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Alpini. Le grandi impreseStoria delle Penne Nere

2a edizione 2010 rivista per la regione Friuli Venezia Giulia

copyright © 2009Editrice Storica

Treviso

Grafi ca e impaginazione di Stefano Gambarotto

Le immagini fotografi che che illustrano il presente volume, ove non diver-samente indicato, provengono dai seguenti archivi: Museo Centrale del Ri-sorgimento Roma (MCRR), Servizi Fotografi ci dell'Esercito Italiano (SFEI), Archivio ANA (ANA). Archivio Giuseppe Zanfron (AGP). L'editore ha effet-tuato ogni possibile ricerca nel tentativo di individuare altri soggetti titolari di copyright ed è a disposizione degli eventuali aventi diritto.

Editrice Storica è un marchio di proprietà di ISTRITIstituto per la Storia del Risorgimento Italiano - Comitato di Treviso

Via Sant'Ambrogio di Fiera, 6031100 - TREVISO

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ringraziamenti:

Carlo Brandani - Lorenzo Cadeddu - Aldo Tognana - Giuseppe StrippoliPaolo Pedrini - Fabrizio Pedrini - Alessandro del Fabbro - Anna Pugliese

Mazzotti - Daniele Tinti - Renato Cisilin - Giovanni Gasparet

Questa edizione è distribuita in allegato a:

direttore responsabile: Andrea Filippi

direttore responsabile: Paolo Possamai

AlpiniLe grandi imprese

Storia delle Penne Nere

Breve storia dell'Associazione Nazionale Alpini Le sezioni di Trieste - Udine - Gemona

Carnica - Pordenone - Palmanova - Gorizia - CividaleL'impegno civile degli alpini

Stefano GambarottoEnzo Raffaelli

con la collaborazione di

Mauro Depetroni - Fausto Corraduzza - Nereo GiantinPaolo Montina - Paolo Verdoliva

Massimiliano Sgualdino - Daniele Pellissetti

2010

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Breve storia dell'Associazione Nazionale Alpini

La guerra vinta era costata 148 miliardi lire, cifra enorme se si pensa che il pane costava 15 soldi al chilogrammo e un operaio specializzato portava a casa 45 lire di salario a settimana. Ora i nodi vengono al pettine: i contadini reclamano la terra che era stata loro promessa; nelle fabbriche si susseguono gli scioperi, le merci scarseggiano e i prezzi salgono con velocità vertigino-sa.1 Nel giro di pochi mesi erano state congedate undici classi di leva che avevano combattuto la guerra. Decine di migliaia di uomini tornano nelle campagne e nelle città, ma non trovano lavoro. il 20 novembre, due settimane dopo la fi ne della guerra vittoriosa, il presidente del consiglio Vittorio Ema-nuele Orlando aveva dichiarato alla Camera la sua fi duicia sulle istituzioni democratiche del paese. Esse – secondo Orlando - sono certamente in grado di garantire sviluppo e trasformazione della società. Non passava un giorno che tutti i capi dei partiti politici replicassero che fi nito «il sacro vincolo» della guerra le forze politiche si sentivano libere di riprendere le loro identità e iniziare nuove battaglie democratiche e parlamentari. Unica voce discorde era il movimento «Fascio Parlamentare di Difesa Nazionale», sorto dopo la rotta di Caporetto. Il «Fascio» chiedeva a gran voce un fronte unico di partiti per la difesa degli interessi nazionali. Dalla coalizione, ovviamente, doveva-no essere esclusi quelli che i membri del fascio chiamavano «i disfattisti». In realtà il fronte politico italiano era assai frastagliato. La sinistra guardava alla rivoluzione russa, mentre i nazionalisti chiedevano il fronte unico contro «il pericolo del bolscevismo. Una autorevole voce dell'epoca, quella del direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini, scriveva in un editoriale che «i fasci devono da ora rappresentare la fi ne dei vecchi partiti.» Non passerà molto tempo che la storia gli darà dato ragione.

Milano, al pari di Torino, era sconvolta da scioperi e agitazioni di ogni genere. Il «reduce» Benito Mussolini, già nel marzo 1919, aveva dato vita al «Fascio milanese di Combattimento». La sede del quotidiano socialista L'avanti! preso di mira per la sua linea politica era stata assaltata dagli arditi e distrutta. Cominciavano anche a circolare manganelli e olio di ricino. Questo il contesto sociale nei mesi immediatamente successivi alla fi ne della guerra.

Già agli inizi del 1919 erano sorte a Milano alcune associazioni d'arma, ma visto il clima rimasero ai margini, quasi clandestine. Nel mese di giugno un gruppo di ex alpini milanesi, si ritrovava in via Foscolo, in una birreria

1 Alla fi ne della guerra una lira carta valeva 81 centesimi. A dicembre del 1919 il suo valore era sceso a 37 centesimi oro. Il prezzo del pane era passato in un anno da 55 a 75 centesimi il chilo, mentre il burro da 6, 80 ora costava 12,25. Il prezzo del vino era quasi raddoppiato.

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dal nome tedesco, Spaten Brau, gestita da un ex penna nera. Il locale era meta abituale anche di soci del Club Alpino Italiano, anch'essi alpini in buon numero. In quell'ambiente venne formulata la proposta di dare vita ad una associazione – sezione milanese del C.A.I. – riservata agli alpini che avevano combattuto. Il capitano Arturo Andreoletti chiese invece le liste aperte a tutti coloro che «avevano titoli» e per titoli intendeva la semplice appartenenza al corpo degli alpini. La proposta fu accolta dopo «una cordiale discussione» e, allo stesso promotore viene affi dato l'incarico di redigere uno schema di statuto. L'assemblea dei soci, una sessantina di persone in tutto, convocata con una lettera a stampa2 si riunisce il l'8 luglio. Partecipano all'incontro an-che alpini provenienti dal Veneto e dal Piemonte. I «fondatori», versano la quota d'iscrizione, 10 lire, e un contributo straordinario di 20 lire3. Nel corso di quella storica assemblea, non mancarono le bizzarrie: ci fu chi non voleva tra i soci «le penne bianche», ossia gli uffi ciali superiori. Non piacevano a tutti neanche gli uffi ciali in servizio permanente, cioè di carriera. C'era infi ne che vedeva come fumo negli occhi i cappellani militari e gli uffi ciali medici di compagnia alpina o chi, in sede di fondazione, già stabiliva la data della morte dell'Associazione. Questi ultimi infatti proponevano che l'Associazio-ne rimanesse in vita «sino alla sopravvivenza dell'ultimo reduce della prima guerra mondiale». Le singolari proposte furono tutte bocciate dalla saggia maggioranza dell'assemblea, ma gli uffi ciali medici non la passarono liscia: per essere ammessi dovevano aver prestato servizio «per non meno di un anno in tempo di guerra». La presidenza fu assegnata al maggiore Daniele Crespi, deputato al parlamento, mentre suo vice venne nominato il promotore dell'iniziativa, il capitano Andreoletti.

La prima sede della neonata Associazione fu una stanza in Galleria Vitto-rio Emanuele messa a disposizione dal Comune di Milano. Successivamente si trasferì, sempre in Piazza del Duomo, sopra il caffè «Il Camparino». Crespi si dimise per motivi di salute dopo solo sei mesi lasciando la presidenza ad Andreoletti.4

2 Questo il testo della circolare: «Egregio Signore, nella sede della sezione milanese del C.A.I. per iniziativa di un nucleo di commilitoni, ebbe luogo nei giorni scorsi una riunione allo scopo di costituire in seno al Club Alpino stesso un Gruppo fra soci che appartengono o appartennero all'esercito. Nella riunione prevalse invece l'idea di fondare un'Associazione autonoma formata esclusivamente da alpini, così da accogliere in un'unica grande famiglia tutti gli appartenenti alla specialità, anche fuori della cerchia dei soci del C.A.I. […].» Il testo è ripreso da Storia dell'associazione nazionale alpini, a cura di Vitaliano Peduzzi, Nito Staich, Luciano Viazzi e Arturo Vita, ANA 1993, d'ora in poi Storia dell'ANA.3 20 lire equivalgono a circa 50 euro di oggi.4 Arturo Andreoletti era stato chiamato alle armi nel 1906. Dopo il corso per uffi ciali di

Arturo Andreoletti.

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9Tessera storica dell'ANA.

Da Milano all'Ortigara, alle Tofane a TrentoÈ bene ricordare che gli alpini, in Piemonte, in Veneto, in Friuli erano - si

può dire da sempre - organizzati in gruppi. In Piemonte, ad esempio, esisteva-no sin dalla fi ne dell'Ottocento delle «Società di Mutuo Soccorso» costituite da penne nere. Non appena si diffuse la notizia della costituzione dell'ANA milanese cominciarono a giungere richieste di adesione. Lo statuto, al punto 4°, indicava la modalità per entrare a fare parte dell'Associazione. Oltre a possedere il «requisito» principale, ossia di essere alpino, occorreva anche la controfi rma sulla domanda di ammissione, di due «soci fondatori».

La prima delle sezioni periferiche a nascere fu, nel gennaio del 1920, quella di Torino. I «soci fondatori» furono solo nove, ma ben presto in molti aderirono all'iniziativa. Alla presidenza della sezione piemontese il generale Cerri. Seguirono le altre sezioni: il 10 febbraio 1920 nasce quella di Bassano del Grappa, poi Verbano, Verona, Como. La sezione friulana di Udine fu costituita il 17 luglio. A seguire, sempre nel 1920, le sezioni di Padova, Vene-zia e Brescia. Di particolare interesse simbolico la costituzione della sezione di Trento. Durante la guerra gli unici alpini trentini, forse duecento, erano volontari irredenti facenti parte della «Legione Trentina». I componenti la «legione», essendo di fatto cittadini dell'impero asburgico, erano considerati dall'Austria disertori e traditori, basti pensare a Cesare Battisti e Fabio Filzi, uffi ciali degli alpini impiccati dopo la cattura sul Monte Corno.5

Il primo «convegno»6 dell'ANA, non ancora defi nito «raduno», termine

complemento presso il battaglione Morbegno fu assegnato al 7° alpini a Belluno «Per diversi anni alternò le esercitazioni militari ad impegnative ascensioni alpinistiche sulle Dolomiti […]. Nel 1908 con Carlo Prochownick e la guida Serafi no Passirenti compì la prima ascen-sione italiana della parete sud della Marmolada. [..] Andreoletti salì la Marmolada almeno trenta volte per vie diverse e quattro volte per la parete sud, fra il 1908 e il 1921.» Storia dell'ANA. cit. pag.15.Nel corso della guerra combatté col grado di capitano nel battaglione Val Cordevole proprio nel settore che conosceva meglio, quello della Marmolada. Nel 1917, era all'uffi cio opera-zioni del comando della 4ª armata sul Grappa. Nel corso dell'ultima battaglia, il 31 ottobre 1918, si guadagnò la medaglia d'argento con l'azione che portò alla conquista di Cismon in Valsugana. Per il suo carattere, ma soprattutto per le sue indubbie capacità, veniva chiamato il capitano Padreterno. Lasciò l'esercito il 31 marzo 1919.5 Gli alpini trentini organizzarono un «convegno-congresso» il 7 settembre al quale parte-ciparono molti dei convegnisti dell'Ortigara. Molti dei quali dopo le cerimonie sulla vetta raggiunsero Trento accolti alla stazione dal sindaco, senatore Zippel, la giunta al completo e banda cittadina. Il giorno dopo visita al castello del Buon Consiglio per rendere omaggio al sacrifi cio di Battisti, Chiesa e Filzi.6 Il presidente Andreoletti ricorda che, nel corso delle varie assemblee, era stato stabilito che gli alpini si sarebbero ritrovati periodicamente per celebrare le varie ricorrenze. L'Asso-ciazione organizzava per i soci varie manifestazioni chiamate «alpinopoli». Esse consisteva-

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La prima bandiera dell'ANA.

che verrà adottato solo in seguito, fu fi ssato sull'Ortigara, monte simbolo e Calvario per gli alpini. L'adesione, con relativo pagamento della quota di par-tecipazione al convegno, fu confermata da 400 soci7 ma, secondo gli orga-nizzatori, sull'Ortigara salirono «oltre duemila alpini».I partecipanti si erano dati appuntamento a Grigno in Valsugana per poi procedere, come logico per gli alpini, a piedi. Il 5 settembre 1920 le penne nere in colonna, preceduti dalla fanfara del battaglione Belluno si mettono in marcia. Dopo cinque ore è raggiunta la località Barricata (in quel luogo oggi c'è il rifugio). Sosta, con colazione alpina e partenza per Campo Magro, poco lontano dal Buso del Diavol, luogo previsto per l'accampamento. Pernottamento rigorosamente in tenda con solo paglia e qualche coperta. Il giorno dopo, di primo mattino, tutti sulla vetta per la cerimonia uffi ciale, ove già si erano portati cittadini, mon-tanari ed ex combattenti. In occasione dell'adunata sulla vetta dell'Ortigara doveva essere collocata una pesante colonna mozza, con la scritta incisa «Per non dimenticare». Ma, dopo tanta fatica per trascinare fi n lassù la colonna ci si accorse che mancava il basamento e quindi niente inaugurazione. La messa da campo fu celebrata dal cappellano militare Giulio Bevilacqua, alpino del battaglione Stelvio che aveva combattuto proprio su quel monte. Meglio di quel cappellano gli alpini non potevano scegliere per ricordare l'olocausto dell'Ortigara. Don Giulio in guerra era stato comandante di plotone e sicco-me, come prete, aborriva l'uso delle armi, tanto che persino un bastone per lui era troppo, portava all'attacco i suoi alpini completamente disarmato. Il valore del prete alpino don Giulio fu premiato con due medaglie al valor militare. Il cappellano, al momento dell'allocuzione, pronunciò un vibrante e commovente discorso rivolto ad «Alpini, Fanti, Bersaglieri, Artiglieri» che si concluse con queste parole: «[…] Ortigara, sei città di giganti. Nulla è possi-bile aggiungerti, nulla è possibile toglierti! Ortigara! Cattedrale degli alpini! Momento zenitale del sacrifi cio umano! Monte della nostra trasfi gurazione! Incubo e sogno delle nostre notti! Anima insanguinata dell'umana passione alpina!»

La guerra era fi nita da meno di due anni e tutte le ferite inferte alla natura da migliaia di granate di vario calibro, resti di trincee e baracche, tracce di reticolati erano ancora visibili come testimoni del tempo e della storia. Le immagini di quello storico convegno degli alpini del settembre del 1920 sono documentate da una serie di fotografi e scattate con una macchina fotografi ca

no in gare di sci, scalate, escursioni con pernottamenti in montagna sotto la tenda, marce ecc. Il termine «Adunata» fu coniato dal regime fascista.7 Il numero basso dei partecipanti all'adunata sull'Ortigara non stupisca, si tenga presente che l'ANA era appena nata e contava qualche migliaio di soci.

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non professionale, su pellicola 4X6, da Cristiano Domenico Bonomo di Asia-go.8 In quelle foto si può notare che i partecipanti alla cerimonia uffi ciale era-no un piccolo gruppo, formato forse qualche centinaio di persone e non certo migliaia. L'uniforme era indossata solo dai militari in servizio comandati di rappresentanza. Gli unici cappelli alpini che si vedono nelle foto sono quelli degli uffi ciali e dei soldati. I soci dell'ANA sono tutti rigorosamente in «bor-ghese», senza cappello con la penna, compreso il presidente Andreoletti.

Le adesione all'ANA proseguono senza sosta. Nel 1921 sono dieci le nuo-ve sezioni, tra queste quelle di Bergamo, Udine, Belluno e Treviso, ma anche quella dell'Italia centrale di Roma, e quella di Firenze. Il 1921, dal 3 all'11 settembre, fu stabilita la seconda grande manifestazione degli alpini. Questa volta la scelta di Andreoletti9 cadde sulle Dolomiti, Marmolada e Tofane. Il presidente, prima dell'evento, aveva compiuto una accurata ricognizione su luoghi accompagnato da una delegazione di uffi ciali del 7° reggimento. Nei Convegni degli alpini cominciava ad essere determinate l'aiuto, soprattutto dal punto di vista logistico, delle unità militari stanziate nelle zone interessate all'evento. Nel caso specifi co il comando del Corpo d'Armata di Verona e della 7ª Divisione di Trento, appoggiarono concretamente l'iniziativa. I pri-mi quattro giorni del Convegno riguardarono, quasi per intero, il ricordo del generale Cantore, assurto a simbolo per le truppe alpine. Il programma preve-deva: l'inaugurazione a Cortina del monumento in bronzo del generale, ope-ra dello scultore Umberto Diano, il congresso nazionale, l'inaugurazione del Rifugio Cantore e la collocazione di una stele di marmo da erigersi sul luogo della morte del generale. Gli altri giorni erano riservati alla Marmolada con accampamento ed escursioni varie in alta quota. Le adesioni alla manifesta-zione furono 480, non molte se viste alla luce delle adunate dei nostri giorni, ma il quel contesto, considerando anche le spese che i partecipanti dovevano sostenere per rimanere fuori casa una decina di giorni, era considerata una buona risposta. Scrive un cronista: «I congressisti partirono da Cortina – di buon mattino – a bordo di una eterogenea autocolonna che li portò ben oltre Vervei, ai piedi del Vallon Tofana. […] I convenuti si avviarono lentamente in fi la indiana, preceduti da una fanfara alpina che – di tanto in tanto – dava fi ato alle trombe per incoraggiare i ritardatari. […] [Giunti] di fronte al rifugio, de-corato con bandierine tricolori, era stata posta una lapide in bronzo contornata da una fronda d'alloro, con la semplice scritta: «A Cantore, L'Associazione

8 Gran parte delle fotografi e sul Convegno degli alpini sull'Ortigara sono pubblicate sul volume di Paolo Pozzato e Massimo Bonomo, La prima adunata degli alpini – Ortigara 6 settembre 1920. Asiago, Bonomo. 2006.9 Il presidente scelse per il convegno degli alpini un terreno a lui familiare: conosceva quelle cime sin dal 1908.

Nazionale Alpini». […] Prese la parola il colonnello Argentero, il quale de-scrisse con effi cacia e chiarezza le circostanze per le quali il «vecio» generale aveva perso incautamente la vita».10

Il giorno dopo gli irriducibili, ossia tutti quelli che si erano trattenuti sino all'ultimo dei dieci giorni previsti, erano circa un centinaio. All'alba, scarpe chiodate e grappette da ghiaccio, bastone ferrato e via lungo il versante sud-ovest della Marmolada sino al rifugio Contrin11. Narra il solito ironico croni-sta: «La partenza avvenne in gruppo compatto, fanfara in testa, gagliardetti al vento, passo marziale e disinvolto: la strada era in discesa! Alla prima ripida mulattiera di Val Contrin la musica ammutolì. Il gruppo nel frattempo si era assottigliato, i gagliardetti battevano un po' fl osci sulla schiena dei vessilliferi e molte persone si fermavano ogni dieci passi ad ammirare con insistenza il paesaggio…». Al seguito della comitiva c'erano ben quattro giornalisti: Al-fredo Ceriani, socio dell'ANA del Corriere della Sera; Cesco Tomaselli del Secolo; Lido Caiani del Popolo d'Italia e Nino Agostoni della Gazzetta dello Sport. I giornali avevano seguito la manifestazione per raccontare la proget-tata scalata di massa della Marmolada (80 partecipanti).

Nel 1922 si contano 15 nuove sezioni, tra le quali Feltre, Vicenza, Trieste, Marostica, Parma, e Bolognese-Romagnola. Tra queste una delle più attive si dimostrò quella di Trieste dando vita ad un'intensa attività. Nel mese di giugno gli alpini triestini erano sul Monte Nero per la cerimonia di inaugurazione del monumento eretto a ricordo dell'epica impresa per la conquista della terribile cima. Dopo pochi giorni, il monumento appena inaugurato fu danneggiato da ignoti vandali di origine non necessariamente alpina. La cosa suscitò natural-mente un certo scandalo.

Il 3° convegno, nel settembre 1922, si svolse a Trento. Era una grande occa-sione: ricorreva il cinquantenario della fondazione del corpo degli alpini. Era prevista una grande parata militare alla presenza del Sovrano e del ministro della guerra. Il ministro era Marcello Soleri, uomo di grande cultura. Prima della guerra Soleri era stato deputato liberale di Cuneo del partito giolittiano, fervente neutralista. All'inizio della guerra tuttavia si arruolò volontario, natu-ralmente negli alpini. Celebre il suo intervento, nel febbraio del 1915, quando a Cuneo venne Cesare Battisti il quale durante una manifestazione interventista, fu quasi aggredito dagli avversari che non volevano che parlasse. Egli che era assente alla manifestazione in quanto di opinioni opposte, avvertito di quanto

10 Storia dell'Ana, op. cit. pag. 33.11 Il rifugio era stato ricostruito, su pressione di Andreoletti, dalla Società alpinisti tridenti-ni. Nel settembre del 1915 era stato proprio il capitano degli alpini Andreoletti a fare incen-diare il rifugio con colpi di artiglieria.

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151932. L'adunata nazionale di Napoli. ANA.

stava accadendo intervenne con prontezza in difesa della libertà di parola e di opinione del Battisti. In guerra Soleri, che si era comportato con valore e co-raggio, fu gravemente ferito e decorato di medaglia d'argento al valor militare. Dopo il confl itto aveva fatto parte dei governi Orlando e Nitti con vari inca-richi. Nel 1992 è chiamato da Luigi Facta a reggere il ministero della guerra proprio in uno dei momenti più delicati e drammatici della storia d'Italia post bellica. Soleri, come qualsiasi altro, in quel contesto, avrebbe fatto volentieri a meno di quell'ingombrante incarico, ma non fu possibile. In proposito scris-se: «Sono stato catturato malgrado ogni difesa e resistenza». A luglio aveva parlato con Andreoletti della convenzione alpina di settembre e manifestato la sua angoscia sul futuro annotando: «Siamo alla vigilia di una crisi inevitabile. Cosa avverrà?» Soleri prevedeva quello che sarebbe accaduto come si per-cepisce dalle parole pronunciate a Trento, davanti al Re e davanti agli alpini. «L'Italia – disse il ministro – fu costruita fra le bufere della storia, come le case degli alpini fra quelle delle alpi e anche oggi la scuotono raffi che di violen-za. Sappia ognuno deporre qualche cosa della propria passione, rinunciare nel nome dell'Italia a ciò che è tendenza di parte e non di Patria, riconoscere i suoi errori ed emendarli, piegarsi alla suprema esigenza nazionale […]».12 Parole al vento quelle del liberale Soleri. Come ministro ed in previsione di quanto poteva accadere aveva fatto scendere nella capitale diversi battaglioni di alpini sui quali poteva contare fi no in fondo, ma non servirono. Col senno di poi si è detto che l'esercito era in condiziono di impedire alle squadre fasciste l'ingres-so violento in Roma. Ė vero, avrebbe potuto, e anche saputo farlo. Bastava che qualcuno lo ordinasse. Lo poteva ordinare il ministro della guerra? Forse sì, se tutto il governo si fosse dimostrato compatto. Il decreto per lo stato d'assedio, preparato da Soleri, non ottenne la fi rma del re. Il resto è noto.

Torniamo al nostro raduno di Trento. Erano presenti le rappresentanze uf-fi ciali e i labari di tutti e nove i reggimenti alpini e dei tre reggimenti di arti-glieria da montagna.13 A questi si aggiunsero i gagliardetti dei 227 battaglioni in vita e dei 38 disciolti alla fi ne della guerra. La manifestazione di Trento fu diversa da quelle precedenti e fece scuola per quelle future. A Trento, per la prima volta, i soci partecipanti sfi larono in parata per le vie cittadine suddivisi in gruppi e sezioni di appartenenza. Tuttavia una cosa ancora mancava: il cap-pello con la penna. Gli alpini sfi larono tutti a capo scoperto, solo gli uffi ciali potevano, in talune circostanze, indossare l'uniforme con relative decorazioni

12 Storia dell'Ana, op. cit. pag. 36 –37.13 Gli artiglieri da montagna, come vedremo, non facevano parte dell'ANA, ma avevano una propria associazione l'ANAM. A Trento gli artiglieri sfi larono per la prima volta insieme agli alpini.

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mentre la truppa doveva presentarsi ai raduni d'arma «in abito civile, senza alcun copricapo, né bracciali con gradi, né stellette o mostrine». Insomma – per paradosso - agli alpini che celebravano la loro festa in quanto alpini era precluso lo sfoggio di qualsiasi segno che li facesse riconoscere.

«Quel giorno – scrive un cronista – di buon mattino, i soci dell'ANA. si era-no dati convegno in piazza del Duomo, per riordinare le fi le, successivamente, avevano raggiunto in corteo l'ex piazza d'armi, dove si sarebbe svolta la mani-festazione […]. Soleri pronunciò, applauditissimo, il suo discorso commemo-rativo e ricco di spunti di attualità, al termine del quale la madre di Fabio Filzi presentò a Sua Maestà un cappello alpino sopra un cuscino cremisi. Subito dopo Livia Battisti, la fi glia del Martire, offrì al battaglione Trento, schierato davanti al palco reale, il gagliardetto donato dalle donne della città».14

La parata davanti al Re, che non pronunciò verbo, fu ordinata ed imponen-te. Prima sfi larono i reparti in armi poi le diverse sezioni dell'ANA e ANAM con il loro presidenti e capigruppo. La cerimonia si concluse con la visita alla Fossa del Martiri del castello del Buon Consiglio e un omaggio al monumento a Dante in piazza dell'Unità. Il giorno dopo era prevista una manifestazione in un teatro a Bolzano, in un ambiente diverso da quello di Trento, ma tutto fi lò via liscio anche se il dibattito era incentrato su un tema assai delicato «Il reclutamento alpino in Alto Adige». A rappresentare la città fu inviato il prosindaco Cristianell che - se si prendono per buone le parole del cronista – «in lingua italiana portò il saluto della città ed espresse parole di simpatia ed ammirazione per gli alpini». Nei giorni successivi gita in Val Venosta, Merano e Malles fi no alle sorgenti dell'Adige a passo Resia. «Con questa presa di pos-sesso simbolica dei nuovi confi ni della Patria si concluse la parte celebrativa del convegno alpino».

Al raduno di Trento l'Associazione venne ribattezzata 10° reggimento (i reggimenti in vita erano nove) e si portò dietro il nome di quel reparto che non c'era sin dopo la seconda guerra mondiale. Riportiamo quanto è scritto nella Storia dell'ANA: «A proposito della presenza del re, vogliamo ricordare una delle versioni sul come e perché ad un certo momento la nostra Associazione venne ribattezzata 10° Reggimento Alpini […]. Si dice che, nella preparazione della adunata di Trento, il presidente Andreoletti si recò a Roma per invitare il Re. Aveva avuto l'ordine di attenersi al «protocollo» ma in un momento di pausa dell'udienza, approfi ttò per ricordare al Sovrano che nelle sale convegno dei nove reggimenti alpini erano esposte le sue foto con dedica. Il Re promise che ne avrebbe inviata una anche al DECIMO.15

14 Storia dell'ANA, op. cit. pag.39.15 Quando nel 1935, per la campagna in Africa orientale, si costituì un nuovo reggimento

Il numero de «L'alpino» pubblicato in occasione del secondo convegno nazionale sulle Tofane

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1922. L'adunata di Trento. Il ministro della guerra Giuseppe Soleri pronuncia il discorso uffi ciale.

1935. La statua del generale Cantore inaugurata a Tripoli durante l'adunata di quell'anno.

L'evoluzione dell'Associazione L'ANA, come abbiamo visto, era nata a Milano e a Milano facevano capo

tutte le sezioni del paese. Esse non avevano nessuna voce in capitolo in deci-sioni operative. Andreoletti, col suo carattere decisionista ed autoritario, non accettava interferenze. La scelta che era stata fatta all'inizio ricalcava, grosso modo, quella del Touring Club Italiano, privo di strutture intermedie tra il centro e la base. In quel contesto i soci dell'ANA, avevano diritto di parola solo in occasione dell'assemblea milanese ossia, erano chiamati a ratifi care ed approvare decisioni già prese. Un siffatto modo di procedere poteva essere accettato fi no a quando il numero degli iscritti rimaneva relativamente basso e le sezioni dislocate in zone non distanti da Milano. Ma quando il numero delle sezioni, si allargò (gli iscritti superavano le 800 unità) si dovette consta-re che non si «poteva prescindere dalla naturale tendenza all'aggruppamento per regioni e località, dove erano tradizionali – con il reclutamento valligiano – l'attività e le funzioni del corpo degli Alpini».16 La nuova realtà obbligava alla revisione dello statuto e fu così previsto che là dove esistessero almeno 50 soci si potevano aprire delle sezioni autonome, con un proprio consiglio diret-tivo. Questa semplice, ma necessaria modifi ca dello statuto consentì, dal 1920 al 1922, che gli iscritti passassero da 800 ad oltre 8.000. Tuttavia, «pur aven-do istituito delle sezioni formalmente autonome, non si provvide alla conse-guente costituzione di un organo centrale, indipendente dalle sezioni esistenti avente una forte autorità regolatrice ed unifi catrice delle singole attività se-zionali […]». Nel gennaio del 1922 fu inserito nello statuto un capoverso così concepito: «Il Consiglio Direttivo convocherà, almeno due volte l'anno, i presidenti delle sezioni per riferire sull'andamento generale dell'Associazione e per consultarli su oggetti di ordine straordinario interessanti l'ANA». In pra-tica non cambiava praticamente nulla. A poco servì anche l'allargamento delle deleghe sociali per farsi rappresentare all'Assemblea: ogni delegato poteva rappresentare fi no a 50 soci, prima erano 5, poi 15. Il dibattito andò avanti senza che però si vedessero dei cambiamenti. Nel 1923 le già agitate acque vennero smosse dal presidente della sezione di Torino, avv. Operti. Andreo-letti si era dimesso ma il «suo» gruppo aveva voce in capitolo sulla gestione dell'ANA. Chiedeva Operti: - che il Consiglio Direttivo fosse emanazione di-retta «non degli 825 soci residenti a Milano, ma degli oltre 6000 sparsi in tutta Italia»; - la creazione di una sezione anche a Milano, ben distinta dal consiglio Direttivo; - «delegati all'Assemblea da nominarsi annualmente in seno alle se-zioni dai rispettivi soci nella proporzione di uno ogni cinquanta». Insomma si

alpini esso ebbe il numero 11.16 Storia dell'ANA, op. cit., pag. 40.

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voleva una direzione dell'ANA democratica che rappresentasse la realtà delle sezioni. Le proposte di Operti, più che sensate, messe ai voti, furono singo-larmente e inopinatamente bocciate con 1352 voti contro 1004. La spaccatura era netta ed evidente. Singolare anche la giustifi cazione che dava la maggio-ranza: «L'Associazione oggi costituita – secondo i padri fondatori - forma un corpo unico di cui i componenti sono i singoli individui […] invece con la trasformazione proposta, creando enti autonomi o quasi, si faciliterebbe una divisione di forze […] La sezione non rappresenta un ente autonomo a sé: essa è soltanto l'organo che deve dar modo ai soci residenti lontano dalla sede di potersi riunire e di poter prendere parte attiva alla vita dell'Associazione. Il nome stesso di sezione non è corrispondente alle sue funzioni e sarebbe opportuno cambiarlo per levare nella forma ciò che non è nella sostanza».17 Altro che democrazia! Si tornava al nominalismo medievale.18 I contrasti, le discussioni, le polemiche continuarono sino al 1928 quando il regime mus-soliniano mise tutti d'accordo considerando l'Associazione come cosa sua a partire dalla nomina del presidente. I centralisti di Andreoletti ebbero sempre la meglio: non consentirono neanche agli artiglieri da montagna di entrare a far parte dell'associazione. I nostri cugini, termine cui venivano appellati gli artiglieri e che non piaceva per niente al colonnello Cavarzerani, al massimo potevano ottenere da Andreoletti un aiuto fraterno, ma dovevano crearsi «una loro famiglia».

Nonostante tutto, polemiche, dimissioni di presidenti, «presidenze grigie» come quella di Ernesto Robustelli che rimase in carica un triennio, il successo dell'ANA si andava consolidando. La situazione del «10° reggimento Alpini» nome improprio affi bbiato uffi cialmente all'associazione, al 30 giugno 1927, vede la presenza di 52 sezioni, 10 in Lombardia,13 in Piemonte, compresa la Valle d'Aosta, 22 nelle Tre Venezie, 6 tra Liguria, Toscana e Lazio. I soci iscritti erano 16.374.

I tempi cambiavano anche per l'ANA. L'Associazione che era nata apoli-tica e apartitica subisce, almeno nei vertici, una involuzione non da poco. Al termine dell'assemblea del 26 febbraio 1928, il presidente «grigio» Robustel-li, ma dietro a lui c'era «il padreterno» Andreoletti, invia questo messaggio a Mussolini, capo del Governo e ministro della Guerra: « Ventimila alpini riu-niti in assemblea annuale nel decennale della Vittoria confermano alla Eccel-lenza Vostra di essere pronti a tutto osare sui monti e attraverso i monti, senza nulla chiedere, per le maggiori fortune della Patria». Intanto però, nei felpati

17 Storia dell'ANA, op. cit., pag. . 41.18 Lo statuto dell'Associazione in vigore dal 1947 prevede proprio quello che i padri fon-datori avevano sempre osteggiato.

Rivetti (a destra) e Manaresi. ANA.

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palazzi romani c'era chi preparava proprio la giubilazione di Andreoletti. Nel-la capitale agiva il generale Ottavio Zoppi, ispettore delle truppe alpine, a Milano invece l'onorevole Manaresi, già uffi ciale del battaglione Feltre. Ecco il brano di una lettera fra i due del 31 maggio 1928. Scrive il generale: «Come mai tarda il decreto? […] So che il regno del famigerato capo della pattuglia milanese sta per tramontare causa il declino dell'astro (l'On. Belloni, sotto processo con l'accusa di ruberie varie) cui quel piccolo satellite intrigante si è appiccicato.» Ma a Milano, nel frattempo, si erano portati avanti con il lavo-ro. Andreoletti viene convocato in prefettura e «invitato» a farsi da parte. Era però questo un invito improprio in quando le cariche uffi ciali dell'ANA face-vano capo ad altri. Il 25 aprile il prefetto convoca uffi cialmente i responsabili dell'Associazione, il presidente Robustelli ed il segretario generale Puricelli e, a nome del governo, chiede senza troppi complimenti di dare le dimissioni e ciò «non per ragioni politiche, non per ragioni amministrative e neppure per ragioni organizzative». E allora perché il governo chiedeva l'azzeramento dei vertici ANA? Tornato a casa il presidente ci pensò su e scrisse al prefetto che era suo dovere dare conto ai soci del perché delle dimissioni e dunque l'alto funzionario rendesse pubbliche le cause. La risposta del prefetto fu che le dimissioni dovevano essere date: «per desiderio del governo». A quel punto al presidente dimissionato non restava che darne comunicazione all'assem-blea la quale, «dopo ampia discussione», emanò questo brillante e pilatesco ordine del giorno: «Il Consiglio dell'Associazione Nazionale Alpini udita la relazione del presidente. Ricordando con vivo compiacimento come l'opera per un decennio svolta dall'Associazione, in piena armonia con le direttive del regime Fascista, abbia sempre avuto ambiti riconoscimenti da parte delle su-periori gerarchie, per i risultati di valorizzazione della guerra e della vittoria e di coesione degli spiriti alpini. Ritenuto che una revisione degli ordinamenti che reggono l'Associazione si rende opportuno non per ragioni politiche, od amministrative o morali, ma soltanto per l'attuazione integrale dei principi dello stato Fascista dà mandato all'Uffi cio di presidenza, cui rivolge il più fer-vido voto di plauso per le attività prodigate alla Associazione, di rassegnare le dimissioni del Consiglio nelle mani di S.E. il Prefetto di Milano. […]»19

Chi fu nominato Commissario straordinario dell'ANA dopo un breve pe-riodo di reggenza? Naturalmente l'On. Manaresi con tanto di decreto, fi rmato dal duce, in data 15 maggio 1929, che così recita: «Il Capo dello Stato/ Primo Ministro e Segretario di Stato […] Decreta: ''L'On. avv. Angelo Manaresi è nominato Presidente dell'Associazione Nazionale degli Alpini''.»

I due compari che avevano intensamente lavorato per raggiungere quel

19 Storia dell'ANA, op. cit., pag. 55.

risultato si elogiavano l'un l'altro. Quando Zoppi lasciò l'incarico di ispetto-re, fu lodato pubblicamente da Manaresi «per aver reso ancora più fraterni i rapporti fra gli alpini in armi e quelli in congedo, contribuendo a consolidare quella serena comunione di spiriti e d'intenti che è il lievito di potenza per il domani.» Dunque il regime fascista aveva messo le mani anche nelle associa-zioni d'arma che erano sempre state «democratiche». Naturalmente ci fu chi non accettò un simile stato di cose. Marcello Soleri, Bonomi ed altri si dimi-sero dall'Associazione non più espressione degli alpini ma del regime.

Per celebrare degnamente il nuovo corso nel 1930 fu indetta a Roma una grande manifestazione nazionale degli alpini e, per la prima volta, comparve il nome di adunata. Naturalmente il nuovo corso fu inaugurato con una spe-cie di marcia su Roma. Decine di treni speciali riservati agli alpini, alloggiati gratuitamente in caserme e scuole con tanto di distribuzione del rancio: unico neo della poderosa organizzazione, le coperte da campo. Forse non bastavano per tutti ed allora ecco il secco comunicato uffi ciale: «A costoro, per ovvie ragioni d'igiene, non saranno distribuite coperte: perciò ciascuno alpino dovrà partire provvisto o di una coperta da campo a tracolla, o di un pastrano, più che suffi cienti dato il mitissimo clima romano.» Finalmente, però compari-va il cappello alpino e la promessa non mantenuta – per il futuro – anche di sfi lare in uniforme. L'ammassamento si ebbe in S. Pietro, con messa solenne e benedizione papale (il concordato era di fresca data). Poi tutti in pazza del Quirinale davanti «all'Augusto Sovrano». Infi ne grande raduno al Colosseo per sentite «l'infuocato discorso» del capo del governo fascista, il quale – fra l'altro – disse che «sarebbe un triste giorno per voi e per la Nazione quello in cui la razza dei forti alpini dovesse fi nire». Finalmente prese la parola il Manaresi e ci volle del bello e del buono perché si zittisse. Cominciò con «L'alba grigia e ventosa» e fi nì con «La folla urla la sua passione e il suo fre-mente consenso». Durante la sfi lata – regolamento alla mano - che avveniva per plotoni «nessuno poteva portare con sé, valigie, pacchetti, fi aschi od altri oggetti che potessero togliere al corteo la necessaria compostezza ed austeri-tà». Confessiamo di non essere riusciti ad appurare che fi ne abbiano fatto le coperte portate da casa.

Nel corso del decennio 1928 – 1938 sorsero le prime sezione degli alpini all'estero ove tanti erano i nostri emigranti. Quelle più antiche sono Parigi, Londra, Basilea, Lione, Metz, Berlino. Oltre l'Atlantico nascono piccole se-zioni a New York, Buenos Aires e Montevideo. Non potevano mancare se-zioni nell'Africa coloniale: Tripoli, Asmara, Bengasi, Mogadiscio, Addis Abeba.

Il quel fervore poteva la sede dell'Associazione rimanere a Milano? Do-

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manda retorica No, non poteva. Infatti il presidente Manaresi comunica ai subordinati, (non ci viene in mente un altro termine) che «L'Associazione Nazionale Alpini «per disposizione delle superiori Gerarchie, in armonia con quanto disposto per quasi tutte le Associazioni patriottiche e sportive d'im-portanza nazionale, trasferisce la sua sede a Roma». A Milano, città che ha dato vita all'ANA tanti saluti e «un senso di accorata tristezza». D'altronde – prosegue il presidente – gli alpini «si allontanano da Milano, che è al centro della grande cerchia alpina» per trasferirsi nella capitale accolti da Papa, Re e Duce con un alto saluto». E così anche a Milano, che per anni non l'aveva mai voluta, prese vita una sezione come tutte le altre. «Essa nacque il primo dicembre 1928, un po' silenziosamente».

Il nuovo corso non prevedeva elezioni e fronzoli vari. Tutti nominati diret-tamente dal comandante Manaresi. Sono così cooptati nel consiglio onorevoli e generali: insomma il meglio degli amici del presidente.

L'Associazione è profondamente cambiata, persino il nome, Associazio-ne, ha perso il senso reale del termine. Essa è diventata un'altra cosa. Da Roma giungono disposizioni, ordini. Nessuno più parla, non c'è più niente da discutere: tutto è imposto «dalle superiori gerarchie». Persino le circolari che riguardano il tesseramento annuale che i soci pagavano di tasca propria, hanno un che di autoritario, di fascista, di sprezzante. La circolare è diretta «ai Presidenti di sezione! Capi Gruppo! Scarponi20 tutti del 10°: attenti! S.E. Il Comandante ha disposto quanto segue. E giù una lunga serie di disposizioni imperiose, gerarchiche, con intere frasi in maiuscolo per renderle autoritarie, quasi minacciose, assurde per un'associazione tra pari.

Nel 1932, sorse una dura polemica tra Associazioni. L'artiglieria infatti,non ci stava a perdere iscritti a favore degli alpini. Si trovò una complicata solu-zione con il doppio tesseramento. Gli artiglieri da montagna venivano iscritti all'Associazione degli artiglieri e a quella degli alpini. Nel 1933, per la pri-ma volta, calano gli iscritti. In particolare, sezioni importanti come quelle di Cuneo, Torino, Pinerolo e Verona perdono soci a migliaia. La presidenza nazionale se la cava addebitando il calo «al malvezzo di iscrivere anche gio-vani alpini, non del tutto convinti e determinati». La verità è che non tutti si lasciavano comandare docilmente e non a tutti andava bene il linguaggio tra sprezzante e pseudoironico di Manaresi. E, soprattutto, non tutti erano fascisti

20 Nell'agosto del 1931 comparve su l'Alpino, periodico uffi ciale dell'Associazione, una lettera dell'avv. Guglia, della sezione di Genova, il quale criticava il termine «scarpone» riferito agli alpini e chiedeva un dibattito in proposito. Manaresi fu d'accordo sul dibattito, naturalmente da tenersi rigorosamente sull'Alpino. A sorpresa, la maggioranza dei circa 80 interventi, non ne volle sapere di cancellare «il famoso soprannome».

1933. Gli alpini di New York incontrano il trasvolatore Italo Balbo. ANA.

Tessera del «decimo reggimento» alpini.

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e l'Associazione era ormai un appendice della politica di regime. A un certo momento sulla scheda d'iscrizione dei nuovi soci comparve la domanda: È iscritto al partito fascista dal… Dunque l'iscrizione all'Associazione presup-poneva di avere in tasca la tessera del partito.

L'Adunata degli alpini a Tripoli«Crociera indimenticabile: Trieste, Venezia, Bari, Tripoli». 79 delle 88 se-

zioni degli alpini sono rappresentate a bordo della nave Neptunia. Narrano le cronache che a bordo, ai vari approdi, sono saliti 2.000 alpini, ma anche «17 generali e 12 cappellani». Questa volta, per probabili ragioni climatiche ed ambientali, e per ricordare la vittoria del colonnello Cantore, l'adunata è stata organizzata con un certo anticipo sulla tradizione. Lo sbarco dei convegnisti è il 20 marzo. Gran folla al porto, al castello il saluto dell'alpino Balbo, go-vernatore della Libia. A seguire l'inaugurazione del monumento al generale Cantore, che dalle quelle parti aveva combattuto. La statua del generale era stata portata dall'Italia ed era stata pagata dagli iscritti «con pubblica sotto-scrizione». Nel pomeriggio tutti a Tagiura, in treno, per assistere ad una dan-za selvaggia con «rullio di tamburi in cadenza condotta da migliaia di arabi candidi nei lunghi barracani». Ritorno in città e «alla sera, ricevimento da mille e una notte, nel palazzo del Governatore». Ma vale la pena di seguire il cronista: «I rifl ettori sciabolavano il cielo, il palazzo era illuminato a giorno: gli zaptiè a cavallo colle sciabole sguainate, rendevano gli onori; Balbo e la signora accolsero gli ospiti e salutarono tutti uno per uno; gli alpini si muove-vano come in sogno su morbidi e felpati tappeti, lungo bianchi loggiati more-schi, fi no ad un immenso giardino, tutto palme e fi ori, dove musiche invisibili ripetevano motivi alpini e da cinque fontane zampillava in permanenza vino! […]. A mezzanotte il Governatore offrì a tutti «polenta e tocio» e un ottimo vino spumante. Entusiasmo e allegria a non fi nire».

Il mattino seguente, (la festa al castello era fi nita all'alba) i superstiti mon-tati su autocarri si recarono sulle tracce di Cantore, dall'altipiano da Aziza fi no al campo di Assaba «dove il 23 marzo 1913 Cantore combatté e vinse». Ritorno a Tripoli, spese al Suk di «tappeti, pelli, barracani, monili, sandali, oggetti d'artigianato e quant'altro da portare fra i monti». In serata, tutti a bordo, «si riparte: il porto è illuminato a festa […] Da terra i rimasti salutano sventolando bandiere e fazzoletti, mentre il cielo si accendeva di fuochi d'ar-tifi cio e Balbo salutava dalla riva, agitando il suo cappellaccio alpino. Nella notte stellata, la nave carica di alpini riprese la rotta verso l'Italia lontana.» In quel suggestivo clima poteva mancare un grave pensiero del Gerarca alpino Manaresi? No, non poteva e infatti, ricorda Manaresi: «Guardo gli alpini che

1935. Il manifesto dell'adunata in terra di Libia.

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29Il raduno di Tripoli. Foto Zambelli. Archivio ANA Padova.

mi sono accanto, fra il lume e lo scuro, mentre la nave scorre sul mare nero di notte, vedo sui volti rudi, battuti dal vento e dal sole, segni di lacrime.» Ogni commento è superfl uo. Il raduno di Tripoli fu anche l'ultimo a essere fatto in allegria. Nel marzo del 1937, con una svolta formalmente autoritaria, tutte le associazioni d'arma passano alle dirette dipendenze del «Direttorio del Partito Nazionale Fascista». In pratica si tratta di sanzionare l'esistente. I soci sono avvisati con breve comunicato nel quale si registra che non c'è nessuna novità. Di fatto le cose erano già così. Nel comunicato si riafferma « in modo solenne, l'alto valore politico e guerriero di queste nostre compagnie di vecchi e giovani soldati, agli ordini del Regime, in ogni momento per ogni prova». Quello che fi n lì era stato solo un sinonimo dell'ANA, 10° reggimento alpini, diventa il nome uffi ciale.21

Il consiglio direttivo, retto da Manaresi viene sciolto. Non c'è più bisogno neanche della forma. Lo statuto è riscritto secondo il nuovo dettame. Si chiamerà Statuto-Regolamento e viene pubblicato sul «Foglio di disposizioni del 21 novembre 1938 – XVII E. F.». L'art. 5 recita che scopo dell'ANA era: «collaborazione con il P.N.F., con le Forze Armate e con le organizzazioni del regime fascista ai fi ni della preparazione militare della nazione» e il «tenere vivo lo spirito e alte tradizioni del Corpo». L'art. 8 dispone che «Gli iscritti al reggimento (il 10°), prestano il seguente giuramento: nel nome di Dio e dell'Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, col mio sangue la causa della rivoluzione fascista». L'art.10 è una perla, in esso si legge: «Non possono appartenere al reggimento […] coloro che, non essendo iscritti al P.N.F., non hanno buona condotta politica e morale.» Par di capire che il requisito della buona condotta politica e morale appartenga solo agli iscritti al Partito fascista escludendo categoricamente tutti gli altri. «Oppure chi è iscritto al P.N.F. è dispensato dall'avere buona condotta politica e morale.»22

L'Associazione, dal 1929, fu praticamente commissariata dal regime23. Ma la militarizzazione degli alpini in congedo, il loro vincolo solidale con i reparti

21 Nel 1936 lo Stato Maggiore dell'esercito, nel dar vita alla costituzione di un ulteriore reggimento di alpini, lo denominò 11° reggimento alpini. Le sezioni e i gruppi dell'ANA diventano battaglioni e compagnie a somiglianza dell'esercito. Lo statuto prevedeva anche la costituzione, all'interno delle compagnie, di plotoni e squadre con relativi comandanti, ma nella pratica, non fu mai attuato.22 Storia dell'ANA, op. cit., pag.79.23 Si legge nella Storia dell'ANA, op. cit., a pag. 78: «L'Associazione Nazionale Alpini, pur avendo una struttura che potemmo defi nire autoritaria, con nomine a tutti i livelli disposte dall'alto ed un controllo di merito da parte del Governo tramite il Ministero della Guerra, non risentì più di tanto delle interferenze del regime».

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in armi, insomma «la nazione armata» (chiamare gli alpini in congedo 10° reggimento alla fi ne voleva dire questo), erano tutte cose che andavano bene ai vertici associativi. E i vertici erano convinti che tale situazione fosse bene accetta anche dalla base. Per cercare di capire una siffatta psicologia bisogna rifarsi a quello che sono tutte le Associazioni d'arma e non solo quella degli alpini. Esse sono costruite gerarchicamente ossia, somigliano in tutto e per tutto a vere e proprie strutture militari, strutture che sono di per sé costruite e funzionanti in base a una gerarchia, che prevede dei gradi. In un reparto militare colui che comanda e che ne ha la responsabilità, esibisce le insegne del comando, che sono i gradi sulle spalline, sulle maniche o sul berretto. Il comandante è dunque subito e perfettamente riconoscibile da tutti i suoi uomini. Nelle associazioni d'arma i galloni non sono esibiti e dunque il presidente, non è necessariamente il più alto in grado e non è detto che sia stato uffi ciale o sottuffi ciale o che abbia fatto il soldato di professione. Ma è il capo, dunque il comandante e come tale è riconosciuto. Molto spesso il capo, abbiamo visto il Manaresi il quale non aveva neanche bisogno dei voti della base in quanto nominato dall'alto, si comporta, parla e scrive, copia, il presunto linguaggio di un suo pari grado in un reparto dell'esercito. Insomma, le associazione d'arma in un sistema gerarchico sono a loro agio essendo, per defi nizione, enti gerarchici. Da qui l'importanza che alla base delle associazioni esista la democrazia: il capo della sezione o del gruppo deve essere eletto dai soci i quali, al termine del mandato saranno certamente in grado di giudicarne l'operato. Ma, tornando al 1938 e alla fascistizzazione delle associazioni d'arma, si può ben dire che a tutto c'è un limite. Le contraddizioni, esplosero con la guerra: «Da quel momento s'incrina un rapporto fi duciario fra gli associati e le proclamate fi nalità del sodalizio che non coincidono. Gli alpini – malgrado la retorica patriottarda e militarista dei loro massimi dirigenti, invischiati in una politica senza prospettive - non cambiano per nulla la loro mentalità montanara e concreta, ignorando le direttive politiche di Manaresi». Di fatto si verifi ca una profonda frattura fra centro burocratico e politico di bassa lega e la periferia, base degli alpini in congedo. La prova di tale distacco è dimostrata dalla 21ª adunata di Torino nei primi giorni di giugno 1940. Scrive uno dei curatori della Storia dell'Associazione: «In un clima di esaltazione fascista parossistica, dalla quale non era immune neppure il Foglio d'Ordini del 10° reggimento Alpino (si tratta del giornale L'Alpino) in questa pubblicazione torinese non vi è una parola, un segno o una immagine che possano richiamarsi al clima imperante in quei giorni, e questo è molto signifi cativo.»24Al raduno

24 Storia dell'ANA, op. cit.

molti, tra gli alpini, sfi larono con la cartolina precetto infi lata nel cappello. Mancava poco al 10 giugno. «Per concludere l'argomento osserviamo che il fascismo diede la sua mano di vernice anche alla Associazione Nazionale Alpini come la diede a tutta l'Italia, e spesso con l'applauso degli italiani; ma non penetrò nell'animo dell'associazione, non la deviò.»25

Dopo la caduta del fascismo, nel luglio 1943, il «comandante del 10° reggimento», il sempiterno Manaresi si dimette. Subentra Marcello Soleri, ben conosciuto dagli alpini piemontesi, che però, per il succedersi degli avvenimenti, potrà entrare materialmente in carica solo dopo la liberazione di Roma ( 4 giugno 1944). Con lo scioglimento del partito fascista la vigilanza delle associazioni d'arma passa al Ministero della Guerra. All'arrivo degli alleati poi le associazioni d'arma rischiarono lo scioglimento. Furono gli alpini Bonomi, presidente del consiglio, Soleri, commissario dell'ANA e ministro del tesoro, Casati, ministro della guerra e il sottosegretario Chatrian ad evitarlo.

L'ultimo dato noto sul numero degli iscritti all'associazione è quello del 1938: i tesserati sono 92.000. Fino al 1947, non ci saranno più tesseramenti.Il periodo successivo alla caduta del fascismo, ovvero quello compreso tra il 25 luglio 1943 e il 20 ottobre 1946, è descritto in una relazione di Giuseppe Giusti, segretario dell'associazione. Di particolare interesse i concetti informatori dettati dal presidente Soleri per il nuovo statuto dell'ANA. Tra questi: rigorosa apoliticità, esclusione dai ranghi per «i faziosi, i profi ttatori, gli alti gerarchi e coloro che dopo l'8 settembre collaborarono con i nazisti e volontariamente si iscrissero al partito fascista repubblicano». Fu introdotta una misura giusta e democratica che mancava nel vecchio statuto del 1919, ossia l'uguaglianza fra i soci,26 indipendentemente dal grado rivestito in servizio. Nell'Associazione tutti gli iscritti dovevano avere pari dignità senza distinzione alcuna. Marcello Soleri muore il 29 luglio 1945. Presidente dell'ANA diventa il presidente del consiglio Ivanoe Bonomi. La sede dell'ANA torna fi nalmente a Milano.

La ricostruzione dell'Associazione dopo la guerraDal febbraio 1946 ha inizio la ricostruzione dell'Associazione e le

sezioni rinascono. Tra queste molte del Veneto: Asiago, Bassano, Belluno, Castelfranco Veneto, Conegliano, Feltre. Il nuovo statuto viene approvato a Milano il 20 ottobre 1946 nell'assemblea presieduta da Ivanoe Bonomi.

25 Storia dell'ANA, op. cit. pag. 80.26 Lo statuto del 1919 prevedeva due categorie di soci: «collettivi» per i militari di truppa e «individuali» per gli uffi ciali. Il socio collettivo disponeva solo un quinto di voto, inoltre non era eleggibile alle carche centrali.

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33Ivanhoe Bonomi.

Sono presenti i rappresentanti di 29 sezioni che eleggono i vertici della nuova Associazione. L'articolo uno dello statuto viene modifi cato: insieme ad alpini e artiglieri da montagna possono far parte dell'associazione anche coloro che hanno appartenuto e appartengono al genio alpino ed ai servizi logistici.

L'ultimo raduno delle penne nere era stato quello di Torino nel 1940 poco prima della catastrofe bellica. Per il primo raduno degli alpini dell'Italia repubblicana e democratica è scelta una città-simbolo, Bassano del Grappa. Quel raduno rappresentava anche una prova, la prova dell'unità e della fratellanza degli alpini. E la prova riuscì e riuscì alla grande. Fu un vero successo. Migliaia di penne nere si ritrovarono nella ridente cittadina in riva al Brenta ad ammirare il ponte ricostruito per volontà degli alpini, simbolo della continuità della storia. In 60.000 parteciparono a quel raduno e, dati i tempi e le vicissitudini, si trattò di un numero straordinario. La manifestazione prevedeva l'inaugurazione del ponte di legno rifatto dopo la distruzione perpetrata dai tedeschi in ritirata. Narra la cronaca: «Sul lato ovest [del ponte] è stata eretta la tribuna d'onore, nella quale si trova il presidente Bonomi cui viene porta una bottiglia di grappa per la rottura inaugurale del rito; la signora De Marchi, madre del sottotenente Emilio De Marchi, caduto in Russia, taglia il nastro tricolore e una bella ragazza di Bassano, Margherita Tessarolo, scambia con Bonomi il tradizionale ''bacin d'amore''. Quindi il colonnello Solagna, presidente della sezione di Bassano, offre al sindaco una pergamena con brevi parole attestanti che gli alpini consegnano alla città di Bassano il loro ponte ricostruito». Nel 1949 il raduno si svolge, per la prima volta a Bolzano, mentre l'anno successivo, non ebbe luogo. Il 1951 vide le penne nere sfi lare in una città tagliata in due dalla guerra: Gorizia. Quel giorno sfi larono i tre generali della campagna di Russia, Ricagno, Reverberi e Battisti e le medaglie d'oro Slataper, Zani, Cesari, Barnaba, Lunelli e Ziliotto. Nel raduno di Genova (1952) «la forza» dell'ANA ammonta ormai a quasi 45.000 unità, in continua crescita. D'ora in avanti i raduni annuali registreranno successi crescenti sino a raccogliere centinaia di migliaia di partecipanti alle festose manifestazioni. Un raduno che ebbe grande risalto e destò emozione in tutto il paese fu quello di Trieste del 1954. «La seconda redenzione di Trieste» non poteva essere meglio festeggiata che dall'imponente massa delle festanti penne nere che invasero la piazza dell'Unità d'Italia e la città tutta. C'erano voluti nove anni di sottile politica, ma anche di grandi manifestazioni di popolo con spargimento di sangue perché la città Giuliana tornasse a casa. Il 26 ottobre erano entrati in città i bersaglieri, gli alpini della Julia e i marinai che avevano sfi lato in armi per le vie imbandierate della città .L'anno dopo, in aprile, il raduno degli alpini non poteva che essere a Trieste. Ormai gli iscritti

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35Con i bersaglieri a Trieste.

alle numerose sezioni sono una valanga: vengono superati i 100.000! Nel 1963, scoppia una polemica, ma non era la prima, tra il consiglio

direttivo dell'ANA e la RAI-TV. Tra le varie manifestazione indette per ricordare il 20° anniversario della battaglia di Nikolajewka, la rubrica settimanale TV 7, pochi giorno dopo una manifestazione a Brescia nel gennaio 1963, manda in onda una intervista collettiva di alcuni reduci della Russia, tra i quali Mario Rigoni Stern, celebre scrittore, ma anche alpino. L'ANA accusa la RAI di aver manipolato le risposte dei partecipanti all'intervista. In ultima analisi di aver messo gli alpini in cattiva luce. Fu convocata un'apposita riunione a Milano e votato, all'unanimità, un ordine del giorno diretto al ministro della Difesa, a quello delle Poste per denunciare l'accaduto e chiedere correzioni di rotta. Gli alpini assolvevano quasi tutti i partecipanti all'intervista meno il più conosciuto: Mario Rigoni Stern. Scrivono, fra l'altro, i delegati ANA nella lettera-denuncia: «Anche se non è stato possibile individuare le risposte che egli [Rigoni] ha dato nel corso dell'intervista, tuttavia il fatto che egli nella sua lettera in data 26 febbraio al presidente Erizzo non abbia trovato nulla da ridire sulla registrazione e sulla trasmissione e soprattutto le stonature contenute nella sua lettera dimostrano, quanto meno, una mancanza di sensibilità, se non altro per non aver capito e rispettato i sentimenti e le intenzioni dei suoi compagni d'intervista»27. La RAI non tenne in minimo conto le proteste dei vertici dell'ANA e si rifi utò di distruggere la registrazione o di fare le dovute correzioni (questa si che sarebbe stata una manipolazione!). I vertici milanesi dell'Associazione tennero la posizione in quanto – ritenevano - che «Non vi può essere dubbio sulla disonestà dei mezzi impiegati per conseguirlo [lo scopo] Infatti si reclutarono autentici reduci di Russia per dare per dare al servizio un'impronta di autenticità. E la loro partecipazione fu ottenuta sfruttando il particolare stato d'animo che si era creato in loro con la celebrazione dell'anniversario. Ma con particolare orientamento delle domande e la soppressione di parte delle loro risposte si commise un vero e proprio falso […].» La RAI non tenne conto neanche delle richieste del ministro e questo per la presidenza dell'Associazione altro non è che «sicuro indizio di una totale ed assoluta indifferenza – forse derivata dalla convinzione di altrettanta assoluta impunità». Insomma uno degli alpini più conosciuti ed amati per le sue opere «alpine» e la sua dirittura morale, fi nì per essere censurato dai suoi.

27 Storia dell'ANA, op. cit., pag. 127.

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Gli alpini di Trieste nel secondo dopoguerra. ANA.

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392010: la sezione di Trieste sfi la all'adunata nazionale di Bergamo.

La sezione ANA «Guido Corsi» di Trieste

«Scusi, come si fa ad andare negli Alpini ?»Questa domanda innocente ci è stata rivolta spesso da ragazzi che hanno

assistito alle nostre conferenze nelle scuole cittadine ed è stata la migliore ricompensa per i volontari che operano in ambiente giovanile e tramandano i valori ed i principi della nostra Associazione. La Sezione «Guido Corsi» ricorda le gesta dei padri, custodisce i valori dell'amor di Patria e non dimentica di «onorare i morti aiutando i vivi» operando concretamente nel tessuto sociale cittadino. Con orgoglio abbiamo collaborato alla stesura dei testi dedicati agli Alpini triestini. Trieste, città di mare con grande «vocazione alpina», non ha mai avuto il privilegio di essere zona di reclutamento alpino pertanto, sull'esempio dei «Volontari Irredenti Alpini» della Prima Guerra Mondiale, i nostri giovani che hanno servito la Patria con il cappello alpino hanno richiesto espressamente di essere assegnati a quella specialità dell'Esercito. Alpini per vocazione e per scelta. Alpini di una delle più piccole Sezioni d' Italia in relazione al numero degli iscritti, ma anche una delle più attive, tanto da meritarsi l' organizzazione di ben sei Adunate Nazionali. Anche per questo Trieste e le Penne Nere hanno un rapporto d'affetto indissolubile e questa pubblicazione ne sarà ulteriore, meritoria testimonianza.

Fabio OrtolaniPresidente Sezione ANA Trieste

Tra le due guerreLa decisione di fondare la Sezione ANA di Trieste viene presa in una

riunione la sera del 26 gennaio 1922 nella sede del CAI – Sez. Alpina delle Giulie. I convenuti, Alpini reduci della Grande Guerra cui avevano partecipato come volontari irredenti (consci che, essendo sudditi austriaci, se catturati, sarebbero stati considerati traditori ed impiccati come Battisti e Filzi), e quasi tutti partecipanti all'impresa fi umana di D'Annunzio, eleggono il primo Presidente della Sezione nella persona del cav. Alberto Zanutti. Il giornale «L'Alpino» ne dà notizia il successivo 5 febbraio. Per capire la storia della Sezione ANA di Trieste bisogna conoscere le vicende di questa città, della Venezia Giulia, dell'Istria e della Dalmazia nei secoli scorsi. Terre di incontro e spesso scontro di diverse civiltà, etnie, lingue e culture che diedero a Trieste una storia molto diversa da quella del resto d'Italia. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale i Giuliani, Istriani e Dalmati, essendo sudditi austriaci, furono chiamati alle armi nell'imperial-regio esercito austroungarico

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41L'attraversamento del fi ume Vojussa vicino a Tepeleni.

Il Golico visto dal fi ume Vojussa.

e perlopiù vennero inviati a battersi sul fronte russo, in quanto si ritenne prudente non mandarli a combattere contro i loro confratelli italiani. Molti perciò, precisamente 2107 (di cui 1047 Triestini), furono coloro che, spinti dalla loro passione irredentistica, ripararono (spesso rocambolescamente) in Italia e si arruolarono nell'esercito italiano. Dei 1047 Triestini 94 caddero in combattimento o in seguito a ferite. Nelle Truppe Alpine vennero arruolati 134 Triestini che ebbero 18 Caduti. La piccola Sezione fa subito parlare di sé per la sua sproporzionata vitalità ed entusiasmo. Essendo esclusivamente formata di reduci volontari irredenti, i suoi componenti sono altamente motivati. Anche Fiume, annessa al Regno d'Italia nel 1924, si organizza e, sotto la direzione del volontario di guerra Cesare Conighi, diviene il primo Gruppo della Sezione di Trieste nel giugno del 1929. Si arriva così al 1930, che è l'anno della prima Adunata a Trieste, ma è anche l'anno che vede la costituzione di due importanti Gruppi della nostra Sezione: quello di Monfalcone e quello di Postumia. Il Gruppo di Monfalcone, con il Capogruppo Gino Franz e poi Carlo Marini, aumenterà ben presto di consistenza fi no a diventare nel 1934 «Sottosezione di Trieste» e formare un proprio Gruppo a Ronchi dei Legionari con Capogruppo Davide Bulian. Il gagliardetto del Gruppo di Postumia (Capogruppo dott. Ettore Faccio) viene consegnato il 9 novembre 1930 nel corso di una bella cerimonia cui partecipano numerosissimi Alpini delle Sezioni di Trieste e di Udine, alla presenza delle massime autorità civili e militari di Trieste. Neanche due anni dopo, il 10 giugno 1932, grazie all'opera appassionata del cap. Antonio De Prato, un nuovo Gruppo viene ad arricchire la nostra Sezione: quello dell'italianissima Zara. Sul suo gagliardetto donato dalla Sezione madre spicca lo stemma del Leone alato della Serenissima. Nel 1935 De Prato parte volontario per la Guerra d'Africa e viene sostituito alla guida del Gruppo zaratino dal Sottotenente Italo Trigari. Quando già la Sezione triestina aveva assunto una notevole consistenza numerica, arrivano le sanzioni della Società delle Nazioni. E' il momento di fare sacrifi ci e gli Alpini dei nostri Gruppi rinunciano ai «ranci speciali» come segno di solidarietà con la Nazione impegnata nell'impresa etiopica; ma il segno più evidente è dato dalla partenza di volontari e richiamati che assottiglia le fi la dell'ANA in tutta Italia, non solo a Trieste. Con la fi ne della guerra d'Africa e la proclamazione dell'Impero riprende in pieno l'attività. Il 4 luglio 1936 il Gruppo di Zara accoglie una folta delegazione della Sezione di Roma giunta via mare da Ancona. Il giorno 12 a Trieste ha luogo un grande raduno della Sezione con tutti i suoi Gruppi. In novembre un'altra riunione di Sezione e Gruppi. Questa volta i festeggiati sono i primi vittoriosi reduci d'Africa. Il 3 ottobre 1938 nasce il Gruppo di Duino Aurisina, anzi il Plotone Duino

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43La ritirata

Immagini dalla ritirata di Russia: un pozzo nei dintorni di Podgarnoje.

Aurisina, come vuole il nuovo ordinamento: l'Associazione Nazionale Alpini adesso si chiama 10° Reggimento Alpini, le Sezioni diventano Battaglioni ed i Gruppi diventano Plotoni. Il primo Capogruppo di Duino Aurisina è il capitano Virgilio Brovedani. La 20a Adunata Nazionale si tiene a Trieste nel 1939 mentre in Spagna sta fi nendo la guerra civile. Il Battaglione Trieste è in lutto: il 3 gennaio è caduto eroicamente in Spagna l'Alpino triestino dott. Mario Granbassi, notissimo giornalista di Radio Trieste con lo pseudonimo di Mastro Remo. E' un'Adunata un po' in scala ridotta. C'è aria di guerra in Europa, mancano mezzi di trasporto e mancano molti Alpini che sono stati richiamati. L'Italia è impegnata nell'annessione dell'Albania, e l'Adunata inizia il 15 aprile proprio mentre a Roma il Parlamento approva il decreto-legge con il quale il Re Imperatore assumerà anche la corona d'Albania. Nel 1940, all'inizio di giugno, la Sezione/Battaglione di Trieste con i suoi Gruppi/Plotoni partecipa all'Adunata Nazionale a Torino. Poi viene la guerra. Trieste perde tanti suoi Alpini che cadono sui vari fronti, e perde tutti i Gruppi. Il 20 settembre 1943, con un verbale fi rmato dal Presidente Ulrico Martelli e dal suo Vice Renato Timeus, viene sciolta la Sezione. Quando rinascerà nel dopoguerra, la Sezione si troverà arricchita solo di tante Medaglie al Valor Militare ad adornare il vessillo, ma i Gruppi sono persi per sempre. Alle due Medaglie d'Oro (Guido Corsi e Fabio Filzi) della Prima Guerra Mondiale ed al citato Mario Granbassi, si aggiungono ora Silvano Buffa (10 marzo 1941 – Mali Spadarit, Albania), Nicolò Giani (14 marzo 1941 – Mali Scindeli, Albania), Mario Codermatz (22 marzo 1941 – Passo Mardà, Somalia), Scipio Secondo Slataper (21 gennaio 1943 – Novo Postepolewka, Russia) e Giuliano Slataper (26 gennaio 1943 – Arnautowo, Russia). La nostra città durante la guerra non aveva subito grossi danni. C'erano stati bombardamenti e mitragliamenti, ma quasi esclusivamente sulle aree portuali ed industriali, e comunque non così pesanti come in altre città italiane. Ma, tra la fi ne di aprile e l'inizio di maggio 1945, mentre in tutta Italia si festeggia la fi ne dell'incubo della guerra, l'incubo inizia per Trieste che viene occupata dalle truppe titine. Un incubo che passerà alla Storia: le foibe. Un incubo che durerà 40 giorni e cesserà il 10 giugno a Trieste, ma continuerà in Istria e Dalmazia.

La rinascitaSono cinque gli Alpini che nell'autunno del 1947 si riuniscono per rimettere

in piedi la Sezione: Dall'Anese, Vitas, Tomasi, Finzi e Furlani, a cui si affi ancano subito Timeus e Sindellari. I tempi sono duri e solo un anno dopo, con l'elezione del Consiglio Direttivo, la Sezione di Trieste si può dire fi nalmente viva ed attiva. Ma Trieste, sotto dominazione militare anglo-

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45Il concerto natalizio del coro ANA di Trieste.

americana, non è ancora ricongiunta con la Madrepatria. Bisognerà attendere ancora altri anni, ed altro sangue sarà versato prima della nuova redenzione. Il 26 ottobre 1954 fi nalmente il tricolore sventola sui pili in Piazza Unità d'Italia. Nell'aprile del 1955 Trieste accoglie l'Adunata Nazionale degli Alpini in un tripudio di folla, e dieci anni dopo (1965) nuovamente gli Alpini si radunano nella nostra città. La sede della Sezione si trova, assieme a tutte le altre Associazioni d'Arma presso la Casa del Combattente in Piazza Oberdan. Una sede troppo angusta per le esigenze dei molti Alpini triestini che la frequentano: un'unica stanza e neppure molto grande. Dopo la riunione del martedì si va a cena al ristorante, ma sono pochi quelli che se lo possono permettere. Nel 1976 assume la presidenza il prof. Egidio Furlan, decorato reduce di Grecia ed Iugoslavia, fi no dall'inizio del suo mandato fonda il bollettino sezione «L'alpin de Trieste» (sotto la direzione del generale Lionello Ferluga) e dà il via ai lavori per la nuova sede in Via Cassa di Risparmio, risistemando una vecchia soffi tta presa in affi tto. Grazie all'assiduo lavoro degli Alpini triestini, coordinati dall'indimenticato segretario e factotum Mario Giacopelli, la soffi tta diventa una splendida baita, con sala col caminetto, uffi ci e cucina. Ma i lavori vengono interrotti nel maggio di quello stesso anno: tutta la Sezione è ora impegnata nel cantiere di Attimis per l'assistenza e la ricostruzione del Friuli terremotato. Il primo numero del bollettino «L'alpin de Trieste» era appena stato ciclostilato, ma non era ancora stato distribuito quando, la sera del 6 maggio 1976, la terra tremò violentemente, sebbene con pochi danni, anche a Trieste, ma l'entità della sciagura nel vicino Friuli la conoscemmo solo il mattino successivo. Il Presidente Nazionale dell'ANA Bertagnolli convoca a Milano tutti i Presidenti di Sezione per decidere l'intervento dell'ANA per il Friuli terremotato. Vennero stabiliti 10 campi di lavoro («cantieri») di un centinaio di uomini ciascuno, con un uffi cio di coordinamento e supporto presso la Prefettura di Udine. La Sezione di Trieste, assieme a Gorizia, Palmanova, Feltre, Belluno e Cadore, organizza e costituisce il «Cantiere numero 2 di Attimis». Così, trent'anni dopo, l'allora Presidente Egidio Furlan racconta quei giorni: «La nostra Sezione, anche se piccola di numero di soci, aveva tutta l'intenzione di esprimersi come e anche meglio delle Sezioni ben più robuste di iscritti. La raccolta di materiali, il recupero di tre prefabbricati e la disponibilità di 15 imprese locali ebbero un grande successo. Sergio Bracco, che lavorava presso la ditta di trasporti Maritan Borgato, coinvolse il suo datore di lavoro e, con un'imponente autocolonna, organizzò con sette grossi camion il trasporto di tutto quello che era stato raccolto. Ben 110 persone hanno offerto le loro braccia per l'opera di ricostruzione, dimostrando cosa può realizzare la solidarietà umana, e come

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non ci siano ostacoli quando nel cuore c'è la ferma volontà di riuscire. Come non ricordare l'importo raccolto da una schiera di offerenti: 15.473.000 lire! Un importo non indifferente, considerando il valore della lira nel 1976! Trieste, non deludendo le mie aspettative, si fece veramente onore. Ad Attimis furono recuperate 157 case, ed i lavori furono eseguiti così a regola d'arte che neppure la scossa del settembre le poté danneggiare. La Sezione continuò la sua opera di aiuto in altre attività sociali anche dopo la chiusura del campo numero due (tanto era il materiale raccolto!) ed il 19 dicembre inaugurò l'asilo donato ai piccoli di Attimis.» (da «L'Alpin de Trieste» n. 127 – maggio 2006). Finita l'»emergenza Friuli», riprende la vita normale nella sede. L'appuntamento immancabile è il rancio della sera del martedì. Ogni martedì c'è sempre qualche volontario improvvisato cuoco che si mette ai fornelli e prepara la cena. La maggiore diffi coltà è indovinare quanti saranno i commensali che si presenteranno la sera. In genere il numero varia tra le 40 e le 70 persone; ma ci sono stati dei martedì in cui si è riuscito a dare il rancio ad oltre 100 alpini, sistemati in sala, in segreteria, in presidenza, con sistemazioni un po' garibaldine. Nel 1984, ma è pienamente operativo dalla fi ne del 1985, sorge il Nucleo di Protezione Civile degli alpini di Trieste. I fondatori sono Merson, Ingravalle, Viezzoli e Burresi. E' la prima organizzazione di volontariato di Protezione Civile che viene iscritta presso la Prefettura di Trieste. La presidenza Furlan registra l'organizzazione a Trieste della 57a Adunata nei giorni 12 e 13 maggio 1984. E' un'Adunata grandiosa grazie all'esaltante partecipazione della cittadinanza ed all'eccezionalmente alto numero di Alpini presenti. Le Penne Nere non solo invadono con tende, camper e roulotte ogni posto disponibile in città e nella periferia, ma si insediano anche nelle vicine cittadine e paesi della Venezia Giulia e del Friuli, e – per la prima volta dalla fi ne della guerra – anche della vicina Repubblica di Jugoslavia. Nel gennaio del 1988 «L'alpin de Trieste», sempre diretto da Lionello Ferluga, smette di essere un bollettino e diventa un giornale regolarmente registrato presso il Tribunale di Trieste (alla morte di Ferluga nel 1999 l'incarico di redigere il giornale verrà affi dato a Dario Burresi). Il 7 dicembre 1988 un forte e tragico terremoto scuote l'Armenia. Nuovamente gli Alpini si ritrovano a rimboccarsi le maniche per aiutare chi ne ha bisogno. Il campo di Protezione Civile con l'Ospedale Mobile dell'ANA rimane operativo a Spitak (a 1600 metri di altitudine sul Caucaso armeno) fi no ad agosto 1989. Gli Alpini triestini partecipano fi n dall'inizio dell'emergenza con compiti principalmente di sussistenza, ma anche con medici e personale paramedico. Gli Alpini triestini sono presenti anche nelle scuole. Si organizzano cicli di conferenze nelle scuole medie per raccontare ai giovani la Storia degli Alpini ed il loro impiego

Baisovizza - 10 febbraio 2010.

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Un'immagine dall'adunata di Trieste del 2004.

nelle varie guerre cui l'Italia ha partecipato dalla data della fondazione del Corpo ad oggi. Viene organizzata l'annuale gara di orientamento per alunni nelle scuole elementari e medie. La gara, intitolata a Ferruccio Dall'Anese, riscuote immediatamente grande successo e sono oltre cento i ragazzini che ogni anno tentano di portare a casa il «Trofeo Dall'Anese», opera in ferro battuto dello scultore alpino Benito Simonetti. Nel 1995, dopo Furlan, che non si ricandida dopo una presidenza di ben 19 anni, il nuovo Presidente della Sezione è Aldo Innocente. Un piccolo terremoto interno (che già covava da anni) scuote la Sezione di Trieste. Per alimentare il coro ed il nucleo di Protezione Civile erano stati iscritti parecchi Amici degli Alpini che, evidentemente non avendo recepito pienamente il modo di essere degli Alpini, creano un'aria di fronda e di contestazione. Innocente interviene drasticamente riprendendo energicamente in mano la situazione. La Sezione perde il coro ed una buona fetta del nucleo di Protezione Civile ma ritrova la serenità. L'amara esperienza serve di lezione: d'ora in poi a Trieste si accetteranno soci aggregati (Amici degli Alpini) con particolare oculatezza ed avendo la certezza che si tratti di veri amici che condividono gli ideali ed i principi degli Alpini. Il Nucleo di Protezione Civile risorge sotto la guida di Luigi Gerini e Nino Baldi. Viene messa mano al rinnovo del Regolamento Sezionale che, pur sempre nel rispetto dello Statuto Nazionale e sulla falsariga dettata dall'ANA, rende più agile la regolamentazione e più rispondente alle esigenze della vita della Sezione. Lo stesso Innocente detta il prologo al Regolamento che ne forma parte integrante. Si rivela invece inattuabile il desiderio del Presidente Aldo Innocente di riportare nella Sezione di Trieste i Gruppi persi a causa della guerra e del successivo distacco della nostra città dalla Madrepatria fi no al 1954. «Gli alpini devono andare in montagna» predicava sempre Innocente, ed il gruppo dei «Ruspanti», il cui animatore principale è Mauro Bonifacio, non se lo fanno dire due volte, e si danno da fare ad organizzare escursioni in montagna di vari gradi di impegno e diffi coltà, sia d'estate che d'inverno. In modo particolare si sviluppano le salite in ferrata e lo sci-alpinismo. Altri alpini si distinguono per spedizioni sulle Ande, nella Terra del Fuoco, al Polo Nord, in Nepal, sul Lago Baikal (in inverno in bicicletta sulla superfi cie gelata del lago) e (sempre in bicicletta) in Vietnam. Nel 1996 arriva dalla sede centrale di Milano dell'ANA una buona notizia: l'Alpino Eberardo Chiella della Sezione di Trieste è stato nominato «Alpino dell'Anno». Chiella, medico chirurgo e pediatra, ha meritato tale onore per la sua opera professionale a favore delle popolazioni del Terzo Mondo e per la sua costante attività nell'ambito della Protezione Civile.

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Il XXI secoloGli impegni di lavoro di Innocente gli impediscono di continuare a tenere

a lungo la presidenza della Sezione e, con le elezioni del 2 febbraio 2000, la «stecca» passa a Gianpiero Chiapolino. Con il nuovo Presidente prende maggiore vigore il rapporto tra la Sezione e le scuole. I rapporti con gli insegnati si intensifi cano ed il terzetto Chiapolino, Caccamo e Burresi si reca nelle Scuole Medie cittadine per una serie di conferenze sulla Storia degli Alpini e sulle due Guerre Mondiali. In particolare nelle conferenze sull'ultimo confl itto mondiale portano la loro viva testimonianza alcuni reduci delle Campagne di Francia, di Grecia e di Russia. Alla fi ne dell'anno scolastico, nell'Aula Magna del Liceo Ginnasio Dante Alighieri, l'ANA di Trieste assegna cospicui «premi di studio» agli studenti più meritevoli delle scuole medie in cui si sono svolte le conferenze. Altri premi di studio sono riservati a studenti universitari o neo-laureati. I fondi per i premi di studio provengono da offerte dei nostri soci. Approfi ttando del fatto che la Brigata Julia effettua la sua scuola militare di roccia in Val Rosandra alla periferia di Trieste, si organizzano gite scolastiche per le scuole medie in cui gli istruttori alpini iniziano gli entusiasti ragazzini ai primi rudimenti dell'alpinismo. Il nuovo coro della Sezione, risorto su iniziativa di Dario Burresi con l'entusiasta collaborazione di Nino Baldi e la direzione del m° Paolo Rossi, il 19 maggio 2000 esegue il suo primo concerto in pubblico nell'Auditorium del Museo Revoltella. Sarà il primo di una lunga serie di successi e di concerti a Trieste ed in altre città. Il primo grande evento è la due-giorni di cori alpini organizzata dallo stesso capo-coro Burresi nel teatro Sala Tripcovich con la partecipazione di vari cori ANA del Friuli. Successivamente, in nuovo capo-coro Roberto Ferretti porterà il coro in numerosissimi concerti ed esibizioni ed annualmente in dicembre nei concerti «Aspettando il Natale con gli Alpini» nel prestigioso teatro Politeama Rossetti. Gerini e Baldi intanto sviluppano l'attività del Nucleo di Protezione Civile, i cui volontari partecipano, oltre al citato intervento in Armenia, ovunque le calamità naturali richiedano il loro intervento: Irpinia (1984), Lombardia (1987, 2002, 2004), Piemonte (1994), Versilia (1996), Umbria e Marche (1997), Sarno (1998), Piemonte e Valle d'Aosta (2000, 2001), Imperia (2001), Molise (2002), Abruzzo (2009), Francia-Dordogna (2000) ed Haiti (2010), oltre agli interventi a Roma (2005, funerali del Papa), Rossosch (1991), Kukes e Vallona (1999) e Srilanka (2005). Nella baita di via Cassa di Risparmio non ci si sta più, nonostante i lavori di ampliamento gestiti da Paolo Pedroni, un focoso Alpino bergamasco trasferitosi qui. Inoltre ci giunge lo sfratto del proprietario. La nuova sede in via della Geppa, anch'essa allestita e gestita dall'infaticabile Pedroni, è più grande ed accogliente. In

Un'escursione dei «ruspanti», il gruppo alpinistico creato nel 1989.

La consegna dei Premi di Studio.

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posizione centrale di fronte alla Stazione Ferroviaria, in uno dei più storici palazzi del Borgo Teresiano (il rione costruito durante il regno dell'Imperatrice Maria Teresa d'Astria) da subito la sede si rivela adatta alle nostre esigenze. Il 25 marzo 2003 sorge il Circolo Culturale Alpini come emanazione della Sezione ANA di Trieste. Il Circolo, i cui fondatori sono Baldi, Bradassi, Burresi, Caccamo, Chiapolino, Gerini, Giusti, Ortolani, Rocco e Staffi eri, si ripropone di «interagire con la comunità e di attivare un dialogo con altre associazioni ed enti presenti nel territorio, e di promuovere attività ricreative, culturali, storiche, sociali, sportive ed ogni altra iniziativa particolare con avente scopo di lucro, compresa la preparazione, istruzione e svolgimento dell'attività di protezione civile, e manifestazioni alpine». Al Circolo Culturale Alpini possono iscriversi con pieni diritti anche gli Amici degli Alpini. Mai come durante la presidenza di Chiapolino gli alpini triestini «si calano nel sociale» come usava dire lui stesso. Le donazioni di sangue dei nostri soci raggiungono una quantità tale da indurre l'Associazione Donatori di Sangue a dedicare una sua sezione all'ANA di Trieste. Una raccolta di fondi permette ad una bambina serba, Tatiana Petric, di riacquistare la vista. Un'altra raccolta di fondi riporta alla vita normale il fi glio di un nostro socio. Il ragazzo era rimasto vittima di un incidente ed i medici lo davano ormai destinato ad una vita su una sedia a rotelle; ma i fondi raccolti hanno reso possibile un diffi cile e costoso intervento chirurgico all'estero, il cui esito è stato positivo e risolutivo. Ma Piero Chiapolino lega il suo nome soprattutto alla 77a Adunata Nazionale che si svolge a Trieste i giorni 15 e 16 maggio 2004, in occasione del 50° anniversario del ritorno dell'Italia a Trieste. Trieste è l'unica città ad avere avuto l'onore di ospitare ben sei adunate, e l'entusiasmante successo dell'adunata del 2004 dimostra di ben meritare questo onore. A distanza di anni, molti alpini ricordano ancora l'adunata di Trieste come una delle migliori di tutta la storia dell'ANA. Nel 2006 si decide di intervenire nel Parco della Rimembranza sulle pendici del Colle di San Giusto dove, all'ombra dei pini, ad ogni Caduto triestino è dedicata una pietra carsica su cui è inciso il suo nome. Le pietre sono sporche ed i nomi illeggibili. Le portiamo via, poche alla volta per pulirle e rinfrescare le scritte, e le risistemiamo al loro posto. E' una fatica notevole perché le pietre sono grandi e pesanti, ma alla fi ne siamo soddisfatti del lavoro. E' una soddisfazione che però dura poco: ben presto nel Parco tornano i vandali, tornano le gattare a lasciare maleodoranti carte oleate con avanzi di cibo e mangime per gatti, ed i cani tornano ad usare la pineta come gabinetto. Ed a questi proposito non possiamo non citare coloro che vanno ad imbrattare con vernice rossa il monumento alle Vittime delle Foibe nel centro del Parco. Il 26 gennaio 2007, in occasione dell'85° anniversario

2 febbraio 2007: La cerimonia di conferimento della cittadinanza triestina all'ANA.

La protezione civile dell'ANA di Trieste.

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Il «Trofeo dell'Anese» gara di orientamento.

della Sezione di Trieste, il Presidente Nazionale Corrado Perona è nel Municipio di Trieste assieme al Sindaco Roberto di Piazza ed una rappresentanza di alpini e di politici locali, per la cerimonia dell'attribuzione della cittadinanza onoraria all'Associazione Nazionale Alpini. La cerimonia termina con un rinfresco nel l'ampio bar del Teatro Verdi ed il concerto di cori alpini nel teatro Sala Tripcovich. Quasi autonomamente viene a costituirsi un gruppo di tiratori che, sotto la guida di Mario Gherbaz e Gigi Magaraggia iniziano a partecipare alle gare di tiro a segno con fucile garand organizzate da varie Sezioni ANA del Friuli e Venezia Giulia. Un'altra abitudine si instaura quasi automaticamente: le Sezioni ed i Gruppi ANA che desiderano visitare Trieste ed in modo particolare la Foiba di Basovizza, ci contattano e noi cerchiamo molto volentieri di fornire la necessaria assistenza e guida. L'alpino Giuseppe Rizzo fonda il sito della Sezione di Trieste, il cui indirizzo è www.anatrieste.it con contenuti molto vari ed importanti: notizie sulla Sezione e sulle sue attività, Storia, Protezione Civile, racconti alpini e ricordi di guerra, un notevole ed interessante archivio fotografi co, il Museo della Sezione, cori, fanfare, inni e canzoni alpine, e tante altre cose. Per chi lo desidera c'è anche un servizio di posta elettronica. Anche il giornale sezionale «L'alpin de Trieste» è ora scaricabile in rete. Include inoltre un forum la cui comunità non è limitata al Friuli Venezia Giulia, e vi partecipano anche alpini di altre Regioni come la Lombardia, il Trentino, la Liguria, la Toscana, il Veneto e l'Abruzzo. Un primo raduno dei forumisti di www.anatrieste.it si è svolto nel giugno del 2009 al Rifugio Grego nelle Alpi Giulie. Dopo nove anni di intensa presidenza Chiapolino lascia le redini della Sezione in mano a Fabio Ortolani. Dopo Furlan (di Postumia), Innocente (di Fiume) e Chiapolino (di Tolmezzo), alla carica di Presidente si torna ad avere un «Triestin patòco», e la vita della Sezione riprendere a scorrere anche dopo il triste scossone provocato dalla scomparsa di Nino Baldi, una colonna della Sezione, della Protezione Civile, del Coro ANA Trieste, della Fiaccola Alpina della Fraternità, del Trofeo di Orientamento per le Scuole Medie, ed un po' di tutte le attività. In suo onore il coro prende nome «Coro ANA Trieste Nino Baldi». Poco dopo scompare un altro grande protagonista: Egidio Furlan, il presidente cui la Sezione deve un grosso salto di qualità fi n dal 1976. Non c'è quasi un numero del nostro giornale «L'alpin de Trieste» che non riporti la triste notizia della dipartita di qualche nostro socio. Ma – stranamente – la piccola Sezione di Trieste è in fase di crescita numerica e molti sono i giovani o meno giovani che, ricordando di aver prestato servizio militare nelle Truppe Alpine, decidono fi nalmente di venire in sede a prendere la tessera dell'ANA, e cominciano a frequentare ed a partecipare alle nostre attività. Il 10 febbraio, giornata dedicata al ricordo

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delle vittime delle Foibe e dell'esodo degli Istriani e Dalmati, è un'occasione che la Sezione di Trieste non intende perdere per riaffermare la sensibilità degli Alpini per questo argomento. Il Presidente Ortolani, con l'aiuto della Redazione del giornale «L'alpin de Trieste», si attiva presso il Comune di Trieste, il Comitato Onoranze Vittime delle Foibe e la Federazione Grigioverde, e contatta la Presidenza Nazionale dell'ANA e tutte le Sezioni per assicurare una massiccia partecipazione alpina alla cerimonia a Basovizza. Infatti gli Alpini rispondono in pieno alle aspettative di Ortolani e mercoledì 10 febbraio 2010, nonostante il giorno feriale ed il tempo inclemente (una vera tormenta di neve e bora!), alla Foiba di Basovizza, attorno al Labaro Nazionale accompagnato dal Presidente Corrado Perona e vari Consiglieri Nazionali, sono presenti i vessilli di ben 18 Sezioni ANA ed i gagliardetti di moltissimi gruppi. Le Penne Nere si impegnano a tornare a Basovizza il 10 gennaio di ogni anno, anche se non sempre sarà possibile avere la presenza anche del Labaro e del Presidente Nazionale.

Baisovizza - 10 febbraio 2010: il presidente nazionale ANA Corrado Perona. Archivio ANA Trieste.

Il coro della sezione ANA di Trieste e la fanfara della brigata «Julia». Archivio ANA Trieste.

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Bergamo: adunata nazionale 2010. Sfi la la sezione di Udine. Archivio ANA. Udine.

Bergamo: adunata nazionale 2010. Sfi la la sezione di Udine. Archivio ANA Udine.

La sezione ANA di Udine

1919 - Nasce a Milano l'A.N.A e a Udine «L'Alpino»L'8 luglio 1919 si era costituita a Milano l'Associazione Nazionale Alpini. Poco dopo, il 24 agosto 1919, usciva a Udine il primo numero de L'Alpino, «organo settimanale degli Alpini sorto (come dice la presentazione del primo numero) per spirito di Corpo, non asservito a nessuno, con il programma di esaltare il nostro bel Soldato». La redazione era dislocata presso il Deposito dell'8° Alpini, Direttore responsabile il Ten. Italo Balbo. Del giornale furono stampati 11 numeri. Nell'ultimo numero, datato 14 dicembre 1919, la reda-zione comunicava di aver trasferito le proprie tende presso la neonata Asso-ciazione Nazionale Alpini, Via Silvio Pellico n° 8, Milano. Siamo fi eri di aver dato i natali, nella nostra città, al giornale degli Alpini, che ora, stampato in 382.000 copie, è il padre di oltre 115 altre pubblicazioni alpine.

8 marzo 1921 - Nasce la sezione di Udine Anche a Udine si era costituito un nucleo di Alpini, benché non si potesse ancora parlare di Sezione uffi cialmente riconosciuta. Infatti, la nascita della nostra Sezione è fi ssata all'8 marzo 1921, data in cui un gruppo di Alpini in congedo si riunì nella palestra (ex chiesa dei Filippini), e qui ne proclamò la costituzione eleggendo il primo direttivo. Dell'avvenimento ne parlò la stam-pa cittadina, che in quei giorni era rappresentata dal «Giornale di Udine» e da «La Patria del Friuli». Dagli articoli dell'epoca apprendiamo che fu eletto Presidente il magg. Antonio Marin, Vice presidente: Rubini e Segretario il prof. Carlo Bressani. Ma la prima manifestazione di un certo rilievo fu quella del 6 giugno 1921, festa dello Statuto, alla quale gli 80 soci parteciparono con «un loro umile e rustico gagliardetto tutto verde», ma che ebbe un entusiasti-co consenso da parte della popolazione che, sin d'allora, aveva un particolare attaccamento per i propri Alpini.

21 giugno 1921 - Il primo gagliardettoPochi giorni dopo, il direttore della Scuola Normale Femminile comunicava che le sue allieve avevano deciso di ricamare per l'Associazione Alpini un gagliardetto degno di questo nome. E, con grande rapidità, pochi giorni dopo, sul colle del Castello le alunne della scuola consegnavano alla Madrina desi-gnata, signora De Gasperi, madre di tre eroici giovani caduti per la Patria, il nuovo simbolo della Sezione. Il «Giornale di Udine» riportava l'avvenimento su tre intere colonne della cronaca cittadina, segno di quanto contasse, fi n da allora, nel cuore dei friulani la nostra Associazione. L'anno successivo

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ebbe luogo, nel mese di settembre a Trento, l'adunata Nazionale, a ricordo dei cinquant'anni della costituzione del Corpo degli Alpini, ed il «Giornale di Udine» del 5 settembre 1922 dedica alla manifestazione intere pagine.

1922 - La Sezione si fa più robusta: nascono i primi gruppiQuell'anno al vertice della Sezione si era verifi cato un cambio della guardia con l'elezione alla presidenza del tenente Luigi Bonanni, pluridecorato dalla prima Guerra Mondiale. All'alpina, Segretario era stato nominato il capitano Ennio Francescato, a dimostrazione che, nella nostra Associazione, l'inver-sione dei gradi non spaventava nessuno. Sempre dalla stampa cittadina ap-prendiamo che in quel periodo la sede della Sezione era piuttosto errabonda: da piazzetta Valentinis, dove la fureria aveva un modesto recapito, a viale Palmanova, presso l'abitazione del segretario, alla trattoria «al Monte», in via Mercato Vecchio. Scrive il ten. Bonanni al riguardo «Si disse che gli Alpini erano stati attirati dal nome di questo locale che ricordava le loro montagne, ma, più probabilmente, perché in quella trattoria si mangiava bene e si beve-va meglio». Procedeva intanto in modo soddisfacente la formazione di nuovi Gruppi: Paluzza, nel dicembre del 1921 (primo in assoluto, passato nel 1923 con la Carnica) poi Tricesimo nel 1923, Savorgano al Torre nel 1924, S. Gio-vanni al Natisone nel 1925, S. Daniele nel 1925, che però allora era una se-zione autonoma assieme a Gemona; poi Palmanova nel 1925, Buia nel 1926, Pontebba nel 1927. Grupi nascevano anche nella «bassa», dove normalmente non si reclutavano Alpini: Aquileia, Palmanova, Ronchis, Codroipo e in cen-tri ben lontani da Udine, come Chiusaforte, Pontebba e Tarvisio. A Udine sorsero quattro gruppi, indicati (com'è ancora tuttora) con i nomi dei punti cardinali.

1925 - La prima adunata Nazionale a UdineNel 1925, la Sezione collaborò con la Sede nazionale dell'ANA per organiz-zare la sesta Adunata Nazionale, che ebbe luogo a Udine, per poi raggiungere il Monte Nero dove venne inaugurato un monumento in ricordo di Alberto Picco e dei battaglioni «Susa» e «Exilles» e «Val Pellice» che in quei po-sti avevano eroicamente combattuto. Il «Giornale del Friuli» di martedì 25 agosto 1925 illustra la manifestazione in un lungo servizio intitolato: «La magnifi ca giornata alpina». A ricordo dell'avvenimento, l'Amministrazione Comunale dedicò agli Alpini ben sette vie: viale Gen. Antonio Cantore, via Monte Pasubio, via Monte Grappa, via Monte Ortigara, via Monte Rombon, via Monte Pal Piccolo e via Monte Adamello. Qualche anno più tardi, nel 1936, il Comune concesse all'Associazione una sede di grande prestigio ubi-

Il gagliardetto della sezione di Udine. Archivio ANA Udine.

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Incontro «Giovani - Reduci» 2010. Archivio ANA Udine.

cata sotto la Loggia di S.Giovanni, proprio accanto al Tempietto consacrato ai caduti in guerra. Gli Alpini adattarono il locale secondo il loro gusto e lo chiamarono «la Baita».

1929 - A Roma: viva il Papa alpinoL'adunata Nazionale di Roma del 1929, alla quale la Sezione di Udine par-tecipò in modo massiccio, costituì un notevole trampolino di lancio per l'As-sociazione. La manifestazione fu imponente tanto che il Colosseo conteneva appena la marea di penne nere convenute nella capitale. In San Pietro, all'ap-parire del Santo Padre, si gridò «Viva il Papa alpino!». Pio XI° infatti era notoriamente amante della montagna.

1930 – 5000 soci sul colle del CastelloL'8 dicembre del 1930, 5000 Alpini si radunarono a Udine. Erano i reduci dell'8° Reggimento. Si recarono sul piazzale del Castello per ascoltare il di-scorso tenuto da Angelo Manaresi, Comandante del 10° Alpini (come da poco era stata denominata l'Associazione Nazionale Alpini). La Sezione di Udine contava oltre 2000 Soci e fu in quella occasione che il s.ten. Corrado Gallino, «Aiutante Maggiore» del gruppo Battaglioni dell'8° (nuova denominazione assunta dalla Sezione di Udine) diede prova di grande capacità organizzativa. In tutto il Friuli sorgevano nuovi gruppi e non mancò mai alle adunate na-zionali di Torino, Trieste, Roma, Napoli e Tripoli la sempre più numerosa ed applaudita rappresentanza degli Alpini friulani.

1935-1945 - 10 anni di guerre per gli AlpiniMaturavano intanto nuovi gravi avvenimenti. Nel 1935, partiva da Udine per l'Etiopia la 10a colonna salmerie della Divisione «Pusteria». Era la guerra d'Etiopia. Nella sede della Sezione ogni sera c'era la riunione per commentare gli avvenimenti e raccogliere pacchi per i nostri soldati. Conclusa la campa-gna d'Etiopia, la bufera non accennò a placarsi: dopo la Spagna seguì l'oc-cupazione dell'Albania. E non fu che il prologo della grande tragedia. Il 22 maggio del 1940 aveva visto, con grande concorso di Alpini, l'inaugurazione del Tempio Ossario, che accoglie i resti di 25.000 caduti della prima guer-ra mondiale, tra le quali quelle del primo caduto il giorno dell'inizio della guerra (24 maggio 1915). Anche questo un Alpino: Riccardo Di Giusto, al nome del quale è dedicato uno dei gruppi della città di Udine. Nel giugno del 1940 l'Italia entrò nella fornace della 2a Guerra Mondiale. La Sezione diven-ne centro d'informazione per le famiglie dei combattenti, luogo di raccolta di offerte, indumenti e oggetti per confezionare pacchi da spedire agli Alpini in

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Un'immagine dall'esercitazione alpinistica «Falzarego 2010». Archivio ANA Udine.

guerra. La baita si era trasformata in magazzino e laboratorio. Gli anni della guerra furono segnati dai sacrifi ci, dagli eroismi, dall'olocausto della Julia e la Sezione ne seguì sempre con apprensione il suo calvario. Non chiuse mai i battenti, quasi a far sentire più viva l'ansia dei rimasti, a mostrare che il cuore di chi non era partito batteva all'unisono con quello dei combattenti. Della sede, allora, si occupavano alpini anziani, reduci dalla guerra 15-18, instancabili nel raccogliere le donazioni, confezionare pacchi da spedire al fronte e soprattutto reperire notizie per comunicarle alle famiglie dei soldati in guerra. Nell'agosto del 1942 la Julia, che dopo la campagna albanese era stata ricostituita a Udine, partiva per la Russia. E le riunioni della Sezione divennero ancor più frequenti per commentare gli avvenimenti e soprattutto per sapere, da chi era già stato in Russia con il C.S.I.R., ciò che sarebbe stato più opportuno inviare ai «fradis» alpini mandati in quelle steppe. La tragedia della Julia, iniziata nel 1940 sui monti della Grecia, purtroppo continuò nella tragica campagna di Russia dove si coprì di onore, ma lasciò gran parte dei suoi alpini tra le nevi della steppa. Vennero poi i giorni tormentati della guerra civile nel corso della quale tanti alpini si ritirarono sulle montagne scrivendo altre pagine di gloria.

1945-1958 - Il dopoguerraE venne il maggio del 1945. La guerra era fi nita e gli Alpini si ritrovarono nella baita. All'unanimità affi darono a Corrado Gallino, l'aiutante maggiore di Bonanni, il diffi cile incarico di ricostituire la Sezione. Gallino, organizzatore esperto e discreto, sapeva parlare agli Alpini nel modo più adatto. Era diffi ci-le, dopo una guerra perduta e tante lacerazioni verifi catesi, evitare che la ri-costituzione dell'Associazione Alpini non venisse considerata una pericolosa manifestazione nazionalistica, ma Gallino (l'Ivo della Resistenza) aveva tutti i titoli e le capacità per riuscire nel suo diffi cile compito. Si iniziò, nel 1948, con l'adunata di Bassano del Grappa, dedicata alla ricostruzione del Ponte degli Alpini. Le iscrizioni arrivarono a valanga: in tutti i comuni nacquero i Gruppi alpini. Risorsero le sezioni di Tolmezzo e Gemona. Nel nome della «Julia», (prima delle Brigate Alpine ricostituita), fu restaurata nel 1953 sul Monte di Ragogna, la chiesetta di Muris dedicata ai caduti di tutte guerre ed, in particolare, a quelli del Battaglione «Gemona», periti nell'affondamento del piroscafo Galilea. Nel 1955, per merito di don Carlo Caneva, Cappella-no della Tridentina in Russia, venne solennemente inaugurato il Tempio di Cargnacco, dedicato ai Caduti e Dispersi in terra di Russia. La prima pietra era stata posta sin dal 1949, nell'intento di creare un luogo dove le famiglie che non avevano più notizie dei loro cari potessero deporre un fi ore in loro

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ricordo. Dovevano passare ben 35 anni da quell'11 settembre 1955, prima che l'avello posto nella cripta accogliesse la salma del Soldato Ignoto. Pochi anni dopo, nel 1958, fu costruita, sul Monte Bernadia che domina Tarcento e tutta la pianura friulana, una grande stele di cemento a forma di penna alpina. Alla base, un sacello, dove sono custodite le salme di sei caduti in guerra; in cima, un faro che proietta la sua luce tricolore a grande distanza, quasi fi no al mare.

1962-1973 - «Julia»: una fi amma nel cuoreNel 1962, la Sezione decise di effettuare una grande adunata per ricordare le gesta della Divisione Julia. Il Presidente Gallino ed i suoi collaboratori si assunsero il pesante impegno, che fu un vero successo. Le vie della città erano pavesate di Tricolori ed una immensa folla si assiepava per applaudire, cosa che ben di rado avviene a Udine. Nel 1966, la Sezione di Udine diede alle stampe un notiziario che, il 1° ottobre 1968, si trasformò nel giornale trimestrale «Alpin jò, mame!». Il 9 maggio 1968 fu una triste giornata per la Sezione: il capitano Corrado Gallino morì improvvisamente a causa di una trombosi cerebrale. Fu una perdita gravissima per la Sezione. L'assemblea dei soci nominò, in sua sostituzione, il Vice Presidente Ottorino Masarotti, che da anni era il suo braccio destro. Crescendo d'importanza, per il sempre maggior numero d'iscritti, la Sezione aveva bisogno di una sede più ampia. L'opera costante del Presidente Masarotti ed il valido aiuto del Comandante della Brigata Julia consentì di risolvere il problema. La sezione fu trasferita nella più spaziosa sede di via S.Agostino, lasciando in eredità la caratteristica baita al Gruppo «Centro». Nel 1973, il Presidente Masarotti fu costretto, per gravi ragioni di salute, ad abbandonare l'incarico. L'assemblea della Sezione elesse al suo posto il Maggiore Guglielmo De Bellis, reduce di Nikolajewka.

1974 - La seconda grande adunataNel 1974 si tenne a Udine «la grande adunata», come da tutti venne defi nita. Nel nome della «Julia», Udine accolse i duecentomila Alpini entusiasticamen-te affl uiti da tutta Italia e dall'estero. Al passaggio della Sezione di Udine, preceduta dallo striscione «Ci precedono le 24.000 penne mozze della Julia», sembrava che crollasse anche il colle del Castello per gli applausi della gente.

1976 - Il terremoto del FriuliIl 6 maggio 1976, un terremoto di inaudita violenza scuote il Friuli, causando oltre mille morti e grandissime distruzioni. Tra i primi ad accorrere in soccorso dei terremotati la Brigata alpina Julia, al comando del generale De Acutis, che

ANA di Udine: mezzi della Protezione Civile. Archivio ANA Udine.

ANA di Udine: mezzi della Protezione Civile. Archivio ANA Udine.

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aveva perduto 29 Alpini rimasti sotto le macerie della caserma Goj di Gemona. Anche il Presidente della Sezione di Udine, De Bellis, partecipava con gli Al-pini in congedo e con gruppi di volontari ai primi soccorsi. Franco Bertagnolli, Presidente Nazionale dell'A.N.A., avuta notizia delle spaventose conseguenze del terremoto, si trasferiva ad Udine e dava vita al «Centro base operativa» per la direzione degli istituenti cantieri di lavoro in Friuli. Da quella iniziale idea, in breve tempo, sorsero dieci cantieri, che, alimentati da tutte le Sezioni d'Ita-lia, donarono al Friuli 108.000 giornate lavorative, ma, soprattutto, diedero ai Friulani, sconvolti dall'avvenimento, al sensazione di non essere soli. Anche la Sezione di Udine, nel mese di luglio, decise di concorrere all'iniziativa ed istituì un undicesimo cantiere a Vedronza, nel quale si alternarono 130 Alpini per un totale di 22.780 ore lavorative, oltre ad altre 4.600 per i servizi logistici. L'operazione «Friuli» continuò nel 1977 e si consolidò attraverso il fi nanzia-mento, che il governo degli Stati Uniti decise di affi dare alla gestione degli Alpini. Sempre nel 1976, un grave lutto colpiva la nostra Sezione: Guglielmo De Bellis, stroncato da un male inesorabile, il 24 settembre decedeva. Dopo una reggenza di alcuni mesi del Vice Presidente Italo Felcaro, nell'assemblea tenuta nella primavera del 1977, veniva rieletto alla presidenza Ottorino Masarotti, che, nel frattempo, si era rimesso in salute. Quell'anno, quasi a coronamento dell'attività dei cantieri alpini della ricostruzione, veniva ripristinata la chiesetta di Muris, che il terremoto aveva distrutto.

1977-1982 - Dai cantieri del Friuli nasce una nuova A.N.A.Il grande apporto degli Alpini alla ricostruzione del Friuli aveva avuto un altro inatteso risultato: l'iscrizione all'A.N.A. di una massa di giovani, i quali, nella nuova attività sociale voluta da Bertagnolli, trovavano un valido motivo per inserirsi in questa Associazione, che non era più soltanto un ritrovo di reduci. Nel 1978 la Sezione regalò all'Ospedale civile di Udine tutte le attrezzature motorie per il reparto lungodegenti e la sala adibita venne denominata «Palestra degli Alpini». Nel 1979, per iniziativa della Sezione di Udine e, in particolare, del Gruppo Centro veniva inaugurato in piazzale D'Annunzio un grande cippo, ricavato da un masso del Monte Canin, dedicato ai caduti della Divisione Julia. Da quel cippo, tutti gli anni, nella giornata del 4 novembre, parte la tradiziona-le fi accolata che raggiunge il castello per l'ammaina Bandiera, dopo aver reso omaggio al Tempietto ai Caduti. Nel 1980, nel piccolo paesino di Cornappo, abbarbicato a metà del Gran Monte in comune di Taipana, l'Associazione Alpi-ni inaugurava una casetta, nata da una lunga catena di solidarietà, per il vecchio Alpino Emilio Tomasino e per la sua famiglia. In quell'anno il numero degli iscritti alla Sezione di Udine superava i 10.700. Nel 1981, in occasione del

Commemorazione dei caduti dell'affondamento della nave «Galilea» silurata dal sommergibile britannico «Proteus» il 29 marzo 1942. Aveva a bordo parte del Batta-glione Gemona della Divisione Julia. Archivio ANA Udine.

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terremoto dell'Irpinia, la Sezione partecipò alla campagna di lavori con ben 34 volontari. Lo stesso anno nel 40° anniversario della partenza della «Julia» per il fronte Russo, a S.Giovanni al Natisone ebbe luogo una commovente manifesta-zione presso la stazione che aveva visto la partenza delle tradotte.

1983 - La terza grande Adunata di UdineNel 1982, una grande notizia per gli Alpini friulani: il Consiglio Direttivo Nazionale aveva attribuito alla Sezione di Udine l'incarico di organizzare, per domenica 8 maggio 1983, la 56a Adunata Nazionale. Adunata che, derogan-do alle tradizioni dell'A.N.A., veniva prevista «per cantiere». Era l'apoteosi dell'impegno profuso in Friuli, a seguito del quale il labaro dell'Associazione era stato decorato di medaglia d'oro al merito civile. La manifestazione fu, a giudizio di tutti, la più splendida adunata dal 1974, sia per affl uenza sia per entusiasmo. Anche per la diversa impostazione, basata sui gemellaggi tra comuni terremotati e Sezioni giunte in loro soccorso, essa non si limitò ad essere una festa cittadina, ma si estese a tutta la provincia con una serie di iniziative, di incontri, nei quali i partecipanti ai vari cantieri riscoprirono quei sentimenti di amicizia e di cameratismo tipici dei ricordi di trincea.

1984 - 3° da montagna: adunata!Nel 1984, i Montagnini del 3° Artiglieria convennero sul forte di Osoppo, per celebrare, assieme ai cinquantanni del Reggimento, i 150 anni di storia di quel monumento. Fu un'adunata molto sentita perché era la prima dedicata tutta agli Artiglieri e perché creò un particolare rapporto tra penne nere e po-polazione di quel comune, che agli Alpini era particolarmente legato da tutta una serie di avvenimenti e, per ultimo, dal soccorso in occasione del terre-moto. La Sezione donò al comune una splendida riproduzione della bandiera del 1848, bandiera che fu tra le prime ad essere decorata di medaglia d'oro al Valor Militare. Quello stesso anno, l'A.N.A. nazionale, con i residui dei fondi stanziati per il terremoto, donò al comune di Ciseriis una Scuola Materna. La forza della Sezione, all'epoca, superò le 11.600 unità. Nel marzo del 1985, un doloroso avvenimento colpì gli Alpini di tutta Italia: la morte di Franco Ber-tagnolli, il Presidente della ricostruzione. La Sezione di Udine partecipò ai funerali in forma massiccia. L'anno successivo il numero degli iscritti superò i 12.000.

1987-1991 - Prosegue l'attività socialeNell'ambito dell'attività di celebrazione dei Caduti, nel maggio del 1987, la Sezione si assunse l'onere gravoso di provvedere al risanamento ed alla pu-

Due istantanee tratte dalla visita del presidente nazionale dell'ANA Corrado Perona alla sezione di Udine. Archivio ANA Udine.

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73Cargnacco 2010: due momenti dalla cerimonia in ricordo di Nikolajewka.

lizia delle quattro grandi statue che fi ancheggiano il portale d'ingresso del Tempio Ossario dì Udine. Il 16 luglio di quell'anno un violento nubifragio si abbatté sulla Valtellina. La Sezione, anche per far onore al motto «el Friûl nol dismentee» partecipava ai soccorsi con 88 volontari, ripartiti in quattro turni.La Sezione di Udine, cessata l'emergenza nazionale, si fermò altri 10 giorni a lavorare provvedendo autonomamente al vettovagliamento, donando così in totale 5.000 ore lavorative.Nel 1988, attraverso una paziente e non facile azione, fu possibile ottenere che la Scuola Elementare di via Colugna a Udine fosse intestata alla Divisione alpina Julia. La cerimonia solenne alla quale presero parte, oltre ai ragazzi, anche le loro famiglie, iniziò con la consegna della bandiera al Provveditorato agli Studi e con l'alza bandiera, accompagna-to dal coro degli alunni. La forza della Sezione, quell'anno, raggiunse i 12.500 iscritti. Oltre a circa 1.200 amici. Nell'ambito dell'attività di volontariato, nel 1989, la Sezione di Udine inviò in Armenia, per la gestione dell'ospedale do-nato dall'A.N.A., tre volontari, dei quali due medici ed un logistico. L'evento saliente del 1990 fu l'arrivo in Italia della prima salma di un Caduto nella tragi-ca campagna di Russia. La salma, dopo gli onori militari tributati dall'Esercito Sovietico a Filonovo, fu trasportata con un aereo militare a Redipuglia, dove fu accolta con una commovente cerimonia dal Presidente della Repubblica e successivamente trasportata con un elicottero a Cargnacco, dove fu deposta nell'avello che l'attendeva da tanti anni. La forza della Sezione, alla fi ne del 1990, raggiunse, tra Soci ed Amici, il numero di 13.864 iscritti. In occasione del 70° anniversario della fondazione della Sezione, il Consiglio Direttivo ha stabilito di organizzare tutta una serie di iniziative, tra le quali la stampa di un numero un numero unico speciale e la coniazione di una medaglia ricordo.

1992-2007 - I giorni nostriAll'annuale Assemblea Sezionale del 1992 avviene l'avvicendamento alla Presidenza: l'indimenticabile Ottorino Masarotti passa le consegne al giova-ne Roberto Toffoletti. Nel corso dell'anno viene purtroppo a mancare mons. Carlo Caneva, il prete degli alpini, reduce ed ex internato di Russia, che con costanza e tenacia nel travagliato periodo del dopoguerra riuscì ad erigere il Tempio di Cargnacco per accogliere le salme dei Caduti in terra di Russia. Desiderio coronato pochi anni prima della morte con la tumulazione della pri-ma salma alla presenza delle massime autorità italiane e delle autorità militari sovietiche. A settembre giungeranno a Redipuglia altre 1200 salme dei caduti dell'ARMIR che verranno poi in parte portate nel Tempio di Cargnacco. Nel luglio viene fi rmata fra l'ANA e la Regione Friuli Venezia Giulia una con-venzione con la quale vengono sanciti i rapporti di reciproco impegno nella

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protezione civile. L'attività continua, scandita ogni anno dagli eventi oramai entrati a far parte in forma stabile della vita sezionale: l'appuntamento a Mu-ris in ricordo dei Caduti della Galilea, l'Adunata Nazionale, le esercitazio-ni di protezione civile (sezionali e trivenete), l'incontro sul Passo Pramollo, la cerimonia al Faro del Monte Bernadia, le diverse commemorazioni, della Sezione e di altre associazioni, al Tempio di Cargnacco. Poi si comincia a lavorare per l'Adunata Nazionale a Udine. L'evento giunge nel maggio 1996 e, praticamente, commemora in forma solenne l'impegno e la dedizione degli alpini d'Italia in occasione del sisma del 1976 e della successiva opera di rico-struzione. Come già avvenne nel 1983 l'adunata a Udine non coinvolge solo la città che la ospita ma si estende a livello regionale. Nel giugno dello stesso anno intervento di protezione civile per l'alluvione nell'Alto Friuli con l'opera di 138 volontari ed un totale di 1546 ore lavorative. Dopo alcuni anni di par-tecipazione attiva alla «Udine Pedala», si giunge alla grande manifestazione del 1999 che coinvolge 34000 iscritti e vede la Sezione impegnata in prima fi la per ospitarli, gestire sia la sicurezza che la cerimonia a Cargnacco, dove il «gruppone» ha fatto sosta per onorare i Caduti, e per servire loro il pranzo in piazza I° Maggio. Per questo evento da «guinness» la Sezione ha messo a disposizione oltre 500 alpini. Nel mese di ottobre 1999 la Sezione si mobilita per commemorare i cinquant'anni della costituzione della Brigata Alpina «Ju-lia»: il 23 e 24 ottobre si terranno a Udine le celebrazioni e l'Adunata dei re-parti in armi e degli ex appartenenti. Il 1° ottobre 2000 prende l'avvio a Udine la prima edizione della «Mezza Maratona», anche qui la Sezione viene coin-volta fi n dalle prime battute per il supporto logistico. Il 23 settembre 2001 ha luogo a Latisana l'Adunata Sezionale per commemorare l'80° di fondazione della Sezione ANA di Udine. Tutto sembra andare per il meglio, purtroppo la pioggia torrenziale guasta un po' la festa. Nel 2002 l'Adunata Sezionale avrà luogo a San Giovanni al Natisone per ricordare il 60° anniversario della par-tenza per il fronte Russo della Divisione Alpina «Julia». L'Adunata Sezionale si terrà di nuovo nel 2004 a Pontebba e nel 2005 a Udine. Nel settembre 2003 da Ugovizza a Pontebba si abbatte una disastrosa alluvione, viene annullata l'esercitazione di protezione civile «Stella 2003» ed i volontari sono dirottati nelle zone colpite. L'intervento coinvolge circa 250 volontari per circa 3500 ore lavorative. Il 14 novembre 2003 scompare il presidente Ottorino Masa-rotti che aveva retto le sorti della Sezione dal 1969 al 1972 e poi dal 1976 al 1991, anno in cui decise di mettere lo zaino a terra convinto che l'ANA aveva bisogno di rinnovamento e cedendo il posto al presidente Toffoletti, di trent'anni più giovane. Il lavoro di alcuni anni da parte di tanti volontari ha portato alla realizzazione della nuova sede sezionale che verrà inaugurata il 60° anniversario della Brigata «Julia».

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26 febbraio 2005. Il 6 marzo 2005 il presidente Roberto Toffoletti passa le consegne a Rinaldo Paravan. Ai primi di giugno si tiene l' Adunata Sezionale a Udine. A mettere in crisi gli alpini ci prova il maltempo, ma la cerimonia si svolge regolarmente. Dagli inizi di settembre 2005 la nuova sede sezio-nale in viale Trieste diventa operativa. Purtroppo nel tentativo di sostituire l'asta della bandiera sul terrazzino perderà tragicamente la vita l'amico alpino Giuliano Sattolo mentre il socio Rino Tesolin riuscirà lentamente e doloro-samente a recuperare le proprie condizioni fi siche. Nel 2006 la Sezione si propone per ospitare l'Adunata Nazionale 2009, ma la candidatura non riesce a superare l'esame del Triveneto. Nel maggio 2006 viene commemorato il 30° anniversario del terremoto del 1976 partecipando alla cerimonia di Ge-mona del Friuli e ad una cerimonia al Cantiere di Vedronza, che all'epoca era stato assegnato alla nostra Sezione. La Sezione, da anni impegnata nell'orga-nizzazione dell'evento «Maratonina», nel 2007 ha partecipato sia a maggio con l'8ª «Maratonina–Città di Udine» e sia a ottobre con il «2° Campionato Mondiale IAAF» di corsa su strada. Per l'edizione mondiale sono stati mo-bilitati 580 volontari alpini di 68 Gruppi che hanno lavorato nell'arco di una settimana. Il compito a noi affi dato, consolidato ormai da anni, è stato quello della logistica. Signifi cativi riconoscimenti per il nostro lavoro, puntuale e preciso, sono stati espressi pubblicamente ed in più occasioni, sia dal mondo sportivo che dalle autorità civili e dalla totalità delle delegazioni estere. A settembre 2007 i sei cori formati dai congedati delle nostre cinque Brigate e della Scuola Militare Alpina di Aosta (oltre 200 elementi) animano dapprima alcune cittadine del Friuli per poi ritrovarsi a Udine per un grande spettacolo al teatro «Giovanni da Udine». Al 31 dicembre 2007 la forza della Sezione è di 10.666 soci e 2.084 soci aggregati suddivisi fra 120 gruppi. Il 31 dicembre 2006 si è sciolto il gruppo di Uccea di Resia. Il 13 marzo 2008, con l'elezione dell'attuale Presidente sezionale Dante Soravito de Franceschi, si conclude il triennio di presidenza di Rinaldo Paravan, che una grave malattia stronca il 16 settembre dello stesso anno.

Due istantanee dal 51° pellegrinaggio al Monte Bernadia.Archivio ANA Udine.

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La sezione di Gemona sfi la all'adunata nazionale di Bergamo 2010. Archivio ANA.

49° Adunata nazionale di Padova. Sfi la la sezione di Gemona. 1976. Archivio ANA Gemona.

La sezione ANA di Gemona

85 anni sono passati dalla fondazione della Sezione ANA di Gemona del Friuli (1925-2010) e non sono pochi per un'associazione che si è sempre ba-sata sul volontariato e che ha trovato i fondamenti del suo lavoro e della sua unità su valori importanti. Alla Patria e al Tricolore, al senso dello Stato, alla difesa dell'unità nazionale si sono aggiunti, in tutti questi anni, valori nuovi ed altrettanto impegnativi quali la solidarietà, l'amicizia e l'aiuto a coloro che, colpiti da calamità o da sventure di ogni tipo, proprio nell'ANA hanno trovato un punto di riferimento preciso e concreto. Valori tanto più signifi -cativi per Sezioni come la nostra che hanno subito, e non lo dimenticheremo mai, il disastroso terremoto del maggio 1976 e sappiamo cosa voglia dire e quale energia infonda il non sentirsi soli e abbandonati al proprio destino. Accanto, quindi, alle straordinarie di eroismo, piccolo e grande, collettivo e individuale, di cui i nostri Alpini in congedo e in servizio si sono resi, in pace ed in guerra, protagonisti, registriamo con soddisfazione e legittimo orgoglio il sempre crescente affetto delle popolazioni nei nostri confronti e l'aumento esponenziale della fi ducia delle Istituzioni che trovano in noi un interlocutore attento, sensibile e capace di portare positivamente a compimento i propri doveri. Come noi Alpini in congedo, guardiamo con orgoglio all'impegno per la pace ed al sacrifi cio dei nostri giovani attualmente impegnati in pericolosi e lontani teatri di guerra che ancora sconvolgono il mondo. Noi ci portia-mo sulle spalle la responsabilità di questi prestigiosi passato e presente, e dobbiamo esserne fi eri! Ed è proprio questa responsabilità che ci dà nuova e maggiore energia per proseguire su questa strada di impegno civile e di solidarietà sociale nei confronti dei più deboli e dei più sfortunati. Siamo giustamente diventati il simbolo della difesa di valori imperituri che fanno dell'Italia una Nazione ma anche un sicuro riferimento, per cui, laddove c'è bisogno, le «penne nere» sono sempre presenti con generosità, capacità ed organizzazione. Attraverso questa pubblicazione voglio anche ricordare la gloriosa storia del «Battaglione Gemona» e, con essa richiamare con for-za l'unità e la collaborazione di tutti i Gruppi Alpini nella nostra Sezione. Questo è anche l'impegno che ribadiamo con convinzione per continuare lungo questa strada tracciata, perché sono la nostra storia, il nostro lavoro, le nostre tradizioni ed il nostro positivo rapporto con le popolazioni che ce lo impongono.

Ivano BenvenutiPresidente Sezione ANA di Gemona

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Una storia lunga 85 anni, quella della Sezione A.N.A. di Gemona del Friu-li: una storia che inizia nel lontano 1925, più precisamente il 18 febbraio di quell'anno, quando ad opera di cinque persone (Gino Dosi, Nicolò Nicli, Floreano Gallizia, Luigi Fedrigo Perissutti e Luigi Sartori) si decide di ra-dunare 52 ex alpini e di costituire la Sezione A.N.A. di Gemona del Friuli. In quell'occasione si decide di intitolare la Sezione al caduto sottotenente Placido Bierti, proposta bene accolta da tutti i partecipanti all'assemblea, che all'unanimità approva l'intitolazione. Di particolare signifi cato è stata la be-nedizione del gagliardetto, avvenuta l'11 ottobre del 1925, in una solenne e commovente manifestazione: «Il corteo degli Alpini, radunato alla stazione ferroviaria di Gemona, ha percorso le strade del paese accompagnato dalle fanfare alpine e dalle altre sezioni giunte a Gemona per l'occasione, fi no ad arrivare prima in Piazza Vittorio Emanuele per i saluti istituzionali e poi pres-so la Chiesetta della Pace, alle falde del Monte Chiampon. Qui, è stata cele-brata la Messa e benedetto il gagliardetto della Sezione, alla presenza di una madrina d'eccezione, la madre della medaglia d'oro al valore militare Urli, di Magnano in Riviera». (Dal Gazzettino del 14 ottobre 1925).

Al di là di questi primi episodi, la storia della Sezione è complessa e ar-ticolata, contrassegnata da molteplici avvenimenti, fatti, persone. Nei primi anni gli adempimenti amministrativi erano limitati a soddisfare poche esi-genze. Il tesseramento, iniziale elemento organizzativo, consisteva nella pura elencazione degli aderenti, di cui il «Fascettario soci» annualmente rappre-sentava la consistenza numerica uffi ciale della Sezione nei rapporti con la sede nazionale. Dopo pochi anni già era attivo uno schedario soci ed era stata individuata una sede, in un locale concesso in uso dalla «Società Operaia» di Gemona. Gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale hanno purtroppo infi ciato il lavoro di tutti quegli anni: in quel periodo la sede venne occupata dalla DICAT e poi abbandonata; per questo e anche per altri motivi legati alle vicende belliche, gran parte dell'archivio andò perduto. In ogni caso, è possi-bile ricostruire almeno in parte la storia pre-bellica della Sezione, attraverso documenti e dati che sono stati recuperati. Dopo la sua fondazione i primi gruppi ad essere costituiti, oltre a quello di Gemona, sono stati quelli di Arte-gna (nel 1928), Montenars, Osoppo, Moggio, Resia, Pontebba e Tarvisio. Gli altri gruppi furono costituiti nei successivamente: Ospedaletto e Alesso nel 1933 – Peonis nel 1959 – Interneppo nel 1960 – Avasinis nel 1961 – Bordano nel 1970 – Venzone e Campo Lessi nel 1971. Già allora la Sezione di Gemona risulta essere abbastanza numerosa, con 470 iscritti.

Nel 1934 venne costituito il gruppo Carinzia con sede a Villach, che com-prendeva 27 soci, tutti residenti in Carinzia fondamentalmente per motivi

1925. Benedizione del gagliardetto della sezione. Archivio ANA Gemona.

1932. Inaugurazione del gagliardetto del Gruppo di Ospedaletto. Archivio ANA Gemona.

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1933. Costituzione del Gruppo di Alesso. Archivio ANA Gemona.

1934. Costituzione del Gruppo «Carinzia». Archivio ANA Gemona.

di lavoro. Negli anni antecedenti alla seconda guerra mondiale, sono state diverse le attività che hanno visto protagonisti i soci della Sezione: dal 1925 al 1940 gli iscritti hanno partecipato in numero sempre maggiore alle varie adunate, compresa quella che si è tenuta a Tripoli nel 1932. Nel 1942 vennero offerte le drappelle al battaglione Val Fella e la fi amma di combattimento al battaglione Gemona, cerimonia che era stata prevista per il 1940, ma che fu rimandata per il trasferimento dei reparti nelle zone d'oltremare, proprio a causa dell'inizio delle ostilità. Durante la fase bellica, la Sezione ha dimostra-to la sua solidale partecipazione nel confronti di coloro che furono richiamati alle armi, aiutando per quanto possibile le famiglie e presenziando puntual-mente alla partenza dei vari reparti militari per i vari fronti e accogliendoli al loro rientro in patria. Particolarmente signifi cativo fu l'incontro a Manzano per il saluto alla divisione Julia in partenza per la Russia.

Un anno dopo la fi ne della guerra, nel marzo del '46, il maggiore Antonio Venchiarutti, dopo aver ricevuto l'incarico dall'allora presidente dell'A.N.A. Nazionale, l'onorevole Bonomi, provvide ad indire una assemblea straor-dinaria per ricostruire la Sezione. Il 3 giugno, davanti ad una assemblea di trenta persone, vennero elette le nuove cariche sociali della Sezione: Antonio Venchiarutti presidente, consiglieri Bruno della Marina, Virgilio Baldisse-ra, Comelio Barazzutti e Mario Londero. Nello stesso anno, si annovera il passaggio di alcuni gruppi ad altre Sezioni: nella riunione del 28 dicembre, venne deliberato di non ampliare la zona di competenza della Sezione oltre il mandamento. Così i gruppi della val Fella, di Tarvisio e della val Resia passa-rono ad altra Sezione. Della Sezione di Gemona continuarono a far parte i soli gruppi di Carnia, Venzone, Ospedaletto, Alesso, Peonis, Trasaghis, Osoppo, Montenars ed Artegna. La quota sociale fu fi ssata in £ 50.

Nel 1948 fu organizzata dalla Sezione di Gemona la prima festa associa-tiva in località Sant'Agnese. Durante la cerimonia del IV Novembre venne consegnata la medaglia d'oro al valor militare ai congiunti del concittadino Alberto Goi, caduto sul fronte russo. Proseguendo cronologicamente, ci sono alcuni signifi cativi episodi della vita di Sezione che scandiscono i diversi anni: nel 1949 c'è stata la prima visita a Gemona di un gruppo di alpini della Sezione di Parma. Successivamente nel 1952 gli iscritti della Sezione di Ge-mona sono stati ospitati dal gruppo amico di Langhirano, in provincia di Par-ma, nell'occasione dell'inaugurazione di un monumento ai caduti. L'8 maggio del 1949 con una cerimonia uffi ciale viene ricostituito il gruppo di Alesso, che contava una ventina di iscritti e il cui capogruppo era Pietro Stefanutti, classe 1876. Nel 1953 il gruppo di Artegna inaugura il monumento ai caduti e dispersi in Russia, alla presenza di autorità e Comandanti. L'opera è stata re-

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alizzata dallo scultore Giovanni Patat d'Artegna e raffi gura un alpino che sor-regge un commilitone morente; alla base, la dicitura «Agli eroi della Julia». L'anno successivo, viene conferita la Medaglia d'Argento al Valore Militare al sergente Giocondo Colomba, del gruppo di Bordano. Nel 1956, in occa-sione della cerimonia di ricostituzione del battaglione Gemona a Pontebba, numerosi alpini parmensi giungono a Gemona. Nel 1959 si ha la costituzione uffi ciale del gruppo di Peonis, che annovera circa una trentina di iscritti. Tra il 1960 e il 1961 sono istituiti uffi cialmente i gruppi di Interneppo e di Avasinis. Nel 1963, il Friuli e il Veneto sono colpiti da un tragico evento destinato a rimanere indelebile nella memoria delle persone: la tragedia del Vajont. An-che qui, la solidarietà e lo spirito di fratellanza proprio degli alpini emergono nettamente; la Sezione di Gemona infatti, come tante altre in Italia, raccoglie fondi per i sinistrati. Anche l'anno seguente viene effettuata una raccolta di fondi, questa volta per rimettere in sesto la Chiesa del Redentore sul Monte Cuarnan, che sovrasta Gemona, rovinata a causa di un fulmine. Nel 1968, lo storico presidente di Sezione Antonio Venchiarutti lascia il suo incarico: dopo oltre trent'anni di impegno, viene nominato presidente onorario di Sezione, mentre il suo incarico passa ad Antonio Palese. È di quello stesso anno la costituzione del gruppo «Gemona». Nel 1969 un grande raduno alpino sul forte di Osoppo richiama un gran numero di persone. In quell'occasione, il presidente di Sezione promuove una interessante iniziativa: la formazione di un comitato che dia vita ad iniziative per il ripristino e la sistemazione della storica fortezza. Durante la cerimonia viene anche benedetto il gagliardetto del gruppo di Osoppo.

Ai nuovi gruppi uffi ciali si aggiunge nel 1970 quello di Bordano, con il proprio gagliardetto. Anche in quell'anno, una manifestazione sul Forte di Osoppo partecipano 4000 penne nere, oratore uffi ciale Giulio Bedeschi (au-tore di «centomila gavette di ghiaccio), già appartenente alla 13° batteria da montagna di stanza ad Osoppo. Nello stesso anno, a Bari, viene ricordato il trentesimo anniversario della partenza dei reparti alpini diretti al fronte di guerra e sono commemorati i caduti nell'affondamento della motonave Ga-lilea. Nel 1971 continua l'attività dei gruppi della Sezione: viene costituito il gruppo di Campo Lessi di Gemona e viene benedetto il gagliardetto del grup-po di Venzone. Nel 1972 viene celebrato il centenario della fondazione del Corpo degli Alpini, con una cerimonia, tenutasi a Gemona, alla presenza di varie autorità. Nello stesso anno, il neonato gruppo di Campo Lessi inaugura uffi cialmente la propria attività. Nella ricorrenza del 40° di fondazione, nel 1973, il gruppo di Ospedaletto inaugura un nuovo gagliardetto; nello stes-so anno, il Forte di Osoppo viene festosamente invaso da circa 5000 alpini

1954. Consegna della medaglia d'argento al sergente Giocondo Colomba di Bordano. Archivio ANA Gemona.

1959. Costituzione del Gruppo di Peonis. Archivio ANA Gemona.

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1960. Inaugurazione del Gruppo di Interneppo. Archivio ANA Gemona.

1968. La sezione di Gemona all'adunata nazionale di Roma. Archivio ANA Gemona.

arrivati da ogni dove per rievocare il valore della Divisione Julia. All'inizio degli anni Settanta, gli iscritti superano quota 800. Nel 1974 un altro triste evento colpisce la Sezione di Gemona: muore il cavalier uffi ciale Antonio Venchiarutti, storico presidente e socio fondatore della Sezione. Moltissime saranno le dimostrazioni di affetto e di onore nei confronti di Venchiarutti. Lo stesso anno il gruppo di Osoppo decide di staccarsi dalla Sezione di Gemona e di passare a quella di Udine. A segnare l'esistenza non solo della Sezione, ma dell'intera comunità è stato il terremoto del 1976. La devastante scossa del 6 maggio ha distrutto persone e cose, si è portata via memorie ed affetti, segnando la vita di tutti. Anche gli alpini ne hanno risentito: oltre alla perdita di 14 soci della Sezione, sono morti 29 giovani di leva di stanza nella caserma Goi di Gemona. La solidarietà dei militari in servizio e degli alpini in conge-do si staglia fi n dai primi momenti: immediati i soccorsi, di tutti i militari di stanza nella zona. La loro presenza dà slancio e infonde fi ducia alla gente col-pita dal tragico evento. La forte replica di settembre vanifi ca le prime opere di ricostruzione, annientando le fragili speranze della popolazione, costretta a sfollare sulla costa, verso Lignano e Grado. Da quel momento in poi parte la gara di solidarietà e di aiuti per la ricostruzione, senza sosta. I mesi successivi sono dedicati al mantenimento dei contatti con i soci, individuando nuovi luoghi per le riunioni e cercando di creare e rinsaldare uno spirito comuni-tario tra soci e popolazione attraverso manifestazioni, raccolte di fondi e di vestiario o, ancora di più, con l'aiuto concreto degli alpini in congedo impe-gnati nella ricostruzione negli 11 cantieri A.N.A. dispiegati nelle aree colpite dal terremoto. Nonostante i lutti e le rovine, le iniziative della Sezione e dei gruppi continuano. L'anno successivo, riprendono le gite sociali e i raduni, vengono rinsaldati i legami e i gemellaggi. Nel 1979 su iniziativa dei super-stiti dell'affondamento del «Galilea», si costituisce l'associazione «Naufraghi del Galilea», i cui componenti si incontrano annualmente. La solidarietà della Sezione e dei suoi gruppi si esprime anche nella raccolta di fondi per i terre-motati dell'Irpinia, nel 1980.

Gli anni Ottanta sono decisivi per la ricostruzione. Vengono inaugurati nuovi edifi ci pubblici: alla scuola di Campo Lessi nel 1982 viene donato il tricolore. Negli anni successivi anche gli altri gruppi doneranno la bandiera alle scuole dei rispettivi paesi. Nel 1983 i gruppi di Ospedaletto e Venzone fe-steggiano il cinquantenario di fondazione. Anche il gruppo di Alesso onora la ricorrenza l'anno dopo. Nel 1984, muore un altro storico presidente della Se-zione, Antonio Palese. Quello stesso anno, la solidarietà degli alpini si mani-festa anche in un'altra occasione: nell'84 i due gruppi di Gemona e Interneppo contribuiscono ad aiutare fi nanziariamente una famiglia in diffi coltà a causa

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dell'intervento chirurgico cui si sarebbe dovuto sottoporre il fi glio gravemen-te malato agli occhi. Nel 1985 si celebra il 60° di fondazione della Sezione, evento pienamente riuscito anche per la concomitanza del giuramento solen-ne delle reclute della Brigata alpina Julia. Negli anni successivi, il gruppo di Artegna inaugura la nuova sede (1986), mentre nel 1988 celebra il 60° anno di fondazione. Sempre in quegli anni, i gruppi di Bordano e Interneppo si impegnano nella ricostruzione della chiesetta sul monte San Simeone, aperta al culto dal Vescovo di Udine Battisti. A Venzone intanto, nel 1988 si festeg-gia la il decimo anniversario della consegna delle prime case realizzate con il contributo degli Alpini e nell'occasione viene intitolata una strada a Franco Bertagnolli, alpino ed ex presidente A.N.A.

Gli anni Novanta sono caratterizzati da diversi avvenimenti che vedono al-pini e «Amici degli alpini» sempre protagonisti. Questi ultimi, in particolare, nel corso degli ultimi anni sono aumentati, dando così un ulteriore contributo importante alla realizzazione delle varie attività. Da ricordare, il 65° anniver-sario della Sezione nel 1991, la ricostituzione, l'anno seguente, dell'8° reggi-mento alpini e del 3° reggimento artiglieria da montagna, disciolti nel 1975. Nel 1993, il gruppo di Alesso effettua opere di prima necessità (prefabbricati con relativa impiantistica) al campo profughi di Punta Salvore, in Croazia, per alleviare le sofferenze delle vittime della prima fase della guerra che ha portato alla dissoluzione della ex Yugoslavia. Nello stesso anno il socio Ita-lo Madussi, del gruppo Artegna – Montenars, partecipa a Rossosch (Russia) come volontario per la costruzione della Scuola Materna voluta dall'A.N.A. Per l'adunata di Treviso del 1994, il pittore Roberto Majeron, appartenente al gruppo di Venzone, realizza il bozzetto della medaglia commemorativa. Risale al 1996 invece l'inaugurazione della nuova sede della Sezione di via Scugelars, a Gemona, concomitante con il ritorno degli alpini a Udine per l'adunata di maggio. Nell'agosto del 1998, il gruppo di Avasinis inaugura la chiesetta ristrutturata della «Madonna della Neve». Ancora una volta opera del volontariato degli alpini e dei loro familiari. Nel 1997 viene inaugurata la «Casa Vacanze» di Zovello (Ravascletto) per ragazzi down, costruita anche grazie al contributo dei volontari alpini dei gruppi di Artegna – Interneppo – Avasinis - Gemona. Sempre nel '98, la Sezione partecipa per la prima volta con sei volontari alle esercitazioni di Protezione Civile tenutesi a Bassano del Grappa il 19 e 20 settembre. Continuano durante tutti gli anni Novanta le iniziative di solidarietà e soccorso, l'aiuto alle popolazioni sinistrate a causa delle alluvioni della Carnia, la realizzazione di nuove sedi alpine, come il Parco della rimembranza di Campo Lessi, luogo ideale di raccoglimento do-tato di parco-giochi per bambini e monumento ai caduti di tutte le guerre. Nel

Sopra e a destra: 1970. La costituzione del gruppo di Bordano. Archivio ANA Gemona.

1975. 50° della Sezione. Cippo dedicato al Btg. «Gemona». Archivio ANA Gemona.

La sezione di Gemona sfi la alle adunate nazionali di Bologna 1982 (sopra) e Udine 1983 (sinistra). Archivio ANA Gemona.

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1984. 50° della costituzione del gruppo di Alesso. Archivio ANA Gemona.

1996. 60° della fondazione della sezione di Gemona. Il giuramento delle reclute del 3 scaglione 96.

1987. L'adunata nazionale di Trento. Archivio ANA Gemona.

1988. All'adunata nazionale di Torino. Archivio ANA Gemona.

1988. Venzone: una via dedicata a Franco Bertagnolli. Archivio ANA Gemona.

2006. 30° anniversario del terremoto in Friuli. Conferimento della cittadinanza onoraria di Gemona all'ANA.

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1991. Inaugurazione della sede del Gruppo di Venzone. Archivio ANA Gemona.

1994. Inaugurazione della sede del Gruppo di Artegna. Archivio ANA Gemona.

1996. Inaugurazione della sede di Gemona. Archivio ANA Gemona.

1999 nasce «Gemona Alpina»: si tratta del primo numero del giornalino di Sezione, un quadrimestrale che arriva nelle case dei soci da ormai dieci anni. Ancora nel 1999 un'altra importante iniziativa comincia a prendere corpo: la fondazione di un Coro Alpino che rappresenti la Sezione.

Nel 2000 viene posata la prima pietra della nuova sede del gruppo di Ospe-daletto e si celebra il 75° di fondazione della Sezione di Gemona I soci registrati sono 820 e gli Amici degli Alpini 225. Nei primi anni Duemila sono molto attivi i gruppi della Sezione: il 20 aprile del 2001 il coro A.N.A. di Gemona si presenta al Glemonensis, sotto la guida del maestro Fulvio Zanin. Ad Alesso si tiene la festa dell'intera Sezione con il curioso particolare del rientro di due soci dall'adunata di Catania a cavallo di una bicicletta (circa 1500 i kilometri per-corsi…). Nel 2002 alcuni alpini del gruppo di Venzone partono per Sarajevo, insieme al coro, alla banda e alle majorettes, per presenziare alla cerimonia di insediamento del 14° Alpini, in missione di pace in Bosnia. Nel 2003, vengono celebrati due anniversari: il 75° di fondazione del gruppo Artegna - Montenars e il 70° del gruppo di Alesso. Viene inaugurata anche la nuova sede del gruppo di Ospedaletto. Gli alpini e il loro spirito di solidarietà tornano in primo piano nel 2004 in occasione della raccolta fondi per i terremotati del Molise. Nel set-tembre il Presidente nazionale Corrado Perona visita la Sezione di Gemona. Il 6 maggio del 2006, nella ricorrenza del trentennale del terremoto, il Comune di Gemona conferisce la cittadinanza onoraria all'A.N.A. Il 6 maggio 2007 viene intitolata al compianto Presidente dell'A.N.A. Franco Bertagnolli una piazza in Gemona. Ancora nel 2007 è inaugurata la nuova sede del gruppo di Bordano. Momenti di solidarietà nel 2008 in occasione della raccolta fondi delle sezioni di Cividale e Gemona a favore del progetto «Un ponte per Herat», a fi anco dell'8° Reggimento Alpini impegnato in Afghanistan.. Sempre nel 2008 viene ricordato il 75° di fondazione del gruppo di Peonis e l'80° di quello di Artegna – Montenars. Nel 2009 il Comune di Gemona concede la cittadinanza onoraria all'8° Reggimento Alpini. Sempre nel 2009 a Gemona si riuniscono i Presidenti delle sezioni A.N.A. del Triveneto. Nell'aprile del 2009, quando un terremoto di forte intensità squassa l'Abruzzo, immediatamente allertato, interviene con uomini e mezzi il nucleo della Protezione Civile della Sezione. Nel dicembre, si realizza un nuovo progetto musicale: il primo concerto della Banda Alpina di Gemona, diretta dal maestro Herbert Fasiolo. Il gruppo di Interneppo infi ne celebra il 50° di fondazione.

Nel 2010 all'adunata di Bergamo partecipano numerosi soci. Forza attuale della Sezione: soci 821 - Amici degli Alpini: 281.

A chiusura, ricordiamo i Presidenti della Sezione: Gino Dosi (1925 – 1928); Alberto Liuzzi (1929 – 1935); Antonio Venchiarutti (1936 – 1966);

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2000. Posa della prima pietra della sede del Gruppo di Ospedaletto. Archivio ANA Gemona.

1998. «Parco della rimembranza» di Campo Lessi. Archivio ANA Gemona.

A sinistra il coro ANA di Genoma (2009). Sotto: la banda alpina di Gemona.

2002. Adunata Nazionale di Catania. Archivio ANA Gemona.

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Antonio Palese (1967 – 1983); Arturo Di Giannantonio (1984 – 1988); Ales-sio Silvestri (1989 – 1997); Mario Serafi ni (1998 – 2001); Ivano Benvenuti (2002 – 2005); Dario D'Incà (2005 – 2006); Carlo Vozza (2007 – 2009). Dal 2010 il Presidente è nuovamente Ivano Benvenuti.

Il nuovo Consiglio direttivo è così formato: vice-presidente Nereo Giantin; tesoriere Leonardo Cafaro; segretario Albino Fois; revisori dei conti Bruno Copetti, Dino Di Gianantonio, Alberto Ceschia; responsabile operativo della Protezione civile Gianfranco La Barbera; consiglieri: Dino Urbani, Adria-no Merluzzi, Henry Stefanutti, Ugo Cragnolini, Mauro d'Aronco, Massimo Pontussi, Paolo Serio, Manuel Pizzato, Riccardo Fuccaro, Alessandro Picco, Sebastiano Gimillaro, Tarcisio Collini.

I Capigruppo attuali sono: gruppo di Gemona, Renato Foschiatti; grup-po di Campo Lessi, Leonardo Cargnelutti; gruppo di Ospedaletto, Damiano Goi; gruppo di Alesso, Valentino Stefanutti; gruppo di Artegna – Montenars, Daniele Furlanetto; gruppo di Avasinis, Mauro Di Giannantonio; gruppo di Bordano, Gerry Patriarca; gruppo di Interneppo, Cesare Bevilacqua; gruppo di Peonis, Beniamino Mamolo; gruppo di Venzone, Stefano di Bernardo.

Certamente l'esiguo spazio a disposizione non ha permesso di illustrare compiutamente gli 85 anni di storia della Sezione e dei 10 gruppi che la com-pongono, ma può contribuire a far comprendere l'impegno personale dei soci che lavorano in silenzio, con generosità e impegno civile per il bene delle co-munità di appartenenza, esprimendo appieno i valori del corpo degli Alpini.

2009: Il sindaco Gabriele Marini consegna la cittadinanza onoraria al colonnello Luca Covelli in rappresentanza dell'8° Rgt. Alpini di Cividale. Archivio ANA Gemona.

Nell'immagine a destra il nucleo di Protezione Civile della Sezione ANA di Gemona.

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La Sezione Carnica sfi la all'Adunata Nazionale 2010.

La sezione ANA Carnica

Non sempre è facile presentare in poche righe una realtà come la nostra Sezione. Veniamo da lontano, dal 1923: abbiamo attraversato periodi diffi cili ma anche prodighi di riconoscimenti e di soddisfazioni.

La nostra presenza in Carnia è signifi cativa: ben 32 Gruppi distribuiti nei 28 Comuni del nostro territorio dimostra che le penne nere carniche sento-no la necessità di radicare la loro presenza nelle comunità in cui vivono; in breve, un «campanilismo» nel senso più completo della parola, ma vissuto positivamente. Che dire della loro storia, della nostra storia? Condensare in poche pagine 87 anni di vita associativa, di iniziative, di solidarietà, di momenti di aggregazione e di fratellanza, nati dalla comune esperienza di un servizio militare prestato in un Corpo «tutto speciale», quello degli Alpini, sembra una cosa impossibile.

La Medaglia d'Oro al valor militare che brilla sul nostro vessillo è quella concessa «alla memoria» all'unico carnico, il maresciallo Anselmo Durigon di Rigolato, classe 1912, caduto in combattimento a Nowo Postojalowka il 21 gennaio 1943, durante la Campagna di Russia.

Per gli Alpini non esiste la parola «impossibile», lo hanno dimostrato nei due confl itti mondiali dello scorso secolo, lo dimostrano ora, in tempo di pace, su un altro fronte ben più appagante: quello della solidarietà.

La strada è quella giusta; possiamo sperare in un futuro gratifi cante.

Umberto TabogaPresidente della sezione ANA Carnica

Il Direttore Responsabile di «Carnia Alpina» e lo staff tecnico-amministrativo del periodico sezionale. Da sinistra Fausto Coradduzza, Pietro Saldari, Umberto Taboga ed Ezio Agari-nis. Archivio Sezione ANA Carnica.

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Cenni storiciCondensare in poche pagine una storia lunga 87 anni, come quella della

Sezione «Carnica» dell'ANA, è diffi cile in quanto, necessariamente, si de-vono tralasciare vicende, storie, episodi, appuntamenti tutti egualmente im-portanti. Noi ci proviamo sapendo fi n da ora che molti saranno gli scontenti. Da tenere presente che al 31 dicembre 2009 i Gruppi sono 32, dislocati su 28 comuni, 3.636 soci di cui 2.567 ordinari e 1.069 aggregati.

A quattro anni dalla fondazione dell'Associazione Nazionale Alpini avve-nuta a Milano nel 1919, nel 1923 si raggruppano le prime penne nere della Carnia. La prima assemblea ha luogo il 29 maggio 1924 a Tolmezzo, all'Al-bergo Alla Stazione e vi partecipano 31 soci. Nel corso di questo incontro viene eletto anche il primo consiglio sezionale. Presidente è il rag. Ilario Can-dussio, grande invalido di guerra, decorato al valor militare, e già sindaco di Tolmezzo.

La Sezione prende corpo con i primi Plotoni (gli attuali Gruppi): Arta Terme e Zuglio, Paluzza (denominato «Alto But», in quanto comprende 5 comuni e vanta circa 300 soci), Tolmezzo (intitolato al ten. Tita Copetti, Me-daglia d'Argento al valor militare 'alla memoria') e Villa Santina. Di seguito il Gruppo di Cavazzo Carnico. Dopo un paio d'anni di pausa, nel 1926 nasce il Gruppo di Forni Avoltri, poi il Gruppo dei Forni Savorgnani (Forni di Sopra e Forni di Sotto) con 25 soci iniziali. Nel 1928 nasce il Gruppo di Rigolato, segue quello di Verzegnis. E via avanti con Ampezzo, Amaro (capogruppo Alceste Mainardis che diventerà anche presidente sezionale), Ovaro, Prato Carnico, Comeglians. Da sottolineare che il 13 settembre 1931 la Sezione Carnica organizza un raduno-pellegrinaggio sul Pal Piccolo presente l'allora Presidente nazionale dell'ANA Angelo Manaresi. Per l'occasione viene co-niata una medaglia e dato alla stampe un numero unico. Nello stesso anno nasce il Gruppo di Paularo. Nell'aprile del '32 viene costituito il Gruppo di Zovello i cui soci si sono staccati da Ravascletto. Non passa tanto tempo che nascono due nuovi Gruppi: Sutrio e Treppo Carnico si formano con soci che si staccano da Paluzza. Nel frattempo cambiano anche i Presidenti sezionali: ad Ilario Candussio succede il magg. Oviedo Fabbro di Villa Santina e, suc-cessivamente, il tolmezzino Amabile D'Orlando.

Nel periodo bellico della secondo confl itto mondiale, molti Gruppi cessa-no l'attività. Nella prima assemblea del dopoguerra, viene eletto Presidente il ten. col. poi gen. C.A. nel ruolo d'onore Ferdinando Antoniacomi, Medaglia d'Argento al valor militare, di Forni di Sopra.

Nel 1956 il Gruppo di Paluzza diventa, per alcuni anni, Sottosezione. Nel-lo stesso anno Cleulis si stacca da Paluzza costituendosi in Gruppo. Intanto,

Il vessillo della sezione Carnica.

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13/09/1931:Raduno Pellegrinaggio al Pal Piccolo. Foto scattata a Passo di Monte Croce Carnico.

Archivio Sezione ANA Carnica.

1946: Raduno di penne nere carniche al Tempio Ossario di Timau.Archivio Sezione ANA Carnica.

nel 1964, si ricostituisce il Gruppo di Sutrio che si era sciolto nel 1940. Cin-que anni dopo Sauris si stacca da Ampezzo dando vita ad un suo Gruppo. Nel 1966 Verzegnis dà il via, a Sella Chianzutan, al campionato regionale ANA di sci di fondo che proseguirà per 26 anni. Nel 1966 le penne nere si distinguono per i soccorsi portati alle popolazioni di Forni Avoltri e Forni di Sopra a seguito di disastrose alluvioni. Nel settembre 1972 viene costituito il Gruppo di Timau.

Il 30 luglio 1973 muore il presidente sezionale gen. C.A. Ferdinando Anto-niacomi. Gli subentra il dott. Alceste Mainardis, Medaglia d'Argento al valor militare 'sul campo' nella Campagna di Grecia-Albania. La Sezione, nel 1975, pubblica un numero unico, con notizie sui Gruppi e sulla Sezione. Nascono, intanto tre nuovi Gruppi: Dierico (il quale due anni dopo donerà alla chiesa un organo del '700), Cavazzo Carnico e Buttea.

Il 1976 vede il disastroso terremoto del Friuli e le penne nere sono in pri-ma fi la, dando anche inizio alla futura Protezione Civile. Tappa importante, nel 1979, è l'istituzione del «Premio Fedeltà alla Montagna Carnica», voluto dal presidente Alceste Mainardis. Nel 1982 a Tolmezzo nascono due nuovi Gruppi: il «Fratelli Ermano» e, nella frazione Illegio il «Dondoni Ricciotti». Nel 1983 si costituisce uffi cialmente, a Pesariis, il Gruppo «Val Pesarina». Nello stesso anno nasce il Coro Sezionale «Tita Copetti» che collaborerà fi no a fi ne 2000. Il primo maggio 1986 muore il Presidente Alceste Mainardis e nel marzo dell'anno seguente viene eletto il gen. Adriano Gransinigh che imprime un nuovo impulso alla Sezione fondando anche la rivista sezionale «Carnia Alpina» con direttore Fausto Coradduzza. Ad un carnico, Giuseppe Adami, viene assegnato il Premio Nazionale Fedeltà alla Montagna. L'anno seguente, il 26 giugno, per volere di Gransinigh, ha inizio la serie dei pelle-grinaggi alle cappelle di Pal Piccolo e Pal Grande. Nel frattempo gli alpini della Carnica (Gruppo di Cavazzo) partecipano all'emergenza in Valtellina e donano (Gruppo di Arta Terme) un prefabbricato ai colleghi di Cinte Tesino. Anche lo sport distingue la Carnica. Nel febbraio 1988 a Pescocostanzo, in occasione del 53° Campionato Nazionale ANA sci di fondo Gervasio Puntel e Innocente Del Fabbro vincono le rispettive categorie. Negli anni seguenti i fondisti riporteranno nuovi successi. Il 10 luglio ha luogo il 1° Raduno Sezio-nale a Ravascletto. Partecipano 500 penne nere mentre i gagliardetti sono 50. Viene benedetto il nuovo vessillo. Un terremoto colpisce l'Armenia a fi ne '88. Il chirurgo prof. Andrea Bergnach, accompagnato dal dott. Valter Zucchiat-ti, dirige l'ospedale da campo. Presenze anche a Rossosch nell'»Operazione Sorriso». L'11 marzo '90 all'assemblea dei delegati il presidente Gransinigh rinuncia a candidarsi. Viene eletto il col. Pier Luigi Giampaoli che reggerà la

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14-15 maggio 1972: Adunata Nazionale di Milano. Sfi la la Sezione Carnica. Scorta-no il vessillo da sinistra Alceste Mainardis, il gen. F. Antoniacomi e Arnaldo Corva. Archivio Sezione ANA Carnica.

19-21 marzo 1960: Adunata Nazionale di Venezia, al centro in prima fi la con abito scuro il gern F. Antoniacomi con alla sua sinistra Alceste Mainardis. Archivio Sezione ANA Carnica.

A sinistra il generale Adriano Gransinigh, a destra il prof. Andrea Bergnach (con il cappel-lo alpino) in Armenia con alcuni suoi collaboratori. Archivio Sezione ANA Carnica.

50° Adunata Nazionale di Torino: sfi la la Carnica. Archivio Sezione ANA Carnica.

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Sezione fi no al marzo 1999, quando gli subentrerà il col. Pietro Saldari. Pren-de il via il primo Trofeo di slalom gigante intitolato al «serg. Paolo Rocco». La denominazione rimarrà fi no al 2010 quando sarà invece dedicato a Carlo Delicato. Nel 1992 la Sezione «Carnica» viene registrata nell'elenco dei Nu-clei di Protezione Civile: primo coordinatore è Ezio Agarinis. Il 25 aprile il presidente nazionale Leonardo Caprioli visita la Sezione. Nel mese di ottobre 1993, curata dal presidente Giampaoli, esce una pubblicazione in ricorrenza del 70° anniversario. Nel febbraio dell'anno successivo a Forni di Sopra la Se-zione organizza il 27° Campionato Nazionale ANA sci di fondo. Il 1994 vede la P.C. nuovamente impegnata: partecipa a tre turni nell'Emergenza Piemonte e raccoglie, con una sottoscrizione, 8.770.000 lire. Il 1995 inizia con un nuo-vo collaboratore di «Carnia Alpina»: Umberto Taboga che imprime una svol-ta di carattere tecnico alla rivista. Nel mese di ottobre ha luogo a Tolmezzo il 72° incontro dei Presidenti delle Sezioni del Triveneto e si disputa la prima edizione della gara di tiro con fucile di ordinanza «Garand» intitolato al cav. Domenico Bellina. Tale denominazione rimarrà fi no al 2009 quando sarà de-dicato all'A.B. Romeo De Crignis. Il 9 febbraio 1997 si disputa, a Forni di So-pra il 62º Campionato nazionale ANA sci di fondo organizzato dalla Sezione. Il 1998 vede nuovamente l'impegno della P.C. partecipando all'emergenza del terremoto che ha colpito Marche ed Umbria. In occasione del 75° della costi-tuzione della Sezione viene dato alle stampe il libro realizzato da Giampaoli e Taboga «1923-1998: tre quarti di secolo degli alpini dell'ANA in Carnia». Il 14 marzo, nel corso dell'assemblea dei delegati ad Ampezzo Giampaoli passa il testimone di Presidente al col. Pietro Saldari. Altro impegno della P.C.. Nel mese di giugno è chiamata nell'emergenza Kosovo. Con una sotto-scrizione vengono raccolti 16 milioni di lire e a fi ne anno è pure chiamata in Francia. Tra ottobre e novembre nuovo impegno della P.C. in Valle d'Aosta e a fi ne anno Agarinis cede l'incarico di coordinatore a Sergio Zani. Con la 75ª Adunata Nazionale a Genova gli alpini della «Carnica» sfi lano per la prima volta compatti con la maglietta sezionale. Nell'ottobre, forse prima in Italia, la Sezione ha una socia ordinaria, Stefania Rovis in forza all'8º reggimento alpini, del Gruppo di Ovaro. Il 18 novembre, a Tolmezzo, viene inaugurato il Monumento che ricorda gli Alpini e i Caduti di tutte le guerre, fortemente voluto da Renzo Marcon, capogruppo del «F,lli Ermano». Nel febbraio 2002 Forni Avoltri ospita la 67ª edizione dei Campionati nazionali ANA di sci di fondo. Nell'assemblea dei delegati del 10 marzo viene riconfermato alla guida della Sezione il col. Pietro Saldari. Nel frattempo Graziano Petris diventa co-ordinatore sezionale della P.C.. Nel mese di ottobre, a Tolmezzo, la Sezione, assieme al Gruppo «Tita Copetti» organizza un raduno in occasione dei 130

1937. Penne nere del Gruppo di Ampezzo all'Adunata Nazionale di Firenze.Archivio Sezione ANA Carnica.

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19-21 marzo 1954: Alpini carnici all'Adunata Nazionale di Roma.

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anni di fondazione del Corpo degli Alpini. Poche settimane dopo la P.C. parte alla volta di Rotello, Molise, per portare soccorso a quelle popolazioni colpite dal terremoto e poi nel pordenonese a seguito di esondazioni e straripamenti.

In occasione dell'80º anniversario della costituzione della Sezione, è dato alla stampe, curato da Umberto Taboga, il volume «1923-2003: ottant'anni portati bene» che riporta la storia del sodalizio. Non c'è proprio pace per la P.C. che è nuovamente chiamata. Una trentina di volontari interviene per 31 giorni nel Canal del Ferro-Valcanale per portare aiuto a quelle popolazioni colpite da un inaudito temporale con esondazioni. Impegnati nel vettovaglia-mento hanno confezionato 911 colazioni, 7.800 pasti ed altro. Il 2004 porta bene alla Sezione. Alla rivista sezionale «Carnia Alpina» viene attribuito il 1° Trofeo stampa alpina «Vittorio Piotti» mentre la scelta del manifesto della 78ª Adunata Nazionale di Parma è caduta sull'elaborato dell'allora Capogruppo del «Val Pesarina», Dario Gonano. Luglio porta un fi occo «verde»: la Sezione si arricchisce di un nuovo Gruppo, il 32°, quello di Ludaria. I soci sono 3.500 (2.566 ordinari e 934 aggregati).

Siamo oramai nel 2005. Il 13 marzo, a Rigolato, vie eletto per la terza volta al vertice della Sezione il col. Pietro Saldari. La P.C. con 15 componenti si reca a Roma in occasione dei funerali del Papa Giovanni Paolo II. In occasio-ne del 18° Raduno Sezionale la P.C. esegue interventi a favore del Comune come, d'altra parte, in tutti i precedenti raduni. Il 2006 vede un'iniziativa, forse la prima in Italia, voluta dal Presidente Saldari: la commemorazione dei Caduti del fronte greco-albanese, appuntamento che prosegue. Il 4 marzo, purtroppo, le penne nere accompagnano all'ultima dimora l'ex presidente se-zionale gen. Adriano Gransinigh. In Sardegna la P.C. riceve riconoscimenti per il lavoro svolto all'esercitazione «Lu statiali in Gaddhura». A fi ne anno la Sezione può contare su 3.606 iscritti (2.583 ordinari e 1.023 aggregati. La P.C., nell'impegno della Colletta del Banco Alimentare, raccoglie 3.677 kg. di generi alimentari. Successo di presenze al 10° trofeo «Cav. Domenico Belli-na», con 199 tiratori, in rappresentanza di 66 squadre. L'anno 2008 registra il nuovo cambio di Presidente. Al col. Pietro Saldari (che salirà al Paradiso di Cantore nel mese di ottobre) subentra, il 9 marzo, Umberto Taboga con una votazione plebiscitaria. Gaetano Di Centa si impone nella categoria B5 al 73° Campionato ANA di sci di fondo in Valgrisenche. Ma l'appuntamento più importante è stato la presenza del Presidente Nazionale ANA Corrado Pero-na, del C.D.N. con il Labaro nazionale in occasione del Pellegrinaggio (21°) dichiarato solenne, alle Cappelle di Pal Piccolo e Pal Grande con la presenza anche del comandante della Brigata Alpina Julia, gen. Paolo Serra. Il 2008 vede, come al solito il grande impegno dei Gruppi e della P.C. Il Libro Verde

Roma. 19-21 marzo 1954: A sinistra in abito scuro l'avv. Angelo Manaresi con a destra il gen Ferdinando Antoniacomi.

Archivio Sezione ANA Carnica.

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che riporta i dati li quantifi ca in 13.013 ore e in 40.947,84 euro messi a dispo-sizione della collettività. In ottobre, all'11° Trofeo «cav. Domenico Bellina», partecipano 269 tiratori: un successo inaspettato. L'anno 2009 vede anche l'organizzazione del 38° Campionato Nazionale ANA di Corsa in montagna individuale a Forni Avoltri, con la presenza di oltre 400 atleti. La gara di tiro, il cui Trofeo è intitolato all'A.B. Romeo De Crignis, con la partecipazione di 301 tiratori registra un successo che gratifi ca gli organizzatori. Ma ciò che ha caratterizzato maggiormente è la presenza della P.C. al Campo Acquasanta a L'Aquila. Su 48 volontari ben 38 hanno partecipato alle operazioni con 712 giornate lavorative per un totale di 10.680 ore, dal 6 aprile a metà novembre. La Sezione, inoltre ha raccolto con una sottoscrizione 31.054,70 euro impor-to messo a disposizione della Sede Nazionale. I vari Gruppi, inoltre, hanno «regalato» per attività a favore del territorio, ben 13.013 ore e somme erogate pari ad euro 40.947,84. Inoltre, su richiesta, sempre da parte della Sezione, l'Amministrazione comunale di Tolmezzo ha concesso al 3° Artiglieria da Montagna la cittadinanza onoraria. Ora, a metà 2010, il bilancio dell'attività associativa risulta positivo.

10 -11 maggio 1997: 70° Adunata Nazionale a Reggio Emilia: sfi la il Coro sezionale «Tita Copetti». Archivio Sezione ANA Carnica.

9 maggio 2000: il Presidente Nazionale Beppe Parazzini posa per la foto ricordo durante la sua visita in Carnia assieme al C.D. sezionale. Archivio Sezione ANA Carnica.

Il Nucleo di Protezione Civile in Molise. Sullo sfondo San Giuliano di Puglia. Archivio Sezione ANA Carnica.

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Alcuni Componenti del Nucleo Sezionale della Protezione Civile. Archivio Sezione ANA Carnica.

2-3 settembre 2004 Il neo-eletto Presidente Nazionale Corrado Perona in visita alla Sezione. Nella foto a Paularo. Da sinistra il Capogruppo Ennio Blanzan, il Consigliere Nazionale Dante Soravito De Franceschi e il Presidente della Sezione Pietro Saldari. Archivio Sezione ANA Carnica.

La squadra volontari del Nucleo sezionale della P.C. che dai primi giorni dell' «Emergenza Abruzzo» ha prestato l'opera al Campo Acquasanta. Archivio Sezione ANA Carnica.

14 maggio 2008: Cerimonia al Tempio Ossario di Timau.Il Labaro Nazionale scortato la Presidente Perona e dal Comandante della Julia gen. Serra e da tutto il Consiglio Direttivo nazionale. Archivio Sezione ANA Carnica.

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La sezione di Gorizia all'adunata nazionale di Latina 2009.A sinistra l'alfi ere Paolo Verdoliva e a destra il presidente Renato Cislin.

La sezione ANA «Tenente Pietro Colobini» di Gorizia

L'idea di una Sezione A.N.A. a Gorizia, come andavano costituendosi un po' in tutte le zone di reclutamento alpino dopo il '19 (anno di fondazione del-la nostra Associazione), sorse nella mente di due piemontesi, Angelo Milano e Federico Carlevaris e di un friulano, Cleto Cosmi. L'origine della sezione Isontina è quindi anomala, rispetto a quelle di ogni altra Sezione, per non annoverare, tra i propri fondatori, alcun originario del luogo in cui la Sezione stessa stava nascendo ed in cui si sarebbe sviluppata. Se ne capisce il per-ché. Gorizia, contesa per quarantun mesi di durissima guerra, divenne italiana nell'estate del 1916 , ridivenne austriaca nell'autunno del 1917, fu defi nitiva-mente italiana dopo la triste parentesi di Caporetto. il 6 Novembre 1918, due giorni dopo l'armistizio, una prima automobile entrava in città con a bordo due colonnelli dei Carabinieri ed un maggiore degli Alpini. Sudditi, nel 1915, dell'Impero Austro Ungarico, i goriziani conobbero i campi di internamento o l'arruolamento del 97° reggimento di fanteria austriaco, famoso per questo. Furono mandati a combattere in Galizia, sui monti Carpazi. Non mancò, tut-tavia, chi scelse l'esercito italiano. Dei volontari goriziani che combatterono contro l'Austria, con le truppe alpine, conosciamo oggi cinque nomi:

Tenente Piero Bozzini - AssicuratoreCapitano Mario Camisi - ProfessoreTenente Pietro Fillak - AvvocatoCapitano Emilio Mulitsch - ProfessoreCapitano Luigi Villat - Commerciante

Nomi che ritroveremo tra i primi soci della nuova sezione. Una manciata di «regnicoli» (così erano detti allora i cittadini dei territori al di là dei vec-chi confi ni), quindi, i promotori della Sezione. Era il settembre 1923 quando l'idea, sorta un anno prima, prese concretezza nella sala dell'Unione Schermi-stica Goriziana di sia Codelli. L'invito alla riunione fu del Colonnello Remi-gio Perretti, Comandante del 9° Alpini, dopo che vari tentativi dei promotori non avevano avuto successo. Vi convennero alpini in congedo (pochi) ed al-pini alle armi (molti). Erano gli uffi ciali in s.p.e. del 9°, Comandante in testa. La loro entusiastica adesione prima, il loro appoggio morale e materiale poi, fu la conferma di quell'affi atamento che era venuto stabilendosi tra slpini e popolazione, sorto spontaneamente al loro prima apparire in città e che durò fi nche ci furono Alpini a Gorizia. I «bocia» stavano per arrivare qualche anno dopo: l'obbligo del servizio militare, per i giuliani, era appena cominciato.

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Dalla riunione di Via Codelli sortì il primo Consiglio Direttivo, composto da: Pietro Menghi (Presidente), Paolo Barbasetti (Segretario), Ezio Torrieri, Cleto Cosmi, Federico Carlevaris e Angelo Milani. Seguirono nella presiden-za: Federico Carlevaris, Angeli Milano, ancora Carlevaris, Paolo Barbasetti, nuovamente Carlevaris e fi no all'8 Settembre 1943, Enrico Matighello. Il pri-mo segno di vivacità della Sezione, a pochi mesi dalla nascita, fu la «Veglia Verde» del Febbraio 1924. La prima di una lunga serie di vasta risonanza tra la popolazione, sempre singolari per il «look», sempre di gremita e scelta partecipazione. La parentesi della guerra, per la Sezione di Gorizia, fu in re-altà una frattura. E' rimasta nella ex Jugoslavia gran parte del territorio della vecchia provincia, dove si erano andati costituendo i gruppi di Aidussina, Ca-poretto, Chiapovano, Montespino, Rifembergo e Tolmino. Località in genere con forte presenza di reparti alpini. La Sezione di Gorizia fu ricostituita nel 1946 ad opera dei promotori ten. Angelo Milani e Giuseppe Balla. Nel corso del primo anno si susseguirono alla presidenza, per brevi tempi, Angelo Mi-lano, Italo Querini e Ubaldo Ingravalle.

I presidentiIl primo presidente della sezione, dal 1923 al 1928, fu l'avvocato Pietro

Menghi. Gli successe il colonnello Federico Carlevalis, che fra le due guer-re resse più volte le sorti del sodalizio goriziano. La carica toccò in seguito a Paolo Barbasetti, anch'egli avvocato e funzionario della Cassa di Rispar-mio. Enrico Mattighello, fondatore a Gorizia dell'Unione Uffi ciali in conge-do, tenne la presidenza dal 1938 al 1943. Fu poi la volta del colonnello Ubal-do Ingravalle a cui fece seguito Angelo Milani. Nel secondo dopoguerra, Italo Querini diviene il «Presidente» per antonomasia ricoprendo la carica per trentare anni. Era il 1947 e a lui il destino affi dò il compito di ricostruire la sezione e di organizzare l'Adunata Nazionale nel capoluogo isontino, in un momento in cui sembrava che le Adunate non dovessero avere futuro. Alla carica di presidente viene eletto poi il genenerale Sergio Meneguzzo, reduce del fronte greco e jugolsavo e poi, dopo l'8 settembre, inquadrato nelle forze italiane cobelligeranti con gli alleati. Nel 1995 la presidenza passa dal generale Meneguzzo al colonnello pilota Gastone Marizza che per vent'anni ha prestato servizio a Belluno presso il nucleo elicotteristi della Julia. Nel 2001 è la volta del sergente Guerrino Canola che reggerà le sorti dell'ANA di Gorizia fi no al 2004 quando gli succederà il sergente Franco Braida che mantiene l'incarico per cinque anni fi no al 2009. Attuale presidente è Renato Cisilin, funzionario regionale e alpino del 3° Artiglieria di Montagna Gruppo Conegliano a Gemona del Friuli e poi in servizio presso l'ospedale militare di

Pietro ColobiniIl tenente Pietro Colobini (foto a sini-stra), Medaglia d'Oro al valor militare è l'uffi ciale cui è intitolata la sezione di Go-rizia. La decorazione gli fu concessa con la seguente motivazione: «Comandante di un plotone di fucilieri, malgrado le forti perdite, guidava il reparto all'attac-co di una munita posizione con indomito spirito aggressivo. Giunto in prossimità delle posizioni nemiche, preparava i suoi uomini all'assalto fi nale e invitandoli a serrarsi intorno a lui si slanciava avanti per un ultimo balzo. Davanti ai reticola-ti intatti, nell'ordinare ai suoi Alpini di svellerne i picchetti con le mani, dando-ne l'esempio, rimaneva gravemente feri-to una prima volta. Si aggrappava allora ai reticolati e, continuando ad incitare i suoi uomini, lanciava invettive contro il nemico riparato nelle trincee, invitando-lo a combattere all'aperto, fi nché ferito una seconda volta mortalmente, riusciva a gridare all'avversario che la vittoria era ormai dei suoi Alpini. Mali Spadarit (fronte greco) - 10 Marzo 1941.»

Cenni biografi ci Pietro Colombini, che prima di cadere in battaglia aveva già guadagnato una Cro-ce di Guerra al volor militare, era nato a Gorizia il 14 Febbraio 1914, dove conse-guì il diploma di ragioniere per iscriversi poi alla facoltà di Scienze Economiche e Commerciali dell'Ateneo di Trieste. All'ini-zio della guerra lasciò il lavoro e troncò gli studi per accorrere alle armi. Nel 1939 frequentò il Corso Allievi Uffi ciali di Com-pletamento a Bassano del Grappa. Ne uscì sottotenente e, fresco di nomina, fu inviato sul fronte occidentale con il Btg. «Feltre» del 7° Alpini, divisione «Pusteria». A fi ne novembre 1940 fu inviato sul fronte greco-albanese. Cadde in una nebbiosa mattina che preannunciava lo sgelo, il 10 Marzo del '41, sullo Spadarit.

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121Fronte greco: il colonnello Gaetano Tavoni, comandante del 9 Reggimento in piedi

sopra un cingolato parla alla truppa. Vicino a lui il tenente colonnello Paolo Signorini.

Udine. I gruppi che attualmente afferiscono alla sezione di isontina dell'ANA sono: Gorizia, Monfalcone, Cormons, Ronchi dei Legionari, Gradisca d'Ison-zo, Romans d'Isonzo, Fogliano Redipuglia, Capriva del Friuli, San Lorenzo Isontino, Medea, Fossalon di Grado, Lucinico, Villesse, Mariano Corona, e Mossa

Gli alpini a Gorizia alla vigilia della grande guerraNon è mai stato dato ampio risalto al fatto che le truppe alpine avessero

trovato la giusta collocazione a Gorizia stabilendosi, il IX Rgt. Alpini, nella caserma di Piazza Vittoria (ora sede dell'INPS), mentre il comando e le sal-merie, nella caserma di S. Andrea (esisteva per amor del vero anche la caser-ma di Salcano, dove trovò ospitalità il Btg. «Vicenza», reduce dall'immane tragedia della campagna di Grecia); il III Rgt. di art. alpina invece fu sistema-to nella caserma di via Trieste (attuale sede del XIII Btg. mobile dei Carabi-nieri); com'è altrettanto vero che un distaccamento del Gruppo «Udine» fosse posto a S. Lorenzo di Mossa, oggi Isontino, che fu accantonamento tempora-neo dell'allora Ten. Sergio Meneguzzo, nostro compianto ed indimenticabile Presidente. Come si può vedere, gli Alpini erano ben connessi con il tessuto cittadino, tant'è che il teatro di operazione delle truppe alpine, qui dislocate, abbracciava quasi per intero l'entroterra goriziano, arrivando fi no al Mon-te Tricorno, «cippo confi nario» naturale con la Yugoslavia di allora. Appare dunque scontato l'affi damento dell'entroterra goriziano agli Alpini, essendosi allargato di molto il fronte italo austriaco da presidiare, come conseguenza inequivocabile della vittoria nella Grande Guerra contro l'Austria-Ungheria. Ed è proprio nella Grande Guerra che troviamo, per la prima volta, le Truppe Alpine a combattere sul fronte dell'alto, medio e basso Isonzo. Non deve far dunque meraviglia che là, dove ci fossero alture da difendere o da conqui-stare, venissero impiegate le truppe alpine, spauracchio perenne del nemico. Ecco dunque i «montagnini» impegnati nella Battaglia di Gorizia: - il VII Gruppo da montagna «Vicenza», con la 21a e 30a batteria, rispetti-vamente a quota 513 e 237, combattere inquadrato nella 45a Divisione sul Monte Sabotino;- il XIII Gruppo someggiato, con la 31a batteria da montagna, in quadrato nella 24a Divisione, a Visinale;- la 55a batteria da montagna, inquadrata nella 12a Divisione, sul Grafenberg e a quota 240 del Calvario;- Unità dell'artiglieria da montagna, dunque, inquadrate nel VI Corpo d'Ar-mata, della II Armata, che hanno aperto la via per la conquista di Gorizia (6 - 8 agosto 1916).

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ANA di Gorizia: 85°della fondazione. La sede della sezione cittadina viene intitolata a due alpini goriziani deceduti a Gemona a seguiti del terremoto del 1976. Archivio ANA Gorizia.

La targa dedicata al capitano Tomaso Bozano e ai suoi alpini sul «Ponte 8 agosto». Nella foto l'alpini Roberto Buffolini promotore dell'iniziativa. Archivio ANA Gorizia.

Sul Carso, frattanto, facevano eco alle imprese delle batterie del VI Corpo d'Armata: - il VI Gruppo da montagna «Udine», della 22a Divisione, con le batterie 16a e 18a sul «San Michele»;- il VII Gruppo sommeggiato, della 16a Divisione, con la batteria 32a da mon-tagna sul Monte «Sei Busi», sostenuta dalla 12a batteria da montagna, della 14a Divisione. I nostri «montagnini» alla conquista di Gorizia, mentre, nel-le successive battaglie dell'Isonzo, il Btg. «Aosta» si coprirà di gloria alla conquista del M.te «Vodice», in cui ebbero spazio per distinguersi anche le restanti batterie del VI e del VII Gruppo da montagna. Dal Monte «Nero» (1915) alla Bainsizza (1917), l'epopea degli Alpini non trovò ostacoli fi nan-che nella difesa di Gorizia, nell'ottobre del 1917, quando la nuova strategia e la preponderanza militare germanica causarono la ritirata strategica di Ca-poretto che si sarebbe però conclusa al Piave. Infatti, a seguito del repentino cedimento italiano a Caporetto, occorreva rallentare il più possibile l'avanzata degli austro-tedeschi, per dar modo alle nostre divisioni in ripiegamento, di raggiungere la prima linea di difesa predisposta dal Generale Cadorna sul fi u-me Tagliamento. Occorreva dunque fermare il nemico a Gorizia, ancora una volta sull'Isonzo. L'evacuazione della città ebbe inizio il 24 ottobre del 1917. Le prime truppe ed i civili, attraversato il fi ume, ripararono al di là del Taglia-mento mentre le prime avvisaglie austriache in città si ebbero il 26 ottobre, giorno in cui, per ordine del Gen. Tiscornia Comandante della 24a Divisione, la 880a compagnia mitraglieri Alpini si attestò a presidio degli ultimi due ponti sull'Isonzo, mantenuti in effi cienza come conseguenza del ripiegamen-to delle nostre truppe che si protraeva ormai da giorni, senza soluzione di continuità. La resistenza dei due capisaldi, mantenuti dalla 880a compagnia, fu tale che soltanto alla sera del giorno 28 ottobre i mitraglieri alpini, coman-dati dal Cap. Tomaso Bozano, ormai circondati dalle truppe austriache scese dal Monte Sabotino lungo la sponda destra dell'Isonzo, tentarono una sortita per rompere l'accerchiamento attuato dalle inferocite truppe austro-tedesche, bloccate da quel manipolo di valorosi sul fi ume sacro alla Patria: l'Isonzo. Purtroppo il nucleo di retroguardia della Compagnia, dopo strenua resistenza, fu sopraffatto e catturato dal nemico ormai baldanzoso e sicuro di sé, che avanzava al grido di «Mailand, Venedig (Milano, Venezia)». Al Comandante della 880a fu conferita la Medaglia di Bronzo al Valore Militare. Questo epico avvenimento ebbe un seguito anche in tempo di pace. Infatti sul nuovo ponte dell'Isonzo, denominato «Ponte 8 agosto», sorto dopo la distruzione del ponte in ferro e l'abolizione del traghetto che per anni aveva servito i viandanti, avrebbe dovuto essere posta una targa a ricordo di quei valorosi mitraglieri Alpini: sulla lapide avrebbe dovuto essere incisa la seguente epigrafe:

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Su questi ponti,ultima sentinella di Gorizia,

avanguardia del Piave,la 880a Compagnia mitraglieri Alpini,

al Comando del Capitano Tomaso Bozano,resisteva tenacemente per ben tre giorni

alle soverchianti forze austriache

26 - 28 ottobre 1917Il Comune di Gorizia, nel trigesimo anniversario

P O S E

Correva l'anno 1922, passato alla storia per i noti eventi storici che portarono al governo i nazionalisti di destra i quali però, nonostante il loro tanto declamato patriottismo, non addivennero a nulla di concreto: la lapide non fu mai posta, nonostante che, fi n dalle prime battute, il Comune di Gorizia avesse accollato il costo per la sua realizzazione agli Alpini mitraglieri: la storia non si cambia, né si distrugge! A questa «dimenticanza» si è posto rimedio nell'ottobre 2008 in occasione del 90° anniversario della fi ne della Grande Guerra grazie all'ini-ziativa dell'alpino goriziano Roberto Buffolini.

Alpini a Gorizia dopo la grande guerraToccò agli alpini del Battaglione «Aosta» la fortuna di stabilire i primi con-

tatti con Gorizia e i goriziani. L' 80° Divisione cui apparteneva dopo aver chiu-so il suo ciclo di battaglie sul Grappa ad aver trascorso un meritato periodo di riposo nel Graticolato Romano, fra Treviso e Padova, era stata impiegata in un lavoro ciclopico qual'è quello del rifacimento dell'argine sinistro del Piave. Compiuta a tempo di primato quella immensa opera, la Divisione viene trasfe-rita - e una volta tanto a mezzo ferrovia - nella zona Goriziana. Come abbiamo detto, è all'Aosta che tocca in sorte la ambita residenza di Gorizia. Il suo motto non è ancora il famoso «ch'a cousta lo ch'a cousta viva I'Aousta» che è il grido che veniva lanciato dai suoi alpini contro il nemico nei furibondi e sanguinosi assalti ai Solaroli, ma è ancora il signifi cativo «Più onore che onori» e, per-ciò l'essere stati prescelti a fare parte del Presidio di Gorizia ha, per gli alpini dell'Aosta, il grato sapore di un giusto premio, e ne sono lieti, e manifestano rumorosamente la gioia di poter vedere la città teatro di quelle immani battaglie che l'hanno resa il simbolo imperituro delle glorie guerriere del soldato d'Ita-lia. 1° Maggio 1919. Di buon mattino il convoglio che trasporta il battaglione, giunge a Monfalcone. Splende un sole radioso che contribuisce ad aumentare il buon umore. Gli alpini hanno appena il tempo di godersi la vista del mare - uno spettacolo assolutamente nuovo per molti - che il convoglio sferraglian-do asmatico, comincia a costeggiare le pendici del Carso pietroso, intersecato

Gli alpini dell'80° Divisione al lavoro sugli argini del Piave prima del trasferimento a Gorizia. SFEI.

La «Caserma della Vittoria» che affaccia sulla piazza omonima, cosa degli alpini goriziani.La foto risale al periodo dell'occupazione austriaca.

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5 maggio 1943. Il reggimento sfi la per le vie di Gorizia al rientro dal fronte russo. Archivio Ana Gorizia.

1942. Stazione ferroviaria di Gorizia. La bandiera del 9° al rientro dalla Grecia. Archivio Ana Gorizia.

da trincee e da camminamenti. Grande interesse suscita la vista dell'lsonzo la cui acqua ha il colore del cielo. Ma è Gorizia che gli alpini vogliono vedere. E, fi nalmente, la città appare improvvisamente dal lato sinistro del convoglio, adagiata nella grande conca delimitata dalla cerchia falcata dei suoi monti, bella come può esserlo una perla adagiata nella sua culla naturale, la conchiglia. [...] Primo accantonamento: il palazzo del Tribunale. È il 1° maggio e il battaglione vi resta consegnato perché i nostri Comandi, ricordandosi dei tempi in cui il 1° Maggio era, inevitabilmente, fonte dì disordini, prende le sue precauzioni. Ma alle 13, visto che i pacifi ci goriziani considerano questa gior nata come un'altra qualsiasi, viene tolta la consegna e Uffi ciali e soldati scia mano per la città. Na-turalmente gli alpini vanno alla scoperta «dle croti» (oste rie) e dopo la ritirata, si informeranno vicendevolmente delle rispettive scoperte. Il 2 maggio gli alpi-ni, che non sono capaci di oziare, danno inizio allo sgombero delle macerie che coprono letteralmente i pavimenti di tutti i vani e ingombrano i cortili, e in due giorni il grande palazzo è perfettamente ripulito. Hanno appena fi nito questo la-voro, inspiegabilmente trascurato fi no allora, che gli alti Comandi, vedendo che l'alpino sa anche lavorare presto e bene, affi dano al Battaglione il compito di ri-pulire la Caserma Sabotino, quella topaia che ancora oggi deturpa il Corso Ver-di. E, in due giorni, anche la Caserma Sabotino è ripulita. «Ci hanno scambiati per spazzini», commentano gli alpini! E' immediatamente dopo, uguale lavoro di ripulitura radicale deve essere fatto alla Caserma della Vittoria, quell'altro antico convento - anche questo una topaia - che sorgeva sulla piazza omonima, attiguo alla chiesa di S. Ignazio. Sarà questo l'accantonamento defi nitivo del battaglione ed è questo che, fi no quasi alla vigilia della seconda guerra mondia-le, farà da caserma agli alpini del «Nono». Ormai gli alpini hanno preso gusto a sgomberare macerie. [...] E così le penne nere danno inizio alla ripulitura della città. La larga dotazione di carrette -regolamentari e non - di muli e anche di ca-valli - già dell'Esercito Austriaco -permette loro di fare miracoli. Un rione dopo l'altro viene sgomberato e ripuli to dalle macerie. La gente guarda meravigliata questi alpinacci che, senza mai perdere il buon umore, pur «tirando» energiche «ostie» ed altri moccoli ancor più energici, lavorano con alacrità da formiche senza bisogno di essere pungolati dai loro Uffi ciali. Guarda questi soldati la cui disciplina non ha nulla di formale e, tuttavia, li fa eseguire, magari talvolta mu-gugnando, qualsiasi ordine venga loro impartito. Non occorre molto tempo, ai goriziani, a capirne il carattere e, soprattutto, a comprendere l'anima. Piacciono ai goriziani questi soldati trasandati che fumano la pipa o il toscano - qualcuno, anche, cicca - che accolgono con mani festi segni di piacere l'apparizione dei loro Uffi ciali i quali non sdegnano di bere un «gotto» con loro, che mangiano forte e, ancor di più, bevono forte e che, soprattutto, lavorano cantando...

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Il tenente Ferruc-cio Bernardis e il suo muolo «Violeto». Nel secondo dopoguerra Bernardis divenne sin-daco di Gorizia. Ar-chivio ANA Gorizia.

Campagnuzza: una foro aerea della caserma che ospitava il 9° Reggimento AlpiniArchivio ANA Gorizia.

L'idea della «Fiaccola» è nata nel 1956 a Monfalcone (GO), da un'idea del maggiore degli Alpini Luigi Rudella, Commissario di leva nella Città dei cantieri, e del Ca-pogruppo Alpini maggiore Amelio Cuzzi, all'epoca amministratore comunale. Il con-cetto espresso da Rudella era che gli Al-pini, con la loro organizzazione dislocata su tutto il territorio, avrebbero potuto assu-mersi l'onere di una staffetta dei «Cimiteri di Guerra» in occasione della cerimonia che si svolge a Redipuglia ogni anno il 4 novembre. Il seme era gettato, cominciò a germogliare e pian piano prese corpo. Fu chiesta ed ottenuta, oltre a quella de-gli Alpini, la collaborazione del Generale Scarpa, Comandante il V Corpo d'Arma-ta, il quale, entusiasta, mise a disposizio-ne mezzi ed automezzi militari indicando quale unica condizione la puntualità al momento dell'arrivo al «Sacrario dei Cen-tomila» di Redipuglia. Fù così che in oc-casione delle celebrazioni del 1957, per la prima volta la Fiamma accese i grandi tripodi ai fi anchi della scalinata del «Sacra-rio dei Centomila» di Redipuglia. Lo scopo della Fiaccola, che venne successivamen-te chiamata «della Fraternità», è quello di unire idealmente, attraverso il fuoco puri-fi catore acceso e benedetto a Timau, nel Tempio Ossario, tutti i Cimiteri di guerra della regione, nei quali riposano i Caduti delle due guerre e di ogni nazionalità, con il Sacrario di Redipuglia e ciò nella gior-nata che la Patria dedica al Loro ricordo. Nel corso di questi anni (1957 - 2009) la Fiaccola, passata sotto il patrocinio della Sezione Alpini di Gorizia, ma sempre e puntualmente organizzata dagli Alpini del Gruppo di Monfalcone ha continuato ad estendersi con diramazioni in quasi tutta la regione e, nelle ultime edizioni, anche in Slovenia raggiungendo il Sacrario di Capo-retto ormai in forma uffi ciale dopo il primo sconfi namento semiclandestino. Da tempo ormai la Fiaccola della Fraternità è parte centrale della cerimonia annuale che ha luogo sul Sacrario di Redipuglia nella gior-nata dedicata alle Forze Armate e, per noi sempre, nell'Anniversario della Vittoria.

COME E' NATA LA FIACCOLA ALPINA DELLA FRATERNITA’

Il maggiore Amelio Cuzzi.

Redipuglia. L'accensione dei tripodi.

Redipuglia. 4 novembre 2008: salme di alpini caduti rientrano dalla Russia.

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L'intervento protezione civile a seguito del sisma del 1976 Forse pochi ricordano e molti ignorano che la riunione, durante la quale

prese corpo l'idea del Presidente Bertagnolli di costituire dei cantieri di lavoro in Friuli, fu tenuta il 20 maggio 1976 proprio a Gorizia, la Sezione più vici-na tra quelle non colpite dal sisma. La bozza di progetto allora predisposto, prevedeva l'apertura di 30 cantieri e la presenza giornaliera di 100 persone per ogni cantiere. La zona di lavoro doveva essere un paese della fascia ter-remotata limitrofo all'epicentro. Ogni volontario avrebbe dovuto portare con sé il necessario per tutto il periodo di permanenza. L'Associazione avrebbe Fornito il vitto a tutti i partecipanti. Scopo dell'iniziativa era quello di For-nire un tetto alla maggior parte delle famiglie prima dell'arrivo dell'inverno. Sull'intervento dell'A.N.A. in Friuli si è già detto e scritto molto, ma in un resoconto dell'attività della Sezione di Gorizia durante i suoi 70 anni di vita, non poteva mancare un accenno al contributo Fornito dagli Alpini isontini a quella iniziativa. E per lo scopo non servono molte parole ma sono suffi cienti solamente alcuni dati. Già il 24 maggio a Milano, convocati i presidenti di sezione viene attribuita al cantiere n. 2 la zona di Attimis. Sezioni partecipanti oltre a Gorizia, Trieste, Palmanova, Feltre e Cadore. Il giorno successivo, a Gorizia, si decide un sopralluogo che viene effettuato 27 Maggio. Il 6 Giugno ha inizio la sistemazione del campo e l'8 Giugno si procede alla nomina dei responsabili: capo cantiere l'ing. Aldo Innocente (Trieste), capo campo gen. Sergio Meneguzzo (Gorizia), - contabile Livio Tomasi (Gorizia), coadiutori il signor Enrico Macor ed il geom. Fiori de Biasi, coordinatore per le sezioni presenti, il presidente della sezione di Gorizia dott. Querini. Il 15 Giugno, infi ne, (esattamente un mese e nove giorni dopo il terremoto) viene aperto il cantiere n. 2 di Attimis ed il giorno 8 agosto il n. 2 bis a Savorgnano del Torre. La sezione di Gorizia, nei tre mesi di lavoro, ha fornito al campo 240 persone tra alpini ed amici ed ha raccolto una somma complessiva di L. 21.241.552, oltre a materiali, attrezzature e mezzi vari forniti da ditte ed imprese della provincia.

L'esposizione permanente «Alpini a Gorizia» L'11 ottobre 2008 è stata inaugurata la mostra permanente dal titolo «Alpini

a Gorizia», 9° Reggimento Alpini e 3° Reggimento Artiglieria Alpina, presso i Musei Provinciali di Gorizia. L'esposizione si propone di raccontare la pre-senza degli Alpini a Gorizia e gli avvenimenti che li hanno coinvolti in un più vasto contesto nazionale e internazionale. Il periodo preso in considerazione è concentrato soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali. In quel periodo infatti, erano dislocati a Gorizia i Comandi di Reggimento del 9° Alpini e del

Alcune immagini dei presidenti della sezione goriziana. Da sinistra: Renato Cisilin, Franco Braida, Guerrino Canola, Gastone Marizza e Sergio Meneguzzo. Archivio ANA Gorizia.

Altri presidenti della sezione isontina. Da sinistra: Italo Querini, Angelo Milani, Ubaldo Ingravalle, Enrico Mattighello e Federico Carlevais. Archivio ANA Gorizia.

I PRESIDENTI

Il 15 ottobre 2009 la sezione isontina ha presentato il volume «Alpini a Gorizia» curato da Paolo Verdoliva. che contiene la storia dei reparti alpini a Gorizia e quella dei primi 60 anni di vita della Brigata Alpina «Julia» erede della «divisione miracolo» che tante pagine della storia alpina ha scritto. A destra: un momento della cerimonia di presentazione.

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Il taglio del nastro che inaugura la mostra permanente «Alpini a Gorizia» allestita presso i Musei Provinciali. Foto Pierluigi Bumbaca. Archivio ANA Gorizia.

L'interno dell'esposizione «Alpini a Gorizia» che racconta in particolare la storia degli alpi-ni ed artiglieri impegnati sui fronti di Albania, Grecia e Russia e che hanno prestato servizio nei reparti del 9° reggimento alpini e del 3° reggimento artiglieria alpina della divisione alpina «Julia», di stanza a Gorizia e nella Valle dell’Isonzo tra le due guerre mondiali.

Foto Carlo Sclauzero. Archivio ANA Gorizia.

3° Artiglieria Alpina ed il Battaglione Bassano, e nella Provincia, soprattutto nella Valle dell'Isonzo, alcuni Battaglioni del 9°, in particolare l'Aquila ed il Vicenza. L'allestimento è anche un primo passo verso la musealizzazione della storia locale degli anni successivi al primo confl itto mondiale. Il pro-getto realizzato è stato il frutto di una condivisione di scelte e contenuti tra la sezione goriziana dell'ANA ed i Musei Provinciali di Gorizia.

«Alpini a Gorizia»Alpini a Gorizia è il titolo del volume curato da Paolo Verdoliva e pub-

blicato nel 2009 che racconta la storia del rapporto fra la città isontina e le Penne Nere. Gli alpini di stanza a Gorizia fra le due guerre mondiali hanno lasciato un’indelebile traccia di ricordi che la popolazione non ha mai dimen-ticato. A Gorizia, per una ventina d’anni, hanno avuto sede i comandi del 9° reggimento alpini e del 3° reggimento di artiglieria alpina rispettivamente nelle caserme di piazza Vittoria poi Campagnuzza e via Trieste. Dalla città sono partiti gli alpini che dovevano raggiungere i fronti della Grecia e affron-tare la terribile campagna di Russia. Tanti di essi non sono tornati.

Il capitano Luciano ZaniLa seconda medaglia d'oro al valor mili-tare della sezione di Gorizia è il capitano Luciano Zani. Nato a Cormòns (Gorizia) il 13/12/1907 da famiglia ascritta a patriziato veneto, deceduto a Milano il 13/05/1992, Luciano Zani assommò in sé cultura e ca-pacità di comando da «gentiluomo d'altri tempi». Laureato in Scienze Economiche e Commerciali all'Università di Trieste, libe-ro professionista a Milano, conobbe e fre-quentò molti artisti d'avanguardia. Resse per dodici anni, fi no alla morte, l'Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo. Ac-cademico di Roccia, Azzurro di sci, i primi tre anni di guerra lo videro sul fronte Gre-co-Albanese prima con il Btg. Valchiese, sul Don poi, dove si meritò la massima ricom-pensa con la seguente motivazione: «Co-mandante di Compagnia alpina sul fronte del Don, organizzava e dirigeva personal-mente ardite azioni di pattuglia e colpi di mano, distinguendosi per cosciente audacia e spiccata capacità di comando. In tragica

fase di ripiegamento, indomito animatore di epiche lotte, sosteneva con successo nove sanguinosi combattimenti di avanguardia contro preponderanti forze che sgominava aprendo, con gravi sacrifi ci, un varco alla sua colonna. Nel corso di successivi, cruen-ti combattimenti, caduti tutti i suoi uffi ciali, ferito gravemente alle gambe, continuava impavido a dirigere l'azione del suo repar-to. Ferito una seconda volta, rimaneva al suo posto persistendo in lotta tenace. Quasi esausto, rimasto isolato con pochi valorosi superstiti feriti, privo ormai di munizioni e viveri, non si dava per vinto e, tra stenti inauditi, benché pressato dal nemico incal-zante, proseguiva nella tormentata marcia riuscendo dopo inenarrabili sacrifi ci soste-nuti con stoica fermezza, a congiungersi a basi arretrate. Chiaro esempio di preclare virtù militari. Fronte russo, Novembre 1942 - Febbraio 1943.» Luciano Zani, sempre sul fronte russo, ha ottenuto anche una me-daglia d'argento al valor militare.

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Il vessillo della sezione di Cividale sfi la a Bergamo. Adunata Nazionale 2010.

La sezione ANA di Cividale del Friuli

Note storicheLa Sezione A.N.A. di Cividale del Friuli in provincia di Udine, nasce

nell'aprile del 1924. Presso l'osteria al «Tamburino» su iniziativa dell'allora ca-pitano del Btg. «Cividale» Eugenio Cucchini, si riuniscono alcuni alpini civida-lesi in congedo per dar vita anche nella città ducale ai gruppi A.N.A. Si notano in particolare Ottavio Volpe, Mario Lesa, Giovanni Battista Cozzarolo, Gio-vanni Del Negro. A questo primo incontro ne fanno seguito altri e nell'agosto si fonda uffi cialmente la sezione cividalese. La prima assemblea ha luogo in una sala dell'albergo «Alla Nave», in via Ristori, dalla quale esce il primo Consiglio direttivo. Esso risulta così composto: Presidente: geom. Luigi della Rovere; Vice-presidente: rag.Antonio Mazzocca; Consiglieri: sig.Ubaldo Pallini, sig. Felice Zanuttigh, sig. Guido Gavazzi; Segretario: rag. Pietro Fabris.

I presidenti della sezione dal 1924 ad oggi

I gruppiI gruppi che fanno parte della sezione di Cividale sono i seguenti: Cividale

Centro, Attimis, Campeglio, Canebola, Cerneglons, Cividale Esterno, Corno Di Rosazzo, Remanzacco, Drenchia, Faedis, Grimacco, Ravosa, Moimacco, Montefosca, Orsaria, Orzano, Povoletto, Premariacco, Prepotto, Pulfero, Pur-gessimo, Rualis, Sanguarzo, San Leonardo, Savogna, San Pietro al Natisone, Stregna, Togliano, Torreano, Vernasso, Ziracco, Salt, Grions del Torre, Pri-mulacco, Masarolis, Azzida, Borgo di Ponte, Ipplis e Prestento.

1924-19281929-1932193319341935-19431948-19491950-195119521953-19581958-19821982-19841985-19931994-2003dal 2003

LUIGI DELLA ROVEREGIUSEPPE MULLONILUIGI BONANNI (commissario)ANTONIO DOMENISFRANCESCO BONITTIFRANCESCO BONITTISERGIO MICONISILVANO GASPARINIGIUSEPPE MULLONIALDO SPECOGNAPIETRO CANTONILUCIANO CALLIGARISGIANNI CEDERMAZRINO PETRIGH

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Il vessillo della sezione di Cividale.Archivio ANA Cividale.

Cerimonia a Cividale del Friuli per ricordare il 90° di fondazione dell'A.N.A. 8 Luglio 2009. Archivio ANA Cividale.

La sede SocialeLa sede della Sezione è ubicata nel vecchio mulino al centro del Parco Ur-

bano lungo il fi ume Natisone tra il ponte del Diavolo e il ponte nuovo. La sede è stata inaugurata il 15 settembre 2002, dopo più di un anno di intensi lavori a cui hanno collaborato squadre di alpini costituite da tutti i gruppi della Se-zione. La sede è concessa in comodato dal Comune di Cividale del Friuli, gli alpini si impegnano a mantenere la pulizia e lo sfalcio del parco. All'interno possiamo ammirare la macina ristrutturata, la sala riunioni con il bel tavolo a forma di scudetto, la pregiata scultura lignea del cividalese Benedetti a ri-cordo degli indimenticati soci Ottavio Cotterli, per anni direttore del giornale sezionale «Fuarce Cividat», e Gualtiero Concini, reduce di Russia. All'ester-no un bel masso di pietra piasentina, offerto dal socio Laurino, posto sotto lo svettante pennone dell'alzabandiera, ricorda nelle sue fattezze il Monte Nero, il simbolo dell'alpinità cividalese. Su un fi anco del masso è posta un'artistica penna in bronzo opera dell'artista friulano Renato Picilli.

Il monumento ai cadutiEretto ed inaugurato alla Caserma ''Zucchi'' di Cividale presumibilmente

intorno alla metà degli anni Venti il monumento è dedicato alla memoria dei Caduti dei battaglioni alpini Cividale, Val Natisone e Monte Matajur nelle cui fi la hanno combattuto prevalentemente gli alpini del mandamento di Cividale durante la Grande Guerra. In seguito al trasferimento del Battaglione Cividale a Chiusaforte, avvenuto nel settembre del 1963, il monumento venne spostato in quella sede l'anno successivo e fu collocato nel piazzale dell'alzabandie-ra in una solenne cornice. Con lo scioglimento del Cividale, nel novembre del 1995, l'opera sarebbe andata incontro ad un probabile triste degrado per l'abbandono della sede da parte delle Forze Armate, ma per il volere della sezione, con l'aiuto dell'Amministrazione comunale e dello stesso Esercito, nel periodo tra il 1997 e 1998 è stato riportato a Cividale. Ora degna col-locazione è stata trovata a ridosso delle mura della città, in via Prepositura Santo Stefano, nelle immediate vicinanze della Caserma ''Francescatto'', sede dell'8° Alpini, cui appartenevano i battaglioni Cividale, Val Natisone e Monte Matajur. A perenne memoria di tutti gli Alpini caduti nell'adempimento del proprio dovere.

Il Cividale nella Campagna di Grecia (28 ottobre 1940-marzo 1942)Il battaglione Cividale fu inviato ad occupare l'Albania nordorientale (zona

di Kukes) nell'aprile 1939, inquadrato nell'8° reggimento Alpini della Divi-sione Julia. Nella tarda estate del 1940 fu spostato verso il confi ne greco per

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1392009: la sezione di Cividale sul Monte Nero con le sezioni di Pordenone, Udine, Gorizia e Palmanova. Sezione ANA di Cividale.

partecipare alla campagna contro Grecia. Il 28 ottobre il Cividale attaccò la Grecia partendo dal cippo 8 e 9 nella zona di Erseke; il 1 novembre arrivò a Samarina ed il giorno 3 novembre raggiunse l'abitato di Vovusa, massima pe-netrazione italiana nelle aspre montagne del Pindo. In seguito al quasi totale accerchiamento dell'intera Divisione Julia il Cividale fu costretto a ritirarsi per la vallata dell'Aoos sostenendo duri scontri nella zona di Pades l'8 e il 9 novembre. Messosi in salvo a Konitsa fu fatto arretrare in Albania per rior-dinare i reparti, ma il 17 novembre fu riportato in linea nella zona del Ponte di Perati dove si distinse nella difesa del ponte stesso fi no al 22 novembre. In seguito all'arretramento del fronte in territorio albanese il Cividale si sistemò a difesa nella conca di Frasheri ed ai primi di dicembre fu fatto arretrare sul mali Topjanit dove si difese disperatamente fi no all'8 gennaio 1941. In seguito ad un ulteriore arretramento del sistema difensivo italiano il Cividale fu co-stretto a ripiegare per tutto il mese di gennaio fi no a quando, ridotto a soli 70 uomini, fu ritirato dal fronte il 25 gennaio e mandato a riposo a Mavrova nei pressi di Valona. Ricostituito il battaglione con i complementi il 19 febbraio il cividale ricevette l'ordine di entrare in linea sul Golico occupando il costo-ne di Pesclani. Il 28 febbraio sostenne un duro combattimento dove trovò la morte il sottotenente Giacomo Brunengo, M.O.V.M. L'8 marzo, il Cividale quasi circondato, fu costretto a spostarsi sotto la quota 1143 del Golico che il battaglione attaccò il 15, il 18 ed il 24 marzo subendo perdite spaventose. Il 16 aprile il Cividale scese dal Golico ed in seguito alle cessate ostilità con la Grecia avanzò in territorio greco fi no a Gianina dove vi rimase di presidio fi no all'agosto. Nell'agosto 1941 il Cividale fu mandato a presidiare il passo di Metzovo e verso la fi ne del mese fu inviato nella zona di Lutraki sul Canale di Corinto fi no al mese di marzo del 1942 quando rimpatriò per essere impiegato sul fronte russo.

Il Cividale sul fronte russoIl battaglione Cividale arrivò sul fronte russo nella seconda metà di agosto

del 1942 inquadrato nell'8° Reggimento alpini della leggendaria divisione Julia. Gli alpini del Cividale (nella stragrande maggioranza i fi gli delle valli del Natisone e del Friuli centro-orientale), dopo un periodo in seconda linea, passarono il periodo ottobre-dicembre in linea sul Don, ma in seguito al cedi-mento delle divisioni di fanteria italiane Cosseria e Ravenna, il 18 dicembre vennero inviati d'urgenza nel settore del Kalitwa (una quarantina di chilome-tri più a sud) a tamponare la falla creatasi a sud dello schieramento alpino. Dal 20 dicembre 1942 al 3 gennaio 1943, il Cividale rimase in seconda schiera dietro al Battaglione Tolmezzo e non fu impegnato direttamente nei terribili

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Alpini sul Monte Nero durante la Grande Guerra. SFEI.

Sistema di teleferiche allestito sul Monte Nero per issare i rifornimenti in quota. SFEI.

e furibondi scontri che impegnarono gli altri reparti della Julia sulle basse alture del Kalitwa; gli uomini del Cividale però furono costretti a schierarsi all'addiaccio sulla neve, in condizioni ambientali spaventose per il freddo che raggiunse temperature bassissime (anche di - 40° e oltre) subendo spesso i tiri dell'artiglieria e dell'aviazione russa e alcuni scontri con pattuglie che provo-carono alcune perdite (la più dolorosa quella del caporal maggiore Francesco Cescato di Arsiè, Medaglia d'Oro). Nella notte sul 4 gennaio 1943 il Cividale dette il cambio al battaglione Gemona e raggiunse le posizioni ai piedi della quota 176,2 tenuta da un reparto tedesco. Questa altura dai fi anchi dolci e allungati, che si ergeva di poco sulle altre quote, avrebbe permesso ai rus-si, qualora l'avessero occupata, di controllare tutto lo schieramento difensivo ed i movimenti della Julia; pertanto doveva essere mantenuta a tutti i costi. All'alba del 4 gennaio i russi attaccarono la quota 176,2 e i tedeschi dovettero abbandonare precipitosamente la posizione. Il 1° plotone della 20a Compa-gnia, comandata dal capitano Dario Chiaradia di Sacile, partì allora di slancio e rioccupò la collina nonostante il tiro delle mitragliatrici russe che falcidia-rono gli alpini del 1° plotone al comando del tenente Benedini. Subito dopo i russi contrattaccarono e gli alpini, dopo una breve ma accanita resistenza, durante la quale si distinse l'alpino Pietro Lestani di Fagagna che rimase da solo a sparare imperterrito con il suo fucile mitragliatore fi no all'esaurimento delle munizioni, ripiegarono trascinandosi indietro i compagni feriti. Verso mezzogiorno la 16a Compagnia, al comando del capitano Carlo Crosa, ap-poggiata dagli uomini della 20a, con un assalto temerario condotto dai plotoni che avanzarono in formazione spiegata sotto il diluviare delle cannonate e dei tiri di mortaio, riprese la collina al prezzo di gravi perdite, tra le quali il sergente maggiore Paolino Zucchi da Collato (Medaglia d'Oro). Per tutta la giornata gli alpini rimasero abbarbicati alla quota sotto il continuo grandinare della granate e la posizione fu mantenuta assieme agli uomini della 20a fi no all'alba del giorno 5 quando i russi ritornarono all'assalto in massa costringen-do gli alpini del Cividale a ripiegare. Immediatamente dopo gli alpini delle due compagnie, trascinati con coraggio e determinazione dai loro comandan-ti, ritornarono per l'ennesima volta al contrassalto e ripresero la posizione: il capitano Chiaradia fu ferito a morte e gli venne concessa la Medaglia d'Oro per il suo coraggio, e molti alpini giacevano immobili nella neve arrossata dal sangue dei corpi straziati dalle granate. Verso sera, approfi ttando di una tem-pesta di neve, i russi attaccarono di nuovo e fecero ripiegare un piccolo repar-to tedesco appostato sulla destra della quota e i superstiti della 16a e della 20a dovettero abbandonare la collina per non essere accerchiati. A questo punto il Comando di Battaglione fece serrare sotto la 76a Compagnia (al comando

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Giugno 2010: Raduno Sezionale Povoletto. Archivio ANA Cividale.

Un'altra istantanea dal raduno sezionale di Povoletto 2010. Archivio ANA Cividale.

del tenente friulano Aldo Maurich) che si trovava di rincalzo. Il plotone del sottotenente Gavoglio tentò un colpo di mano, ma la sorpresa non riuscì e gli alpini furono quasi tutti massacrati dal tiro preciso delle armi automatiche russe. Anche il sottotenente Gavoglio rimase sul campo e gli venne conferita la Medaglia d'Oro per il suo comportamento. La notte tra il 5 ed il 6 gennaio trascorse nei preparativi per un nuovo attacco. Alle 5.30 tutte le artiglierie ita-liane e tedesche del settore vomitarono un uragano di fuoco contro la collina maledetta che si trasformò in un vulcano in eruzione. Immediatamente dopo un plotone della 76a Compagnia, al comando del sottotenente Ferruccio Fer-rari, partì all'assalto appoggiato da lontano da due carri armati tedeschi. I russi superstiti però si difesero disperatamente e respinsero gli attaccanti facendo rimanere sul campo molti alpini, compreso il loro eroico comandante. Verso le 8.00, i superstiti della 76a Compagnia, praticamente solo pochi fucilieri e i mitraglieri rimasti, attaccarono di nuovo con slancio al comando del tenente udinese Franco Cattarruzzi ed appoggiati, questa volta più da vicino, dai due carri tedeschi. L'assalto disperato riuscì a prezzo di numerose vite e fi nalmen-te la collina maledetta fu conquistata defi nitivamente dagli alpini del Cividale. Per il valore dimostrato dagli uomini di questo Battaglione ed in onore ai tanti caduti, il comando tedesco e quello italiano ribattezzarono la quota 176,2 in «Quota Cividale». 110 furono i caduti e circa 400 furono i feriti ed i conge-lati di quella battaglia durata incessantemente 3 giorni. La «Quota Cividale» venne mantenuta dagli alpini fi no al 16 gennaio 1943 quando, in seguito al ripiegamento del Corpo d'Armata Alpino, anche la Julia dovette abbandonare le posizioni del Kalitwa così duramente contese agli avversari. Per gli alpini del Cividale iniziò così la terribile ritirata di Russia che si concluse soltanto 16 giorni dopo e dalla quale moltissimi non tornarono. Dei 1500 alpini del battaglione partiti per la Russia, infatti, ben 1000 furono i caduti e i dispersi; queste righe per ricordarli e far si che la memoria del loro sacrifi cio non vada perduta, perché hanno combattuto con grande onore ed umanità una guerra più inutile delle altre.

Cividale ed il Monte Nero: un rapporto inscindibileLa catena del Monte Nero si staglia nettamente ad oriente di Cividale, fa-

cendo da splendida cornice ad un suggestivo scenario di verdi colline ed erte montagne della vallata dell’Isonzo e del Natisone. Durante la Grande Guerra il primo sbalzo offensivo in questa zona portò le truppe italiane nella valle dell’Isonzo già il primo giorno di guerra, il 24 maggio 1915. Tra le truppe operanti in questo settore vi furono anche i battaglioni alpini Cividale e Val Natisone dell’8° Reggimento Alpini che reclutavano buona parte dei propri

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145Alla cerimonia ha partecipato una delegazione friulana composta dal presidente della sezio-ne Ana di Cividale Rino Petrigh (il secondo da sinistra), dal sindaco della città Attilio Vuga e dal consigliere regionale Roberto Novelli. Archivio ANA Cividale.

Inaugurazione della «Casa di Accoglienza» del Centro Ustionati dell’Ospedale Centrale di Herat. La struttura ospita i familiari dei bambini in cura, spesso provenienti da villaggi lonta-ni, prima costretti a pernottare all’addiaccio nei pressi del centro. Archivio ANA Cividale.

alpini proprio nelle vallate del Natisone e nei dintorni di Cividale del Friuli. In una delle prime azioni di guerra contro l’Austria-Ungheria, all’alba del 24 maggio 1915, in un breve scontro a fuoco nei pressi del passo Casoni Solarie nel Comune di Drenchia, cadde l’alpino udinese Riccardo Di Giusto (16a compagnia del Battaglione Cividale) che fu uffi cialmente il primo caduto ita-liano della Grande Guerra. Il Cividale proseguì la sua avanzata ed alla fi ne di maggio raggiunse la zona del Monte Nero dove il battaglione fu impiegato fi no alla primavera del 1916 e dove si distinse nell’azione contro il Rudeci Rob del 2 giugno 1915, negli assalti disperati sul Mrzli, sul Vodil e sull’Ison-zo, nei pressi di Dolje e Gabrje, dell’estate e nel tenace presidio della prima linea sul Vrata e sul Vrsic nel terribile inverno 1915-1916. Ironia della sorte la zona di impiego del battaglione distava pochi chilometri in linea d’aria dalla zona di reclutamento dei propri uomini e molte famiglie potevano osservare nella notte l’andamento della linea grazie alle vampe delle esplosioni che in-vestivano i propri cari abbarbicati alle rocce della catena del Monte Nero. Il Cividale ed il Val Natisone bagnarono con il sangue quelle montagne che gli alpini della Sezione ANA di Cividale considerano il loro santuario degli alpini che ogni anno, in occasione dell’anniversario della conquista della cima del Monte Nero avvenuta il 16 giugno 1915, viene visitato con un pellegrinaggio per ricordare i caduti italiani ed austro-ungarici che combatterono, soffrirono e morirono per obbedire alle dure leggi della guerra. Per gli alpini cividalesi il Monte Nero è montagna sacra perché là sono ancora sepolti i loro cari, molti dei quali riposano nel sacrario di Caporetto o sono ancora, ignoti, sotto le rocce del Monte Nero. Il tempo non ha cancellato le gesta e le sofferenze dei propri alpini e la Sezione ANA di Cividale ha l’obbligo morale di mantenere viva la loro memoria affi nché non si ripetano più gli errori del passato che furono pagati con un altissimo tributo di vite umane.

Un ponte per Herat: l'8° Reggimento Alpini in Afghanistan Tra la fi ne del 2008 e i primi mesi del 2009, con l'iniziativa «Un ponte per

Herat: l’8° Reggimento Alpini in Afghanistan», la sezione ANA di Cividale ha promosso una raccolta di fondi realizzata attraverso numerose iniziative cul-turali e di spettacolo, in accordo con le amministrazioni di Cividale, Paluzza, Tarvisio, Arzignano, Cittadella e Pellegrino Parmense e con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e della Provincia di Udine. Un'iniziativa umani-taria che aveva il duplice scopo di alleviare le sofferenze della sfortunata po-polazione afghana e di celebrare e rinsaldare il legame con la bella unità alpina inviata in missione nell'area di Herat che, proprio a Cividale del Friuli, ha ubi-cato il proprio comando. Con i fondi raccolti è stato possibile realizzare in soli

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Sopra e sotto: Alpini in Afghanistan. ANSA.

tre mesi la «Casa di Accoglienza» del Centro Ustionati dell’Ospedale Centrale di Herat, il più grande e importante dell'intero Afghanistan. La struttura ospita ora i familiari dei bambini in cura presso il centro, spesso provenienti da vil-laggi lontani, che prima erano costretti a pernottare all’addiaccio nei pressi del nosocomio o in ricoveri di fortuna improvvisati nelle sue vicinanze. Alla ceri-monia di inaugurazione che si è celebrata nel marzo del 2009, ha preso parte anche una delegazione friulana composta dal presidente della sezione Ana di Cividale Rino Petrigh, dal sindaco della città Attilio Vuga e dal consigliere re-gionale Roberto Novelli. La «Casa di Accoglienza» di Herat dispone al piano terra di 35 posti letto per i familiari degli ustionati mentre al primo piano sono sistemate la stanze per i volontari di varie associazioni umanitarie internazio-nali. L'edifi cio è stato costruito da maestranze locali e i fondi raccolti hanno consentito non solo di realizzarlo ma anche di dotarlo dei necessari arredi. Il complesso è climatizzato e vanta ottimi livelli di comfort. L'intervento è stato coordinato dal «Provincial Reconstruction Team» italiano (PRT), struttura che opera in Afghanistan dal 2005 e che assiste la popolazione nelle province più lontane dalla capitale, al fi ne di facilitare la ripresa della società civile. Il PRT di Herat è stato guidato dall'8° Reggimento Alpini, nel periodo della sua missione. Il reggimento ha realizzato decine di progetti e di interventi umani-tari che hanno compreso la ristrutturazione di complessi sanitari già esistenti, la fornitura di attrezzature mediche, la costruzione di un ospedale pediatrico e di scuole, la fornitura di ambulanze, la realizzazione di cliniche e ambulatori unita alla fornitura di medicinali, per citare solo alcuni esempi.

Il personale femminile militare dell’8° Reggimento Alpini di Cividale e Venzone del team per la ricostruzione e lo sviluppo economico della Provincia di Herat (PRT: Provincial Reconstruction Team). SFEI.

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1492010. La sezione di Palmanova all'Adunata Nazionale di Bergamo.

La sezione ANA «Gaetano Tavoni» di Palmanova

Cronistoria: le origini Nel 1925 nasce il gruppo ANA di Palmanova, seguito pochi anni dopo

da quello di San Giorgio di Nogaro. La leva alpina nella Bassa friulana data agli anni '30. Sarà però dopo la seconda guerra mondiale che, soprattutto per l'iniziativa di Giuseppe Durli, già maresciallo dell'8° alpini in Albania, l'elenco dei gruppi crescerà, sostenuto dal gran numero di reduci. E' il 1952 quando gli iscritti della zona salgono a 376. Nel 1953 si riesce così a costi-tuire la sottosezione di Palmanova (sezione di Udine) con 22 gruppi e 545 soci, il cui gagliardetto viene inaugurato il 19 aprile. Madrina d'eccezione, la signora Lina Tavoni, che donò il gagliardetto stesso, vedova della Medaglia d'oro col. Gaetano Tavoni, al quale la sottosezione, e poi sezione, è intitolata. La scelta di Tavoni, emiliano, derivò dal fatto che nella zona del palmarino non c'erano dei caduti Medaglia d'Oro, cui solitamente Sezioni e Sottosezioni sono dedicate. Il legame con Palmanova nasce dal fatto che Tavoni era stato comandante del 9° Alpini in Grecia, unità nella quale militarono moltissimi alpini della zona. Così la sezione di Palmanova ha avuto ed ha l'intitolazione in comune con quella di Modena.

Il 3 novembre 1954 a Trieste, da poco tornata all'Italia, il Consiglio Nazio-nale ANA accetta il costituirsi della Sezione di Palmanova, che conta ormai 696 soci. Presidente è naturalmente Giuseppe Durli. Il 25 settembre 1955 si tiene la cerimonia uffi ciale di inaugurazione del gagliardetto sezionale con la presenza di ben 3000 persone a Palmanova. Dopo il periodo commissariale di Gianantonio De Lorenzi, dal 1956 al 1959 sarà presidente Aldo Somaggio, seguito poi dal dott. Girolamo Sandrini. Con il 1963 si consolidano le attività di sostegno e di solidarietà che contraddistinguono gli Alpini sia a livello di gruppo che di sezione (Vajont). Viene attuata la prima ristrutturazione della sede attuale, inaugurata il 26 maggio 1963. Da quell'anno inizia a svolgersi la cerimonia a ricordo di Nikolajewka. Primo cappellano sezionale è stato don Luigi Faleschini, seguito nel 1965 da don Candido Carlino, e poi, alla sua morte nel 1995, da padre Ippolito Rossin.

Nel 1966 la Sezione raccoglie con una somma in denaro a favore delle popolazioni colpite dalla terribile alluvione di quell'anno. Con il tempo i soci aumentano. E' il 1967 gli iscritti sono 775 e quattro anni più tardi, nel 1971, divengono 1027. Nel 1975 il loro numero è salito a 1220 che diventeranno 1400 nel 1980.

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1971: un nuovo presidenteDal 1971 nuovo presidente è Renzo Ganis, con cui inizia una più cospicua

presenza dell'associazione nel «sociale» senza dimenticare le altre iniziative alpine. L'ANA di Palmanova prende parte a gare sportive in montagna e non ed presente nelle scuole. A Ganis nel 1974 succede nella carica di presiden-te Giuliano De Piante. In quell'anno vi è la partecipazione all'organizzazione dell'adunata di Udine, ed è da segnalare il sostegno fi nanziario devoluto agli alpini argentini affi nché possano presenziarvi. Nel 1975, il 12 gennaio, i pre-sidenti delle sezioni del Friuli Venezia Giulia si riuniscono a Palmanova con Bertagnolli: è la prima volta che un presidente nazionale visita la sezione. Viene donato il tripode alla Loggia dei Caduti a Palmanova. I gruppi sono 23.

Il 1976 è l'anno del tragico terremoto in Friuli e le penne nere palmarine sono presenti al cantiere n.2 di Attimis con 250 persone e 1050 ore lavorati-ve. Nel 1977 le ore saranno 116 con 18 volontari a Villa Santina e Venzone. Continuano nel frattempo le attività sportive: tiro al piattello e marcelonghe, mentre si cerca la presenza nelle scuole.

Nel 1978 la sezione organizza una raccolta di fondi per una bambina biso-gnosa di cure e l'anno successivo, nel 1979, consolida la collaborazione con la Via di Natale, l'associazione di Aviano nata con l’obiettivo di promuovere e sostenere la ricerca scientifi ca e la lotta contro il cancro. Viene realizzata una raccolta di fi rme per un ospedale oncologico in regione. Nasce inoltre la fanfara sezionale.

Gli anni OttantaTrascorrono due anni e con il 1980 arriva il momento di celebrare il 25°

anniversario dell'ANA di Palmanova. La sezione organizza una raccolta di fondi con la quale il 14 settembre dona un'ambulanza all'ospedale cittadino. Viene coniato il motto «Uniti per donare». Il 1980 è anche l'anno che vede gli alpini di Palmanova intervenire in Irpinia per soccorrere le popolazioni locali colpite dal terremoto. L'anno successivo, il 1981, è caratterizzato da una serie di interventi fi nanziari realizzati a sostegno dell'ANFFas e delle scuole con l'acquisto di sussidi didattici per ragazzi diversamente abili.

Nel 1983 alla presidenza della sezione viene eletto Paolo Zof che manterrà l'incarico fi no al 1985 quando gli succederà Piero Cecconi. Se il 1984 ha visto gli alpini di Palmanova impegnarsi con la «Cordata per Arianna» in favore di una ragazza bisognosa di cure, il 1985 è l'anno del Trentesimo di fondazione solennizzato con i lavori effettuati presso la comunità giovanile «La Viarte» di Santa Maria la Longa, dove vengono costruiti una serie di laboratori per gli ex-tossicodipendenti. L'opera richiede 900 ore di lavoro e l'impegno di 186

Il colonnello Tavoni passa in rassegna le sue truppe a Burelli (Albania) nel 1939. AArchivio ANA Palmanova

A sinsitra il colonnello Gaetano Ta-voni cui è intitolata la sezione di Pal-manova. Durante la seconda guerra mondiale Tavoni fu comandate del 9° reggimento alpini, unità nella quale prestarono servizio molti giovani pro-ventienti dalla zona di Palmanova. Fu-rono proprio quegli alpini dopo essere tornati a casa e avere fondato prima la sottosezione e poi la sezione cittadi-na, a voler dedicare il suo vessillo al loro vecchio comandante. Il colonnelo Tavoni durante la campagna di Gre-cia si era meritato la medaglia d'oro al valor militare per il modo in cui aveva retto il comando del suo reggi-mento, infondendo sempre nuovo spiri-to nell'animo dei propri uomini, con il suo personale esempio di dedizione al dovere. Nemmeno le gravi ferite ripor-tate che avrebbero fi nito col condurlo alla morte, riuscirono a minarne l'im-pegno. Archivio ANA Palmanova.

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Alpini della Protezione Civile di Palmanova al campo di Acquasanta in Abruzzo. Aprile 2009. Archivio ANA Palmanova.

Alpini della Protezione Civile di Palmanova al campo di Acquasanta in Abruzzo. Aprile 2009. Archivio ANA Palmanova.

volontari. Ma non è tutto. Lo stesso anno la sezione promuove anche una rac-colta di fondi a favore della Caritas per lo scavo di un pozzo nel Sahel. Viene organizzato anche un ciclo di manifestazioni in collaborazione con la «Julia», cui partecipa anche il professor Ardito Desio, comandante della spedizione italiana sul K2. Il 1985 è anche l'anno della tragedia della Val di Stava in Trentino che accade il quando i bacini di decantazione della miniera di Pre-stavel rompono gli argini e scaricano 160.000 metri cubi di fango sull'abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero. Muoiono di 268 persone. L'ANA di Palmanova si attiva per promuovere una raccolta di fondi. Nel 1986 vengono così raccolti 2 milioni a favore della popolazione locale.

Nel 1987 la neonata protezione fa la sua prima uscita con la nuova tuta arancione. Vengono organizzate una serie di esercitazioni ma la struttura vie-ne subito messa alla prova a causa della devastante alluvione che si abbatte in luglio sulla Valtellina e sulla provincia di Sondrio con 53 morti e migliaia di sfollati. Quando nel dicembre del 1988 un violento terremoto scuote l'Ar-menia, gli alpini di Palmanova si fanno ancora trovare pronti. Il 1989 li vede infatti presenti nella lontana repubblica caucasica per un nuovo intervento di protezione civile. Lo stesso anno la sezione palamarina inizia anche una raccolta di fondi destinati a realizzare una scuola in Argentina gestita da don Mecchia. L'iniziativa giungerà a termine nel 1990 in occasione del 35° an-niversario del sodalizio e l'anno successivo una delegazione sezionale sarà presente all'inaugurazione.

Gli anni NovantaNel 1993 l'ANA di Palmanova ha un nuovo presidente: Marco Valditara.

L'attività di protezione civile è ormai un impegno qualifi cante dell'associazio-ne. Dal 1992 infatti si eseguono le periodiche esercitazioni sezionali insieme a squadre di protezione civile comunali e ad altro volontariato. La sezione partecipa inoltre alle diverse esercitazioni trivenete. Numerosi sono gli inter-venti effettuati a seguito di calamità naturali, ma anche le operazioni di ripri-stino e prevenzione. Nel 1994 infatti gli alpini di Palmanova sono impegnati in Piemonte e poi in Versilia. Tra il 1997 e il 1998 partecipano alle operazioni di soccorso che si rendono necessarie per le inondazioni in Friuli e il terre-moto in Umbria, prestano la loro opera al campo profughi di Punta Salvore in Croazia, intervengono a Sarno in Campania a seguito della terribile colata di fango che ne investe il territorio e lavorano sulle sponde dei torrenti carnici. Non vanno dimenticati poi le operazioni «Castoro» e «Alvei Puliti», i lavori effettuati alla scuola «Don Orione» in Romania (Oradea e Campina), a casa Down, l'invio di 15 volontari in Albania nel 1999, di tre in Francia e di 18 in

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Val d'Aosta nel 2000. A titolo di esempio basti ricordare che nel solo 1999 le ore di lavoro prestate dai volontari di PC sono state 684...

Nel 1995 la sezione festeggia il 40° anniversario della sua fondazione; nasce «La plume», il giornale degli alpini di Palmanova.

A partire dal 1997 vengono istituite le borse di studio per gli studenti me-ritevoli, dedicate al compianto presidente Renzo Ganis.

I primi cinque anni del nuvo millennioIl 2000 è caratterizzato dagli interventi di manuntenzione effettuati presso

il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano. Cresce l'attività sportiva. Ai tradizionali appuntamenti si aggiungono infatti le gare di slalom e di bocce. Ampi lavori sono effettuati sia presso la sede - che viene rinnovata - sia pres-so il magazzino di Protezione Civile. 230 volontari prestano la loro opera per un totale di 3.400 ore di lavoro.

La sede ristrutturata grazie al lavoro degli alpini è inaugurata nel 2002, anno in cui alla presidenza viene eletto Luigi Ronutti. Continuano gli im-pegni in Romania, mentre la Protezione Civile interviene per soccorrere gli alluvionati della Val Canale e Canal del Ferro e per i terremotati del Molise. Si lavora anche alla Caserma «Piave» per il nuovo magazzino di PC. Nasce il coro sezionale, che nel 2004 verrà intitolato ad Ardito Desio. Iniziano i prepa-rativi per il 50° di fondazione e per l'organizzazione dell'Adunata Triveneta. I gruppi che afferiscono alla sezione di Palmanova sono 30 ed i soci 1900 uniti a 240 Amici degli Alpini.

Il 9, 10 e 11 settembre del 2005 si tiene a Palmanova l'Adunata triveneta delle penne nere e viene celebrato e il 50° anniversario di fondazione della sezione.

L'attività del 2006Nel 2006 l'ANA di Palmanova partecipa a circa 60 manifestazioni, raduni,

incontri e serate culturali. Il «Libro verde della Solidarietà» attesta che la se-zione, durante il corso dell'anno, ha prodotto in attività di protezione civile e solidarietà ben 33.656 ore uomo, e in donazioni l'importo di 35.188 euro. Gli alpini di Palmanova si impegnano nella pulizia degli spazi esterni dell'asilo «Regina Elena», nei periodici lavori di manutenzione presso la casa che ospita «La via di Natale» di Aviano, nella vendita di bonsai a favore dell'Anlaids, in quella di bicchieri per Unicef. Partecipano inoltre alla colletta alimentare che consente di raccogliere ben 96 quintali di cibo. Le penne nere hanno inoltre ga-rantito un turno di allertamento H24 per la Protezione Civile come programma-to dall'ANA nazionale. Nel 2006 ricorre il 30° anniversario del terribile sisma

Il coro della sezione di Palmanova intitolato ad Ardito Desio. Archivio ANA Palmanova.

La fanfara sezionale. Archivio ANA Palmanova.

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Alpini e sport: istantanea dalla gara scistica sezionale. Forni di Sopra (Udine) - 28 Febbraio 2010. Archivio ANA Palmanova.

Alpini e sport: foto di gruppo alla gara scistica sezionale. Forni di Sopra (Udine) - 28 Febbraio 2010. Archivio ANA Palmanova.

friulano e benché non si tenga l'annuale esercitazione sezionale di Protezione Civile, tuttavia l'impegno del sodalizio palmarino in questo cruciale settore ri-mane sempre alto. A tale proposito il giusto riconoscimento va reso alla meri-toria opera del socio Ivaldo Marcuzzo che per 40 giorni lavora in Mozambico, alla costruzione di una scuola. Ma le attività all'estero della sezione non si esau-riscono qui. In Romania gli alpini di Palmanova sono ormai giunti al 14° anno di attività. Si sono inoltre assunti un nuovo impegno nell'ex Unione Sovietica presso Gagina - nella regione di San Pietroburgo, - con l'obiettivo di ripristi-nare la sola chiesa cattolica della zona, che porta ancora i segni dei danni subiti a causa di un bombardamento tedesco durante la seconda guerra mondiale, di ristrutturare la locale scuola per maestranze tipografi che e di costruire una sala da utilizzarsi per la sacrestia e per altri servizi oggi inesistenti. Due sono state le trasferte nella Moldavia Romena e due anche quelle in terra russa. Nel secondo caso la prima si è resa necessaria per ispezionare il sito e verifi care la presenza nei magazzini locali degli indispensabili materiali da costruzione e la seconda per dare pratica attuazione ai lavori, una volta elaborato il progetto. Due squa-dre di alpini si sono per questo mosse da Palmanova: la prima composta da undici elementi ha raggiunto San Pietroburgo via terra con un viaggio di 2.740 chilometri, mentre la seconda, formata da altri otto volontari, è partita in volo da Venezia. L'impegno degli alpini in Russia, destinato a durare presumibilmente un quinquennio, mantiene una promessa fatta a un frate salesiano originario di Felettis, Don Giuseppe Pellizzari, che opera laggiù da quattordici anni. Nel cor-so del 2006 si sviluppa la collaborazione con il mondo della scuola. Oltre alla borsa di studio «Renzo Ganis», iniziano infatti un concorso dedicato alla ricerca sulla memoria della seconda guerra mondiale,e una serie di lezioni riguardanti la storia degli Alpini. Il coro sezionale «Ardito Desio», giunto al quarto anno di vita, anche con il contributo del nuovo maestro Nazario Modesti, intensifi ca il suo impegno realizzando diciannove concerti. Prosegue inoltre l'iniziativa che è stata battezzata «Ritorno alla montagna» con 4 uscite: la prima al Monte Festa, la seconda alle grotte di Villanova e al Monte Bernadia, la terza al Colovrat e la quarta che vede l'ascesa da Pontebba al Pramollo. Lo sport non viene natural-mente trascurato con la riproposizione di tutti i tornei e delle gare che la sezione organizza annualmente nelle diverse discipline, dal calcio al tiro a volo.

L'attività del 2007Nel 2007 la struttura della Protezione Civile non è stata - fortunatamen-

te - impiegata in attività vere e proprie di soccorso. I volontari ultimano la sistemazione del magazzino di PC nella caserma «Piave». Intenso rimane co-munque l'addestramento. Il 21 e 22 aprile si tiene infatti l'esercitazione sezio-

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nale. Si partecipa inoltre all'esercitazione sanitaria triveneta «Malborghetto Valbruna 2007». Forte resta come sempre l'impegno sul piano degli incontri, delle manifestazioni e delle iniziative. Si ripete l'ormai tradizionale consegna delle borse di studio agli alunni meritevoli e a fi ne anno la sezione avrà pro-dotto in attività di solidarietà ben 32.363 ore uomo, devolvendo in donazioni un importo di 33.948 euro. Fra le varie iniziative portate a termine ritorna quella a favore dell'associazione la «Via di Natale» come sempre a sostegno del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, la vendita di bonsai a favore dell'Anlaids e quella dei bicchieri per l'Unicef. Viene celebrata la giornata a favore della Caritas e i volontari dell'ANA di Palmanova si impegnano anche nella pulizia del cimitero militare Austro-Ungarico. La colletta alimentare consente di raccogliere 108,33 quintali di cibo per i meno fortunati. Gli alpini inoltre si recano due volte ad Orodea in Romania, per piastrellare la chiesa e ristrutturare la casa canonica. In agosto, guidati dal presidente Luigi Ronutti, sono anche a San Pietroburgo dove incontrano il console italiano Massimo Drei e il viceconsole Alfonso Enrico Rizzardi (anch'egli alpino). I lavori a Gacina continuano: vengono sistemate sei aule delle scuole medie, il salone tipografi e i doppi infi ssi in alluminio su sei fi nestre della chiesa. Il giornale sezionale «La plume» comincia ad uscire con la nuova veste grafi ca e vengo-no ripetute le escursioni nel quadro dell'iniziativa «Ritorno alla montagna». Oltre alle consuete attività sportive caratterizzate da gare di sci, di bocce, di tiro al piattello e dal torneo di calcio, è da segnalare la partecipazione al campionato nazionale di corsa in montagna. Il coro sezionale da 22 elementi, passa a 40 coristi. A queste attività si aggiungono quelle organizzate in seno ai gruppi, dimostrando grande vitalità e attenzione verso le realtà locali. Il 13 ottobre - in occasione del 4° raduno sezionale - si festeggia anche il 135° di fondazione delle Truppe Alpine. Lo stesso giorno il nucleo di protezione civi-le sezionale inaugura la nuova sede all'interno dell'ex caserma Piave. Grazie ad una convenzione sottoscritta con l'amministrazione comunale di Palmano-va, gli alpini potranno occupare per nove anni un capannone al suo interno che - come abbiano anticipato - essi stessi hanno provveduto a ristrutturare. I gruppi diventano 31: nasce infatti quello di Villa Vicentina.

Il biennio 2008 - 2009Nell'aprile del 2008 si celebra il gemellaggio fra la sezione ANA di Pal-

manova e quella inglese le cui origini risalgono al lontano 1928. La sezione britannica festeggia dunque il suo 80° anniversario. Una delegazione palma-rina raggiunge Londra con il coro «Ardito Desio» che nelle isole del regno unito saprà far apprezzare le sue qualità. Nel 2008 si organizza anche il primo

Istantanee che testimoniano l'impegno degli alpini di Palmanova all'este-ro. Sopra il gruppo dei volontari che hanno partecipato ai lavori di ristrut-turazione della chiesa di Velky-Blh in Slovacchia con Padre Jozafat. A sini-stra le penne nere al lavoro sull'edifi -cio sacro. Sotto l'alpino Bruno Bruno parenti, con la penna nera in testa, a Leopoli (Ucraina) nel 2008 durante la campagna di lavori per il ripristino della scuola di formazione destinata ai ragazzi delle scuole meno abbienti.

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Alpini di ieri e di oggi: un'immagine tratta dalle celebrazioni in ricordo di Nikolajewka.26 gennaio 2008. Archivio ANA Palmanova.

Ajello del Friuli Bagnaria Arsa

Campolonghetto - ChiarmacisCastions delle MuraSevegliano-Privano

Bicinicco-Gris-CuccanaFelettis

Campolongo al TorreCarlino

Morsano di StradaChiopris-Viscone

FauglisGonars

OntagnanoLavariano

Marano LagunareJalmicco

PalmanovaCastello

CorgnoloPorpetto

Ruda San Giorgio di Nogaro

San Vito al TorreSanta Maria la Longa

TorviscosaClauiano

Trivignano UdineseVisco

Villa Vicentina

I GRUPPI DELLA SEZIONE DI PALMANOVA

torneo sezionale di tiro a segno con il fucile «Garand», un'arma ricordata per la sua estrema precisione. Adottata dal nostro esercito a partire dal 1952 è rimasta «in servizio» fi no al 1994-95. A Bolzano, sull'altopiano del Renon, gli alpini di Palmanova partecipano ai lavori di manutenzione del soggior-no di Costalovara ex colonia ora di proprietà dell'ANA. Il 21 settembre poi, viene inaugurata la nuova sede cittadina che si trova all'interno dell'ex pol-veriera napoleonica di Via Rota. L'opera di ristrutturazione, anche in questo caso, è stata portata a termine dalle penne nere. Anche nel corso del 2008, la squadra di protezione civile diretta da Armando Giusto, ha svolto la consuete manutenzioni presso il centro di riferimento oncologico di Aviano, presso la casa per Down di Zovello e presso quella della Caritas a Faedis. La sezione ha inoltre provveduto alla cura del cimitero austroungarico, impegno che ha il preciso scopo di mantenere un aspetto dignitoso ad un luogo che ospita le salme di chi - pur nel campo avverso - ha sacrifi cato la propria giovane vita per la patria lontana. Tra marzo e aprile gli alpini di Palmanova si recano di nuovo in Romania a Oradea per fare il punto sulla situazione dei lavori da effettuare nella chiesa locale. Poi raggiungono Slanic dove incontrano Don Valeriano, della comunità di Don Orione e dove li attende anche il console italiano Gambacurta. Si dirigono quindi a Bucarest dove li riceve l'ambascia-tore Daniele Mancini. Quindi sono di nuovo a Oradea per i lavori nella chiesa. Nel 2009 l'impegno umanitario dell'ANA palmarina viene indirizzato soprat-tutto al sostegno delle popolazioni colpite dal terribile terremoto in Abruzzo. Tuttavia i membri della sezione volendo onorare un impegno preso con la onlus «Bambini senza frontiere» che opera in Slovacchia in una comunità di San Giovanni Bosco, decidono di aprire un altro fronte di lavoro. A Velky-Blh Padre Jozafat, respensabile di ben otto parrocchie ha infatti chiesto il loro aiuto per restaurare la chiesa e il campanile, danneggiati durante l'ultima guerra e mai ripararti. In due settimane di lavoro in terra slovacca, le penne nere portano a termine l'opera.

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Il vessillo della sezione di Pordenone. Archivio ANA Pordenone.

Il vessillo sfi la all'adunata nazionale di Bassano 2008. Archivio ANA Pordenone.

La sezione ANA di Pordenone

In occasione dell’uscita di questo volume, il primo pensiero va a quanti nelle generazioni passate hanno dato vita alla nostra Sezione, a quanti nel corso degli anni si sono dedicati alla vita associativa e a quelli che oggi la portano avanti avendone saputo recepire l’eredità, creando nuove e più impegnative motivazioni. Dal ricordo dei fatti d’arme, all’assistenza agli orfani di guerra e alle loro famiglie, come avveniva nel dopoguerra, si è passati, in questi ultimi decenni, ad una intensa attività sociale rivolta verso chi si trovi nella necessità e nel bisogno. Sarà certamente questo il tema anche per il futuro della nostra Sezione perché così si mantengono salde le tradizioni alpine ed i vincoli di amicizia e solidarietà tra gli associati e il mondo che ci sta attorno. In questo contesto, si inserisce positivamente questa iniziativa editoriale che diventa un ulteriore tassello per promuovere la nostra cultura. La prossima sfi da, infatti, sarà quella di riuscire a trasmettere questi valori ed ideali ai giovani affi nché, attraverso il nostro esempio, lo spirito alpino possa essere sempre più diffuso per il bene della nostra associazione e dell’intero Paese.

Giovanni Gasparet Presidente Sezione A.N.A. Pordenone

La sezioneFondata nel 1925, la Sezione di Pordenone in 85 anni di vita ha saputo svolgere

un ruolo fondamentale nel mantenimento del ricordo dei Caduti delle guerre della prima metà del secolo scorso, assicurando anche il rispetto ed il sostegno ai reduci e l'assistenza agli orfani. Attualmente la Sezione di Pordenone comprende 73 Gruppi con un organico di 7.600 soci Alpini e 1.300 Aggregati, per un totale di 8.900 iscritti. E' zona di reclutamento alpino ed è per questo che Pordenone è sinonimo di Julia, nome leggendario per i friulani, nome che rievoca la tragedia della nave Galilea, del Btg. Gemona, le sanguinose campagne di Albania, Grecia e Russia ma, soprattutto l'impegno umano, morale, fraterno del fronte del Friuli in favore delle popolazioni che hanno sofferto il dramma del terremoto del 1976.

Il vessillo sezionaleSul Vessillo della Sezione di Pordenone sono appuntate 3 Medaglie d'Oro al

Valor Militare:

- Medaglia d'Oro Caporal Maggiore Aldo Bortolussi – nato a Zoppola (PN) il 3aprile 1921: «Puntatore di Batteria Alpina del Gruppo Conegliano sparando a al alzo zero falciava la fanteria nemica e riusciva ad immobilizzare un carro armato russo a pochi metri dal proprio pezzo. Benché ferito partecipava quindi

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alla lotta alla baionetta insieme con gli alpini fi nché nuovamente colpito immolò la sua giovane vita. Solowiew (Russia) 20 gennaio 1943.»

- Medaglia d'Oro Caporal Maggiore Olivo Maronese – nato a Pasiano (PN) l' 11 febbraio 1916: «Capo pezzo di Artiglieria del Gruppo Conegliano dirigeva in piedi il fuoco contro la fanteria nemica immobilizzando un carro armato. Distrutto il suo pezzo di artiglieria, benché ferito, accorreva per riprendere il fuoco con un altro pezzo rimasto senza inserviente. Colpito nuovamente proseguiva la lotta fi nché esausto cessò di vivere sul posto. Solowiew (Russia) 20 gennaio 1943.»

- Medaglia d'Oro Capitano Dario Chiaradia – nato a Caneva (PN) il 28 aprile 1901: «Volontario nella Campagna di Grecia, ha partecipato poi, su sua richiesta alla campagna di Russia come comandante di una Compagnia del Btg. Cividale con la quale ha partecipato alla battaglia per la conquista della martoriata «Quota Cividale». Nella battaglia per la seconda riconquista, quando il nemico ormai era in fuga, fu colpito mortalmente e, rifi utando ogni soccorso si preoccupava soltanto della sorte dei suoi Alpini. Quota Cividale sul Nowa Kalitwa 4-5 gennaio 1943.»

Il Vessillo Sezionale si fregia inoltre di:- una medaglia d'Oro al Valore Civile per gli interventi della Sezione nel Friuli terremotato del 1976;- una medaglia d'Oro al Merito Civile per gli interventi della Sezione in Piemonte alluvionato del 1994;- una medaglia di Bronzo al Merito Civile per gli interventi della Sezione in Irpinia e Basilicata per il terremoto del 1982;- una medaglia di Bronzo al Merito Civile per gli interventi della Sezione per il terremoto in Armenia «URSS» e per l'alluvione in Valtellina;- una medaglia di Bronzo al Merito Civile per gli interventi della Sezione per il terremoto in Umbria e Marche del 1997;- una medaglia d'Oro ed una medaglia di Bronzo al Merito della Croce Rossa per l'impegno profuso a favore di questa istituzione.

Il terremoto in FriuliL'esperienza del terremoto del 1976, che vide direttamente coinvolto gran parte

del territorio della Regione Friuli Venezia Giulia con circa 1.000 vittime, produsse una svolta decisiva nell'orientamento delle attività della Sezione che fece proprio il motto «onoriamo i nostri morti aiutando i vivi». Il primo intervento è stato la costituzione e la conduzione del Cantiere n. 10 di Pinzano al Tagliamento per la ricostruzione del Friuli che ha visto impiegati Alpini della Sezione di Pordenone per complessive 1798 ore lavorative, a cui è seguita la costruzione di una casa a due appartamenti per terremotati a Cavasso Nuovo (PN).

Commemorazione annuale della Battaglia di Nikolajewka al Villaggio del Fanciullo. Il Presidente Nazionale Corrado Perona con alcuni Reduci di Russia. Archivio ANA Pordenone.

A sinistra: l’altare dedicato alla Brigata Alpina «Julia» donato nel 1949 al Villaggio del Fanciullo di Pordenone. A destra: commemorazione dell’affondamento del «Galilea» davanti al monumento eretto nel cimitero di Chions alla presenza del presidente nazionale Perona. Archivio ANA Pordenone.

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La Chiesa Monumento ai Caduti costruita in Piancavallo dagli Alpini della Sezione di Pordenone. Archivio ANA Pordenone.

Al termine dell’intervento che ha riguardato anche la sostituzione degli oltre 1000 punti luce, i bambini, le insegnanti e la direttrice posano per la foto ricordo. Archivio ANA Pordenone.

La Chiesa di San Giorgio, dedicata a tutti i caduti del comune di Travesio durante la guerra 1940-45. Archivio ANA Pordenone.

Gli Alpini di Pordenone rifanno il tetto dell’Asilo del Sorriso a Rossosch in Russia. Archivio ANA Pordenone.

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169Intervento di manutenzione e pittura delle cancellate del recinto dell’Ospedale Civile di Pordenone.Archivio ANA Pordenone.

Altri signifi cativi interventi effettuati dalla Sezione in questi anni - Nell'ambito dell'ampliamento del Centro di Addestramento Professionale del Villaggio del Fanciullo sono stati eseguiti gli impianti idrosanitari e di riscaldamento sui due capannoni scuola per motoristi e carrozzieri e posate circa 1.300 mq. di piastrelle per pavimenti;- In tre interventi successivi è stato ristrutturato e ampliato il complesso edilizio nell'ambito dell'Oratorio Don Bosco di Pordenone per i ragazzi della città;- E' stata ristrutturata una proprietà del Comune di Pordenone diventata la sede della Sezione fi no al 2005;- In tre interventi successivi è stato ristrutturato un vecchio casolare, ampliato con la costruzione di laboratori divenuto casa per il recupero dei tossicodipendenti curata dal CEDIS;- Costruzione del sentiero degli Alpini attorno al lago di Barcis (PN);- Costruzione di una casa «Via di Natale» per ospitare parenti degli ammalati di tumore ricoverati al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN);- In tre anni successivi è stata costruita una seconda casa «Via di Natale/2» presso il C.R.O. di Aviano (PN), molto più grande ed articolata, della quale un piano è destinato ad accogliere i malati terminali che arrivano da tutte le parti d'Italia;- Vanno ricordate anche le chiesette alpine: «Monumento ai Caduti» di Piancavallo, Barcis, Claut, di Passo Monte Rest; a Travesio, la costruzione della «Via Crucis» degli Alpini lungo il sentiero che porta al colle di S. Giorgio ricordando nelle 14 stazioni in mosaico, le varie battaglie da Adua in poi, per concludere con il terremoto del Friuli;- La costruzione, il rifacimento ed il recupero di numerosi Monumenti ai Caduti, la ristrutturazione ed il rifacimento delle Croci e dei Cippi al cimitero di guerra della prima guerra mondiale in Val Da Ros a Clauzetto (PN);- Il recupero ed il ripristino di diverse «casere di montagna» divenute rifugio o seconda sede dei Gruppi di altura.

I gruppi della sezione di Pordenone e le loro attività Oltre 60 sono i Gruppi, sui 73, che hanno una sede propria o in comodato dai

rispettivi comuni, ovviamente costruite o riattate dagli Alpini;- La Commissione Lavori svolge azione trainante, proponendo ogni anno nuovi interventi della nostra Sezione che si protraggono per 10-15 fi ne settimana, tendenti al recupero di vecchi patrimoni storici o paesaggistici, rappresentati da antichi muri in sasso, sentieri in ciottolato oppure la costruzione della sede della C.R.I. di Pordenone o della sede dell'A.I.S.M. (sclerosi multipla) dove sono stati posati oltre 1.400 mq. di piastrelle per pavimenti e rivestimenti.- I volontari della Sezione di Pordenone, da sempre partecipano attivamente e spesso con incarichi direttivi anche a tutte le iniziative promosse dal Consiglio Direttivo Nazionale. Otto sono stati i soci che nel 1992, in diversi turni, hanno

La sede dell’A.I.S.M. provinciale.Archivio ANA Pordenone.

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171Foto ricordo a lavori ultimati.

Archivio ANA Pordenone.

Lavori di ristrutturazione del Soggiorno Alpino di Costalovara (BZ).Archivio ANA Pordenone.

partecipato alla costruzione dell'asilo di Rossosch e, l'anno successivo, in unico turno altri 12 hanno provveduto ad intonacare circa 5.000 mq. di interni ed esterni. Nell'estate del 2010, 8 volontari, incluso il Presidente Sezionale Giovanni Gasparet, hanno eseguito la manutenzione straordinaria dell'asilo di Rossosch; tra i principali interventi: il rifacimento del tetto, la sostituzione di tutti i corpi illuminanti (oltre 1000).

Presenti in forze anche alla realizzazione della Scuola di Zenica in Bosnia, delle scuole e centro di accoglienza in Mozambico, al rifacimento del Centro per Anziani a Ripabottoni (Molise) ed alla ristrutturazione del soggiorno alpino di Costalovara (BZ).

La protezione civileLa Protezione Civile Sezionale, sorta già nel 1980 con il primo nucleo di 34

elementi, si è sviluppata progressivamente fi no a raggiungere le attuali 300 unità. Ogni anno, viene organizzata una esercitazione di prevenzione, alternativamente in ambito montano ed in pianura, che ha lo scopo, oltre che di amalgamare le squadre, anche di lasciare sul territorio qualche tangibile segno del lavoro alpino come il ripristino di sentieri, di strade tagliafuoco nei boschi, la cura e il ripristino di alvei di fi umi e torrenti e la pulizia dell'ambiente. - Ricordiamo gli interventi per i terremoti in Irpinia e Lucania, a Pescopagano (PZ), in Valtellina, in Piemonte e Val d'Aosta, in Armenia, a Punta Salvore in Croazia, a Sarno, in Umbria, Marche e Molise, nella «Missione Arcobaleno» in Albania, in Romania e in Ungheria. - Nell'ambito dell'esercitazione triveneta «Naonis 95» a Pordenone, è stato ripristinato e reso agibile il parco pubblico comunale «San Valentino» di 3,5 ettari.- Interventi di rilievo sono stati eseguiti presso i monasteri delle Suore Clarisse Benedettine di Gubbio (PG), di Attimis (UD), di Poffabro (PN).- Circa 360 Alpini in diversi turni sono intervenuti nel recupero e restauro della sede della Cooperativa di disabili «Il Granello» di San Vito al Tagliamento (PN).- Sono stati eseguiti lavori sul Monte San Michele per ripristinare trincee, ricoveri, depositi della prima guerra mondiale. Analoghi interventi sono stati eseguiti sul Pal Grande e Freikofel, nell'ambito della costruzione del museo all'aperto. - Sono state in parte rifatte e in parte risistemate le mura in sasso che sorreggono le stradine di accesso sulla collina dov'è ubicata la chiesa parrocchiale di Marsure di Aviano;- Nell'ambito del recupero e ripristino ambientale di alcune zone, ricordiamo gli interventi eseguiti nel Parco di San Valentino, del Parco fl uviale del Noncello a Pordenone, del Parco di Villa Dolfi n a Porcia, ripristino di sentieri a Caneva, Aviano, Budoia, Polcenigo. Rifacimento di antiche mura in sasso a vista a Roverendo in Piano, a Marsure, a Valvasone. Interventi sulle aree golenali del

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Tagliamento a Morsano al Tagliamento; - Con l'intervento di circa 500 volontari Alpini per dieci mesi di lavoro, nel 2004 è stata realizzata la nuova sede sezionale, inaugurata nell'ottobre 2005 dal Presidente Nazionale Corrado Perona, in occasione dell'80° Anniversario di fondazione.

Banco AlimentarePuntuale e signifi cativa la partecipazione ogni anno alla raccolta del Banco

Alimentare che nel 2008 ha registrato nei 53 supermercati in Provincia di Pordenone 78 tonnellate di derrate alimentari, con un aumento del 4,7% rispetto allo scorso anno.

Libro Verde della solidarietàPer il Libro Verde della Solidarietà, la Sezione di Pordenone ha contribuito nel

2009 con oltre 42.728 ore di lavoro effettuate ed una somma di Euro 125.030,00 raccolti e devoluti in benefi cenza. A queste cifre vanno aggiunte 19.899 ore di lavoro effettuate ed Euro 11.214,00 raccolte per l'Abruzzo terremotato.

Terremoto In AbruzzoDa aprile a metà novembre 2009, ogni settimana è partita una squadra di 10-

12 volontari Alpini della sezione di Pordenone per l'Abruzzo. In particolare, in ottobre 2009 una squadra di muratori e piastrellisti ha operato nel cantiere di Fossa per la posa dei pavimenti delle 33 villette donate dall'A.N.A.. Sono oltre 200 gli Alpini dei Gruppi pordenonesi che si sono alternati in compiti logistici, preparando e distribuendo i pasti giornalieri ad oltre 500 persone nei comuni di San Demetrio Ne' Vestini e Acquasanta. Nemmeno l'afa di agosto ha fermato l'impegno per l'Abruzzo degli Alpini della sezione di Pordenone. Presente anche il Presidente Giovanni Gasparet, sempre in prima linea, il quale ha guidato il 21° turno nella settimana dal 20 agosto 2009. In questa occasione, la presenza del presidente sezionale Gasparet, in veste di responsabile del Campo di San Deme-trio, ha dimostrato il coinvolgimento diretto anche ai massimi livelli dell'ANA Sezionale, a testimonianza della partecipazione di tutta la comunità alpina della Destra Tagliamento la quale, avendo vissuto l'esperienza del sisma del 1976, ben comprende il dramma che viene sofferto da quelle popolazioni.

In questi mesi infatti, i volontari della sezione di Pordenone hanno assicurato ininterrottamente il sostegno morale e l'aiuto materiale della nostra gente, fa-cendo sentire, con la loro continua presenza e condividendo i disagi della vita in tenda, quella solidarietà di cui i fratelli abruzzesi hanno bisogno per risollevarsi dalla profonda ferita inferta dal sisma e poter riprendere il ritmo di vita normale.

Ancora in maggio 2010, una squadra di 12 muratori è intervenuta su richiesta della Sede Nazionale, per la realizzazione delle fondazioni e delle platea su cui

Alpini all’opera per il Banco Alimentare. Fin dalla nascita di questa iniziativa la Sezione di Pordenone si è distinta per organizzazione e risultati. Archivio ANA Pordenone.

Recupero delle antiche mura del Castello di Solimbergo. Archivio ANA Pordenone.

Costruzione di parte del recinto di tutta l’area del Monastero di San Girolamo delle Suore Clarisse Benedettine di Gubbio. Foto con la superiora a lavori ultimati. Archivio ANA Pordenone.

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La Protezione Civile Sezionale con l’Unità Cinofi la assieme al Presidente Nazionale Perona ed il Presiden-te Sezionale Gasparet in occasione della commemorazione di Nikolajewka al Villaggio del Fanciullo.

A sinistra la prima pagina del giornale sezionale «La più bela fameja» e a destra Il Gruppo Escur-sionistico della Sezione sulla cima del Monte Peralba. Archivio ANA Pordenone.

Posa dei pavimenti per la Chiesa dei Frati a Luizi Calugaro (Romania). Archivio ANA Pordenone.

La nuova Sede Sezionale realizzata interamente dagli Alpini nel 2005. La struttura comprende 500 mq. dedicati a magazzini e rimesse per le attrezzature e per gli automezzi della Protezione Civile sezionale.

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177Il Posto Medico Avanzato donato dalla Banca di Credito Cooperativo di San Giorgio e Meduno alla Protezione Civile Sezionale. Archivio ANA Pordenone.

I Presidenti della Sezione di Pordenone. In alto da sinistra: Rino Polon (1925-1929), Cesare Perotti (1929-1935), Costantino Cavarzerani (1935-1938), Valentino Toniolo (1938-1941), Luigi Andres (1941-1943), Guido Scaramuzza (1946-1972), Mario Candotti (1973-1985), Giovanni Gasparet ( in carica dal 1986).

sorge la chiesa di Fossa. A breve, un gruppo di 21 volontari partirà nuovamente per Fossa per la posa dei pavimenti e dei rivestimenti interni ed esterni.

Iniziative culturali e sportive- Nel 1988 il Coro Sezionale A.N.A. «Montecavallo» ha iniziato a muovere i primi passi seguito, qualche anno dopo, dal Coro «Friuli» del Gruppo Alpini di Cordovado. Da 4 anni è stato costituito il Coro A.N.A. del Gruppo di Spilimbergo, seguito nel 2008 da quello di Aviano e nel 2009 dal Coro di Maniago. Dal 2002 è attivo il Nucleo Tamburi a cura del Gruppo A.N.A. di Sesto al Reghena.- Notevoli soddisfazioni sono giunte dallo sport nel quale la Sezione ha sempre ottenuto piazzamenti onorevoli sia a livello individuale che di gruppo. In particolare va ricordato il Trofeo Merlini conquistato nel 1992, la vittoria assoluta nella gara individuale di corsa in montagna nel 1993 ed il Trofeo «Avv. E. Erizzo» ottenuto nel 2008. In Sezione è anche attivo il Gruppo Escursionistico che mensilmente organizza uscite per gli appassionati di Alpinismo. - Il periodico sezionale «La più bela Fameja», da oltre 40 anni, è la voce della Sezione. In tutti questi anni ha continuato a svilupparsi lasciando sempre ampi spazi ai veri giornalisti: gli Alpini dei Gruppi della Sezione di Pordenone.- Per ricordare la memoria dell'ultimo Presidente scomparso, prof. Mario Candotti, combattente di Albania, Grecia e Russia, uomo di cultura e ispettore scolastico, all'indomani della sua improvvisa scomparsa, avvenuta a seguito di incidente stradale, sono state istituite tre borse di studio per studenti universitari e otto borse di studio per studenti della scuola media superiore, riservate ai fi gli di soci alpini e che vengono consegnate ogni anno al Villaggio del Fanciullo in occasione della celebrazione dell'anniversario di Nikolajewka.

Con lo stesso spirito che animò i fondatori, gli Alpini della Sezione di Pordenone continuano a lavorare con grande impegno per la società nella quale rimangono un riferimento riconosciuto ed insostituibile.

Due trofei conquistati dalla sezione di Pordenone: a sinistra quello dedicato a Ugo Merlini (edizione 1992) e a destra quello intitolato a Ettore Erizzo (edizione 2008).

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179La diga del Vajont.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

L'impegno civile degli alpini

Vajont: cronaca di una morte annunciataIl Vajont è un torrente che si allunga nella valle di Erto e Casso per andare

a gettarsi nel Piave in prossimità di Longarone e Castellavazzo. Il corso d'acqua scivola sinuoso attraverso una stretta forra che sembra il luogo ideale per la costruzione di una diga. L'Italia postbellica è affamata di energia e di realizzazioni che testimonino al mondo le capacità dei suoi intelletti e delle sue imprese. Il progetto del «Grande Vajont» pare soddisfare entrambe queste impellenti necessità. L'opera che viene realizzata è un capolavoro di ingegneria. Con i suoi 265 metri di altezza, la diga del Vajont è la più alta del pianeta. Il progetto però non tiene in debito conto le caratteristiche geologiche della valle entro la quale si innalza lentamente il lago artifi ciale che con la forza dei suoi milioni di metri cubi d'acqua fornirà l'energia idraulica necessaria a muovere le turbine della centrale. L'instabilità dell'area, che pure è ben nota alle popolazioni locali, non viene giudicata pericolosa dai tecnici e dai geologi ai quali si è rivolto chi ideato l'impresa. Gli esiti degli studi e delle perizie commissionati dalla società costruttrice dell'opera sono costantemente improntati a toni rassicuranti. Non tutti però né condividono l'ottimismo. E' soprattutto Tina Merlin, corrispondente del quotidiano «L'Unità», a portare avanti la denuncia dei rischi che la costruzione dell'invaso ha innescato. Osteggiata in ogni modo, la giornalista dovrà sostenere una dura battaglia personale, che la costringerà anche ad affrontare un processo nel corso del quale dovrà difendersi dalla pretestuosa accusa di avere diffuso notizie false e tendenziose. La Merlin viene assolta ma nulla riesce ad arrestare il tragico incedere degli eventi. Non vi riescono nemmeno i mille, inquietanti segnali, che una natura violentata e sfi data dall'uomo, lancia ogni giorno e che vengono ignorati con criminosa leggerezza. Sono le 22.39 quando la sera del 9 ottobre 1963 il Monte Toc frana. Parte della montagna scivola con un pauroso boato nelle acque oscure del lago artifi ciale sottostante. E' stato calcolato che circa 270 milioni di metri cubi di materiale si spostano con una velocità di 20-25 metri al secondo. Quando la mostruosa frana raggiunge il lago, la sua forza produce due distinte onde. La prima si dirige a monte fi no a lambire l'abitato di Erto travolgendo prima le sue frazioni più basse: Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino, che furono investite in pieno dalla violenza delle acque. Quanto accadde lassù fu però ben poca cosa rispetto a ciò che produsse l'onda diretta verso valle. La massa liquida formata da più di 50 milioni di metri cubi d'acqua superò la diga raggiungendo – per fortuna senza conseguenze- le case più basse del paese di Casso. La palazzina

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di due piani in cemento che ospitava la centrale di controllo fu invece cancellata. L'acqua precipitò quindi dentro la stretta gola del Vajont che con le sue caratteristiche di forma e di lunghezza ne aumentò la velocità esaltandone la potenza distruttrice. Quando il fronte dell'onda sboccò dalla valle per abbattersi su Longarone, era alto almeno 70 metri. Gli abitanti non ebbero via di scampo. La tragedia annunciata si era ormai abbattuta sulla cittadina bellunese cancellandola. Non restava altro da fare che tentare di portare soccorso ai pochi sopravvissuti e dare una pietosa sepoltura alle vittime i cui corpi le acque, esaurita la propria forza, avrebbero restituito. L'allarme alle penne nere venne dato alle 23.00. I primi a muoversi furono gli alpini del battaglione Pieve di Cadore, distaccati nella località omonima a 24 chilometri da Longarone. Il reparto era organico alla brigata Cadore del VII° Reggimento. La direzione delle operazioni fu assunto dal Comandante del IV Corpo d'Armata Alpino, generale Carlo Ciglieri. Ricorda Lorenzo Audisio, uffi ciale del Pieve di Cadore: «Se sei comandante di reparto e ti cercano alle 11 di sera, qualcosa di grave è successo. Il centralinista del comando di battaglione parlava con voce concitata e l'unica cosa che ricordo è una frase che non ho mai potuto dimenticare: «E' saltata la diga del Vajont». Bisognava andare a Longarone, una piccola cittadina nella valle del Piave a mezza strada tra la mia sede di servizio, Pieve di Cadore, e la sede del comando di reggimento, a Belluno. Poiché ero in zona da più di tre anni conoscevo bene sia il tragitto che il paese. Subito mi si affacciò alla mente, come guardando una foto di archivio, quello che avevo visto tante volte dalla circonvallazione quando scendevo a Belluno. Altissima, stretta e grigia sulla sinistra appoggiata ai due lati della montagna, la diga del Vajont. Proprio di fronte sulla destra del fi ume, appena sopraelevato sui primi contrafforti della valle, l'abitato di Longarone. Mi precipitai in caserma (un cortile e un unico fabbricato per duecento uomini scarsi), a poche decine di metri dalla mia abitazione. Tutto era già in movimento. Gli alpini raggiungevano in silenzio il loro posto di adunata, lo stesso in cui avevamo fatto le nostre esercitazioni di allarme alla luce di due modesti fari di fortuna. Questa volta era una emergenza vera e operammo senza imprecazioni e senza affanno. Arrivarono gli automezzi e ci avviammo verso Longarone. La valle ci parve più cupa che mai. Qualcuno dei nostri ci aspettava e ci guidò in fi la indiana sul luogo del disastro. Non riuscivo a orientarmi né a trovare i punti di riferimento di un posto che conoscevo bene».28 Quando giungono sul posto gli alpini realizzano subito che le paure che per lungo tempo avevano ossessionato la abitanti di quei luoghi si erano trasformate in realtà. Al posto di Longarone restava ora solo una distesa di

28 Lorenzo Audisio, La tragedia del Vajont, Editore Collezioni-f.it.Vajont 1963 - Particolare da un'immagine di Giuseppe Zanfron.

Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

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183Vajont 1963. Alpini al lavoro dove una volta sorgeva Longarone.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

pietra e fango traversata dal Piave. Era come se la cittadina non fosse mai esistita. L'unica area nella quale era ancora possibile fare qualcosa corrispondeva a quella che era stata la parte settentrionale del paese dove qualche sopravvissuto aspettava atterrito i soccorsi. Scrive ancora Lorenzo Audisio: «Mi resi conto che Longarone non esisteva più. Dove c'era l'abitato con le sue luci fi oche, con i suoi bar e le sue stradine a saliscendi vi era solo una distesa buia di macerie compatte. Qualche pozzanghera qua e là evidenziava il passaggio dell'acqua. Avevo una lampada portatile che a malapena rompeva l'oscurità. Mentre il reparto aspettava che ci si capisse qualcosa, percorsi più volte con altri volenterosi l'area che poteva essere controllata. Ma non si udivano grida né lamenti. Là dove l'onda di piena si era fermata nel tentativo di risalire la valle, furono trovati alcuni corpi. Tra cui quello intatto di una giovane donna, come se fosse stato adagiato senza violenza sulla nuova riva appena raggiunta dalle acque e subito abbandonata. Poi più nulla mentre la luce dell'alba invadeva lentamente l'area del disastro. A poco a poco emerse la diga intatta e lontana. Per un attimo tutto sembrò inspiegabile. Fino a quando non fu chiaro che al posto delle acque prima sigillate dalla diga vi era una montagna, una nuova montagna. La diga dunque non era saltata, come il centralinista aveva cercato di spiegare nella concitazione della prima ora. Era stata invece scavalcata da un'onda gigantesca, provocata da una frana altrettanto gigantesca - la nuova montagna - che aveva occupato quasi per intero il grande invaso artifi ciale. Un'onda tanto violenta che in pochi secondi aveva attraversato la valle, era piombata su Longarone ignara nella tranquillità della sera (moltissimi stavano seguendo alla televisione un'importante partita di calcio) e tutto aveva distrutto, trascinato, sepolto. La luce del giorno evidenziò alla fi ne l'entità del disastro. Il Piave era tornato a scorrere innocuo nel suo letto di sabbia e di sassi, ma tutto intorno non vi era segno di vita. Né alberi, né case, né strade, ma solo una distesa grigia di detriti che accompagnava il fi ume fi no all'orizzonte».29 Nel frattempo a Belluno l'allarme ha raggiunto anche le penne nere del battaglione omonimo che si mettono in marcia alla volta di quella che un tempo era stata Longarone. Dopo circa due ore una colonna del reparto aveva raggiunto il luogo del disastro. Per tutta la notte si cerca nel fango alla luce irreale delle prime fotoelettriche. La mattina dopo gli alpini di Audisio, che erano stati tra i primissimi ad intervenire, vengono avvicendati. Ricorda ancora l'uffciale: «Nel corso della giornata fui sostituito con tutto il mio reparto da un'altra compagnia del mio stesso battaglione, più organizzata per l'esigenza. Tornai a Longarone due settimane più tardi per rimanervi quaranta giorni. Fui

29 Lorenzo Audisio, La tragedia del Vajont, Editore Collezioni-f.it.

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sistemato con tutti i miei alpini in una minuscola frazione di Longarone chiamata Codissago, che sorgeva appena a monte della diga, dalla stessa parte della valle. La sua posizione sopraelevata e in angolo morto l'aveva salvata da una distruzione totale. Ma le case più esposte erano state inghiottite a metà e le famiglie che le occupavano avevano perso parte dei loro cari a seconda della stanza in cui si trovavano».30 Per le operazioni si soccorso oltre al IV corpo alpino comandato da Ciglieri «Si mobilitarono direttamente anche il […] V Corpo d'Armata, il Comando Truppe Carnia e il Comando della S.E.T.A.F. di Vicenza, con l'intervento di mezzi meccanici quali anfi bi, apripista, pale meccaniche escavatrici, materiali da ponte, trattori automezzi speciali, gruppi elettrogeni, fotoelettriche, autocarri, autoambulanze, materiali sanitari, autobotti, cucine da campo, tende, viveri, generi di conforto. […] L'intervento di soccorso più urgente, dopo il salvataggio dei pochi rimasti in vita, fu riservato al recupero delle salme, che vennero composte nei cimiteri della zona da Pieve di Cadore a Belluno e oltre, lungo il Piave. La presenza degli Alpini si protrasse fi no al 21 dicembre; in tutto, tra uffi ciali, sottuffi ciali e militari di truppa il personale ammontò ad oltre 10.000 unità, che si aggiunsero agli 850 Vigili del Fuoco e alle unità delle Forze di Polizia e della Croce Rossa. La preziosa opera delle Penne Nere e dei primi soccorritori portò al salvataggio di 73 persone ed al pietoso recupero di 1.572 salme. Per l'opera prestata dagli Alpini nei due mesi di lavoro sulla scena del disastro del Vajont, il 2 giugno 1964, in piazza dei Martiri a Belluno, fu appuntata sulla bandiera del VII Reggimento Alpini la Medaglia d'Oro al Valor Civile. Anche l'ANA. volle premiare gli Alpini in Armi intervenuti nel disastro, regalando loro una medaglia con inciso: ''Vi chiamò il dovere – trovaste l'orrore – vi sostenne l'amore''».31 Longarone, prima della tragedia che la colpì il 9 ottobre 1963, contava 4.638 abitanti. Il totale delle vittime della tragedia fu di 1909 morti, di cui 111 residenti nel comune di Castellavazzo, 158 nel comune di Erto-Casso e circa 200 in altri comuni. Il resto delle vittime (1.452), appartenenti a 508 famiglie, delle quali 305 completamente scomparse, risiedevano nel comune di Longarone.32 Finché fu necessario, racconta ancora Giovanni Audisio «continuammo a dare il nostro aiuto e il conforto possibile ai superstiti. Ascoltavamo i lamenti e le loro storie tristi. Alcuni avevano visto i loro cari ghermiti dalle acque, lì davanti, e non potevano cancellare dai loro

30 Ibidem.31 Fabrizio Biscotti (a cura di), Un paese e i suoi alpini : cento anni di tradizione alpina a Morsano di Strada, Castions di Strada, Tip. Giemme, 2001.32 I dati sono desunti da: Maurilio Di Giangregorio, Gli Alpini furono impiegati nell'allu-vione del Vajont, Associazione Nazionale Alpini Abruzzi, 2008.

Vajont 1963: cronaca di una morte annunciata.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

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Vajont 1963: gli alpini scavano alla ricerca di superstiti.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

Il generale Ciglieri, comandante degli alpini.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

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occhi quell'attimo dal dolore indimenticabile. Tutti gli alpini furono meravigliosi. Ripulirono e risistemarono i viottoli, svuotarono le cantine dalla fanghiglia, ripristinarono gli infi ssi divelti, mentre altre squadre scavavano nel greto del fi ume alla ricerca dei corpi sepolti. Ma soprattutto con la loro presenza dettero una speranza. Per i superstiti la vita doveva continuare. Un grande esempio di solidarietà e di fratellanza verso una comunità così duramente colpita, fatta non di atti doverosi ma di autentico amore. La bandiera del reggimento fu decorata di medaglia d'oro al valor civile.»33

33 Lorenzo Audisio, La tragedia del Vajont, op. cit.

Il fotoreporter Giuseppe Zanfron con Tina Merlin, due eccezionali testimoni di quei giorni terribili.

Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

Vajont 1963. Un elicottero americano trasposta i superstiti.Archivio Giuseppe Zanfron - Belluno.

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In questa bella immagine di Giuseppe Zanfron il senso della vita che si rimette in cammino.Archivio Giusepe Zanfron - Belluno.

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193Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». Al lavoro sulle macerie della palazzina che ospitava il gruppo «Conegliano». Archivio www.grudine.it

Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». Macerie palazzina gruppo «Conegliano». Archivio www.grudine.it

Il terremoto del FriuliE' il 6 maggio del 1976. Ancora una volta le ombre della sera stanno

lentamente avvolgendo la terra. Le 21 sono passate da 10 minuti quando l'inferno si scatena. Una violenta scossa di terremoto scuote per cinquanta secondi il Friuli. L'epicentro del sisma è Gemona. 965 persone perdono la vita e un numero almeno dieci volte maggiore rimane privo di un tetto. 5.000 chilometri quadrati di territorio vengono sconvolti e 119 comuni nelle provincie di Udine e Pordenone sono ridotti in ginocchio dalla violenza della scossa. 41 di essi saranno dichiarati disastrati e 45 gravemente danneggiati. Quasi tutta l'Italia avverte il terremoto.34 Le scosse si fanno sentire dall'area centro-settentrionale del Paese fi no ad oltre Roma. L'area più colpita è pero la media valle del Tagliamento. La sismicità della zona interessata dal sisma era ben nota, soprattutto nel punto di unione tra la pianura e i primi rilievi montani. Nonostante questa consapevolezza, la maggior parte dei comuni che subirono i danni maggiori come Buia, Gemona e Osoppo, non fi guravano nell'elenco di quelli a rischio sismico e vi si poteva costruire senza dover sottostare ad alcuna particolare normativa per la sicurezza degli edifi ci. I guasti che il patrimonio edilizio riportò furono di conseguenza enormi come quelli coi quali dovette misurarsi l'economia della regione: circa 15.000 persone rimasero senza il loro posto di lavoro per il danneggiamento o per la distruzione delle imprese nelle quali erano occupate. All'epoca del sisma friulano, il concetto di protezione civile era ancora di là da venire ma il particolare assetto dello strumento militare italiano favorì l'opera di soccorso. Il modello di difesa dei primi anni Settanta era quello cosiddetto della «soglia di Gorizia» in base al quale la maggior parte delle nostre forze era dislocata a nord del Po. Le risorse militari necessarie ad intervenire erano quindi a portata di mano. In Friuli si poteva contare sulla presenza del V Corpo d'Armata - il cui comando era ubicato a Vittorio Veneto – al quale si poteva affi ancare il corpo d'armata alpino e il III corpo d'armata gravitante su Milano. Nel giro di 24 ore fu possibile mobilitare una forza di circa 60.000 uomini tra militari, vigili del fuoco e personale della croce rossa. La relativa vicinanza alle basi di partenza rese più agevole il lavoro della logistica che fu favorito anche da una rete stradale effi ciente. L'eccezionalità della situazione impose per la prima volta la nomina di commissario straordinario per la direzione e il coordinamento delle operazioni di soccorso che venne identifi cato nella fi gura di Giuseppe Zamberletti. Nelle ore immediatamente successive al sisma, gli Alpini della Julia, furono ancora una volta in prima

34 Magnitudo: 6.4 (Maw); Intensità epicentrale: IX-X grado (MCS)

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linea nel prestare soccorso alla popolazione. Le penne nere scavarono fra le macerie e si presero cura dei feriti. Nei giorni che seguirono i battaglioni e le compagnie del Genio con gli altri reparti delle brigate alpine, furono messi in campo con uomini e mezzi per fare fronte alla drammatica situazione che si era prodotta. L'anno dopo la tragedia del Friuli, la Brigata Alpina Julia fu insignita della medaglia d'Oro al Valor Civile con questa motivazione: «Unità tragicamente e duramente colpita negli uomini e nelle infrastrutture dal rovinoso terremoto del 6 maggio 1976, iniziava con prontezza instancabile ed effi cace opera di soccorso a favore delle popolazioni del Friuli e della Carnia devastate, con gli stessi reparti che, toccati dalla calamità, avevano già versato un contributo di sangue. Continuava nella sua azione con generoso slancio e profondo impegno, fornendo ogni possibile sostegno ai sinistrati, in fraterna ed incondizionata dedizione. Fulgido esempio di virtù militari e di altissimo senso di abnegazione». Nei momenti che seguirono il sisma, la forte presenza militare in Friuli si rivelò determinante nel consentire che la macchina dei soccorsi si mettesse in moto con tutta la rapidità che quelle drammatiche circostanze imponevano. C'erano macerie da sgomberare, campi da allestire, ricoveri provvisori da rendere disponibili, cucine da campo da montare e migliaia di persone cui fornire assistenza. Il terremoto del Friuli fu anche la prima catastrofe italiana ad essere massicciamente seguita dai media. La televisione la portò dentro tutte le case del Paese. La prima scossa fu seguita da uno sciame sismico che sembrava interminabile e che provocò nuovi movimenti tellurici alcuni dei quali anche piuttosto forti. In particolare il 15 settembre, alle 10.20 del mattino, una nuova scossa di magnitudo 5.9 (Maw) causò altre dodici vittime e ulteriori distruzioni.

La tragedia della Goi-PantanaliIl 6 maggio del 1976, il corpo degli alpini venne toccato direttamente

dalla tragedia del Friuli. A Gemona, che fu l'epicentro del terremoto, sorge la caserma Goi-Pantanali. Quando il sisma si scatenò la struttura fu gravemente danneggiata e sotto le macerie di una palazzina che si affl osciò su stessa rimasero 29 giovani penne nere della brigata Julia. Nonostante gli immediati sforzi dei commilitoni, strapparle alla morte non fu possibile. Ogni anno una toccante cerimonia ricorda le vittime di allora dinanzi al monumento che proprio all'interno della caserma è stato realizzato in loro memoria. I nomi degli alpini caduti sono riportati su una stele commemorativa, opera dell'artista Eligio D'Ambrosio, anch'egli membro del corpo. Toccante è la testimonianza del generale Angelo Gaiolo che a quell'epoca comandava il gruppo artiglieria da montagna Conegliano la cui sede era ubicata proprio all'interno della Goi-

Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». Gli alpini scavano tra le macerie dello stabile nel quale alloggiava gruppo «Udine». Archivio www.grudine.it.

Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». Quel che resta dell'edifi cio che ospitava il gruppo «Udine». Archivio www.grudine.it.

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Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». A colloquio con l'uffi ciale di picchetto. Archivio www.grudine.it. Gemona. Caserma «Goi-Pantanali». Monumento alle vittime della tragedia.

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Pantanali. «Raggiungere la mia abitazione mi era praticamente impossibile; una volta assicuratomi che i miei familiari stavano bene, sono corso di nuovo in caserma, ma non riuscivo a credere a quello che vedevo: a crollare erano stati gli edifi ci vecchi, non poteva andare giù una costruzione recente. Invece... 29 soldati schiacciati».35 Molti episodi toccanti accaddero in quei giorni lontani. Il generale Gaiolo, che all'epoca rivestiva il grado di tenente colonnello, ne ricorda in particolare due. Ci fu «l'artigliere siciliano laureato in medicina che aveva appena ottenuto una licenza di 30 giorni per la specializzazione, ma vi rinunciò preferendo fermarsi in Friuli a dare una mano. E poi, soprattutto la fi gura di Virilli, autista del reggimento». Arturo Virilli nel 1976 era un ragazzo di Gemona in servizio di leva presso la Goi- Pantanali. Il giorno del sisma era a cena con la famiglia. Quel 6 di maggio aveva appena salutato i suoi per rientrare in caserma quando si scatenò il fi nimondo: la sua casa fu rasa al suolo e non rivide più il padre, la madre, la sorella e il nipotino di tre anni. «Di fronte a questa tragedia – ricorda il generale Gaiolo - gli dissi: puoi andare Virilli, prenditi una licenza e torna quando puoi. Ma lui replicò: dove vado che non ho più una casa? Rimase in caserma, aiutò i compagni intrappolati tra le macerie e per tutta l'estate prestò soccorso ai compaesani dividendosi tra caserma e tendopoli. Un esempio straordinario, che tutti dovrebbero conoscere».36

I caduti della Goi-PantanaliLe vittime del sisma alla Goi-Pantanali furono: art. Valerio Artuso, art.

Arnaldo Basset, aut. Osvaldo Battaglia, aut. Raffaele Bernardi, art. Livio Blasic, geniere alp. Luciano Borsato, art. Mario Callegari, c.le Vanni Calligaro, art. Angelo Cascino, alp. Giacomo Chiolerio, art. Guido Da Re, c.le Doriano Dal Bianco, art. Tullio D'Andrea, geniere alp. Renzo Gava, art. Roberto Ghetti, art. Federico Luison, geniere alp. Claudio Mauro, art. Mario Mesoraca, art. Silvano Montagner, art. Graziano Muccignat, art. Vanes Muscari, art. Pierantonio Mutti, alp. Pasquale Probbo, art. Bruno Raggiotto, geniere alp. Carlo Roman, geniere alp. Livio Sciulli, c.le Giuseppe Slemitz, serg. Magg. Giuseppe Spirli, art. Paolo Zucchiatti. Alle vittime della Goi-Pantanali si debbono aggiungere altri quattro militari caduti nei giorni del grande terremoto. Tre erano italiani: Antonio Forgiarini, Luigi Fusco e Marcello Sabadini. Il quarto era invece un uffi ciale pilota nord-americano, il capitano Roland George Mc Bryde, che cadde con il suo elicottero mentre partecipava alle operazioni di soccorso.

35 Quelle 29 penne mozze in caserma in: Messaggero Veneto, 5 maggio 2006.36 Quelle 29 penne mozze in caserma, op. cit.

Il generale De Acutis che nel 1976 era al comando della Julia. Archivio www.grudine.it.

Una panoramica dei danni subiti dalla Goi-Pantanali. Archivio www.grudine.it.

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IL terremoto in Irpinia.

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203Alpini sulle macerie.

L'IrpiniaIl 23 novembre del 1980 le forze della natura tornano a scatenarsi. Un altro

violento sisma scuote la penisola lungo il cordolo appenninico che unisce la Campania alla Basilicata. Ottanta secondi di terrore scatenano l'inferno. Il mezzogiorno d'Italia viene colpito da tre scosse simultanee che fanno tremare la terra. La più violenta, di tipo ondulatorio, che libera per prima la propria forza, viene annunciata da un sordo boato. Sono le 19 e 35 di una domenica sera di tanti anni fa. I pennini dei sismografi schizzano fi no alla magnitudo 6,5 – 6,8 della scala Richter: la potenza sviluppata è pari alla detonazione di 35 milioni di tonnellate di esplosivo. Dappertutto crolli e devastazioni. L'epicentro viene individuato in Irpinia, nell'area di Conza, a 30 chilometri da Potenza, a 100 da Napoli e 20 da Eboli. E' colpita una vasta regione di 15.400 chilometri quadrati, abitata da oltre 5 milioni di persone: un totale di 450 comuni sparsi fra le provincie di Salerno, Napoli e Potenza. Quando accaduto in Friuli solo quattro anni prima non era ancora stato suffi ciente a far sì che nel nostro Paese si realizzasse un sistema di protezione civile quale oggi noi lo conosciamo. Rispetto al sisma che aveva investito il nord-est dell'Italia, l'intervento in Irpinia presentava diffi coltà maggiori. Il nostro modello di difesa, quello già citato della «soglia di Gorizia», manteneva infatti schierate il grosso delle forze oltre il Po'. Delle 24 brigate disponibili infatti, le 5 alpine erano schierate a raggiera sulle montagne mentre 4 si trovavano ad est del Tagliamento, 3 tra il Tagliamento e il Piave e 6 tra Lombardia, Emilia e Piemonte. Solo un quarto degli uomini, pari al totale degli effettivi delle ultime sei brigate, erano schierati nel resto del Paese a sud della cosiddetta «Linea Gotica». Mezzi e personale dovettero dunque essere trasferiti dal nord con uno sforzo logistico enorme e lungo una rete stradale e ferroviaria che, nel meridione d'Italia, doveva misurarsi con la spigolosa orografi a di quelle regioni e che non poteva essere all'altezza delle esigenze. Infi ne, spiega Giuseppe Zamberletti «In Irpinia, le strutture degli enti locali sul territorio erano più fragili rispetto a quelle del Nord, caratterizzate da un'organizzazione robusta. Fu quindi indispensabile rifornirli di tecnici, specialisti, esperti, ingegneri, insomma di tutto il personale necessario affi nché i sindaci e gli amministratori locali potessero far fronte all'emergenza del nuovo insediamento della popolazione. In Campania e in Basilicata, come del resto in Friuli, non avevano ancora l'organizzazione della Protezione Civile così come l'abbiamo costituita dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980. La fi gura del Commissario Straordinario ad esempio, cioè la guida al coordinamento degli interventi, venne realizzata in base ad una legge del 1970, che fu applicata però, solamente la mattina successiva al terremoto, quando ci si rese conto delle dimensioni dell'evento e

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dell'impossibilità di farvi fronte con gli strumenti ordinari. […] Tutto questo però fu impostato dopo parecchie ore dall'evento: le decisioni strategiche cioè, come ad esempio decidere quante forze mandare sul posto e come distribuirle sul territorio, come organizzare i comuni dandogli personale e tecnici […] si misero in funzione 24 ore dopo. E 24 ore in una catastrofe di tali dimensioni sono un tempo infi nito».37 I ritardi nell'avvio della macchina dei soccorsi per la catastrofe irpina suscitarono un mare di polemiche. «C'è un intero paese che è rimasto distrutto ai confi ni fra la provincia di Potenza e quella di Avellino – scriveva la Repubblica del 25 novembre. – E nessuno se ne è accorto quasi fi no all'una di questa di mattina. Quando siamo arrivati a Conza di Campania, un migliaio di abitanti, solo un centinaio i sopravvissuti, eravamo i primi forestieri a mettere piede in paese dopo il terremoto. Alle porte di Conza la gente nel cimitero seppellisce i suoi morti da sola, senza Carabinieri o Polizia, Esercito o Protezione Civile».38

Irpinia: l'esercito in campo. I numeri dell'intervento.In un arco di tempo che si può calcolare come compreso tra 40 minuti

dopo la prima scossa, scatenatasi alle 19.35 del 23 novembre e l'alba del successivo giorno 24, ben undici battaglioni partirono dalle proprie sedi per raggiungere le zone del disastro e dare avvio alle consuete attività di soccorso: rimozione delle macerie, scavo, assistenza e trasporto dei feriti, recupero delle salme, impianto di tende e ospedali da campo, installazione di ponti, di impianti di illuminazione e di telecomunicazione, transennamento degli edifi ci pericolanti e distribuzione di vettovaglie e generi di prima necessità ai sopravvissuti. «Furono subito mobilitate tutte le forze del X Comando militare territoriale, appartenenti per lo più al 13° battaglione fanteria Valbella di stanza ad Avellino, reparti della brigata Pinerolo sparsi tra Bari e Avellino, la Scuole truppe corazzate di Caserta e gli allievi e i quadri della scuola trasmissioni di San Giorgio a Cremano (Napoli). A partire dal primo pomeriggio del 24 novembre, inoltre, furono inviati di rinforzo altri 3.900 uomini appartenenti al 2° battaglione della brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna da Roma, al 57° fanteria Abruzzo della brigata motorizzata Acqui e due battaglioni del genio pionieri: il Bolsena proveniente dal Veneto e il 6° Trasimeno, dal Lazio. Queste unità comprendevano 400 automezzi dalla campagnola all'autocarro pesante, 27 macchine operative (apripista, pale meccaniche, camion a cassoni ribaltabili, motocompressori, autogrù) e 9 fotoelettriche. Inoltre, 14 elicotteri dell'Aviazione Leggere dell'Esercito furono inviati verso gli aeroporti di

37 Sabrina Carreras, Il «Generale terremoto», in: Rivista Militare, ottobre, 2006, p. 10638 La Repubblica, 25 novembre 1980. Citato in: Ibidem, p. 109.

Capodichino e Pontecagnano e da lì parteciparono alle operazioni. L'esercito inoltre mise subito a disposizione due ospedali da campo e 300.000 razioni viveri. Numeri questi destinati a raddoppiarsi nei giorni successivi: delle oltre 6000 unità del primo giorno, si raggiunsero quasi le 11.000 nel terzo, circa 15.000 nel giro di una settimana. In complesso le Forze Armate hanno impiegato quasi 40.000 uomini. Tra veicoli, ambulanze, mezzi speciali del genio, automezzi impiegati per le esigenze di movimento e logistiche delle unità, fu raggiunta quota 6.734. Ingentissimi furono i materiali forniti: 12.404 tende impiantate con 500 stufe, 11.472 sacchi a pelo e 73.726 coperte; oltre 2 milioni di razioni viveri; una unità sanitaria eliportata, 4 unità sanitarie di pronto intervento, 6 centri sanitari mobili, 113 nuclei sanitari di roulotte, 3 ospedali da campo. Furono effettuate 150.600 vaccinazioni, 40.636 prestazioni medico-chirurgiche, 10 indagini epidemiologiche. Malgrado un simile dispiegamento di mezzi e uomini tuttavia, anche l'esercito non rimase immune dal coro di proteste che investì allora le istituzioni circa la scarsa tempestività e la lentezza nelle opere di soccorso».39 Gli alpini comunque furono sempre altezza della situazione lasciando nelle popolazioni locali un ricordo indelebile.

39 Sabrina Carreras, Il «Generale terremoto», op. cit., pp. 108-109.

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INDICE

Breve storia dell'Associazione Nazionale Alpini.....................................................5• Da Milano all'Ortigara, alle Tofane a Trento...........................................................9• L'evoluzione dell'Associazione..............................................................................19• L'Adunata degli alpini a Tripoli.............................................................................26• La ricostruzione dell'Associazione dopo la guerra................................................31• La sezione ANA «Guido Corsi» di Trieste...........................................................39• La sezione ANA di Udine......................................................................................59• La sezione ANA di Gemona..................................................................................79• La sezione ANA Carnica........................................................................................99• La sezione ANA «Tenente Pietro Colobini» di Gorizia.......................................117• La sezione ANA di Cividale del Friuli.................................................................135• La sezione ANA «Gaetano Tavoni» di Palmanova..............................................149• La sezione ANA di Pordenone.............................................................................163• L'impegno civile degli alpini...............................................................................179• Vajont: cronaca di una morte annunciata.............................................................179• Il terremoto del Friuli...........................................................................................193• La tragedia della Goi-Pantanali...........................................................................194• I caduti della Goi-Pantanali........................................................... ......................198• L'Irpinia................................................................................................................203• Irpinia: l'esercito in campo. I numeri dell'intervento........... ................................204•

BIBLIOGRAFIA

Storia dell'associazione nazionale alpini• , a cura di Vitaliano Peduzzi, Nito Staich, Luciano Viazzi e Arturo Vita, Milano, Associazione Nazionale Alpini, 1993.Paolo Pozzato e Massimo Bonomo, • La prima adunata degli alpini – Ortigara 6 settembre 1920. Asiago, Bonomo. 2006.Alpini a Gorizia• , a cura di Paolo Verdoliva, Gorizia, ANA Gorizia, 2009.Bepi Zanfron, • Vajont. 9 ottobre 1963. Cronaca di una catastrofe, Belluno, Agenzia Zanfron, 2004.Sabrina Carreras, • Il «Generale terremoto», in: Rivista Militare, ottobre, 2006.Fabrizio Biscotti (a cura di), • Un paese e i suoi alpini : cento anni di tradizione al-pina a Morsano di Strada, Castions di Strada, Tip. Giemme, 2001.Quelle 29 penne mozze in caserma• in: Messaggero Veneto, 5 maggio 2006.Maurilio Di Giangregorio, • Gli Alpini furono impiegati nell'alluvione del Vajont, Associazione Nazionale Alpini Abruzzi, 2008Lorenzo Audisio, • La tragedia del Vajont, Editore Collezioni-f.it.

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