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AMEDEO MAIURI (Biografia) Amedeo Maiuri è stato senza dubbio uno dei maggiori archeologi italiani del secolo scorso. Nacque nel Lazio, a Veroli presso Fregellae, il 7 gennaio del 1886 e morì a Napoli il 7 aprile del 1963. Dal 1913 al 1924 fu responsabile della Missione Archeologica Italiana nell'Egeo, con la carica di direttore del Museo Archeologico di Rodi e di Soprintendente degli Scavi nel Dodecaneso. Dopo il lavoro svolto in Grecia, circa quarantenne, rientrò in Italia, dove assunse la carica di Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e degli Scavi di Ercolano e Pompei. Per i suoi meriti scientifici fu nominato socio dell'Accademia d'Italia. Produsse oltre trecento pubblicazioni sulle sue attività nell'Egeo, in Italia meridionale e soprattutto nell'area campana e vesuviana. I suoi interessi andarono dalla preistoria al medioevo, dalle antichità greche e romane fino a quelle italiche e italiote. Eppure la prima vocazione non fu l'archeologia, in quanto la tesi di laurea, conseguita nel 1908 presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Roma, fu svolta in Filologia Bizantina con una tesi su Teodoro Prodromo, un poligrafo dell'XI secolo d.C. Fu proprio per questa formazione letteraria ed epigrafica che Federico Halbherr, allora Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, lo volle a Creta. Infatti, vinto il concorso della Scuola Archeologica di Atene (1908) e conseguito il Diploma alla Scuola Superiore di Archeologia (1911), affrontò i primi scavi con lo Halbherr a Creta dove, lavorando come membro della Missione Archeologica Italiana (1912), curò l'edizione delle epigrafi greche. Fu dopo i due anni di indagini condotte a Creta, che ottenne la direzione della Missione Archeologica Italiana a Rodi, dopo che l'Italia aveva occupato il Dodecaneso. In questa ultima isola, Maiuri organizzò e diresse il servizio archeologico per ben dieci anni, dal 1914 al 1924, studiandone la storia dalla frequentazione micenea fino all'occupazione medievale da parte dei Cavalieri Crociati. Restaurato, con il Gerola, l'antico Ospedale dell'Ordine dei Cavalieri, lo destinò a Museo Archeologico curandone egli stesso l'allestimento. In un tempo relativamente breve diede dimostrazione di interessarsi non solo a tutte le epoche dell'antichità, ma anche a tutti gli aspetti della metodologia archeologica: dallo scavo alla pubblicazione, dal restauro alla musealizzazione dei reperti. Richiamato da Rodi in Italia, ricevette nel 1924, a soli trentotto anni, la carica di Soprintendente alle Antichità della Campania e del Molise. Contemporaneamente assunse la direzione degli scavi di Pompei e di Ercolano che mantenne per ben trentasette anni ovvero fino al suo pensionamento avvenuto nel 1961. Da allora il suo interesse si concentrò sulle città campane e soprattutto su quelle sepolte dalla eruzione vesuviana del 79 d.C. ovvero Pompei, Ercolano e Stabia, che videro in gran parte la luce grazie al suo intenso lavoro. In particolare a Pompei Maiuri scavò gran parte delle insulae ancora sepolte, indagò l'evoluzione della città antica fino ai livelli più antichi della città sannitica e restaurò gli edifici danneggiati dai bombardamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Infine liberò le mura urbane dal terreno accumulato per circa duecento anni dai precedenti archeologi, che avevano utilizzato le fortificazioni come area di scarico delle terre di scavo. Si è calcolato che la terra rimossa per liberare le mura ammontò a circa un milione di metri cubi. Con la sua intelligenza Maiuri riuscì anche a trasformare l'inutilità di questo accumulo in un terreno utile alla bonifica dei territori acquitrinosi limitrofi, ottenendone un cospicuo finanziamento da parte della Cassa per il Mezzogiorno. Persino l'autostrada NapoliSalerno fu costruita in parte grazie alla terra proveniente dagli scavi di Pompei. A lui dobbiamo quindi non solo l'odierno aspetto della città antica, ma anche quello del territorio circostante che, bonificato, ancora oggi ci appare ridente con le sue intense coltivazioni di verdure ed ortaggi. Da tale meritoria attività egli stesso ne ebbe però soltanto dispiaceri ed umiliazioni, connessi ad un processo amministrativo che lo vide infine prosciolto.

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AMEDEO  MAIURI  (Biografia)    Amedeo  Maiuri   è   stato   senza   dubbio   uno   dei  maggiori   archeologi   italiani   del   secolo   scorso.   Nacque   nel  Lazio,  a  Veroli  presso  Fregellae,  il  7  gennaio  del  1886  e  morì  a  Napoli  il  7  aprile  del  1963.  Dal  1913  al  1924  fu  responsabile  della  Missione  Archeologica  Italiana  nell'Egeo,  con  la  carica  di  direttore  del  Museo  Archeologico  di  Rodi  e  di  Soprintendente  degli  Scavi  nel  Dodecaneso.  Dopo  il  lavoro  svolto  in  Grecia,  circa  quarantenne,  rientrò  in  Italia,  dove  assunse  la  carica  di  Direttore  del  Museo  Archeologico  Nazionale  di  Napoli   e   degli   Scavi   di   Ercolano   e   Pompei.   Per   i   suoi  meriti   scientifici   fu   nominato   socio   dell'Accademia  d'Italia.    Produsse  oltre  trecento  pubblicazioni  sulle  sue  attività  nell'Egeo,  in  Italia  meridionale  e  soprattutto  nell'area  campana   e   vesuviana.   I   suoi   interessi   andarono   dalla   preistoria   al   medioevo,   dalle   antichità   greche   e  romane  fino  a  quelle  italiche  e  italiote.  Eppure   la  prima  vocazione  non   fu   l'archeologia,   in  quanto   la   tesi  di   laurea,  conseguita  nel  1908  presso   la  Facoltà  di  Lettere  dell'Università  di  Roma,  fu  svolta  in  Filologia  Bizantina  con  una  tesi  su  Teodoro  Prodromo,  un   poligrafo   dell'XI   secolo   d.C.   Fu   proprio   per   questa   formazione   letteraria   ed   epigrafica   che   Federico  Halbherr,   allora   Direttore   della   Scuola   Archeologica   Italiana   di   Atene,   lo   volle   a   Creta.   Infatti,   vinto   il  concorso   della   Scuola   Archeologica   di   Atene   (1908)   e   conseguito   il   Diploma   alla   Scuola   Superiore   di  Archeologia   (1911),   affrontò   i   primi   scavi   con   lo   Halbherr   a   Creta   dove,   lavorando   come   membro   della  Missione  Archeologica  Italiana  (1912),  curò  l'edizione  delle  epigrafi  greche.  Fu   dopo   i   due   anni   di   indagini   condotte   a   Creta,   che   ottenne   la   direzione   della   Missione   Archeologica  Italiana  a  Rodi,  dopo  che   l'Italia  aveva  occupato   il  Dodecaneso.   In  questa  ultima   isola,  Maiuri  organizzò  e  diresse   il   servizio   archeologico   per   ben   dieci   anni,   dal   1914   al   1924,   studiandone   la   storia   dalla  frequentazione  micenea   fino   all'occupazione  medievale   da   parte   dei   Cavalieri   Crociati.   Restaurato,   con   il  Gerola,   l'antico  Ospedale  dell'Ordine  dei  Cavalieri,   lo  destinò  a  Museo  Archeologico  curandone  egli  stesso  l'allestimento.  In   un   tempo   relativamente   breve   diede   dimostrazione   di   interessarsi   non   solo   a   tutte   le   epoche  dell'antichità,  ma  anche  a  tutti  gli  aspetti  della  metodologia  archeologica:  dallo  scavo  alla  pubblicazione,  dal  restauro  alla  musealizzazione  dei  reperti.  Richiamato   da   Rodi   in   Italia,   ricevette   nel   1924,   a   soli   trentotto   anni,   la   carica   di   Soprintendente   alle  Antichità  della  Campania  e  del  Molise.  Contemporaneamente  assunse  la  direzione  degli  scavi  di  Pompei  e  di  Ercolano  che  mantenne  per  ben  trentasette  anni  ovvero  fino  al  suo  pensionamento  avvenuto  nel  1961.  Da   allora   il   suo   interesse   si   concentrò   sulle   città   campane   e   soprattutto   su   quelle   sepolte   dalla   eruzione  vesuviana  del  79  d.C.  ovvero  Pompei,  Ercolano  e  Stabia,  che  videro  in  gran  parte  la  luce  grazie  al  suo  intenso  lavoro.  In  particolare  a  Pompei  Maiuri  scavò  gran  parte  delle  insulae  ancora  sepolte,  indagò  l'evoluzione  della  città  antica  fino  ai  livelli  più  antichi  della  città  sannitica  e  restaurò  gli  edifici  danneggiati  dai  bombardamenti  nel  corso   della   Seconda   Guerra   Mondiale.   Infine   liberò   le   mura   urbane   dal   terreno   accumulato   per   circa  duecento  anni  dai  precedenti  archeologi,  che  avevano  utilizzato  le  fortificazioni  come  area  di  scarico  delle  terre  di  scavo.  Si  è  calcolato  che  la  terra  rimossa  per  liberare  le  mura  ammontò  a  circa  un  milione  di  metri  cubi.  Con   la  sua   intelligenza  Maiuri   riuscì  anche  a   trasformare   l'inutilità  di  questo  accumulo   in  un  terreno  utile  alla  bonifica  dei  territori  acquitrinosi  limitrofi,  ottenendone  un  cospicuo  finanziamento  da  parte  della  Cassa   per   il   Mezzogiorno.   Persino   l'autostrada   Napoli-­‐Salerno   fu   costruita   in   parte   grazie   alla   terra  proveniente  dagli  scavi  di  Pompei.  A   lui  dobbiamo  quindi  non  solo   l'odierno  aspetto  della  città  antica,  ma  anche   quello   del   territorio   circostante   che,   bonificato,   ancora   oggi   ci   appare   ridente   con   le   sue   intense  coltivazioni  di  verdure  ed  ortaggi.  Da  tale  meritoria  attività  egli  stesso  ne  ebbe  però  soltanto  dispiaceri  ed  umiliazioni,  connessi  ad  un  processo  amministrativo  che  lo  vide  infine  prosciolto.    

Ad  Ercolano,  tra   il  1924  e  il  1958,  riportò  alla   luce  gran  parte  della  città,  come  essenzialmente  la  vediamo  ancora  oggi,  interrompendo  gli  scavi  solo  durante  la  guerra.  Anche  a  Stabia  non  fece  mancare  la  sua  vigile  presenza  ed  il  suo  appoggio  allo  studioso  locale  Libero  D'Orsi  per  lo  scavo  delle  ville  di  San  Marco  e  di  Arianna.  Nel   ruolo   di   Soprintendente   alle   Antichità   indagò   non   soltanto   gli   antichi   centri   greci   e   romani   della  Campania  -­‐  come  Capri,  Cuma,  Baia,  Miseno  e  Pozzuoli  -­‐  ma  anche  gli   insediamenti  del  Lazio  meridionale,  dell'Irpina  e  della  Lucania,  senza  tralasciare  la  Magna  Grecia  con  Paestum  e  Velia.  Personaggio  versatile,  il  Maiuri  non  solo  fu  un  intellettuale  ma  anche  un  uomo  pratico.  Si  occupò  infatti  del  riordino   del   Museo   di   Napoli,   interessandosi   alla   nuova   esposizione   dei   reperti   ed   eliminando   il   "rosso  pompeiano"  dalle  pareti.  Fu  anche  un  abile  mediatore  e  dobbiamo  alle  sue  capacità  diplomatiche  la  sopravvivenza  delle  collezioni  nel  Museo   Archeologico   Nazionale   di   Napoli.   Infatti,   nel   corso   della   Seconda   Guerra   Mondiale,   Napoli   subì  numerosi  bombardamenti  che  minacciarono  anche  l'antico  palazzo  del  Museo.  Ne  resta  ancora  oggi  traccia  negli  orrendi  edifici  post-­‐bellici,  costruiti  fra  Piazza  Cavour  e  Via  Foria,  laddove  si  ergevano  invece  dei  palazzi  di   epoca.   Maiuri   riuscì   ad   evitarne   la   distruzione   ed   a   portare   in   salvo   i   materiali,   trasferendoli   a  Montecassino.  Pagò  questo  suo  zelo  con  la  frattura  di  una  gamba  durante  un'  incursione  aerea  sulla  strada  tra  Pompei  e  Napoli,  un'invalidità  che  lo  costrinse  al  bastone  per  il  resto  della  vita.  Fedele   alla   sua   originaria   formazione   di   filologo,   ritenne   che   l'analisi   delle   fonti   fosse   preliminare   a  qualunque  scavo.  Fu  proprio   la  descrizione   letteraria  della  villa  a  Literno,  dove  Scipione  avrebbe  trascorso  l'esilio,  che  sollecitò  la  sua  indagine.  Anche  se  la  ricerca  di  questo  particolare  edificio  dovette  fermarsi  alle  semplici  ipotesi,  tuttavia  riuscì  a  mettere  in  luce  dell'antica  città  il  teatro,  il  Capitolium  e  la  basilica.  Intensa   fu   anche   l'attività   accademica.   Gli   fu   infatti   conferita   la   Cattedra   di   Antichità   Pompeiane   ed  Ercolanesi  all'Università  di  Napoli,  dapprima  come  professore  incaricato  e  poi,  dal  1942,  come  professore  di  ruolo,  mentre  dal  1937  al  1963  fu  docente  anche  all'Istituto  Parificato  "Suor  Orsola  Benincasa"  dapprima  di  Storia  Antica  e  poi  di  Storia  Romana.  Malgrado   i   gravosi  oneri   istituzionali  e  gli   impegni   scientifici,   la  divulgazione   in   toni   letterari   fu  per   lui  un  bisogno  profondo  a  riflesso  della  sua  ricca  personalità,  bisogno  che  —  come  raccontava  la  figlia  Bianca  -­‐  lo  spingeva  a  sedere  già  alle  sei  del  mattino  alla  scrivania  della  casa  di  servizio,  sita  nel  Palazzo  Reale  di  Napoli,  per  stendere  quegli  articoli  che  consegnava  periodicamente  dapprima  al  "Mattino"  ed  al  "Giornale  d'Italia"  e  poi  al   "Corriere  della  Sera".  Furono  proprio  Amedeo  Maiuri,  Roberto  Longhi  e  Roberto  Pane  coloro  che  nella   prima   metà   di   questo   secolo   -­‐   rispettivamente   per   l'archeologia,   la   storia   dell'arte   e   la   storia  dell'architettura   -­‐   introdussero   la   prosa   letteraria   nelle   dissertazioni   scientifiche.   Non   che   gli   archeologi  precedenti  fossero  privi  di  cultura   letteraria  -­‐  ad  esempio,  Vittorio  Spinazzola  era  stato  rinomato  sia  come  Soprintendente  sia  per  le  sue  pubbliche  "lecturae  Dantis"  -­‐  ma  nessuno  aveva  creato  fino  ad  allora  un  vero  modello.  Maiuri   si   può   considerare   pertanto   in   Italia   il   capostipite   di   quella   divulgazione   archeologica   di  gusto  letterario,  continuata  da  successivi  studiosi.  Mentre  nelle  pubblicazioni   divulgative  prevalse   in   lui   l'   "archeologo-­‐romantico",   bisognoso  di   integrare   le  lacune  della  storia  con  ricostruzioni  fantasiose  ma  possibili,  invece  nelle  pubblicazioni  scientifiche  tralasciò  ogni  divagazione,  risultando  sempre  molto  preciso  e  aderente  ai  fatti.  Il   30   novembre   del   1961,   all'età   di   75   anni,   Amedeo   Maiuri   andò   in   pensione   lasciando   l'Università,   la  Soprintendenza  e  la  Direzione  degli  Scavi.  Di   carattere   umile,   non   volle   mai   approfittare   del   prestigio   raggiunto.   E'   significativo   a   tal   proposito   un  aneddoto   riferitomi   dalla   figlia   Bianca.   Quando   il   Presidente   della   Repubblica   Giovanni   Gronchi,   in   visita  ufficiale  in  Campania,  entusiasta  per  i  lavori  svolti  dall'insigne  archeologo,  gli  si  rivolse  dicendo  "Eccellenza,  mi  chieda  qualunque  cosa,  sarò  lieto  di  qualunque  cosa  potrò  fare  per  Lei",  avrebbe  potuto  rispondergli  —  come  gli  era  gradito  nel  profondo  del  cuore  —  "Soprintendente  Onorario  a  vita",  ma  non  lo  fece  ...  

Il  suo  successore  e  discepolo  Alfonso  de  Franciscis  —  con  la  caratteristica  signorilità  che  lo  contraddistinse  —  pur   temendone   l'ingombrante  presenza,  volle   riservargli  uno  studiolo  nella   sede  della  Soprintendenza;  tale   ambiente,   divenuto   dopo   la   sua   scomparsa   la   stanza   degli   Ispettori,   continuò   comunque   ad   essere  chiamato  lo  "studio  di  Maiuri".  Amedeo  Maiuri  morì   il   7   aprile   del   1963   all'età   di   77   anni   ed   a   soli   due   anni   dal   suo   pensionamento.   I  funerali  solenni,  filmati  dall'Istituto  Luce,  mossero  dal  Museo  all'Università,   i  poli  complementari  della  sua  lunga  e  intensa  attività  che  gli  consentirono  di  valorizzare  il  patrimonio  archeologico  dell'Italia  negli  anni  più  critici  del  paese.  In  questo  articolo  si  è  tralasciato  di  proposito  -­‐  dietro  mio  suggerimento  -­‐  di  affrontare  una  delle  questioni  più  delicate  nella  biografia  del  Maiuri  ovvero  i  suoi  legami  con  il  fascismo.  In  taluni  testi  recenti  gli  si  è  infatti  attribuita  —  forse  in  maniera  troppo  risolutoria  -­‐  una  connivenza  con  il  regime  o  addirittura  del  razzismo.  Molto   scaturisce   dalla   critica   al   suo   discorso,   pronunciato   in   Campidoglio   alla   presenza   dei   Reali   il   23  Novembre   del   1941:   "Roma   e   l'Oriente   europeo",   Roma,   Reale   Accademia   d'Italia,   1942.   Il   discorso   fu  concomitante  con   la  Campagna  di  Russia,  contesto  che  ne  chiarisce   la  genesi.   Infatti  mette   in  evidenza   le  ambizioni  italiane  di  egemonia  trans-­‐adriatica  dimostrando,  tramite  l'archeologia  e  la  storia  della  romanità,  i  collegamenti  culturali  fra  l'Italia  e  il  mondo  balcanico.  La   mia   opinione   è   che   sia   sempre   stato   un   personaggio   prevalentemente   pubblico,   quindi   un   uomo  coinvolto  nel   flusso  degli  avvenimenti  dei   suoi   tempi.   Inoltre,  da  alto   funzionario  dello  Stato,   ricopriva  un  ruolo  limitato  alla  funzione  esecutiva  e  non  politica.  Fu  questo  rispetto  dei  limiti  delle  proprie  funzioni  che  gli   permise   di   permanere   nello   stesso   incarico   attraverso   tre   diversi   regimi:   la   monarchia,   l'impero   e   la  repubblica.  Giammai  si   ritrovò  coinvolto   in   iniziative  politiche  che  potessero  essere  offensive  della  dignità  umana.   Anzi,   trattandosi   di   una   persona   pragmatica,   utilizzò   a   proprio   vantaggio   la   boriosa   burocrazia  fascista,  come  nel  caso  del  finanziamento  ottenuto  per  gli  scavi  di  Ercolano.  Significativo  è  il  fatto  che,  processato  dopo  la  guerra  per  collusione  con  il  regime  dalle  Forze  di  Occupazione  Alleate,  a  seguito  della  delazione  di  Giuseppe  Spano,  ne  fu  pienamente  prosciolto.  Appare  a   tal  proposito  anche   significativa   l'affermazione   spontanea  —  citata  nel  presente   libro  –  quando    riferisce  della  visita  di  Mussolini  a  Paestum:  "Io  ebbi   l'incarico  di  accompagnarlo  quel  giorno  alla  visita  dei  templi...  Rammento  che  imbasti  alla  meglio  un  compendio  della  duplice  vita  di  Paestum  greca  e  italica  e  che  la  visita  fu,  con  mio  sollievo,  assai  breve".  Non  amò  —  al  pari  di  molti  suoi  colleghi  —  indossare  l'orbace  nelle  occasioni  ufficiali.  Inoltre  nel  carteggio  custodito  presso  l'Ufficio  Scavi  di  Ercolano  si  conserva  una  corrispondenza  fra  lui  ed  il  Prefetto   di   Napoli,   il   quale   auspica   che   dinanzi   all'ingresso   degli   Scavi   di   Ercolano   —   finanziato   con  profusione   di   mezzi   dal   regime   —   venga   eretto   un   busto   del   duce.   Maiuri   tergiversa,   rimanda  elegantemente  a  momenti  più  opportuni  ...  fatto  sta  che  quel  busto  non  venne  mai  posto.  Infine  presso  l'archivio  dell'Istituto  Archeologico  Germanico  di  Roma  si  conserva  una  lettera  del  19  aprile  del  1934  (fornita  al  nostro  Fondo  in  fotocopia  dall'amico  Hubertus  Manderscheid),  nella  quale  Maiuri  attesta  la  sua   solidarietà   ad   Hermine   Speyer,   una   studiosa   ebrea   allontanata   dall'Istituto   Germanico   per   le   leggi  razziali  e  che  per  fortuna  trovò  poi  —  grazie  all'intervento  del  Papa  —  protezione  e   lavoro  presso   i  Musei  Vaticani:  "Gentile  Signorina  Speyer,  ho  ricevuto  la  Sua  lettera  con  la  comunicazione  del  Suo  allontanamento  dall'Istituto;   accolgo   questa   notizia   con   vivo   rammarico,   ricordando   la   cortesia   da   Lei   sempre   usata   nei  rapporti  col  mio  Istituto  e  la  Sua  attività  così  fervida  di  opere.  Spero  che  Ella  possa  continuare  a  lavorare  in  Roma  e  Le  auguro,  gentile  Signorina,  che  Ella  possa  continuare   il  più  serenamente  possibile   la  Sua  nobile  professione  di  studiosa.  Con  distinti  saluti  Dev.mo  Amedeo  Maiuri".  Se  Maiuri  fosse  stato  razzista  -­‐  come  pure  si  è  detto  -­‐  non  avrebbe  esternato  la  sua  sincera  solidarietà  né  si  sarebbe   esposto   con   il   regime   inviando   la   lettera   sulla   carta   ufficiale   intestata   al   "Soprintendente   alle  Antichità  della  Campania  e  del  Molise".