto questo comporta che soluzioni trovate in passato giustificate dal fatto che oc-correva "mettere in cassa", magari a "zero ore", più personale di quanto effettivamente necessario non sono più perseguibili, soprattutto perché "costano" ma anche perché l'art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 148/2015 pone una sorta di "bonus non superabile", affermando che nei limiti della durata massima dell'intervento "non possono essere autoriz-zate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di 1/3 delle ore lavorabili nel biennio mobile (altro limite da tenere in considerazione), con riferimento a tutti i lavoratori dell'unità produttiva mediamente oc-cupati nel semestre precedente, la domanda di concessione dell'inte-grazione salariale ordinaria", cosa che comporta (comma 6) la comuni-cazione all'Istituto, nella stessa istanza, del numero dei lavoratori media-mente occupati nell'unità produttiva nel semestre precedente, distinti per orario contrattuale.

La logica complessiva seguita è stata quella di mettere sullo stesso piano gli ammortizzatori ordinari e straordinari (ove viene ricompreso anche il contratto di solidarietà difensivo), sia come durata complessiva che come "costi" e come massimali di integrazione salariale: tutto que-sto comporta la necessità di avere sempre ben presente il quadro generale degli interventi possibili scegliendo quello che, al momento, appare più funzionale alle necessità dell'impresa.

Capitolo III – La riforma dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria

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Capitolo III LA RIFORMA DELL’INTEGRAZIONE

SALARIALE ORDINARIA E STRAORDINARIA Sommario: 1. Premessa 2. Norme comuni a tutti gli ammortizzatori sociali (CAPO I) 3. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali ordinarie (CAPO II) 4. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali straordinarie (CAPO III) 5. Disposizioni relative a trattamenti straordinari di integrazione sa-lariale a seguito di accordi già stipulati 6. Disposizioni transitorie e finali

1. Premessa Il riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di la-

voro rappresenta uno degli obiettivi principali contenuti nella legge delega n. 183/2014 e, segnatamente, nell’art. 2, comma 1, lettera a), punti da 1) a 8).

Parlare di riordino significa mettere mano ad una serie di istituti “con-solidati” nel tempo e ad altri, nati e sviluppatisi con la “legislazione dell’emergenza” (si pensi alla “cassa in deroga”, a carico della fiscalità ge-nerale, destinata all’estinzione ma che, è destinata ad una proroga, sia pur limitata negli importi, nel 2016 attraverso il finanziamento di 250 milioni di euro intervenuto con la legge n. 208/2015), cosa che, peraltro, e per certi aspetti, aveva provato a fare nel 2012 anche la legge n. 92. In tale quadro complessivo va considerata anche la fine del contratto di solida-rietà di tipo B, prevista per il 1° luglio 2016 e che è stato rifinanziato fino a quella data attraverso la legge di stabilità 208/2015, attraverso 60 milioni di euro.

Ovviamente, mettere mano agli ammortizzatori significa rivedere pro-fondamente ed abrogare moltissime norme tra le quali spiccano la legge n. 164/1975 e gli articoli 1 e 3 della legge n. 223/1991. Per rendersi conto di tutto questo è sufficiente controllare le abrogazioni contenute nell’art. 46.

L’obiettivo perseguito dal Legislatore delegato con il Decreto Legisla-tivo 14 settembre n. 148, pubblicato sul S.O. n. 53 alla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23 settembre 2015, è stato, indubbiamente, quello di razionaliz-zare e riordinare la normativa, ma anche quello di collocare all’interno di un unico “codice” le disposizioni relative agli strumenti di tutela in co-

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stanza di rapporto come l’integrazione salariale ordinaria, quella straordi-naria, i fondi di solidarietà ed il contratto di solidarietà difensiva già previ-sto dall’art. 1 della legge n. 863/1984 ma “cancellato” in quella formula-zione dal comma 1, lettera i) dell’art. 46 che ha proceduto anche alla abro-gazione di quello c.d. “espansivo” che è stato completamente riscritto an-che in una logica che tende a favorire il ricambio generazionale.

L’analisi che segue si sofferma, anche alla luce delle circolari del Mini-stero del Lavoro n. 24 del 5 ottobre 2015 (emanata, essenzialmente, per i trattamenti integrativi salariali straordinari) e n. 30 del 9 novembre succes-sivo (con chiarimenti applicativi relativi alla nota precedente) nonché su quella dell’INPS n. 197 del 2 dicembre 2015 (che tratta in particolar modo i trattamenti ordinari), sui primi 25 articoli del testo che riguardano la ca-sistica e le procedure per ottenere il trattamento di integrazione salariale, lasciando ad una successiva riflessione quelli che disciplinano i fondi di solidarietà e ricordando che il D.Lgs. n. 148/2015 è in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia dal 24 set-tembre 2015.

Come ben si evincerà dall’esame dei singoli articoli, il Legislatore de-legato ha cambiato l’ottica della integrazione salariale: non più area di par-cheggio in attesa della mobilità o dell’indennità di disoccupazione, ma stru-mento “vero” per affrontare le crisi. Di qui alcuni strumenti nuovi come il contributo addizionale, il contratto di solidarietà difensivo che diviene un vero e proprio mezzo da utilizzare per l’integrazione del reddito, l’in-troduzione del quinquennio mobile, il vincolo per la CIGO, fissato dall’art. 12, comma 5, del limite alla concessione delle ore integrate rappresentato dal superamento di un 1/3 delle ore lavorabili nel biennio mobile, con riferimento a tutti i lavoratori occupati nel semestre precedente, i tempi più brevi per la presentazione delle istanze e per le concessioni.

Una prima riflessione, da tenere sempre presente nell’esame delle nuove integrazioni salariali è che le stesse “costano” molto di più: lo ve-dremo non soltanto parlando del contributo addizionale destinato a gra-vare con modalità progressive man mano che si utilizza l’ammortizzatore, ma anche con l’“accollo” al datore di lavoro del trattamento di TFR per i periodi di “godimento” dell’integrazione (per i contratti di solidarietà di-fensivo ciò avviene qualora le cessazioni per riduzione di personale o giu-stificato motivo oggettivo avvengano “a ridosso” della fine degli stessi) o,

Capitolo III – La riforma dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria

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infine, con la constatazione che dalla presentazione dell’istanza al provve-dimento di effettivo godimento dell’ammortizzatore, a partire dal 1° no-vembre 2015, c’era un “buco” di trenta giorni da coprire ricorrendo agli usuali strumenti contrattuali. Questa criticità è stata sanata con l’art. 2 del D.Lgs. n. 185/2016: a partire dall’8 ottobre 2016 i periodi di sospensione dovuti a CIGS debbono iniziare entro i trenta giorni successivi alla pre-sentazione dell’istanza.

Detto questo, si ritiene opportuno soffermare l’attenzione su un esem-pio, di maggior costo, riferito al solo trattamento di CIGO, contenuto nella circolare n. 24/2015 della Fondazione Studi dei Consulenti del La-voro che paragona il costo della utilizzazione di tale ammortizzatore prima e dopo il 24 settembre 2015.

Ipotizzando, nel primo caso, il ricorso alla CIGO in un’impresa di-mensionata fino a 50 dipendenti per un lavoratore con una retribuzione lorda comprensiva dei ratei pari a 2.000 euro, con un massimale lordo mensile corrisposto pari a 971,71 euro (con un contributo addizionale fis-sato al 4%). Di conseguenza, il costo mensile a carico del datore di lavoro è pari a 36,60 euro.

Con gli stessi valori, la Fondazione Studi, si cala nella realtà introdotta dal D.Lgs. n. 148/2015: qui, commisurata ai primi 12 mesi di CIGO, la percentuale, che non è più commisurata all’organico aziendale, è pari al 9%: di conseguenza, il costo a carico del datore risulta pari a 180 euro mensili. Come si vede, prescindendo da altre considerazioni che saranno effettuate strada facendo, la differenza appare notevole.

2. Norme comuni a tutti gli ammortizzatori sociali (CAPO I) L’esposizione che segue riguarda le c.d. “norme comuni tra le varie

forme integrative” ed è compresa negli articoli da 1 ad 8 del D.Lgs. n. 148/2015.

Lavoratori beneficiari

L’art. 1 afferma che sono destinatari del trattamento di integrazione salariale tutti i lavoratori subordinati, sia a tempo pieno che parziale, com-presi i lavoratori con contratto di apprendistato professionalizzante (con le precisazioni definite all’art. 2) e con esclusione dei dirigenti e dei lavo-ratori a domicilio, nonché, come specifica l’INPS con la circolare n. 197, i

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lavoratori con contratto di apprendistato per la qualifica ed il diploma pro-fessionale, il diploma di istruzione secondaria e il certificato di specializza-zione tecnica e superiore e gli apprendisti con contratto di alta specializza-zione e ricerca.

Il requisito richiesto, in via generale, è quello di una anzianità presso l’unità produttiva (e non, quindi, l’azienda) per la quale si chiede l’inter-vento, pari ad almeno 90 giorni di lavoro effettivo, a prescindere dalla quantificazione oraria, maturati alla data di presentazione della istanza di concessione. Tale requisito temporale, applicato per la prima volta alle in-tegrazioni salariali ordinarie come ricorda la circolare n. 197/2015, non è richiesto allorquando la richiesta di integrazione salariale discende da eventi oggettivamente non evitabili nel settore industriale.

Il quadro di riferimento è però cambiato per effetto dell’art. 1, comma 308, della legge n. 208/2015 che ha cancellato dal testo il riferimento al “settore industriale”: la conseguenza di ciò è che, a partire dal 1° gennaio 2016, il requisito dei 90 giorni, in presenza di eventi non oggettivamente evitabili, non trova applicazione in tutti i settori interessati dall’intervento integrativo salariale. La cosa fa particolarmente piacere al settore edile dell’artigianato, prima chiaramente escluso. Ovviamente, resta la “scoper-tura” del periodo compreso tra il 24 settembre ed il 31 dicembre 2015.

La circolare del Ministero del Lavoro n. 24/2015 declina il significato di giorni di lavoro effettivo che ricomprendono anche quelli nei quali si è verificata l’assenza per ferie, festività ed infortunio. Anche i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità debbono essere compu-tati sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 423 del 6 set-tembre 1995: tutto questo in analogia con la previsione dell’art. 16, comma 1, della legge n. 223/1991 ai fini dell’anzianità aziendale per la procedura collettiva di riduzione di personale. Tale indirizzo è fatto proprio dalla cir-colare INPS n. 197/2015 la quale, peraltro, secondo la nota della Fonda-zione Studi dei Consulenti del Lavoro n. 24/2015, esprime, escludendo le malattie, un indirizzo diverso da quello propugnato nella circolare n. 54/2015 con la quale, in materia di NASPI, parlando di “lavoro effettivo”, le aveva comprese, affermando che “il lavoro effettivo corrisponde alle giornate indicate nel flusso mensile UNIEMENS, con il codice S”.

Un caso del tutto particolare riguarda l’anzianità del dipendente che è passato, a seguito di cambio di appalto, alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro: qui vale il principio dell’anzianità nell’appalto, nel senso che si

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computa anche quella acquisita alle dipendenze del precedente imprendi-tore. Nella sostanza, abbiamo l’anzianità di appalto che non è un concetto nuovo ma che è già stato utilizzato, per altri fini, dal Legislatore delegato nell’art. 7 del D.Lgs. n. 23/2015.

La circolare n. 197/2015 dell’INPS nota, giustamente, che in caso di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., conservando i lavoratori tutti i diritti che discendono dal rapporto precedentemente instaurato, ai fini della verifica del requisito dell’anzianità di lavoro di 90 giorni, occorrerà tener conto del periodo trascorso alle dipendenze del cedente.

Il requisito dei 90 giorni non è richiesto (art. 1, comma 2) per le istanze relative a trattamenti di CIGO dovuti ad eventi oggettivamente non evita-bili nel settore industriale: la dizione comprende, afferma la circolare n. 197/2015, anche quelle edili ed affini e le imprese di escavazione e lavora-zione di materiali lapidei. Questa disposizione, tuttavia, è stata, poi, supe-rata dalla legge n. 208/2015 che ha tolto il riferimento al settore industriale, cosa che avrebbe causato una sostanziale disparità per i dipendenti del set-tore artigiano: di conseguenza, a partire dal 1° gennaio 2016, il requisito dei 90 giorni di lavoro effettivo nell’unità produttiva, per eventi non og-gettivamente evitabili, non è più richiesto.

La circolare INPS n. 139/2016 ha chiarito che: a) ai fini del calcolo dei 90 giorni per l’anzianità nella unità produttiva

laddove l’orario è articolato su cinque giorni lavorativi, viene calcolato, oltre che la domenica, anche il sabato;

b) nel calcolo dei 90 giorni di anzianità nell’unità produttiva non rileva l’eventuale cambio di mansioni o di livello, in quanto la norma richiede soltanto il calcolo dell’anzianità nell’unità e non nel livello o nelle man-sioni.

Apprendisti

Afferma l’art. 2 che anche gli apprendisti con contratto professiona-lizzante sono destinatari del trattamento di integrazione salariale.

Per completezza di informazione si ricorda che costoro sono coloro che (art. 44, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015) possono essere assunti in tutti i settori per il conseguimento di una qualificazione professionale (su questo concetto si veda anche l’interpello del Ministero del Lavoro n. 8/2007) ai fini contrattuali di età compresa tra i 18 ed i 29 anni (29 e 364 giorni al momento dell’attivazione, secondo un indirizzo amministrativo

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espresso dal Dicastero del Lavoro) e coloro che (art. 47, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015) senza limiti di età, sono titolari di un qualsiasi tratta-mento di disoccupazione: il rapporto deve tendere ad una qualificazione o ad una riqualificazione professionale. Fino al 31 dicembre 2016 ciò era possibile anche per i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ma le norme agevolatrici di riferimento (articoli 8, comma 4 e 25, comma 9, della legge n. 223/1991) sono state abrogate.

Al momento, l’applicazione degli ammortizzatori non è piena: infatti mentre in passato la tutela c’era soltanto per la cassa in deroga e per i con-tratti di solidarietà ex art. 5 della legge n. 236/1993, che sono usciti di scena il 1° luglio 2016, ora, limitatamente al campo di applicazione del Decreto Legislativo n. 148/2015, si può affermare che qualora gli apprendisti siano alle dipendenze di imprese destinatarie dei soli trattamenti di integrazione salariale straordinaria (ad esempio, imprese commerciali con più di 50 di-pendenti), essi saranno “coperti” dalla sola causale di crisi aziendale, men-tre nell’ipotesi in cui l’impresa sia destinataria dei trattamenti ordinari e straordinari di integrazione oppure solo ordinari, la copertura riguarderà soltanto la cassa integrazione ordinaria. Tali previsioni, ricorda la relazione tecnica di accompagnamento, vanno poste in stretta correlazione con la normativa sui fondi di solidarietà disciplinati dagli articoli 26 e seguenti per i quali il Legislatore delegato ha previsto che tra i destinatari delle presta-zioni erogate dai fondi vi siano anche gli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante da datori che non rientrano nel campo di applicazione della normativa in materia di integrazione salariale ordinaria e straordinaria.

A partire dal 24 settembre 2015 vengono estesi agli apprendisti gli ob-blighi contributivi previsti per le integrazioni salariali, fino ad oggi non ipotizzati: è appena il caso di sottolineare come non trovi, in alcun modo, applicazione alcuno sgravio contributivo per tale voce in favore dei piccoli datori di lavoro che hanno in forza apprendisti, come stabilito, in via ge-nerale, dalla legge n. 183/2011. Sui contributi relativi agli apprendisti la circolare INPS n. 197/2015 rimanda ad un successivo approfondimento, cosa avvenuta con il messaggio n. 24 del 5 gennaio 2016 che ricorda come la misura della contribuzione di finanziamento della Cassa integrazione è sempre allineata a quella del personale con la qualifica di operaio alle quali si rimanda sia in considerazione dei limiti dimensionali (più o meno di 50 dipendenti) che del settore di appartenenza (industria, artigianato, edilizia

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e lapidei). Per gli apprendisti destinatari del solo trattamento di CIGS (ad esempio, aziende commerciali dimensionate oltre le 50 unità), l’aliquota di finanziamento dal periodo di paga di settembre 2015 è pari allo 0,90% (di cui 0,30% a carico dell’apprendista).

La contribuzione è sempre dovuta da tutti i datori di lavoro, anche da quelli che “godono”, in quanto con un organico fino a 9 dipendenti, per le assunzioni effettuate dal gennaio 2012 al 31 dicembre 2016, dello sgra-vio contributivo previsto dall’art. 22, comma 1, della legge n. 183/2011.

La stessa contribuzione vale per i c.d. “apprendisti in mobilità” (art. 47, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2015 ma, curiosamente, il messaggio n. 24/2016 omette di segnalare anche gli apprendisti titolari di un tratta-mento di disoccupazione, richiamati dalla stessa disposizione. Non si vede, in ogni caso, una ragione per non applicare agli stessi la medesima dispo-sizione.

Viene, poi, previsto che, nell’ottica dell’art. 42, comma 5, lettera g, del D.Lgs. n. 81/2015 ed in considerazione del fatto che il contratto di ap-prendistato ha una propria specificità, il periodo di durata del piano for-mativo sia prorogato in misura equivalente all’ammontare delle ore di in-tegrazione fruite per effetto della sospensione o della riduzione di orario. I datori di lavoro interessati, ricorda il messaggio n. 24/2016, dovranno rapportare a giornate il valore delle ore complessivamente fruite.

Misura dell’integrazione

Qui non è stato pensato nulla di nuovo (art. 3): la misura del tratta-mento integrativo è pari all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non prestate comprese tra zero ore ed il limite orario contrattuale. Le modalità di quantificazione dell’ammontare del tratta-mento integrativo in relazione alla dislocazione oraria della prestazione ed alle modalità di erogazione della retribuzione, ivi comprese le indennità accessorie rispetto alla retribuzione base, restano identiche rispetto al pas-sato.

La misura del trattamento è soggetta agli stessi obblighi contributivi già esistenti come l’art. 26 della legge n. 41/1986 che prevede una ridu-zione dell’ammontare del trattamento pari al 5,84%. L’ammontare mas-simo dell’integrazione salariale non può superare i c.d. “massimali” ex lege n. 427/1980, secondo le modalità già applicate in base alla normativa vi-gente e soggetti a rivalutazione annuale.

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Questi sono, per il 2017 (circolare n. INPS n. 36 del 21 febbraio 2017), gli importi massimi mensili, rapportati alle ore autorizzate e per un mas-simo di 12 mensilità, comprensive dei ratei delle mensilità aggiuntive: a) 971,71 euro (914,96 netti) allorquando la retribuzione mensile di rife-

rimento comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è pari od in-feriore a 2.102,24 euro;

b) 1.167,91 euro (1.097,95 netti) nei casi in cui la retribuzione mensile di riferimento, anch’essa comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è superiore a 2.102,24 euro; Le somme sopra riportate (comma 10) sono incrementate del 20% per

i trattamenti concessi in favore delle imprese edili e lapidee a causa di in-temperie stagionali e per il 2017 sono: a) 1.097,95 euro netti (1.166,05 lordi) allorquando la retribuzione men-

sile di riferimento comprensiva dei ratei delle mensilità aggiuntive è pari od inferiore a 2.102,24 euro;

b) 1.319,64 euro netti (1.401,49 lordi) nei casi in cui la retribuzione men-sile di riferimento, anch’essa comprensiva dei ratei delle mensilità ag-giuntive è superiore a 2.102,24 euro. Tali importi, al primo gennaio di ogni anno successivo al 2015, sono

rivalutati nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed im-piegati.

Come si vedrà successivamente anche ai contratti di solidarietà difen-sivi si applicano i limiti previsti per le integrazioni salariali ordinarie e straordinarie.

L’integrazione salariale sostituisce l’indennità giornaliera di malattia e la eventuale integrazione prevista dal contratto (comma 7) e non è dovuta nelle ipotesi di festività non retribuite e di assenze senza diritto alla retri-buzione (comma 8): ai lavoratori interessati spettano, in rapporto al pe-riodo di paga adottato ed alle stesse condizioni dei lavoratori ad orario normale, gli assegni familiari (comma 9).

A tal proposito la circolare n. 197/2015 dell’INPS chiarisce che se lo stato di malattia insorge durante l’intervento integrativo concesso a zero ore, il lavoratore continua a godere del trattamento integrativo: l’attività è totalmente sospesa ed il lavoratore non deve neanche comunicare il pro-prio stato di malattia.

Capitolo III – La riforma dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria

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Se lo stato di malattia è antecedente l’inizio della sospensione si pos-sono verificare due ipotesi: se tutto il personale va in CIGO anche il lavo-ratore in malattia entra nel trattamento ordinario dalla data di inizio dello stesso; se, invece, la sospensione non riguarda tutto il personale dell’unità produttiva il lavoratore continua a beneficiare dell’indennità di malattia, se previsto dalla legislazione vigente.

Durata massima

L’art. 4 introduce significative novità. La prima concerne la durata massima complessiva per le integrazioni

salariali riferite a ciascuna unità produttiva: sono 24 mesi intesi come quin-quennio mobile (che inizia con il primo giorno di fruizione dell’ammortiz-zatore) e non fisso (come avvenuto con la normativa abrogata). L’art. 44, comma 2, stabilisce che i periodi richiesti e fruiti prima dell’entrata in vi-gore del decreto non concorrono al raggiungimento del limite di durata di 24 mesi: essi si computano soltanto per la parte “goduta” dal 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 148/2015.

Questa disposizione, tuttavia, va strettamente correlata all’art. 22, comma 5, nel senso che il Legislatore delegato, ponendosi l’obiettivo di favorire gli strumenti integrativi che prevedono una riduzione dell’orario piuttosto che una sospensione dell’attività, stabilisce che, ai fini del com-puto della quantificazione della durata massima nel quinquennio, la durata dei trattamenti integrativi riferibili a contratti di solidarietà fino a 24 mesi, venga computata per la metà per la parte non eccedente i 24 mesi e per intero per la parte eccedente: tutto questo in una logica che tende a salva-guardare la professionalità dei lavoratori interessati che mantengono con l’impresa, attraverso l’intervento della solidarietà, un legame più forte in attesa della ripresa dell’attività produttiva.

La circolare n. 24/2015, dopo aver sottolineato che il contratto di so-lidarietà difensivo viene, a tutti gli effetti, parificato agli altri ammortizza-tori sociali fa qualche esempio circa la durata massima frutto della combi-nazione tra i vari istituti integrativi: a) se nel quinquennio mobile si chiedono soltanto 24 mesi di solidarietà,

la durata massima dell’intervento può arrivare fino a 36 mesi, essendo i primi 24 calcolati per metà;

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b) se nel quinquennio mobile sono stati usufruiti complessivamente 18 mesi tra CIGO e CIGS, l’ulteriore intervento del contratto di solida-rietà potrà essere richiesto per 12 mesi, in quanto gli stessi contano per la metà e, quindi, la somma totale è 24 mesi;

c) se nel quinquennio mobile sono stati richiesti interventi per CIGO/CIGS per 12 mesi, la solidarietà potrà essere richiesta per 24 mesi: essendo quest’ultima calcolata per metà, il totale complessivo fa 24 mesi;

d) se nel quinquennio mobile il datore ha richiesto CIGO per 12 mesi, potrà chiedere 12 mesi di solidarietà (calcolati 6): da ciò discende che per raggiungere il tetto massimo di 24 potrà chiedere ancora 6 mesi di CIGO/CIGS, oppure 12 mesi di solidarietà;

e) se nel quinquennio mobile sono stati richiesti 12 mesi di CIGO e, poi, 12 mesi di CIGS, si è raggiunto il tetto massimo e non sarà possibile chiedere altro trattamento integrativo. Un discorso diverso viene fatto nel settore edile, di lavorazione dei

materiali lapidei e della escavazione sia per le imprese industriali che per quelle artigiane: il periodo massimo è fissato in 30 mesi in considerazione della difficoltà, in questi ambiti, di intervenire con i contratti di solidarietà.

Prima di passare ad esaminare gli articoli successivi si ritiene oppor-tuno dire cosa si intende per unità produttiva che nel D.Lgs. n. 148/2015 assume una notevole importanza, essendo necessario, come ricorda la cir-colare n. 197/2015 dell’INPS per alcuni istituti che possono così riassu-mersi: a) per definire il requisito dell’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90

giorni, interpretati alla luce dei successivi chiarimenti intervenuti con la circolare INPS n. 139/2016;

b) per calcolare, con riferimento alla CIGO, i tre limiti temporali massimi concomitanti di utilizzo dell’ammortizzatore (quinquennio mobile, biennio mobile per il calcolo delle 52 settimane, 1/3 delle ore lavora-bili ex art. 12, comma 5);

c) per definire l’incremento del contributo addizionale anche in relazione ai limiti temporali di “godimento” degli ammortizzatori;

d) per radicare la competenza delle varie sedi territoriali dell’INPS per la trattazione delle domande.

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Giuridicamente il concetto non risulta definito per cui vanno indivi-duati alcuni requisiti essenziali che, ai fini degli interventi integrativi, pos-sono così sintetizzarsi anche alla luce dei chiarimenti ulteriori intervenuti con la circolare INPS n. 9 del 19 gennaio 2017: a) attività finalizzata ad un ciclo produttivo completo anche se riferito ad

una frazione o ad un momento essenziale dell’attività o del ciclo di vendita;

b) autonomia amministrativa sotto l’aspetto organizzativo, caratterizzata da una sostanziale indipendenza tecnica: l’unità produttiva è dotata di autonomia finanziaria o tecnico funzionale, intendendosi il plesso or-ganizzativo che presenta una fisionomia distinta e che abbia, in con-dizioni di indipendenza, un proprio riparto di risorse disponibili così da permettere in piena autonomia le scelte più confacenti. Aver posto, rispetto al passato, l’alternativa tra autonomia finanziaria e autonomia tecnico funzionale, fa sì che, legittimamente, la richiesta possa perve-nire per una unità produttiva priva di autonomia finanziaria come, ad esempio, i punti vendita di un’impresa della grande distribuzione;

c) maestranze in forza addette in via continuativa. In passato, per le imprese installatrici di impianti telefonici ed elettrici

fu utilizzato un criterio diverso: infatti, la circolare INPS n. 43/1983 chiarì che, in considerazione delle caratteristiche dell’attività svolta, sovente, in piccoli cantieri mobili, tutti i cantieri appartenenti all’impresa ubicati nella stessa provincia, fossero da considerare, ai fini del computo dell’integra-zione massima, come confluenti in un’unica unità produttiva, a prescin-dere dalla durata, dalla consistenza del lavoro e dal numero dei dipendenti. Ora, tale orientamento risulta superato da ciò che afferma la circolare n. 197/2015: “Non sono da ricomprendersi nella definizione di unità pro-duttiva i cosiddetti cantieri temporanei di lavoro quali, ad esempio, quelli per l’esecuzione di lavori edili di breve durata e/o per l’installazione di impianti”. Ora, riformando un indirizzo interpretativo dell’Istituto espresso con il messaggio n. 7336/2015, la circolare n. 139/2016 afferma che ai fini della qualificazione dei cantieri come unità produttiva, la costi-tuzione ed il mantenimento degli stessi, debba essere in esecuzione di un contratto di appalto per un mese (e non sei, come detto in precedenza).

Cosa succede al personale che transita da una unità produttiva all’altra quando una soltanto o tutte due sono in CIGS?

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Se da una in CIGS il personale passa ad una senza CIGS, ovviamente, viene meno il trattamento integrativo. Se passa da una in CIGS ad un’altra sempre in trattamento integrativo straordinario, per poter accedere allo stesso occorreranno 90 giorni di anzianità nella stessa. Se passa, invece, da una unità produttiva dell’impresa ad altra unità produttiva e le stesse sono in CIGS a seguito di un solo ed unico programma di ristrutturazione, si ritiene che conservi il trattamento anche nella unità produttiva di destina-zione.

Contribuzione addizionale

L’art, 1, comma 2, lettera a, punto 5, della legge n. 183/2014 prevede un contributo addizionale (valido sia per i trattamenti ordinari che per quelli straordinari) sulla base del c.d. principio del “bonus-malus”. Esso viene definito dall’art. 5 nel modo seguente: a) 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le

ore non lavorate (e non sulla integrazione salariale anticipata), relati-vamente ai periodi di integrazione ordinaria o straordinaria fruiti at-traverso anche più interventi fino ad un massimo di 52 settimane in un quinquennio mobile;

b) 12% oltre le 52 settimane, sino ad un massimo di 104 in un quinquen-nio mobile;

c) 15% oltre le 104 settimane in un quinquennio mobile. La circolare n. 24/2015, dopo aver sottolineato la obbligatorietà del

contributo addizionale (ma si attendono chiarimenti dall’INPS sulle mo-dalità di versamento, atteso lo specifico rinvio della circolare INPS n. 197/2015), ribadisce che esso trova applicazione limitatamente ai tratta-menti di integrazione salariale per i quali viene presentata l’istanza a decor-rere dal 24 settembre 2015.

Quanto appena detto comporta un aggravio, proporzionato al ricorso all’ammortizzatore, per le imprese che lo utilizzeranno. Tale aggravio si presenta particolarmente pesante anche perché viene calcolato non sulla retribuzione integrata (80%) ma su quella “perduta”.

Il contributo addizionale non è dovuto, afferma la circolare n. 24/2015: a) dalle imprese sottoposte a procedura concorsuale, secondo la previ-

sione contenuta nell’art. 8, comma 8 bis, della legge n. 160/1988;

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b) dalle imprese che ricorrono ai trattamenti ex art. 7, comma 10-ter, della legge n. 236/1993;

c) dalle imprese sottoposte a procedura concorsuale con continuazione dell’attività aziendale le quali, sussistendone i presupposti, accede-ranno dal 2016 al trattamento di CIGS per le causali di riorganizza-zione e crisi aziendale previste dal D.Lgs. n. 148/2013;

d) dalle imprese che richiedono la CIGO per eventi non oggettivamente evitabili. La circolare INPS n. 9/2017 ha dettato le modalità per il pagamento

del contributo addizionale anche per i periodi immediatamente successivi al 24 settembre 2015.

Contribuzione figurativa

Il successivo art. 6 conferma che i periodi di sospensione o di ridu-zione di orario danno diritto alla contribuzione figurativa e sono ricono-sciuti utili ai fini del conseguimento della pensione di vecchiaia e di quella anticipata. Per tali periodi la contribuzione figurativa viene calcolata sulla base della retribuzione globale alla quale si riferisce la somma integrativa riconosciuta.

Modalità di erogazione e termine per il rimborso delle prestazioni e verifiche ispettive richieste dal Ministero del Lavoro per pagamento diretto e rispetto del programma riferito agli interventi integrativi straordinari, comprensivi della solidarietà

L’art. 7 è molto importante in quanto disciplina le modalità di paga-mento e di rimborso delle prestazioni da parte dell’INPS: il principio ge-nerale, che viene confermato, è che le integrazioni salariali debbono essere corrisposte dalle aziende alla fine di ogni periodo di paga, con la successiva richiesta di rimborso da parte dell’Istituto attraverso il sistema del congua-glio tra i contributi dovuti e le prestazioni corrisposte.

Una novità, rispetto al passato, è rappresentata dalla introduzione di un termine di decadenza di 6 mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del prov-vedimento di concessione (con tale termine l’Istituto definisce la delibera della sede per le integrazioni salariali ordinarie), se successivo, per chiedere il conguaglio: il tutto anche in una logica di accelerazione delle procedure e di monitoraggio delle risorse finanziarie. Per i trattamenti conclusi prima

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del 24 settembre 2015, i sei mesi decorrono da questa data. Qualora il provvedimento di concessione sia successivo alla scadenza del termine del provvedimento autorizzato, il conguaglio, afferma la circolare n. 24/2015, deve essere richiesto entro i sei mesi dalla data del provvedimento di con-cessione.

Per i trattamenti conclusi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 148/2015 i sei mesi decorrono dal 24 settembre 2015 o, se successiva, dalla data in cui è stato emanato il decreto di concessione.

C’è, poi, il caso delle difficoltà finanziarie dell’azienda che dichiara di non essere in grado di anticipare il trattamento di integrazione salariale ordinaria: qualora ciò sia ritenuto plausibile dall’Istituto, anche a seguito di accertamenti, l’INPS paga direttamente i lavoratori, ivi compresi gli asse-gni familiari, se spettanti. L’autorizzazione al pagamento diretto, invece, spetta al Ministero del Lavoro in caso di integrazione salariale straordinaria che, se del caso, chiederà solleciti accertamenti al servizio ispettivo dell’Ispettorato territoriale del Lavoro: essa, di regola, viene concessa nello stesso provvedimento di concessione ma è, ovviamente, soggetta a revoca nel caso in cui gli organi di vigilanza accertino il venir meno delle difficoltà economiche.

La circolare n. 24/2015 ha disposto che entro 30 giorni dalla presen-tazione dell’istanza di pagamento diretto, gli organi di vigilanza periferici debbono presentare alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali una relazione comprovante le difficoltà finanziarie dichiarandolo espres-samente sulla base di un esame dell’indice di liquidità riferita all’anno in corso: esso deve essere negativo, con valore inferiore all’unità, come risul-tante dal rapporto di due fattori: quello delle liquidità immediate e quello delle passività correnti. In casi eccezionali, aggiunge la nota ministeriale, l’organo di vigilanza potrà avvalersi sia dei verbali del Consiglio di Ammi-nistrazione che delle relazioni del rappresentante dell’azienda. Se dalla re-lazione dovesse emergere che non ci sono le difficoltà di ordine finanziario che postulano il pagamento diretto, il Ministero, attraverso la Direzione Generale degli Ammortizzatori, procederà alla revoca a partire dalla data della relazione ispettiva.

Da ultimo occorre evidenziare come la circolare Ministeriale, dopo aver radicato la competenza per gli accertamenti, sulla Direzione territo-riale competente per territorio (ora, Ispettorato territoriale del Lavoro, per

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effetto del D.Lgs. n. 149/2015), stabilisce che nel caso in cui l’accerta-mento delle difficoltà finanziarie riguardi più unità produttive ubicate in Province o Regioni diverse, esso deve essere effettuato dal Servizio Ispet-tivo ove insiste la sede legale.

Con circolare n. 27 dell’8 agosto 2016, formalmente inviata alle arti-colazioni periferiche del Ministero del Lavoro (ora “staccate” dallo stesso in quanto, facenti capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro), viene ipotiz-zato una sorta di “vademecum” per gli ispettori del lavoro chiamati ad effettuare le verifiche sulle integrazioni salariali straordinarie richieste.

La riflessione che segue vale anche per altre ipotesi che saranno trat-tate successivamente allorquando si parlerà delle varie ipotesi di CIGS e di contratto di solidarietà.

Nella sostanza, anche ricapitolando cose già dette in precedenza, si ricorda che, ai fini di quelle che sono le previsioni normative il Legislatore ha previsto verifiche per due ipotesi: a) quelle finalizzate all’accertamento degli impegni aziendali assunti in

sede di presentazione del programma di CIGS; b) quelle finalizzate all’accertamento dei presupposti per la concessione

del pagamento diretto dei lavoratori. L’analisi che segue non potrà che avere sempre presenti le causali in-

dividuate dal D.M. 13 gennaio 2016 n. 94033.

1. Verifiche sugli impegni aziendali assunti con la presentazione del programma di CIGS La nuova chiave di lettura è rappresentata dall’art. 25, comma 6, del

D.Lgs. n. 148/2015: cambiando una prassi consolidata, le verifiche, per tutte le ipotesi (CIGS e CDS), degli organi di vigilanza finalizzate all’accer-tamento degli impegni aziendali sono svolti nei tre mesi antecedenti la conclusione dell’intervento di integrazione salariale straordinario che, con la riforma, può esser concesso, sin dall’inizio, per tutto il periodo richiesto. La relazione ispettiva va inviata al Ministero entro i 30 giorni successivi alla fine dell’intervento integrativo salariale autorizzato e qualora dalla stessa emerga che il programma non è stato svolto o è stato rispettato solo in parte, il successivo riesame si conclude, fatte salve situazioni che neces-sitino di ulteriori accertamenti, con un provvedimento che deve essere emanato entro i successivi 90 giorni.

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Gli Ispettorati territoriali del Lavoro sono in grado, da subito, di “ca-lendarizzare” i tempi in quanto l’stanza va inviata, telematicamente, sia alla Divisione IV della Direzione Generale per gli Ammortizzatori che all’Ispettorato territoriale: in ogni caso, il sistema CIGSonline la invia, in automatico, all’Ispettorato territoriale competente.

Qui la Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incen-tivi all’Occupazione richiama, nella parte finale della circolare, gli Ispetto-rati territoriali del Lavoro all’osservanza dei termini entro cui procedere all’accertamento anche per i riflessi di responsabilità per ritardo nella con-clusione del procedimento amministrativo di revoca (nel caso in cui, ad esempio, non sia stato svolto il programma presentato), secondo la previ-sione contenuta nell’art. 2, comma 9, della legge n. 241/1990. Ciò, ad av-viso di chi scrive, dovrebbe comportare una particolare attenzione da parte dei Capi degli Ispettorati che dovrebbero assegnare, senza indugio, la pra-tica di verifica nel momento in cui, per effetto del mero decorso temporale (3 mesi prima della scadenza), occorrerà effettuare i controlli richiesti dalla norma.

Un identico ragionamento va fatto nel caso in cui l’impresa abbia pre-sentato la richiesta di pagamento diretto della CIGS o della solidarietà: il rispetto dei termini procedimentali (30 giorni dalla presentazione dell’istanza) assume una particolare rilevanza.

Un passaggio fondamentale relativo alle modalità di svolgimento delle verifiche riguarda il radicamento della competenza territoriale. Qui, il Di-castero del Lavoro opera una duplice distinzione: a) presupposti per la concessione del pagamento diretto: qualora siano

interessate una o più unità produttive che insistono sul territorio dell’Ispettorato del Lavoro, la competenza viene esercitata dal servizio ispettivo della stessa. Se la richiesta riguarda più unità produttive ubi-cate nella Regione o in più Regioni, il radicamento della competenza avviene sulla Direzione del Lavoro ove insiste la sede legale;

b) verifiche ispettive per l’accertamento della realizzazione del pro-gramma aziendale: esse devono essere effettuate da ciascun Ispetto-rato del Lavoro nel cui territorio è ubicata l’unità produttiva interes-sata. Ciò significa che, fatta salva l’ipotesi in cui sia lo stesso Ministero ad autorizzare l’accentramento, ogni servizio ispettivo dovrà effet-tuare le proprie verifiche e, poi, dovrà inviarle alla Divisione IV della

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Direzione Generale per gli Ammortizzatori e gli Incentivi all’Occupa-zione, entro i termini procedimentali, in via telematica, attraverso il sistema CIGSonline. Prima di entrare nel merito delle varie causali, seguendo l’ordine fis-

sato dal D.M. n. 94033 occorre precisare come l’accertamento non possa essere soltanto documentale ma postuli, sempre, l’accesso in azienda.

2. Riorganizzazione aziendale L’ art. 21, comma 1, lettera a) prevede che la CIGS possa essere ri-

chiesta, per un massimo di 24 mesi, per la causale di riorganizzazione aziendale che postula, innanzitutto, un piano di interventi finalizzato ad eliminare inefficienze di natura produttiva o gestionale. Il programma deve contenere indicazioni sia sugli investimenti che si intendono realizzare che sulla eventuale formazione con l’obiettivo di realizzare un consistente re-cupero del personale messo in CIGS.

È evidente che un aspetto basilare è rappresentato dal valore degli in-vestimenti ipotizzati, dichiarati all’atto di presentazione della domanda che, rapportato su base annua in relazione alla durata dell’intervento, deve essere superiore al valore medio degli investimenti, della stessa tipologia, operati nei 24 mesi precedenti. Nell’ammontare degli investimenti previsti (correlati alle unità produttive interessate) si comprende anche gli eventuali investimenti per la formazione o la riqualificazione, comprensivi dei con-tributi pubblici nazionali e regionali, ma anche comunitari.

Ma, cosa debbono verificare gli ispettori del lavoro? Il primo controllo deve essere funzionale alla verifica degli investi-

menti effettuati: essi debbono riguardare, direttamente, quelli impegnati nel processo produttivo e descritti nella istanza di richiesta: il tutto, anche in coerenza con ciò che afferma l’art. 1, comma 3, del D.M. n. 94033.

Cosa significa quest’ultima affermazione? Significa che non si tiene conto del valore medio annuo degli investi-

menti superiore alla media di quelli dell’ultimo biennio se l’impresa richie-dente la ristrutturazione è “reduce” da un precedente intervento di CIGS “ex lege” n. 223/1991 nei 2 anni antecedenti.

Qualora non ricorra quest’ultima ipotesi gli ispettori dovranno verifi-care sia la congruità degli importi investiti, controllando gli importi delle fatture, che la stretta correlazione al programma di investimenti sul quale sussiste l’impegno aziendale.

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C’è, poi, (secondo controllo) la questione legata all’attività di qualifi-cazione o riqualificazione professionale: se la stessa è stata prevista per il recupero e la valorizzazione delle risorse interne, gli ispettori del lavoro debbono verificare la stretta correlazione tra la formazione effettuata e le sospensioni, cosa molto importante e critica (il perché si spiegherà tra poco) soprattutto se si svolge sul posto di lavoro con un congruo numero di soggetti interessati alla formazione. La criticità che (l’esperienza ce lo dimostra) potrebbe portare a forme elusive può essere superata accertando che il percorso di formazione è finalizzato esclusivamente all’aggiorna-mento e non alla produzione ordinaria. Tutto questo comporta un accer-tamento sulla effettiva sospensione dei lavoratori dalla normale attività, la concreta attuazione delle sospensioni, il collegamento della formazione con la riorganizzazione ed il numero dei lavoratori coinvolti.

La circolare n. 27 offre alcuni parametri indicativi per verificare la “bontà” della formazione sul luogo di lavoro: a) quando i lavoratori sono adibiti a mansioni e compiti diversi rispetto

a quelli di ordinario impiego; b) quando, pur svolgendo gli stessi compiti, vengono adibiti su macchi-

nari ed attrezzature diverse; c) quando il progetto formativo postula una parte teorica strettamente

correlata ad una parte pratica; d) quando i soggetti formatori presentano una idoneità specifica al com-

pito; e) quando, durante la formazione, vi sia una forma di “tutoraggio” da

parte di lavoratori esperto su tali macchinari o di istruttori. Il terzo controllo riguarda l’accertamento relativo alle sospensioni che,

per l’entità, le modalità ed il tempo richiesto, debbono essere collegate alla riorganizzazione: ciò potrà avvenire anche con l’acquisizione delle dichia-razioni dei lavoratori.

La quarta verifica riguarda il recupero occupazionale: la norma af-ferma che lo stesso deve raggiungere almeno la percentuale del 70%: qui il computo, che è di natura puramente matematica, deve considerare non soltanto il numero dei lavoratori rientrati in azienda al termine del periodo di integrazione, ma anche di quelli ricollocati in altre unità produttive dell’impresa o in altre aziende o di quelli che hanno abbandonato l’azienda attraverso lo strumento delle dimissioni o delle risoluzioni consensuali o, anche, al termine di una procedura di mobilità conclusasi con il criterio

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della volontarietà (tale è il significato che la circolare n. 27 esprime quando parla di “gestione non traumatica” delle eccedenze). Ovviamente, ad av-viso di chi scrive, nel calcolo rientrano anche i lavoratori che, risolvendo il rapporto, sono andati in pensione, sfruttando qualche provvedimento agevolativo predisposto dal Legislatore come, ad esempio, quello indivi-duato dall’art. 4, commi da 1 a 7-ter, della legge n. 92/2012 o quelli pros-simi futuri (la norma va in vigore dal 1° maggio 2017) legati all’APE, alla RITA o ai c.d. “precoci”. Eventuali esuberi ulteriori andranno verificati alla luce del piano di gestione presentato dall’azienda al momento della presentazione della domanda di CIGS.

3. Crisi aziendale L’ipotesi prevista dall’art. 21, comma 1, lettera b) relativa alla crisi

aziendale fa riferimento a due causali diverse. La prima riguarda una situazione involutiva dell’impresa e postula un

piano di risanamento destinato a fronteggiare una serie di squilibri (pro-duttivi, finanziari, gestionali, di mercato): esso deve contenere interventi per il raggiungimento dell’obiettivo finalizzato, da un lato alla continua-zione dell’attività aziendale (non è più possibile la CIGS per cessazione di attività) ed alla salvaguardia, anche parziale, dell’occupazione.

La seconda concerne la richiesta di CIGS per crisi aziendale dovuta ad un evento improvviso ed imprevisto (si pensi, ad esempio, a misure di “embargo” nelle esportazioni e nelle importazioni verso uno Stato estero disposte dagli Organismi Comunitari).

Entrambe le ipotesi prevedono che la eventuale concessione non possa avere una durata superiore ai 12 mesi.

Ma come deve avvenire la verifica degli ispettori? Nel primo caso va valutato se il datore di lavoro ha rispettato sia i

tempi che i contenuti del programma di risanamento: ciò significa che vanno acquisiti e verificati documenti di natura amministrativa, fiscale, contabile e commerciale, necessari per avere un quadro d’insieme. Quest’ultimo va valutato anche in rapporto all’andamento involutivo dell’ultimo biennio (bilanci “in rosso”) ed al ridimensionamento (o, quan-tomeno, la “stasi”) dell’organico: non è che le nuove assunzioni siano “vie-tate” ma, certo, a meno che non si tratti di profili professionali non pre-senti in azienda e assolutamente necessari per la produzione, le stesse sono viste con “sospetto” (e andrebbero “motivate” agli ispettori), soprattutto,

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se accompagnate da benefici di natura contributiva (ad esempio, esonero contributivo ex lege n. 190/2014 o n. 208/2015), economica (50% dell’in-dennità di mobilità non ancora corrisposta) o fiscale (non computabilità ai fini dell’IRAP del costo del personale assunto a tempo indeterminato nel periodo “sotto osservazione”).

Normalmente, il programma di risanamento è accompagnato da un piano di gestione degli esuberi, cosa che può avvenire ipotizzando moda-lità diverse di cui, quella più comune, è senz’altro quella che prevede il ricorso alla procedura collettiva di riduzione di personale. Gli ispettori non debbono entrare nel merito di questa ma debbono verificare se il pro-gramma di ridimensionamento degli organici è avvenuto o meno: non en-trare nel merito significa, ad avviso di chi scrive, astenersi da qualsiasi va-lutazione che riguardi l’iter procedimentale per la quale il Legislatore pre-vede, attraverso altri strumenti (ricorso giudiziale) la possibilità della im-pugnativa.

Nel secondo caso ove la crisi è dovuta ad un evento improvviso od imprevisto non ha senso la verifica del biennio antecedente: qui va, “in primis”, valutato se l’evento che ha dato origine alla richiesta ed alla suc-cessiva concessione, presenta proprio le caratteristiche sopra evidenziate e, successivamente, se il piano di risanamento prospettato (ad esempio, ricerca di nuovi mercati) ha avuto attuazione. Il ridimensionamento della struttura aziendale non è una caratteristica necessaria ed obbligatoria di questa causale: tuttavia, se è stata prevista, occorrerà verificarne l’attua-zione.

4. Contratto di solidarietà Come è noto, il contratto di solidarietà difensivo è, tra gli ammortiz-

zatori sociali previsti, l’unico che richiede il raggiungimento di un accordo sindacale che, tuttavia, può avvenire soltanto con organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o con le “loro” RSA o la RSU, secondo la chiara dizione contenuta nell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015.

Prima di entrare nel merito delle cose che gli ispettori del lavoro deb-bono verificare, è opportuno ricapitolare i punti essenziali del contratto di solidarietà il cui obiettivo principale è quello di scongiurare, in tutto o in parte, licenziamenti collettivi attraverso una riduzione dell’orario che nella

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media, per i soggetti interessati, non può essere superiore al 60% dell’ora-rio giornaliero, settimanale o mensile con punte del 70% per i singoli la-voratori ma intese come media di riduzione nell’arco dell’intero periodo. Gli accordi collettivi debbono specificare le modalità di ricorso ad una maggiore prestazione lavorativa, durante la solidarietà, determinata da un aumento delle commesse o della produttività: ciò comporta una corrispon-dente riduzione del trattamento integrativo.

In linea di massima, durante la solidarietà non sono possibili nuove assunzioni a meno che le stesse non riguardino lavoratori in possesso di professionalità non disponibili nell’organico aziendale: tale principio è stato richiamato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 21 dell’11 agosto 2016 a proposito della possibilità di assumere un apprendista con contratto professionalizzante.

Ma cosa debbono verificare gli ispettori del lavoro? Innanzitutto che il contratto di solidarietà, inteso come riduzione ora-

ria programmata, sia stato rispettato: ciò potrà accadere incrociando i dati del Libro Unico del Lavoro e delle timbrature, con le dichiarazioni dei lavoratori interessati.

Una particolare attenzione va posta all’orario di lavoro, nel senso che prestazioni superiori a quelle concordate nell’accordo possono essere giu-stificate soltanto se previste dal contratto stesso, comportando una ridu-zione della integrazione. In tale logica va visto il lavoro straordinario che non è, assolutamente, ammesso per i lavoratori interessati, fatte salve ipo-tesi del tutto eccezionali che debbono essere giustificate e motivate.

Un’ultima verifica riguarda la possibilità che sia stata aperta una pro-cedura di riduzione collettiva di personale, oppure, che ci siano state of-ferte datoriali per la risoluzione di rapporti di lavoro in essere: ebbene, il D.M. n. 94033 prevede, in linea di continuità con un indirizzo espresso negli anni passati, che riduzioni di personale ci possano essere ma che esse debbano avvenire con la “non opposizione” dei lavoratori (volontarietà quale criterio nella procedura collettiva, dimissioni, risoluzioni consen-suali). Da ciò discende che nel caso in cui si sia verificata questa eventua-lità, gli organi di vigilanza dovranno controllare gli atti che hanno portato alla risoluzione dei singoli rapporti di lavoro.

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5. Imprese appaltatrici di servizi di mensa e servizi di pulizia Il trattamento integrativo salariale straordinario per i dipendenti delle

imprese che gestiscono i servizi di mensa e quelli di pulizia, come chiara-mente affermato all’interno del D.M. n. 94033 per poter essere ricono-sciuto deve essere in stretta correlazione con la contrazione dell’attività del committente che ha fatto ricorso ad uno qualsiasi degli ammortizzatori ordinari o straordinari (CIGO – solo per i servizi di mensa -, CIGS per ristrutturazione, CIGS, per crisi aziendale, contratto di solidarietà difen-sivo).

La verifica degli organi ispettivi è finalizzata a verificare la connessione tra i due eventi e, in tale ottica, andranno acquisiti i contratti di appalto o di subappalto e la documentazione contabile e “visionato” il LUL.

6. Imprese artigiane Per l’impresa artigiana il ricorso al trattamento di integrazione salariale

è possibile soltanto nel caso in cui il committente che ha un influsso ge-stionale prevalente abbia fatto ricorso ad uno qualsiasi degli ammortizza-tori sociali straordinari, a trattamenti di integrazione ordinaria, a presta-zioni a carico dei fondi di solidarietà alternativi o del fondo di integrazione salariale. Per i dipendenti delle imprese artigiane il trattamento può essere autorizzato limitatamente al periodo in cui vi sia stato ricorso ai trattamenti di sostegno da parte dell’impresa che esercita l’influsso prevalente.

Il compito degli ispettori si sostanzia nella verifica dell’influsso preva-lente (fatture che superano la misura del 50%) e nella, conseguente, diretta connessione tra le due “situazioni di crisi”.

7. Partiti politici e movimenti politici e loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali L’art. 16, comma 1, della legge n. 13/2014 ha esteso ai partiti ed ai

movimenti politici ed alle loro articolazioni territoriali (a prescindere dal numero dei dipendenti) la possibilità di richiedere, nel limite dei finanzia-menti previsti dalla legge, la cassa integrazione straordinaria ed il contratto di solidarietà difensivo. La norma non riguarda i dipendenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato e di quelli costituiti presso i Consigli Re-gionali.

Nel caso in cui sia stato presentato un programma di riorganizzazione, gli ispettori del lavoro debbono verificare la coerenza delle sospensioni

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con l’attuazione del programma di gestione delle eccedenze di personale. Se, invece, la richiesta è quella di crisi aziendale il controllo va fatto sulla “ripresa della attività” e sul piano di gestione degli esuberi.

Qualora sia stato, invece, richiesto il contratto di solidarietà difensivo, gli organi di vigilanza dovranno effettuare le verifiche che sono state evi-denziate sub 3.

8. Procedure concorsuali Come è noto, dal 1 gennaio 2016, per effetto dell’art. 2, comma 70,

della legge n. 92/2012 non è più possibile chiedere ed autorizzare la CIGS per le imprese ammesse ad una procedura concorsuale. Tuttavia, come già precisato in via amministrativa, se la procedura prevede una continuazione dell’attività, è possibile fare ricorso ad una delle ipotesi previste dagli am-mortizzatori sociali straordinari. Conseguentemente, gli organi di vigi-lanza, a seconda della richiesta, effettueranno i controlli già descritti per le singole causali.

Violazione del criterio della rotazione in CIGS L’art. 24, comma 6, del D.Lgs. n. 148/2015 ed il successivo D.M. n.

94956 del 10 marzo 2016, hanno previsto un sistema sanzionatorio nei confronti di quelle imprese che, disattendendo quanto previsto nel verbale di esame congiunto o dichiarato nella istanza di concessione della CIGS, hanno disatteso la rotazione tra i lavoratori interessati alla sospensione o riduzione di orario: il D.M. ha quantificato la sanzione in un aumento del contributo addizionale previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 148/2015, nella misura dell’1%, calcolato sui singoli lavoratori per i quali non è stata ap-plicata la rotazione che, va sottolineato, serve per “non emarginare” alcuni dipendenti, facendo gravare soltanto su alcuni di essi, la riduzione della retribuzione.

L’accertamento ispettivo può partire da una segnalazione dei lavora-tori interessati o da una organizzazione sindacale ma anche d’iniziativa a seguito di un normale accesso ispettivo o anche in sede di verifica effet-tuata nei 3 mesi antecedenti la fine dell’intervento.

La verifica prevede il controllo della documentazione aziendale, del LUL e l’acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori e dei rappresentanti dell’azienda.

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Se la rotazione non è stata effettuata l’Ispettorato territoriale del La-voro trasmette gli esiti dell’accertamento alla sede competente dell’INPS e ne dà notizia al trasgressore: l’Istituto provvede ad applicare sul contributo addizionale dovuto (9%, 12%, 15% della retribuzione globale non corri-sposta, a seconda del periodo nell’ambito del quinquennio mobile), l’in-cremento pari all’1% (che, stando al dettato letterale del D.M. n. 94956 è l’unica sanzione) rapportato al numero dei lavoratori per i quali non è stata applicata la rotazione ed al periodo accertato dagli ispettori del lavoro (così è affermato a pag. 10 della circolare n. 27 al terzo capoverso del punto B).

La questione della mancata rotazione, al di là degli aspetti rilevabili con l’accesso ispettivo ed il conseguente aumento del contributo addizionale, pone un problema di natura risarcitoria a favore dei lavoratori esclusi. L’in-dennità risarcitoria può essere quantificata ex art. 1218 c.c. (inadempi-mento contrattuale) in una misura che tiene conto di quanto gli interessati avrebbero percepito a titolo di retribuzione e quanto ottenuto a titolo di integrazione salariale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13926/2001 che si riferisce al vecchio testo sulla rotazione contenuto nell’art. 1 della legge n. 223/1991, ha ritenuto che il diritto a chiedere il risarcimento possa essere esercitato anche collettivamente attraverso le or-ganizzazioni sindacali.

Pagamento diretto: art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015 La norma prevede che in presenza di difficoltà di natura finanziaria il

datore di lavoro possa richiedere al Ministero del Lavoro che venga auto-rizzato il pagamento diretto ai lavoratori dell’integrazione salariale straor-dinaria da parte dell’INPS: l’autorizzazione può avvenire anche contestual-mente alla emissione del provvedimento di concessione ma la stessa può essere sottoposta a revoca nel caso in cui gli organi di vigilanza non con-statino le predette difficoltà.

Già la circolare n. 24/2015 aveva fornito agli ispettori le prime indica-zioni che, ora, la circolare n. 27 provvede ad integrare.

Nella sostanza, al di là di relazioni abbastanza lunghe e “fumose”, si chiede agli Ispettorati territoriali del Lavoro di dichiarare espressamente se le difficoltà di natura finanziaria impediscono all’impresa di anticipare il trattamento e di conguagliarlo successivamente.

La verifica va fatta sull’analisi dell’indice di liquidità riferita all’anno in corso: esso deve risultare negativo, con valore inferiore all’unità, ed è il

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risultato del rapporto tra liquidità immediate e passività correnti. Qualora ciò non sia congruamente rilevabile, gli organi di vigilanza (ma ciò viene inteso come eccezionale) possono prendere in considerazione documenti aziendali riferibili direttamente all’impresa o al Consiglio di Amministra-zione.

Per liquidità immediate si intendono: contanti in cassa ed assegni, conto corrente bancario, titoli facilmente negoziabili sul mercato (il Mini-stero non si dilunga sul significato dell’avverbio “facilmente”, cosa che potrebbe presupporre, in determinate situazioni, accertamenti che esulano dalla preparazione professionale dell’ispettore).

Per passività correnti si intendono: debiti di fornitura, debiti per finan-ziamenti a breve e debiti verso banche, debiti diversi (IVA, IRPEF, dipen-denti, INPS, INAIL, ecc.), ratei e risconti passivi, partite passive da liqui-dare, quote di finanziamento a medio e lungo termine che debbono sca-dere entro 12 mesi.

Regime transitorio Nell’ultimo “passaggio” la circolare n. 27 affronta la questione del c.d.

“regime transitorio” che riguarda quei provvedimenti di integrazione sala-riale che hanno “visto la luce” prima del 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 148.

Si tratta delle richieste presentate secondo le previsioni della legge n. 223/1991 (cassa integrazione straordinaria per conversione, ristruttura-zione, riorganizzazione, crisi aziendale, crisi aziendale per cessazione di attività), della legge n. 863/1984 (vecchio contratto di solidarietà difen-sivo) e del D.P.R. n. 218/2000 (modalità operative): queste seguono le regole procedimentali all’epoca in vigore. Da ciò discende che per il con-tratto di solidarietà difensivo ex lege n. 863/1984 non sia previsto alcun accertamento ispettivo se non nella ipotesi in cui sia richiesto il pagamento diretto.

Da ultimo, si ricorda che per le causali di riorganizzazione, ristruttura-zione e conversione aziendale ex art. 1 della legge n. 223/1991, le tempi-stiche procedimentali restano quelle individuate dall’art. 4 del D.P.R. n. 218/2000: esse, tenuto conto del tempo trascorso, hanno, al momento, rilevanza quasi esclusivamente per il comma 2, il quale prevede che “de-corsi 12 mesi dall’inizio del trattamento straordinario di integrazione sala-riale, gli Ispettorati territoriali del Lavoro competenti, entro 20 giorni dalla

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presentazione di ciascuna domanda di proroga, svolge una verifica intesa ad accertare la regolare attuazione del programma da parte dell’impresa”.

Condizionalità e politiche attive del lavoro L’art. 8 va letto in relazione alle nuove politiche del lavoro che, con

altri provvedimenti attuativi della legge delega n. 183/2014, l’Esecutivo ha messo in campo (v. D.Lgs. n. 22/2015 ma anche il D.Lgs. n. 150/2015 sul riordino delle politiche attive del lavoro, anch’esso emanato il 23 settembre 2015 ed entrato in vigore il giorno successivo e con l’art. 4 del D.Lgs. n. 185/2016 in vigore dall’8 ottobre 2016).

I lavoratori che subiscono una sospensione o riduzione dell’attività dell’orario di lavoro superiore al 50% rispetto al normale orario di lavoro, calcolato su un periodo di 12 mesi, sono convocati dai centri per l’impiego, competenti per territorio, per la sottoscrizione di un programma persona-lizzato di qualificazione o riqualificazione professionale. Tale previsione contenuta anche, per le sue specificazioni nell’art. 22, comma 1, del De-creto Legislativo n. 150/2015, è per così dire, “onnicomprensiva”, in quanto riguarda sia le integrazioni salariali, quelle straordinarie, quelle de-rivanti dalla solidarietà difensiva ma anche quelle frutto degli interventi dei fondi bilaterali o di integrazione salariale di cui parlano gli articoli da 26 a 28 del provvedimento che si sta commentando. Ciò è condizione per la fruizione del trattamento integrativo ed il D.Lgs. n. 150/2015 prevede, al comma 3 dell’art. 22 alcune sanzioni progressive di natura economica che passano attraverso la decurtazione degli introiti in relazione alla mancata presentazione alle convocazioni per gli appuntamenti per la sottoscrizione del programma personalizzato e per la mancata partecipazione alle inizia-tive di rafforzamento delle competenze, di qualificazione e riqualificazione professionale. Tali sanzioni sono, cose si diceva, di natura progressiva e, partendo dalla decurtazione di ¼ di mensilità per la prima mancata pre-sentazione, giungono alla decadenza dalla prestazione in caso di assenza di partecipazione.

Se durante il periodo integrativo il lavoratore svolge un’attività di la-voro subordinato od autonomo, il trattamento non viene riconosciuto per le giornate di prestazione lavorativa. La circolare n. 197/2015 dell’INPS ricorda che la giurisprudenza ha, in passato, affermato che il divieto di cumulo (assoluto o parziale secondo le casistiche riportate nella circolare

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n. 130/2010), si riferisce anche alle attività iniziate prima del collocamento del lavoratore in trattamento integrativo.

Il lavoratore decade dal trattamento se non ha dato all’INPS comuni-cazione preventiva dello svolgimento dell’attività ma c’è da ricordare che, anche in relazione al concetto di comunicazione pluri efficace risalente al D.Lgs. n. 76/2013, le comunicazioni preventive dei datori di lavoro (rap-porto di lavoro subordinato, intermittente, collaborazione coordinata e continuativa, ecc.) e delle Agenzie di somministrazione (entro il 20 del mese successivo al verificarsi dell’evento) sono valide all’assolvimento dell’obbligo del prestatore.

3. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali ordinarie (CAPO II) Con l’art. 9 si entra nel capo II del Decreto Legislativo n. 148/2015

ove vengono trattate le integrazioni salariali ordinarie. Tutti i trattamenti integrativi salariali ordinari afferiscono alla gestione

delle prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti istituita presso l’INPS ex art. 24 della legge n. 88/1989: tutta la contribuzione, anche quella addizionale, e tutte le prestazioni fanno capo a tale gestione con la evidenziazione, per ciascun trattamento, sia della contribuzione che delle addizionali.

Campo di applicazione

L’art. 10 assume una particolare importanza in quanto individua i set-tori nei quali (ma non ci sono novità, rispetto al passato) trova applicazione il regime delle integrazioni salariali ordinarie e la relativa contribuzione: a) imprese manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di im-

pianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas; b) cooperative di produzione e lavoro che svolgano attività lavorative si-

milari a quelle degli operai delle imprese industriali, fatta eccezione delle cooperative ex D.P.R. n. 602/1970, per le quali l’art. 1 del D.P.R. non prevede la contribuzione per la CIG;

c) imprese dell’industri boschiva, forestale e del tabacco; d) cooperative agricole, zootecniche e dei loro consorzi che esercitano

attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di

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prodotti agricoli propri per i soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato;

e) imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche;

f) imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi; g) imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato; h) imprese addette agli impianti telefonici ed elettrici; i) imprese addette all’armamento ferroviario; j) imprese industriali degli Enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia

interamente di proprietà pubblica; k) imprese industriali ed artigiane dell’edilizia e affini; l) imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o escavazione

di materiale lapideo; m) imprese artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione

di materiali lapidei, con esclusione di quelle che svolgono talee attività di lavorazione in laboratori con strutture e organizzazione distinte dalle attività di escavazione. Con una nota del 9 novembre 2015 (prot. n. 5359) indirizzata

all’INPS, il Ministero del Lavoro ha chiarito che nonostante l’abrogazione dell’art. 3 del Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 869/1947 che riportava i settori nei quali non operava l’ombrello protet-tivo della cassa integrazione guadagni, la tutela dei lavoratori delle imprese operanti in quei settori (ad esempio, marittimi, trasporto pubblico, ecc.) risulta assicurata dai Fondi di solidarietà bilaterali di settore o, in man-canza, dal Fondo di solidarietà residuale, istituiti dall’art. 3 della legge n. 92/2012 con gli adeguamenti fissati nel D.Lgs. n. 148/2015. In ogni caso, ora, il problema è stato superato attraverso la legge n. 208/2015 che all’art. 1, comma 309, ha fatto “rivivere” il predetto art. 3.

La circolare INPS n. 197/2015 ricorda che per le istanze di CIGO, pur presentate dopo il 24 settembre 2015, ma che si riferiscono ad eventi di sospensione o riduzione di orario iniziati prima, non è richiesto il requi-sito dell’anzianità di effettivo lavoro (90 giorni), ed inoltre, trovano appli-cazione le preesistenti discipline.

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Causali

L’integrazione salariale ordinaria per sospensione o riduzione di orario in favore dei dipendenti dalle imprese indicate nell’art. 10, spetta in pre-senza di causali riferibili a crisi momentanee o di natura assolutamente transitoria. L‘art. 11 individua specificatamente: a) le situazioni aziendali dovute ad eventi di natura transitoria e non im-

putabili all’impresa od ai lavoratori, incluse le intemperie stagionali. Tra di esse rientrano, senz’altro, la mancanza di lavoro intesa come mancanza o rarefazione di commesse, la crisi di mercato, la mancanza di materie prime non dipendente da inadempienze contrattuali, l’inter-ruzione di energia elettrica dovuta a fatto dell’Ente erogatore, incen-dio, eventi naturali diversi dalle intemperie (ad esempio, alluvioni, ter-remoti, ecc.), incendi, sciopero “a monte” con mancanza di materie necessarie per la lavorazione, guasti di macchinari (nonostante la or-dinaria manutenzione), perizia di variante o suppletiva dipendente da fatti imprevedibili, ordine di pubblica autorità non ascrivibile a com-portamento inadempiente dell’imprenditore come, ad esempio, la so-spensione dell’attività imprenditoriale ex art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008;

b) le situazioni temporanee di mercato, come la crisi che non deve dipen-dere da mancanze strutturali dell’impresa. Le causali non integrabili sono diverse e, da un punto di vista ammi-

nistrativo, sono già state prese in considerazione, in passato. Senza avere la pretesa della esaustività se ne elencano alcune: a) ferie collettive; b) manutenzione ordinaria e disinfestazione periodica; c) inventario; d) sciopero aziendale; e) soste stagionali e contrazioni ricorrenti nelle aziende che ciclicamente

riducono l’orario di lavoro, attesa la natura del processo produttivo; f) licenziamenti: non è integrabile l’ipotesi se già nella richiesta si ritiene

che al termine del periodo integrato i lavoratori (o alcuni di essi) ven-gano licenziati. L’integrazione ordinaria presuppone, infatti, una ri-presa sia pure minima dell’attività aziendale. Diversa è, invece, la riso-luzione del rapporto di lavoro durante il periodo di prova che il mes-saggio INPS n. 16606 del 12 ottobre 2012, equipara, per quanto ri-guarda gli effetti, al contratto a termine, ritenendo che, in questo caso, possano rientrare nel programma di CIG ed usufruire della relativa

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indennità, alle stesse condizioni dei lavoratori a tempo determinato, con applicazione delle diposizioni contenute nella circolare INPS n. 130/2010.

Durata

Le integrazioni salariali ordinarie, come già previsto in passato, hanno una durata massima di 13 settimane, limite che può essere prorogato tri-mestralmente (senza alcun riferimento a situazioni eccezionali) fino a 52 settimane (con la vecchia normativa si parlava, rispettivamente, di 3 e 12 mesi). Se è stato raggiunto il limite massimo di 52 settimane, per poter richiedere un nuovo intervento ordinario occorre che sia trascorso un pe-riodo di almeno 52 settimane di attività lavorativa. L’integrazione salariale per più periodi non continuativi non può superare le 52 settimane in un biennio mobile, fatta eccezione per le ipotesi riconducibili ad eventi non oggettivamente evitabili e a trattamenti del settore edile o lapideo.

Il computo del limite temporale delle 52 settimane va effettuato te-nendo conto dei periodi di CIGO antecedenti il 24 settembre 2015, atteso che non è stata modificata la disciplina relativa al biennio mobile delle in-tegrazioni salariali ordinarie.

Le circolari n. 197/2015 e n. 9/2017 hanno previsto, per i datori di lavoro, l’obbligo di comunicare i dati che identificano l’unità produttiva, seguendo le apposite procedure telematiche, a cui segue l’assegnazione di un numero progressivo da indicare nella denuncia UNIEMENS.

Va ricordato che il criterio di computo delle settimane adottato dall’INPS con il conforto del Ministro del Lavoro chiarito nella circolare dell’Istituto n. 58/2009 resta in vigore per espressa dizione contenuta nella circolare del Ministero del Lavoro n. 24/2015, fatta propria anche dalla circolare INPS n. 197/2015. Si ricorda che, al tempo, fu fornita una inter-pretazione evolutiva finalizzata ad individuare un criterio più flessibile di computo, per cui i limiti massimi di durata della CIGO si computano avuto riguardo non ad una settimana intera di calendario ma alle singole giornate di sospensione. Di conseguenza, una settimana risulta fruita sol-tanto nel caso in cui la contrazione di orario abbia riguardato sei giorni (cinque, in caso di settimana corta), con l’obbligo per le imprese di comu-nicare all’Istituto le settimane effettivamente “godute” sommando tutte le giornate di CIG.

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Come in passato, il comma 4 dell’art. 12 prevede che per le imprese che non operano nel settore edile, lapideo, escavazione ed affini, gli inter-venti determinati da eventi oggettivamente non evitabili (casi fortuiti, im-provvisi, non rientranti nel rischio di impresa) non siano compresi nelle 52 settimane riferite al biennio. Da ciò discende che per le imprese escluse nel limite massimo delle 52 settimane riferite al biennio mobile vanno cal-colati gli eventi non evitabili: ciò appare logico alla luce del fatto che in edilizia o nei settori della escavazione, dei lapidei ed affini, il ricorso alle integrazioni per intemperie appare una costante.

Una novità importante, postulata dall’art. 1, comma 2, lettera a), punto 4, della legge n. 183/2014, è contenuta al comma 5 dell’art. 12: non pos-sono essere autorizzate ore di CIGO eccedenti il limite di 1/3 delle ore lavorabili nel biennio mobile (nel silenzio di espliciti chiarimenti ammini-strativi forse occorre ricomprendere anche le festività, le ferie, gli infortuni e le astensioni obbligatorie), con riferimento a tutti i lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nel semestre antecedente l’istanza di con-cessione della integrazione. In tale logica, l’impresa comunica nella stessa domanda di concessione, il numero dei lavoratori mediamente occupati nell’unità produttiva nell’ultimo semestre.

Il principio appena esposto farà sì che le richieste di CIGO dovranno, oggi, essere presentate dopo aver effettuato una attenta valutazione della situazione, atteso che, pur in presenza di una contribuzione addizionale che già di per sé stessa dovrebbe ricondurre il tutto ad un intervento es-senziale, ci potrebbe essere il rischio fondato che tutte le istanze non pos-sano essere soddisfatte.

Ci si trova di fronte, infatti, ad una sorta di contingentamento delle ore oggetto di autorizzazione in quanto il numero massimo “teorico”, pe-raltro, mitigato dalla constatazione del limite biennale relativo alle ore la-vorabili, riferite a tutti i lavoratori, con la conseguenza che se la CIGO è a “zero ore” per tutti i dipendenti il “plafond” disponibile cala più veloce-mente e, magari, ad un certo punto, parte delle ore richieste potrebbero non essere autorizzate.

Da un primo esame della nuova cassa integrazione ordinaria si può sottolineare come il datore di lavoro si trovi, oggi, a “giostrare” l’istituto attraverso tre limiti: a) quello dei 12 mesi nel biennio mobile (limite già esistente nella vecchia

normativa);

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b) quello dei 24 mesi nel nuovo quinquennio mobile; c) quello del possibile superamento (art. 12, comma 5) del limite di 1/3

delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile, con riferimento ai lavoratori dell’unità produttiva mediamente occupati nei sei mesi pre-cedenti.

Contribuzione

La legge delega ha previsto una riduzione ed una rimodulazione degli oneri contributivi ordinari destinati a finanziare la CIGO anche in rela-zione alla effettiva utilizzazione. A ciò ha provveduto l’art. 13: a) 1,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipen-

denti impiegati, operai ed apprendisti (con rapporto “professionaliz-zante”) delle imprese industriali che occupano fino a 50 dipendenti;

b) 2,00% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipen-denti già individuati sub a) delle imprese industriali che occupano più di 50 dipendenti;

c) 4,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipen-denti già individuati sub a) delle imprese industriali ed artigiane del settore edile;

d) 3,30% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli operai ed apprendisti professionalizzanti delle imprese dell’industria e artigia-nato lapidei;

e) 1,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impie-gati ed i quadri delle imprese dell’industria e dell’artigianato edile e la-pidei che occupano fino a 50 dipendenti;

f) 2,00% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per gli impie-gati ed i quadri delle imprese dell’industria e dell’artigianato edile e la-pidei che occupano più di 50 dipendenti. Le nuove misure contributive, ricorda il messaggio n. 24/2016, decor-

rono dal periodo di paga di settembre 2015. Il limite dimensionale (comma 2) viene determinato, con effetto dal

1° gennaio di ogni anno, sulla base del numero medio dei dipendenti di-chiarato dall’impresa relativamente al personale in forza nell’anno prece-dente. Per le imprese costituite in corso d’anno è preso, come riferimento, il numero dei dipendenti in forza alla scadenza del primo mese. Nel com-puto vanno compresi sia gli apprendisti (con qualsiasi tipologia contrat-tuale) che i lavoratori a domicilio, mentre i lavoratori a tempo parziale, per

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effetto della previsione specifica contenuta nell’art. 9 del D.Lgs. n. 81/2015, sono calcolati “pro-quota”, mentre per quelli con contratto a termine la computabilità avviene secondo le regole fissate dall’art. 27 dello stesso Decreto Legislativo. Per i lavoratori intermittenti, invece, le moda-lità di computo (prestazioni effettivamente svolte nell’ultimo semestre ri-spetto al normale orario di lavoro) sono indicate sempre dal D.Lgs. n. 81/2015, all’art. 18. La circolare n. 24/2015, facendo, sostanzialmente una forzatura sulla disposizione legislativa (ma di ciò si parlerà successiva-mente), afferma che i lavoratori con contratto a tempo indeterminato ven-gono computati ognuno come unità.

I dati debbono essere forniti dalle imprese all’INPS: all’Istituto vanno, altresì, comunicate le variazioni che possono comportare una variazione della misura contributiva.

È appena il caso di ricordare la sottolineatura del comma 3: nell’ipotesi in cui vi sia richiesta del trattamento integrativo va pagato anche il contri-buto addizionale nella misura prevista dall’art. 5 che, invece, non è dovuto per eventi non evitabili (ad esempio, intemperie meteorologiche).

La circolare n. 197/2015 ricorda che le nuove aliquote ordinarie si ap-plicano, come si diceva pocanzi, dal mese di settembre 2015 e che even-tuali differenze a credito delle aziende saranno definite seguendo la prassi normale e come ricorda, anche con riferimento agli apprendisti, il messag-gio n. 24/2016, il quale fornisce indicazioni anche per il calcolo dei limiti dimensionali relativi al 2016 (media annua del 2015). Ai fini del computo, per i mesi da gennaio ad agosto 2015, non si tiene conto dei dipendenti in forza come apprendisti che, invece, vanno considerati per il periodo com-preso tra settembre e dicembre. La media ponderata costituisce la forza dimensionale sulla quale va calcolato il contributo.

Informazione e consultazione sindacale

L’art. 14 detta la nuova procedura di informazione e consultazione sindacale: il passaggio è molto importante, in quanto, seppure i termini della consultazione sono rimasti uguali, quelli della presentazione dell’istanza, ad essi correlati, come si vedrà nell’esame dell’art. 15, si sono, di molto ridotti, rispetto al passato.

Il datore di lavoro (non c’è alcun riferimento al tramite dell’associa-zione cui aderisce, cosa che appare come una dimenticanza del Legislatore

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delegato), in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa ha l’ob-bligo di comunicare, in via preventiva, alla RSA o alla RSU o, in mancanza, alle strutture territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause, l’entità, la durata precedibile ed il numero dei lavoratori interessati.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto che può essere richiesto da una delle parti (quindi anche dall’imprenditore): l’oggetto dell’incontro è, indubbiamente, l’esame della situazione complessiva ed è finalizzato alla tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla situazione di crisi.

Il Legislatore delegato fissa termini perentori per la conclusione dell’esame congiunto (che può terminare anche senza alcun accordo): 25 giorni, ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 dipendenti.

Questa è la regola generale che può essere superata (comma 4) allor-quando a fronte di eventi non oggettivamente evitabili la sospensione o la riduzione di orario non possano essere differite: in questo caso il datore di lavoro deve comunicare alle proprie rappresentanze interne o, in man-canza, alle strutture territoriali sopra individuate, la durata prevedibile della sospensione o della riduzione ed il numero dei dipendenti interessati. Se la riduzione di orario è superiore alle 16 ore settimanali, su richiesta di una delle parti, che deve avvenire entro 3 giorni dalla comunicazione datoriale, si deve addivenire ad un esame congiunto concernente sia la previsione della ripresa della normale attività produttiva che la distribuzione degli orari di lavoro. La procedura si deve esaurire entro i 5 giorni successivi a quello della richiesta.

Queste disposizioni, che hanno una portata generale, trovano applica-zione in edilizia e nel settore dei lapidei (sia dell’industria che dell’artigia-nato) soltanto alle richieste di proroga del trattamento con sospensione dell’attività lavorativa oltre le 13 settimane.

L’art. 14 ricorda, infine, che nella istanza di concessione, da presentare all’INPS, va data comunicazione relativa agli adempimenti della proce-dura.

Procedimento

L’istanza per la concessione, ricorda l’art. 15, deve essere presentata all’INPS esclusivamente in via telematica entro i 15 giorni successivi all’ini-zio della sospensione o della riduzione di orario. Nel computo non si com-prende il giorno iniziale e se l’ultimo è festivo, la scadenza viene prorogata

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al primo giorno seguente non festivo. Il limite dei 15 giorni riguarda tutte le istanze: l’art. 2 del D.Lgs. n. 185/2016, tuttavia, intervenendo sul D.Lgs. n. 148/2015, in vigore dall’8 ottobre 2016, ha precisato che le istanze do-vute ad eventi meteorologici possono essere presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui è accaduto l’evento.

Con la circolare n. 197/2015 l’INPS ha, nella sostanza, riaperto i ter-mini per l’invio telematico delle istanze di integrazione ordinaria, operando una neutralizzazione del periodo intercorso tra il 24 settembre 2015 ed il 2 dicembre, data di pubblicazione della nota sopra indicata. Dal 3 al 17 dicembre possono essere presentate le domande riferite al periodo 24 set-tembre – 2 dicembre. Per tutte queste istanze si applicano le nuove regole: giova, peraltro, ricordare come se l’istanza si riferisce a fatti antecedenti la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 148/2015, il requisito dell’anzianità effettiva per almeno 90 giorni non trova applicazione.

Qui si tratta di una novità rispetto a ciò che era previsto dalle disposi-zioni precedenti che offrivano il termine più ampio, rappresentato dal fatto che l’istanza poteva essere presentata entro i 25 giorni successivi alla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui aveva avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario.

Se non viene rispettato il termine dei 15 giorni, il trattamento integra-tivo non può riguardare periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione. Se dalla omessa o tardiva presentazione deriva un danno ai lavoratori consistente nella perdita totale o parziale del trattamento in-tegrativo, il datore di lavoro risponde del danno causato con una somma da corrispondere agli interessati equivalente nell’importo alla integrazione salariale non percepita.

Ma cosa deve contenere la domanda? Gli elementi essenziali sono: a) la causale della sospensione o della riduzione di orario; b) la durata presumibile, intesa quale valutazione prognostica; c) i nominativi dei lavoratori interessati; d) il numero delle ore richieste.

L’INPS è tenuta (comma 1) ad inviare alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano le informazioni pervenute in suo possesso, attraverso il sistema informativo unitario delle politiche del lavoro: il tutto, nella logica della piena attuazione di quanto previsto dall’art. 8, comma 1, che subordina la fruizione dei trattamenti integrativi ad una serie di condi-zioni.

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L’INPS, con messaggio n. 5919 del 24 settembre 2015, al fine di assi-curare la continuità dei servizi tra vecchia e nuova norma, ha fornito alcune istruzioni destinate a superare alcuni “impasse” affermando che: a) le domande per gli eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavo-

rativa precedenti il 24 settembre, data di entrata in vigore della legge, possono essere presentate dalle aziende con le vecchie modalità;

b) le istanze concernenti gli eventi di sospensione o riduzione di orario verificatisi a partire dal 24 settembre, seguono le nuove regole, cosa che comporta che le stesse debbano essere corredata dall’elenco dei lavoratori interessati alla sospensione o alla riduzione di orario, dal numero dei lavoratori mediamente occupati nel semestre precedente distinti per orario contrattuale: a tal proposito il datore di lavoro dovrà allegare un file in formato CSV con alcuni dati relativi agli addetti all’Unità produttiva interessata.

Concessione

L’art. 16 afferma che dal 1° gennaio 2016 le integrazioni salariali ordi-narie sono concesse dalla sede territoriale dell’INPS competente per terri-torio. Ciò significa che vengono meno sia i poteri decisionali della com-missione provinciale per l’integrazione salariale che di quella per l’edilizia.

Il D.M. n. 95442 ed i successivi chiarimenti amministrativi dell’Istituto avvenuto con il messaggio n. 2908/2016 e con la circolare n. 139/2016 impongono una breve riflessione sui contenuti.

Dopo essersi soffermata su alcuni chiarimenti propedeutici essenziali (di alcuni dei quali si è già parlato, come ad esempio quelli relativi al com-puto dei 90 giorni di anzianità aziendale), sulla questione delle ferie ove, con riferimento alla posizione ministeriale espressa con l’interpello n. 19/2011, si afferma che se l’integrazione è a “zero ore” le stesse, seppur maturate, possono essere godute anche successivamente, sul periodo di CIGO seguito da un periodo di CIGS (richiesta legittima e, se ne esistono le condizioni, autorizzabile) il D.M. n. 95442 e la circolare n. 139/2016 entrano nel merito delle questioni, incentrando, molto di più rispetto al passato, l’attenzione su una serie di dati ed elementi riferiti alle singole causali ed alle relazioni tecniche di accompagnamento.

Il nuovo sistema di presentazione delle istanze di CIGO, del loro esame e della loro approvazione è completamente diverso rispetto al pas-sato: per ogni causale è prevista, quale elemento obbligatorio una relazione

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tecnica molto più precisa e puntuale rispetto al passato ove l’Istituto chiede conto di una serie di elementi che, a seconda della specifica motivazione per la quale si chiede l’intervento, può essere abbastanza penetrante. Ci si riferisce, ad esempio, alla causale della mancanza di lavoro o alla crisi di mercato ove il datore di lavoro, con dovizia di particolari, deve soffermarsi sull’andamento involutivo temporaneo allegando tutto ciò che riguarda il bilancio ed il fatturato. L’INPS, ove necessario, può chiedere ulteriori ele-menti di valutazione concernenti l’andamento di una serie di indicatori economici e finanziari.

Ci sono alcune situazioni particolari che, ad avviso di chi scrive, an-drebbero riviste: è il caso degli eventi meteorologici ove, pur nell’allenta-mento dei vincoli operato con il D.Lgs. n. 185/2016 (possibilità di presen-tare tutte le istanze entro la fine del mese successivo), si continuano a chie-dere ai datori di lavoro i bollettini meteorologici a supporto delle istanze che, essendo di provenienza pubblica (ARPA, Aeronautica, ecc.), non po-trebbero essere richiesti in quanto già in possesso di una pubblica ammi-nistrazione (art. 15 della legge n. 183/2011).

Con l’art. 11 del D.M. n. 95442, dopo aver esaminato, positivamente, all’articolo precedente, la possibilità di cumulare CIGO e CIGS nella stessa unità produttiva (ma i lavoratori debbono essere diversi), il provvedimento in esame sottolinea che, anche in caso di reiezione, la motivazione del Di-rettore dell’INPS deve essere adeguata con indicazione dei documenti presi in considerazione e, soprattutto, deve ben valutare la prevedibilità della ripresa lavorativa. La circolare n. 139/2015 si sofferma, in più pas-saggi, sulla necessità che la decisione sia ben ponderata sulla base degli elementi rilevabili al momento della concessione. Di qui la opportunità di un supplemento di istruttoria, con documenti richiesti all’impresa ed alle organizzazioni sindacali che hanno partecipato all’esame congiunto.

Ricorsi

Se il provvedimento di richiesta della CIGO sarà rigettato (previo in-vio del preavviso ex lege n. 241/1990), sarà possibile proporre ricorso, nei trenta giorni successivi alla ricezione del diniego, al Comitato amministra-tore della gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti previ-sto dall’art. 25 della legge n. 88/1989.

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Disposizioni particolari per le imprese del settore agricolo

L’art. 18 afferma chiaramente che al settore agricolo non si applicano le procedure della CIGO previste dal Decreto Legislativo n. 148/2015: vengono fatti salvi gli articoli 8 e seguenti della legge n. 457/1972, ivi com-preso il 14, comma 2, che affida la deliberazione sulle integrazioni salariali ad una commissione provinciale (CISOA), presieduta dal Dirigente della Direzione territoriale del Lavoro o da un suo delegato. Resta in piedi, nella sostanza, ai fini della erogazione della CISOA, il potere decisionale dell’or-gano collegiale che, nella stragrande maggioranza dei casi, interviene per il maltempo, già certificato dai “bollettini dell’Aeronautica o dell’ARPA re-gionale”.

La previsione del tetto massimo integrativo, stabilito dall’art. 3, comma 5, non si applica, limitatamente, alla previsione di importi massimi delle prestazioni, ai trattamenti concessi per intemperie stagionali nel set-tore agricolo.

4. Gestione di appartenenza delle integrazioni salariali straordinarie (CAPO III) Con il Capo III e, segnatamente, con l’art. 19, si entra nel campo delle

novità introdotte per la Cassa integrazione guadagni straordinaria i cui trat-tamenti afferiscono alla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno (art. 37 della legge n. 88/1989) che riceve anche i contributi ordinari e quelli addizionali.

Campo di applicazione

L’art. 20 riprende, “in toto”, quanto scaturiva dall’art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991 e dai chiarimenti normativi ed amministrativi suc-cessivi: la disciplina della CIGS ed i relativi obblighi contributivi si appli-cano alle imprese dei settori sotto elencati che, nel semestre antecedente la data di presentazione dell’istanza, abbiano occupato mediamente più di quindici dipendenti (con arrotondamento, in caso di percentuale, per di-fetto o per eccesso, al numero inferiore o superiore), compresi i dirigenti e gli apprendisti: a) le imprese industriali, comprese quelle edili ed affini;

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b) le imprese artigiane che procedono alla sospensione in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che esercita l’in-flusso gestionale prevalente. Quest’ultimo viene valutato avendo quali parametri di riferimento gli importi delle fatture dei contratti per l’ese-cuzione di opere e servizi o produzioni di semilavorati oggetto dell’at-tività produttiva o commerciale del committente: nel biennio prece-dente la data di richiesta dell’intervento esso deve aver superato il 50% del complessivo fatturato dell’azienda destinataria delle commesse. Esso viene rilevato (comma 5) dall’elenco dei clienti e dei fornitori ex art. 21, comma 1, del D.L. n. 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 che concerne le comunicazioni telematiche all’Agen-zia delle Entrate;

c) le imprese appaltatrici di sevizi mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ri-corso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;

d) le imprese appaltatrici di servizi di pulizia, anche se costituite in forma cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione di attività dell’azienda appaltante, che abbiano com-portato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario no straor-dinario di integrazione salariale;

e) le imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del com-parto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile;

f) le imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi;

g) le imprese di vigilanza; h) le imprese cooperative ed i loro consorzi che trasformano e manipo-

lano prodotti agricoli, atteso che il concetto di trasformazione com-prende anche il concetto di manipolazione. Tale precisazione è conte-nuta nella circolare n. 30/2015, la quale ricorda che le imprese agricole ed i loro consorzi che commercializzano prodotti rientrano nel campo di applicazione dell’istituto, con la conseguenza che il relativo tratta-mento normativo si trova nell’art. 20, comma 2, lettera a (numero me-dio dei dipendenti, nel semestre precedente, superiore ai 50 dipen-denti, compresi gli apprendisti ed i dirigenti).

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Se il numero dei dipendenti nel semestre precedente la presentazione dell’istanza è stato mediamente superiore alle 50 unità (compresi i dirigenti e gli apprendisti) la medesima disciplina si applica: a) alle imprese esercenti attività commerciali, ivi compresa la logistica; b) alle agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici.

A prescindere dal numero dei dipendenti la stessa disciplina si applica: a) alle imprese di trasporto aereo, a quelle di gestione aeroportuale, a

quelle derivate ed alle imprese del sistema aeroportuale; b) ai partiti ed ai movimenti politici ed alle loro articolazioni territoriali

con alcuni limiti di spesa fissati per il 2015 in 8,5 milioni di euro e in 11,25 milioni di euro per l’anno successivo. L’integrazione salariale straordinaria per tali soggetti è prevista dall’art. 16 della legge n. 15/2014. L’erogazione della integrazione è subordinata alla iscrizione nel registro previsto dall’art. 4, comma 2, del D.L. n. 149 convertito, con modificazioni, nella legge n. 13/2014. Si tratta di un registro ove i partiti ed i movimenti politici debbono essere iscritti ai soli fini di poter beneficiare delle provvidenze previste dalla legge n. 13. Tale iscrizione viene effettuata dalla “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza ed il controllo dei rendiconti dei partiti politici”, istituita dall’art. 9, comma 3, della legge n. 96/2012. L’INPS, con mes-saggio n. 5865 del 23 settembre 2015 ha affermato che i trattamenti di integrazione salariale straordinaria non spettano ai gruppi parlamentari costituiti alla Camera ed al Senato, nonché ai gruppi regionali: il ragio-namento fatto dall’Istituto parte dalla constatazione che i gruppi par-lamentari, pur costituendo strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività parlamentare o regionale non sono finanziati attraverso il sistema dei rimborsi elettorali o attraverso i contributi dei privati cit-tadini, ma usufruiscono di erogazioni a carico di Camera e Senato (le Regioni per i gruppi regionali). Tutto questo porta alla loro esclusione dalla disciplina dei trattamenti integrativi in quanto non rientrano nell’ambito di applicazione del D.L. n. 149/2013. Vale la pena di ri-cordare come il contributo addizionale nelle percentuali stabilite dall’art. 5, si applichi anche ai partiti ed ai movimenti politici. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un trasferimento di azienda e vi

sia una richiesta di intervento integrativo prima che siano trascorsi almeno

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sei mesi dal passaggio, il requisito dimensionale (media degli occupati su-periore a 15 dipendenti) deve sussistere dalla data in cui si è realizzato il trasferimento.

L’ultimo comma dell’art. 20 non interviene su alcuni provvedimenti integrativi che conservano la loro specificità: ci si riferisce al settore grafico editoriale (articoli 35 e 37 della legge n. 416/1981) e alle imprese in ammi-nistrazione straordinaria che continuano la loro attività (art. 7, comma 10 ter della legge n. 236/1993, c.d. “legge Prodi”).

La circolare n. 24/2015 effettua una riflessione importante circa la in-dividuazione del requisito dimensionale, affermando che il riferimento al numero dei lavoratori occupato mediamente relativo al semestre prece-dente segue i vecchi criteri per quel che riguarda il computo dei contratti a termine. Ciò significa che in deroga alle modalità di computo previste dall’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2015, essendo quella della CIGS una norma-tiva speciale inserita all’interno del D.Lgs. n. 148/2011, ogni lavoratore con contratto a tempo determinato conta per una unità. Se questa inter-pretazione è vera (ma, sembra ravvisabile una “forzatura” perché si aggan-cia alla frase dell’art. 27 che fa salve le diverse determinazioni stabilite da leggi – cosa che non si rinviene all’interno del D.Lgs. n. 148/2015 - o con-tratti collettivi), rimane sempre in piedi la modalità di calcolo dei “tempi parziali” stabilita dall’art. 9 del D.Lgs. n. 81/2015 (pro-quota, rispetto all’orario pieno) e quella dei lavoratori intermittenti cui fa riferimento l’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015 (in proporzione all’orario svolto nell’impresa in ciascun semestre).

Causali di intervento

Con l’art. 21 si entra in uno degli argomenti più importanti trattati nel provvedimento: quello delle causali di richiesta con la fine, a partire dal 1° gennaio 2016, dell’intervento integrativo di crisi aziendale per cessazione dell’attività produttiva o di un ramo di essa. Ciò appare coerente con il principio fissato all’art. 1, comma 2, lettera a) della legge n. 183/2014 se-condo il quale non si possono autorizzare integrazioni salariali in presenza di una cessazione definitiva, atteso che lo strumento non appare in linea con i principi ispiratori dell’integrazione salariale che tende ad una ripresa ed alla salvaguardia dell’occupazione. Vale, in ogni caso, la pena di ricor-dare come il Dicastero del Lavoro abbia affermato che tutte le istanze di CIGS per crisi aziendale con cessazione di attività pervenute entro il 31

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dicembre 2015, saranno trattate e definite in via amministrativa negli usuali tempi richiesti.

Va, peraltro, ricordato come nel 2016 la CIGS per le imprese in pro-cedura concorsuale non verrà più riconosciuta: ciò è un effetto della spe-cifica disposizione già contenuta nella legge n. 92/2012.

Su questo punto, tuttavia, va riportato quanto il Ministero del Lavoro ha chiarito con la circolare n. 1 del 27 gennaio 2016. Nella ipotesi in cui ci si trovi in presenza di una procedura concorsuale con continuazione dell’attività, nel corso di un trattamento integrativo salariale straordinario già autorizzato con un’altra causale, la nota ministeriale precisa che il trat-tamento può essere autorizzato fino al completamento del periodo previ-sto, qualora gli organismi che hanno la responsabilità della procedura si impegnino a completare il programma che l’impresa aveva presentato. L’iter da seguire prevede che la CIGS possa essere riattivata soltanto con una specifica autorizzazione del Direttore della Direzione Generale degli Ammortizzatori, al quale dovrà essere giunta una specifica istanza da parte dei predetti organi finalizzata al subentro nel programma iniziale fino alla sua conclusione: il tutto, dovrà avvenire attraverso il sistema telematico “Cigsonline”. La domanda dovrà essere corredata sia dall’accordo sinda-cale che dal provvedimento dichiarativo o di ammissione alla procedura concorsuale. La CIGS verrà riattivata attraverso un decreto direttoriale a seguito del quale l’INPS riprenderà le erogazioni dalla data dell’ammis-sione alla procedura concorsuale fino al completamento del programma iniziale.

Il Legislatore delegato non parla più, oltre che dalla cassa integrazione determinata da crisi aziendale con cessazione di attività, anche delle ipotesi di ristrutturazione e di riconversione che, quindi, vengono comprese nell’ambito della riorganizzazione aziendale.

Le causali sono state rideterminate attraverso il D.M. del Ministro del Lavoro n. 94033, pubblicato sul sito ministeriale l’8 febbraio 2016 ed in vigore dal giorno successivo. Tale provvedimento ha il pregio di trattare, in un unico testo, tutte le ipotesi anche quelle che si riferiscono alle im-prese appaltatrici dei servizi di mensa e di pulizie, alle imprese artigiane ed ai partiti politici: a) riorganizzazione aziendale, nel limite massimo di 24 mesi, anche con-

tinuativi, nel quinquennio mobile, per ciascuna unità produttiva, ove il piano di interventi, da allegare all’istanza, deve tendere a superare le

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inefficienze gestionali, commerciali o produttive e contenere indica-zioni sugli investimenti e la formazione, con un consistente recupero occupazionale del personale interessato alle sospensioni o riduzioni di orario, il quale deve essere ricollegato, sia in termini di entità che di tempi, al processo riorganizzativo. Il programma va definito anche nel caso di riassetto societario dell’impresa o della sua articolazione pro-duttiva. Il valore medio degli investimenti programmati che compren-dono anche gli eventuali investimenti sulla formazione e sulla riquali-ficazione professionale, comprensivi sia dei contributi pubblici nazio-nali che dei fondi comunitari, deve essere superiore al valore medio annuo degli investimenti, di analoga tipologia, operati nel biennio an-tecedente. Il D.M. ricorda che per tutte le sospensioni decorrenti dal 24 settembre 2017 le autorizzazioni possono riguardare al massimo l’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva durante l’arco tempo-rale del programma autorizzato. Per quel che riguarda il recupero oc-cupazionale dei lavoratori interessati, viene fissata una percentuale mi-nima del 70%: tale percentuale comprende sia i lavoratori riassorbiti all’interno che quelli trasferiti in altre unità produttive della stessa im-presa o di altre aziende, nonché iniziative finalizzate alla gestione non traumatica degli esuberi (procedure collettive di riduzione di personale con “criteri non oppositivi”;

b) crisi aziendale (con eccezione, come si è detto, della cessazione di at-tività) ove per crisi, per un massimo di 12 mesi anche continuativi, si intendono una serie di difficoltà non superabili nel breve periodo e non affrontabili con il ricorso agli ordinari ammortizzatori sociali. Il piano di risanamento deve essere finalizzato al superamento degli squilibri di varia natura esistenti nell’impresa anche se condizionato da fattori esterni: esso, dovrà riguardare ciascun settore dell’azienda e, in ogni caso, nella garanzia del prosieguo dell’attività, deve salvaguardare, sia pure parzialmente, i livelli occupazionali con l’impegno, qualora l’impresa preveda esuberi strutturali sia nel corso dell’intervento che al termine dello stesso, di presentare un piano di gestione. Nella pre-sentazione del programma occorre fare riferimento agli indicatori eco-nomici e finanziari complessivamente considerati (fatturato, risultato operativo, risultato d’impresa, indebitamento) riferiti al biennio prece-dente e tali da far emergere un andamento negativo ed involutivo, ma

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anche dare indicazioni relativamente all’organico aziendale con un ri-dimensionamento nel biennio precedente l’intervento della CIGS. Di norma, afferma il D.M. n. 94033, non devono esservi state nuove as-sunzioni, soprattutto va valutato se le stesse sono state accompagnate da agevolazioni contributive o finanziarie. Se l’impresa ha proceduto ad assunzioni o intende assumere durante il periodo di CIGS, deve motivarne la necessità e la loro compatibilità con l’intervento integra-tivo salariale. La crisi aziendale, tuttavia, può dipendere anche da un evento imprevisto ed improvviso, esterno alla gestione aziendale ove, evidentemente, l’andamento involutivo relativo al biennio precedente potrebbe anche non esserci. Qui occorre rappresentare la imprevedi-bilità dell’evento e la rapidità dello stesso che ha prodotto effetti ne-gativi: in tali ipotesi, ai fini dell’autorizzazione, non vanno esaminati i criteri legati all’andamento involutivo del fatturato e delle assunzioni. Il D.M. n. 94033 precisa che, in via generale, i programmi di crisi azien-dale non possono essere presentati da aziende che abbiano iniziato l’attività nei due anni antecedenti la richiesta, che non abbiano effetti-vamente avviato l’attività produttiva e che abbiano subito significative trasformazioni societarie nel biennio antecedente la richiesta dell’am-mortizzatore sociale, fatto salvo il caso di imprese che presentino as-setti proprietari sostanzialmente coincidenti, con la finalità preminente del contenimento dei costi di gestione, nonché, nei casi in cui, pur in assenza di assetti proprietari non coincidenti, tali trasformazioni com-portino, per le imprese subentranti, azioni svolte al risanamento azien-dale ed alla salvaguardia occupazionale. La circolare n. 24/2015 pre-cisa, poi, che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, non sono integrabili le crisi aziendali per cessazione di attività dell’impresa o di un ramo di essa. Quest’ultima sottolinea, nel caso di specie, il rapporto di conti-nuità tra questa previsione e quella contenuta nel vecchio art., 1, comma 5, della legge n. 223/1991, nel senso che non la presentazione di una istanza per crisi aziendale, immediatamente successiva ad una precedente avanzata sotto la vigenza della vecchia normativa, sarebbe indicativa della mancata attuazione da parte dell’impresa del piano di risanamento alla quale si era impegnata. Va ricordato, tuttavia che con Decreto "concertato" tra Lavoro ed Economia n. 95075 del 25 marzo 2016, in attuazione del comma 4 dell'art. 21, è stata emanata la circo-

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lare n. 22/2016 che consente, a determinate condizioni, il riconosci-mento della CIGS allorquando a fronte di una cessazione dell'attività produttiva sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell'a-zienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale, nei limiti di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni compresi tra il 2016 ed il 2018. L'intervento postula la presenza di tre condizioni. L'integrazione salariale va intesa, in questo caso, come proroga di un trattamento ex art. 21, comma 2, lettera b) o ex art. 1, comma 5, della legge n. 223/1991, l'impresa richiedente non deve essere in grado di rispettare il programma presentato, a causa dell'aggravarsi della crisi e la sospen-sione deve essere accompagnata da concrete possibilità di cessione dell'azienda con tutte le garanzie previste dall'art. 47 della legge n. 428/1990. Se tutto ciò sussiste, va sottoscritto in sede di Ministero del Lavoro, con la presenza di un rappresentante del Ministero dello Svi-luppo Economico un accordo con le organizzazioni sindacali interes-sate nel quale l'impresa indica gli estremi ed i tempi per un piano di trasferimento e di riassorbimento dei lavoratori in integrazione, ma anche le eventuali misure di gestione delle eccedenze occupazionali. L'istanza di proroga va presentata attraverso il sistema telematico mi-nisteriale corredata dal verbale di accordo, dall'elenco nominativo dei lavoratori sospesi o con orario ridotto e coinvolti nel programma di trasferimento, dal piano di sospensioni del personale e dai tempi di cessione dell'azienda. La domanda, recita la circolare n. 22, va presen-tata "in tempi congrui" ed i "termini cadenzati" non trovano applica-zione come affermano sia il D.M. n. 95075 che la circolare n. 22. Un altro caso che si aggancia alla CIGS con crisi aziendale è quello affron-tato dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 24/2016. Esso cerca di "by-passare" il divieto di integrazione salariale straordinaria in pre-senza di una procedura concorsuale. Ciò è possibile allorquando l'a-zienda soggetta a fallimento prosegua l'attività con lo scopo di una cessione o un concordato con continuità aziendale. In questi casi il giudice delegato deve aver autorizzato, sia pure in via provvisoria, la prosecuzione dell'attività, il programma di liquidazione, redatto ex art. 104 della legge fallimentare, deve illustrare, con dovizia di particolari, le ragioni per cui appare probabile la cessione dell'azienda e la funzio-nalità della CIGS rispetto a tale prospettiva da concludersi entro do-

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dici mesi (limite invalicabile) ed il comitato dei creditori deve, espres-samente, aver fornito il parere favorevole. La cessione, anche per sin-goli rami dell'azienda, deve essere accompagnata dalle garanzie fornite dalla procedura di passaggio del personale ex art. 47 della legge n. 428/1990. Un discorso del tutto analogo va fatto per il concordato con continuità aziendale. Qui il piano redatto ex art. 186 - bis della legge fallimentare postula che il concordato sia stato omologato;

c) contratti di solidarietà difensivi già disciplinati dall’art. 1 della legge n. 863/1984 (che viene abrogato), i quali rientrano “in toto” nelle inte-grazioni salariali straordinarie anche per quel che concerne la contri-buzione ordinaria e quella addizionale. La durata massima è di 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio mobile e, si ricorda, per la parte non eccedente i 24 mesi viene calcolata per la metà. Il D.M. n. 94033 chiarisce che l’accordo aziendale sottoscritto con le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a livello aziendale le stesse sono soltanto le “loro” RSA (art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015) o la RSU deve ipotizzare una riduzione di orario alfine di evitare in tutto o in parte i licenziamenti. L’esubero va quantificato e motivato: il contratto di solidarietà non è applicabile all’edilizia in caso di fine lavoro o fase lavorativa e, quindi, in tale specifico settore se l’accordo riguarda i “lavoratori permanenti” questi vanno riportati no-minativamente nell’accordo, distinguendoli da quelli di cantiere. Il contratto di solidarietà non è previsto per i lavoratori con contratto a termine legati ad esigenze stagionali ed è ammissibile per i c.d. “lavo-ratori a tempo parziale” strutturali nella organizzazione del lavoro: per costoro risulta ammissibile la ulteriore riduzione di orario. In caso di minore ricorso alla solidarietà, per sopravvenute esigenze lavorative, il datore di lavoro, ricorda il D.M. n. 94033, lo deve comunicare sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Oc-cupazione ed all’INPS: nell’ipotesi di una maggiore riduzione occorre, invece, un nuovo accordo. Ai fini della gestione complessiva del con-tratto si ricorda che, in via generale, i lavoratori in solidarietà non pos-sono effettuare prestazioni straordinarie;

d) nelle imprese appaltatrici dei servizi di mensa e di pulizia il D.M. n. 94033 riconosce il trattamento di CIGS sulla base di determinate con-dizioni. La prima è che la contrazione sia in diretta connessione con l’attività dell’impresa committente a seguito di ricorso al trattamento

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di CIGO, di CIGS per crisi aziendale o riorganizzazione o di sotto-scrizione di contratti di solidarietà. La seconda è che la sospensione o l’effettuazione dell’orario ridotto sia strettamente connessa con la con-trazione di attività dell’impresa committente. La terza postula che l’im-presa committente abbia già ottenuto il provvedimento autorizzativo. Il trattamento integrativo dell’impresa appaltatrice non può avere una durata superiore a quella del contratto di appalto e, a tal proposito, l’azienda richiedente deve indicare la durata ed allegare una dichiara-zione della società committente;

e) nelle imprese artigiane andate in crisi per le difficoltà dell’impresa committente che esercita l’influsso gestionale prevalente (almeno il 51% del valore delle commesse) è prevista la possibilità di richiesta dell’intervento integrativo salariale straordinario. Il D.M. n. 94033 af-ferma che la contrazione deve essere strettamente correlata alla crisi dell’attività dell’impresa committente che ha fatto ricorso agli ammor-tizzatori sociali ordinari e straordinari. I lavoratori delle aziende arti-giane possono essere autorizzati a fruire della CIGS nei limiti ricono-sciuti all’intervento presso l’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente;

f) i partiti politici e le loro articolazioni territoriali possono fruire del trat-tamento integrativo salariale straordinario secondo alcune condizioni richiamate dal D.M. n. 84033. Nella ipotesi della riorganizzazione va presentato un programma volto ad affrontare le inefficienze gestionali con una ricomposizione dell’assetto territoriale e centrale. Il piano delle sospensioni deve essere coerente con il programma e deve essere presentato un piano per la gestione non traumatica delle eccedenze occupazionali. Nel caso in cui la richiesta sia per crisi aziendale (senza cessazione dell’attività) va programmata la diminuzione dell’attività della struttura, l’andamento involutivo dei risultati di bilancio riferiti all’anno antecedente la richiesta, la presentazione di un piano per fron-teggiare le eccedenze di personale (il provvedimento mette l’accento sulla “gestione non traumatica”). Nel caso in cui si intenda fare ricorso ai contratti di solidarietà difensiva valgono le regole generali relative alla disciplina di tale ammortizzatore sociale. In considerazione del fatto che i partiti ed i movimenti politici possono “godere” degli am-mortizzatori sulla base di una specifica disposizione normativa risa-

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lente al gennaio 2014, l’INPS “fotografa” annualmente per il Mini-stero del Lavoro (Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali) le risorse finanziarie disponibili. L’eventuale pagamento diretto viene au-torizzato direttamente dall’INPS e dall’INPGI e non, come avviene, in via normale, per le imprese interessate, dal Ministero del Lavoro;

g) il D.M. n. 94033 disciplina all’art. 9 anche il cumulo tra intervento straordinario ed ordinario osservando che presso l’unità produttiva considerata gli interventi di integrazione salariale siano quelli di CIGS e contratto di solidarietà ex art. 21, comma 1, del D.Lgs. n. 148/2015 e che i lavoratori interessati dai due distinti benefici siano diversi ed individuati sulla base di elenchi nominativi: la diversità deve sussistere dall’inizio e per l’intero periodo in cui coesistono le due forme di in-tervento. Per completezza di informazione va sottolineato come la legge n.

92/2012 abbia escluso, dal 1° gennaio 2016, la possibilità di utilizzazione della integrazione salariale straordinaria nei casi di concordato preventivo con cessione dei beni, di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria senza ripresa dell’attività: si tratta di ipotesi nelle quali non si giustifica il ricorso alla integrazione salariale, non essendoci prospettive di ripresa, risultando più razionale il ricorso alla NA-SPI (la cui durata è stata portata a 24 mesi dal D.Lgs. n. 148/2015) e, fino al 31 dicembre 2016, ricorrendone le condizioni, alla indennità di mobilità. Va, peraltro, ricordato un chiarimento della Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione del Dicastero del Lavoro in base al quale, con le relative provvidenze economiche, si dà se-guito a tutte le istanze, corredate dagli accordi, pervenute entro il 31 di-cembre 2015.

Il comma 4 stabilisce che, in deroga ai limiti massimi di durata delle prestazioni, può essere autorizzato nel limite massimo, rispettivamente, di 12, 9 e 6 mesi e nel limite di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018, un ulteriore periodo di CIGS, qualora a seguito del pro-gramma di crisi aziendale l’azienda cessi l’attività ma sussistano concrete prospettive di ripresa che passano attraverso una cessione dell’azienda ed un riassorbimento del personale: tutto questo, però, deve essere il frutto di un accordo sottoscritto in sede di Ministero del Lavoro anche alla pre-senza del Dicastero dello Sviluppo Economico.

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Il successivo comma 5 definisce alcuni criteri e modalità (nuovi, ma anche vecchi) per i contratti di solidarietà che possono così riassumersi: a) l’accordo aziendale va sottoscritto con le organizzazioni sindacali: il

Legislatore Delegato, correggendo la prima impostazione fornita con lo schema di Decreto approvato, in prima lettura, il 7 giugno, ha af-fermato che si tratta di contratti collettivi aziendali ai sensi dell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015. Ciò significa che essi possono essere siglati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle “loro” RSA o dalle RSU. Il contratto deve indicare le motivazioni e la quantità dei lavoratori eccedentari, anche alla luce degli indicatori economico finanziari (fatturato, risultato di impresa, indebitamento, risultato operativo) riguardanti il biennio pre-cedente (almeno, secondo gli orientamenti amministrativi espressi dal Ministero del Lavoro, in passato che dovranno essere, nel caso, con-fermati). Nell’accordo, tra le altre cose, vanno specificate le modalità attraverso le quali l’impresa, per venire incontro ad esigenze produt-tive legate alla necessità di un aumento delle prestazioni, può modifi-care l’orario ridotto, sempre rimanendo all’interno del normale orario di lavoro (legale o contrattuale), senza alcuna prestazione di lavoro straordinario, a meno che l’azienda non dia prova di sopravvenute e straordinarie esigenze collegate all’attività produttiva. Il maggior la-voro prestato comporta una riduzione del trattamento integrativo. Si pone, quindi, un problema di conoscenza del maggior lavoro da parte del competente Ufficio del Ministero del Lavoro che, in passato, l’art. 4, comma 4, del D.M. 10 luglio 2009 aveva risolto con una semplice comunicazione della variazione. In caso di aumento delle ore di inte-grazione salariale, con un aumento della riduzione di orario, secondo un indirizzo espresso dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 27 del 13 settembre 2012 (se verrà confermato), occorrerà un nuovo ac-cordo e la presentazione di una nuova istanza;

b) la riduzione di orario deve essere finalizzata ad evitare in tutto o in parte la dichiarazione di esubero del personale o una sua riduzione;

c) la riduzione media non può essere superiore al 60% dell’orario gior-naliero, settimanale o mensile ma, per il singolo lavoratore, la ridu-zione complessiva può arrivare alla percentuale del 70% nell’arco dell’intero periodo di vigenza del contratto di solidarietà. Qui abbiamo una modifica della previsione contenuta nell’art. 4, comma 3, del D.M.

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10 luglio 2009 ove si affermava che il contratto di solidarietà era con-siderato idoneo a perseguire l’obiettivo quando la riduzione di orario concordato, parametrata su base settimanale, non superava il 60% dell’orario contrattuale dei lavoratori coinvolti;

d) nella determinazione del trattamento economico non sono presi in considerazione gli importi derivanti da contratti collettivi aziendali sti-pulati nel semestre precedente la stipula della solidarietà (cosa che non riguarda il trattamento di integrazione salariale straordinaria);

e) qualora, in corso di solidarietà si addivenga ad aumenti retributivi per effetto della contrattazione aziendale, questi vanno ad incidere sul trat-tamento integrativo corrisposto. La precisazione normativa fa sì che eventuali aumenti retributivi scaturenti dalla contrattazione nazionale non vanno ad incidere, in diminuzione, sull’ammontare del tratta-mento riconosciuto, ma incidono positivamente;

f) le quote di accantonamento del TFR concernenti la retribuzione persa a seguito della riduzione di orario sono a carico della Gestione INPS relativa agli interventi assistenziali e di sostegno (art. 37 della legge n. 88/1989) con una eccezione, derivante dalla abrogazione della legge n. 464/1972, che riguarda i licenziamenti per giustificato motivo og-gettivo o al termine di una procedura collettiva di riduzione di perso-nale, avvenuti entro 90 giorni dal termine del periodo integrativo, o entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione di un ulteriore trattamento integrativo straordinario (ad esempio, CIGS per crisi aziendale) concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento pre-cedente. Ciò, tuttavia, non accade se il recesso avviene, entro gli stessi termini, in caso di trattamento integrativo salariale derivante da cassa integrazione, attesa la esplicita abrogazione della norma che la preve-deva;

g) il contratto di solidarietà difensivo postula che per tutta la durata i licenziamenti collettivi restino “bloccati” ma il Dicastero del Lavoro, di recente, ha ammesso la possibilità che durante lo stesso possano essere previsti anche con accordo sindacale “licenziamenti non oppo-sitivi” paragonabili, nella sostanza, a dimissioni volontarie. Una riflessione appare evidente sol che si compari la vecchia e la

nuova normativa: pur nella difficoltà di gestione sotto l’aspetto organizza-tivo, il contratto di solidarietà difensivo appare molto più conveniente ri-spetto agli altri ammortizzatori sociali. Esso, oggi, indubbiamente, costa di

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più sia per il datore di lavoro che per il lavoratore al quale si applica il tetto già previsto per la CIGO e per la CIGS.

Per il primo “pesa” il contributo addizionale “progressivo” previsto dall’art. 5 che si calcola sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al dipendente per le ore non lavorate: prima, a differenza degli altri ammor-tizzatori, non c’era, oggi c’è.

Per il secondo, l’aver messo un massimale in sostituzione della quota percentuale (nel 2015, pari al 70%) può portare ad una notevole diminu-zione delle somme riconosciute: ad esempio, avendo quale parametro di riferimento una retribuzione di 22.000 euro annui, la decurtazione può ar-rivare ad una percentuale vicina al 25%. Essa è destinata a salire in pre-senza di retribuzioni annue superiori.

Da ultimo, il comma 6 ricorda che l’impresa per la stessa unità pro-duttiva non può richiedere l’intervento della integrazione salariale straor-dinaria, per lo stesso periodo e per causali, nella sostanza, coincidenti, se ha già chiesto l’intervento ordinario: ciò, ad avviso di chi scrive, determina il superamento di talune indicazioni amministrative ormai consolidatesi nel tempo come, ad esempio, quella contenuta nella circolare INPS n. 9/1986.

Con una novità introdotta attraverso l'art. 2-quater della legge n. 21/2016 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 210/2015, il Le-gislatore ha prorogato, per tutto il 2016, la percentuale del 70% relativa ai contratti di solidarietà difensivi approvati prima del 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 148/2015: nella sostanza, il tratta-mento del 2015, già superiore rispetto al 60% previsto dalla norma origi-naria, continua fino al dicembre 2016.

Durata

Attraverso l’art. 22 vengono stabiliti nuovi limiti di durata massima per le integrazioni salariali straordinarie.

La riorganizzazione aziendale, riferita a ciascuna unità produttiva, non può superare, in un quinquennio mobile (che inizia, dopo l’entrata in vi-gore del Decreto Legislativo n. 148/2015, dal momento in cui l’imprendi-tore usufruisce di un ammortizzatore sociale, anche ordinario), la durata massima di 24 mesi, anche continuativi.

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Per quel che riguarda, invece, la causale “crisi aziendale” la durata mas-sima, anche senza soluzione di continuità, non può superare nel quinquen-nio mobile il limite dei 12 mesi ed una nuova autorizzazione è condizio-nata dal fatto che debba essere trascorso un periodo pari ai 2/3 di quello relativo alla precedente autorizzazione.

Il contratto di solidarietà difensiva, invece, sempre con riferimento al quinquennio mobile, ha una durata massima, anche continuativa, di 24 mesi. Qui, il comma 5 va letto in stretta correlazione con l’art. 4, comma 1, che disciplina la durata massima complessiva tra integrazione ordinaria e straordinaria: nel quinquennio mobile, entro il limite dei 24 mesi, la du-rata dei trattamenti derivanti dalla solidarietà viene computata per la metà (come già sottolineato in precedenza), con la conseguenza che la durata massima (comma 3) può raggiungere i 36 mesi anche continuativi. La norma non si applica in edilizia e nei settori affini ove, vista la difficoltà per ipotizzare un contratto di solidarietà, la durata massima è fissata, nel quinquennio mobile, in 30 mesi.

La Presidenza del Consiglio, nel comunicato del 4 settembre 2015, con il quale ha dato notizia dell’approvazione definitiva del Decreto Legislativo poi uscito in Gazzetta Ufficiale con il n. 148/2015, ha fatto una serie di esempi circa la valutazione dei vari strumenti integrativi salariali e delle sommatorie massime che si riportano di seguito: 12 mesi di CIGO oltre a 12 mesi di CIGS (ad esempio, per riorganiz-

zazione): stop a 24 mesi; 12 mesi di CIGO oltre a 24 mesi di contratto di solidarietà: ok 36 mesi; 12 mesi di CIGS (ad esempio, crisi) oltre a 24 mesi di solidarietà: ok

36 mesi; 36 mesi di contratto di solidarietà: ok 36 mesi; 12 mesi di CIGO oltre a 12 mesi di contratto di solidarietà: possibili

altri 6 mesi di CIGO/CIGS, oppure altri 12 mesi di contratto di soli-darietà. Nei casi di riorganizzazione e di crisi aziendale le sospensioni possono

essere autorizzate soltanto nel limite dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva durante l’arco temporale di intervento autorizzato: tale dispo-sizione, tuttavia, per effetto dell’art. 44, comma 3, non si applica nei due anni successivi all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 148/2015 (ossia, fino al 23 settembre 2017).

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Contribuzione

L’aliquota ordinaria, afferma l’art. 23, resta fissata allo 0,90% della re-tribuzione imponibile ai fini previdenziali, ripartito in uno 0,60% a carico dell’impresa o del partito politico e uno 0,30% a carico del lavoratore. Per le imprese rientranti nel campo di applicazione della integrazione salariale straordinaria il contributo dello 0,90% va corrisposto anche per gli appren-disti con contratto professionalizzante pur se per gli stessi la tutela riguarda soltanto l’ipotesi di crisi aziendale. Ovviamente, in caso di presentazione della istanza per la CIGS, le aziende ed i partiti richiedenti debbono inte-grare l’aliquota attraverso il versamento del contributo addizionale “sulla retribuzione persa” e non sulla integrazione anticipata, previsto dall’art. 5 e che è tanto più crescente quanto più viene, temporalmente, richiesto l’ammortizzatore sociale.

Consultazione sindacale

L’art. 24 detta i tempi della procedura di consultazione sindacale nel caso in cui l’impresa richieda la riorganizzazione o la crisi aziendale.

Va, innanzitutto, ricordato come la comunicazione debba essere tem-pestiva (concetto che, senza indicazione di un termine, va correlato con la situazione aziendale) e debba essere inviata, direttamente o tramite l’asso-ciazione di categoria alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato, alle RSA o alle RSU o, in mancanza alle articolazioni territoriali di categoria delle organizzazioni dei lavoratori “comparativamente” più rappresenta-tive a livello nazionale. Nella nota vanno evidenziate le cause di sospen-sione o di riduzione di orario, l’entità e la durata prevedibile ed il numero dei lavoratori interessati: in questa fase, rispetto al passato, non pare essere più obbligatoria l’individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione.

Alla comunicazione segue l’esame congiunto della situazione azien-dale che va chiesto da una delle parti entro i 3 giorni successivi (come già prevedeva l’art. 2 del D.P.R. n. 218/2000, ora abrogato). La richiesta va inviata anche alle Regione o al Ministero del Lavoro Direzione Generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali) per i fini che saranno esaminati tra poco. La procedura ha tempi estremamente “cadenzati” nel senso che si deve concludere, non necessariamente con un

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accordo come nel contratto di solidarietà difensivo, entro i 25 giorni (ri-dotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 lavoratori) successivi a quella in cui è stata avanzata la richiesta che ha aperto la procedura.

Mutuando principi già contenuti in provvedimenti precedenti (si pensi all’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 469/1997), l’incontro si tiene presso l’Uf-ficio individuato dalla Regione competente per territorio (cosa importante, atteso che la Provincia è destinata a perdere le funzioni già delegate), qua-lora l’intervento riguardi unità produttive ubicate in una sola Regione o presso il Ministero del Lavoro se la richiesta riguardi unità produttive ubi-cate in più ambiti regionali La norma prevede, in ogni caso, un coinvolgi-mento, attraverso richiesta di parere, delle Regioni interessate. A tal pro-posito si ricorda che per effetto dell’art. 2, comma 6, del D.L. n. 158/2001, convertito nella legge n. 248, il parere degli Enti regionali interessati deve pervenire entro 20 giorni dalla conclusione della procedura di consulta-zione sindacale: trascorso tale termine il Dicastero del Lavoro può proce-dere a prescindere (circolare Ministero Lavoro n. 53/2002).

Il Legislatore delegato si preoccupa di definire, puntigliosamente, l’og-getto dell’esame congiunto che consiste: a) nel programma che l’impresa intende attuare, comprensivo della du-

rata, del numero dei soggetti interessati alla sospensione o alla ridu-zione di orario;

b) nelle ragioni che non ritengono praticabili altre forme di riduzione di orario;

c) nella individuazione delle misure previste per la gestione delle even-tuali eccedenze occupazionali;

d) nei criteri di scelta per individuare i lavoratori che si intendono so-spendere: ciò, per evitare effetti ritorsivi, deve essere coerente con le ragioni che sono alla base della richiesta dell’intervento integrativo;

e) nella modalità della rotazione tra i lavoratori o nelle ragioni di natura tecnica ed organizzative che giustifichino la mancata rotazione: a tal proposito (comma 6) entro 60 giorni dalla entrata in vigore del De-creto Legislativo (ossia il 23 novembre 2015), con D.M. “concertato” tra Lavoro ed Economia dovrà essere definito l’incremento del con-tributo addizionale a titolo di sanzione per la mancata rotazione. Va, peraltro, aggiunto che, sotto l’imperio della precedente normativa, era prevista la possibilità che lo stesso Ministero del Lavoro potesse sta-bilire i criteri di rotazione da adottare: in mancanza di adeguamento il

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datore era tenuto a versare, con effetto immediato, l’addizionale pre-vista dall’art. 1, comma 8, della legge n. 223/1991, ora abrogato;

f) nella eventuale non percorribilità della strada del contratto di solida-rietà difensivo: ciò, per la verità, non è detto dalla norma (cosa che, invece, era scritta in un precedente testo) ma, ad avviso di chi scrive, essa potrebbe anche essere declinata dalle parti nel verbale, atteso che il Legislatore con la scelta effettuata vuole privilegiare gli interventi salariali che attraverso la riduzione dell’orario mantengano il “cordone ombelicale” tra i lavoratori e l’impresa.

Procedimento

L’art. 25 cadenza i termini per la procedura di concessione del tratta-mento integrativo, alla luce del fatto che il D.P.R. n. 218/2000 è stato abrogato.

Innanzitutto, la domanda di concessione del trattamento di integra-zione salariale va inviata (in via telematica, attraverso la procedura CIGSonline rivista alla luce delle nuove disposizioni) entro 7 giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data dell’accordo collettivo aziendale relativo al ricorso all’intervento: in pas-sato, l’istanza, corredata dalla documentazione, doveva essere presentata entro 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della set-timana in cui aveva avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario.

Le sospensioni o le riduzioni di orario, per CIGS ma non per la soli-darietà difensiva, scattano, a partire dal 1° novembre 2015, soltanto a par-tire dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione dell’istanza (tale disposizione è contenuta nell’art. 44, comma 4): ciò, sotto l’aspetto operativo, non è di secondaria importanza, atteso che, in presenza di si-tuazioni di crisi, occorrerà ben programmare i tempi e le modalità per l’ac-cesso agli interventi integrativi, utilizzando gli strumenti legali e contrat-tuali di flessibilità.

La circolare n. 30/2015 afferma che per le istanze presentate dopo il 24 settembre 2015, relative a proroghe a dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria sia nell’ambito di programmi di ristrutturazione o di riorganizzazione che di contratti di solidarietà antecedenti, trovano appli-cazione le precedenti disposizioni. In particolare, ricorda la nota del Mini-stero del Lavoro, che con riferimento alle istanze di proroga dei tratta-menti integrativi concernenti le vecchie causali di durata iniziale pari a 24

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mesi già avviati alla data del 24 settembre 2015, continuerà a trovare ap-plicazione il termine dei 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana nella quale ha avuto inizio la sospensione no la riduzione di orario: la motivazione viene trovata nel fatto che la previgente normativa sia la presentazione delle istanze che dei provvedimenti di con-cessione non potevano avere un ambito temporale di validità superiore ai 12 mesi. La nota ministeriale chiarisce che “applicazione della previgente normativa” significa, in questi casi, “non applicazione” delle nuove dispo-sizioni relative al contributo addizionale ed al trattamento di fine rapporto (che resta, per i periodi “coperti”, a carico dell’INPS).

Un uguale discorso va fatto in relazione al secondo anno di pro-gramma relativo alla CIGS per crisi aziendale con cessazione di attività presentate dopo il 24 settembre, nel rispetto delle indicazioni fornite dal Dicastero del Lavoro con le circolari n. 1 del 22 gennaio 2015 e n. 9 del 20 marzo 2015.

La circolare n. 30/2015 conferma che alle istanze riferite a programmi di riorganizzazione e ristrutturazione o contratti di solidarietà, presentate dopo il 23 settembre, “si applica la nuova normativa di cui al D.Lgs. n. 148/2015, sebbene l’accordo sia stato sottoscritto e l’inizio delle sospen-sioni avvenga in data precedente al 24 settembre 2015”.

Se è consentita una breve riflessione su questa ultima precisazione si può ben comprendere come il Dicasteri del Lavoro, partendo dal puro dettato letterale che fa riferimento alla “richiesta” (art. 44, comma 1, lettera a), abbia affermato che le norme trovano applicazione a tutte le istanze pervenute a partire dal 24 settembre (anche per prevenire eventuali “ac-cordi elusivi” alfine di prevenire forme di abusi con contratti retro datati) ma tutto questo va a scapito di chi ha, legittimamente effettuato accodi e consultazioni prima di tale data con richiesta per sospensioni avvenute in data antecedente e che viene penalizzato dal fatto che il D.Lgs. n. 148/2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale alle ore 18,30 del 23 settembre ed entrato in vigore 5,30 ore dopo, non prevede alcun periodo di “vaca-tio”, cosa che sarebbe stata, in questo caso, utile e doverosa, atteso che, per effetto di una disposizione entrata in vigore improvvisamente, “sal-tano” una serie di condizioni economiche che avevano portato alla scelta dell’ammortizzatore (si pensi, ad un contratto di solidarietà nel quale l’im-prenditore si trova a pagare il nuovo contributo addizionale ed i lavoratori ad avere “un tetto” al trattamento integrativo). Forse, pur rispettando la

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scelta dell’Esecutivo, si sarebbe potuto, in via amministrativa, trovare una soluzione diversa riferendo il termine “richiesti” non alla domande ma all’accadimento (ossia, gli interventi di integrazione “richiesti” per giornate di sospensione già avvenute nei primi giorni di settembre ma ove l’istanza non era stata ancora presentata in quanto, legittimamente, il datore di la-voro aveva 25 giorni dalla fine del periodo di paga al quale si riferisce la sospensione o la riduzione di orario).

Raccogliendo le perplessità appena enunciate il Ministro del Lavoro, con nota n. 28/0014948 del 21 dicembre 2015, indirizzata alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e degli Incentivi all’occupazione, ha invitato quest’ultima a rivedere l’atteggiamento assunto ritenendo perfet-tamente operante la vecchia normativa (con i termini temporali e la con-tribuzione precedente) in tutte quelle ipotesi nelle quali la procedura di consultazione sindacale, il verbale di accordo, le sospensioni o le riduzioni di orario siano intervenute prima del 24 settembre 2015, affermando, a tal proposito, che le istanze potevano essere legittimamente presentate nell’arco temporale compreso tra il 24 settembre ed il 31 ottobre 2015: tutto questo alla luce del fatto “che il regime normativo precedente al De-creto Legislativo n. 148/2015, consentiva un processo istruttorio, per le parti interessate al trattamento in questione, in cui le sospensioni/riduzioni di orario erano precedenti all’istanza aziendale, mi cui effetti retroagivano con riferimento alle sospensioni già effettuate”.

Detto questo, torniamo al contenuto dell’art. 25. L’istanza, presentata contestualmente alla Direzione Generale per gli

Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all’Occupazione del Ministero del Lavoro ed alle Direzioni territoriali del Lavoro competenti per territorio (cosa ottima e giusta sotto l’aspetto cognitivo ed organizzativo), deve com-prendere l’elenco nominativo dei lavoratori interessati e, per le causali di riorganizzazione e di crisi aziendale va, altresì, comunicato il numero dei lavoratori mediamente occupati nell’ultimo semestre presso le unità pro-duttive interessate, distinti per orario contrattuale.

Le informazioni ricevute sono inviate dall’INPS alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano, attraverso il sistema informativo unitario per le politiche del lavoro, previsto dal Decreto Legislativo n. 150/2015, attuativo dell’ANPAL. Tutto questo per consentire ai centri per l’impiego su cui insistono le unità produttive, di operare nel rispetto del principio di condizionalità nella fruizione delle integrazioni ex art. 8, con

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la stipula di patti di servizio personalizzati con i lavoratori che presentano forti riduzioni nella prestazione lavorativa.

Se il datore di lavoro “scavalla” il limite dei 7 giorni, il trattamento decorrerà dal trentesimo giorno successivo alla presentazione dell’istanza: se dalla omessa o tardiva presentazione della domanda deriva un danno ai lavoratori, il datore è tenuto a corrispondere agli stessi una somma di im-porto equivalente alla integrazione salariale non percepita.

Ma quando ed in che modo arriva il provvedimento di concessione? Il comma 5 afferma che ciò avviene con D.M. del Ministro del Lavoro

per l’intero periodo richiesto entro i 90 giorni successivi alla presentazione dell’istanza, fatte salve eventuali sospensioni dovute ad accertamenti istrut-tori: in passato, ogni istanza di concessione si riferiva ad un periodo mas-simo di 12 mesi (art. 3 del D.P.R. n. 218/2000).

Ma, in questo contesto, quale è il ruolo degli Ispettorati territoriali del Lavoro?

Gli organi di vigilanza, nei 3 mesi antecedenti la conclusione dell’in-tervento integrativo salariale, effettuano le verifiche finalizzate ad accertare che gli impegni presi siano stati rispettati e la relazione va inviata al Mini-stero entro 30 giorni (termine che appare perentorio) dalla conclusione dell’intervento integrativo autorizzato. Se dalla relazione emerge che il programma presentato dall’impresa non si è realizzato o si è realizzato solo in parte, si apre un nuovo procedimento amministrativo tendente a riesa-minare il decreto autorizzatorio alla luce delle novità intervenute. Esso si deve concludere nei 90 giorni successivi con un altro D.M. del Ministro del Lavoro, a meno che non ci siano condizioni tali da far sospendere l’iter per esigenze istruttorie.

Anche in questo caso, come si vede, cambiano i tempi degli accerta-menti ispettivi che, nel caso, ad esempio, della riorganizzazione, era ipo-tizzato dopo un trimestre dall’inizio del trattamento, con trasmissione de-gli esiti prima della scadenza del semestre. In caso di proroga dopo i primi 12 mesi era prevista una ulteriore verifica ispettiva entro i 20 giorni suc-cessivi alla richiesta, finalizzata ad accertare la regolarità del programma aziendale.

Da ultimo, il comma 7 afferma che l’impresa, sentite le proprie rap-presentanze interne o, in mancanza, le strutture territoriali di categoria, può chiedere una modifica del programma nel corso del suo svolgimento.

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Per quel che riguarda i controlli degli ispettori del lavoro relativamente alle varie ipotesi si rimanda a quanto già descritto in precedenza.

5. Disposizioni relative a trattamenti straordinari di integrazione salariale a seguito di accordi già stipulati All’interno del Titolo III del Decreto Legislativo n. 148/2015, parte

dell’art. 42 è destinato a disciplinare le problematiche connesse ad accordi di integrazione salariale stipulati sotto la vigenza delle precedenti disposi-zioni.

Ebbene, il comma 1 fa salvi i trattamenti conseguenti a procedure di consultazione sindacale concluse entro il giorno antecedente l’entrata in vigore della legge: essi mantengono la durata prevista dalle vecchie dispo-sizioni. In ogni caso, i trattamenti “goduti” a partire dal 24 settembre 2015, rientrano nel computo del quinquennio mobile e nei limiti della durata massima prevista dall’art. 4, comma 1.

Il Legislatore Delegato si preoccupa di gestire gli accordi sottoscritti in sede governativa (Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo Eco-nomico, Presidenza del Consiglio) entro il 31 luglio 2015, concernenti si-tuazioni di interesse nazionale con notevoli ricadute sull’occupazione e sui territori, con piani industriali che prevedano l’utilizzazione degli ammor-tizzatori sociali oltre i limiti ora fissati dal Decreto Legislativo n. 148/2015 agli artt. 4 e 22.

La procedura da seguire parte da un D.M. del Ministro del Lavoro al termine di un iter che vede coinvolti, a vario titolo, i Ministri dello Svi-luppo Economico e dell’Economia, con cui vengono fissati i criteri per l’esame delle varie situazioni.

Una delle parti firmatarie dell’accordo, presumibilmente il datore di lavoro, nei 30 giorni successivi all’emanazione del provvedimento presenta una apposita istanza ad una commissione composta da tre membri di cui uno con funzione di presidente, nominato dalla Presidenza del Consiglio e gli altri due in rappresentanza del Ministero del Lavoro e di quello dello Sviluppo Economico. La commissione (che opera gratuitamente senza la corresponsione di alcun compenso, gettone o rimborso spese), ove pare abbastanza accentuata la Direzione della Presidenza del Consiglio, decide avendo presenti i limiti di spesa pari a 90 milioni di euro per il 2017 che salgono a 100 per il 2018, valutando l’ammissibilità delle istanze presentate

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e vagliando la durata dei trattamenti integrativi previsti dagli accordi, il nu-mero dei lavoratori e l’ammontare delle ore integrabili sia in relazione al piano industriale che al riassorbimento occupazionale previsto.

6. Disposizioni transitorie e finali L’art. 44 contiene alcuni principi che, magari, sono già stati trattati nel

corso della riflessione ma che, per motivi di chiarezza vengono riportati: a) se non diversamente indicato le disposizioni contenute nel Decreto

Legislativo n. 148/2015 trovano applicazione ai trattamenti integrativi richiesti a partire dalla data di entrata in vigore del provvedimento (24 settembre 2015);

b) ai fini del calcolo della durata massima complessiva delle integrazioni salariali i trattamenti richiesti in data antecedente alla entrata in vigore del provvedimento vanno calcolati soltanto per il periodo autorizzato successivo al 24 settembre 2015;

c) la disposizione contenuta nell’art. 22, comma 4, secondo la quale per le causali di riorganizzazione e crisi aziendale possono essere autoriz-zate sospensioni dal lavoro nel limite dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo relativo al programma autoriz-zato, non si applica nei due anni successivi all’entrata in vigore del Decreto Legislativo (ossia, fino al 23 settembre 2017);

d) la disposizione contenuta nell’art. 25, comma 2, secondo la quale l’in-tervento integrativo salariale straordinario scattava a partire dal tren-tesimo giorno successivo alla presentazione dell’istanza, si è applicata alle domande pervenute a partire dal 1° novembre 2015 e fino al 7 ottobre 2016: a partire dal giorno successivo, per effetto del D.Lgs. n. 185/2016, il trattamento di CIGS deve iniziare “entro” i trenta giorni successivi alla presentazione dell’istanza. Con il D.Lgs. n. 185/2016, correttivo del D.Lgs. n. 148/2015, è stato

introdotto il comma 11 bis all'interno dell'art. 44 con il quale sono state fornite le direttive relative alla CIGS per le c.d. "Aree complesse" e il Mi-nistero del Lavoro ha fornito le indicazioni operative con la circolare n. 38 del 14 ottobre 2016. Sono considerate Aree complesse alcuni territori con-notati da forti crisi e che sono stati individuati con disposizioni normative o regolamentari. Esse sono: a) Lazio - Rieti, Frosinone;

Capitolo III – La riforma dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria

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b) Puglia - Taranto; c) Toscana - Piombino, Livorno; d) Friuli Venezia Giulia - Trieste; e) Sicilia - Termini Imerese e Gela; f) Molise - Isernia, Boiano, Campochiaro, Venafro; g) Marche, Abruzzo - Val Vibrata, Valle del Tronto Piceno; h) Sardegna - Portovesme, Porto Torres; i) Liguria - Savona; j) Umbria - Terni, Narni.

La CIGS può essere autorizzata "in sforamento" per un massimo di 12 mesi all'interno di un budget di spesa quantificato in 216 milioni di euro.

La circolare n. 38 mette in evidenza che il trattamento di CIGS viene autorizzato a prescindere da ciò che affermano sia l'art. 4, comma 1 che l'art. 22, commi 1, 2 e 3. Il datore di lavoro deve aver esaurito la possibilità di accedere a qualsiasi trattamento ulteriore di integrazione salariale. Per tutto questo occorre raggiungere con le organizzazioni sindacali un ac-cordo presso il Ministero del Lavoro alla presenza di un funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico (l'accordo può essere raggiunto an-che nel corso del 2017, secondo una modifica intervenuta con la legge di stabilità n. 232/2016). L'accordo deve prevedere appositi percorsi di poli-tiche attive finalizzate al recupero occupazionale concordati con la Re-gione interessata. Il provvedimento ha natura eccezionale e non ripetibile. L'istanza di CIGS deve essere accompagnata da una relazione tecnica ove sono dettagliatamente ripresi i punti indispensabili appena citati.

L’articolato ne prevede altri ma questi saranno, appositamente richia-mati allorquando si parlerà dei Fondi integrativi di solidarietà.

Abrogazioni

Quanto affermato dall’art. 46 in materia di abrogazioni normative, viene esaminato con esclusivo riferimento alle disposizioni che influiscono sulle materie trattate nei primi 25 articoli del Decreto Legislativo n. 148/2015 le quali si riferiscono alla integrazione salariale ordinaria, quella straordinaria ed ai contratti di solidarietà difensivi.

A partire dal 24 settembre 2015 sono abrogati:

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a) il Decreto Legislativo luogotenenziale n. 788/1945, concernente l’isti-tuzione della cassa integrazione guadagni per gli operai del settore in-dustria;

b) il Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 869/1947, riguardante il trattamento integrativo salariale, con la sola eccezione dell’art. 3, fatto “rivivere” dall’art. 1, comma 309, della legge n. 208/2015: sono escluse dal campo di applicazione delle norme sulle integrazioni salariali “le imprese armatoriali di navigazione o ausiliarie dell’armamento, le imprese ferroviarie, tranviarie e di navigazione in-terna, nonché le imprese esercenti autoservizi pubblici di linea, le im-prese di spettacoli, gli esercenti la piccola pesca e le imprese per la pesca industriale, le imprese artigiane ritenute tali agli effetti degli as-segni familiari, le cooperative, i gruppi, le compagnie e carovane dei facchini, portabagagli, birocciai e simili, le imprese industriali degli Enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato che, però, su ri-chiesta delle Amministrazioni interessate, possono essere assoggettate all’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni”;

c) la legge n. 77/1963, concernente l’istituzione della cassa integrazione guadagni nel settore dell’edilizia ed affini dell’industria;

d) gli articoli 2, 3, 4 e 5 della legge n. 1115/1968 che riguardavano dispo-sizioni in materia di intervento straordinario di integrazione salariale nel settore industria a seguito di crisi, ristrutturazione e riorganizza-zione;

e) la legge n. 464/1972 che conteneva modifiche alle disposizioni conte-nute nella legge n. 115/19658 in materia di integrazione salariale e trat-tamento speciale di disoccupazione;

f) gli articoli da 1 a 7 e da 9 a 17 della legge n. 164/1975 che trattavano gli interventi di integrazione salariale, la misura dell’integrazione, il trattamento previdenziale durante l’integrazione, l’assistenza sanitaria nei periodi di integrazione, il ricorso avverso il provvedimento della commissione provinciale della CIG, i procedimenti di integrazione sa-lariale straordinaria, la loro durata, il finanziamento, il computo dei dipendenti, il bilancio della Cassa, i limiti per gli impiegati, i termini di decadenza per il rimborso delle prestazioni e la formazione professio-nale;

Capitolo III – La riforma dell'integrazione salariale ordinaria e straordinaria

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g) gli articoli 1, 2 e da 4 a 8 della legge n. 427/1975 che trattavano l’inte-grazione salariale nei settori edili ed affini ed il ricorso avverso la de-cisione della commissione provinciale;

h) gli articoli 1 e 2 della legge n. 863/1984 che disciplinavano, rispettiva-mente, il contratto di solidarietà difensivo nel settore industriale, non-ché quello espansivo;

i) l’art. 8, commi da 1 a 5, e 8 del D.L. n. 86/1988, convertito, con mo-dificazioni, nella legge n. 160/1988 che conteneva norme sul contri-buto addizionale;

j) gli art. 1, 2 e da 12 a 14 della legge n. 223/1991 che riguardavano le varie ipotesi di intervento straordinario di integrazione salariale e le modalità attuative, le procedure, alcune ipotesi di estensione del campo di applicazione ed altre norme sull’importo massimo del trat-tamento;

k) l’art. 5, commi da 1 a 4, della legge n. 236/1993; l) il D.P.R. n. 218/2000 che era il regolamento contenente norme per la

semplificazione del procedimento per la concessione del trattamento di integrazione salariale straordinaria e di integrazione salariale a se-guito di stipula di contratti di solidarietà;

m) l’art. 44, comma 6, del D.L. n. 269/2003 convertito, con modifica-zioni, nella legge n. 326/2003. A partire dal 1° gennaio 2016 sono abrogati:

a) l’art. 8 della legge n. 164/1975 che istituiva la commissione provinciale della Cassa integrazione guadagni che decideva sulle istanze di conces-sione della integrazione guadagni ordinaria del settore industria;

b) l’art. 3 della legge n. 427/1975 che istituiva la commissione provinciale per l’edilizia che decideva sulle istanze di concessione della integra-zione guadagni ordinaria; A partire dal 1° luglio 2016 viene abrogato:

a) l’art. 5, commi da 5 a 8, della legge n. 236/1993, che disciplinava il contratto di solidarietà difensivo per le imprese non rientranti nel campo di applicazione già previsto dall’art. 1 della legge n. 863/1984, la procedura di concessione, l’allargamento al settore alberghiero ed alle aziende termali operanti in luoghi a grave rischio occupazionale, e il contratto di solidarietà nel settore artigiane con almeno la metà dei costi a carico dei fondi bilaterali. Tali abrogazioni sono, ovviamente, susseguenti, alla piena entrata a regime, delle disposizioni sui fondi di

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solidarietà dei quali il Decreto Legislativo parla dall’art. 26 in poi. Vale la pena di sottolineare una specificazione introdotta attraverso l’art. 1, comma 305, della legge n. 208/2015: i contratti di solidarietà difensivi ex art. 5, commi 5 ed 8, della legge n. 236/1993, se stipulati prima del 15 ottobre 2015 possono godere del trattamento per tutta la durata prevista mentre, negli altri casi, il limite inderogabile viene fissato al 31 dicembre 2016: tutto questo nel limite massimo di 60 milioni di euro. Il Ministero del Lavoro ha chiarito con la circolare n. 8 del 12 febbraio 2016 che per le imprese che hanno in corso contratti di solidarietà ex lege n. 236/1993 è possibile il ricorso a contratti a tempo determinato a differenza di quelle che fruiscono del trattamento integrativo sala-riale straordinario: la ragione, secondo il Dicastero del Welfare, risiede nel fatto che le prime “non attingono” ai fondi per la CIGS.

Capitolo IV – Solidarietà espansiva

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Capitolo IV SOLIDARIETÀ ESPANSIVA: CHE FARE? LE MODALITÀ OPERATIVE SPIEGATE

DAL MINISTERO DEL LAVORO Sommario: 1. Premessa

1. Premessa Con il decreto legislativo n. 185/2016 e con lo scopo, evidente, di

offrire uno strumento per favorire il c.d. "ricambio generazionale", il Le-gislatore delegato ha ipotizzato, a determinate condizioni, la trasforma-zione dei contratti di solidarietà da difensivi (quindi, pensati per ridurre in tutto o in parte i licenziamenti) in espansivi, secondo un modello ri-preso, nell'art. 41 del decreto legislativo n. 148/2015, "dall'impolve-rato" (perché sostanzialmente, non utilizzato in oltre 30 anni) art. 2 della legge n. 863/1984.

Ora, con una notevole rapidità, la Direzione Generale per gli Ammortiz-zatori Sociali ed Incentivi all'Occupazione, attraverso la circolare n. 31 del 21 ottobre 2016, detta le modalità operative finalizzate alla trasformazione del contratto ed alla fruizione delle provvidenze ad essa correlate.

Ricorda il Ministero che non tutti i contratti di solidarietà difensivi possono essere trasformati in espansivi: essi debbono essere in corso da almeno 12 mesi e, in ogni caso, se inferiori, essere in corso alla data del 31 dicembre 2015. Si tratta, quindi, di riduzioni di orario che già operano da un certo periodo, soprattutto se si tiene conto del fatto che gli stessi hanno una durata massima di 24 mesi e soltanto a determinate condi-zioni (fruiti consecutivamente nel primo biennio del quinquennio mo-bile) possono raggiungere la soglia dei 36 mesi.

Ma, quali sono i passaggi procedurali che occorre compiere? La trasformazione non può che avvenire attraverso il raggiungimento

di un accordo che la preveda: esso va sottoscritto dalle stesse organiz-zazioni sindacali che avevano proceduto alla precedente stipula. Il Le-gislatore delegato ha, opportunamente, fatto riferimento all'art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015: ciò significa che se effettuato a livello lo-cale od aziendale esso non potrà che avere quali soggetti stipulanti le

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associazioni sindacali che a livello nazionale fanno riferimento alle or-ganizzazioni di settore comparativamente più rappresentative, o le "loro" RSU o la RSA. È una "conditio sine qua non" che, indubbiamente, po-trebbe essere accompagnata dalla difficoltà di far accettare a lavoratori che hanno visto già ridotto (per un periodo limitato previsto dal contratto) il proprio orario di lavoro, il concetto che tale riduzione diventi strutturale proprio per dare la possibilità all'impresa di procedere a nuove assunzioni.

L'accordo di trasformazione, oltre alla riduzione stabile dell'orario di lavoro, con divieto di una riduzione complessiva superiore a quella già pattuita nel contratto di solidarietà originario, prevede, nel rispetto di alcune modalità che andranno concordate, l'assunzione contestuale a tempo indeterminato di nuovo personale. Nella sostanza, il datore di la-voro può procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, anche con rap-porto a tempo parziale o con rapporto di apprendistato che, però, es-sendo, come vedremo, incentivate, sono possibili soltanto nel limite delle ore "ridotte" agli altri lavoratori.

Ma, cosa vanno ad ottenere, coloro che si vedono ridotto l'orario di lavoro? a) i lavoratori che percepivano una indennità pari all'80% della

retribuzione globale di fatto persa a seguito della riduzione di orario, continuano a percepire un trattamento di integrazione salariale pari al 50% dell'importo prima percepito;

b) l'integrazione di quanto perso resta a carico del datore di lavoro che, mensilmente, deve erogare una somma almeno uguale a quella residua che serve a raggiungere l'integrazione salariale originaria. Su tale somma l'imprenditore non paga i contributi previdenziali mentre la stessa è imponibile, a tutti gli effetti, ai fini dell'IRPEF;

c) sotto l'aspetto contributivo, tuttavia, i lavoratori non perdono nulla in quanto sia sulla somma integrata che su quella corrisposta dall'imprenditore viene accreditata la contribuzione figurativa. Cosa ottiene, invece, il datore in relazione ad ogni soggetto assunto

nel rispetto del contratto di solidarietà espansivo? I benefici sono, essenzialmente, di natura economico-contributiva e

si riferiscono ad ogni mensilità di retribuzione: a) per i primi di 12 mesi, l'agevolazione è pari al 15% della retribuzione

lorda prevista dal CCNL applicato; b) per l'anno successivo la percentuale scende al 10%;

Capitolo IV – Solidarietà espansiva

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c) per il terzo anno successivo all'assunzione l'agevolazione si attesta sulla percentuale del 5%;

d) in alternativa a quanto appena detto se l'assunzione riguarda soggetti "under 29" la contribuzione per il primo triennio, è quella prevista per gli apprendisti (10%), mentre quella a carico dei lavoratori resta invariata. In ogni caso, la contribuzione di favore viene sospesa al superamento della soglia dei 29 anni e, inoltre, i lavoratori non rientrano nel computo numerico previsto dalle disposizioni normative per l'accesso a benefici finanziari e creditizi (ma sono calcolabili, invece, per tutto il resto);

e) il trattamento di fine rapporto concernente le quote relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione di orario restano a carico dell'INPS o della gestione contributiva di afferenza: ovviamente, trova applicazione quanto già previsto dal decreto legislativo n. 148/2015, secondo il quale tornano "a carico" del datore allorquando, nei 90 giorni successivi alla fine del contratto di solidarietà, o di un altro ammortizzatore straordinario concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento precedente, vi siano lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo o all'interno di una procedura collettiva di riduzione di personale;

f) nel periodo compreso tra la data di trasformazione del contratto e la sua scadenza il datore di lavoro usufruisce della riduzione del 50% del contributo addizionale previsto dall'art. 5 il quale, è bene ricordarlo, è del 9%, del 12% e del 15% sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate. La variazione della percentuale di riferimento è strettamente correlata al periodo di fruizione, ossia se lo stesso si colloca nei primi 12, 24 e, poi, oltre, fino a 36 mesi all'interno del quinquennio mobile. La riforma introdotta con il decreto legislativo n. 185/2016 afferma

espressamente la inapplicabilità dell'art. 41, comma 5: da ciò discende che nelle imprese che hanno stipulato contratti di solidarietà espansivi è preclusa ai lavoratori ai quali manchino non più di 24 mesi per la pensione di vec-chiaia e che siano in possesso dei requisiti minimi (di regola, 20 anni di con-tribuzione), la possibilità di un trattamento di pensione a tempo parziale nel caso in cui abbiano accettato di svolgere una prestazione lavorativa di durata non superiore alla metà dell'orario al quale erano tenuti prima della ridu-zione concordata attraverso il contratto collettivo di solidarietà.

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Ma, quale è la procedura per il riconoscimento delle provvidenze le-gate alla solidarietà espansiva? L'accordo deve, innanzitutto, contenere esplicitamente una serie di cose sulle quali ci si è già soffermati, tra le quali il riferimento al fatto che la riduzione di orario non può essere superiore a quello già concordato con il contratto di solidarietà difensivo, alla integrazione salariale del datore di lavoro, alla durata del contratto, cosa importante ai fini della definizione sia del contributo addizionale che della durata massima dei trattamenti integrativi.

L'istanza di trasformazione (occorre utilizzare un modulo disponibile sul sito ministeriale) va inviata, in via telematica, attraverso il sistema della CIGSonline, alla Divisione IV della Direzione Generale degli Am-mortizzatori Sociali, allegando alla stessa sia il contratto di solidarietà espansivo che l'elenco dei lavoratori interessati alle riduzioni di orario. La medesima domanda va inoltrata sia all'Ispettorato territoriale del Lavoro (nuova denominazione assunta dalla Direzione territoriale del Lavoro per effetto del decreto legislativo n. 149/2015) che all'INPS il quale prov-vede ad interrompere il trattamento di CIGS a partire dalla data di trasfor-mazione del contratto: al contempo (si spera senza soluzione di conti-nuità) con decreto direttoriale della Direzione Generale per gli Ammor-tizzatori Sociali viene riconosciuto il trattamento per l'intero periodo e l'Istituto provvede ad erogare il trattamento nella misura del 50% (che, è bene rimarcarlo, deve essere mensilmente integrato dalla quota a carico del datore della quale si è parlato pocanzi).

Da ultimo, la circolare n. 31 riserva la propria attenzione sulle mo-difiche intervenute nell'art. 25, comma 2, dell'art. 25 che consente di far iniziare la riduzione di orario ed il conseguente trattamento integrativo non più trascorsi 30 giorni dall'inoltro telematico dell'istanza, ma dal giorno successivo alla stessa e, comunque, nei 30 giorni successivi. La nota ministeriale sottolinea come la nuova disposizione si applichi alle procedure di consultazione ed agli accordi conclusi a partire dall'8 ottobre 2016. In caso di presentazione tardiva della domanda (ossia oltre il termine di 7 giorni), il trattamento decorre dal trentesimo giorno suc-cessivo alla data di presentazione dell'istanza: con tale precisazione il Mi-nistero ricorda la piena vigenza dell'art. 25, comma 3, che lo prevede.

Capitolo V – L'integrazione salariale attraverso i fondi di solidarietà

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Capitolo V L’INTEGRAZIONE SALARIALE ATTRAVERSO

I FONDI DI SOLIDARIETÀ Sommario: 1. Premessa 2. Fondi di solidarietà bilaterali 3. Fondi di solidarietà bilaterali alternativi 4. Fondo di solidarietà residuale 5. Fondo di integrazione salariale 6. Assegno ordinario 7. Assegno di solidarietà 8. Erogazione delle pre-stazioni e termine per il rimborso delle prestazioni 9. Prestazioni ulteriori 10. Contributi di finanziamento 11. Contribuzione correlata 12. Equilibrio finanzia-rio dei Fondi 13. Comitato amministratore 14. Requisiti di competenza e assenza di conflitto di interesse 15. Requisiti di onorabilità 16. Disposizioni generali 17. Disposizioni particolari 18. Abrogazioni

1. Premessa La legge n. 183/2014 all’art. 1, comma 2, lettera a, punto 7, ha fornito

all’Esecutivo la delega per una revisione dei fondi di solidarietà introdotti dall’art. 3 della legge n. 92/2012 che, fino ad oggi, per una serie di pro-blemi, hanno avuto “vita grama”. Essi sono nati, essenzialmente, con lo scopo di definire forme di integrazione del reddito in costanza di rapporto di lavoro laddove, in presenza di crisi, non trova applicazione la normativa sulla integrazione salariale ordinaria e straordinaria: tutto questo anche in un’ottica di superamento di forme integrative che per certi versi (v. la cassa in deroga, prorogata, per un massimo di 3 mesi nel 2016, per effetto della legge n. 208/2015) sono state a carico della fiscalità generale e per altri (v. i contratti di solidarietà ex art. 5 della legge n. 236/1993, destinati a scom-parire dal prossimo 1° luglio) a carico del fondo per l’occupazione, con una serie di risorse tratte annualmente dallo stesso e che, sono state fissate dalla predetta legge di stabilità per l’anno 2016 in 60 milioni di euro.

A tal proposito, attraverso i commi da 304 a 307 dell’art. 1 della legge n. 208/2015 si è intervenuti, tra l’altro, sul contenuto di quanto previsto dall’art. 3, comma 5, del D.M. n. 83473/2014 del Ministro del Lavoro circa la durata ed i contenuti dell’intervento in deroga, con la precisazione che esso non può essere concesso ai lavoratori che alla data di decorrenza del trattamento hanno già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno 3 anni, anche non continuativi. Per i restanti lavoratori il tratta-mento non può essere concesso per non più di 4 mesi, non ulteriormente

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prorogabili, più ulteriori 2 mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree del Mezzogiorno individuate ex D.P.R. n. 218/1978. Per costoro, comunque, il periodo complessivo non può eccedere il limite dei 3 anni e 4 mesi.

La circolare del Ministero del Lavoro n. 4 del 2 febbraio 2016 ha dettato alcune disposizioni circa la cassa in deroga sulla base del con-cetto di “complementarietà” con la normativa generale prevista dal D.Lgs. n. 148/2015. In particolare, pur richiamando i contenuti del Decreto Interministeriale n. 83473 del 1° agosto 2014 ha chiarito al-cune questioni che riguardano: a) il contributo addizionale: va pagata la percentuale del 9% calcolata

sulla retribuzione globale dovuta al dipendente per le ore non prestate per CIGO, per CIGS e per il contratto di solidarietà difensivo fino ad un limite di 52 settimane, che sale al 12% per gli ulteriori 12 mesi ed al 15% oltre le 104 settimane: ciò anche per effetto dell’abrogazione dell’art. 8, commi da 1 a 5 ed 8 del D.L. n. 86/1988;

b) l’anzianità lavorativa: la cassa in deroga può essere concessa ai lavora-tori operai, impiegati, quadri, apprendisti e somministrati con un’an-zianità lavorativa presso l’azienda richiedente di almeno 12 mesi;

c) il rimborso delle prestazioni: i datori di lavoro hanno 6 mesi di tempo, pena la decadenza, per richiedere il rimborso delle prestazioni antici-pate. Il periodo si calcola dalla scadenza dell’ultimo periodo di paga in corso al termine della concessione. I 6 mesi si computano dalla data di concessione se il provvedimento arriva dopo la conclusione del trat-tamento;

d) il trattamento di fine rapporto: le quote maturate durante la cassa sono a totale carico del datore di lavoro;

e) l’istanza di concessione: va presentata, in via telematica, entro 20 giorni dalla data in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario. In caso di domanda tardiva il periodo decorrerà dall’inizio della settimana antecedente la data di presentazione.

f) con nota n. 40/3223/2016 dell'11 febbraio 2016 la Direzione Gene-rale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all'Occupazione ha chiarito che le aziende che occupano mediamente più di quindici di-pendenti e che operano nei settori nei quali non sono previsti ammor-tizzatori sociali, possono scegliere tra il ricorso alla cassa in deroga o

Capitolo V – L'integrazione salariale attraverso i fondi di solidarietà

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alle prestazioni del Fondo di integrazione salariale. Le prestazioni, so-stanzialmente, si equivalgono, atteso che l'assegno ordinario (Fis) e il trattamento in deroga durano tre mesi, pur se il primo, in via eccezio-nale, può essere prorogato fino a nove mesi da calcolare sul biennio mobile e che, sotto l'aspetto economico, ambedue, soggetti alla tratte-nuta previdenziale del 5,84%, trovano il loro limite nel massimale an-nuo previsto per la CIGO ed, inoltre, sotto il profilo pensionistico non c'è alcuna penalizzazione essendo i periodi di sospensione no ridu-zione di orario coperti dalla contribuzione figurativa. La legge “Fornero” aveva previsto date certe per l’entrata in vigore,

date poi, per effetto di provvedimenti successivi, “spostate in avanti”, ma il quadro attuale mostra pochi accordi collettivi finalizzati alla loro istitu-zione.

Ma cosa prevede il sistema della legge n. 92? Esso ipotizza: a) la costituzione di fondi di solidarietà di natura bilaterale presso l’INPS,

a seguito di accordi tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, recepiti in D.M. interministeriali tra Lavoro ed Economia;

b) in alternativa, adeguamento dei fondi esistenti in quei settori ove, da tempo, opera il sistema della bilateralità (come, ad esempio, nell’arti-gianato). In questo caso il Decreto interministeriale, stabilisce i requi-siti di professionalità e di onorabilità dei soggetti preposti alla gestione, i criteri ed i requisiti per la contabilità, dopo che, nell’iter procedimen-tale, sia stato acquisito il parere delle organizzazioni stipulanti (art. 3, comma 14, della legge n. 92/2012);

c) adeguamento alla nuova normativa dei fondi che già operano sulla base di altre disposizioni come ad esempio, il credito, le assicurazioni, le ferrovie, le poste, il trasporto aereo ed i servizi esattoriali;

d) un fondo di solidarietà residuale (art. 3, comma 19, della legge n. 92/2012) per datori di lavoro con un organico superiore alle 15 unità, non coperti da alcuna normativa sulla integrazione salariale nei cui set-tori non siano stati siglati accordi volti alla attivazione di un fondo: esso è istituito con Decreto “concertato” tra Lavoro ed Economia. Su questo quadro di riferimento, sinteticamente riassunto, interviene

il Decreto Legislativo n. 148/2015 con una serie di disposizioni contenute nel Titolo II, destinate a creare una sorta di binario parallelo con quello degli ammortizzatori sociali tradizionali (tra i quali viene, da ora, compreso

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il contratto di solidarietà difensivo). Il nuovo meccanismo, pensato per “coprire” le aziende con un organico compreso tra i cinque ed i quindici dipendenti (ma anche oltre) non rientranti nella tutela inte-grativa ordinaria e straordinaria, dovrebbe riguardare circa 600.000 im-prese e quasi sei milioni di lavoratori, con l’obiettivo di uscire dai mec-canismi della cassa in deroga e dei contratti di solidarietà difensivi di tipo B. Tutto questo, come vedremo, in un’ottica di contribuzione specifica e di contribuzione addizionale in caso di utilizzazione.

Restano fuori dal meccanismo i lavoratori delle piccolissime aziende (fino a cinque dipendenti): sarà compito della contrattazione collettiva trovare soluzioni adeguate.

L'esame che segue terrà conto anche dei primi indirizzi ammini-strativi espressi dall'INPS con la circolare n. 30 del 12 febbraio 2016.

2. Fondi di solidarietà bilaterali L’esame delle nuove disposizioni non può che partire dall’art. 26

il quale conferma la previsione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 92/2012, affermando che, nell’ottica di assicurare forme di sostegno del reddito nei settori “non coperti” dalla integrazione salariale, le as-sociazioni sindacali dei datori e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale, sono tenute a stipulare accordi an-che, intersettoriali: le forme integrative, legate a riduzione o sospen-sione dell’attività lavorativa, interverranno per le causali previste dal Decreto Legislativo n. 148/2015 in materia di integrazione ordinaria e straordinaria (causali transitorie come per la CIGO, riorganizza-zione, crisi aziendale, con continuazione dell’attività, contratti di soli-darietà).

Il comma 2 ripete che ciascun Fondo è costituito presso l’INPS con D.M. “concertato” tra Lavoro ed Economia.

Ma cosa prevede il provvedimento ministeriale? È chiaro che esso ha, come riferimento, l’accordo collettivo rag-

giunto il quale può prevedere anche la confluenza dell’eventuale Fondo interprofessionale ex art. 118 della legge n. 388/2000 (comma 11) e sulla base di questo determinerà: a) l’ambito di applicazione del Fondo con riferimento al settore; b) natura giuridica dei datori di lavoro;

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c) classe di ampiezza dei datori di lavoro, con verifica del superamento della soglia dimensionale fissata per la partecipazione al fondo, con cadenza mensile avendo quale parametro di riferimento la media del semestre precedente. Le parti sociali (comma 3) possono apportare, con un accordo succes-

sivo, modifiche agli atti costitutivi che, tuttavia, debbono essere, in un certo senso, “validate” attraverso un provvedimento “concertato” con de-creto direttoriale tra Lavoro ed Economia, sulla base di una proposta del comitato amministratore che gestisce il Fondo, qualora i “cambiamenti” riguardino le prestazioni o la misura delle aliquote.

Il comma 5 sancisce che i Fondi non hanno personalità giuridica e costituiscono gestioni dell’INPS che provvede anche a determinare gli oneri di amministrazione attraverso un regolamento di contabilità.

Un comma fondamentale è il 7, atteso che il Legislatore delegato af-ferma che l’istituzione è obbligatoria per tutti i settori che non rientrano nel normale campo di applicazione della integrazione salariale ordinaria e straordinaria, per tutte le aziende che, mediamente, occupano più di 5 di-pendenti, compresi gli apprendisti (la legge n. 92/2012 aveva la soglia fis-sata a “più di 15 dipendenti”). Tutti i dipendenti sono destinatari degli in-terventi con la sola eccezione dei dirigenti, se non espressamente indicato.

Con i commi successivi si dettano alcune disposizioni operative che possono così sintetizzarsi: a) i Fondi già costituiti che, secondo la legge n. 92/2012 avevano la soglia

dimensionale a 15 unità, si sarebbero dovuti adeguare entro il 31 di-cembre 2015;

b) il mancato adeguamento comporta, “di diritto”, il trasferimento dei datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 dipendenti al Fondo di integrazione salariale (art. 29) ed i contributi già versati o dovuti ai Fondi di solidarietà già costituiti confluiscono al predetto Fondo. Ma le finalità perseguibili dai Fondi di solidarietà si debbono fermare

ad assicurare una tutela in costanza di rapporto di lavoro, oppure possono perseguire anche altri scopi?

La risposta la fornisce il comma 9 il quale afferma che: a) possono assicurare ai lavoratori una tutela integrativa rispetto sia alla

NASpI o ad altra indennità dovuta per la perdita del posto di lavoro, che ai trattamenti di integrazione salariali previsti per legge;

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b) possono prevedere emolumenti straordinari per il sostegno del reddito all’interno dei processi di incentivo all’esodo in favore dei lavoratori che raggiungono i requisiti per il pensionamento di vecchiaia nei 5 anni successivi: si potrebbe pensare a forme integrative all’interno della procedura individuata dall’art. 4, commi da 1 a 7-ter, della legge n. 92/2012;

c) possono contribuire al finanziamento di programmi di riconversione o riqualificazione professionale, anche con il supporto di fondi nazio-nali e comunitari. I temi appena citati sono abbastanza vasti e meritevoli di partico-

lare approfondimento se il Legislatore delegato ha pensato che anche i settori già coperti “per legge” dalle disposizioni sulla integrazione sa-lariale, possono istituire Fondi per tali specifici obiettivi.

I Fondi di solidarietà bilaterale del trasporto pubblico, previa sti-pula di apposite convenzioni con il Fondi interprofessionali, e quello relativo alle società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane alle quali si accennerà tra un attimo, prevedono forme di integrazione relative al finanziamento dei programmi formativi.

Con il messaggio n. 981 del 2 marzo 2016 l’INPS ha dato notizia che con la nomina dei Comitati amministratori previsto dall’art. 36, comma 3, del D.Lgs. n. 148/2015 sono operativi, sulla scorta della nota n. 29/530 del 28 gennaio 2016 del Ministero del Lavoro, a partire dal 30 novembre 2015: a) il Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito del personale delle

aziende di trasporto pubblico; b) il Fondo di solidarietà bilaterale del settore marittimo – SOLIMARE; c) il Fondo per il perseguimento di politiche attive a sostegno del reddito

e dell’occupazione per il personale delle Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.

3. Fondi di solidarietà bilaterali alternativi La materia trattata dall’art. 27 era già stata oggetto di attenzione

nel 2012, attraverso l’art. 3, comma 14, della legge n. 92: ora viene prevista una nuova disciplina alternativa al modello ipotizzato con l’art. 26.

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I destinatari sono quei settori ove sono consolidati, da tempo, sistemi di bilateralità e vi sono specifiche esigenze: ebbene, se, alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 148/2015 (24 settembre 2015), le parti sociali firmatarie hanno adeguato le fonti normative ed istitutive dei Fondi bilaterali o di quelli interprofessionali alle finalità perseguite dall’art. 26, con la previsione di tutele reddituali in caso di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, correlate alle caratteristiche dei settori interessati, trovano applicazione alcune disposizioni speciali che vengono esplicitate nei commi successivi.

Essi debbono assicurare almeno una di queste prestazioni: a) un assegno di durata e misura pari all’assegno ordinario ex art. 30 che

è almeno uguale all’integrazione salariale e la cui durata, in un biennio mobile, non può essere inferiore alle 13 settimane e non superiore, secondo la causale, alle durate massime previste di 52 settimane per l’integrazione ordinaria (art. 12) e 12 o 24, secondo la causale straor-dinaria invocata (art. 22), entro il limite della durata massima di 24 mesi nel quinquennio mobile (art. 4, comma 1);

b) l’assegno di solidarietà previsto dall’art. 31 con eventuale limitazione del periodo massimo non inferiore a 26 settimane in un biennio mo-bile. La circolare INPS n. 30/2016 ricorda che ai settori dell'artigianato e

della somministrazione di lavoro che hanno adeguato la disciplina dei loro fondi, trova applicazione l'art. 27.

Se l’adeguamento non è avvenuto entro la fine dell’anno, i datori di lavoro che, mediamente, occupano più di 5 dipendenti e che aderiscono a detti Fondi, confluiscono nel Fondo di integrazione salariale (art. 29) a partire dal 1° gennaio 2016 e potranno richiedere le prestazioni a far data dal 1° luglio successivo (data in cui cesseranno i contratti di solidarietà difensivi ex art. 5, commi 5, 7 e 8, della legge n. 236/1993).

È compito degli accordi collettivi definire una serie di misure; il Legi-slatore delegato afferma soltanto l’esistenza di taluni limiti: a) aliquota complessiva di contribuzione ordinaria: non può essere infe-

riore allo 0,45% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali a partire dal 1° gennaio 2016 e la ripartizione tra datore e lavoratore deve essere definita entro il prossimo 31 dicembre. In difetto di ac-

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cordo, i datori con un organico medio superiore alle 5 unità, conflui-scono nel Fondo di integrazione salariale e dal 1° luglio 2016 possono chiedere le prestazioni per eventi di sospensione o riduzione di orario;

b) tipologie delle prestazioni: esse vanno definite secondo le disponibilità di ogni Fondo di solidarietà bilaterale;

c) adeguamento dell’aliquota: esso può verificarsi in relazione sia all’an-damento della gestione che alla rideterminazione delle prestazioni, in un’ottica che tiene conto degli sviluppi del settore e degli equilibri fi-nanziari del Fondo;

d) fondo interprofessionale: se esistente, si può far confluire nel Fondo di solidarietà parte del contributo previsto;

e) criteri e requisiti gestionali: vanno attentamente individuati e focaliz-zati. Attraverso il comma 7 il Legislatore delegato, in un’ottica di tutela

universalistica, stabilisce che con un D.M. del Ministro del Lavoro, sentite le parti contraenti, possa dettare disposizioni volte a discipli-nare: a) criteri di garanzia per la sostenibilità dei Fondi; b) requisiti di professionalità ed onorabilità dei gestori dei Fondi; c) criteri e requisiti per la contabilità; d) modalità volte a rafforzare il controllo sulla corretta gestione ed il mo-

nitoraggio sull’andamento delle prestazioni, attraverso standard e pa-rametri omogenei. Il Fondo dell’artigianato si è adeguato alle nuove disposizioni e,

quindi, dopo alcuni chiarimenti oggetto di specifiche note con la Di-rezione Generale degli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Occu-pazione del Dicastero del Lavoro, può funzionare dal 2016, secondo le previsioni della norma.

Con nota n. 40/3763 del 18 febbraio 2016 il Ministero del Lavoro, visto il gran numero di contratti di solidarietà in corso sia nell'artigia-nato che nella somministrazione di lavoro (ove operano consolidati sistemi di bilateralità) ha concesso la possibilità di scelta alle imprese le quali possono, in via alternativa, ricorrere alle prestazioni del Fondo di solidarietà alternativo o al contributo di solidarietà, ben sapendo che lo stesso cesserà di esistere il 1° luglio 2016 ma i contratti sotto-scritti presentati entro il 30 giugno, nei limiti della "capienza" delle

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risorse (60 milioni di euro complessivi) potranno espletare la loro funzione fino al 31 dicembre 2016.

4. Fondo di solidarietà residuale Già oggetto di specifica normativa attraverso l’art. 3, comma 19, della

legge n. 92/2012, il Fondo di solidarietà residuale viene nuovamente disci-plinato dall’art. 28 il quale afferma che il Fondo residuale, istituito con decreto n. 79141 del 7 febbraio 2014, “concertato” tra Lavoro ed Econo-mia, operi nei confronti dei settori, tipologie e classi dimensionali superiori ai 15 dipendenti che non rientrano nell’ambito normativo di applicazione della integrazione salariale, nei casi in cui non siano stati costituiti i fondi di solidarietà bilaterali ex art. 26.

L’art. 28 va strettamente correlato al successivo art. 29 in quanto dal 1° gennaio 2016 il Fondo residuale, assume la denominazione di Fondo di integrazione salariale.

Ma, andiamo con ordine, tornando all’art. 28 il quale stabilisce al comma 2 una sorta di norma “relazionale”: qualora gli accordi collettivi per la costituzione dei Fondi di solidarietà alternativi intervengano per da-tori di lavoro e settori già coperti dal Fondo residuale, dalla data di decor-renza dei nuovi Fondi i datori interessati non sono più sottoposti alla di-sciplina del Fondo residuale, fatte salve le delibere già intervenute. Tali Fondi debbono prevedere un’aliquota pari ad almeno lo 0,45% calcolato sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali e debbono garantire al-meno una delle prestazioni previste (assegno ordinario, assegno di solida-rietà). I contributi già versati o dovuti al Fondo residuale, restano di com-petenza di quest’ultimo.

L’ultimo comma si occupa della gestione del Fondo di solidarietà re-siduale: essa spetta al comitato amministratore che già era stato previsto dall’art. 3 della legge n. 92/2012: i componenti, in possesso dei requisiti di professionalità ed onorabilità (artt. 37 e 38) sono designati dalle organiz-zazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale ed, inoltre, ne fanno parte due dirigenti dei Dicasteri del Lavoro e dell’Economia: il tutto, a costo zero (senza compensi, gettoni o rimborsi spese).

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5. Fondo di integrazione salariale Dal 1° gennaio 2016, il Fondo residuale (art. 29) assume la deno-

minazione di Fondo di integrazione salariale: dalla stessa data si appli-cano oltre alle norme che disciplinano lo stesso anche quelle relative al Fondo residuale e, in tale ottica, alla luce dei chiarimenti pervenuti nel mese di gennaio 2016 dal Ministero del Lavoro con le note del 14 (prot. n. 203) e 18 (prot. 998) gennaio 2016, è stata emanata la circolare INPS n. 22 del 4 febbraio 2016.

Negli 11 commi che compongono l’articolato viene affermato che sono soggetti alla disciplina i datori di lavoro che, pur occupando me-diamente più di 5 dipendenti (compresi gli apprendisti) non rientrano nel campo di applicazione della normativa sull’integrazione salariale ordinaria e straordinaria e nei cui settori non sono intervenuti accordi per l’istituzione di Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26) o di Fondi di solidarietà bilaterali alternativi (art. 27). Rispetto al passato, ricorda la circolare INPS n. 30/2016, l'ambito di applicazione del Fondo è stato esteso a tutti i datori di lavoro anche non organizzati in forma di im-presa.

Il Fondo di integrazione salariale viene finanziato dai datori di la-voro appartenenti al Fondo e dai dipendenti degli stessi con i contri-buti di finanziamento (rispettivamente, 2/3 ed 1/3) previsti dall’art. 33, commi 1, 2 e 4 e garantisce, in ogni caso, l’assegno di solidarietà di cui si parlerà all’art. 31.

Se i datori di lavoro occupano mediamente più di 15 dipendenti viene garantito per un massimo di 26 settimane in un biennio mobile l’assegno ordinario disciplinato dall’art. 30, in relazione alle causali di sospensione e riduzione dell’attività ordinarie, ad esclusione delle in-temperie, e straordinarie, nelle ipotesi di contratti di solidarietà, di rior-ganizzazione e di crisi aziendale senza cessazione di attività.

Le prestazioni vengono erogate nei limiti delle risorse finanziarie acquisite, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio e, in ogni caso, esse sono erogate all’interno di un “tetto massimo” che non può essere superato e che è pari a 4 volte l’ammontare dei contributi ordinari do-vuti dall’azienda, tenuto conto delle prestazioni già fornite o deliberate a favore della stessa. All’art. 43, comma 5, tuttavia, è prevista una de-roga fino al 2021 affinché le imprese possano ottenere le prestazioni anche nella fase di avvio del Fondo.

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La gestione del Fondo è affidata ad un comitato amministratore i cui componenti sono gli stessi del Fondo di solidarietà residuale di cui si è parlato al comma 11 dell’art. 28, come identiche sono le condizioni per la gratuità degli incarichi. Se al 30 novembre 2015 non risulta costituito il comitato amministratore, dal momento che l’operatività del Fondo deve scattare a partire dal 1° gennaio 2016, verrà disposta la nomina temporanea di un commissario straordinario da parte del Ministro del Lavoro che, gra-tuitamente, resterà in carica fino alla costituzione dell’organo collegiale.

Ma chi autorizza i trattamenti integrativi? La risposta la fornisce il comma 7: è la struttura territoriale dell’INPS

su cui insiste l’unità produttiva ad autorizzare (l’autorizzazione è unica an-che in caso di aziende pluri localizzate) l’erogazione da parte del Fondo.

Ma quali sono le aliquote di finanziamento? La risposta la fornisce il comma 9 stabilendo che dal 1° gennaio 2016

essa è pari: a) allo 0,65% per i datori di lavoro che occupano mediamente più di 15

dipendenti; b) allo 0,45% per i datori di lavoro che occupano mediamente fino a 15

dipendenti; c) al 4%, della retribuzione persa, inteso come contributo addizionale,

che è strettamente correlato alla utilizzazione degli istituti integrativi. Anche qui, come si vede, si tratta di una sorta di “bonus-malus”, del tutto analogo (meno, ovviamente, per gli importi) a quello stabilito dall’art. 5. I datori di lavoro con un organico medio fino a 15 dipendenti possono

chiedere l’assegno di solidarietà per le sospensioni o le riduzioni di orario a partire dal 1° luglio 2016 (giorno in cui avverrà l’abrogazione dei contratti di solidarietà ex art. 5 della legge n. 236/1993).

Con nota n. 40/3763 del 18 febbraio 2016 la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e degli Incentivi all'occupazione ha affermato che le aziende che rientrano nel campo di applicazione del Fondo di integra-zione salariale possono scegliere, alternativamente, di accedere alla presta-zioni dello stesso o al contributo di solidarietà ex art. 5 della legge n. 236/1993, abrogati dal 1° luglio 2016, nei limiti temporali (al massimo fino al 31 dicembre 2016 se l'accordo e stato stipulato in data successiva al 15 ottobre 2015) e finanziari (60 milioni di euro disponibili).

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6. Assegno ordinario Parlando dei Fondi di solidarietà bilaterali già si è fatto cenno

all’assegno ordinario che gli stessi sono tenuti ad assicurare in rela-zione alle medesime causali ipotizzate, in via ordinaria, per l’integra-zione salariale ordinaria, ad esclusione delle intemperie stagionali (art. 12) e straordinaria (art. 22), per le causali di riorganizzazione e crisi aziendale ove, trova applicazione il D.M. n. 94033 pubblicato sul sito ministeriale l'8 febbraio 2016 ed in vigore dal giorno successivo.

L’istanza, ricorda la circolare INPS n. 22, deve essere presentata alla struttura territoriale dell’Istituto competente secondo l’ubicazione dell’unità produttiva, in analogia con le disposizioni previste per la CIGS e per la CIGO, rispettivamente, non prima di 30 giorni (CIGS) e non oltre il termine di 15 (CIGO) dall’inizio della sospensione o ri-duzione di attività. L’azienda, una volta individuato il Fondo di inte-grazione salariale, deve indicare il tipo di prestazione, il periodo, il nu-mero dei lavoratori interessati e le ore di sospensione o di riduzione dell’attività: è sufficiente indicare il numero dei lavoratori ed il totale delle ore richieste senza alcuna distinzione dei soggetti coinvolti in re-lazione alla qualifica. Alla domanda va allegata la comunicazione dell’azienda ex art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 148/2015 o, in alterna-tiva, il verbale congiunto o l’accordo sindacale.

La circolare INPS n. 22 ha provveduto (punto 2.3) a “neutraliz-zare” ai soli fini della presentazione della domanda il periodo intercor-rente tra il 1° gennaio 2016 ed il 4 febbraio 2016, data di pubblicazione della stessa. Di conseguenza, per i periodi di sospensione intervenuti in tale arco temporale, i termini decorrono da tale ultima data. Per gli eventi richiesti successivi, valgono, naturalmente, le regole generali.

La durata massima, in un biennio mobile (che inizia dalla data in cui la prestazione viene erogata) non può essere inferiore a 13 setti-mane e non superiore alle specifiche causali invocate (quindi 12 o 24 mesi) in una sorta di “parallelismo” con gli artt. 12 e 22 e, in ogni caso, nel rispetto della durata complessiva prevista al comma 1 dell’art. 4 (24 mesi, salvo l’eccezione della solidarietà). All’assegno ordinario si applicano, per quanto compatibili le norme vigenti in materia di inte-grazione salariale ordinaria: tale ultima disposizione (ma qui occorrerà attendere i chiarimenti amministrativi dell’INPS e del Ministero del Lavoro) è da mettere in stretta correlazione anche con una serie di

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istituti e prestazioni collegate al rapporto di lavoro (malattia, maternità, permessi, congedi parentali anche ad ore, secondo la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 80/2015).

L'assegno ordinario, ricorda la circolare INPS n. 30/2016, può essere richiesto per eventi di sospensione o riduzione di attività determinati da una delle seguenti causali: eventi transitori non imputabili all'impresa o ai dipendenti; situazioni temporanee di mercato; riorganizzazione aziendale; crisi aziendale ad esclusione dei casi di cessazione dell'attività produt-

tiva dell'azienda o di un ramo di essa; contratto di solidarietà.

Il messaggio INPS n. 981 del 2 marzo 2016, con riferimento ai termini di presentazione della domanda di assegno ordinario relativa ai Fondi di solidarietà del trasporto pubblico, del settore marittimo e del Gruppo Fer-rovie dello Stato, nel confermare la natura ordinatoria degli stessi, ha pre-cisato che nel caso di presentazione dell’istanza oltre i 15 giorni dalla so-spensione o dalla riduzione di orario, comporta uno slittamento della de-correnza. In considerazione del fatto che è necessario consentire alle aziende ricadenti nella gestione dei Fondi di poter presentare le domande nel rispetto dei nuovi termini, in sede di prima applicazione, viene “neu-tralizzato” tra il 15 novembre 2015 ed il 2 marzo 2016, data di pubblica-zione del messaggio n. 981.

7. Assegno di solidarietà La disciplina dell’assegno di solidarietà è rimessa alle previsioni conte-

nute nell’art. 31 che cerca di operare un sostanziale “pendant” con la nor-mativa sui contratti di solidarietà.

A partire dal 1° gennaio 2016 il Fondo di solidarietà residuale che da quella data (art. 29) assume la denominazione di Fondo di integrazione salariale garantisce un assegno di solidarietà in favore dei datori di lavoro che stipulano accordi aziendali con le organizzazioni comparativamente più rappresentative (non viene identificato il livello “nazionale”, quindi i legittimi firmatari sono senz’altro, le RSA, le RSU ma anche le articolazioni territoriali di categoria) che stabiliscono una riduzione di orario: il tutto, al fine di evitare o ridurre il numero dei licenziamenti sia nel corso di una

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procedura collettiva ex lege n. 223/1991 che a fronte di risoluzioni plurime individuali per giustificato motivo oggettivo.

Gli accordi collettivi debbono individuare i lavoratori interessati alla riduzione oraria che, come nel “normale” contratto di solidarietà difensivo, non può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero, set-timanale o mensile dei soggetti interessati, con la possibilità, per cia-scun lavoratore, di arrivare ad una riduzione del 70% nell’arco dell’in-tero periodo. L’assimilazione con il contratto di solidarietà del settore industriale prosegue con la sottolineatura che l’accordo collettivo deve specificare in che modo sia possibile soddisfare le esigenze di maggior lavoro, con un aumento dell’orario di lavoro e con la corrispondente riduzione dell’assegno di solidarietà che può esser corrisposto per un massimo di 12 mesi in un biennio mobile con un importo che è lo stesso determinato, in via generale, dall’art. 3 (80% della retribuzione che sarebbe spettata per le ore non corrisposte).

Ma quale procedura deve seguire il datore di lavoro per l’ammis-sione all’assegno di solidarietà?

L’istanza deve essere inviata, in via telematica, all’INPS entro 7 giorni dalla conclusione dell’accordo che va allegato: la domanda deve contenere l’elenco nominativo dei lavoratori interessati alla riduzione, siglato dalle organizzazioni sindacali firmatarie e dall’imprenditore. Sull’INPS grava l’onere di inviare le informazioni ricevute ai centri per l’impiego ai fini delle attività di riqualificazione professionale anche per gli obblighi di “condizionalità” per la fruizione dell’assegno previ-sti dall’art. 8.

La riduzione dell’attività deve avvenire nei 30 giorni successivi alla presentazione della domanda: per il resto, conclude, l’art. 31, si appli-cano, per quanto compatibili, le disposizioni, previste, in via generale, per le integrazioni salariali ordinarie.

Nelle more dell’adozione dei decreti attuativi della nuova norma-tiva è intervenuta la circolare INPS n. 22/2016, affermando che le istanze dei datori di lavoro dovranno essere accompagnate dalla “scheda causale” presente nell’area download della procedura dell’in-vio delle domande.

Nei limiti della compatibilità, trovano applicazione le norme sulle integrazioni salariali ordinarie e, afferma la circolare INPS n. 22/2016, che l’assegno è garantito:

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a) per le aziende che occupano mediamente più di quindici dipendenti per eventi di riduzione dell’attività lavorativa verificatisi dal 1° gennaio 2016;

b) per le aziende che occupano mediamente più di cinque e fino a quin-dici dipendenti per eventi di riduzione dell’attività lavorativa verifica-tisi dal 1° luglio 2016.

8. Erogazione delle prestazioni e termine per il rimborso delle prestazioni La circolare INPS n. 30/2016 ricorda che le prestazioni sono erogate

direttamente dal datore di lavoro e riconosciute dall'Istituto attraverso il sistema del conguaglio o del rimborso. A tal proposito, pena la decadenza, le imprese debbono chiedere il rimborso di quanto erogato entro i sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione non dalla data del provvedimento di concessione se suc-cessivo. Il pagamento diretto può essere autorizzato dalla sede dell'Istituto, competente per territorio, in presenza di serie e documentate difficoltà finanziarie del datore di lavoro.

9. Prestazioni ulteriori L’art. 32 definisce quali prestazioni ulteriori possono erogare i Fondi

di solidarietà bilaterali: esse sono le stesse riportate, con parole simili, al comma 9 dell’art. 26. In ogni caso esse possono consistere in: a) integrazione economica, in termini sia di importi che di durata, ri-

spetto alle prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rap-porto di lavoro o integrazione solo economica delle integrazioni sala-riali;

b) assegni straordinari di sostegno al reddito all’interno di procedure fi-nalizzate ad incentivare l’esodo in favore di lavoratori che nel quin-quennio successivo maturino i requisiti per il pensionamento di vec-chiaia o per quello anticipato;

c) contributi al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche ad integrazione di fondi nazio-nali o comunitari.

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10. Contributi di finanziamento Con l’art. 33 viene trattato l’argomento dei contributi di finanzia-

mento relativi ai Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26) ed al Fondo di solidarietà residuale (art. 28) affermando che nei Decreti Ministeriali istitutivi viene determinata la contribuzione ordinaria ripartita per 2/3 a carico del datore e per 1/3 a carico di ogni singolo lavoratore in modo tale da costituire, anche sulla base dei bilanci di previsione, ri-sorse adeguate per l’inizio dell’attività e per la prosecuzione “a re-gime”.

La circolare n. 30/2016 ricorda che, a partire dal 1° gennaio 2016, l'aliquota di finanziamento è fissata: nella misura dello 0,65% della retribuzione mensile imponibile ai fini

previdenziali di tutti i lavoratori dipendenti, per i datori che occupano mediamente più di quindici dipendenti;

nella misura dello 0,45% per quelli che mediamente occupano più di cinque dipendenti e fino a quindici unità. Ma se i Fondi di solidarietà bilaterale e quello residuale dovessero

prevedere la corresponsione dell’assegno ordinario e di quello di soli-darietà viene ipotizzato, dal comma 2, un contributo addizionale che va calcolato in rapporto alle retribuzioni perse, che viene individuato nei decreti costitutivi ma che non può essere inferiore all’1,5%.

L'INPS ricorda, inoltre, che a norma del D.I. n. 79141/2014 (art. 5, comma 1) il Fondo residuale prevede un contributo addizionale, calcolato in rapporto alle retribuzioni perse, nella misura del 3% per le imprese "dimensionate" fino a cinquanta dipendenti, che sale al 4,50% per quelle con un organico superiore e che ai contributi di fi-nanziamento si applicano le disposizioni vigenti in materia di contri-buzione obbligatoria, ad eccezione di quelle relative agli sgravi contri-butivi (ed, ovviamente, anche agli esoneri previsti dai commi 178 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 208/2015).

C’è, poi, il discorso relativo alla previsione di un eventuale assegno straordinario da corrispondere all’interno di operazioni di incentivo all’esodo: qui il datore di lavoro è tenuto ad erogare un contributo straordinario che, nell’importo, corrisponde alla “copertura” dell’asse-gno erogabile, oltre alla contribuzione correlata.

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I contributi di finanziamento sono soggetti alle disposizioni sulla “nor-male” contribuzione obbligatoria, con la sola eccezione relativa agli sgravi di natura contributiva.

11. Contribuzione correlata Qualora venga erogato l’assegno ordinario o quello di solidarietà, l’art.

34 dispone che i Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26), quelli di solidarietà bilaterale alternativi (art. 27) e quello di solidarietà residuale (art. 28) ver-sino alla gestione di iscrizione del lavoratore la contribuzione correlata alla prestazione, con la sola eccezione legata al c.d. “modello alternativo” ove è il datore di lavoro a versare, direttamente, la contribuzione all’INPS. La contribuzione viene calcolata sulla base della previsione contenuta nell’art. 40 della legge n. 183/2010, il quale afferma che ai fini del calcolo della retribuzione annua pensionabile e per la liquidazione delle prestazioni a sostegno od integrative del reddito, il valore retributivo da attribuire per ciascuna settimana ai periodi riconosciuti figurativamente, è pari all’im-porto della normale retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore, in caso di prestazione, riferita al mese nel quale si colloca l’evento. L’importo va determinato dal datore di lavoro sulla base degli elementi retributivi ricor-renti e continuativi.

12. Equilibrio finanziario dei Fondi L’art. 35 ricorda che i Fondi hanno l’obbligo del pareggio di bilancio

e non possono erogare prestazioni in carenza di risorse finanziarie, es-sendo, specificatamente, previsto che gli interventi economici sono subor-dinati sia alla costituzione preventiva delle riserve finanziarie e, comunque, all’interno delle disponibilità economiche già acquisite.

I Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26) ed il Fondo di solidarietà resi-duale (art. 28) hanno l’obbligo di presentare, sin dalla loro costituzione, un bilancio previsionale ad 8 anni in funzione dello scenario macro econo-mico ricavabile dal Documento governativo di Economia e Finanza e dalla nota di aggiornamento. Tutto questo è necessario anche per le eventuali modifiche che il comitato amministratore intende proporre ai fini sia dell’ammontare delle prestazioni che della misura dell’aliquota contribu-tiva: esse sono adottate attraverso un decreto direttoriale “concertato” tra

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Lavoro ed Economia, dopo una verifica istruttoria sulle compatibilità finanziarie del fondo.

L’ultimo comma prevede anche la possibilità di intervenire in caso di necessità e di inadempienza del comitato amministratore con un intervento diretto da parte degli organi ministeriali ma, in assenza dell’adeguamento contributivo, l’INPS non può erogare le prestazioni.

13. Comitato amministratore I compiti e la composizione del comitato amministratore di ogni

Fondo sono definiti dall’art. 36 sulla “falsariga” di quanto già previsto dalla legge n. 92/2012: a) predispone, seguendo le indicazioni del consiglio di indirizzo e di

vigilanza dell’INPS, i bilanci annuali, preventivo e consuntivo, della gestione e delibera sui bilanci tecnici della stessa gestione;

b) delibera sulla concessione degli interventi e dei trattamenti e com-pie ogni altro atto richiesto per la gestione degli istituti previsti dal regolamento;

c) fa proposte in materia di contributi, interventi e trattamenti; d) vigila sull’affluenza dei contributi, sull’ammissione agli interventi

ed alla erogazione dei trattamenti e sull’andamento della gestione; e) decide in un’unica istanza sui ricorsi di competenza; f) assolve ad ogni altro compito demandato da leggi o regolamenti.

Ma quale è la composizione? Gli accordi collettivi stabiliscono il numero, presumibilmente pa-

ritario e non superiore a 10, degli esperti designati dalle organizzazioni datoriali e sindacali stipulanti: ad essi si aggiungono due dirigenti desi-gnati, rispettivamente, dal Ministero del Lavoro e da quello dell’Eco-nomia. Gli incarichi sono gratuiti e senza corresponsione di alcun emolumento anche a titolo di rimborso spese. Il comitato, nominato con D.M. del Ministro del Lavoro, dura in carica 4 anni o termine diverso previsto nel decreto istitutivo: i componenti debbono essere in possesso dei requisiti di professionalità e di onorabilità previsti dagli artt. 37 e 38. Il presidente viene nominato da comitato e le decisioni dello stesso sono prese a maggioranza: in caso di parità, prevale il voto del presidente. Alle riunioni del comitato partecipa il collegio sindacale

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dell’INPS ed interviene, con possibilità di voto consultivo, il Direttore Ge-nerale dell’Istituto o un suo delegato.

Il Direttore dell’INPS ha un potere di sospensione (entro 5 giorni dalla delibera) delle decisioni del comitato amministratore, qualora rilevi profili di illegittimità. L’atto sospensivo viene sottoposto all’esame del Presidente dell’INPS che entro i successivi 3 mesi deve decidere: in caso di mancata pronuncia la delibera del comitato diviene esecutiva.

Se alla data del 30 novembre non risulta nominato il comitato ammi-nistratore (cosa che, non sembra, sia avvenuta) il Ministro del Lavoro no-mina un commissario straordinario che, gratuitamente, svolge il proprio compito e resta in carica fino alla nomina dell’organo collegiale.

Le province autonome di Trento e Bolzano, secondo la previsione dell'art. 1, comma 124, della legge n. 191/2009 e del D.Lgs. n. 28/2013, possono sostenere l'istituzione di un Fondo di solidarietà territoriale inter-settoriale al quale, salvo disposizioni diverse, trova applicazione la disci-plina dei fondi di solidarietà previsti dagli articoli 26 e 35.

14. Requisiti di competenza e assenza di conflitto di interesse Con l’art. 37 il Legislatore Delegato stabilisce di quali requisiti deb-

bono essere in possesso gli esperti nominati dalle parti sociali. Debbono essere in possesso di esperienza e competenza in materia di lavoro ed oc-cupazione, debbono aver maturato un’esperienza complessiva di almeno 3 anni attraverso un insegnamento universitario riferito alle competenze appena indicate o, in alternativa, di amministrazione di carattere direttivo o di partecipazione ad organismi collegiali presso Enti ed organismi asso-ciativi di categoria. Viene esclusa la possibilità di detenere cariche in altri Fondi di solidarietà.

È il Ministero del Lavoro a valutare la sussistenza dei requisiti e l’as-senza di condizioni ostative ma è il Ministro del Lavoro che dichiara la eventuale decadenza dalla carica ricoperta entro i 30 giorni successivi al momento in cui si è venuti a conoscenza del difetto sopravvenuto.

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15. Requisiti di onorabilità L’art. 38 detta in maniera puntigliosa quali sono le condizioni che

non consentono la permanenza nella carica dei membri del comitato amministratore: a) nei casi previsti dall’art. 2382 c.c. secondo cui non può essere nomi-

nato amministratore e, se nominato, decade dal suo ufficio, l’inter-detto, l’inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena de-finitiva che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uf-fici o l’incapacità di esercitare uffici direttivi;

b) allorquando si è sottoposti a misure di prevenzione anti mafia ex D.Lgs. n. 159/2011;

c) allorquando c’è una condanna definitiva a pena detentiva per uno dei reati previsti dal Titolo XI del Libro V del codice civile (reati in materia di società e consorzi), fatti salvi gli effetti della riabilitazione;

d) allorquando è intervenuta condanna definitiva alla reclusione non in-feriore a 1 anno per un delitto contro la Pubblica Amministrazione, la fede pubblica, il patrimonio, l’ordine pubblico, l’economia pubblica o per un delitto in materia tributaria, di lavoro e previdenza, fatti salvi gli effetti della riabilitazione;

e) allorquando è intervenuta sentenza definitiva alla reclusione per un tempo non inferiore a 2 anni, per un qualunque delitto non colposo, fatti salvi gli effetti della riabilitazione;

f) allorquando è intervenuta una sentenza di condanna non definitiva per uno dei reati richiamati alle lettere c), d) ed e);

g) allorquando sia stata disposta, in via provvisoria, una delle misure pre-viste dall’art. 67, comma 3, del D.Lgs. n. 159/2011;

h) allorquando sia stata disposta una misura cautelare di tipo personale. Anche in questo caso l’assenza di condizioni ostative (cosa che

riguarda anche i membri di estrazione pubblica) viene accertata dal Ministero del Lavoro ma è il Ministro a dichiarare la decadenza negli stessi termini e modalità già descritte parlando dell’art. 37.

16. Disposizioni generali La dizione un “po’ criptica” adoperata dall’art. 39 sta a significare

che:

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a) i soggetti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante possono accedere alle prestazioni dei Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26), dei Fondi di solidarietà bilaterali alternativi (art. 27) e al Fondo di solidarietà residuale (art. 28): il periodo di apprendistato viene prolun-gato in misura pari alla durata della sospensione o della riduzione di orario;

b) ai Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26) ed al Fondo di solidarietà re-siduale (art. 28) si applicano l’art. 4, comma 1, relativo alla durata mas-sima complessiva (24 mesi nel quinquennio mobile, fatto salvo l’uti-lizzo del contratto di solidarietà), l’art. 7 (commi da 1 a 4) sulle moda-lità di erogazione delle prestazioni e 8, sulle condizionalità per la frui-zione e sugli obblighi di comunicazione verso i centri per l’impiego;

c) al Fondo di solidarietà residuale che dal 1° gennaio 2016 assume la denominazione di Fondo di integrazione salariale (art. 29), si applica, dalla stessa data, l’art. 1 che individua, in via generale, i lavoratori be-neficiari per i quali, si ricorda, che il requisito per l’accesso alle presta-zioni consiste in una anzianità aziendale di almeno 90 giorni (negli ap-palti, conta l’anzianità del lavoratore maturata su quel posto di lavoro, prescindendo dal periodo trascorso alle dipendenze dell’ultimo datore di lavoro);

d) le istanze di accesso alle prestazioni di integrazione salariale erogate dai Fondi di solidarietà bilaterali e dal Fondo di solidarietà residuale (dal 1° gennaio 2016 Fondo di integrazione salariale) possono essere presentate entro un arco temporale predeterminato: non prima di 30 giorni dall’inizio della sospensione o riduzione di orario e non oltre i 15 giorni successivi all’inizio delle stesse.

17. Disposizioni particolari Il Fondo speciale previsto dall’art. 1-ter della legge n. 291/2004 in fa-

vore del personale del settore del trasporto aereo viene adeguato (art. 40) attraverso un Decreto non regolamentare del Ministero del Lavoro alle disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 148/2015, sulla base di accordi collettivi, anche intersettoriali, stipulati dalle organizzazioni com-parativamente più rappresentative a livello nazionale nel settore del tra-sporto aereo e del sistema aeroportuale.

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18. Abrogazioni L’art. 44 viene trattato unicamente per le abrogazioni delle dispo-

sizioni che riguardano, da vicino, i Fondi di solidarietà. A partire dal 1° gennaio 2016 sono abrogati:

a) il D.M. del Ministro del Lavoro “concertato” con quello dell’Econo-mia n. 79141 del 7 febbraio 2014: si tratta del provvedimento con cui fu istituito il Fondo di solidarietà residuale in attuazione dell’art. 3, comma 19, della legge n. 92/2012;

b) il comma 17 dell’art. 3 della legge n. 92/2012: per effetto di tale abro-gazione l’INPS con messaggio n. 6024/2015 ha affermato che la pre-stazione economica prevista in favore dei lavoratori del settore arti-giano sospesi, a condizione che il fondo di categoria integrasse con almeno il 20% della somma complessiva, non viene più corrisposta;

c) i commi 20, 20 - bis e 21 dell’art. 3 della legge n. 92/2012 che riguar-dano la gestione del Fondo di solidarietà residuale abrogato. A partire dal 1° luglio 2016 sono abrogati:

a) i commi da 5 a 8 dell’art. 5 della legge n. 236/1993 che sono le dispo-sizioni che riguardano i c.d. “contratti di solidarietà difensivi di tipo B”, quelli delle aziende alberghiere e di quelle termali situati in comuni con rilevanti problemi occupazionali, e quelli previsti dagli Enti bila-terali con pagamento a carico degli stessi di almeno la metà dell’im-porto riconosciuto. Secondo la previsione contenuta nella legge n. 208/2015 i contratti di solidarietà stipulati entro il 15 ottobre 2015 continuano fino alla scadenza, quelli sottoscritti dopo hanno una vita “limitata” al 31 dicembre 2016, fermo restando che la Direzione Ge-nerale per gli Ammortizzatori Sociali e gli Incentivi all'Occupazione “lavorerà” tutti quelli pervenuti fino al 30 giugno 2016, nel limite delle risorse stanziate che è pari a 60 milioni di euro. Per completezza di informazione va ricordato che la circolare del Ministero del Lavoro n. 8 del 12 febbraio 2016 ha ammesso la possibilità che durante il con-tratto di solidarietà difensivo ex lege n. 236/1993 possano essere as-sunti lavoratori con contratto a termine in quanto il fondo che gestisce tale ammortizzatore è diverso da quello da cui si traggono i fondi per i "normali" trattamenti integrativi salariali straordinari.