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Antigorio, antica terra di pietra Ambiente, geologia, archeologia, arte e tradizione di una valle alpina

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Antigorio, antica terra di pietraAmbiente, geologia, archeologia, arte e tradizione di una valle alpina

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Antigorio, antica terra di pietraAmbiente, geologia, archeologia,

arte e tradizione di una valle alpina

A cura di Elena Poletti Ecclesia

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Coordinamento editoriale: Elena Poletti Ecclesia

Testi: Fabio Copiatti, Alberto De Giuli, Gian Vittorio Moro, Filippo Pirazzi, Alessandro Pirocchi, Ambrogina Pisoni, Elena Poletti Ecclesia, Sonia Vella, Enrico Zanoletti

Foto: Archivio Associazione Musei Ossola (p. 74 sopra), Alberto De Giuli (p. 48), Mauro Del Pedro (p. 5), MarcoDresco (pp. 46 destra, 47), Romano Marra (pp. 6, 29, 64), Gian Vittorio Moro (p. 62), Filippo Pirazzi (pp. 15,18, 20-24, 26, 28, 44), Alessandro e Paolo Pirocchi (pp. 14, 25, 27, 31 sopra, 39, 52 sopra, 69, 71, 74 sotto),Ambrogina Pisoni (pp. 8-13), Elena Poletti Ecclesia (pp. 30, 31 sotto, 33-38, 43, 45, 46, 51, 61, 63, 65-68,70, 72, 73), Sonia Vella (pp. 32, 37 sotto, 40, 44, 49, 50, 52 sotto, 53-60)

In copertina: veduta della Valle Antigorio dall’Alpe Cheggio (foto di Romano Marra)

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del programma di cooperazione transfrontaliera SITINET(coordinatore: Alessandro Pirocchi)

Cura grafica e redazionale: Aligraphis - Gravellona Toce

© 2012 - Comunità Montana Valli dell’Ossola

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In questo volume sono raccolti diversi scritti cheraccontano ed approfondiscono tematiche ambien-tali, storiche e culturali della Valle Antigorio: filo con-duttore la pietra. Essa è infatti una presenza impo-nente e pervasiva del paesaggio antigoriano, sia neisuoi aspetti naturali sia nelle innumerevoli espressionidell’intervento umano. L’uomo è stato nei secoli con-dizionato dalla pietra nelle scelte insediative, ne hafatto il materiale privilegiato per i propri manufattid’uso quotidiano, ne ha indagato le possibilità d’usocommerciali con le cave e le attività estrattive, ne hatratto realizzazioni d’architettura e d’arte.

Seguendo le tracce di pietra, attraverso le ricogni-zioni sul territorio promosse nell’ambito del pro-gramma Interreg Sitinet per la valorizzazione dei sitigeologici e archeologici dell’Insubria e condotte daprofessionisti, nonché raccogliendo e verificando lesegnalazioni della popolazione locale e sistematiz-zando quanto è frutto delle indagini portate avantidai volontari del Gruppo Archeologico di Mergozzo,nasce questa miscellanea di scritti.

In essa, se da un lato si sintetizzano le acquisizionivecchie e nuove, dall’altro si offrono inediti spunti dilavoro futuri, che potranno condurre ad affinare lacomprensione dell’evoluzione geologica, morfologicaed antropologica della Valle Antigorio.

Per quanto riguarda gli aspetti geologici e geo-morfologici, l’area degli Orridi di Uriezzo, e più in ge-nerale la Valle Antigorio e Formazza, è già oggettodi attenti studi da parte di università internazionaliche anno dopo anno portano a nuove e sempre più

precise ricostruzioni e interpretazioni. Quello che in-vece occorre attuare per quest’area è un decisivosalto di qualità: da sito oggetto di visita e frequenta-zione “fai da te” a vero e proprio bene naturalisticoe culturale gestito e curato, capace di autosostenersieconomicamente e garantire occasione di lavoro aprofessionalità operanti nel campo del turismo. GliOrridi di Uriezzo, per la loro rarità, il significato scien-tifico, la facile accessibilità, il valore educativo e il va-lore scenico e paesaggistico devono essere consi-derati a tutti gli effetti un bene di importanza inter-nazionale.

Per quanto riguarda l’archeologia, gli studi sonoinvece ancora legati alla casualità dei rinvenimenti esono assenti attività di ricerca archeologica pianifi-cata. In quest’ottica, tra i vari siti solo parzialmenteconosciuti, certo meriterà studi di approfondimentoparticolari l’area del castelliere di Uriezzo, segnalatagrazie a ritrovamenti casuali e dove l’avvio di scavi ar-cheologici sistematici e programmati potrebbe ripor-tare alla luce elementi significativi di un insediamentod’altura dell’età del Bronzo, tipologia sino ad ora maiindagata in area ossolana.

Occorrerà poi proseguire, di concerto con la So-printendenza per i Beni Archeologici del Piemonte,nello studio e nella definizione di scelte condivise checoniughino le esigenze di tutela e di valorizzazioneper la Balma dei Cervi, con le sue straordinarie pitturepreistoriche, un complesso unico per ampiezza nel-l’arco alpino di cui è stato compiutamente ricono-sciuto il valore nell’ambito delle ricognizioni Sitinet.

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Sitinet: punto di arrivo e punto di partenzaAlessandro Pirocchi - Elena Poletti Ecclesia

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Ancora, in un’ottica di recupero e comprensionedel paesaggio umano, si ritiene di grande interessel’ampliamento e l’approfondimento delle indagini suquelle che vengono localmente definite balme, fre-quentate come ripari occasionali o per la realizza-zione di ricoveri o ambienti di lavoro permanente, inuna modalità di rapporto tra l’uomo e la pietra cheaffonda le proprie radici nei millenni. Una mappaturacomplessiva delle balme abitate e costruite attendeancora di essere realizzata, mentre indagini anche ar-cheologiche su alcuni siti già individuati e mappatipotrebbero offrire elementi di datazione e di com-prensione della “vita tra le pietre”.

I particolari fenomeni geologici presenti nell’areaed i giacimenti archeologici, segnalati ed ancora ine-splorati, acquistano un valore aggiunto, che travalicail mero interesse scientifico, grazie al contesto am-bientale in cui sono inseriti. L’area tra Crodo, Bacenoe Premia rappresenta infatti un comprensorio moltodiversificato, ricco dal punto di vista naturalistico edeccezionale per le testimonianze storiche e culturali:è il punto di incontro tra la cultura Walser e la culturapiù propriamente latina che affonda le proprie radici

in un lontano e misterioso passato e che ha vistol’esaltazione dell’uso della pietra. Tali risorse sono deltutto o sconosciute o non adeguatamente valoriz-zate. In pochi chilometri quadrati (e a volte a pochipassi dalla strada principale) si trovano frazioni anti-chissime, completamente disabitate, antichi mulini,torchi, segherie idrauliche, forni per il pane, muri me-galitici, antichi terrazzamenti, testimonianze d’arterupestre, antiche torri di avvistamento e segnala-zione, chiese di importanza nazionale, piccoli oratori,cappellette nascoste nel folto del bosco. In un similecontesto ciascuna testimonianza diventa un singolotassello di un progetto generale di valorizzazione delterritorio, con asse portante gli Orridi di Uriezzo, incui il possibile fruitore cammina utilizzando sentieri eantiche mulattiere comode e ben segnalate e riscoprela natura, la storia, la cultura, le tradizioni, l’economiadel passato e quella moderna.

L’augurio è dunque che la ricca mole di dati sinqui raccolta si trasformi in un’occasione di cono-scenza che non resti fine a sé stessa, ma divenga stru-mento per la conservazione, la valorizzazione ed unafruizione intelligente di questi luoghi millenari.

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Nella pagina a fianco:il Cervandone

(m 3.210 s.l.m.)

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Nell’ideale sagoma della foglia d’acero, assurta asimbolo dell’Ossola perché evocata dal disegno dellesue valli laterali che confluiscono in quella principale,la valle Antigorio si colloca nel lobo maggiore, lungola nervatura centrale incisa dal corso del fiume Tocein direzione nord-sud.

L’Antigorio, pur con un nome proprio, è in naturalecontinuità geografica con la valle Formazza, insiemealla quale costituisce un unico solco vallivo che dallapiana di Domodossola risale fino ad insinuarsi in terri-torio elvetico, tra il Vallese a Ovest e il Ticino a Est, nel-l’intimo delle alpi Lepontine occidentali. Il salto rocciosodelle Casse, tra Foppiano e Fondovalle, separa i due to-ponimi, giustificati soprattutto dal differente retaggioculturale delle loro popolazioni: la valle Antigorio fustoricamente romanza, walser, invece, la Formazza.

Inevitabilmente, essendo una il prosieguo dell’al-tra, si sviluppano a quote altimetriche differenti e ma-nifestano personalità distinte anche nel loroambiente naturale. La Formazza è la valle delle grandialtezze, delle vette ardite, dei ghiacciai e delle vastepraterie; l’Antigorio ha un fascino più discreto emeno manifesto, non immediatamente percepibiledal viaggiatore di passaggio, eppure fu “classificata”da Edmondo Brusoni, nella sua Guida per la Valled’Ossola, il Sempione e località circostanti del 1908,“fra le vallate primissime per bellezza” il cui caratterelui stesso definì “d’un tipo intermedio tra il prealpinoe lo schiettamente alpino”. La valle Antigorio nonoffre tremila da scalare, non ha ghiacciai, né pro-mette gli ampi scenari dell’ambiente alpino più au-tentico, al quale fa da preludio regalando qualche

occhieggiante veduta sulle imponenti montagne delconfine ossolano. Garantisce comunque percorsiescursionistici di grande soddisfazione e ascensionigratificanti, e custodisce angoli ameni, di grande at-trattiva e inaspettata seduzione.A sottolineare ulteriormente la morfologia dell’unicalunga valle che, dalla forra di Pontemaglio alla te-stata, alterna tratti piani a ripidi gradoni, si aggiungela distinzione tra Bassa Valle Antigorio e Alta ValleAntigorio, separate tra loro dal Sasso di Premia, unimponente balzo di roccia profondamente incisodall’azione erosiva dei ghiacciai preistorici e dai tor-renti dell’antica rete idrografica. Tutta quest’area èstata oggetto di tale modellamento ed è solcata daforre, gole e crepacci; poco a sud del profondo solcodi Balmafredda, che intaglia il Sasso di Premia, gli Or-ridi di Uriezzo ne sono l’espressione più evidente espettacolare. Le marmitte dei giganti, cavità emisfe-riche o cilindriche scavate dall’impeto dei torrentisubglaciali, sono anch’esse il risultato della lentaabrasione della roccia ad opera dell’acqua vorticosae dei detriti che essa trasporta; molto note sonoquelle di Maiesso, in cui ancora scorre il Toce, altre sisusseguono tra Croveo e Baceno, lungo l’ultimotratto del torrente Devero, prima della sua confluenzanel Toce.

Proprio da qui si dirama, in direzione nord-ovest,la valle laterale che dal torrente Devero prende ilnome, separata dall’Antigorio dalla lunga dorsale chedalla Punta d’Arbola si protende verso sud fino a in-cunearsi tra Premia e Baceno. La catena montuosache corre a meridione del Basodino segna invece il

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Fra le vallate primissime per bellezzaAmbrogina Pisoni

Una valle d’introduzione all’ambiente alpino

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suo confine orientale con il Can-tone Ticino e, più a sud, con labreve e incassata valle Isorno, dira-mantesi all’imbocco di Antigorio,appena alle spalle di Montecre-stese. Dalla valle Divedro, l’Antigo-rio è separata dalle propagginimeridionali del massiccio delMonte Cistella, che s’impone allavista divenendo il protagonista as-soluto del panorama. Nonostantenon raggiunga i 3000 metri, la suafavorevole posizione, centrale ri-spetto all’alta Ossola, ne fa unpunto privilegiato di osservazione atrecentosessanta gradi dal Monvisoalle cime dell’Oberland Bernese,fino al lago Maggiore e alla PianuraPadana che sfuma a sud. Gli itine-rari che conducono alla vetta sonolunghi ma escursionistici, senza ec-cessive difficoltà, dunque molto fre-quentati dagli estimatori diquell’alpinismo di puro godimento,senza smania di conquista, che fudefinito “contemplativo”.

Tutta la valle Antigorio abbondadi acque, in gran parte sfruttatenegli invasi artificiali e nelle con-dotte forzate che alimentano lecentrali, con apprezzabili ritornieconomici ma inevitabili ferite alpaesaggio e ripercussioni sull’am-biente.

Diversa fortuna ebbe l’acqua mi-neralizzata delle sorgenti di Crodo,menzionata per la prima volta negliStatuti della Valle Antigorio del1513 per le sue già note proprietàcurative. Fu attorno alla metà del-l’Ottocento che la costruzione del-l’Albergo dei Bagni, una piccola

Sopra:Orridi di Uriezzo, OrridoSud

Sotto:Pontemaglio

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struttura ricettiva con annesso lo stabilimento termaleper le cure idropiniche, diede impulso al turismo, pro-ponendosi come il primo motivo di richiamo nella valle.L’imbottigliamento dell’acqua di Crodo, distribuita econsumata anche oltre i confini nazionali, ne accrebbesempre più la fama, che culminò con l’invenzione del-l’aperitivo analcolico Crodino e permane tuttora.

A Premia invece, nel corso d’indagini geologichefinalizzate alla realizzazione di un nuovo impiantoidroelettrico, negli anni Novanta è stata scoperta lasorgente di un affioramento di acqua costantementetiepida, già noto alla gente del luogo che lo utilizzavada secoli e documentato fin dal 1556 in una bolla pa-

pale, dov’era menzionato come “il rivo dell’acquacalda”. Le proprietà terapeutiche di quest’acqua iper-termale, che sgorga in profondità a una temperaturasuperiore ai 40°, hanno suggerito in tempi recenti larealizzazione di una moderna Spa.

Sul palcoscenico di Antigorio, dunque, l’acqua ècoprotagonista, insieme alle alture, ai boschi, ai pratie ai villaggi, nel bene e nel male. Ha modellato forte-mente il paesaggio, imprimendo morfologie unichedi sorprendente fascino. È fonte di guadagno e pro-sperità, ma è anche, a volte, una maledizione che siabbatte con furia ingrossando i corsi d’acqua e pro-vocando frane e alluvioni.

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Il Monte Cistellada Crego

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Dall’imbocco della valle fino a 500/800 metri dialtitudine prevalgono i boschi di latifoglie a riposo in-vernale; quercia e castagno sono gli alberi predomi-nanti, accanto a tiglio, frassino, acero, betulla, ciliegioselvatico e specie arbustive quali nocciolo, agrifoglio,biancospino, fusaggine e corniolo. L’anemonebianca, la vitalba, il caprifoglio, il ciclamino delle Alpi,la barba di capra, la betonica, la tormentilla, il mu-ghetto e il lampascione sono solo alcuni dei fiori rin-venibili in area collinare. Più facilmente sui rami ditiglio, ma non solo, è possibile scorgere il vischio, ar-busto sempreverde emiparassita che, pur avendo ca-pacità fotosintetica, si procura sali minerali da altrepiante penetrandone lo strato corticale. La fascia sub-montana è anche quella che può ospitare la maggiorparte delle coltivazioni di alberi da frutto, ortaggi, se-gale e, soprattutto, della vite, che caratterizza i dossimorbidi e soleggiati di Montecrestese, disegnati daireticoli delle pergole, localmente chiamate topie.

Salendo di quota, il protagonista dei boschi delpiano montano è il faggio, specie che predilige i ver-santi con condizioni di elevata umidità ambientalee che si ritrova talvolta anche in faggete pure, peresempio sui versanti del Monte Cistella. Spesso si

accompagna alle prime conifere: l’abete bianco, chea sua volta esige costante umidità atmosferica, el’abete rosso, o peccio, molto più adattabile e ingrado di spingersi a quote elevate anche invadendopascoli e terreni inutilizzati. Il pino silvestre, che inOssola ha una diffusione piuttosto frammentaria inseguito alla concorrenza apportatavi da altre specie,ha una buona presenza sui rilievi della Colmine diCrevola.

Tra i fiori si ricordano l’epatica, l’acetosella dei bo-schi, le veroniche, il giglio di San Bernardo, la cresta digallo, la balsamina, lo ieracio, la piroletta e la poco co-mune uva di volpe. I boschi ombrosi e umidi sono l’ha-bitat ideale della felce montana e della felce pelosa;meno esigenti sono la felce maschio, la felce femminae l’ubiquitaria felce aquilina che, specie cosmopolita ecolonizzatrice, è in grado di diffondersi rapidamentedal piano all’alta quota grazie alla capacità del suo ri-zoma di penetrare profondamente nel terreno.

Nel piano subalpino è il larice, l’unica conifera ca-ducifoglia europea, a prevalere grazie al suo adatta-mento ai climi rigidi e alla sua notevole capacità digerminare anche su terreni poveri, che colonizza ra-pidamente. La sua chioma rada favorisce lo sviluppo

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In ordine:Gentiana kochiana(Genziana di Koch);Orchis sambucina(Orchidea sambucina);Paris quadrifolia(Uva di volpe)

La flora e la fauna

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di un folto sottobosco a rododendro e mirtillo. Unaspecie che dalle quote più basse può arrivare a dif-fondersi fino oltre i 2000 metri è il sorbo degli uccel-latori, producente grappoli di bacche scarlatte ricchedi vitamina C, particolarmente gradite alle specie avi-cole e commestibili anche per l’uomo.

Oltre il limite della vegetazione arborea, dove lecondizioni ambientali sono più aspre, gli ultimi arbu-sti contorti, dalla crescita lenta e stentata, si dilui-scono nelle vaste praterie e nelle lande d’alta quota,dove solo poche specie, molto specializzate, riesconoa sopravvivere ai rigori del clima, a compensare laperdita di umidità che il forte vento comporta e a tro-vare le sostanze nutritive nel terreno arido.

Habitat particolari, contraddistinti da insospetta-bile diversità biologica, sono i prati da sfalcio e i pa-scoli creati dall’uomo. L’intervento antropico, purimprimendo profondi mutamenti nell’ambiente conla rimozione di ampie superfici boscate, ha favoritoil diffondersi di un gran numero di specie che oggi, acausa della forte regressione di questi spazi per l’ab-bandono delle pratiche agropastorali tradizionali, sistanno rarefacendo. Nei prati si rinnova ogni anno lospettacolo di ricche fioriture multicolori, variabili infunzione del substrato: zafferano alpino, ranuncolo,botton d’oro, fiordaliso, campanule, geranio selva-tico, gigli, genziane, ginestrino alpino, crepide do-rata, trifoglio alpino, raperonzolo, arnica, orchidea

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IL CASTAGNO DI MAGLIOGGIO

A Maglioggio, frazione di Crodo a circa 600 metri di alti-tudine, è doverosa una visita al castagno Maria Bona, ve-tusto esemplare di oltre 350 anni, inserito nell’elenco deglialberi monumentali della Regione Piemonte. Nonostantel’età veneranda, le sue condizioni di salute sono comples-sivamente buone; alcuni interventi di potatura della chiomavolti a stimolarne l’attività vegetativa, l’eliminazione deirami secchi e l’asportazione di legno colpito da carie allabase del fusto, hanno migliorato il suo stato generale.

Peccando di antropomorfismo, si può ravvisare unasorta di coraggio nel suo portamento diritto e fiero. Sta lìcome un monumento all’albero simbolo della civiltà mon-tanara e a ricordo di una vita semplice e frugale. Dal Me-dioevo il castagno fu considerato “albero del pane”, perchéle castagne costituivano il cibo fondamentale nell’alimen-tazione di montagna e garantirono la sopravvivenza, anchein periodi di carestia, delle popolazioni delle zone rurali. Ilcastagno da frutto, chiamato solo Arbul, perché albero pereccellenza, era distinto dal Salvagh, il castagno da ceduonon innestato. Il suo legno, facilmente lavorabile e durevoleper l’alto contenuto di tannino, era utilizzato per la produ-zione di paleria, tavolame, botti da vino, mobilia e per la travatura dei tetti.

I suoi frutti, oltre che all’uomo, sono graditi a roditori e uccelli, che trovano anche riparo tra le fronde e nellecavità del tronco. Ricovero e fonte di cibo anche di numerose specie d’insetti, è particolarmente apprezzato dalleapi per la sua abbondante produzione di polline e nettare, da cui ricavano un miele scuro profumato e aromatico.

I patriarchi di questa specie generosa, sopravvissuti a ingiurie e malanni nei boschi delle Alpi, suscitano natu-ralmente un sentimento misto di rispetto e commozione.

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sambucina… e graminacee meno appariscenti ma ot-time foraggere.

La fauna della valle Antigorio non si discosta parti-colarmente da quella dell’Ossola in generale, salvoeventuali diffusioni localizzate di alcune specie e varia-bili numeriche dipendenti dalle specificità ambientali.

Tra i mammiferi sono gli artiodattili a rappresen-tare meglio, nel senso comune, l’idea di montagna.Il capriolo, cervide piuttosto adattabile tipico degliambienti ecotonali, con alternanza di bosco, prato ecoltivi, è ben diffuso su tutto il territorio, dal pianofino al limite superiore del bosco. Pure il cervo è inespansione, probabilmente anche grazie al dilatarsidelle superfici forestali; in inverno si spinge in bassoe non è raro incrociarlo sulle strade asfaltate del fon-dovalle. Diffuso è anche il camoscio, ungulato chefrequenta i pendii rocciosi ripidi e accidentati, nonnecessariamente a quote elevate, nei pressi di prate-rie e boschi in cui ripararsi, tanto di conifere quantodi latifoglie. Lo stambecco invece, adattatosi nella suaevoluzione alle alte quote, vive prevalentemente nellafascia alpina e nivale, dove predilige le praterie alter-nate a ripide pareti.

Negli ultimi anni le tracce e gli avvistamenti dilupo e lince sono stati segnalati con relativa regola-rità. Ciò lascia sperare nel ritorno di questi grandi pre-datori che furono sterminati nei secoli passati e cheoggi, in seguito alla riduzione dell’attività agropasto-rale, con conseguente aumento della foresta e delleprede, possono trovare le condizioni favorevoli allariconquista del territorio.

La marmotta, roditore tipicamente alpino, è inse-diata in alta quota, su pianori e pendii soleggiati conaree pietrose, dove scava diverse tane collegate dagallerie; se disturbata emette acuti fischi d’allarmeche ne rendono evidente la presenza. Più elusivi e di-screti sono la lepre variabile, l’ermellino e, alle quoteinferiori, la lepre europea, la volpe, il tasso, lo scoiat-tolo, la donnola, la faina, la martora, il ghiro, le arvi-cole e alcuni insettivori.

La classe degli uccelli è quella presente con il mag-gior numero di specie. Il rapace più rappresentativodell’ambiente alpino, mito affascinante di potenza e

grandezza, è l’aquila reale, predatore dal portamentomaestoso che nidifica generalmente sulle pareti roc-ciose inaccessibili e che si scorge volteggiare agile eleggera nonostante la mole imponente. Tipicamenterupicolo, nidificante in cenge e anfratti di pareti stra-piombanti, è il falco pellegrino, straordinario caccia-tore noto per la notevole velocità, superiore ai 200km orari, che può raggiungere nel tuffo di picchiatacon cui sorprende la propria preda.

Particolarmente adattati ai climi freddi, per fisio-logia e comportamento, sono i galliformi tetraonidi,presenti con tre specie. Il fagiano di monte (o galloforcello) abita le zone alpine al limite superiore dellavegetazione arborea con sottobosco di rododendroe mirtillo; la livrea del maschio è appariscente e ca-ratteristica per le caruncole rosso acceso sopra gliocchi e le penne della coda, esternamente ricurve,che apre a “lira” nelle parate nuziali. La pernicebianca predilige la fascia degli arbusteti nani, i mar-gini delle morene e le vallette nivali; il suo piumaggio,mimetico in estate, in inverno diviene bianco e fitto,atto a creare uno strato isolante che le consente disopravvivere a temperature rigide, anche sprofon-dando in buche nella neve per una maggiore prote-zione dal gelo notturno. Ultimo rappresentante dellafamiglia è il francolino di monte, che frequenta i bo-schi di conifere e latifoglie con fitto sottobosco ed èin incremento grazie alla spontanea espansione del-l’ambiente forestale nelle aree abbandonate. La con-trazione dei coltivi e delle zone aperte sembra percontro essere causa del declino della coturnice, unfasianide riservato, caratterizzato da un’evidentestriatura bianca e bruna sui fianchi.

In questo brevissimo elenco faunistico, necessa-riamente sintetico e incompleto, si citano tra gli anfibila salamandra pezzata e la rana temporaria, che fre-quenta anche quote elevate; tra i rettili la lucertolamuraiola, pressoché ubiquitaria, diversi colubri e lavipera comune, unico serpente velenoso del territo-rio. Si tralascia di accennare alla lunga lista degli in-vertebrati, demandando all’escursionista attento ilcompito e il piacere della scoperta e dell’approfondi-mento.

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Nella pagina a fianco:sopra, edifici rurali inghiottiti dalla vegetazione spontaneaad Arviscera

Sotto, lavatoio e fontanaad Alpiano Superiore,Crodo

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Dove l’ambiente è meno impervio, l’uomo è in-tervenuto a modificarlo, spesso profondamente, perabitarlo e trarne la propria sussistenza.

Montecrestese, cuore di quella che è stata appel-lata la “riviera ossolana”, abitata dall’età protostoricaper il suo clima mite, fu sede in passato di una note-vole attività vitivinicola che esportava in Svizzera granparte del proprio prodotto. Dopo una fase di forteregressione, un rinnovato interesse sta ridando im-pulso alle coltivazioni, con il recupero dei vitigni ori-ginali e la produzione di vini pregiati, talvolta di anticaorigine, come il Prunent. Poco oltre la forra di Ponte-maglio, il terrazzo soleggiato su cui si distendono ivillaggi di Mozzio, Viceno e Cravegna, ossia la “ri-viera antigoriana”, fu a sua volta frequentato datempo immemore per la sua posizione solatia, favo-revole alle colture; proprio Viceno ospita, in una tipicaabitazione valligiana del secolo scorso, la Casa Museodella Montagna, a ricordo della civiltà contadinamontanara.

Dovunque, come in un museo a cielo aperto,stanno le testimonianze di quella cultura in dissolvi-mento, della passata colonizzazione che l’uomo pra-ticò con fatica e caparbietà. Antiche mulattieredimenticate sfiorano piccoli nuclei di case decadenti,fagocitate dalla vegetazione; i terrazzamenti destinatiai coltivi sono occultati dal rimboschimento recenteche invade le aree prima addomesticate e poi abban-donate. Anche i pascoli non più utilizzati vedonol’avanzare delle specie pioniere, a riconquista dellospazio che l’uomo aveva loro sottratto. Senza indul-gere a romantiche nostalgie è facile intuire, nel pas-sato utilizzo del territorio, intenso ma lungimirante,una certa armonia che oggi sembra mancare nel suomoderno sfruttamento, spesso massiccio e irrispet-toso, a scopi turistici e industriali.

Le costruzioni sono la manifestazione più evi-dente degli insediamenti umani, che spesso presen-tano delle connotazioni particolari, da un paeseall’altro, pur nella similitudine delle soluzioni adottate

Il paesaggio umano

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per analoghe esigenze. Il filo conduttore dell’archi-tettura valligiana è il grigio della pietra dei muri, dellescale, dei tetti a beole, delle fontane, delle strade la-stricate… Il serizzo, come viene comunemente chia-mato lo gneiss d’Antigorio, oggi coltivato nelle caveche squarciano le pendici, è stato da sempre utiliz-zato tanto per le case d’abitazione quanto per le co-struzioni monumentali e difensive.

Numerosi sono gli oratori e le chiese, anche di an-tica edificazione, sparsi sul territorio. Gioiello dell’ar-chitettura religiosa è la parrocchiale di S. Gaudenzioa Baceno, che lo scrittore Piero Chiara reputò essere“la più bella delle Alpi”. Eretta nel X secolo sullo spe-rone roccioso che domina l’orrido di Silogno, fu piùvolte ampliata nei secoli successivi. L’interno è ricca-mente decorato da pregevoli affreschi; sulla facciatain stile romanico lombardo campeggia il grande di-pinto di San Cristoforo, patrono dei mercanti che va-licavano la Bocchetta d’Arbola, storica via dicomunicazione con la svizzera valle di Binn. In virtùdella sua bellezza e del suo valore artistico, è stataannoverata tra i monumenti storici nazionali.

La chiesa monumentaledi San Gaudenzio di Baceno

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Per tutti coloro che vogliano condurre ricerche geo-logiche importanti la visita della Valle Antigorio costi-tuisce una tappa obbligatoria. È infatti noto da più diun secolo, grazie ai geniali studi ed all’intuito del geo-logo svizzero Emile Argand, che, in questo lembo diterritorio di montagna interposto tra Piemonte e Sviz-zera, le Alpi Lepontine siano costituite da una pila di“falde di ricoprimento” sovrapposte le une sullealtre, come le pietre di un muro. A partire da quelle

strutturalmente sottostanti a tutto l’edificio alpino,vengono identificate in basso le Falde Pennidiche In-feriori, cui seguono le Medie, le Superiori e infine inalto le Falde Austroalpine.

Due importanti agenti morfologici del territorio an-tigoriano hanno il merito di aver mostrato questaesclusiva sequenza agli occhi del mondo: la rete idro-grafica del Fiume Toce e le precedenti glaciazioni qua-ternarie. Entrambi hanno scavato la Valdossola,

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Geologia della Valle AntigorioFilippo Pirazzi

Il Monte Gorio (m 2.593slm) sovrasta verso nordil paese di Baceno e dà ilnome a tutta la valle antistante (Antigorio).La parte superiore delmonte è costituita dagliOrtogneiss di Antigorio,tranne la cima dove affiorano i Calcescisti

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N

0 2 4 6

km

Serizzi

Marmo di Crevola

Verdedi Cisore

Beole

Verde Vogognaed altre ‘beole’

Marmi di Candoglia e Ornavasso

Graniti

Pietra di Arona

Marmo di Vallestrona

Nero di Anzola

Domodossola

Baveno

Arona

M.Mottarone

Locarno

C

anfiboliti

Linea

men

to

Peria

dria

tico

Linea Cossato-

M

ergozzo-Brissago

Linea Sempione-Centovalli

Lago

Mag

giore

Dolomia Triassica (Pietra d’Angera)

Complesso effusivo Permiano (”porfidi” Auct.)

Intrusioni permiane (Graniti dei Laghi)

Basamenti metamorfici pre-Alpini della Serie dei Laghi (a) e della Zona Ivrea - Verbano (b), (indifferenziati)

Basamento metamorfico pre-Alpino della Zona Sesia - Lanzo

Scisti milonitici di Fobello - Rimella

Metabasiti e metaultrabasiti delle Unità Zermatt - Saas ed Antrona: altri corpi anfibolitici minori

Zona Monte Rosa, ortogneiss granitici con intercalazioni di paragneiss subordinateZona Orselina - Moncucco - Isorno: paragneiss con corpi ortogneissici ed intercalazioni di anfiboliti

Falda Monte Leone (in prevalenza ortogneiss)

Serie del Lebendun, scisti metaclastici da fini a grossolani e micascisti carbonatici

Falde Antigorio e Pioda di Crana, di composizione ortogneissica

Marmi dolomitici saccaroidi

Gneiss granitoidi della cupola di Verampio (Elemento zero di Argand)

Unità mesozoiche carbonatiche, marmi e calcescisti con alcuneintercalazioni di rocce basiche

SUDALPINO

OROGENE EUROPA - VERGENTESistema Austroalpino

Sistema delle falde Ofiolitiche

Sistema delle Falde PennidichePennidico Superiore

Pennidico Inferiore

Sub - Pennidico

Unità di copertura (indifferenziate)

Faglie principali

e Ornavasso

G

Arona

ab

Complesso ultrafemico di Geisspfad (Ultramafiti del Cervandone)

Micascisti di Baceno, micascisti con subordinate anfiboliti

L

16

Rappresentazione cartografica delle unitàtettoniche costituenti la geologia dell’AltoNovarese (Piemonte nord-orientale). (Tratto da Università degli Studi Milano Bicocca, ridisegnato e rielaborato a cura diAligraphis/F. Pirazzi)

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ponendo in luce nella “finestra tettonica di Veram-pio” la successione degli sovrascorrimenti litosfericiche hanno edificato questo segmento di catena al-pina, compreso tra il Sempione ed il San Gottardo.Oggi, questo modello geologico di riferimento univer-sale si fonda sul principio dell’accorciamento crostalee sull’ipotesi di una culminazione assiale delle Alpidetta “Ossola-Ticino”; prevede la risalita di materialiprovenienti da profondità di oltre 70 Km e considera imoderni schemi dell’accavallamento tettonico dellefalde secondo i meccanismi del sistema piega–faglia(fold-and-thrust belt). La Valle Antigorio ancora unavolta detiene il merito di poter dimostrare, agli occhidel mondo e ad ogni aggiornamento degli studi, la va-lidità delle innovative teorie geologiche.

Il susseguirsi degli eventi geologici sulle Alpi vienedefinito dall’Orogenesi alpina che prende avvio circa180 milioni di anni fa con l’apertura di un articolatooceano interposto tra la placca euroasiatica e quellaafricana (Adria). Un bacino, verosimilmente collegatoad oriente con l’antica Tetide, che resterà in vita pres-sappoco 60 milioni di anni ed entro il quale si conso-lideranno sia le rocce fuoriuscite dalla dorsaleoceanica, come le ofioliti, sia quelle di origine sedi-mentaria deposte sui relativi fondali: rocce carbonati-che, pelitiche, arenacee e probabilmente anche delleevaporiti. Alla fine di questo periodo di parziale quietetettonica si invertiranno le direzioni di deriva delle due

placche litosferiche e con il Cretacico superiore essefaranno rotta di collisione, dando sfogo alle più po-tenti energie del nostro pianeta.

L’evoluzione cinematica dei principali episodi chesi sono avvicendati prima, durante e dopo lo scontrotra i margini continentali delle due placche, può esseresintetizzata per fasi orogenetiche, dalla più antica allapiù recente: la fase Eoalpina (120-65 Ma) che vide lasubduzione della crosta oceanica sotto la placca meri-dionale, l’erosione tettonica del margine africano conconseguenti nuove deposizioni terrigene in acqua(flysch), l’affastellamento di grandi scaglie litosferiche(prismi di accrezione) in direzione opposta alla consun-zione e, contestualmente, le prime modifiche tessitu-rali delle rocce per metamorfismo di basso grado. Fudurante questa fase che si formarono i basamenti cri-stallini delle future falde di ricoprimento tettonico. Lafase intermedia detta Mesoalpina (50-35 Ma) fuquella di più intenso stress tettonico, poiché i due mar-gini continentali si ritrovarono molto prossimi al con-tatto, avendo chiuso definitivamente l’ancestraleoceano Ligure - Piemontese - Vallesano. In questo re-gime di intensa deformazione delle masse in gioco,parte della crosta precedentemente subdotta fu riesu-mata (slab break-off) e restò coinvolta nelle traslazionidelle falde tettoniche. Le rocce subirono il metamorfi-smo di alto grado nella zona del “Duomo Termico Le-pontino”, dove si raggiunsero elevati picchi di

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NO SEGruppo del Cervandone

III

Codelagodi Devero

L.di Agaro

M.te Gorio

Orridi diUriezzo

P.zo di Bronzo

II

I

0

Sezione geologica esemplificativa della ValleAntigorio che mostra ilsovrascorrimento delleFalde tettoniche del Sistema Pennidico convergenza alpina (Verso iquadranti settentrionali).Tratta da Schmidt e Preiswerk, modificata daCastiglioni e ridisegnataa cura di Aligraphis

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temperatura e pressione, e tutto l’orogene iniziò a sol-levarsi all’aria aperta. Con l’ultima fase dell’Orogenesialpina, la fase Neoalpina (25-0 Ma), migrarono convergenza opposta, quindi doppia, le falde di ricopri-mento che andarono ad insediarsi rispettivamentesull’Europa (avanpaese) e sul fronte opposto a costi-tuire il Sudalpino. Alcune di queste falde, molto esteseed allungate assunsero una fisionomia di “ultrapie-ghe”, mentre si realizzarono le più importanti faglieregionali come il Lineamento Periadriatico (ex LineaInsubrica) e la Linea del Sempione. Quest’ultima favorìil denudamento morfologico più recente delle falde.Per ultimo, la fine delle glaciazioni quaternarie ha pro-vocato un alleggerimento della catena montuosa chepoté definitivamente sollevarsi senza più ostacoli. E’risaputo che le Alpi ancora ai giorni nostri non hannomai smesso di crescere in altezza.

L’apertura geo-strutturale individuabile pertanto aVerampio sul fondo della Valle Antigorio (finestra tet-tonica), è assimilabile ad una grande sezione geologicanaturale che taglia la struttura alpina e che disegnasulla lavagna delle montagne ossolane il sistema dellefalde appilate. Lo spessore complessivo della pila di

falde, nell’ipotesi che possano essere ricollocate nellaloro posizione originale, raggiungerebbe una trentinadi chilometri.

Come già detto in precedenza, le falde più pro-fonde del sistema alpino (Pennidiche Inferiori) si mo-strano in tutta la loro potenza ed estensione lateralelungo i versanti dei più importanti corsi d’acqua dellaValle Antigorio: il Fiume Toce ed il Torrente Devero coni loro maggiori affluenti.

Esse sono, nella numerazione e denominazionedata da Argand:• III - Falda del Monte Leone• II - Falda del Lebendun• I - Falda di Antigorio• O - Elemento zero o cupola di Verampio

Le falde qui sopra elencate dal basso verso l’altosecondo un principio stratigrafico corretto, vennero in-terpretate come lembi litosferici di ricoprimento e ven-nero percepite come grandi pieghe coricate, separateda sottili pieghe di genesi più recente, composte dacalcescisti e altri scisti. Risultarono così identificate per-ché presentavano un basamento cristallino massiccioe una copertura più scistosa di probabile origine sedi-mentaria. Oggi invece, con il termine di Falda vieneidentificata un’unità tettonica composta da una basegneissica sottoposta ad una formazione metamorficapiù scistosa. Formazioni scistose che, con il definitivoabbandono delle superata teoria dei “bacini di geo-sinclinale”, non hanno più motivo di essere descrittecon il vecchio lemma di Sinclinale.

Le rocce che compongono queste falde hanno ac-cusato tutte il metamorfismo dovuto all’orogenesialpina. Pertanto, per il loro riconoscimento e per la loroclassificazione non possono più essere utilizzati i ter-mini propri delle rocce magmatiche e di quelle sedi-mentarie. Anche se il loro “carattere” risulta ancorapiuttosto complesso e di difficile comprensione, ad unocchio meno esperto emergono alcune differenze dipiù facile percezione. Ad esempio: per colore, per tes-situra, per grado di compattezza, per composizionemineralogica e per la morfologia dei rilievi montuosi.Qualcuno afferma con ragione che l’estrema varietà

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Gli gneiss della Falda diAntigorio si mostrano intutta la loro imponenzalungo la parete rocciosa

dietro l’abitato di SanRocco di Premia

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di tipi litologici faccia di queste vallate un museo na-turale all’aperto, praticamente onnicomprensivo dirocce metamorfiche e di minerali alpini.

Infatti, percorrendo in lungo e in largo la Valle An-tigorio si vede affiorare un’ampia sequenza di grandicorpi litici, caratterizzati principalmente dall’aspettocristallino: dai più comuni micascisti, ai calcescisti, agligneiss granitoidi, gneiss tabulari, marmi dolomitici, atutti quei variegati scisti contraddistinti da tipici mine-rali metamorfici (cloriti, antigorite, granati, sericite, an-dalusite, staurolite, orneblenda, ecc …); dalle quarzitialle apliti e alle intrusioni filoniane acide associate ametamorfiti; dalle anfiboliti, alle serpentiniti, alle piùrare ma non meno famose ultramafiti del Cervandone.Queste ultime rocce, ad esempio, sono assimilate adelle meta-peridotiti di derivazione magmatica. Sonodi colore verde molto scuro, hanno un basso conte-nuto di silice, ma sono ricche in minerali di ferro e dimagnesio. Altrove, rocce di questo genere vengonoanche denominate ofioliti, in quanto si rinvengonosulle Alpi come corpi discontinui, pizzicati a brandellientro altre litologie, paleogeograficamente legate afalde di provenienza oceanica. La loro importanza oro-genetica è dovuta al fatto che dovrebbero rappresen-tare la linea di separazione tra le rocce generate sullaplacca africana e quelle invece di origine europea.

Le rocce basiche del Devero costituiscono il cosìdetto “complesso ultrafemico di Geisspfad” costi-tuito in prevalenza da serpentino, chiamato antigorite,oppure da una roccia ricca di olivina, o ancora da anfi-boliti o da meta-pirosseniti, anche da meta-gabbri.Hanno contribuito ad arricchire le migliori collezioni mi-neralogiche di tutto il mondo, avendo regalato ai “cer-catori di cristalli” del secolo scorso (strahler) campionidi minerali di straordinaria bellezza e rarità. Vale la penaricordare quelli più pregiati: diopside, apatite, ilmenite,titanite, magnetite, epidoto, calcite, malachite, amianto,anfiboli, tremolite, actinolite, rame nativo, ilvaite, cro-mite, chernovite, granati varietà grossularia, andradite,essonite, oltre alle più comuni pennina e orneblenda.

Con meno sforzo alpinistico, è sufficiente percor-rere la strada principale che da Crevoladossola sale

verso la Valle Formazza per incontrare ai lati della car-reggiata le pareti rocciose messe a nudo dai lavori diallargamento delle sedi stradali. Esse mostrano i carat-teri litologici e mineralogici di queste rocce, esaminatedalle più importanti Università del mondo. Il tratto dicarrozzabile fino al paese di Crodo e quello successivooltre Piedilago di Premia mette in evidenza gli Orto-gneiss di Antigorio dai quali sono stati tratti ecce-zionali campioni di cristalli alpini: quarzo ialino,microclino, adularia, albite, apatite, laumontite, mu-scovite, biotite, epidoti, pennina, tormaline, actinolite,cabasite, stilbite, heulandite, calcite, fluorite, ematite,pirite e calcopirite, solfo nativo, zirconi, titaniti.

Queste rocce sono tipicamente metamorfiche, mapotrebbero avere una derivazione da rocce magmati-che, avendo assunto in origine, cioè prima dell’oroge-nesi alpina, un ruolo di rocce granitoidi di età tardopaleozoica, dette protoliti. In genere, risultano ricchedi mica nera (biotite) e, nella loro composizione mine-ralogica dominano il quarzo, il feldspato potassico (or-toclasio-microclino-adularia) e il plagioclasio. La micachiara (muscovite) può essere presente in quantità va-riabili. La grana della roccia è medio-grossa. Spesso al-l’interno di questi ortogneiss si possono osservarealcuni grosse vene bianche: sono filoni trasversali diapliti foliate che tagliano la tessitura metamorficadella roccia incassante. La falda costituita dagli Orto-gneiss di Antigorio appartiene al Ricoprimento I dellePennidi Inferiori. Risulta molto estesa sia lateralmente,sia verticalmente (supera i 1.000 m di spessore !), e lasi può osservare molto bene a monte del bacino artifi-ciale di Agàro. In questa località, sembrerebbe formareuna grande piega coricata, la cui fronte scompare av-viluppata da calcescisti e da formazioni marmoree me-sozoiche. Altri interessanti siti dove è possibileammirare l’ampiezza di questa falda gnessica si indivi-duano alle “Marmitte dei Giganti” di Pontemaglio e diRivasco, sui fianchi montuosi della Colmine di Crevola,del Cistella, del Gorio, nella zona di Cadarese, lungo lepareti verticali del territorio di San Rocco fino a salire aSalecchio e in sinistra orografica della Toce, da Fop-piano a scendere giù per la Valle fino a Montecrestese.

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A Crevoladossola e in altre località comprese entroi confini del bacino idrografico della Valle Antigorio,come ad esempio lungo la dorsale che dalle frazionidi Montecrestese sale alla cima del Monte Larone(2.237 m), sul versante nord-orientale del Monte Ci-stella (2.880 m), nel vallone di Bondolero, alla Scattad’Orogna (2.461 m), sugli altipiani orientali del Devero(Sangiatto - Cobernas), al Passo dell’Arbola (2.409 m),ai piedi del Monte Forno o Gorio (2.593 m) sopra l’abi-tato di Premia e lungo tutta la cresta spartiacque del-l’Antigorio con il Cantone elvetico del Ticino(dall’Agarina alla Corona di Groppo 2.792 m) verso iquadranti orientali, sono cartografate lunghe bandenastriformi di marmi a chimismo calcico e magne-siaco, verosimilmente mesozoici. Proprio nel territoriodel comune di Crevoladossola furono già aperte nelXVI sec. delle cave di marmo chiaro o ceruleo, venatoda miche giallo-dorate (flogopite), in un sito in cui que-

ste bande carbonatiche saccaroidi si presentano piut-tosto estese e di buona qualità lapidea. La “Dolomiadi Crevola” così come è conosciuta in letteratura geo-logica ha dato ai collezionisti di minerali degli esem-plari di straordinaria bellezza, pur se microscopici nelledimensioni: galena, blenda, covellite, cianite, zoisite,baritina, corindone, tungstenite, pirrotina, tennantitee tremolite.

A Crodo, scendendo lungo il corso della Toce, sottoil Ponte di Maiesso dove d’estate i villeggianti pren-dono il sole sui bordi di altre Marmitte dei Giganti,salta fuori il carapace dell’Elemento zero di Argand(Cupola di Verampio). Si tratta di gneiss granitoidi ometa-graniti derivati da una roccia intrusiva, rigeneratadal metamorfismo mesoalpino, di aspetto molto com-patto e di colore chiaro. I minerali costituenti sono rap-presentati da quarzo, microclino, albite e dalle michemuscovite e biotite. Queste rocce molto particolari,

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ORTOGNEISS E CAVE

Quelli che in geologia sono definiti Ortogneiss sono piùnoti nel linguaggio commerciale e nella denominazionetradizionale locale come Serizzi o Sarizzi. Queste pietre,in particolare nelle varietà del Serizzo Antigorio, del Se-rizzo Formazza e del Serizzo Sempione, hanno una storiadi sfruttamento antica, anche se con modalità differentida quelle attuali.La realizzazione di “cave di monte”, quindi lungo i ver-santi vallivi e le tecniche di coltivazione dei giacimenti “agradoni” sono piuttosto recenti. In passato sicuramentequesta roccia ha costituito la risorsa primaria nell'ediliziaper gli abitanti della valle, e l'estrazione avveniva nel fon-dovalle, interessando i grandi macigni di frana, piuttostoche i massi erratici abbandonati dal ghiacciaio durante ilritiro dell'ultima glaciazione. E per questo motivo che per-correndo i sentieri vicino al fiume e intorno ai nuclei abitati è facile imbattersi in massi che recano i segni degli scalpelliin file ordinate per estrarre lastre e blocchi da utilizzare per la costruzione di abitazione e stalle. Quanto siano antichiquesti segni di estrazione è quasi impossibile da dire, tranne che nel caso delle aree che presentano strutture mega-litiche, dove l'impiego della pietra si mostra in maniera eclatante e spesso circondato da un alone di mistero: si trattadi interventi in cui sono stati movimentati blocchi di notevoli dimensioni senza l'utilizzo delle moderne attrezzature,con le quali comunque, anche ai giorni nostri, è richiesto notevole sforzo e grandi capacità costruttive.

Enrico Zanoletti

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perché tenaci come il granito, furono utilizzate agli al-bori del XX sec. per edificare in pietra a vista le centraliidroelettriche dell’area di Piedilago, con un architetturadi gusto futurista.

Non solo l’appartenenza paleo-geografica di que-sta formazione geologica è ancora in discussione, manemmeno è ancora stato chiarito quale sia l’età asso-luta di queste litologie e quale sia a sua volta il sub-strato dell’Elemento zero.

A Baceno, a Premia e a Goglio, al di sopra degligneiss di Verampio, si appoggia la potente unità tet-tonica dei Micascisti di Baceno (ex Sinclinale di Ba-ceno) che raggiunge in Valle Antigorio spessorisuperiori alle centinaia di metri. Questi scisti micaceidal distintivo color grigio-plumbeo ad argenteo sonoprincipalmente costituiti da mica biotite e muscovitein paragenesi con alcuni particolari granati rosso vi-nosi. Inglobano inoltre altre tipiche litologie che li ca-ratterizzano: vene e lenti di quarzo latteo, spessodeformate da pieghe isoclinali senza radice; noduli eboudins di meta-basiti verde scuro, riconducibili al

gruppo delle anfiboliti; intercalazioni marmoree o piùin generale vene e banchi carbonato-dolomitici, ricri-stallizzati e nettamente scistosi. La chiesa monumen-tale di Baceno dedicata a San Gaudenzio è stataedificata già a partire dal XI sec. su di uno sperone roc-cioso di questa formazione, dove i granati raggiun-gono dimensioni centimetriche. Tra tutti i minerali dacollezione più famosi rinvenuti entro le fessure di que-ste formazioni mica-scistose vanno ricordati sia l’orodell’Alfenza, sia la malachite e l’azzurrite tra i carbonatidi rame, cosalite, bornite, sfalerite, galena, tormalinanera, clinocloro, limonite, siderite, tremolite, orne-blenda, calcite, marcasite, adularia, powellite, zirconetra gli altri altrettanto noti.

Tutti i Micascisti di Baceno affioranti nell’area cheva da Crodo a Premia e che attraversano il comuneomonimo, si espandono anche sui versanti in destraorografica della valle della Toce tra i paesi di Mozzio eCravegna e in sinistra orografica tra i paesi di Magliog-gio e Crego. Affiorano inoltre nell’area che va da Ba-ceno a Croveo in sinistra e in destra orografica del

A sinistra: le Marmittedei Giganti dal Ponte diMaiesso, lungo il corsodella Toce. Sono formedi erosione fluviale scavate entro gli gneissgranitoidi della “Cupoladi Verampio” (Elementozero)

A destra: Micascisti granatiferi di Baceno

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LO SFRUTTAMENTO DELL’ORO IN OSSOLA E IN VALLE ANTIGORIO

Fin dalla più remota antichità furono coltivate miniere, soprattutto di oro, nelle vallate ossolane, ma nel corso delXVIII e XIX secolo si intensificarono le ricerche per aprire miniere d’argento, rame, ferro e molti altri minerali. La conoscenza di una vasta zona mineraria nelle valli Anzasca e Antrona è antichissima e il suo sfruttamento è fattorisalire ai Leponzi, ai Romani e, soprattutto dal secolo XIV in poi, al Ducato di Milano. Il settore minerario auriferoprese slancio, divenendo uno di quelli trainanti dell’intera regione, a partire dal 1700.Il territorio del VCO è abbastanza vasto e le vallate sono molto indipendenti l’una dall’altra, quindi anche la storiadell’attività mineraria è decisamente disarticolata. Procedendo da nord a sud troviamo, come aree minerarie principali,per estensione o per importanza:- in Valle Antigorio, nei comuni di Crodo e Viceno, la miniera di quarzo aurifero dell’Alfenza; - nella Valle Divedro, a Gondo, al confine italo-svizzero, le miniere di pirite aurifera;- nella Valle Antrona, le miniere cuprifere del Mottone e quelle di ferro di Ogaggia; - nella Valla Anzasca, presso il Monte Rosa, nel comune di Macugnaga e Ceppomorelli, dove vi erano i giacimentiauriferi più cospicui, si trovano le concessioni minerarie dei Cani, di Morghen, Scarpia, Pozzone Speranza, Acquavitee Kint, Sasso Nero e loro ampliamenti per un’area complessiva di 800 ettari;- in Valle Strona, le miniere di nichel di Campello Monti, le miniere di ferro e rame dell’Alpe Loccia e mineralizzazioniaurifere nell’alta valle.Attualmente non ci sono più miniere in attività: le ultime a chiudere sono state quelle aurifere di Macugnaga negli anni '60.Per quanto riguarda la Valle Antigorio, non si hanno testimonianze certe e in sito di uno sfruttamento antico delleminiere presenti nel territorio vallivo, ma le notizie sicure si hanno a partire dal 1576 con il richiamo in alcuni docu-menti che dichiarano la scoperta di filoni auriferi a Crodo e a Formazza. Le mineralizzazioni a oro, costituite da pirite

aurifera e non da oro nativo, non sono di grande estensione esono concentrate solo in alcuni ridotti filoni quarziferi, lungo iltorrente Alfenza e il rio Oro, e nelle località Rondola, Morello,Maglioggio, Dugno, Cassinetta e Balmella: questo potrebbe fardubitare di uno sfruttamento antico, anche perché nei pressidelle aree minerarie non sono stati rinvenuti reperti e/o strutturedi insediamenti di epoche antiche. Potrebbe essere invece piùprobabile uno sfruttamento di giacimenti auriferi secondari, cioèquelli formatesi per accumulo di pagliuzze e pepite d'oro all'in-terno di sedimenti fluviali lungo il corso del Toce. Nella vicinaVal Divedro, a Iselle, si sono rinvenute strutture murarie in rivaal torrente Diveria, che probabilmente erano utilizzate come im-pianti di decantazione e lavaggio delle sabbie fluviali per estrarrel'oro proveniente, per erosione e dilavamento, dai giacimentiprimari (cioè all'interno della roccia) presenti nella vicina Zwi-schbergental. In Valle Antigorio e nelle valli Formazza e Deveroperò, come già detto, la quantità d'oro è talmente ridotta cheè difficilmente ipotizzabile la formazione di depositi secondariall'interno dei sedimenti fluviali (situazione invece presentemolto più a valle lungo il Toce e poi nella Pianura Padana, lungoil corso del Ticino).

Altre mineralizzazioni importati e passibili di un potenziale sfruttamento non sono presenti in valle, o comunquesono di tali limitate estensioni che non hanno mai suscitato l'interesse per avviare un'attività estrattiva.

Enrico Zanoletti

Sotto:Antiche strutture

minerarie utilizzate per l’estrazione ed il

lavaggio dell’oro dell’Alfenza, oggi

fagocitate dal bosco

Nella pagina accanto:cascatella d’acqua fresca

tra gli Orridi di Uriezzo(Baceno)

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Torrente Devero. Questi micascisti sono interessatida profonde incisioni scavate da corsi d’acqua a re-gime torrentizio. Sono conosciute per vecchi studi digeomorfologia e per la loro recente frequentazioneturistica con il nome di “Orridi di Uriezzo”. L’am-biente naturale visitabile è quello tipico delle cavitàsotterranee, aperte a feritoia verso l’alto: cavernoso,buio, fresco, umido, leggermente ventilato e con-traddistinto dalla presenza di limitate forme di vita,ma specifiche di questo raro biotopo: muschi, li-cheni, felci, salamandre, piccoli insetti alati. I visita-tori possono percepire altre sensazioni di tipoemotivo uniche nel loro genere, per esempio: la so-litudine, la paura, l’incognito, l’assenza di rumori, latranquillità interiore, l’irrealtà del luogo ed unastrana sensazione di avvolgimento tra le braccia dellaMadre Terra. Anche dal punto di vista geologico, gli“Orridi di Uriezzo” ci raccontano di un passato vec-chio di circa 20.000 anni fa (Pleistocene), quando laValle Antigorio era occupata dal grande ghiacciaiodell’Ossola che defluiva fino nel solco del Lago Mag-giore per uno spessore di oltre 1.200 metri. Gli orridiche si possono osservare ad Uriezzo, a Santa Lucia,al ponte di Arvera, al ponte di Silogno, sul rio Anto-lina e a Croveo, sono stati originati dalla forza ero-siva di torrenti sotto-glaciali durante l’era dei grandiglaciazioni wurmiane. Si tratta di strettissime forreerosive, paragonabili a canyons piuttosto particolari,incavate nella roccia nuda dal secolare lavorio a mu-linello dell’acqua corrente e tracciate nel sottosuoloa guisa di allineamenti di camere arrotondate. Que-ste camere comunicano tra di loro tramite stretti pas-saggi tortuosi, dove l’acqua defluiva tumultuosa ecarica di detriti fortemente abrasivi, dando forma adelle cascate in arretramento progressivo. Sull’asseverticale, questi orridi sono alti parecchie decine dimetri e le forme di erosione mostrano una contiguitàcon altre camere residue, poste ai livelli superiori,dalle forme e dagli assetti più disparati. Anche al disotto del piano di accesso pedonale, gli orridi prose-guono verso il basso, ove dovrebbero raggiungereprofondità considerevoli. Nel presente, solo alcuni di

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questi non sono più occupati da corsi d’acqua che lihanno generati e grazie a questo vantaggio sono vi-sitabili dai turisti.

A Devero, salendo ancora di livello, verso l’apicestrutturale delle Falde Pennidiche, al di sopra dei Mi-cascisti di Baceno, giacciono le rocce della Falda delLebendun, costituite in prevalenza da paragneiss, cal-cescisti, marmi dolomitici con intercalazioni di lenti dimeta-basiti. Al tetto, questa formazione dall’aspettopiuttosto complesso può assumere le fattezze di meta-areniti e meta-conglomerati con ciottoli prevalente-mente quarzosi e in genere molto stirati. In ValleAntigorio le rocce ascrivibili alla Falda del Lebendun siincontrano sul Cistella e nella zona a monte dell’invasodi Agàro. I minerali di queste rocce sono molto ricer-cati, tuttavia i più bei cristalli da collezione arrivanodalla contigua Valle Formazza, dove è stata pure se-gnalata la presenza di ossidi di uranio.

A Premia e a Goglio, si possono osservare altre li-tologie molto comuni in Valle Antigorio e nelle regionilimitrofe. Sono i Calcescisti conosciuti in letteraturageologica da più di un secolo con il termine francese

di Schistes lustrés, o tedesco di Bündernschiefer. Rap-presentano le tipiche rocce metamorfiche che dannole forme più dolci ed arrotondate alle montagne delterritorio alpino, essendo composte da minerali teneri,di composizione calcarea e poco resistenti all’erosionefisica, quando sottoposti all’azione disgregatrice degliagenti atmosferici. Inoltre, la capacità di dissoluzionedei minerali operata dalle acque di circolazione super-ficiale e sotterranea ha creato delle cavità carsiche al-l’interno di queste rocce che hanno un elevatocontenuto di carbonato di calcio di origine sedimen-taria. I Calcescisti delle falde pennidiche possonoquindi essere definiti come un insieme eterogeneo disedimenti mesozoici, carbonatici, arenitici e pelitici,trasformati dal metamorfismo alpino e, spesso, sonostrettamente associati alle ofioliti. Rappresentano leserie geologiche che i vecchi ricercatori chiamavanoSinclinale del Teggiolo e Sinclinale del Devero.

Secondo gli scienziati che fino ad oggi hanno pro-vato a districare la complessa struttura geologicadelle Alpi, le varie formazioni calcescistose, che si rin-vengono intercalate tra le Falde Pennidiche Inferiori

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La parete est del MonteCistella. Sulla vetta delCorno (m 2688 s.l.m.)

affiora un lembo dirocce scure appartenentialla Falda del Lebendun.

Al di sotto affiorano gliOrtogneiss d’Antigorioseparati da una sottile

fascia incurvata di Calcescisti (Sinclinale

auctorum)

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(Antigorio - Lebendun - Monte Leone), sono ancorainterpretabili come delle antiche coperture sedimen-tarie pre-metamorfismo, traslate sopra i basamenticristallini paleozoici (ortogneiss post-metamorfici).Questi basamenti, di indubbia pertinenza paleo-eu-ropea, potevano appartenere alle zone emerse delcontinente (Elvetico), oppure ad antiche piattaformemarine legate al continente stesso, chiamate dai geo-logi “piattaforme continentali”. Al contrario, le co-perture sedimentarie coinvolte nell’Orogenesi alpina,come ad esempio i Calcescisti, possono essere stateoriginate lontano dai basamenti sui quali ora giac-ciono: sia su antichi fondi marini di piattaforma, siasu antichi fondi oceanici, prossimi alla base delle scar-pate oceaniche, sia in zone a contatto con le dorsalioceaniche (calcescisti con ofioliti). L’età dei Calcescistiè comunemente fissata nell’era successiva il Paleo-zoico, ovvero il Mesozoico, seppur in assenza diprove fossilifere. Alla luce di recenti considerazionipaleo-geografiche degli studiosi della geologia al-pina, diventa però difficile continuare a sostenerel’ipotesi di una sequenza stratigrafica tra basamenti

e coperture, in maggior ragione, allorquando anchele superfici di contatto risultino chiaramente scollateo discontinue.

I Calcescisti in senso stretto del termine sono co-stituiti dai minerali meno duri e più alterabili dellerocce metamorfiche: i carbonati di calcio o calcio emagnesio, le miche, i solfuri e gli ossidi di ferro, equalche raro solfato. Lo stesso quarzo e l’albite, pre-senti in vene e noduli nei Calcescisti, spesso appaionodi aspetto corroso. Anche il colore caratteristico deiCalcescisti sulle superfici esterne è tipicamentebruno-giallastro per la presenza dei prodotti di alte-razione dei minerali ferrosi (ruggine).

In Valle Antigorio le formazioni dei Calcescisti sirinvengono proseguendo verso nord oltre l’abitato diBaceno. I primi contrafforti di queste rocce carbona-tiche e scistose si incontrano risalendo la Valle delFiume Toce lungo i versanti della montagna sopraPremia. Tuttavia, i più estesi affioramenti dei Calce-scisti antigoriani si incontrano oltre l’abitato di Go-glio, lungo le spettacolari pareti che sostengonol’Alpe Devero. Sono le note bastionate, conosciute

Per salire all’Alpe Deverosi deve superare il gradino morfologico chesi erge sopra il paese diGoglio. La bastionatarocciosa è modellata neiCalcescisti del MonteCazzola

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anche come il gradino morfologico del Monte Cazzola(2.330 m). Altri calcescisti molto carbonatici si rinven-gono all’Alpe Pojala, dove sono presenti degli inghiot-titoi e delle depressioni simili alle doline carsiche, entrole quali scompaiono i corsi d’acqua superficiali. Alcunedi queste cavità sotterranee calcaree sono state di re-cente oggetto di esplorazione speleologica. Si asseriscedi grotte profonde più di 145 metri. Anche la base delCorno del Cistella che sovrasta la media Valle Antigo-rio è modellata nei Calcescisti pennidici.

I cristalli più frequenti dei Calcescisti appartengonoalla classe degli ossidi, dei solfuri e dei carbonati: il ru-tilo e la sua varietà sagenite, anatasio, pirite, blenda epirrotina, calcite, ankerite e dolomite, oltre ad alcunitipici silicati come orneblenda, plagioclasi, quarzo conTessiner habitus, muscovite in lamelle euedrali, cianite,staurolite, le cloriti e splendidi granati della varietà al-mandino entro le fasce più mica-scistose.

La falda tettonica più elevata del Sistema PennidicoInferiore è contraddistinta dagli Ortogneiss delMonte Leone (3.553 m), più chiari dei precedenti perminor contenuto di biotite, a vantaggio dei mineralileucocratici come il quarzo ed i feldspati, ma semprecon facies granitoide e occhiadina. Altri litotipi come iparagneiss, i meta-conglomerati e le meta-basiti (an-fiboliti con alto contenuto di epidoti e prasiniti) pos-

sono essere osservati lungo le pareti rocciose dei ri-lievi antigoriani ascrivibili a questa unità. In alcune fa-cies è presente anche la mica muscovite che, oltre amarcare in modo più netto la sfaldabilità di questigneiss, li rende di aspetto più brillante, con una to-nalità d’insieme grigio chiara. Talora gli ortogneiss delMonte Leone possono contenere orneblenda e inter-calazioni di anfiboliti. Anche la grana può variare dagrossolana (Augengneise) a estremamente fine. LaFalda del Monte Leone può essere esaminata sia nellezone di bassa quota perché in posizione “radicale”,sia in quelle sommitali di cresta o di vetta, perché inposizione strutturalmente superiore, oppure può pre-sentarsi rovesciata. I siti più interessanti per l’esposi-zione geologica sono quelli in comune diMontecrestese, di Preglia di Crevoladossola all’im-bocco della Valle, e del Devero tra l’Helsenhorn(3.272 m) e la Punta d’Arbola (3.225 m), passandoper il mitico Cervandone (3.210 m) e le altre vette delsuo gruppo. Risulta separata dalla formazione deiCalcescisti per il contatto con fasce discontinue di do-lomie, di calcari dolomitici e di carniole con gessi.L’importanza di questi ultimi minerali del gruppo deisolfati è quella di aver favorito, a guisa di lubrificantinaturali, gli scollamenti e le traslazioni delle falde tet-toniche (sovrascorrimenti).

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Nel regno dei minerali ilCervandone è una delle

cime più conosciutedelle Alpi Lepontine.

La parte superiore delMonte è intagliata negli

Ortogneiss del MonteLeone che sostengono, aloro volta, sulla vetta un

lembo di rocce ultrabasiche dalla carat-

teristica colorazione ruggine delle superfici di

alterazione

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I CRISTALLI NELL’ANTICHITÀ

Il quarzo ialino, conosciuto anche come “cristallo dirocca” ha rivestito sin da epoche remote notevole impor-tanza. Si tratta di un minerale molto diffuso, ma solo insituazioni particolari può svilupparsi fino a formare cristalliprismatici perfetti e di grandi dimensioni, quindi con unpregio estetico notevole. Se ora l'interesse verso questimacro-cristalli è quasi esclusivamente quello dei collezio-nisti, in epoche antiche il quarzo ha costituito una risorsaprimaria nella realizzazione di manufatti: infatti nelle no-stre valli è totalmente assente la selce, usata nella fabbri-cazione di lame, punte di frecce e altri utensili. Il quarzone ha la stessa composizione (silice, SiO2), ma il fatto chesia in cristalli più o meno ben sviluppati (a differenza dellaselce che è micro-cristallina) poteva essere un vantaggio,in quanto richiede minore lavorazione poiché può presen-tare già spigoli taglienti e forme allungate idonee a crearemanufatti per l'uso quotidiano e la caccia. Inoltre nelle valli alpine il quarzo è di facile rinvenimento: i cristalli migliorisi trovano all'interno di vene spesso molto estese e facilmente riconoscibili sul terreno (colore bianco, nettamentespiccante rispetto alle altre rocce), ma anche i depositi alluvionali lungo i torrenti e i terrazzi naturali lungo i fianchivallivi (modellati dall'azione dei ghiacciai) offrono numerose opportunità di raccolta.Certo è l'utilizzo di cristalli di rocca nel Mesolitico, come si desume dai rinvenimenti all'Alpe Veglia, al Sempione e inVal Formazza, e la loro ricerca durante l'Età del Bronzo, come fa ipotizzare il pugnale dell'Arbola (Poletti, infra), rin-venuto in una fessura ricca di cristalli di quarzo. Nelle epoche successive il quarzo è stato soppiantato da altri materiali,ma in alcuni casi ha mantenuto un interesse che potremmo definire “religioso”: secondo Plinio esso era il risultato diun processo di congelamento intenso e rapido dell'acqua, e spesso si ritrovano deposti nelle sepolture, come se, inbase a questa teoria, si fosse voluto lasciare al defunto una riserva d'acqua eterna.

Enrico Zanoletti

Proprio la zona del Devero ed in particolare delMonte Cervandone è sempre stata generosa diesemplari di minerali alpini, sotto la forma di splen-didi cristalli, conosciuti ovunque perché a volte uniciin tutto il pianeta. In aggiunta a quelli elencati all’ini-zio del capitolo, vale la pena ricordare qui di seguitole altre specie minerali che hanno fatto conoscere inomi di queste montagne in tutti e cinque i conti-nenti: adularia, agardite, albite, amianto, anatasio,bismutinite, cabasite, cafarsite, chernovite, crichto-nite, ematite rosa di ferro, fenacite, fetiasite, gadoli-nite, galena, gasparite, monazite, paranite, quarzoaffumicato, sinchisite, stilbite, tennantite, tilasite, ti-tanite, xenotimo. Molti di questi minerali sono stati

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Sopra:Cristallo di Ematite conhabitus a rosetta (Rosadi ferro)

Sotto:Cristallo di quarzo ialinocon il caratteristico Tessiner habitus

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rinvenuti in questi luoghi per la prima volta in assolutoe solo di recente; alcuni di quelli sopra elencati inveceportano i nomi degli scopritori locali; altri quelli di sitiantigoriani (antigorite, cervandonite). Per molti diquesti cristalli i più importanti musei del mondo fa-rebbero qualsiasi cosa per procurarsene un campioneda esporre nelle loro vetrine.

Al di sopra delle Falde Pennidiche Inferiori, il ri-coprimento tettonico della catena alpina proseguecon gli gneiss della Serie di Berisal (correlabile conla IV unità tettonica o Falda del Gran San Bernardodi Argand) che pertanto dovrebbe fare già parte delSistema Pennidico Medio. Si tratta di rocce caratteriz-zate da una colorazione bruno-rossiccia delle super-fici esterne per la presenza di minerali ferrosi che siossidano al contatto con l’atmosfera. Sono costi-tuite da gneiss anfibolici, subordinati a micascistigranatiferi prevalenti e costituiscono le vette dellemaggiori cime del Devero: il Monte Cervandone el’Helsenhorn.

Per concludere l’esame delle rocce metamorficheosservabili in Valle Antigorio e costituenti l’universa-

lità litologica di questo lembo di terra ossolana, oc-corre fare almeno un accenno alle rocce filoniane leu-cocratiche (vene chiare a silicati) che si rinvengonosoprattutto nelle falde di ricoprimento più scistose,ma anche negli gneiss più compatti (apliti). Sononote da tempo le vene di quarzo coltivate per l’indu-stria vetraria di Crevoladossola, come le quarzitidell’Alfenza, di Pioda, di Vova e di Crego in Comunedi Premia che hanno dato importanti campioni mine-rali di powellite, di molibdenite, di anatasio, e dibrookite. Alla Stretta di Cuggine, tra Baceno e Cro-veo, nell’alveo del torrente Devero, all’interno di mi-cascisti adiacenti a paragneiss e altre rocce calcareo-dolomitiche, è ancora osservabile quello che resta diun’antica miniera a cielo aperto di pirite aurifera, col-tivata entro una grossa vena di quarzo. Da questogiacimento sono stati campionati fin dall’800 dei cri-stalli notevoli per il collezionismo dei minerali alpini:granati, orneblenda, cianite, biotite, calcite, rutilo,marcassite, ilmenite, tormaline, adularia, albite. Ipezzi più pregiati sono dei limpidissimi cristalli diquarzo ialino.

La catena lepontinaorientale della Valle An-tigorio al confine con ilCanton Ticino. Alcune

delle vette ed il versanteretrostante (Cravariola)

sono conformati nellerocce delle Falde

Pennidiche Medie

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Le prime presenze umane documentate nelle val-late ossolane si fanno risalire al Mesolitico (8.000-6.000 a.C.) ed interessano la Val Formazza, conritrovamenti sporadici di industria litica in quarzo ia-lino nel 1998 durante i lavori per la costruzione del

metanodotto, l’area del Sempione e soprattuttol’Alpe Veglia, con il noto sito di Cianciavero, ovesono state indagate scientificamente ampie porzionidi un accampamento temporaneo di cacciatori.

Gli stretti confronti dei reperti di queste località

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Archeologia in Antigorio Le orme dell’uomo dalla Preistoria al Medioevo

Elena Poletti Ecclesia

Veduta della Valle Antigorio dall’AlpeCheggio: in evidenza isiti archeologici noti(giallo: insediamenti enecropoli; rosso: areasacra del Muro del Diavolo)

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d’alta quota con alcuni materiali rinvenuti sulle rivedei laghi, a Mergozzo o, più a sud, ad Angera, fannopresumere che gruppi di cacciatori si muovessero inun regime di vita seminomade, stazionando d’in-verno sui laghi e portandosi alle alte quote nei mesicaldi, sulle tracce dei grandi ungulati.

La più antica fase di vita sedentaria, il Neolitico(6.000-3.500 a.C.), non trova, per ora, documenta-zione in valle Antigorio, dove si deve arrivare allapiena età del Rame (3.500-2.200 a.C.) ed alla suc-cessiva età del Bronzo (2.200-900 a.C.) per averetestimonianze di sicuro interesse, sia di insediamento

vero e proprio, sia della frequentazione delle vie divalico. Tra le attestazioni di percorrenza dei valichi siannovera un’ascia litica in pietra verde con foro pas-sante per l’immanicatura trovata all’Alpe Pontigei diBaceno (1340 m slm), per la quale i confronti riman-dano all’età del Rame, 2.800-2.200 a.C. circa.

Analogamente ci documenta il percorso di colle-gamento tra la Valle Antigorio e la Valle di Binn losplendido pugnale tipo Veruno (1.600-1.300 a.C.)rinvenuto nel 1966 nei pressi della Bocchetta d’Ar-bola, al passo Marani (2.510 m s.l.m.). Degne di notasono anche le circostanze del ritrovamento: il pu-gnale era incastrato in un geode di cristalli di quarzo,spezzato all’altezza della spalla. La giacitura, proba-bilmente secondaria, farebbe presumere che il pre-zioso manufatto metallico fosse in origine oggetto diuna deposizione votiva presso un percorso di valicostrategico, secondo un’usanza radicata e sovente do-cumentata nell’età del Bronzo in tutta Europa.

Queste due testimonianze sporadiche paiono mo-strare come la frequentazione delle valli montane,anche alle alte quote, fosse motivata dalla ricerca dirisorse, che potevano essere i minerali ed i metalli, o,ancora, fosse finalizzata allo sfruttamento dei grandipascoli in quota, utili per la pratica dell’allevamentotransumante nel periodo estivo, o, infine, alla percor-renza dei valichi che si aprivano tra le montagne eche offrivano più agevole passaggio verso i territoritransalpini a scopo commerciale.

Pur non disponendosi ancora di studi dettagliati,essendo il ritrovamento inedito, è importante osser-vare come il più antico insediamento stabile di cui siaemersa traccia in Valle Antigorio sia localizzato nellafraz. Uriezzo (comune di Premia). Qui sullo speroneroccioso antistante la frazione, in una collocazionestrategica e analoga ad altri insediamenti pre e pro-tostorici, l’archeologo Angelo Ghiretti nel 1991 haraccolto in superficie lungo il sentiero frammenti ce-ramici e due utensili in selce, che hanno fatto ipotiz-zare di essere in presenza di un insediamento all’etàdel Bronzo. La segnalazione ha trovato conferma du-rante i lavori di scavo per il metanodotto nel 1999,

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L’ASCIA DI BACENO E LE PIETRE VERDI

Con il termine “pietre verdi” si indicano generica-mente diverse rocce metamorfiche così denominateper il loro colore, che includono una varietà di litologie

differenti per caratteristiche meccaniche, che vannodalle eclogiti (molto dure) ai cloritoscisti (teneri e

facilmente lavorabili).Esse affiorano nelle valli ossolane solo in pochelocalità e principalmente in alta Valle Antrona,Alpe Veglia e Alpe Devero sullo spartiacquecon la Svizzera e in Val Vigezzo. Non le tro-viamo quindi in Valle Antigorio, se non nellaporzione più meridionale e solo come blocchie ciottoli nei depositi fluviali del Toce. Qualeimportanza rivestono queste rocce verdi nel-

l'ambito archeologico? I termini litologici piùduri sono stati utilizzati fin da epoche remote per rea-lizzare strumenti che necessitavano di notevole resi-stenza, come le asce o le asce-martello, quale quellarinvenuta a Pontigei di Baceno. In epoche successivel'attenzione si spostò sui tipi più teneri e più facil-mente lavorabili, tenendo soprattutto in considera-zione un'altra proprietà di queste rocce: la resistenzaalle alte temperature. Iniziò così uno sfruttamento deigiacimenti di pietra ollare per la realizzazione di cro-gioli e pentolame (aree estrattive principali in Val Vi-gezzo) e in alcuni casi anche per la fabbricazione dioggetti ornamentali.

Enrico Zanoletti

L’ascia di Baceno (CivicoMuseo Archeologico diMergozzo)

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quando nella medesima località sonostate individuate tracce di focolari ebuche di palo di strutture abitative (fasifinali dell’età del Bronzo e/o prima etàdel Ferro).La presenza dell’insediamento, nellaforma di castelliere, è in tutta evidenzapercepibile nella cinta di muretti asecco, ben conservata per ampi tratti,che ancora abbraccia ad anello la som-mità del rilievo.A queste fasi di vita sedentaria tra lafine del Neolitico e l’Età del Bronzo sidata probabilmente anche lo straordi-nario complesso di figure dipinte su roc-

cia, di recente segnalazione (maggio 2012, ad operadi Livio Lanfranchi), presente su una cengia rocciosadetta Balma dei Cervi in straordinaria posizione pa-noramica con visuale dominante su tutta la mediaValle Antigorio. In questo caso ci si trova di fronte adun luogo sacro, in cui le immagini tracciate, figureumane schematiche ed elementi geometrici, riman-dano ad ancestrali riti di fertilità collegati alla roccia,espressione di una sacralità della pietra e della mon-tagna cui si aggancia anche il fenomeno delle cop-pelle e delle incisioni (Fabio Copiatti, infra).

L’area dell’Arbola (PassoMarani) con indicato ilpunto di ritrovamentodel pugnale. A sinistra ilpugnale in bronzo (Civico Museo Archeologico Mergozzo)

Uriezzo: l’altura abitata nell’etàdel Bronzo con traccedelle mura di recinzionedel castelliere

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In questa pagina e nella pagina a fianco:

la Balma dei Cervi, dettagli delle pitture

preistoriche in ocra

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La prima età del Ferro (900-400 a.C.), che vede ladiffusione attorno al lago Maggiore e nei territorisvizzeri della Cultura di Golasecca, con la formazionedi grandi addensamenti abitativi, è documentatanell’area in esame all’imbocco della valle Antigoriocon ritrovamenti a carattere funerario in territorio diMontecrestese, frazione Borella, dove è stato recu-perato un prestigioso corredo tombale di guerriero,composto da vasellame decorato a stralucido, un’ar-milla in bronzo e una spada in ferro.

Ulteriori tracce ascrivibili al medesimo periodosono emerse sempre a Montecrestese nel 1999 du-rante i lavori di scavo del metanodotto Gries-Mortarain frazione Croppomarcio, dove è stata intercettatauna struttura ipogea a volta, che ha restituito fram-menti di ceramica fine della prima età del Ferro. Siipotizza possa trattarsi di luogo di culto o di sepol-tura, successivamente rimaneggiato e inglobato instrutture rurali di epoca successiva.

Sotto: interno della camera a falsa volta nel muro megalitico di Castelluccio a Montecresterse

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Complesso megaliticodi Croppola a

Montecrestese

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La concentrazione di testimonianze sul territoriodi Montecrestese ascrivibili a quest’epoca fa propen-dere per un inquadramento all’età del Ferro anchedei complessi megalitici, costituiti da allineamenti ecircoli di grandi pietre (menhir e cromlech) e terraz-zamenti con camere interne a falsa volta, presentinelle località di Croppola e Castelluccio, pur in as-senza di ritrovamenti datanti effettuati in corrispon-denza delle strutture, che paiono da interpretarsicome luoghi di culto.

Con la seconda età del Ferro (400-15 a.C.),sempre ritrovamenti a carattere funerario rivelano lapresenza di nuovi insediamenti, che vanno a collocarsisia lungo la via di transito nel fondovalle che sullependici del versante occidentale, a Crodo in localitàMolinaccio (area Terme) e in frazione Mozzio. Il primosito ha restituito una sepoltura con ricco corredo delII secolo a.C., composto da un vaso a trottola, formaceramica caratteristica dei Leponzi nella seconda etàdel Ferro, vasellame ceramico a vernice nera e vasel-lame in bronzo per il servizio del vino di produzioneetrusca. A Mozzio invece è stata rinvenuta una sepol-tura di guerriero, con vasella ceramico andato per-duto ed una spada in ferro munita di fodero inbronzo, databile al I secolo a.C. e conservata pressoil Museo Archeologico di Mergozzo.

I materiali di quest’epoca, come quelli della succes-siva età romana, ci mostrano come la Valle Antigoriosia culturalmente integrata con la fascia alpina abitatadall’ethnos dei Leponti, citato nelle fonti antiche e dicui Domodossola doveva essere un importante centrodi raccordo. La colonizzazione massiccia di questavalle, in base alle citate evidenze archeologiche,sembra avviarsi essenzialmente con la secondaetà del Ferro, che vide l’estendersi dei villaggianche a quote piuttosto elevate (tra i 600 e i1000 metri di quota).

E, proprio alla luce di queste considera-zioni, appare quanto mai appropriata la cita-zione di Giulio Cesare a proposito dei Leponti “quiAlpes incolunt” (De bello gallico, IV, 10) e particolar-

mente significativo il fatto che il tratto alpino in que-stione, le alpi Lepontine, abbia conservato nella to-ponomastica il loro ricordo.

I Leponti della seconda età del Ferro, ethnos localescaturito dalla mescolanza tra le popolazioni autoc-tone presenti fin dalla più lontana preistoria, con altripopoli giunti da Oltralpe in una prima fase già allafine dell’età del bronzo e poi con le migrazioni galli-che del IV secolo a.C., furono i grandi colonizzatoridelle montagne d’Antigorio. Le scelte insediative nonavvennero naturalmente in maniera casuale, ma fu-rono guidate dalla presenza di caratteristiche morfo-logiche del territorio e di risorse di grandeimportanza, idonee a fornire merce di scambio conle popolazioni di pianura e transalpine, quali sono lerisorse minerarie e lapidee, di cui la valle è ricca. Trale altre, sono da ricordare l’oro, presente sia in giaci-tura primaria sia ricavabile per setacciamento dellesabbie fluviali, ed i cristalli di quarzo ialino, ricercatiin antico sia perché considerati ricchi di proprietà ma-giche, sia per l’impiego nell’in-dustria vetraria (Pirazzi eZanoletti, infra).

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Sopra: spada di guerriero leponzio da Mozzio (Civico

Museo ArcheologicoMergozzo);

a sinistra: corredo dellaseconda età del Ferro

dalla località Molinaccio di Crodo

(Soprintendenza BeniArcheologici del

Piemonte, Torino)

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Se queste furono le attrattive che spinsero iLeponti ad insediarsi qui, in età romana glistessi insediamenti continuarono ad essereabitati. Tanto il sito di Crodo Molinaccio,quanto quello di Mozzio presentano infatticontinuità di vita fino alla piena età impe-

riale, visto che vi si rinvennero pure se-polture con corredi di I e II secolo d.C.

L’area necropolare di Molinaccio do-veva essere ricca ed estesa, anche se

purtroppo molto di quanto emerso trail 1963 ed il 1973 in occasione dei lavori

per la realizzazione degli stabilimenti e deimagazzini delle fonti è andato disperso. Presso la So-printendenza per i Beni Archeologici del Piemonte aTorino si conservano ancora gli elementi di un corredocomposto da vasellame in terra sigillata e fibule inbronzo, mentre al Museo Cantonale di Binn, nella vi-cina valle sul versate svizzero vallesano, sono espostimateriali indicati genericamente come provenienti dal“versante meridionale del passo dell’Arbola”, che ri-tengo possano essere parte di corredi funerari diCrodo, inquadrabili, come gli altri reperti con-servati a Torino, tra la fine del I ed il II secolod.C.

I reperti d’età romana da Mozzio, pure presso la So-printendenza a Torino, sono pertinenti a tre sepolturerinvenute nel 1964, e comprendono olpi, ceramicada tavola, in terra sigillata ed a pareti sottili, e fibule,di tipi caratteristici del costume leponzio (tipo Orna-vasso e Mesocco) del I secolo d.C.

Certamente con l’età romana dovette intensificarsisignificativamente la presenza umana in Antigorio,come si desume dai numerosi siti archeologici regi-strati. Oltre ai due citati, sono infatti noti ritrovamenti,sempre a carattere funerario, a Cravegna, con tre se-polture con vasellame ceramico, a Baceno, con unasepoltura d’inizio II secolo d.C. dal ricco corredo in lo-calità Rivera, ed a Premia, con tre nuclei tombali adinumazione in località Prem. È infine segnalato il ritro-vamento sporadico di monete romane, tra cui una diMarco Aurelio (161-180 d.C.) all’Alpe Devero.

Tra gli elementi dei corredi rinvenuti si segnalanole molte fibule da Premia, in bronzo e argento, di ti-pologie caratteristiche del costume leponzio, in ana-logia con altre da

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A sinistra e sotto: coppetta in terra sigillata

e fibule in bronzo tipoMesocco dalla

necropoli di Crodo, località Molinaccio

(Soprintendenza Beni Archeologici del

Piemonte, Torino)

A destra:fibule da Premia in una

foto storica

A sinistra: coppette a pareti sottili da sepolturad’età romana da Mozzio

(Soprintendenza Beni Archeologici del

Piemonte, Torino)

A destra: ollette in ceramica a pareti sottili da Baceno

(Collezione privata)

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Baceno, Cravegna e Mozzio, ed il ricco e variato repertorio ceramico della tomba di Baceno, in cuicomparivano anche i resti delle scarpe con suole chio-date, ampiamente utilizzate dalle popolazioni alpinein epoca romana, e strumenti metallici, quali un’asciaa martello ed una lama, forse di rasoio.

Il quadro delle testimonianze archeologiche più an-tiche si completa con il notevole sito detto Muro delDiavolo, posto in quota (circa 1000 m slm) sul territoriodi Crodo in località Arvenolo. Qui sorge una possentestruttura megalitica composta da un muraglione,entro cui è ricavata una nicchia, disposto a formare unampio ripiano, realizzato con blocchi mastodontici dipietra in alcuni casi con evidenti tracce di taglio otte-nuto con il sistema antichissimo dei cunei in legno.

La tipologia stessa della struttura, inadatta aqualsiasi impiego di tipo funzionale, fa propendereper una sua interpretazione nell’ambito del sacro,corroborata dalla presenza nelle vicinanze di unafonte e dalla posizione panoramica con ampia vi-suale su tutta la media valle Antigorio e l’imbocco

Il Muro del Diavolo adArvenolo (Crodo)

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della valle di Devero. Strutture di questo genere sonofatte risalire ad epoche pre e protostoriche, tuttavia inquesto caso una datazione così antica non è al mo-mento supportata da documentazione certa, infatti lediverse fasi di indagine attuate dall’Università di Romae dalla Soprintendenza del Piemonte hanno portatoalla luce solo scarsi reperti ceramici d’età romana. Almomento si può solo ipotizzare che l’area sacra di Ar-venolo, probabilmente realizzata in epoche remote,sia stata utilizzata con continuità fino all’età romana.

Allo stesso modo anche il cosiddetto tempiettolepontico, a Roldo, in territorio di Montecrestese,pare per tipologia architettonica un edificio sacro de-finibile come fanum, che potrebbe aver avuto conti-nuità d’uso a scopo di culto fino all’età romana,raccogliendo il retaggio di tradizioni precedenti.

Questo excursus archeologico sulla Valle Antigo-rio si chiude con la segnalazione di alcuni importantisiti di archeologia medievale, se infatti da un lato ilMedioevo è ancora pienamente leggibile nelle ar-chitetture integre di vari edifici sacri (Moro, infra) ocelato nelle architetture rurali in pietra, le cui tipolo-gie sono rimaste tali e quali per secoli, dall’altro simanifesta sotto forma di ruderi che, pur essendoormai privati di qualsiasi utilizzo pratico, restano a se-gnare il paesaggio come luoghi di memoria che valela pena studiare e conservare.

Il primo luogo di memoria dei secoli bui che il vi-sitatore incontra appena fuori l’abitato di Crodo è ciòche resta del Castello di Rencio, oggi ridotto a bran-delli di murature, che cingono uno sperone rocciosoisolato, fagocitato dalle infrastrutture moderne per

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A sinistra: il tempiettogallo-romano di Roldo,Montecrestese

A destra: i ruderi del castello di Rencio, Crodo

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l’escavazione lapidea, untempo prima fortificazione apresidio della Valle. L’analisitipologica della struttura,costruita con piccoli blocchie scaglie di pietra, nellaforma di un castello a re-cinto, fa presumere di esserein presenza di una fortifica-zione voluta dalla comunitàlocale a presidio della vallefin dai secoli altomedievali(IX-X secolo). Oggi soprav-vive in parte la cortina mu-raria che cingeva la granderoccia ed i resti dei basa-menti di due torrioni che visorgevano all’interno.

Ad una fase di attivitàfortificatoria che si situaalla fine dei secoli medievalisi data invece lo sbarra-mento con porta munita ditorre in località “Passo”,lungo la strada fra Croveo e Goglio, un tempo mu-lattiera di collegamento da Baceno all’Alpe Devero evia primaria per le relazioni commerciali con l’Ol-tralpe. Qui sono ancora ben visibili i resti di una torrea tre piani, con pianta quadrata, in blocchi squadratidi gneiss, che ospitava un grande portale che potevaessere sbarrato con saracinesche in legno chiodatoper bloccare il passaggio e riscuotere i pedaggi. Apartire dalla torre era stato realizzato un muro di cor-tina, ormai non più visibile, che risaliva la cresta finoad arrivare ad una parete rocciosa a picco.

Lo sbarramento, finalizzato a proteggere militar-mente la valle da possibili invasioni svizzere, ma soprat-tutto a garantire la riscossione dei pedaggi ai mercantiin transito, fu voluto da Ludovico il Moro, a seguitodella feroce battaglia di Crevola del 1487, con la qualevenne respinto l’ennesimo attacco dei Vallesani, nel-l’ambito di una intensa attività di realizzazione e ristrut-

turazione delle strutture difensive del Ducato di Milano.Come lo sbarramento di Croveo, anche un altro

sito d’archeologia medievale ci ricorda il ruolo chiavedella Valle Antigorio nei traffici commerciali comepunto di transito di mercanti e viaggiatori e snodo dicomunicazione tra il nord e il sud delle Alpi: l’ospiziodi San Bernardo in frazione Rozzaro di Premia. L’ospi-zio in rovina, sito presso la chiesa di San Bernardo(Moro, infra), fu edificato per volontà della famigliaDe Rodis nella seconda metà del XIII secolo, gestitodai francescani di Domodossola per dare ospitalità apellegrini, mercanti e someggiatori in transito da everso i passi del Gries e di San Giacomo, fu in fun-zione fino al XV secolo e le sue tracce murarie re-stano a ricordarci l’intensità del passaggio diviaggiatori in questa valle scelta dall’uomo non soloper la ricchezza delle pietre e delle acque, ma ancheper le possibilità date dalle sue vie di valico.

Lo sbarramento di Croveo

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Per millenni le rocce hanno rappresentato il sacro,il tramite con il mondo del soprannaturale, assu-mendo significati che andavano al di là delle loro ca-ratteristiche fisiche di durezza e apparente indistrut-tibilità.

L’arrivo della religione cristiana trovò un substratodi credenze, tradizioni, superstizioni, naturale ereditàdi culti preromani che avevano contraddistinto i ritiagresti delle genti alpine.

Concili, vescovi, capitolari regi e imperiali pertutto il medioevo condannarono coloro che venera-vano «rocce in luoghi selvaggi e nascosti nel pro-fondo dei boschi, pietre oggetto di falsità diabolichee sulle quali si depositano ex-voto, candele accesee altre offerte». Ancora nel 1580, San Carlo Borro-meo fece distruggere a Vione, in provincia di Bre-scia, «una diabolica e superstiziosa pietra» sullaquale «per impetrare la pioggia nella siccità» la co-munità locale svolgeva un rito, alla presenza di do-

dici vergini «adornate di bellissime galle e provvisted’un vaso» che, cantando «superstiziose preci ed in-vocando sovente il nome del falso Nume di quellapietra, Santa Paola», versavano acqua di fontanadentro un buco della medesima.

Il Cristianesimo non riuscì ad eliminare questiculti naturalistici dalla memoria collettiva e per talemotivo li esorcizzò con modalità ancora poco cono-sciute; interessante è a questo proposito una letterainviata da papa Gregorio Magno (regnante tra il 590ed il 604) all’abate franco Mellitus, nella quale, ri-cordando la prassi adottata da S. Martino di Tours,si consiglia di non distruggere gli altari pagani, bensìdi cospargerli con acqua benedetta e ridedicarli allareligione cristiana: «che l’acqua venga benedetta evenga sparsa sui medesimi luoghi; si costruiscanoaltari, vi si collochino reliquie, poiché […] è neces-sario ed in tal modo siano fatti passare dal culto deidemoni all’ossequio del vero Dio».

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Tracce di antichi riti agresti Coppelle e rocce scivolo in Valle Antigorio

Fabio Copiatti

Anche in Antigorio, come in molte altre valli al-pine, l’uomo primitivo ha lasciato tracce del propriopassaggio sotto forma di segni incisi sulla pietra.

Il progetto Sitinet è stata l’occasione per una seriedi ricognizioni sul territorio, finalizzate alla ricerca di

massi incisi o alla verifica di recenti segnalazioni.Prima di elencare le incisioni rupestri ad oggi co-

nosciute e di presentare i nuovi ritrovamenti, occorreintrodurre il fenomeno e alcune problematiche adesso connesse.

Le rocce, il sacro e il profano

Nella pagina accanto:il masso con coppelle del Cistella ribattezzato“Altare delle Streghe”

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Iniziò così la risacralizzazione dei luoghi paganiper combattere alle radici la permanenza di supersti-ziosi dure a morire, dando inizio a un processo dicontaminazione e di riconversione in ambito cristianodi riti, gesti, consuetudini appartenenti agli antichiculti agresti. Croci cristiane vengono incise sulle rocce“pagane”, sorgono chiese, cappelle, crocifissi, spessoa ridosso dei monumenti antichi e sulle stesse super-fici incise. Quello che è sacro, rimanga sacro.

Un esempio di ciò ci è dato dalle rocce “miraco-lose” presenti nei santuari di Oropa, di Varallo, diBoca e d’Azoglio. Ad Oropa la prima cappella fu edi-ficata su una roccia, il «Roc della Vita» che ancorafino a pochi decenni fa presentava delle usanze fol-cloristiche molto interessanti legate «a proprietà ri-sanatrici e fecondatrici per colui che, seguendo unrituale processionale a nove giri, reciti un certo nu-mero di preghiere». In Valsesia e Val Strona, di unaragazza che restava incinta durante il periodo estivotrascorso all’alpe, si diceva che era «andà a Varal».Infatti sulla vecchia mulattiera che da Varallo Sesiaconduce al Sacro Monte vi è un masso contro cui ledonne sfregavano la schiena. Su una roccia è co-struito anche lo scurolo del Santuario di Boca, nel No-varese. La tradizione popolare viva ancor oggi èquella di salire sul masso e appoggiare la schiena allaparete esterna dello scurolo, variazione cristiana dellosdraiarsi sulla pietra stessa, per acquistare salute e fe-condità. Infatti la roccia, ora non più visibile perchénascosta da una colata di cemento, si presentavamolto levigata. Tra Biellese e Valsesia troviamo la«Pietra della febbre» del santuario di Azoglio (Cre-valcuore): Virginia Majoli Faccio scrisse nel libro L’in-sidia del meriggio che per secoli quel sasso fu metadi pellegrini i quali avevano l’identico scopo di quelliche si recavano al «Roc della Vita» di Oropa.

Con il passare dei secoli a molte di queste rocceviene mantenuto o attribuito il nome che indica la loroantica dedicazione: sasso dei pagani, pietra delle stre-ghe, sasso delle fate, masso del diavolo. Nascono con-testualmente leggende che narrano di riti arcaici, lottetra santi e diavoli, danze stregonesche, leggende ancor

oggi conosciute in valli come l’Antigorio, ad esempioa proposito del noto Muro del Diavolo (Poletti, infra).

Su questi massi spesso si trovano incavi general-mente emisferici, incisi dall’uomo nella roccia, ri-chiamanti, dal punto di vista iconografico, piccolescodelle o coppe aperte. Sin dalle prime scoperte fudato loro il nome di “cupelle” poi italianizzato in“coppelle”.

La prima segnalazione in Italia risale al 1880quando don Vincenzo Barelli pubblicò sulla Rivistaarcheologica dell’antica provincia e diocesi diComo l’articolo «Le pietre cupelliformi del Pianodelle Noci in Val d’Intelvi». È invece dell’anno suc-cessivo la «Nota sopra alcune pietre a scodelledell’anfiteatro morenico di Rivoli» presentata daGiuseppe Piolti negli Atti della Reale accademiadelle Scienze di Torino.

Passerà quasi un secolo prima che venga segna-lata anche in Ossola la presenza di massi coppellati,per la precisione alla Colma di Craveggia (Valle Vi-gezzo). Autore della scoperta fu don Tullio Berta-mini che vi dedicò nel 1971 e 1976 due appro-fonditi studi sulla rivista Oscellana.

Oggi decine di rocce con coppelle sono cono-sciute un po’ ovunque dal Lago Maggiore all’Ossola,con concentrazioni maggiori in Val Vigezzo, nelMergozzolo e nel Verbano.

Sul significato delle coppelle molti sono i giudiziespressi da vari autori, i quali danno però spessotroppo spazio all’immaginazione. Un dato di fattoè che le coppelle, come altri tipi di incisione, sonopresenti in tutto il mondo e non sono state eseguitesolo in epoca preistorica, ma hanno avuto una con-tinuità tale da arrivare ai nostri tempi, con una con-suetudine perdurata millenni, forse con significati efunzioni che variano nei luoghi e nel tempo.

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La Valle Antigorio e in particolare Croveo e Bacenosono conosciuti per i processi contro le streghe tenutisitra il 1570 ed il 1610. Quaranta donne e due uominivennero processati e torturati dall’Inquisizione domini-cana e dal Tribunale Diocesano di Novara per atti distregoneria. Il 31 maggio 1575 vennero messe al rogoe bruciate vive Giovanna “la Fiora” di Croveo e Gau-denzia Foglietta di Rivasco, frazione di Premia. Tra il1609 e il 1611 dieci presunte streghe di Croveo e Ba-ceno vennero lasciate morire di stenti nelle carceri ve-scovili di Novara. Lo studioso Gianbattista Beccaria,dopo aver letto e studiato gli atti di questi processi, haipotizzato la sopravvivenza di antichi riti pagani in sac-che culturali marginali confinate sulle alpi ossolane percui il demonio potrebbe rappresentare la trasforma-zione, nel cupo clima della controriforma, dell’antichis-simo culto del Dio celtico Cernunnos. Inoltre, dalletestimonianze estorte alle “streghe” antigoriane, in piùdi un caso viene posto in evidenza come i sabba si svol-gessero attorno o nelle vicinanze di un masso: «Et ilDiavolo mi portò a un luogo detto la Stua; […] è un

sasso su nella montagna, ove è un piano che si di-manda la Stua, ove erano huomini et donne che bala-vano», raccontò, ad esempio, Maria detta la Gianola.

Il Cervandone e il Cistella erano luoghi dove si te-neva il sabba e proprio sul Cistella una delle ricogni-zioni effettuare dal GAM ha portato Sonia Vella eFilippo Pirazzi ad individuare un masso recante sullasuperficie una trentina di incavi che sembrerebberocoppelle, alcune anche di grandi dimensioni. Siamodi fronte ad un masso-altare anticamente utilizzatoper rituali preromani?

Altra roccia forse antica testimonianza di culti pri-mitivi è ben visibile ai bordi del Lago delle Streghe,nei pressi di Crampiolo; vi sono incise una croce edue lettere, segni abbastanza comuni nel territorioalpino, quasi sempre indicanti confini comunali, op-pure termini posti a dirimere antiche liti per il pos-sesso di pascoli e boschi. In questo caso siamo inpresenza di un antico confine o di una croce di cri-stianizzazione incisa su un masso attorno al quale siriunivano le streghe d’Antigorio?

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Una valle di streghe

Il Lago delle Streghe

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MASSO ALTARE DELLE STREGHE AL CISTELLA

Comune: BacenoLocalizzazione: Pizzo di Croppo Cerino, contrafforte nord-orientale del Corno del Cistella (Valle Antigorio).

Carta nazionale della Svizzera 1: 50.000 - Foglio 275 T “ValleAntigorio”.Coordinate geografiche: UTM WGS 84 - fuso 32 T // Nord46° 15,965 // Est 008° 16,665 ottenute in condizioni atmo-sferiche ideali (stabilità meteorologica) con strumento satel-litare GPS “Garmin 60 CSx”. Quota: metri 2.051 s.l.m.Ambiente: il masso si situa su una cresta spartiacque con ve-getazione bassa, tipica di aree cacuminali di alta montagna,con presenza di rododendro, mirtillo e ginepro. Dal masso èpossibile godere di una vista panoramica eccezionale che spa-zia dall’Alpe Devero ed i suoi passi occidentali, al Monte Cer-vandone, Punta d’Arbola, conca di Agaro e Pojala, MonteForno o Gorio, la catena spartiacque tra la Valle Antigorio-For-mazza ed il cantone Ticino, le vette settentrionali della ValIsorno e della Valle Vigezzo, le cime del versante ossolano dellaVal Grande, la Colmine di Crevoladossola, il gruppo Diei - Ci-stella. Verso il basso si possono scorgere i paesi di Goglio (lacentrale ENEL), Croveo, Baceno, Premia (la chiesa), Crego, Ve-rampio, Maglioggio, Crodo (in parte), Pontemaglio. Gli alpeggidel Cazzola e del Parco del Devero, del Monte Forno o Gorio(Ausone, Costa, Pioda Calva, Cima Chioso, Beulino, ecc…),quelli attorno ad Arvenolo, compreso il Muro del Diavolo,Aleccio, quelli al di sopra di Cravegna e di Viceno, Deccia, Bru-mei, Esigo con Pontigei. Un tratto della valle della Toce attornoad Uriezzo ed i suoi Orridi.Dimensione e forma del masso: poligono trapezoidale consuperficie piatta e coste pressoché ortogonali. Diagonalemaggiore: cm. 447; superficie totale: circa 9 mq.Litologia: Gneiss (Ortogneiss di Antigorio) a grana grossa.Incisioni: Sono state rilevate 38 coppelle con diametro varia-bile tra 5 e 16 centimetri e profondità massima di 3,60 cm,alcune unite tra loro; due macro coppelle unite a formareuna sorta di doppia vasca, della lunghezza di cm 46 e lar-ghezza massima 20. Si osservano altre incisioni: 3 croci abracci ortogonali e della stessa lunghezza + 1 triangolo concentro puntiforme (probabilmente un punto trigonometricotopografico). È presente sulla superficie superiore del massocoppellato un’incisione naturale dovuta ad una frattura del-l’ammasso roccioso che lo attraversa per l’intera larghezza.Data della prima ricognizione: 24 giugno 2012

Sonia Vella - Filippo Pirazzi

Segnalazione e primo accompagnamento degli scriventi sulsito: a cura di Paolo Fanni, Fabio Scaciga e Raniero Mader diBaceno (VB) che sentitamente ringraziamo.

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Scivoli della fertilità

Su tutto l’arco alpino italiano, ma anche in Fran-cia, Germania e Austria, in prossimità di paesi o al-peggi è possibile osservare rocce la cui superficie sipresenta lucida e levigata, essendo stata utilizzata persecoli dai bambini - ma anche da adulti - per diver-tenti scivolate.

A queste rocce è legata l’antica usanza da partedelle donne sterili di scivolarvi sopra a scopo propizia-torio di fecondità. Memorie di tale utilizzo sono stateraccolte soprattutto in Francia dove le «pierre a glis-sade» sono oggetto di studio già all’inizio del Nove-cento da parte di Paul Sèbillot: «La scivolata, il cultopremegalitico meglio conservato, è caratterizzata dalcontatto, a volte abbastanza brutale, di una parte delcorpo del credente con la pietra alla quale questi attri-buisce delle virtù. Gli esempi più tipici che sono statirilevati - e senza dubbio poiché i riti vengono general-mente celebrati in gran segreto, molti sono sfuggiti agliosservatori - sono legati all’amore e alla fecondità».Una testimonianza a noi vicina di questo rituale ècontenuta in un discorso tenuto il 17 agosto 1884dal maestro Giovanni Roggia di Varzo, in occasionedell’inaugurazione del rifugio alpino dell’alpe Veglia.Il testo, in dialetto, oltre a promuovere le bellezze na-turali della montagna e quindi invogliare il turismo,invitava all’uso salutistico delle acque minerali; tral’altro esso recitava: «Quei poveri tapini che hanno il“mulino” impotente e quelle povere donne che sten-tano a vedere la “luna rossa” o che non hanno labuona sorte di avere eredi, invece di andare in pelle-grinaggio da una Madonna all’altra e sfregarsi il se-dere sulle pietre miracolose cercando grazie,sappiano che con l’acqua minerale che abbiamo quavicino, si potrà rinvigorire da capo a piedi e far loroavere figli in abbondanza». Sfregarsi il sedere sullepietre miracolose cercando grazie: così fecero per se-coli anche nelle nostre valli, come già abbiamo vistocon gli esempi di Oropa, Boca, Varallo e Crevacuore.Scivoli su roccia sono numerosi anche nel VerbanoCusio Ossola, compresa la valle Antigorio.

Tratto del masso scivolodi Pontemaglio, ove risultano ben evidenti isegni d’uso

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Molto spesso, le coppelle non sono oggetto di se-gnalazioni agli archeologi o ai cultori, in quanto sonoritenute opera dei pastori come passatempo o sonoconsiderate segni naturali lasciati dal tempo. In altricasi, la mancanza di una specifica conoscenza del sup-porto roccioso ospitante e delle tecniche esecutive,hanno indotto a segnalare come coppelle quelle chein realtà sono concavità di origine naturale. Quello chesegue è pertanto un primo catalogo di incisioni rupestripresenti nel territorio antigoriano. Ci auguriamo chemolte altre segnalazioni vadano ad aggiungersi a quellefino ad oggi da noi raccolte e che questa pubblicazionepossa servire da stimolo per ulteriori scoperte.

L’elenco delle incisioni ad oggi conosciute nelcomprensorio della Valle Antigorio inizia da Monte-crestese, dove all’alpe Agarina, in Valle Isorno, su unpiccolo dosso in vicinanza delle baite vi è una rocciacon coppelle collegate da canaletti. Altra roccia conuna decina di coppelle è invece segnalata all’alpeCarvirone, in Val Fenecchia, una laterale della valleIsorno. Coppelle isolate sono presenti anche su rocceaffioranti all’interno dei nuclei medievali, ad esempio

a Croppomarcio e Castelluccio (segnalazione inedita).A Crevoladossola, sotto la frazione Pinone di Cre-

vola, c’è un masso erratico appoggiato allo speroneroccioso chiamato “Sasso della Colombera”, puntopanoramico sull’alta Ossola. Sul masso sono incise 20coppelle, 10 delle quali collegate da canaletti.

A Pontemaglio (Crevoladossola), sulla roccia sucui è basato il ponte medievale, è incisa una coppella,segno probabilmente ricollegabile, come scrive DeGiuli, al rito di fondazione del ponte stesso. Poco di-stante, appena superata la galleria e il ponte dell’at-tuale carrozzabile per Pontemaglio, fino a qualchedecennio fa erano ben visibili sulla roccia che fian-cheggia la strada le strisce levigate di tre scivoli, at-tualmente coperte dal deposito di materiale edile.

Nel territorio di Crodo, all’alpe Genuina, su ungrosso sperone scistoso che domina la Val Divedro,vi sono una sessantina di incavi che però hanno ilfondo appiattito, di presumibile formazione naturale;l’impressione è convalidata dal confronto con altrepresenti su alcune rocce della stessa litologia, facil-mente degradabile, ritrovate appena sopra l’alpeggio

Incisioni e scivoli in Valle Antigorio

Il masso di Cheggio e un dettaglio delle

coppelle di probabile origine naturale

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e sicuramente non eseguite da mano umana.Una ventina di incavi dal diametro circolare ma

sempre con fondo piatto, anch’essi di quasi sicuraorigine naturale, sono presenti su un masso erraticoall’alpe Cheggio, sopra Foppiano di Cravegna (segna-lazione inedita di Marco Dresco). Va però segnalatoche in questo, come in altri casi, le “coppelle” for-mate da fenomeni erosivi naturali potrebbero esserestate in tempi più o meno antichi ampliate/approfon-dite dall’uomo e da questi utilizzate con finalità pra-tiche o cultuali. Sempre in comune di Crodo èsegnalato un masso coppellato all’alpe Deccia (se-gnalazione inedita), mentre un altro masso con nu-merose coppelle è presente ai Piani di Aleccio, inprossimità delle baite dell’alpeggio. In fraz. AlpianoSuperiore, invece, in un’antica casa con affreschi cin-quecenteschi una pietra con alcune coppelle è stataadattata a mensola per un balcone. Nei pressi del-l’abitato di Vegno, adiacente al Rio Luscena, uno sci-volo è invece ancora ben visibile su un massoaffiorante all’interno di un orto recintato (segnala-zione inedita di Marco Dresco).

Altro masso inciso è segnalato nei pressi di una cap-pelletta, all’alpe Agarina (Baceno), dove nove coppelle

su superficie inclinata sono collegate tra loro da cana-letti. Il masso è nelle vicinanze di una cappelletta.

Poco distante, a Pioda Calva, vi sono tre coppelleallineate incise su un gradino, e altre tre coppelle suuna roccia affiorante tra le case di Suzzo Alto.

Del masso presente sul Cistella abbiamo già anti-cipato e rimandiamo alla scheda di approfondimento.

Nel territorio comunale di Premia, a Salecchio Su-periore, circa dieci metri a valle dell’antico forno peril pane, ove attualmente c’è la teleferica consortile,vi è una roccia con coppelle, molto ben evidenti madi grossolana fattura. Lungo lo stesso sentiero, qual-che centinaio di metri più avanti, sulla direttrice ValleAntigorio-Valle del Devero, all’Alpe Al Mott, sopral’alpe Vova, è stato recentemente trovato da AlbertoDe Giuli un masso con una decina di coppelle e unamacrocoppella nella quale era cresciuto un ciuffod’erba. La rimozione della zolla erbosa ha portato alrinvenimento di un deposito di frammenti di quarzitebianca, deposito che il De Giuli ritiene avere un pro-babile carattere rituale. Concludo questo breveelenco con la segnalazione di una coppella isolata rin-venuta nelle vicinanze della Balma dei Cervi (segna-lazione inedita di Alberto De Giuli).

Masso scivolo di Vegno

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MASSO CON COPPELLE ALL’ALPE VOVA

Comune: PremiaLocalizzazione: sulla direttrice Valle Antigorio-Valle delDevero, Alpe Al Mott, sopra l’alpe Vova, sullo stesso sen-tiero ove qualche centinaio di metri prima vi è la rocciacon coppelle di Salecchio Superiore.Quota: 1600 metri s.l.mAmbiente: prato-pascolo alla sommità di una cresta inposizione aperta con visuale sul sottostante alpeggio diVova; il masso è inserito sul sentiero presso le baite del-l’Alpe al Mott.Dimensioni e forma del masso: Affioramento rocciosopiano che si estende per circa 15 m quadrati con un an-damento allungato sub-trapezoidale.Litologia: GneissIncisioni: Sul masso vi sono una decina di coppelle rea-lizzate a percussione litica e qualche foro fatto con puntae mazzetta, fra i quali il classico, poi rifatto su una pietramovibile, ove si piantava il ferro per battere la falce. Suun lato della pietra, tolto un ciuffo d’erba, risultò unamacrocoppella (diametro 20 cm, profondità 10 cm) condeposito di frammenti di quarzite bianca, che erano ri-masti appesi alle radici dell’erba. Tale deposito, dove noncompariva nemmeno un frammento di pietra differentedal quarzo bianco, sembra riconducibile ad un rituale.Questo rito arcaico è infatti stato notato anche negliscavi di Saint Martin de Corleans ad Aosta, ove presso lagrande tomba a cista n. II datata tra la fine dell’età delRame e l’inizio dell’età del Bronzo erano stati depostiframmenti di quarzite bianca. Va ricordato che il colorebianco ancora nell’antica Grecia era abbinato ai riti fu-nerari ossia alla morte, i Greci infatti si erano appropriatidi usanze molto più antiche e le avevano adattate alleloro necessità. È certa la consuetudine di depositare pie-tre bianche soprattutto presso i monumenti funebri dipersonaggi importanti come ad esempio presso il mau-soleo di Alessandro Magno.

Alberto De Giuli

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Dagli albori dell’umanità, pa-reti rocciose aggettanti o grossimassi, con cavità al di sotto o tradi essi, hanno dato una rispostanaturale immediata all’uomo cheavesse necessità di un riparo, tem-poraneo o permanente, dalle av-versità atmosferiche. Ovunque vene fosse la possibilità, le genti prei-storiche individuarono in questianfratti precostituiti facili luoghi diinsediamento, ai quali aggiunseronel tempo arrangiamenti e modi-fiche, quali pali di sostegno rico-perti con pelli, muri in pietra conporte e finestre, scale, divisori, aseconda della destinazione d’usoe delle necessità.

Sulle Alpi questi ripari sottoroc-cia si sono originati per il distaccodi porzioni prismatiche di paretisub-verticali, tali da creare dellenicchie allungate con tetti agget-tanti, che riparano dagli agenti at-mosferici, compreso il sole.

In altri casi, spazi e anfratti utilicome ricovero sono formati damassi di grandi dimensioni, accu-mulati casualmente uno sull’altrocome conseguenza di frane dicrollo lungo i versanti delle valli.

Tali distese di massi disordi-nati sono conosciute in Lom-bardia e nel Canton Ticinocon il termine dialettalegande, ormai preso in prestitodai cultori dell’argomento.

Sono stati ottenuti luoghiriparati anche tramite escava-zione del terreno al di sotto digrossi massi erratici di formageneralmente piuttostopiatta, abbandonati sul suolodopo le ultime glaciazioniquaternarie.

Tutti questi spazi vuoti,adatti a procurare un riparo,una copertura, una prote-zione dalla pioggia per gli uo-mini come per gli animali,prendono il nome di balma inVal d’Ossola, anche di barmasulle Alpi più occidentali (Val-lese, Valle d’Aosta, Piemonteoccitano).

Le balme hanno assolto asvariate funzioni antropiche,dai più banali utilizzi di imme-diato riparo in casi di emer-genza (pioggia, vento, neve,ecc…), ad impieghi più com-plessi e stabili, come alloggi

Abitare tra le rocceUso delle balme nei secoli, esempi dalla Valle Antigorio e da altri contesti localiSonia Vella

Il Balm d’la Vardaiolapresso l’Alpe Veglia

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per animali, persone o cose, oppure come luoghi diosservazione del territorio o in qualche misura legatia culti e rituali ancestrali.

In Ossola e nella regione circostante vi sono topo-

nimi legati a balma, quali Hinderbalmo a Macu-gnaga, il Passo delle Balmelle sopra Trasquera, Bal-mafredda a Premia. Sono molti gli alpeggi montanicon nome “Alpe La Balma” o “Alpe della Balma”, si-tuati in Alpe Veglia, in Val Vannino, sopra Premia,sopra Premosello, in Val Grande.

Numerosi sono gli esempi di balme utilizzatedall’uomo, alcune delle quali sono ancora definitecon il termine locale balm: il Balm d’la Vardaiola inAlpe Veglia; la Balma del Pastore in Val Olocchia; laBalma Giumella nel Vallone dei Mulini sopra Cuzzagodi Premosello, testimone e rifugio per i partigiani du-rante il rastrellamento in Val Grande nel corso del-l’ultima guerra.

Il Balm d’la Vegia a Cuzzago di Premosello, nel-l’aspro vallone di Nibbio, fu abitato per anni, tra la finedel XIX e l’inizio del XX sec., da una coppia di pastoridi capre che sopportarono i disagi del posto, mossi dauna passione amorosa travolgente. La “dimora” dellabella Angiolina fu descritta da Tito Chiovenda comeun antro trogloditico, chiuso da un muretto di pietraposata a secco con uno sconnesso ingresso; all’internodella balma si potevano scorgere un focolare, alcunestoviglie slabbrate di uso comune e dei giacigli di fogliesecche; per tetto un enorme blocco di roccia franatodalle pareti sud-occidentali del Pizzo Proman.

La Cà d’la Norma si trova invece nei boschi sopral’abitato di Mergozzo ed è costituita da un grossomasso erratico di gneiss piuttosto piatto che reca suldorso due coppelle ed una lunga canaletta. Al disotto di esso, mani esperte hanno scavato un’aula el-littica chiusa con un muro di pietre, alla quale si puòaccedere passando entro un recinto esterno semprecircondato da altri muretti. La struttura è ritenuta unesempio di megalitismo preistorico, fenomeno collo-cato dal punto di vista cronologico tra le Età delRame e del Bronzo.

La Valle Antigorio, grazie anche alla sua strutturageologica che millenni orsono ha permesso la for-mazione di ripari sotto roccia, conta numerosiesempi di balme, alcune delle quali utilizzate fino atempi recentissimi.

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Sopra: Balm d’la Vegia aCuzzago di Premosello

Sotto: la Balma, pressol’Orrido di Arvera

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Presso l’Orrido di Arvera una casa in pietra si av-vale del riparo di un’alta parete rocciosa spiovente,addossando ad essa i propri muri e la falda del tetto.

Nell’alpeggio di Cheggio, sopra Foppiano, unacantinetta e una stalla sono state ricavate al di sottodi enormi massi erratici. Con opera semplice e mi-rabile di ingegneria idraulica, per allontanare l’umi-dità dalla stalla, sulla grande roccia che funge dacopertura è stata incisa una profonda canaletta,quale gronda per deviare l’acqua piovana.

A Croveo di Baceno l’antico torchio per la spre-mitura delle pere, oggi restaurato e visitabile, è statoricavato sotto una grande roccia inclinata, contro laquale sono state successivamente edificate le paretiin sasso.

La Balma dei Cervi, recentissima scoperta incampo archeologico, mostra una parete sottorocciasulla quale sono stati dipinti in ocra rossa soggettiantropomorfi e altre figure, di probabile epoca prei-storica.

Le molte balme che ricorrono sul versante orogra-fico sinistro della valle, lungo il sentiero che porta daMaglioggio verso Crego, vengono ancora ricordatea memoria d’uomo per essere state utilizzate da

Sopra:Alpe Cheggio (Crodo),una stalla ricavata sottoun enorme masso chefunge da tetto e particolare del canale di gronda intagliatonella pietra

A sinistra: Alpe Chegglio (Crodo),cantinetta ricavata al di sotto di grandemasso erratico

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tempi immemorabili quali ricoveri per il fienoe per il bestiame. In una delle balme mag-giori insiste una stalla senza tetto, copertasolo da un plafone di tavole di larice, su cuisi osservano tracce di paglia di segale, rica-vata dei cereali raccolti nei campi terrazzaticircostanti.

Ancora oggi questi ripari sottoroccia sonofrequentati dagli animali selvatici, soprat-tutto cervi, camosci e caprioli, che ne hannofatto da sempre un riparo ove trascorrere lanotte e dove poter godere degli ultimi raggidel sole al tramonto.

Il torchio di Croveo: si nota comeuna parete dell’edificio sia costituitada un grande masso inclinato

Costruzione rustica sotto una balmanei pressi di Maglioggio

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Balme frequentate alle pendici della Colmine: una ricerca in corso

Crevoladossola è un insieme di antiche frazioni,poste al confine tra la piana ossolana e l’imboccodella Valle Antigorio, adagiate su soleggiati terrazzialle pendici meridionali del monte roccioso che la so-vrasta, la Colmine di Crevola. Da tempi immemora-bili, per la sua posizione geografica, è inevitabileluogo di passaggio di genti, merci ed eserciti, attra-verso il crocevia che verso nord porta agli alti valichialpini dei passi d’Arbola e del Gries, mentre a ovestimmette nella Valle Divedro, verso il Passo del Sem-pione. Certo il suo aspetto è molto cambiato daitempi in cui i viaggiatori stranieri dell’Ottocento vigiungevano dal nord Europa, raccontando con stu-pore la bellezza solatia di questi luoghi, quasi un giar-dino di frutti, profumi e colori. Purtroppo anch’essihanno subìto lo stesso destino degli altri paesi mon-tani ossolani, i quali hanno visto, negli ultimi ses-sant’anni, l’abbandono delle attività agropastorali el’esponenziale decremento demografico. Questo hadeterminato il repentino inselvatichimento delle zone

agricole; floridi terrazzi un tempo coltivati a vite, al-beri da frutto, ortaggi, canapa, oggi si sono arresiall’avanzare di rovi, arbusti e bosco.

Ciò che un tempo era luogo di vita, lavoro e fa-tica, e che oggi risulta quasi abbandonato, può peròessere riscoperto con un turismo attento, lento, ingrado di cogliere gli aspetti storici e culturali che an-cora si possono respirare. Camminare su mulattierecostruite con maestria e abilità, un sasso dopo l’altro,e raggiungere gli agglomerati di antiche case, doveanche il tetto è in pietra, è un ritrovare l’abitare diquesti luoghi, nei quali l’architettura semplice e allostesso tempo ingegnosa si è adattata a consumare ilminor spazio possibile, laddove il territorio era neces-sario per le coltivazioni e l’allevamento. Le date chesi trovano spesso incise nei pesanti architravi liticidelle porte di case ed oratori, o dipinte su sempliciquanto incantevoli affreschi devozionali, svelano unMedioevo giunto intatto fino ai nostri giorni.

Tra questi terrazzi, nascoste ai piedi delle ripide

Simbo, frazione di Crevoladossola

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pareti rocciose della Colmine, si celano anche altretestimonianze dell’abitare tra i sassi e tra le rocce;una frequentazione probabilmente molto più anticadi quanto non possano raccontare le pietre storichedelle case medievali, ma di oscura collocazione tem-porale.

Poco sotto l’abitato di Simbo, lungo il sentiero chescende verso Cresto, in ciò che sembra un comunis-simo muro, realizzato con sassi sovrapposti a secco acontenere il terrazzamento sovrastante, si inserisce unenorme masso, adagiato sul terreno e coperto dal re-stante muro a secco. A prima vista non presenta nulladi eccezionale, l’occhio si sofferma piuttosto alle spallesul grazioso abitato di Simbo, con le sue alte case inpietra e legno e i suoi antichi vigneti, e sull’ampio pa-norama che si apre verso sul sulla Val d’Ossola. Ai piedidel masso, invece, celato dai ciuffi d’erba e dai rovi, siapre uno stretto accesso, quasi una feritoia orizzontaletra la terra e la pietra, alta non più di 50 cm, che im-mette in uno spazio buio sottostante. Stando accovac-ciati sul terreno per curiosare all’interno, una voltaabituati gli occhi al buio, si scorge una larga stanza diforma rotondeggiante, così profonda e ampia dapoter ospitare molte persone in piedi, le quali con lebraccia alzate non riuscirebbero a toccare il soffitto,

formato dal lato inferiore del masso stesso. La sorpresaè ancor più grande quando si nota che l’intero vanoha i muri perimetrali costruiti con pietre a secco, pre-disposti a delimitare l’area ipogea, affinché non fra-nasse il terreno circostante. Una vera e propria grandetana, che stuzzica la fantasia e la curiosità. Chi,quando e per quale scopo? Perché qualcuno, chissàquando, avrebbe realizzato una tale struttura sotter-ranea? Le poche persone locali interpellate non hannosaputo rispondere, neppure sapevano dell’esistenza diquesta “Balma di Simbo”.

Enso è una frazione arroccata sulle rocce affio-ranti che si innalzano dalla forra del torrente Diveria.Le sue case sono così attaccate l’una all’altra da sem-brare un’unica entità muraria, quasi una roccafortemedievale a difesa dell’abitato. Poco oltre, posta aldi sopra della stretta strada carrozzabile che ricalca iltracciato dell’antica mulattiera, prima del bivio cheda un lato sale verso Scezza e gli alpeggi alti dellaColmine, e dall’altro scende alle frazioni basse di Cre-vola, un’altra costruzione attira l’attenzione: unenorme masso, adagiato solitario sul prato, è statoliberato dal materiale al di sotto per ricavarne unvano, di dimensioni certo molto più modeste diquello sopra descritto. La sua particolarità sta nel

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Balma di Simbo

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fatto che l’ingresso è costituito da due muri laterali,i quali racchiudono una scala in pietra che scendenella camera sottostante; ricorda un dromos, il tipicocorridoio a cielo aperto delle tombe a thòlos etruschee micenee, risalenti come tipologia alla tarda età delBronzo. Alcune aggiunte e adattamenti in epoche re-centi fanno notare come la frequentazione del sitosia avvenuta fino ai giorni nostri. Superiormente almasso, un foro quadrato lascia immaginare l’allog-giamento di pali in legno a sostegno di rampicanti divite, come spesso era in uso al di sopra di blocchi diroccia o tetti in pietra, per sfruttarne lo spazio e il ca-lore. Persone del luogo sostengono che, fino al suoabbandono, questa “Balma di Enso” venisse adope-rata per la lavorazione del formaggio.

Una piccola nicchia si apre al di sotto di un massoinclinato, inserito in un vecchio muro a secco in fra-zione Cuslone, proprio tra le case. Qui l’anfratto ri-cavato, anch’esso racchiuso da muri costruiti eavente come soffitto il masso stesso, difficilmente po-teva servire da rifugio per esseri umani, in quanto ac-cessibile solo in posizione rannicchiata. Forse ricoveroper piccoli animali, pecore, capre o maiali, o forse dicostruzione così antica da richiamare alla mente lecamere di Castelluccio e Croppola di Montecrestese,per le quali si suggeriscono ben altri usi.

La parte più interessante è ancora da venire, inuna zona dove da secoli il bosco di castagno selva-tico ha preso il sopravvento, insieme a rovi e arbusti,rendendo il luogo quasi sinistro, dall’accesso difficilee impervio. Proprio ai piedi delle ripide pareti di roc-cia a strapiombo della Colmine, al di sopra della Tocee di fronte ai terrazzi soleggiati di Montecrestese, c’èun sito, ormai percorso solo dagli animali selvatici eda pochi cacciatori locali. Là, dove un’anziana si-gnora ricorda che “ci mandavamo solo le capre”, siapre un mondo di muri e sentieri, in parte intatti ein parte crollati, in un insieme roccioso che a voltesembra più una sassaia disordinata che un manu-fatto dell’uomo. Un occhio meno frettoloso si ac-corge però della sostanziale differenza costruttiva diquesti muri, totalmente diversi da quelli che soprav-

vivono nella parte medievale, più precisi e con ma-teriale lapideo più lavorato e minuto. Qui le pietresono massi, appoggiati uno sull’altro in uno sforzocollettivo, diventando veri e propri muri megalitici dipiù metri di altezza, i quali mettono equilibrio al di-sordine del luogo. I terrazzamenti che se ne ricavanosono strette strisce di terra, sulle quali è incredibilepensare che un tempo potessero trovarsi coltivi e pa-scoli; sono resi accessibili e comunicanti tra loro daimponenti scale litiche, e da percorsi e tracciati i cuiresti si possono ancora indovinare. Il tutto costruitoutilizzando i macigni trovati tal quali in loco, senza

Balma di Enso

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sbozzatura o lavorazione alcuna, bonificando e ren-dendo utilizzabile un ostile ambiente di frana, costi-tuito di massi e rocce anche di notevole grandezza.

Ci si addentra così in quest’area selvaggia, nonparticolarmente estesa, ma dove è facile perdere lacognizione dello spazio e del tempo. Seguendoun’idea di antico sentiero, lo sguardo si alza su unmasso di enorme dimensione, franato chissà quandodal monte sovrastante, appoggiato in posizione in-clinata lungo il ripido pendio. Anch’esso funge da co-pertura ad una costruzione muraria sottostante. Lepareti in pietra racchiudono un vano piuttostogrande, di forma quadrangolare, sufficientementealto da potervi stare in piedi. L’ingresso è formato daun’interruzione del muro, che probabilmente allog-giava una porta in legno. All’interno si intuisce unapavimentazione in sasso, ma il tutto è ricoperto dauno spesso strato di foglie secche ammucchiate dalvento. Nella parete posteriore è stata ricavata, al mo-mento della costruzione, una nicchia rettangolare, si-tuata a livello del pavimento. Uno scoiattolo balza daun ramo all’altro dei castagni tutt’intorno, sugge-rendo di chiamare il sito “Balma dello Scoiattolo”.

Ancora un sentiero stuzzica la ricerca; corre oriz-zontalmente, seguendo le curve di livello, chiuso daun alto muro a monte, e appoggiato su di un altromuro a valle. Una nuova balma, ricavata sotto unmasso inclinato quasi a 45 gradi e ricoperto da unospesso strato di muschio, invita ad essere esaminata:all’interno si notano muri a secco ben costruiti, e se-dili correnti sui lati. Poco più avanti si intravedono tragli alberi due case in rovina, i cui muri in pietra peri-colanti non resisteranno al crollo ancora a lungo. Lecostruzioni sono sicuramente medievali, a giudicaredal grosso architrave litico, recante incisa una bellacroce ricrociata, sopra il portone d’ingresso della se-conda casa. La prima, invece, incuriosisce per la stranaroccia che esternamente fuoriesce dalla parete, ap-poggiata su un’altra roccia sottostante. La sorpresa ègrande nello scoprire che la roccia prosegue interna-mente nella casa fino alla parete opposta, fungendoda copertura ad un vano al di sotto, e da robusto pa-

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La “Balma dello Scoiattolo”

Balma con tetto inclinato

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vimento ad un locale superiore. A tutti gli effetti sitratta di una balma all’interno di un’antica abitazione,tanto da poterla battezzare la “Balma in Casa”. Nonsi è ora in grado di definirne il primo insediamento,ma sicuramente nei tempi successivi è stata riutilizzatae inglobata in una nuova costruzione, ampliando laparte coperta antistante e innalzando al di sopranuove pareti, completando con un tetto in piode.

Il sentiero prosegue, si addentra ancora un poconel bosco, poi si perde nell’alveo di un ruscello insecca. Poco più in basso un’ultima balma attira losguardo, anch’essa, come le altre, ricavata al di sottodi un grosso masso inclinato in avanti lungo il pendiodel monte. Il suo vano non è particolarmente ca-piente, ed è caratterizzato da un doppio ingresso. Imuri sono resi più stabili e impermeabili da un suc-cessivo impiego di calce, il che comprova l’utilizzodella balma fino ad epoca piuttosto recente.

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Sopra e a sinistra: la “Balma in Casa”

Balma con doppio ingresso

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Ipotesi interpretative e di datazione

Poter dire quando queste strutture siano staterealizzate, e da quanto e per quanto tempo sianostate frequentate dai nostri antenati, è arduo, allostato attuale delle ricerche. Non esistono elementimateriali che possano darci una sicura datazione; nonsi è a conoscenza di alcun ritrovamento casuale, utileallo scopo. Si possono ad ogni modo avanzare delleipotesi, paragonando le costruzioni qui censite adaltre simili, rinvenute in Ossola e in area alpina, perle quali sono stati effettuati studi più approfonditi.

In Valmaggia (CH), in un territorio facilmente pa-ragonabile morfologicamente e culturalmente al no-stro, è stato eseguito un censimento completo dellebalme conosciute, per le quali sono state svolte ricer-che e schedatura dettagliata. Ne è emersa una fre-quentazione in un lasso temporale molto ampio, cheparte dalla preistoria fino a raggiungere in alcuni casile porte dei nostri tempi. I ripari sotto roccia venivano

utilizzati nel Neolitico dai primi nuclei umani stanzialiche si insediavano in questi territori, e subivano poiuna continuità abitativa nel corso dei secoli, addirit-tura nei millenni, con costruzione di aggiunte e adat-tamenti, realizzati a seconda delle esigenze.

Un esteso programma scientifico in Valchiavenna,condotto dal 1986 al 2000, ha individuato numerosiesempi di ricoveri sottoroccia. Uno di questi, in altaValle Spluga, richiama in tutto e per tutto la “Balmadi Enso” qui descritta, munita di scala di accesso tradue muri o dromos.

Il sito dell’area archeologica “la Maddalena”, inalta valle Susa, raggruppa un importante complessodi ripari sottoroccia risalenti come sito abitativo alNeolitico, circa 4000-3500 a.C.

Spostandoci al di fuori delle Alpi, tra i molti pos-sibili esempi si ricorda, per il peculiare rapporto traabitazioni umane e roccia, il sito archeologico del

Sito archeologico delCasteddu Cuccuruzzu

(Corsica)

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“Casteddu di Cuccuruzzu” nella Corsica del Sud, co-stituito da un castelliere dell’Età del Bronzo, costruitoattorno ad enormi massi di granito. La struttura do-mina Capula, un intero villaggio fortificato ricavatonelle cavità naturali (tafoni) delle grosse rocce grani-tiche del luogo, arrotondate dal lavorio del vento. Gliscavi, condotti dall’archeologo François de Lanfranchinegli anni 1977-84, hanno messo in evidenza comela frequentazione del sito sia durata per migliaia dianni, dal Neolitico finale al Medioevo.

Tornando in Ossola, il “Balm d’la Vardaiola”, chesi trova nel Parco Veglia-Devero in località “Pian duScricc”, fu utilizzato per secoli, perlomeno dall’Età delFerro a tutto il Medioevo, come riparo per cacciatorialpini in appostamento agli ungulati selvatici e forseanche come sito di guardia. Su un tratto della pareterocciosa più liscia è stata riconosciuta una pittura ru-pestre in ocra rossa, interpretata come un animale conlunghe corna e ritenuta preistorica.

Il vicino complesso archeologico di Varchignoli,sopra Villadossola, pure è stato oggetto di studi e ri-lievi. I suoi muri megalitici, con possenti scale in pietra,e le camere con copertura monolitica naturale inseritenei muri dei terrazzamenti, del tutto simili alle balmequi descritte, richiamano il metodo costruttivo del-l’area di Crevoladossola, così come sono simili gli am-bienti rocciosi di frana nei quali sono stati edificati.Sembrerebbero mancare però, in quest’ultima, alcunepeculiarità caratteristiche in Varchignoli, quali in primisi cosiddetti schènsgian e palanghèr, i sostegni litici chealloggiavano i pali per la coltivazione della vite. Non visi sono osservate, inoltre, le numerose camere con co-pertura a falsa volta, né si sono notati fontanili o cu-nicoli di drenaggio. È anche vero che in quest’area nonè stata effettuata sinora una ricerca scientifica siste-matica; i dati disponibili si basano esclusivamente su

esplorazioni appassionate, e sono quindi insufficientiper poter dare risposte certe. Non è escluso che un’os-servazione più approfondita possa in futuro aggiun-gere elementi importanti a quelli elencati, e fare unquadro d’insieme più ampio e realistico. Paolo Negri,a conclusione del suo studio su Varchignoli, propone“una datazione del complesso che, pur in assenza to-tale di reperti che garantiscano la scientificità dellastessa, potrebbe risalire al II-I millennio a.C., come cipiace pensare, alle origini dell’Ossola di pietra”.

Un ultimo elemento utile all’argomento è riscon-trabile poco sotto la frazione Pinone di Crevolados-sola, ove si trova il “Sasso della Colombera”, unosperone roccioso levigato dai ghiacciai durante le gla-ciazioni, che si allunga come un balcone sulla sotto-stante piana ossolana. La particolare posizionepanoramica ne fa un punto d’osservazione privile-giato; ne erano consapevoli gli antichi abitatori diquesti luoghi, i quali individuarono nel masso erraticoisolato, appoggiato sulla roccia, un luogo di culto.Tullio Bertamini lo cita come un altare preistorico, nelquale coppelle e canaletti, terminanti in un gocciola-toio, sono stati incisi per chiari scopi rituali.

Un augurio entusiasta sarebbe quello, nel futuroprossimo, di poter avviare ricerche più approfondite escavi archeologici, in modo da dare risposte scientifi-camente provate ai quesiti relativi all’area megaliticacon balme di Crevoladossola. Questa, insieme ad altrerealtà sinora non indagate in Ossola e particolarmentein Valle Antigorio, potrebbe riservare non poche sor-prese, accrescere la conoscenza dei primi abitatori diqueste vallate, così come già avvenuto in regioni alpinelimitrofe, ed aggiungere un importante tassello al qua-dro complessivo del territorio in epoca preistorica eprotostorica.

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Nella pagina successiva:il Sasso della Colombera

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Affermare che in Ossola tutto è di pietra è unaconstatazione banale, ma meno ovvia di quanto sem-bri. L’uomo ha sempre utilizzato i materiali più abbon-danti e a portata di mano per le sue costruzioni findalla preistoria, a meno che motivazioni cultuali o sa-crali esigessero l’uso di materiali particolarmente pre-giati e rari. In Ossola la pietra ha scandito per secolil’ambiente, il paesaggio e gli edifici, nonostante le co-perture in sasso richiedessero armature del tettomolto resistenti, fatte di tronchi d’albero. Nessuno,però, utilizzava il mattone, che comincia a occhieg-giare nelle decorazioni delle costruzioni romaniche diMergozzo e diventa materiale comune dalla fascia pe-demontana verso la bassa novarese.

Anche in Antigorio le costruzioni in sasso sonoprevalenti fin da epoca romana e medioevale, ma giàin Valle Formazza l’architettura prevede l’uso quasiesclusivo del legno per le pareti e della pietra per lecoperture, mentre gli unici edifici completamente inpietra sono le chiese e i campanili. Dove compare ilmarmo, come a Crevoladossola, esso è abbondante-mente utilizzato per gli edifici sacri e solo in alcunicasi per l’edilizia nobiliare, come il Castello dei Silvadi Crevola.

Offrire un itinerario completo delle architetture edei manufatti artistici in pietra della Valle Antigoriorichiederebbe troppo spazio o si ridurrebbe a un af-follato elenco di monumenti e di opere recuperabilesu qualsiasi guida turistica dell’Ossola.

Mi sembra più interessante proporre un percorsotematico più libero, che offra all’attenzione del lettore

opere apparentemente minori, ma cariche di fascino.Partendo da Crevoladossola, che pure non appar-tiene ancora alla Valle Antigorio, il luogo privilegiatoè l’ampio sagrato sul quale prospetta la chiesa par-

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Le pietre parlanoItinerario tra curiosità lapidee d’architettura e d’arte

Gian Vittorio Moro

La parrocchiale deiSS. Pietro e Paolo a Crevoladossola

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rocchiale, costruita su un promontorio roccioso af-facciato sul corso della Toce e sulla piana di Domo-dossola. La chiesa, di fondazione romanica, proba-bilmente su un luogo di culto preesistente, è stataampliata e decorata riccamente da Paolo della Silvanella prima metà del Cinquecento. Sulla sinistrasvetta il campanile romanico in pietra, nello stile lom-bardo del XII secolo. Alla sua base si può riconoscereun massello in sarizzo inciso con una figura umanastilizzata in forme infantili, ma riconducibile ai rilieviprotostorici e a un ambito sacrale molto antico.

L’ampia facciata a basilica è tutta rivestita dimarmo della vicina cava, che venne utilizzata per ilDuomo di Pavia e per l’Arco della Pace di Milano.Non è necessario accedere al sottotetto della chiesaper scoprire una incredibile sequenza di peducci ro-manici in marmo, raffiguranti teste stilizzate di guer-rieri, che ancora si conservano intatte, come vigilisentinelle, sui due lati del corpo centrale. Pubblicateda Tullio Bertamini, esse costituiscono un unicum nel-l’ambito della scultura locale. Accenniamo solo alprezioso apparato di formelle e sculture in marmocon figure di santi attribuite al Maestro di Crevola daGianfranco Bianchetti, che ha pubblicato anche imarmi quattrocenteschi provenienti dal Castello deiSilva e conservati ai Musei Civici di Domodossola, efissiamo l’attenzione al piccolo protiro a baldacchino,costruito all’inizio del Seicento sopra il portale cen-trale. Esso offre agli ignari devoti due conturbanti fi-

gure femminili dal prospero seno nudo, elaborazionemanierista del motivo della sirena, poste alle estremitàdei due mensoloni aggettanti. Il Bascapè, che pure neaveva sollecitato la costruzione ancora nel 1603, nonne sarebbe stato contento. Nessun vescovo in visitapastorale pare le abbia mai, per fortuna, notate.

A Montecrestese, che vanta uno degli edifici diculto più antichi dell’Ossola, il Tempietto di Roldo, lachiesa parrocchiale è stata ristrutturata tra Cinque-cento e Seicento, ma conserva ancora in facciata partedella struttura romanica, con peducci a vista ornati dauna serie di teste sorridenti, dai tratti vagamente orien-tali. Anche il campanile romanico è stato conservatoall’interno dell’attuale, seicentesco, imponente per di-mensioni (il più alto dell’Ossola), ed è visibile salendola scala che conduce alla cella campanaria.

Da Montecrestese si può raggiungere la Valle An-tigorio passando da Pontemaglio, toponimo che in-dica ancora oggi la presenza del ponte in pietra aschiena d’asino che varca la Toce e si ricongiunge allavecchia strada posta sotto un’ imponente parete diroccia aggettante, percorso suggestivo ben cono-sciuto dai viaggiatori dell’Ottocento e raffiguratonelle stampe coeve.

Giunti a Crodo, senza lasciarsi intimorire dallenuove strutture industriali, sorte anche sul sito di unanecropoli romana, ritroviamo, nella riscoperta fac-ciata di Santo Stefano, il familiare linguaggio dell’ar-chitettura romanica. Salendo verso Mozzio, su una

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Il protiro e un dettaglio della sirena

scolpita nel marmo diCrevoladossola

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L’altissimo campanile di Montecrestese

La facciata della chiesadi Santo Stefano aCrodo

La torre di Rondolacurva della strada in località Boarengo sorgono le co-siddette Case Marini: le strutture in solida pietra dellacasa-forte lasciano supporre l’importanza della fami-glia che portava questo nome, confermata, all’in-terno, da un interessante ciclo di affreschicinquecenteschi che rivela la loro nobiltà. Una targaconservata nel Cortile dei marmi di Palazzo Silva a Do-modossola proviene, infatti, dalla casa dei Marini aCrodo, ormai abbandonata, e conserva incisa nelmarmo la seguente iscrizione: DEI . OPT . MAX . AVX. / IOANNES . MARINUS. HAS . AEDES . E . FVNDA-MENTIS . EREXIT . / EBIBAT . ANTE . MARIS . FLUCTUS. FOR / MICA . TUMENTES . QUAM . MARINORUM .STIRPS . GENEROSA . CADAT . 1583 (Con l’aiuto diDio Massimo Onnipotente Giovanni Marino ha fattoinnalzare dalle fondamenta queste case. Che la for-mica possa bere tutte le agitate onde del mare primache tramonti la generosa stirpe dei Marini).

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Salendo verso Mozzio si nota, su un vasto ripianosulla sinistra, una singolare costruzione a torre, conampio ballatoio aggettante in legno, parte oggi di uncentro residenziale privato. Si tratta della quattrocen-tesca torre di Rondola, ampiamente restaurata, partedi un sistema di difesa e segnalazione che interessava

tutta l’Ossola e permetteva di mettere in comunica-zione i passi alpini con Milano: in Antigorio le torri diCristo a Premia e di Baceno, il cosiddetto “sbarra-mento” di Croveo e il castello di Rencio, il più antico,all’ingresso di Valle Antigorio, ormai ridotto a rudereinforme su un alto masso isolato, tanto da meritarsiun requiem.

Arrivati a Cravegna ritroviamo nella facciata dellaparrocchiale romanica, ristrutturata e ampliata nel se-colo XVI, l’ordito, sia pure rimaneggiato, delle pietredisposte di piatto e di taglio a formare edifici ex qua-dratis lapidibus eleganter constructi, secondo la bellaformula utilizzata nelle visite pastorali del Cinque-cento per indicare la loro antichità e bellezza. Il por-tale in marmo, datato MCCCCC16 (1516), ornato dastemmi gentilizi, ripropone in linguaggio vernacolareforme e decorazioni quattrocentesche, se non addi-rittura romaniche.

Non possiamo oltrepassare Baceno senza recarcialla chiesa parrocchiale di San Gaudenzio, uno deipiù imponenti edifici sacri non solo dell’Ossola, madella diocesi di Novara. La storia dell’edificio è com-plessa e affascinante, sorto com’è su una sporgenzarocciosa sopra il corso del torrente Devero. L’interno,in evidente pendenza, è un vero incunabolo di affre-schi e di arredi dal Trecento all’Ottocento. Vi lavora-rono i Cagnoli di Novara, famiglia di pittori ai qualisi attribuiscono ora gli affreschi del presbiterio e dellacappella della Madonna, Pietro della Caterina diPontemaglio, un pittore finora sconosciuto alla cri-tica, al quale Tullio Bertamini attribuisce le bellissimefigure di Adamo ed Eva dipinte nella cosiddetta Cap-pella degli esorcismi, sulla destra dell’altare mag-giore, figure orrendamente sconciate nel 1658 nonperché ritenute poco decenti, ma «di sinistra inter-pretazione per le persone idiote», e una ricchissimaproduzione che va da Baceno a Crevola, Masera, Ca-vandone di Verbania, Arona, San Giulio d’Orta, e, in-fine, Giacomo di Cardone di Montecrestese,anch’esso notaio e pittore. Tralasciamo le splendidevetrate di scuola svizzera, studiate dal Bianchetti siaa Baceno che a Crevola, per ritornare alla facciata,

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La facciata della chiesaparrocchiale di San

Giulio a Cravegna e dettaglio del portale in

marmo bianco del 1516

Nella pagina a fianco:San Gaudenzio di

Baceno

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ampliata nel Cinquecento “a capanna” utilizzandoil precedente edificio romanico del quale si notanoancora le serie di archetti pensili disposti alla som-mità. Il protiro a baldacchino sopra il portale è ge-mello di quello di Crevola e mostra le curiose sirenea seno nudo anche qui miracolosamente intatte.

Risalendo la valle verso Croveo, la seicentescachiesa parrocchiale di Santa Maria, dalla tradizionalefacciata a capanna, con elegante portale ligneoscolpito dal maestro Giorgio de Bernardis di Butto-gno, presenta un’ampia copertura in piode, a duespioventi, esempio tra i tanti della ingegnosità tec-nica e costruttiva adottata nell’utilizzare al meglio

la pietra locale. Curiosa è la soluzione adottata peril campanile, che sorge in alto tra due massi rocciosied è raggiungibile da una lunga scalinata con gra-dini in pietra. Altri esempi di case tradizionali anti-goriane, dove la pietra si unisce al legno, risalgonoal secolo XVI e XVII e sono ancora ben conservate.Alcune hanno ingressi binati, che consentono l’ac-cesso a due distinti corpi abitativi, e architravi in pie-tra incisi con iscrizioni dedicatorie.

Tra Baceno e Premia, su un ripiano appena visibiledalla statale e folto di vegetazione, in frazione Roz-zaro, sorge la chiesa di San Bernardo d’Aosta, con ac-canto i resti di un ospizio per pellegrini. Il complesso,tutto realizzato in pietre squadrate a vista, risale allaseconda metà del XIII secolo ed è tra i più antichi con-servati in Ossola. Di patronato della famiglia DeRodis, esso era affidato alle cure di un monaco o diun gruppo di monache che vi soggiornavano per as-sistere e rifocillare i pellegrini e i viandanti che nume-rosi percorrevano la valle verso il Gries, il passo di SanGiacomo, la Leventina e il Gottardo, quando le mon-tagne più che dividere univano le popolazioni dei dueversanti delle Alpi. Alla chiesa di San Bernardo, pervoto, il 1° di agosto si recavano in pellegrinaggio lecomunità di Crevola e Oira.

A Premia, la parrocchiale dedicata a San Micheleè stata ampiamente rimaneggiata nel tempo. Il pre-sbiterio conserva affreschi quattrocenteschi molto ri-toccati. Sulla facciata, a sinistra della porta centrale,è murata una lapide commemorativa dedicata alcommittente della prima cappella dedicata a San Mi-chele, il signor Guido II De Rodis, collettore della de-cima vescovile di Baceno e feudatario di Formazza.Incisa su pietra in caratteri capitali, essa recita: O.SA(NC)TE . MICHAEL / ORA . PRO . ME . PECCATOre/ DOMINUS . GUIDO DE . / RODIS . SUPERNIS . DE /PINCTUS . FECIT .HE / DIFICARE . ISTAM . HE / CCLE-SIAM . ANNO . / DOMINI . MCCL (O San Micheleprega per me peccatore. Il signor Guido de Rodis, raf-figurato qui sopra, ha fatto costruire questa chiesal’anno del Signore 1250). Del ritratto, un tempo col-locato sopra la lapide, non rimane traccia. La lapide,

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Il curioso campanile conlunga scalinata della

parrocchiale di SantaMaria a Croveo

Nella pagina accanto:Chiesa di San Bernardo

d’Aosta, in frazione Rozzaro di Premia

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raro esempio epigrafico in Ossola,venne spostata in facciata solo nell’Ot-tocento.

Oltrepassata Premia, subito dopol’abitato, una strada sulla destra, sottoCase Grazioli, scende sul fondovalle e,passata una suggestiva forra tra enormi,verticali pareti di roccia, raggiunge la pic-cola frazione di Crego, la cui chiesa è vi-sibile anche dall’abitato di Premia per lasua curiosa struttura ad arcate, che la fasembrare molto antica. La frazione ha,in realtà, un suo oratorio seicentesco de-dicato a San Rocco. Divenuta parrocchianel 1851, il nuovo parroco, don Lorenzo

La parrocchiale di SanMichele a Premia e ildettaglio della lapide

che ricorda la costruzione della

chiesa nel 1250

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Dresco di Trasquera (1808-1878), volle costruire unachiesa più grande, spendendoci fatica e denaro nel tra-sportare, sbozzare, decorare e mettere in opera di per-sona, scalpellino e muratore insieme, tutta la strutturae in particolare le 48 colonnine e gli archi che com-pongono il peristilio affacciato sulla valle. L’opera furealizzata, ma non completata nella pavimentazione,in quasi trent’anni, dal 1852 al 1878, anno della morteimprovvisa di don Dresco a Mozzio, come una sorta diex voto penitenziale dedicato all’Eucaristia, con ilmotto ADORAMUS TE intervallato da ostensori, ripe-tuto su tutti gli archi. Ma citazioni bibliche, invocazioni,versetti di varia provenienza e a volte indecifrabili,nomi di offerenti, sono incisi, tutti in latino, sui para-petti e sui massi che sostengono il colonnato. All’in-terno, lungo 70 metri, scorrono i versetti del LaudaSion Salvatorem, tratto dalla liturgia della festa delCorpus Domini, silenziosa e quasi folle testimonianzadi una devozione tenace che ha meritato a don Drescodi essere sepolto nella sua chiesa in fama di santità.

Ritornati sulla statale si prosegue per Piedilago,un piccolo nucleo di case e un oratorio raccolti in unpianoro erboso di fronte a un bacino artificiale.Anche qui la modestia del luogo non fa supporre cheda Piedilago (Pidelata nei documenti antichi) emigra-rono, nel corso del Cinquecento, intere famiglie diabili lapicidi che lavorarono al cantiere della Madonnadi Vico a Spello e in altri luoghi dell’Umbria.

A Passo di Premia, ormai al confine tra Antigorioe Formazza, il toponimo fa riferimento al passaggioobbligato tra due grandi massi attraverso i quali sistringeva la strada di Antigorio e Formazza, massi im-mortalati da numerose incisioni e litografie ottocen-tesche. Purtroppo essi sono stati sconsideratamentedistrutti negli anni Settanta del Novecento per favo-rire la circolazione, dopo aver costruito una varianteche oggi lambisce un grande spiazzo vuoto, dovesembra di avvertire ancora la loro presenza. Anche leombre possono sopravvivere.

Il nostro itinerario, tornando un poco indietro, si69

Oratorio di San Roccoa Crego

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conclude a San Rocco di Premia. L’ampia e impo-nente parete di roccia lisciata dal ghiacciaio sembraincombere sopra la chiesa parrocchiale dedicata aSan Rocco e lo squadrato campanile in pietra a vivo.L’attuale edificio risale al secolo XVII. L’esterno, piut-tosto semplice e regolare, contrasta con la ricca de-corazione a stucco dell’interno, che ricopre pilastri evolte senza soluzione di continuità. Di fronte al por-tico d’ingresso, in quella che un tempo era area ci-miteriale, sorge una delle numerose colonnemonumentali in sarizzo, su alto piedistallo, sormon-tate da una croce, con funzione apotropaica e devo-zionale, diffuse in tutta l’Ossola.

Non crediate di essere isolati dal mondo, osser-vando le imponenti cascate che precipitano dall’altolungo le pareti di roccia. San Rocco di Premia fu, in-fatti, insieme agli altri paesi della valle come Premia,Baceno, Cravegna e Mozzio, uno dei centri più vivacidell’emigrazione verso Bologna e Roma, dalla qualevenne munifica beneficenza in favore dei paesi natalie delle loro chiese, arricchite di quadri, argenti e tes-sili prodotti nelle migliori manifatture italiane. Pur trai porfidi e i marmi della Roma papale, gli emigrantinon si dimenticarono mai dei loro paesi di origine edella pietra aspra e scura che li aveva visti nascere.

Chiesa parrocchiale diSan Rocco di Premia

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Alla scoperta della Valle Antigorio nei piccoli museiFilippo Pirazzi - Elena Poletti Ecclesia

Geologia e archeologia della valle Antigorio, uni-tamente a storia e tradizioni, possono essere cono-sciute ed approfondite anche attraverso i percorsi deipiccoli musei che costellano il territorio ossolano.

Il museo mineralogico più noto della Valle si trovaa Crodo presso il Centro Studi Piero Ginocchi.Nell’elegante edificio che ospita la Fondazione omo-nima, ove è custodita anche un’importante biblio-teca, si possono ammirare i minerali tipici delleminiere d’oro antigoriane, nella sezione Scienze dellaTerra dedicata a Ubaldo Baroli.

Un’altra importante collezione mineralogica èstata recentemente aperta al pubblico presso ilMuseo Nazionale delle Acque Minerali, nei localiadiacenti l’ingresso principale delle Terme di Crodo. I campioni esposti fanno parte delle collezioni mine-ralogiche di Angelo Bianchi e Aldo Roggiani, raccoltiper la maggior parte in Valle Antigorio e Formazza,in Vigezzo, a Trontano, all’Alpe Veglia e Devero, e sulmitico Cervandone.

Tuttavia, il pezzo forte del museo delle Terme èrappresentato dalle collezioni di bottiglie e di eti-chette originali (80.000) delle più celebri acque mi-nerali italiane. La sezione è dedicata a CarloBrazzorotto. Completano il museo alcune antichemacchine ed attrezzature per l’imbottigliamento au-tomatizzato, oltre ad una biblioteca monografica.

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Ancora una collezione privata di minerali e di cri-stalli alpini si può visitare a Premia presso i locali ge-stiti dalla Pro Loco. Si tratta di oltre 3000 campioniraccolti con passione decennale dal parroco del paeseDon Giovanni Bonomo. I cristalli di quarzo espostisono particolarmente belli e di notevole dimensione;si presentano nei caratteristici habitus alpini, chesono il “Cristallo di rocca” e il Tessiner habitus, moltoappuntito.

Per avere un quadro dell’archeologia dell’area èconsigliata la visita dell’Archeomuseo Multime-diale, allestito presso la sede di Varzo dell’Ente AreeProtette dell’Ossola. Si tratta di un’aula didattica al-l’avanguardia, dedicata alla divulgazione dei risultatiottenuti in anni di ricerche archeologiche, condottein Valdossola e nella confinante regione elvetica delVallese. Non si tratta di un museo tradizionale, es-sendo quasi del tutto assenti i reperti. Si tratta invecedi un percorso che si sviluppa attraverso strumentimultimediali e schermi interattivi a comando tattile,ove il visitatore riceve le comunicazioni che gli inte-ressano, anteponendo il proprio percorso conoscitivoe di approfondimento. Il periodo archeologico consi-derato va dall’età della pietra a quella dei metalli. In-fine, una particolare attenzione è stata prevista per glistudenti a partire dai bambini delle scuole primarie.Oltre ad un’aula ad uso didattico, sono disponibili per-corsi di apprendimento mirati e giochi multimediali.

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Per chi voglia invece vedere direttamente alcunireperti archeologici della Valle, si consiglia la visita delCivico Museo Archeologico di Mergozzo, che, nelsuo percorso di archeologia locale dalla Preistoria alMedioevo, accoglie anche notevoli pezzi antigorianiquali l’ascia da combattimento in serpentinite ritro-vata all’Alpe Pontigei di Baceno, il pugnale in bronzodal passo dell’Arbola e la spada in ferro completa difodero, rinvenuta nella tomba di un guerriero lepon-zio del I secolo a.C. a Mozzio.

Un quadro tipologico delle suppellettili d’età ro-mana in quest’area alpina può essere ricostruito at-traverso la visita al Museo regionale di Binn, nellaconfinante vallata svizzera, ove sono custoditi repertida vari corredo tombali rinvenuti nel territorio di Binned anche alcuni provenienti dalla Valle Antigorio, daun sito non precisato, che si ritiene possa essere l’areadi necropoli di Crodo-Molinaccio.

Sempre a proposito di musei della Valle Antigorio,è d’obbligo ricordare la Casa Museo della Monta-gna a Viceno, frazione di Crodo, che riproduce unatipica abitazione contadina ossolana del passato. Ilvisitatore ha modo di percepire con chiarezza di par-ticolari come vivevano le genti montanare, impe-gnate quotidianamente nelle faccende di casa e dilavoro nei campi. Un telaio per la tessitura manualedella canapa, ancora perfettamente funzionante, è ilpezzo più pregiato conservato nel museo etnograficodi Viceno.

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Anche la Casa Forte di Formazza può conside-rarsi un museo etnografico, improntato sulla civiltàcontadina Walser di una delle colonie di lingua ale-manna più antiche dell’Ossola. La devozione alla Ma-donna e ai Santi protettori dei viandanti cheattraversavano i passi alpini in ogni stagione del-l’anno, con i muli da someggiatura o con gli sci dilegno di frassino, è percepibile osservando le bellestatue lignee di scuola tedesca del XV secolo e suc-cessivi, decorate con colori accesi e lamine d’oro.L’edificio che ospita il museo risale al 1569 e si trovain frazione Ponte. Strutturato su due piani è stato co-struito in pietra squadrata ed in esso dimorava l’“Am-mano”. Nel Cinquecento costui rappresentava lacittadinanza della comunità walser formazzina edaveva anche il compito di giudice locale.

Se la Valle Antigorio ha la sua prosecuzione mor-fologica nella Valle Formazza, il suo avvio prende ori-gine geograficamente a Crevoladossola, doveaccanto alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo,è stato istituto di recente un piccolo museo destinatoad illustrare l’architettura e l’arte sacra ossolana. Trai vari temi toccati, viene ricordata l’opera di HansFunk, illustre vetraio e pittore zurighese del XVI se-colo, le cui stupende vetrate colorate sanno ancoradare forti emozioni ai frequentatori della chiesastessa di Crevola ed a quelli della chiesa monumen-tale di Baceno, pure a lui attribuite.

Il Parco Naturale Veglia - Devero, oggi gestitodell’Ente Aree Protette dell’Ossola e che può vantareil primato istitutivo nel Piemonte, tiene aperto ogniestate a Crodo, nei locali delle Terme, un centro vi-site con annesso ufficio di informazioni turistiche espazi espositivi e didattici articolati, dedicati allafauna del Parco, con un diorama dell’ambiente d’altaquota, ed una sezione specifica sulle farfalle, ed allageologia, con un’aula attrezzata a laboratorio per ap-profondire gli aspetti geologici e mineralogici del ter-ritorio alpino compreso tra Crodo, le Alpi Veglia eDevero e le Valli Antigorio e Formazza.

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Sitinet: punto di arrivo e punto di partenza(Alessandro Pirocchi - Elena Poletti Ecclesia)

Fra le vallate primissime per bellezza(Ambrogina Pisoni)

Il castagno di Maglioggio (Ambrogina Pisoni)

Geologia della Valle Antigorio(Filippo Pirazzi)

Ortogneiss e cave (Enrico Zanoletti)Lo sfruttamento dell’oro in Ossola e in Valle Antigorio (Enrico Zanoletti)I cristalli nell’Antichità (Enrico Zanoletti)

Archeologia in Antigorio. Le orme dell’uomo dalla Preistoria al Medioevo(Elena Poletti Ecclesia)

L’ascia di Baceno e le pietre verdi (Enrico Zanoletti)

Tracce di antichi riti agresti. Coppelle e rocce scivolo in Valle Antigorio(Fabio Copiatti)

Masso altare delle Streghe al Cistella (Filippo Pirazzi - Sonia Vella)Masso con coppelle all’Alpe Vova (Alberto De Giuli)

Abitare tra le rocce. Uso delle balme nei secoli, esempi dalla Valle Antigorio e da altri contesti locali(Sonia Vella)

Le pietre parlano. Itinerario tra curiosità lapidee d’architettura e d’arte(Gian Vittorio Moro)

Alla scoperta della Valle Antigorio nei piccoli musei(Filippo Pirazzi - Elena Poletti Ecclesia)

Bibliografia

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Finito di stampareNovembre 2012Gravellona Toce