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1 All.n.2 All’Accordo tecnico operativo La presa in carico del minore autore di reato Premessa La parte seguente ha la finalità di regolamentare ruoli e compiti nelle diverse possibilità di intervento a seguito delle risultanze del percorso penale a carico dei minori. Nella fattispecie, verranno prese in considerazione le situazioni tipo in cui il territorio è chiamato in causa con il relativo sistema di servizi in virtù del principi sanciti dal DPR 448/88 di riforma del processo penale minorile, situazioni la cui tipicizzazione è determinata dal tipo di provvedimento giudiziario adottato dalle autorità competenti in base all’applicazione delle norme del diritto penale sostanziale e processuale, ovvero dal grado e stato di avanzamento del procedimento penale in cui risulta coinvolto il singolo minore autore di reato. Nell’ambito di questa casistica, si anticipa che maggiore rilevanza è assunta dalla richiesta di valutazione psico-sociale e dai provvedimenti di sospensione del processo e messa alla prova, in quanto rappresentano le situazioni in cui maggiore e più significativo è il ruolo assunto – a livello di prassi operativa – dal territorio. Il presente protocollo si propone la duplice finalità di fornire da un lato, delle linee guida operative per i servizi che si occupano di minori autori di reato, dall’altro di promuovere e meglio definire le modalità di integrazione tra servizi socio-assistenziali (Comuni e Aziende Sociali), servizi socio- sanitari (ASL), servizi dell’amministrazione della giustizia (USSM) e uffici giudiziari (Procura e Tribunale). Si considera inoltre opportuna la definizione delle modalità di coordinamento e integrazione con tutti quegli altri servizi e soggetti che possono entrare in gioco nel percorso penale del minore (NPI, CPS, SERD, Prefettura, Servizi di Inserimento Lavorativo, Forze dell’Ordine). In considerazione delle finalità dichiarate, tale documento si struttura in due sezioni principali: la prima è quella in cui vengono richiamate le linee portanti, ovvero i principi di fondo a cui si devono orientare i vari soggetti chiamati in causa dalla normativa relativa al processo penale minorile nello svolgimento delle funzioni a cui sono preposte in tale ambito; la seconda sezione è di natura più prettamente procedurale e descrive i processi di lavoro che devono essere attivati, ovvero come le funzioni svolte dai servizi devono essere articolare in forma coordinata e integrata. Gli enti e i servizi Si riportano di seguito gli enti firmatari del protocollo, indicando per ciascuno di essi i servizi direttamente coinvolti nella materia trattata nel presente documento: ENTE SERVIZIO FIGURE PROFESSIONALI COINVOLTE COMUNE DI CREMONA SERVIZIO SOCIALE TERRITORIALE Assistente sociale, psicologo AZIENDA SOCIALE CREMONESE SERVIZIO MINORI E FAMIGLIA Assistenti sociale, psicologo CONSORZIO CASALASCO SERVIZI SOCIALI EQUIPE TUTELA MINORI SERVIZI SOCIALI TERRITORIALI Assistente sociale, psicologo educatore COMUNITA’ SOCIALE CREMASCA EQUIPE TUTELA Assistenti sociali, psicologi A.S.L. DELLA PROVINCIA DI CREMONA CONSULTORIO FAMILIARE psicologo

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All.n.2 All’Accordo tecnico operativo

La presa in carico del minore autore di reato

Premessa La parte seguente ha la finalità di regolamentare ruoli e compiti nelle diverse possibilità di intervento a seguito delle risultanze del percorso penale a carico dei minori. Nella fattispecie, verranno prese in considerazione le situazioni tipo in cui il territorio è chiamato in causa con il relativo sistema di servizi in virtù del principi sanciti dal DPR 448/88 di riforma del processo penale minorile, situazioni la cui tipicizzazione è determinata dal tipo di provvedimento giudiziario adottato dalle autorità competenti in base all’applicazione delle norme del diritto penale sostanziale e processuale, ovvero dal grado e stato di avanzamento del procedimento penale in cui risulta coinvolto il singolo minore autore di reato. Nell’ambito di questa casistica, si anticipa che maggiore rilevanza è assunta dalla richiesta di valutazione psico-sociale e dai provvedimenti di sospensione del processo e messa alla prova, in quanto rappresentano le situazioni in cui maggiore e più significativo è il ruolo assunto – a livello di prassi operativa – dal territorio. Il presente protocollo si propone la duplice finalità di fornire da un lato, delle linee guida operative per i servizi che si occupano di minori autori di reato, dall’altro di promuovere e meglio definire le modalità di integrazione tra servizi socio-assistenziali (Comuni e Aziende Sociali), servizi socio-sanitari (ASL), servizi dell’amministrazione della giustizia (USSM) e uffici giudiziari (Procura e Tribunale). Si considera inoltre opportuna la definizione delle modalità di coordinamento e integrazione con tutti quegli altri servizi e soggetti che possono entrare in gioco nel percorso penale del minore (NPI, CPS, SERD, Prefettura, Servizi di Inserimento Lavorativo, Forze dell’Ordine). In considerazione delle finalità dichiarate, tale documento si struttura in due sezioni principali: la prima è quella in cui vengono richiamate le linee portanti, ovvero i principi di fondo a cui si devono orientare i vari soggetti chiamati in causa dalla normativa relativa al processo penale minorile nello svolgimento delle funzioni a cui sono preposte in tale ambito; la seconda sezione è di natura più prettamente procedurale e descrive i processi di lavoro che devono essere attivati, ovvero come le funzioni svolte dai servizi devono essere articolare in forma coordinata e integrata. Gli enti e i servizi Si riportano di seguito gli enti firmatari del protocollo, indicando per ciascuno di essi i servizi direttamente coinvolti nella materia trattata nel presente documento:

ENTE SERVIZIO FIGURE PROFESSIONALI COINVOLTE

COMUNE DI CREMONA

SERVIZIO SOCIALE TERRITORIALE Assistente sociale, psicologo

AZIENDA SOCIALE CREMONESE SERVIZIO MINORI E FAMIGLIA Assistenti sociale, psicologo

CONSORZIO CASALASCO SERVIZI SOCIALI

EQUIPE TUTELA MINORI SERVIZI SOCIALI TERRITORIALI

Assistente sociale, psicologo educatore

COMUNITA’ SOCIALE CREMASCA EQUIPE TUTELA Assistenti sociali, psicologi

A.S.L. DELLA PROVINCIA DI CREMONA

CONSULTORIO FAMILIARE psicologo

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CENTRO GIUSTIZIA MINORILE USSM Assistente sociale e psicologo

consulenti La rete Nella consapevolezza che il minore e la sua famiglia realizzano il proprio progetto di vita all’interno di una comunità, il lavoro di rete e la sua attivazione risulta essere di fondamentale importanza, per garantire la buona riuscita del percorso “riabilitativo” del minore autore di reato. Inoltre l’apporto tecnico e collaborativo dei soggetti permette la costruzione di progetti di intervento specifici e individualizzati per ogni situazione. Gli enti firmatari quindi si impegneranno a promuovere collaborazioni, sensibilizzazione e coinvolgimento (anche con protocolli d’intesa) con i soggetti del territorio al fine di facilitare la predisposizione di interventi che prevedano effettivamente azioni tese all’integrazione sociale del minore autore di reato e che contemporaneamente possano promuovere percorsi di responsabilizzazione dei singoli territori nei confronti di questi. Pertanto si auspica l’attivazione di strategie di rete e di lavoro di comunità di natura più trasversale in grado di andare a sensibilizzare il territorio per promuovere una maggiore disponibilità all’accoglienza che si possa coniugare con un lavoro di raccordo e di mediazione con l’ambiente sociale del minore. In particolare si prevede il coinvolgimento di scuole (di istruzione superiore di primo e secondo grado), centri di formazione professionale e le agenzie preposte all’orientamento e all’inserimento lavorativo, le realtà produttive intese sia come associazioni di categoria sia come singole aziende, agenzie e servizi educativi del territorio, oratori, associazioni e realtà del volontariato sociale, società sportive, organismi di secondo livello in grado di garantire un coinvolgimento maggiormente strutturato delle diverse tipologie di soggetti sopra riportate.

A) Le Linee portanti Il processo penale minorile regolato dal DPR 448/88 è costruito intorno all’idea di poter coniugare le azioni destinate all’accertamento della responsabilità penale con quelle volte alla valutazione della personalità del soggetto che ha commesso il reato, secondo i principi già espressi in sede internazionale che fanno emergere la necessità e l’attesa di un rapporto stretto tra istituzione penale e società, tra azione deviante ed il recupero del minore che ne è responsabile. Tali principi richiedono di considerare l’esistenza dei nessi tra i fatti accertati e l’individuo che ne è autore affinché ciò che ha commesso vada collocato nell’ambito della sua soggettività per cogliere la realtà della situazione, valutandola non solo retrospettivamente ma orientandola ad una strategia volta al futuro. Poiché l’attenzione non è solo verso il reato compiuto dal minore ma anche nei confronti della sua personalità, ciò si traduce in un processo penale visto come un cammino complesso da compiere, non solo per accertare i fatti e per sanzionarli ma soprattutto per conoscere il minore autore di reato, comprendere ed elaborare il significato comunicativo della trasgressione e per accompagnarlo nel suo percorso di responsabilizzazione. In linea generale, i principi ispiratori del DPR 448/88 sono quelli secondo i quali il processo minorile, nell’accertare la responsabilità penale, deve comunque esprimersi secondo i criteri: - dell’adeguatezza educativa, intesa come salvaguardia dei bisogni di crescita psicologica e sociale del minore, mediante azioni accessibili alle sue competenze sociali e capacità; - della destigmatizzazione, riconosciuta come esigenza che il processo non imprima l’etichetta del ‘ delinquente’; - del residuale ricorso al carcere; - della minima offensività del rito, riconosciuta come necessità di far transitare il minore il meno possibile nel sistema della giustizia, producendo nel contempo azioni volte a sviluppare l’attitudine responsabilizzante che in termini concreti significa favorire l’appropriazione consapevole delle conseguenza giudiziarie attivate dalla commissione del reato. Il codice penale minorile risulta quindi prevalentemente orientato al recupero del processo evolutivo del minore, attraverso il faticoso confronto con i compiti di sviluppo ad esso connessi.

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In questa prospettiva risulta di fondamentale importanza il contributo dei servizi i quali forniscono elementi di conoscenza, promuovono attività di assistenza, sostegno e controllo nell’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, elaborano ipotesi progettuali orientate a sostenere l’acquisizione di responsabilità del minore e favorire la costruzione della sua identità e il suo inserimento sociale. In particolare la normativa del 1988 ha previsto: - l’obbligatorietà del loro intervento (il giudice “si avvale” non “può avvalersi” di essi)1 - il coinvolgimento dei servizi territoriali, per una riappropriazione da parte della comunità locale dei problemi dei suoi adolescenti, anche di quelli sottoposti a procedimento penale, nel presupposto che le finalità educative attribuite all’intervento possano essere più facilmente raggiunte con l’apporto del sistema locale di welfare. A differenza della giustizia ordinaria, quella minorile prevede l’attivazione immediata dei servizi (ministeriali e/o territoriali) una volta accertato il fatto reato, che sposta l’attenzione sulla persona del reo e influenza, con esclusione del giudizio sulla responsabilità per la condotta-reato, il convincimento del giudice, nel senso che ciò che gli operatori dei servizi osservano, propongono, dicono diventa una fonte importante per la decisione. In linea generale i compiti assegnati ai servizi sono quelli di seguito indicati: 1. gli accertamenti sulla personalità del minore (art. 9) 2 2. l’assistenza affettiva e psicologica (art.12)3 un compito altro rispetto a quello esercitato dai genitori e che attraversa tutto il processo. Si tratta di un intervento delicato e complesso nel quale vengono presi in carico i problemi, le difficoltà affettive, relazionali,comunicative, psicologiche che il minore può incontrare in ogni fase del processo 3. l’affidamento del minore imputato nel corso di ogni misura cautelare (art.19)4 che introduce, oltre all’attività di assistenza, anche quella di controllo. Non si tratta, naturalmente, di controllo in termini di contenimento, bensì di : - fornire all’Autorità giudiziaria elementi di conoscenza psico sociale e di verifica operativa, tali da consentire delle definizioni o delle revisioni dei vincoli giudiziari e delle prescrizioni che siano realistiche, possibili, utili in relazione alle risorse del minore; - fornire al minore, alla famiglia, alle agenzie affidatarie (comprese le comunità) gli elementi di conoscenza, di verifica, di feed-back per comprendere la natura, il significato, le potenzialità e i rischi dei vincoli giudiziari e delle prescrizioni, nella prospettiva di rafforzare le risorse autonome di responsabilizzazione del ragazzo stesso 4. l’affidamento del minore in caso di sospensione del processo e messa alla prova (art.28)5per individuare e definire insieme al minore un progetto di cambiamento intenzionale ed accessibile, ossia legato agli obiettivi che egli è in grado di realizzare. Il sistema dei servizi Sono passati diversi anni dall’entrata in vigore del codice di procedura penale per i minorenni che ha effettuato una profonda revisione dei servizi ministeriali (USSM – CPA – IPM) delineandone

1 art. 6 DPR 448/88 “In ogni stato e grado del procedimento l’Autorità Giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia. Si avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali” 2 art. 9 “Il Pubblico Ministero ed il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, famigliari sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili” 3 art.12 “L’assistenza affettiva e psicologica all’imputato minorenne è assicurata in ogni stato e grado del procedimento penale dalla presenza dei genitori.. In ogni caso è assicurata la presenza dei servizi” 4 art.19 “Quando è disposta una misura cautelare,il giudice affida l’ imputato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, i quali svolgono attività di sostegno e controllo in collaborazione con i servizi di assistenza istituiti dagli enti locali” 5 art.28 “Il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento,anche in collaborazione con i servizi locali,delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato…”

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caratteristiche e funzioni. Essi costituiscono una rete complessa in costante rapporto con il contesto sociale ed istituzionale esterno. Infatti la logica del processo penale minorile non è quella di costruire un apparato autosufficiente all’interno del sistema giustizia, ma un sistema integrato per assicurare quella pluralità di competenze necessaria per progettare interventi multidimensionali. Tuttavia il DPR 448 ha suggerito più che sancito formalmente la responsabilità dell’ente locale. Di fatto l’integrazione tra azione giudiziaria e sistema locale di welfare è stata resa possibile grazie ai cambiamenti normativi - a partire dalla L.328/00 - ai cambiamenti delle politiche socio-assistenziali a livello regionale e locale che hanno integrato le prassi giudiziarie, determinando uno scenario complesso, ancorché non omogeneo. A livello regionale si è mantenuto l’impegno di promuovere il coordinamento tra i servizi dell’amministrazione della giustizia ed i servizi dell’ente locale e dell’azienda sanitaria locale. Un esempio concreto in questa direzione è la circolare regionale n. 37 del novembre 2007, la terza in ordine di tempo dall’entrata in vigore del codice di procedura penale per i minorenni. E’ una circolare che, assumendo le modifiche intervenute sul piano organizzativo e gestionale con l’applicazione della citata L.328/00, ridefinisce la titolarità della presa in carico, la funzione dei servizi in un sistema di responsabilità condivise. Un altro aspetto regolativo da considerare è quello relativo al D.P.C.M. 1/4/2008 che ha sancito il trasferimento delle funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento Giustizia Minorile al Servizio Sanitario Nazionale, comprese le spese sostenute per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica dei “detenuti” nonché quelle concernenti il rimborso alle comunità terapeutiche, sia per i tossicodipendenti che per i minori affetti da disturbi psichici. Sostanzialmente si tratta interventi nei confronti di soggetti, presi in carico dall’USSM ma anche dai servizi territoriali in quanto autori di reato che, attraversando il sistema giustizia, palesano biografie caratterizzate da interventi pregressi, contingenti e bisogni successivi di cura, di trattamento e di contenimento anche di carattere sanitario. La Regione Lombardia con Deliberazione n. VIII/008120 del 1° ottobre 2008 ha recepito il contenuto di detto DPCM e nell’aprile 2011 ha redatto un documento concernente le “indicazioni relative all’attività sanitaria rivolte a soggetti sottoposti a procedimento penale presso i Tribunali per i Minorenni di Milano e Brescia”. Tale documento fa riferimento alle sole prestazioni sanitarie dovute ai minori sottoposti a procedimento penale, mentre restano ancora da definire le prestazioni di carattere socio-sanitario. Intervento dei servizi e titolarità della presa in carico La tendenza operativa di questi anni volta a spostare il baricentro dai servizi ministeriali alla comunità locale, promossa dal sistema regolativo e concretizzato in alcune sperimentazioni territoriali, è comunque fortemente connessa alla politica giudiziaria minorile. Nel distretto di Corte d’Appello di riferimento6 essa si sta esprimendo con il potenziamento delle richieste di indagine psico-sociale (art. 9 DPR 448/88) nei confronti di minori denunciati “a piede libero” ai servizi territoriali. Pertanto, facendo riferimento al DPR 448 e tenuto conto della circolare R.L. 37/07, l’intervento dei servizi nella Corte d’Appello di Brescia si delinea nel seguente modo: ! per i minori sottoposti a misure cautelari7, limitative (collocamento in comunità permanenza in

casa, prescrizioni) ovvero privative della libertà personale (custodia in carcere) l’intervento è a cura dei servizi ministeriali precedentemente citati e tradizionalmente affidatari della competenza penale minorile.

! per i minori denunciati a “piede libero” l’intervento è prevalentemente8 a cura dei servizi territorialmente competenti, in due momenti distinti del procedimento penale:

6 Il distretto di Corte d’Appello di Brescia comprende le provincie di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. 7 In base al testo del DPR 448/88 sono: le prescrizioni (art 20), la permanenza in casa (art. 21), il collocamento in comunita’ (art. 22) e la custodia cautelare in carcere (art. 23). 8 E’ in capo alla Procura per i Minorenni la discrezionalità nel valutare eventuali deroghe a questa impostazione. Talvolta l’USSM è incaricato anche per i minori denunciati a “p. libero” in base alla particolarità della situazione e/o alla tipologia di reato

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A. nel corso della fase delle indagini preliminari su richiesta della Procura per i Minorenni: anche se la segnalazione, nella quasi totalità di casi, coinvolge il servizio sociale territoriale, l’USSM ne è informato, per conoscenza;

B. in sede di udienza preliminare (G.U.P) su richiesta del Tribunale per i Minorenni che dispone il rinvio per consentire l’eventuale applicazione della “messa alla prova” (Art.28). Questi minori solitamente non sono stati segnalati, a seguito del loro ingresso nel circuito penale, né al territorio né all’USSM.

Nel distretto di corte d’appello di Brescia, dei servizi ministeriali, è presente l’USSM, il quale, si attiva fin dalle primissime fasi dell’apertura del procedimento penale nei confronti dei minori arrestati/fermati e sottoposti a misure cautelari. Inoltre mantiene la titolarità dell’esecuzione delle misure alternative e sostitutive della detenzione e delle misure di sicurezza. Con l’applicazione della misura cautelare, la direzione dell’Ussm provvede a individuare l’assistente sociale referente che attiva lo psicologo consulente del servizio e, in base alla specifica situazione, alla conoscenza pregressa del caso, può chiedere al servizio sociale territoriale la partecipazione alla mini equipe che viene costituita per la definizione del piano di lavoro e degli interventi da attivare. Per i minori denunciati “a piede libero” la segnalazione dell’Autorità Giudiziaria, a seconda della fase processuale, attiva i servizi territoriali ciascuno per le proprie competenze:

- il servizio sociale del Comune di residenza o dell’Azienda Sociale territoriale ; - il Consultorio Familiare dell’ASL.

La segnalazione giunge al servizio del Comune oppure all’azienda sociale territoriale, che, definito chi si occupa del caso, la invia all’operatore competente dell’ASL. In questa fase si forma una mini equipe sul caso composta dall’assistente sociale territoriale e dallo psicologo del Consultorio. Il percorso conoscitivo e valutativo del minore autore di reato e sue caratteristiche L’attività conoscitiva e valutativa del minore e del suo contesto (art.9) coinvolge trasversalmente sia i servizi dell’amministrazione della giustizia sia i servizi dell’ente locale, indipendentemente dalla posizione giuridica del minore autore di reato. Sia che il minore venga sottoposto a misura cautelare oppure denunciato “a piede libero” ciò che la magistratura chiede ai servizi è di valutare le condizioni personali, familiari e sociali del minore, approfondire il livello di responsabilità riguardo al reato commesso, di evidenziare la presenza delle condizioni per avviare un percorso di messa alla prova ed, eventualmente, definire un progetto. Tali attività consentono di:

- accompagnare i destinatari degli interventi a dare un senso alla vicenda processuale che stanno vivendo; a comprendere le fasi del procedimento ed il ruolo dei diversi soggetti istituzionali e non che intervengono;

- accogliere sul piano emotivo e razionale le ripercussioni dell’evento reato e del procedimento penale in corso all’interno del contesto di vita;

- prospettare ipotesi di lavoro che integrino le posizioni di tutti i soggetti coinvolti tale da consentire al magistrato di assumere la decisione

- rilevare le condizioni di fattibilità per la predisposizione di un progetto di messa alla prova, finalizzato a sostenere l’acquisizione di responsabilità dell’adolescente autore di reato ed il suo inserimento sociale;

- evidenziare l’opportunità dell’uscita dal circuito penale laddove emergano le condizioni richieste per la sentenza di non luogo a procedere per l’irrilevanza sociale del fatto (occasionalità del comportamento, lieve entità del reato, basso rischio di recidiva); ovvero laddove la permanenza nel circuito penale rischia di pregiudicare il percorso evolutivo del minore (ad esempio rischio di stigmatizzazione).

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Essa richiede l’esistenza da parte degli operatori coinvolti della disponibilità a condividere le informazioni, a promuovere la gestione integrata degli interventi, a salvaguardare la centralità della relazione (professionale) con il minore ed i genitori, valorizzando la continuità tra fase conoscitiva (art.9) e fase progettuale (art.28), a ricomporre in una visione integrata l’unicità delle persone e delle loro biografie, a creare connessioni di senso in caso di contemporanea presenza di più procedimenti dell’Autorità Giudiziaria e, infine, a sentirsi corresponsabili delle attività di aiuto – controllo – sostegno fornite al minore. Il processo conoscitivo indaga dunque le caratteristiche di personalità del minore, la situazione familiare e relazionale, facendo un bilancio evolutivo9, in cui si considera il livello di sviluppo rispetto ai principali compiti evolutivi ed in particolare:

" il processo di individuazione e definizione di Sé; " le relazioni in famiglia, con i genitori, i processi di separazione " I processi di socializzazione (il rapporto con il gruppo dei pari, le amicizie) " le relazioni sentimentali " l’umore e il carattere (introverso, estroverso, riflessivo, impulsivo…) " le attività formative e/o professionali (scuola, tirocinio, lavoro, ecc.) " gli interessi ed hobby (sport, musica, ecc.) " altre potenzialità e risorse.

Inoltre si prende in considerazione: . il significato del reato nel contesto di vita, attribuzione di responsabilità e presenza di eventuali altri reati commessi; . la reazione del minore all’intervento della giustizia; . il rapporto con eventuali comportamenti a rischio (es. uso di sostanze, atteggiamenti rissosi o provocatori) Nell’indagine del bilancio evolutivo è molto importante ricercare il ruolo del comportamento trasgressivo nella vita del minore ed il significato assunto per lo stesso, la sua valenza comunicativa. Il reato infatti non è un comportamento meccanico ed isolato, ma un evento inserito in una storia di vita alla quale va connesso. Esso va esplorato anche rispetto alle risonanze prodotte nel contesto familiare e sociale. In particolare i comportamenti ed anche la reazione emotiva della famiglia hanno forti ripercussioni sull’atteggiamento successivo del minore e sulla possibilità di affrontare in maniera consapevole l’evento. In questo senso è importante verificare come la famiglia ha reagito all’intervento della giustizia e all’informazione del reato, se ci sono stati dei provvedimenti e quali; si cerca di comprendere se vi è già stata adottata una qualche misura educativa e riparativa dopo il reato, che possa essere indice di risorse educative presenti nell’ambiente familiare e sociale del minore. La fase di valutazione non è da considerarsi solo come momento di conoscenza del minore da parte dell’operatore ma anzi è in primo luogo un momento importante che cerca di attivare percorsi di riflessione : sia per la possibilità di parlare di sé, sia per l’opportunità di interrogarsi sulle motivazioni del proprio agire e di pensare alle sue conseguenze. In questo senso, il compito degli operatori durante l’indagine, oltre alla disponibilità all’ascolto e alla conoscenza, è anche quello di indagare e promuovere la motivazione al cambiamento. Un'altra importante funzione degli incontri con gli operatori dei servizi è quella di accompagnare il minore nell’iter processuale, aiutandolo a comprendere il significato di quanto gli sta accadendo, in

9 Cfr. Alfio Maggiolini: “L’intervento psicologico con l’adolescente autore di reato”, in Paola Valentini (a cura di): “Cultura preventiva e azione comunicativa con i ragazzi autori di reato”, 1997, F. Angeli, Milano.

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che modo il processo si colloca rispetto ai suoi compiti evolutivi e possa costituire non solo un vincolo, ma anche una risorsa per la sua crescita. Il percorso di Messa alla Prova dei minorenni autori di reato come opportunità di cambiamento. La progettazione educativa nell’ambito della presa in carico integrata fra servizi dell’amministrazione giudiziaria e servizi territoriali L’istituto della Messa alla Prova (MAP) rappresenta una delle più importanti novità introdotte dalla riforma del processo penale minorile del 198810 e, insieme ad altre norme inserite nel DPR 488, contribuisce a tradurre in termini pratici i principi di fondo che hanno orientato l’azione riformatrice del legislatore, fra cui ricordiamo in particolare: l’attenzione prevalente al profilo personale del soggetto autore del reato (vs un diritto penale generalmente orientato al fatto), il procedimento penale come opportunità di crescita e di cambiamento, minimizzare il tempo di permanenza del soggetto nel circuito penale. Inoltre, la MAP ha rappresentato, insieme alla richiesta di valutazione psico-sociale ex art. 9 DPR 488, uno dei principali ambiti in cui è stato possibile sperimentare in concreto l’integrazione fra servizi dell’amministrazione della giustizia e servizi territoriali e, più in generale, l’integrazione fra servizi con competenze e funzioni diverse. In particolare, l’interpretazione dei percorsi di messa alla prova, come percorsi di tipo educativo ha stimolato nel tempo il progressivo coinvolgimento di soggetti che tradizionalmente non venivano chiamati in causa dando in tal modo attuazione a quell’idea di presa in carico integrata da parte del territorio inteso nel suo complesso. Secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 28 del DPR 448/88, l’istituto della messa alla prova è ammesso nel nostro ordinamento senza limitazioni di sorta riferibili alla tipologia di reato ovvero alla fase di giudizio. Si prevede tuttavia che il periodo di durata sia diversa a seconda della gravità del reato commesso (definita in base al criterio del minimo della pena edittale prevista dall’ordinamento per le singole ipotesi di reato). In modo analogo non rappresenta una causa di esclusione il fatto che l’imputato sia divenuto nel frattempo maggiorenne. Tuttavia nella prassi, l’ordinanza di messa alla prova è quasi sempre pronunciata nell’ambito dell’udienza preliminare. Inoltre gli indirizzi di politica giudiziaria adottate sovente nei Tribunali Minorili tendono se non ad escludere, a ritenere di applicare con estrema prudenza l’istituto per le ipotesi di reato più gravi (ad esempio omicidio). In base al dato normativo, è possibile rintracciare alcune caratteristiche di fondo a cui fare riferimento nei processi di costruzione di progetti di intervento a favore dei minorenni autori di reato: # Il progetto di intervento a cui fa riferimento l’art. 28 del DPR 448, è da intendersi come progetto

di intervento psico-socio-educativo. # Il progetto deve essere costruito intorno a due polarità:

• il soggetto autore del reato con la sua storia, il suo ambiente, i suoi tratti di personalità • il fatto di reato, analizzato e ricollocato nel percorso evolutivo del minorenne che lo ha

commesso tenendo conto anche del contesto di vita in cui questi è inserito # Il progetto della MAP è necessariamente un progetto individualizzato sottratto alla

prospettiva della standardizzazione degli interventi ovvero dei percorsi di gruppo. # Di conseguenza, il progetto che declina il periodo di MAP deve essere considerato in stretta

correlazione con gli elementi emergenti dall’attività di osservazione condotta in base all’articolo 9 del DPR 448 ponendosi in una posizione di coerenza rispetto ad essi. Non solo, alcuni dei presupposti di tale progettazione devono poter essere definiti nella fase antecedente

10 Dal punto di vista storico il punto di riferimento è l’istituto della probation di derivazione anglossassone. Nell’ambito degli adulti la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 ha introdotto l’affidamento in prova ai servizi sociali come misura alternativa alla detenzione, ma che interviene solo in fase esecutiva e che come tale implica la pronuncia di una sentenza di condanna.

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all’udienza preliminare, senza tuttavia andare a definire anticipatamente un contenuto la cui determinazione è di competenza esclusiva dell’organo giudicante.

# La presa in carico che si presuppone con la MAP non è da intendere in senso globale: il progetto di intervento educativo e di intervento sociale non può rappresentare l’occasione per realizzare ciò che non si è potuto fare con interventi pregressi. Deve poter essere garantito un rapporto di proporzionalità fra il fatto compiuto e il tempo e i contenuti dell’intervento.

# Gli obiettivi del progetto devono essere orientati ad una prospettiva di cambiamento in relazione a quegli aspetti individuali e di contesto che entrano in gioco nella genesi del comportamento delittuoso e che vengono rilevati come problematici nella relazione psico-sociale. Devono essere inoltre incentrati sulla persona del minorenne e rientrare nella sua disponibilità: in generale l’esito positivo o negativo della messa alla prova deve poter dipendere dalle scelte di comportamento assunte direttamente dall’autore di reato

# L’intervento deve essere inteso in senso flessibile tanto nella parte di definizione degli obiettivi, quanto nella individuazione delle modalità pratiche di attuazione (cfr. art. 27 III co. D. L.vo 272/89). Nella fase preparatoria della valutazione in cui si accerta la sussistenza dei presupposti della MAP, si formula un’ipotesi di lavoro che si fonda su un’idea che gli operatori dei servizi coinvolti hanno potuto definire sulla base degli elementi raccolti nel corso dell’osservazione. La verifica di tale ipotesi rappresenta uno dei meta-obiettivi che il percorso di accompagnamento alla MAP deve perseguire attraverso un monitoraggio costante che deve essere interpretato (anche) come un prolungamento della fase di valutazione della personalità dell’autore del reato e del contesto in cui è inserito. La revisione del progetto durante il periodo di MAP (intesa come azione concordata fra servizi del territorio, servizi dell’amministrazione della giustizia e autorizzata dall’autorità giudiziaria) deve poter essere interpretato come momento fisiologico della funzione di accompagnamento del minorenne nello svolgimento della MAP.

# Obiettivi ed azioni tesi a intervenire anche sulla dimensione ambientale (contesto familiare, gruppo dei pari, ambiti di vita,..) devono trovare un fondamento nell’esigenza di agire su quei fattori di rischio che già sono intervenuti nella genesi del reato ovvero che sono ritenuti rilevanti rispetto al rischio di recidiva. Ulteriormente questi possono essere funzionali rispetto alla possibilità di rinforzare ovvero promuovere fattori di protezione che riducono il rischio di comportamento deviante (ad esempio: il completamento del percorso formativo, miglioramento dell’area dell’occupabilità del soggetto, miglioramento nell’area della gestione del tempo libero)

# Fra gli obiettivi del progetto di MAP deve poter essere contemplata anche la rielaborazione del fatto di reato finalizzata alla presa di distanza da parte del minorenne. Il percorso di rielaborazione deve essere predisposto in forma multi-modale, non confinato esclusivamente nello spazio del counselling psicologico teso ad agire sulla dimensione interna del soggetto ma integrata con proposte anche di tipo esperienziale in cui la rielaborazione possa essere mediata da un fare concreto e/o dall’incontro con l’altro. Questa parte dell’intervento deve poter affondare le proprie radici nelle evidenze che emergono dall’attività di osservazione e di indagine della personalità: è importante poter tenere conto e assumere come punto di partenza il fatto di reato sia così come è considerato in termini di giudizio di valore dal legislatore e dal contesto sociale, sia come risulta essere rappresentato e ridefinito nella percezione del ragazzo (il significato che questi attribuisce al fatto e il senso che il comportamento assume nell’agito del suo autore anche rispetto al cammino evolutivo).

# Il rapporto fra il fatto di reato e l’autore rappresenta il nucleo fondamentale dei percorsi di MAP. Se il percorso da promuovere deve assumere come punto di partenza il vissuto del minorenne e il suo punto di vista in relazione a questo, la variabile tempo diventa una componente fondamentale di cui tenere conto. I tempi di attivazione del procedimento talvolta sono tali per cui si arriva a definire un percorso di messa alla prova a distanze temporali anche considerevoli (1-2 anni), intervalli nei quali è possibile che nel frattempo sia intervenuti cambiamenti nel soggetto autore del fatto che relativizzano il legame fra il soggetto e il comportamento deviante.

# Le azioni tese al risarcimento simbolico del danno ovvero alla riconciliazione con la persona offesa (aspetti che possono essere specificatamente disposti dal giudice

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nell’ordinanza ex art. 28) devono poter essere funzionali proprio al processo di rielaborazione del fatto di reato e tese alla presa di distanza da esso da parte del suo autore. In tal senso si pone in evidenza quanto sia sottile la linea di demarcazione fra una finalizzazione così intesa e un contenuto di tipo più prettamente sanzionatorio. In generale la messa alla prova non può essere interpretata nei suoi presupposti progettuali e nella sua realizzazione pratica come una forma impropria di sanzione alternativa (secondo uno schema retributivo)

# Sebbene la MAP sia un provvedimento disposto in sede di udienza preliminare e quindi ancor prima che l’accertamento dei fatti e delle responsabilità trovi una definizione formale nella pronuncia di sentenza, si considera un presupposto di fondo per una valutazione positiva circa la fattibilità di essa, il fatto che il minore imputato possa riconoscere la sussistenza del fatto di reato e ammettere (ovvero non mettere in discussione) il proprio coinvolgimento in esso. Ciò rappresenta la condizione che da sola è in grado di conferire senso ad un intero percorso che deve necessariamente avere il fatto di reato e la responsabilità dell’autore come punto di partenza e al tempo stesso motivo centrale su cui impostare l’intero progetto di intervento teso alla rielaborazione del fatto e alla presa di distanza da esso.

# Si considera quale ulteriore presupposto di fondo in grado di condizionare le valutazioni relative alla fattibilità della misura, la sussistenza o meno del consenso da parte del minore autore di reato ad impegnarsi in un percorso di messa alla prova, che deve essere riconosciuto tanto nella sua valenza di opportunità di riscatto, quanto nella sua valenza di prova rispetto alla quale deve dichiarare una disponibilità ad una messa in gioco che implica un impegno e una responsabilità inedita per l’esperienza del ragazzo coinvolto. Il consenso non viene verificato tanto in base ad una formulazione verbale, quanto dedotto o quanto meno rinforzato dal comportamento che il ragazzo mostra già nella fase della valutazione psico-sociale. Il consenso deve essere considerato in forma allargata e includere anche la disponibilità del minore ad accettare la presenta e l’intervento di un interlocutore extra-familiare con funzioni di aiuto e di controllo per la realizzazione del programma di intervento.

# Nello svolgimento del progetto non va esclusa a priori la potenziale trasgressione che va considerata e valutata contestualmente in base alla personalità del minore alla fase evolutiva che sta attraversando e al contesto di relazioni in cui inserito. L’analisi deve poter distinguere il disinteresse, da un azione che intende comunicare difficoltà di realizzazione del progetto, anche perché la revoca della misura comporta conseguenze non solo sul piano giuridico ma costituisce un importante ritorno psicologico per il minore rispetto all’autoimmagine e al senso di autoefficacia.

Impegni e modalità di collaborazione tra Servizi tutela minori e USSM A seguito dei provvedimenti assunti dall’Autorità Giudiziaria in applicazione delle norme del diritto sostanziale e processuale e quindi dello status del minore autore di reato, i servizi territoriali e ministeriali si impegnano a garantire le seguenti azioni: Minori in stato di arresto, fermo o accompagnamento Considerata la titolarità della presa in carico attribuita ai servizi della Giustizia minorile, l’USSM – che presenzia all’udienza di convalida- ovvero il CPA contattano telefonicamente il servizio sociale territoriale per verificare l’eventuale conoscenza del minore e del suo nucleo famigliare al fine di acquisire informazioni in modo da consentire al magistrato di assumere una decisione che tenga conto delle specifiche esigenza del minore. In caso di situazione conosciuta il servizio sociale territoriale è tenuto a fornire le informazioni e, se in possesso di documentazione, a trasmetterla in tempi rapidi al servizio ministeriale (CPA o USSM) richiedente.

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E’ auspicabile11 che gli operatori dei servizi sociali territoriali, partecipino all’udienza di convalida, che – ai sensi della normativa vigente – deve tenersi entro 96 ore dall’arresto, dal fermo o dall’accompagnamento. Dopo l’udienza di convalida l’USSM contatterà il servizio tutela minori per concordare le modalità operative e i possibili interventi con il minore e la sua famiglia. In caso di situazione sconosciuta l’USSM mantiene la titolarità di tutte le azioni connesse alla specifica fase processuale (precedentemente citate) compresa l’attività conoscitiva/valutativa e progettuale avvalendosi delle risorse professionali interne al servizio e/o in collaborazione con i servizi pubblici e privati del territorio. Minori denunciati a piede libero Il servizio territoriale competenze si fa carico di svolgere l’indagine psicosociale disposta dall’Autorità Giudiziaria anche nei confronti di soggetti diventati maggiorenni e, fatta salva la titolarità formale dell’USSM in merito all’istituto della “messa alla prova”, di formulare – se ricorrono i presupposti - un progetto educativo, di attuarlo e valutarlo, chiedendo ogniqualvolta lo ritenga necessario il confronto con l’USSM. Il servizio assicura l’invio della documentazione psico socio educativa all’A.G. richiedente e all’USSM, il quale si fa carico di trasmettere gli atti giudiziari di cui viene in possesso. Inoltre il servizio territoriale, tramite un proprio operatore, si impegna a presenziare all’udienza preliminare per garantire quella funzione di accompagnamento e di assistenza precedentemente citata, ovvero a confrontarsi con l’USMM per condividerne l’esito. Minori sottoposti alla sospensione del processo e messa alla prova L’istituto della messa alla prova viene applicato a seguito di un progetto educativo costruito “per” e “con” il minore, sostenuto da elementi conoscitivi e valutativi acquisiti dai servizi (tutela minori e USSM) nell’ambito delle richieste d’indagine per soggetti denunciati a piede libero o con provvedimenti limitativi della libertà personale. La formulazione del progetto da proporre all’Autorità Giudiziaria avviene solo in presenza di una consapevolezza, seppur minima, da parte del minore rispetto al reato. Il riconoscimento, anche parziale, del reato da parte del minore, costituisce il presupposto per la formulazione di proposta progettuale.

11 Da circolare R.L. n.37/07 “Indicazioni per la presa in carico dei minori sottoposti a procedimento penale”

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B) La procedura di presa in carico integrata dei minori autori di reato fra servizi dell’amministrazione giudiziaria e servizi territoriali

Al fine di delineare gli ambiti di collaborazione tra i servizi che prendono in carico i minori sottoposti a procedimento penale segnalati dall’A.G. secondo i criteri sopraesposti, si ritiene utile evidenziare di seguito le sequenze operative che vengono garantite sia dall’USSM che dal servizio sociale territoriale. Si tratta di una metodologia di lavoro che solitamente si sviluppa in quattro fasi,ciascuna delle quali pur avendo ha una precisa caratterizzazione si connette e dà valore alla successiva.

1. Accesso: è il momento che va da quando l’autorità giudiziaria invia formale “comunicazione” a quando i servizi coinvolti stabiliscono un contatto con il servizio inviante e con i destinatari dell’intervento.

2. Valutazione e progettazione: si attiva con la fase di osservazione e valutazione, attraversa la definizione del programma dell’intervento e si protrae fino alla fuoriuscita del minore dal circuito penale

3. Attuazione del programma di intervento: è la fase in cui si stabilisce un patto fra il minore, la sua famiglia e i servizi che consente di sostenere l’autore del reato nel percorso processuale.

4. Conclusione : coincide con la chiusura del procedimento penale (sentenza di estinzione del reato per esito positivo della MAP; sentenza di condanna, perdono giudiziale, sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, remissione della querela con o senza mediazione penale).

Le quattro fasi si articolano in modo differente a seconda della posizione giuridica del minore definita in base alla tipologia di reato e alle particolari circostanze con cui questo è stato generato. Nello specifico si distingue la situazione in cui il minore imputato e sottoposto a misura cautelare (a) e quella in cui il minore risulta essere “a piede libero” in attesa di processo (b). a) Minori sottoposti a misura cautelare: la presa in carico dell’Ussm

1. Accesso Il GIP presso il Tribunale per i Minorenni notifica all’Ussm il decreto di fissazione dell’Udienza di convalida a seguito dell’arresto del minorenne il quale solitamente viene collocato in stato di fermo presso il Centro di Prima Accoglienza (CPA) ovvero presso il proprio domicilio ed entro 96 ore deve comparire davanti al Giudice per l’udienza di convalida. In caso d’ingresso in CPA, gli operatori di detta struttura ovvero l’Ussm contattano il servizio sociale territoriale per verificare la conoscenza del minore. Nel caso in cui questi risulta essere conosciuto, vengono richieste ai servizi informazioni sul caso, o, se lo si ritiene opportuno, una formale relazione sulla situazione psico- sociale pregressa, utile anche per la decisione del giudice. L’udienza di convalida si conclude con la remissione in libertà o con l’applicazione di una misura cautelare mediante un’ordinanza che ha un carattere prescrittivo per il minore. Col medesimo provvedimento, il giudice affida il minore ai servizio ministeriale a cui attribuisce la funzione di sostegno e controllo “in collaborazione con i servizi sociali territoriali” rispetto alla misura disposta12. L’operatore Ussm:

• mantiene i contatti con il CPA, confrontandosi sugli elementi che emergono dalla documentazione pregressa o dalla situazione attuale

12 Art 19 DPR 448/88 III co.: Quando è disposta una misura cautelare, il giudice affida l’imputato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, i quali svolgono attività di sostegno e controllo in collaborazione con i servizi di assistenza istituiti dagli enti locali.

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• svolge colloqui con i genitori, prima dell’udienza di convalida, laddove esiste la possibilità temporale e la disponibilità degli stessi, ovvero in occasione dell’udienza stessa, fornendo informazioni di contesto;

• presenzia all’udienza di convalida; • individua, d’intesa con il CPA e con il Servizio tecnico Centro Giustizia minorile, la

comunità educativa per l’esecuzione della misura cautelare del “collocamento in comunità”. Gli oneri sono a totale carico dell’Amministrazione della Giustizia (art. 28 D. Lgs. 272/8913)

Se il minore viene rimesso in libertà , L’Ussm, sia per i casi conosciuti che per quelli non conosciuti, informa il servizio territoriale per favorire un aggancio del minore rispetto alla denuncia che lo ha condotto in CPA.

2. Valutazione e progettazione Prima di tutto va precisato il senso delle funzioni di sostegno e controllo attribuito ai servizio ministeriale: la funzione di controllo si declina non solo in relazione all’adempimento della misura da parte del minore ma anche per rendere le prescrizioni utili alla personalità ed adatte al caso specifico e, in caso di violazioni, per comprenderne il significato personologico ed evolutivo. La funzione di sostegno, complementare alla precedente, è connessa alla valutazione della personalità (già citato art.9), rappresentando un obiettivo centrale del DPR 448 ed uno dei criteri regolatori delle decisioni che definiscono le modalità di permanenza e di uscita del minore nel e dal sistema giudiziario.

La presa in carico del minore in misura cautelare ha le sue specificità in relazione alla tipologia della misura, anche rispetto ai vincoli e ai limiti che queste comportano. La prima, quella delle “prescrizioni”, impone al minore un “fare” accompagnato da eventuali “divieti”(es. frequentare luoghi) o limitazioni (es. rientri serali). La seconda – permanenza in casa - contiene l’obbligo di “stare” a volte contemperato dalla possibilità data al minore di frequentare la scuola o andare al lavoro. Qui diventa centrale il lavoro con la famiglia affinché si riappropri della funzione educativa e non si limiti a vigilare sul comportamento del figlio con il rischio di aumentare la conflittualità ovvero sottovalutare la situazione dato il ruolo di contenimento deciso da un’autorità extrafamigliare. La terza – collocamento in comunità – anch’essa caratterizzata dall’obbligo di “stare” in un luogo indipendentemente dalla motivazione personale verso un percorso di consapevolezza e responsabilità, ha il suo presupposto nella coazione decretata che impone alla struttura di esercitare forme di contenimento e di controllo. Sostanzialmente il minore entra in comunità quando non c’è ancora un progetto educativo e ci rimane fino a quando dura l’esigenza cautelare, e non in relazione al rapporto educativo: questi due aspetti non sempre sono conciliabili.

Con l’applicazione della misura cautelare l’assistente sociale dell’Ussm incaricata della presa in carico, convoca presso il servizio il minore e i genitori, informando le forze dell’ordine tenute al controllo della misura, quando si tratta della “permanenza in casa”. Solitamente questo incontro consente di definire i successivi colloqui che coinvolgeranno anche la figura dello psicologo consulente del servizio.

Contestualmente l’assistente sociale: • si rapporta ai servizi specialistici territoriali (UONPIA, SERT.) in caso in cui una

specifica esigenza di cura è segnalata dal personale sanitario del CPA • chiede la collaborazione delle figure professionali del territorio di riferimento del minore

per condividere un piano di lavoro, mediante la costituzione di una equipe integrata. In tale sede può essere valutata la possibilità che gli operatori del territorio (assistente sociale, psicologo) integrino il lavoro conoscitivo soprattutto in relazione al contesto famigliare e sociale

• valuta la messa a disposizione delle risorse strumentali dell’Ussm che, integrate con quelle del territorio, possano facilitare una presa in carico più efficace

13 “Nell’applicazione delle misure previste dal DPR 448/88, le spese per il collocamento del minorenne in luogo diverso dall’abitazione familiare e per ogni altra attività di osservazione, trattamento e sostegno, sono a carico dello Stato.”

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• sostiene il lavoro d’equipe interprofessionale e interistituzionale per condividere gli interventi ed elaborare un progetto

Il percorso conoscitivo/valutativo che si sviluppa potrà essere implementato dalla componente educativa del territorio che può concorrere utilmente alla formulazione del progetto d’intervento da realizzarsi mediante l’applicazione della messa alla prova, misura che, qualora ricorrano i presupposti (in questa fase il consenso del minore) solitamente si attiva al termine della fase cautelare, su proposta dell’Ussm e secondo i criteri successivamente indicati. La proposta viene condivisa con il minore e la famiglia e prevede obiettivi di cambiamento connessi al bilancio evolutivo tracciato nella fase conoscitiva, nonché azioni praticabili dal minore. La documentazione che viene presentata dall’Ussm in occasione dell’udienza preliminare è composta dalle relazioni degli operatori Ussm (assistente sociale, consulente psicologo) e dalle relazioni dei servizi territoriali che hanno collaborato alla presa in carico. Il progetto d’intervento, formulato con la collaborazione del servizio sociale territoriale, potrà prevedere il mantenimento della permanenza in comunità, anche con l’applicazione della messa alla prova qualora sarà stata attentamente valutata e condivisa tra servizi (ministeriali e territoriali) la difficoltà del nucleo famigliare ad assumere compiti educativi necessari a sostenere il percorso di cambiamento del minore. In tal caso gli oneri sono a carico dell’Ente Locale e dell’Amministrazione della Giustizia, rispettivamente nella misura del 50%14. In caso di applicazione della custodia cautelare in carcere, l’Ussm fa da raccordo con gli educatori dell’Istituto penale e con gli operatori del territorio al fine di raccogliere e fornire le informazioni inerenti alla situazione socio-famigliare del minore e contribuisce a predisporre in maniera coordinata gli interventi propedeutici alla dimissione dalla struttura.

3. Attuazione del progetto d’intervento L’assistente sociale dell’Ussm garantisce il monitoraggio delle attività previste dal progetto con il minore, la famiglia e gli operatori coinvolti, al fine di acquisire ulteriori elementi conoscitivi e di predisporre eventualmente le opportune modifiche da proporre all’Autorità Giudiziaria. Il monitoraggio del progetto è effettuato mediante incontri periodici (indicativamente mensili) sia con il minore che fra gli operatori coinvolti nella realizzazione del progetto di intervento. Tali incontri possono essere effettuati tanto presso la sede dell’Ussm quanto presso il servizio sociale territoriale competente. In caso di incontri di verifica intermedia, l’assistente sociale dell’Ussm accompagna il minore e predispone la relazione di aggiornamento da trasmettere all’Autorità Giudiziaria.

4. Conclusione

La conclusione solitamente coincide con la valutazione del progetto e la restituzione finale al minore, alla famiglia e all’Autorità Giudiziaria. La relazione finale (psico-socio-educativa) deve far emergere i seguenti criteri di valutazione:

• Grado di adesione al progetto • Qualità della relazione

14La circolare del 22 novembre 2007 n. 37 di Regione Lombardia (D.G. Famiglia e solidarietà sociale) al punto B) Competenze Istituzionali recita: Il Ministero della Giustizia si assumerà gli oneri derivanti dall’attuazione della misura cautelare del collocamento in comunità; per le rimanenti misure penali ci sarà la concorrenza del comune di residenza del minore quando a motivi di giustizia si accompagnano ragioni da natura socio assistenziale. È prevista comunque la compartecipazione in presenza di un provvedimento amministrativo/civile.

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• Descrizione dei processi di lavoro attivati • Indici di cambiamento e elementi a supporto del processo di rielaborazione del

fatto • Criticità emerse e loro lettura nella prospettiva complessiva del percorso

La valutazione finale è redatta dall’Ussm tenendo conto di alcune condizioni successivamente indicate15:

• comprende sempre gli apporti dei diversi operatori coinvolti nel progetto • riporta sempre anche il “punto di vista del minore rispetto al progetto e all’evoluzione

della sua consapevolezza rispetto alla vicenda penale e ai suoi significati b) Minori a piede libero: la presa in carico dei servizi del territorio

1. Accesso L’Autorità Giudiziaria invia al servizio sociale di competenza la richiesta di valutazione psico-sociale in cui viene indicato il termine per la presentazione della documentazione relativa al percorso di osservazione-valutazione. Rispetto all’individuazione del servizio competente a livello di Comune di Cremona e dei tre distretti della Provincia di Cremona, valgono i seguenti criteri:

Comune di Cremona: servizio sociale territoriale Distretto di Cremona: servizio minori e famiglia Distretto di Crema: equipe tutela minori Distretto di Casalmaggiore: servizio sociale territoriale

Per i reati di tipo sessuale (art.609bis e ss. C.P. ) la valutazione psicodiagnostica viene svolta, laddove è presente, dall’équipe specialistica integrata (“équipe abuso e maltrattamento grave”). Laddove siano attivi altri procedimenti (civile o amministrativo) si ritiene opportuno il mantenimento dell’equipe già incaricata sul caso e in ogni caso prevedere un raccordo tra i procedimenti in corso, al fine di garantire il coordinamento e la coerenza degli interventi.

Contestualmente alla richiesta di valutazione può essere anche indicata la data di fissazione dell’udienza preliminare. Tuttavia, qualora la richiesta di valutazione venga formulata nell’ambito dell’udienza preliminare, l’Ussm o gli uffici giudiziari si fanno carico di inviare il verbale di udienza direttamente al servizio territoriale. In tale verbale vi sarà indicata oltre che il termine per redigere la relazione anche la data della nuova udienza16. Il servizio sociale attiva, tramite richiesta scritta, il servizio ASL al fine di :

• Effettuare una prima ricognizione del caso: verificare se ci sono stati interventi pregressi da parte dei servizi sul minore o sulla famiglia, raccolta di eventuali informazioni (anche “grezze”) utili per leggere il reato e/o il contesto nel quale ha avuto origine. L’assistente sociale può acquisire ulteriori informazioni circa i fatti di

15 Da “La carta dei servizi della giustizia minorile in Lombardia” 16 Nella prassi può capitare che la richiesta di valutazione psico-sociale non venga formulata dalla Procura in sede di indagini preliminari ma nell’ambito dell’udienza preliminare, in cui il giudice può disporre un rinvio al fine di valutare la sussistenza delle condizioni per la messa alla prova in base alla valutazione della situazione personale, familiare e sociale che viene richiesta ai servizi del territorio. In tal caso la richiesta di valutazione sarà contenuta nello stesso verbale di udienza in cui sarà indicata anche la nuova data di rinvio dell’udienza preliminare.

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reato, richiedendo l’accesso agli atti tramite l’USSM che provvederà ad inoltrare la richiesta alla cancelleria penale degli Uffici Giudiziari.

• pianificazione dell’attività e della tempistica della valutazione • Definizione delle modalità e gestione del primo incontro e della data di

convocazione. L’ASL attraverso il servizio di Consultorio Familiare ha una competenza specifica rispetto alla fase di valutazione ex articolo 9 DPR 448, tuttavia in determinati casi, laddove si riscontri un bisogno di sostegno psicologico inteso come consolidamento del lavoro svolto in fase di valutazione e laddove vi sia la disponibilità da parte dei servizi coinvolti, si può optare per il mantenimento dell’incarico alle figure professionali del Consultorio dell’ASL.

2. Valutazione e progettazione Il servizio sociale provvede alla convocazione del minore e della famiglia, tramite lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Il primo colloquio, gestito in co-presenza dall’assistente sociale e dallo psicologo, è finalizzato alla condivisione del percorso valutativo, alla raccolta prime informazioni e all’illustrazione dell’iter processuale. In particolare si dovrà prestare attenzione ai seguenti aspetti:

• Informazione della procedura e sulla specifica fase • Il fatto di reato come punto di partenza • prima verifica del grado di adesione del minore e della famiglia (in funzione di

supporto) al lavoro di conoscenza e valutazione • La prospettiva di un lavoro progettuale che potrebbe poi svilupparsi in termini di

MAP17 • Definizione del calendario degli incontri e comunicazione delle modalità

Lo psicologo dell’ASL realizza colloqui sia con il minore autore del reato, sia con la famiglia secondo le modalità e la cadenza definita nel programma di valutazione, mentre l’assistente sociale svolge un lavoro approfondimento della conoscenza del o dei contesti. A tal fine può effettuare anche visite domiciliari e contattare soggetti del territorio che a vario titolo hanno a che fare con il minore (scuola e agenzie educative). A questo proposito il contatto con soggetti esterni deve poter tener conto delle esigenze legate alla tutela della privacy18 del minore e quindi può essere necessario richiedere il consenso preventivo dello

17 In relazione al compito di informare da parte dei servizi è utile specificare come l’elemento della MAP può essere messa in gioco in tale fase. Di norma quando la richiesta di valutazione avviene nell’ambito delle indagini preliminari (richiesta della Procura) la MAP non rappresenta ancora una prospettiva concreta e soprattutto già esplicitata. L’attività di valutazione, si ricorda in proposito, ha fra le finalità anche quella di esprimere un giudizio in merito alla fattibilità di tale misura. Di conseguenza può essere non opportuno – soprattutto sul piano della comunicazione – introdurre questo aspetto come elemento di ingresso e, in ogni caso, è importante poter evitare il rischio di un fraintendimento per il quale si arrivi a ritenere che la MAP rappresenti un esito scontato del procedimento. Tuttavia vi sono dei casi in cui il minore si presenta ai servizi che è già a conoscenza della MAP come approdo del procedimento a suo carico. Ciò può avvenire prima di tutto quando la valutazione è richiesta in sede di udienza preliminare e dichiaratamente preordinata a verificare la presenza delle precondizioni necessarie per disporre la messa alla prova. Ulteriormente, la misura può essere evidenziata come prospettiva possibile dal legale che assiste il minore. In entrambi questi ultimi due casi, gli operatori dovranno andare a sottolineare quali siano le caratteristiche della MAP e il suo meccanismo di funzionamento nell’ambito del processo penale minorile, sottolineando in particolare come questa non rappresenti necessariamente l’approdo finale. 18 Qui è necessario richiamare alcune brevi riflessioni relative al rapporto fiduciario e la riservatezza nel lavoro degli A.S. dinnanzi al Tribunale per i Minori. Il perno è costituito dall’art. 622 c.p. dove “..chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un

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stesso e dei genitori, salvo l’ipotesi in cui i soggetti contattati non siano già a conoscenza della vicenda di reato. Nella fase di valutazione può emergere la necessità del coinvolgimento di servizi specialistici: UONPIA, CPS (qualora l’autore di reato sia divenuto nel frattempo maggiorenne) e SERD, al fine di integrare l’osservazione con una valutazione specialistica. In tal caso si possono presentare due situazioni: a) Il soggetto risulta essere già in carico a detto servizio: in tal caso si deve procedere con

una richiesta di collaborazione al fine di rendere disponibili elementi valutativi già in possesso, ovvero per richiedere un’attività di integrazione.

b) Il soggetto non risulta in carico: in questo caso è necessario per procedere in tale direzione, ottenere il preventivo consenso della famiglia, ovvero del soggetto laddove maggiorenne. Nel caso in cui tale consenso venga negato, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria affinché sia essa stessa a disporre con provvedimento l’invio al servizio specialistico.

Qualora dal percorso valutativo emergano le condizioni per poter chiedere all’Autorità Giudiziaria la MAP l’assistente sociale e lo psicologo si incontrano per definire la proposta. I presupposti irrinunciabili per poter formulare un giudizio favorevole alla applicazione della misura in oggetto sono:

• Accertamento della responsabilità: ciò significa poter avere un riscontro positivo rispetto alla consapevolezza di aver commesso un fatto considerato reato

• Consenso dell’imputato: ovvero l’adesione ad una proposta di cambiamento • L’aver potuto compiere in maniera definita il lavoro di osservazione e valutazione • Disponibilità alla collaborazione con i servizi e in particolare alla presenza di figure

di supporto con funzioni di aiuto e di controllo L’equipe in questa fase potrebbe essere implementata dalla componente educativa del territorio (secondo le diverse modalità)19. La componente educativa, in sinergia con l’assistente sociale, valuta le risorse dell’amministrazione e del territorio che possono concorre utilmente alla realizzazione del progetti di intervento. Psicologo e assistente sociale, in raccordo con la componente educativa, scrivono la relazione psico-sociale da inviare all’autorità giudiziaria. La relazione contiene quanto emerso nel percorso di valutazione e in particolare:

• La descrizione della situazione sociale del minore: la situazione familiare (componenti del nucleo, loro occupazione e tenore di vita), la situazione abitativa,

anno o con la multa da 30 a 516 euro..”. Tale disposizione passa attraverso la lettura in combinato disposto di alcune norme riguardanti la professione, quali ‘art.1 della L.23.3.1993 n. 84, istitutiva dell’albo professionale, che pone l’attività dell’assistente sociale in una funzione tecnico-professionale autonoma. La seconda norma del combinato disposto è data dalla L. 3.4.2001 n. 119, che ha formalmente disciplinato il segreto professionale cui sono tenuti gli assistenti sociali su quanto essi sono venuti a conoscenza (all’interno del rapporto fiduciario con l’utenza) per ragione della loro professione. Il segreto professionale per l’appunto si basa su un fondamento:

• etico legato al rispetto della persona; • deontologico sancito come norma di comportamento professionale nel Codice al Capo III Titolo III, con un

forte richiamo ad un obbligo di riservatezza; • giuridico sancito, per l’appunto, dall’art. 622 del c.p., dalla legge 675/96 sulla privacy e dalla legge 119.

Il segreto professionale tende a proteggere la riservatezza dell’individuo. Nel campo del servizio sociale le notizie date dagli utenti non devono essere propagate. Il mancato rispetto della riservatezza è punibile a querela della persona offesa.

19 Vedi di seguito il paragrafo dedicato al Ruolo dell’educatore

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l’attività svolta (scuola o lavoro), altre attività svolte nel tempo libero e ambiti di socializzazione, eventuale conoscenza pregressa da parte dei servizi.

• Una sintesi della valutazione di personalità, con particolare riferimento ai compiti di sviluppo adolescenziali20.

• Valutazione dei rapporti intra-familiari del minore. • La valutazione del rapporto del minore con il reato, in particolare per quanto possa

incidere sull’imputabilità e sul grado di responsabilità dello stesso: significato attribuito, connessione ad altri comportamenti trasgressivi, reazione del minore e della famiglia all’intervento della giustizia, ecc..

• La definizione, laddove ne sussistano le condizioni, di una proposta di progetto per la messa alla prova, che comprenda:

a) definizione degli obiettivi b) definizione delle attività c) previsione dei tempi d) definizione degli interlocutori (per il ragazzo e per la famiglia),

La valutazione e la proposta di MAP viene condivisa con il minore e la famiglia prima dell’invio all’autorità giudiziaria. I servizi di competenza (servizi sociali) inviano le relazioni di valutazione psico-sociale all’autorità giudiziaria (Tribunale e alla Procura della Repubblica) e all’USSM competente, nei termini fissati e comunque almeno quattro giorni prima dell’udienza preliminare qualora questa sia già stata definita e il termine per trasmettere la relazione non sia specificato o sia immediatamente a ridosso del giorno di udienza. La trasmissione della documentazione può avvenire via fax o tramite posta ordinaria a seconda dell’urgenza. In preparazione all’udienza preliminare i servizi territorialmente competenti convocano al servizio il minore e la famiglia al fine di:

• Restituire al minore e alla famiglia i contenuti essenziali della relazione inviata alla magistratura

• Fornire informazioni sul significato e la funzione dell’udienza preliminare; • Fornire informazioni sui possibili esiti di questa

I servizi garantiscono la presenza degli operatori ritenuti necessari per fornire elementi utili alla determinazione del giudice21. Di norma l’udienza preliminare rappresenta anche il punto di contatto fra i servizi e i legali che assistono i minori autori di reato. Questa figura può essere intesa come una risorsa che può supportare il lavoro degli operatori. Si ritiene perciò opportuno promuovere prassi che anticipino il contatto con i difensori già nella fase di valutazione e di progettazione al fine di coinvolgerli con un ruolo attivo soprattutto per quanto riguarda la comunicazione con il ragazzo e la famiglia e il sostegno di questi nelle varie fasi del procedimento. Per le medesime ragioni tale rapporto deve poter essere mantenuto anche nelle fasi successive fino alla conclusione del processo. 3. Attuazione del progetto di intervento Successivamente all’udienza preliminare l’assistente sociale provvede alla convocazione del ragazzo e della famiglia per concordare le modalità di attuazione della MAP. Accanto alle prescrizioni disposte dall’autorità giudiziaria definirà nello specifico anche le modalità di attuazione del sostegno psicologico (se previsto), di svolgimento dei colloqui di monitoraggio anche sul sistema familiare e di invio a servizi specialistici qualora non direttamente incaricati dall’autorità giudiziaria.

20 Per una descrizione più ampia si veda il paragrafo “Il percorso conoscitivo e valutativo” nella prima parte del documento. 21 Circ. 37 Regione Lombardia: gli enti devono garantire che gli operatori che hanno seguito il minore partecipino alla celebrazione dell’udienza, al fine di fornire elementi utili alle determinazione del Giudice.

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Il progetto di intervento deve prevedere il coinvolgimento attivo del sistema familiare come risorsa, il quale deve essere chiamato ad una corresponsabilità educativa rispetto agli obiettivi posti. L’assistente sociale ha la responsabilità dell’intero processo di lavoro posto in essere e mantiene, come tale, la regia dell’intervento e garantendo il raccordo con eventuali altri interventi sociali e assistenziali attivati sul minore, la famiglia e il contesto. Ruolo dell’educatore: l’individuazione di una figura educativa è finalizzata a supportare il ragazzo sottoposto a MAP nella realizzazione del progetto di intervento (predisposto anche dall’USSM) attraverso un lavoro di accompagnamento e di sostegno. La figura educativa rappresenta in tal senso una delle modalità concrete attraverso le quali poter caratterizzare in senso educativo il percorso di MAP. Essa non è necessariamente da intendere come risorsa dedicata a quelle situazioni che si presentano maggiormente fragili ovvero a maggior rischio di fallimento, in quanto la caratterizzazione in senso educativo dei percorsi può essere un opzione valida in generale. Piuttosto la messa in campo di una figura professionale dedicata, può non risultare necessaria quando il minore presenta un sufficiente grado di autonomia e di consapevolezza, ovvero quando interno a questi si rileva una rete naturale di sostegno (a cominciare dal sistema familiare) in grado di supportare e garantire il percorso. Laddove sia prevista e incaricata, la figura professionale si occupa dell’accompagnamento educativo nella gestione dell’intervento previsto dalla MAP (le prescrizioni inserite nella relativa ordinanza del Tribunale) predisponendo le attività necessarie, attivando le risorse, accompagnando il ragazzo sia nella fase di accesso che di inserimento, monitorandone l’andamento. I suoi strumenti operativi sono: diario di bordo, incontri di verifica periodica con le agenzie del territorio coinvolte, relazioni intermedie e finali di documentazione dei processi di lavoro attivati. L’educatore entra in gioco nella fase di realizzazione del progetto, ma è auspicabile un suo coinvolgimento già nella fase di valutazione e di progettazione al fine di condividere le considerazioni e le valutazioni dello psicologo e dell’assistente sociale. L’attivazione di questa risorsa implica:

• Incontro con assistente sociale e/o con psicologo per la presentazione del caso (ed eventuale coinvolgimento nella co-progettazione dell’intervento)

• Incontro di presentazione del ragazzo e della famiglia (convocato dall’assistente sociale) che può avvenire prima o immediatamente dopo l’udienza preliminare in cui è stata disposta la MAP

L’educatore con la presa di contatto con il ragazzo andrà a definire un piano di lavoro sulla base di quanto previsto nella MAP individuando gli strumenti e le modalità più adeguate al fine della costruzione di una relazione educativa e della definizione di un contratto con il ragazzo. Opportuna a tal proposito la definizione di strategie di coordinamento del lavoro di relazione fra educatore, assistente sociale e psicologo (laddove previsto) soprattutto rispetto alla funzione di ascolto e di sostegno individuale finalizzato anche alla rielaborazione del fatto di reato. Monitoraggio dei percorsi: i soggetti coinvolti si incontreranno periodicamente per il monitoraggio di tutti gli interventi previsti dalla MAP (almeno uno ogni trimestre) per una supervisione sul caso: si raccomanda in particolare un raccordo sul percorso di rielaborazione del fatto di reato fra aspetti esperienziali e sostegno psicologico. Inoltre si ritiene necessario mantenere un costante rapporto di aggiornamento con l’Ussm il quale attraverso il proprio operatore referente può partecipare agli incontri di equipe. Qualora l’autorità giudiziaria abbia fissato dei momenti di verifica intermedia (anche davanti al giudice onorario) è necessario poter relazionare sullo stato di avanzamento del progetto di intervento, tramite una relazione scritta da inviare con le stesse modalità (strumenti e tempi) già indicati per la trasmissione della relazione psicosociale.

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Aldilà di verifiche intermedie predefinite dal giudice, i servizi possono chiedere a loro volta udienze di verifica (art 27 d.lgs 272). Il monitoraggio inteso come attività integrata fra servizi e funzioni consente di poter gestire in tal modo anche le eventuali criticità che dovessero emergere nel periodo di attuazione del progetto. Tali criticità possono essere:

• Mancata adesione del minore alla MAP che si manifesta attraverso la ripetuta violazione degli accordi presi, mancata partecipazione a incontri predefiniti, assenza dalle attività prescritte non supportate da validi motivi, rifiuto del contatto e relazione con gli operatori incaricati

• Allontanamento del minore dal luogo di residenza per periodi prolungati ovvero all’estero senza che vi sia stata una comunicazione ai servizi22.

• Commissione di nuovi reati ovvero illeciti di natura non penale (ad esempio gravi violazioni del codice della strada ovvero art. 75 DPR 309/90)

• Provvedimenti disciplinari adottati in ambito scolastico Tali eventi critici oltre che essere analizzati e valutati in sede di verifica finale, devono essere comunicati all’Autorità Giudiziaria e per conoscenza, all’USSM chiedendo laddove opportuno, una verifica intermedia al fine di ridefinire i presupposti della MAP.

3. Conclusione:

La fase di chiusura del progetto di MAP richiede una grande attenzione da parte di tutti i soggetti coinvolti, attraverso l’organizzazione delle attività di valutazione e della stesura della relazione finale. Alla scadenza della MAP (non necessariamente coincide con la data della udienza conclusiva): l’assistente sociale convoca il ragazzo e la famiglia per raccogliere elementi di feed back e per dare informazione sulle fasi finali di chiusura del procedimento. Successivamente i soggetti che hanno concorso alla realizzazione del progetto di intervento (assistente sociale, educatore e psicologo se previsto) svolgono l’opportuna attività di verifica attraverso la raccolta degli elementi utili per la valutazione anche attraverso la richiesta di feed back da parte delle agenzie coinvolte (scuola, associazioni di volontariato). La relazione finale (psico-socio-educativa) deve far emergere i seguenti criteri di valutazione:

• Grado di adesione al progetto • Qualità della relazione • Descrizione dei processi di lavoro attivati • Indici di cambiamento e elementi a supporto del processo di rielaborazione del

fatto di reato • Criticità emerse e loro lettura nella prospettiva complessiva del percorso

In prossimità dell’udienza l’assistente sociale convoca il ragazzo e il nucleo familiare per la lettura della relazione finale o della sua sintesi (almeno per la parte di valutazioni finale). L’equipe inoltre s’impegna a preparare il ragazzo all’udienza finale illustrandone la funzione e i significati, chiedendo eventualmente che questi possa preparare uno scritto o comunque una dichiarazione da rendere innanzi all’autorità giudiziaria che possa rappresentare e rappresentarlo rispetto al lavoro svolto nel periodo di MAP.

22 Si ritiene opportuno che per questi casi, come per le ipotesi di vacanza, sia la famiglia a farsi carico di una comunicazione indirizzata all’ass.sociale del territorio che provvederà ad inviarla all’USSM.

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La relazione deve essere trasmessa dall’assistente sociale all’Autorità Giudiziaria e all’Ussm nei termini prescritti e comunque in tempo utile per consentirne la presa visione (si consiglia almeno cinque giorni prima dell’udienza). I servizi garantiscono la presenza degli operatori ritenuti necessari per fornire elementi utili alla determinazione del giudice.

Questioni specifiche Attivazione preventiva Le modalità operative sopra riportate fanno tutte riferimento a situazioni in cui l’attivazione dei servizi ha origine da un invio dell’autorità giudiziaria in seguito ad una notizia di reato compiuto da un minorenne. Tuttavia vi possono essere delle circostanze che consentono di entrare in contatto con l’evento reato e il suo autore, in altre parole con il contesto che lo ha generato, prima che vi sia un atto formale che sancisce l’avvio dell’iter giudiziario o comunque prima che vi sia un coinvolgimento formale dei servizi da parte degli uffici giudiziari23. In tal caso può essere utile che da tale conoscenza dei fatti e dei soggetti coinvolti, possa scaturire l’attivazione di percorsi e interventi di natura socio-educativa in grado di interagire il prima possibile con l’autore e il suo contesto di riferimento al fine di anticipare almeno in parte alcuni passaggi cui si è chiamati ad adempiere con l’avvio formale della procedura. L’anticipazione può avere caratteristiche simili per quanto riguarda contenuti e modalità, a quelle che sono proprie del progetto d’intervento previsto per la MAP e risponde prima di tutto all’esigenza di colmare lo spazio che necessariamente intercorre fra il compimento del fatto di reato e la comparizione innanzi all’autorità giudiziaria, uno spazio che talvolta più pregiudicare o quantomeno condizionare quel lavoro di rielaborazione del fatto di reato da parte del minore. Tuttavia laddove si volesse procedere in tal senso, si devono tenere in considerazione alcuni aspetti di fondo, che possono anche rappresentare degli aspetti delicati:

• L’attività svolta da servizi socio-educativi deve tenere conto dell’attività d’indagine che nel frattempo potrebbe essere stata avviata da parte della Procura e delle Forze dell’Ordine.24

• Non tutti i fatti di reato necessariamente implicano un’attività giudiziaria (reati perseguibili a querela): l’anticipazione di un lavoro socio-educativo deve essere assunto in base a premesse e motivazioni che seppur collegate potenzialmente al procedimento devono poter sussistere anche autonomamente.

• Quanto svolto prima dell’udienza preliminare e prima della richiesta di valutazione della personalità può essere utile ai fini delle determinazioni che intervengono in seguito sia in capo ai servizi che in capo all’Autorità Giudiziaria (soprattutto in termini di fattibilità della MAP), ma non possono andare a sostituire l’attività di valutazione e soprattutto l’eventuale MAP.

• Uno degli aspetti d’investimento possibile in tale ambito operativo è quello relativo al risarcimento del danno attraverso pratiche riparatorie e di riconciliazione, che talvolta sono maggiormente facilitate se compiute in prossimità del fatto di reato.25

23 Di norma il coinvolgimento dei servizi territoriali avviene per effettuare la valutazione della personalità ovvero per chiedere informazioni sui minori presi in carico direttamente dall’Ussm (misure cautelari). Non necessariamente ogni notizia di reato implica la richiesta di valutazione in quanto può essere disposta l’archiviazione, vi può essere la richiesta di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 DPR 448) già nella fase delle indagini preliminari (I co.) ovvero per i reati perseguibili a querela vi può essere la remissione da parte della persona offesa. 24 Innegabile la delicatezza di gestire aspetti relativi alla ricostruzione dei fatti e al coinvolgimento dei soggetti al di fuori di un accertamento giudiziale 25 Le ragioni che possono essere messe in campo per sostenere la motivazione ad aderire da parte del ragazzo non necessariamente escludono del tutto la possibilità di trarre un vantaggio anche dal punto di vista processuale e ciò sulla

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• Il coinvolgimento e l’adesione del minore e della famiglia sono su base volontaristica e non ancora determinato da una misura disposta dall’Autorità Giudiziaria

Le figure professionali coinvolte in tale ambito operativo non sono necessariamente le medesime che poi saranno investite del caso dall’Autorità Giudiziaria. Per tale motivo si raccomanda che le azioni attuate possano essere documentate e portate a conoscenza dei servizi competenti per l’attività di valutazione. Un aspetto critico da tenere in considerazione è quello relativo al tempo. È infatti possibile che fra il compimento del fatto di reato e la richiesta di valutazione ovvero la fissazione dell’udienza preliminare, possa intercorrere un intervallo di tempo significativo (nel caso non vi siano misure cautelari possono superare l’anno). In tal caso è necessario ponderare i tempi dell’intervento in termini di sostenibilità sia da parte dei soggetti che lo pongono in essere, sia soprattutto da parte del ragazzo e della famiglia tenendo conto che comunque un intervento successivo è necessario quando viene disposta una MAP. In tal caso può essere utile circoscrivere il lavoro anticipatorio ad alcuni obiettivi specifici e fortemente connessi a tale fase, definendo strategie e modalità adeguate per mantenere attivo il contatto con il minore nell’attesa dell’attivazione dell’iter procedurale. Aspetti assicurativi e di sicurezza nelle attività di volontariato e di attivazione borse lavoro La MAP può prevedere la realizzazione, da parte del ragazzo autore di reato, di “attività socialmente utili” presso enti (privati o pubblici) del territorio. L’inserimento del ragazzo presso l’associazione/ente implica l’attivazione, generalmente da parte dell’ente ospitante, di una copertura assicurativa connessa al ruolo di “volontario” e alle mansioni previste. L’assunzione del ruolo di “volontario” è associata, nel caso il ragazzo sia minorenne, all’autorizzazione da parte del genitore o del tutore. Nel caso in cui l’associazione non preveda la possibilità di accettare volontari minorenni, diviene necessaria, oltre all’autorizzazione del genitore, la presenza di una figura educativa durante lo svolgimento dell’attività; in tal caso la copertura assicurativa viene attivata dall’ente cui l’educatore appartiene con riferimento al progetto educativo attivato in favore del ragazzo. La MAP può anche contenere prescrizioni riguardanti l’inserimento guidato al mondo del lavoro. L’attivazione del tirocinio formativo (formazione in situazione – mediazione all’assunzione – tirocinio socio/occupazionale) costituisce una delle azioni più utilizzate per l’avviamento al lavoro. Nel caso si tratti di un tirocinio in favore di un minorenne è necessario che:

1. il ragazzo abbia assolto l’obbligo scolastico 2. l’azienda abbia previsto all’interno del proprio piano della valutazione dei rischi, una

sezione dedicata ai rischi per i minorenni 3. il genitore o tutore autorizzi il tirocinio 4. si attivi una convenzione tra ente richiedente ed ente ospitante nella quale vengano definiti

i riferimenti normativi e i compiti di ciascun soggetto 5. si provveda alla copertura assicurativa (apertura posizione INAIL, assicurazione R.C.,

polizze regionali previste dalla normativa sui tirocini) 6. venga redatto un progetto di tirocinio in cui, oltre ai dati anagrafici del ragazzo, dell’azienda

e delle figure “tutor”, siano indicati gli obiettivi, le modalità di realizzazione, i tempi, l’eventuale compenso, gli obblighi del tirocinante

7. l’ente richiedente il tirocinio invii comunicazione di avvio agli organi territoriali competenti Nel caso, invece, il tirocinante sia maggiorenne, sussistono tutte le precedenti indicazioni ad eccezione della necessità di assolvimento dell’obbligo scolastico (1), della presenza di una sezione specifica, all’interno del piano di valutazione dei rischi, di indicazioni riguardanti i minorenni (2) e dell’autorizzazione del genitore/tutore (3).

base della rilevanza che può assumere la condotta assunta dopo il compimento del reato e prima del giudizio in termini di circostanza attenuante (art. 62 cp n. 6).

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L’inserimento guidato al mondo del lavoro può avvenire anche mediante l’attivazione dello strumento “dote soggetti deboli”; le condizioni per l’attivazione sono:

• che il ragazzo autore di reato sia sottoposto ad una misura da parte dell’autorità giudiziaria; • che il processo non sia concluso.

La dote deve essere attivata mediante un soggetto accreditato alla formazione (albo enti accreditati presso Regione Lombardia) e il PIP deve essere firmato dall’USSM. All’interno della dote possono essere previsti:

• servizi formativi • servizi al lavoro (consulenza, tutoraggio, ecc.) • tirocinio/borsa lavoro26

Mediazione Penale Minorile - Ufficio di Brescia - Premessa La mediazione penale è strumento privilegiato della giustizia riparativa: propone un modello consensuale di gestione dei conflitti che fa appello alla partecipazione attiva delle parti nella ricerca di soluzioni possibili. Essa si propone di consentire l’incontro e il confronto fra vittima, autore di reato e comunità, impegnati a dialogare sugli effetti relazionali e sociali del conflitto che li oppone, a scambiare i propri punti di vista nella ricerca di possibili soluzioni per favorire modalità di riparazione (simbolica prima ancora che materiale) delle conseguenze del reato. In questo modo la mediazione, attraverso la gestione accompagnata del conflitto, favorisce soluzioni consensuali e responsabilizzanti: non ci sono vincitori o vinti, il paradigma non è più la contesa, ma l'accoglienza dei contendenti, volta a favorire il tentativo di riprendere un dialogo interrotto o a determinarne uno nuovo. La mediazione penale sposta l’attenzione dall’uso della sola pena come strumento di risocializzazione e di prevenzione della devianza alla necessità di rispondere al reato secondo modalità riparatorie. La logica sottesa alla mediazione, pur mantenendo intatti gli aspetti di rinvio alla responsabilità personale, rimanda anche a una serie di proposte e di opportunità che il soggetto può cogliere per il proprio cambiamento e per arrivare ad un riconoscimento della vittima. Nel processo di mediazione, infatti, l’attenzione si distribuisce su tutti i soggetti coinvolti nel reato (reo, vittima e società) nell’intento di prendersi carico non solo di colui che ha commesso il reato, bensì anche della vittima e dei legami sociali lesi. Con questo strumento si intende, pertanto, contribuire alla definizione di un diverso concetto di responsabilità personale per una responsabilizzazione del minore autore di reato, attraverso la rivisitazione - nell’incontro con la persona offesa dal reato - dell’atto antigiuridico e antisociale posto in essere, con l’intento di superare l’offesa arrecata attraverso un percorso di reciproco riconoscimento e di riparazione. Non da ultimo, la mediazione si propone come strumento di politica criminale seriamente preventivo, in quanto la sua applicazione mira a incidere sui concetti di esclusione, separazione e annientamento dell’altro e a promuovere la risocializzazione e il reinserimento. Il legame fecondo fra la mediazione e la giustizia penale è elemento che caratterizza il progetto dell’Ufficio per la mediazione penale minorile di Brescia, distinguendolo da quei modelli di mediazione penale che escludono o pongono in secondo piano il rapporto fra l’esito della mediazione e il processo penale. In questa prospettiva, l’attività di mediazione penale minorile, incardinata sui principi e sulle regole internazionali e sulle esperienze nazionali già condotte27, si propone come gratuita, libera e confidenziale. Presupposto irrinunciabile è la consensualità di entrambe le parti e la garanzia che quanto reso noto durante l’attività di mediazione (sia durante i colloqui preliminari che durante l’incontro) resterà riservato e non comunicato all’autorità giudiziaria se non nelle parti e sui contenuti che le

26 Vedi in appendice i riferimenti normativi. 27Linee di indirizzo e di coordinamento in materia di mediazione penale minorile, 30.04.08, Ministero della Giustizia, Dipartimento giustizia minorile.

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parti stesse concordemente intendano riferire. Corollario di tale confidenzialità - imprescindibile condizione affinché la mediazione tra le parti possa compiersi pienamente – è che i mediatori, nell’esercizio della loro attività si sentano e siano riconosciuti legati a un vincolo di segretezza. Invio da parte dell’Autorità Giudiziaria L’Ufficio per la mediazione penale Minorile di Brescia riceve casi dall’Ufficio della Procura Minorile e dal Tribunale per i Minorenni (G.U.P. o dibattimento). Non possono essere inviati casi direttamente dalle parti o dai Servizi (USSM e territoriali), che, tuttavia, possono suggerire all’Autorità giudiziaria di valutarne l’opportunità. A) L’invio in mediazione, nella fase di indagini preliminari dalla parte della Procura ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 448/88, si rivela scelta particolarmente idonea poiché si colloca in una fase anticipata rispetto al processo vero e proprio, in evidente coerenza con la ratio della norma stessa che sottende una concezione dinamica della personalità. La mediazione contribuirà a valutare le risorse del minore imputato anche in relazione alla vittima del reato commesso. La vittima medesima sarà percepita nel/dal procedimento secondo il suo valore anche simbolico e le si offrirà in tal modo l’occasione di essere riconosciuta non solo dall’imputato – la cui risposta responsabilizzante ne trarrà così impulso e giovamento - ma anche dal “sistema giustizia”.

L’invio all’Ufficio consentirà alla Procura Minorile di valutare successivamente l’avvenuta mediazione come ulteriore elemento al fine della richiesta di archiviazione, di pronuncia di sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27 D.P.R. 448/88, o di concessione del perdono giudiziale. In questo modo, pur mantenendo il suo carattere confidenziale, l’attività di mediazione contribuirebbe a riempire di significato i suddetti istituti e sostenere con maggiore credibilità la decisione in sede giudiziaria.

In ogni caso, la comunicazione di non fattibilità o di esito negativo della mediazione da parte dell’Ufficio non costituirà in alcun modo elemento sfavorevole di valutazione della personalità del minore e non dovrà condizionare l’evolversi della vicenda processuale.

Così concepita la mediazione potrebbe contribuire a ridurre il rischio che la veloce uscita dal circuito penale, anche con intenti deflativi, alimenti dinamiche deresponsabilizzanti nel minore. L’attività di mediazione, infatti, sviluppa un processo di riappropriazione del fatto/reato, anche quando definito dalla giustizia irrilevante e occasionale, ed offre al minore l’opportunità di comprendere il significato del proprio comportamento sia sul piano giuridico che su quello sociale. La mediazione apre alla possibilità di vivere l’esperienza del confronto e del dialogo direttamente con chi ha subito l’offesa, permettendo di evolvere verso un’importante tappa nel cammino di crescita personale. La credibilità sociale della giustizia ne esce rafforzata tanto nella percezione del reo che della persona offesa, riducendo in quest’ultima la sensazione che i provvedimenti “indulgenziali” rappresentino una ‘scappatoia’ meramente deflativa e/o una risposta buonista nei confronti del reo. B) Anche in sede di udienza preliminare, il Tribunale per i minorenni potrà inviare il caso all’Ufficio per la mediazione penale:

# ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 448/88, quando voglia assumere ulteriori elementi di valutazione

della personalità del minorenne e della sua evoluzione prima di adottare provvedimenti che possono consentire una rapida fuoriuscita dal minore dal circuito processuale, senza tuttavia rinunciare a corroborare di significato e senso quelle stesse misure che spesso rischiano di essere vissute come “dovute, buoniste, deresponsabilizzanti” (ad es. la richiesta di concessione del perdono giudiziale).

# ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. 448/88, nel provvedimento che contestualmente dichiara la

sospensione del processo e la messa alla prova del minore. L’invio all’Ufficio per la mediazione si affiancherà quindi alla presa in carico da parte dell’Ussm e/o dei Servizi territoriali, rimanendo tuttavia autonomo e distinto. I due interventi, infatti, non si

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esauriscono uno nell’altro, né la fattibilità e l’esito dell’attività di mediazione saranno confusi con la valutazione del progetto educativo prescritto dal giudice, restando inteso che la mediazione e la messa alla prova manterranno una loro specificità sia sul piano giuridico che sul piano educativo, essendo governate da obiettivi, criteri, modalità peculiari e non sovrapponibili. Un’ulteriore ipotesi applicativa dell’invio alla mediazione nel contesto della sospensione del processo ai sensi dell’art. 28 D.P.R. 448/88, potrebbe verificarsi a fronte di reati particolarmente gravi per i quali l’incontro con la vittima in tempi precoci rispetto alla commissione del reato potrebbe addirittura ledere al percorso educativo del minore e/o essere inopportuno o intollerabile per la vittima stessa. In queste situazioni la presa in carico da parte dell’Ussm e/o dei Servizi territoriali precederà l’invio all’Ufficio per la mediazione e solo dopo un primo periodo di messa alla prova, quando gli operatori lo ritenessero opportuno, ne daranno comunicazione all’autorità giudiziaria la quale avrà la piena facoltà di decidere un invio all’ufficio, parallelamente al percorso di messa alla prova.

C) Non è escluso che, stante la facoltà anche per il giudice del dibattimento di raccogliere, ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 448/88, elementi inerenti alla personalità del minore e alla sua evoluzione, un invio all’Ufficio per la mediazione possa provenire anche in quella fase. L’iter di mediazione, in ogni caso, seguirà il seguente schema:

a. invio del caso all’Ufficio per la mediazione tramite comunicazione dei dati da parte dell’autorità giudiziaria;

b. primo contatto con le parti e i difensori ad opera dell’Ufficio per la mediazione (tramite lettere e primi contatti telefonici)

c. Colloqui preliminari con l’indagato/imputato (eventualmente accompagnato da genitori e difensore);

d. Colloqui preliminari con la persona offesa (eventualmente accompagnata da genitori e difensore);

e. Incontro di mediazione; f. Comunicazione all’inviante dell’esito.

L’attività di mediazione può realizzarsi esclusivamente nei casi in cui siano individuabili una o più persone offese dal fatto reato; tuttavia, nel caso di reati che coinvolgessero soggetti impersonali (enti, persone giuridiche, istituzioni) la mediazione sarà possibile a seguito dell’individuazione, da parte dell’Ufficio per la mediazione, del soggetto portatore dell’interesse leso, non necessariamente coincidente con il legale rappresentante (es. in caso di danneggiamento a cose pubbliche, l’incontro potrebbe essere realizzato con il Sindaco o un suo delegato). E’ escluso l’invio di casi ogni volta che anche solo una delle parti presenti: diagnosi di malattia psichiatrica e/o difficoltà manifesta di comprensione della lingua italiana. L’Ufficio si riserva di valutare l’opportunità di occuparsi di casi in cui le parti siano legate da familiarità e/o convivenza (es: fratelli, genitori-figli, conviventi) e in quelli dove il reato di violenza sessuale. Proposta di invio da parte dei servizi territoriali e dell’USSM Alla luce di quanto evidenziato, sopra nell’ambito di un procedimento penale minorile, gli operatori dei servizi incaricati di seguire il minore possono suggerire all’autorità giudiziaria l’invio del fascicolo all’ufficio per la mediazione penale di Brescia sia nelle fase delle indagini preliminari, contestualmente all’invio della relazione sull’indagine della personalità, ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 448/88, sia nella fase successiva, durante l’applicazione della MAP nell’ambito dell’invio delle relazioni di aggiornamento/chiusura del progetto. Si ricorda che allo scopo di garantire il rispetto del principio della presunzione di innocenza non è opportuno suggerire l’invio all’Ufficio per la mediazione nei casi in cui (e fin tanto che) l’indagato/imputato si dichiari innocente e completamente estraneo ai fatti. Se dalle dichiarazioni risultassero affermazioni del seguente tenore esemplificativo “non c’ero, non so nulla di quanto è accaduto, è tutta un’invenzione”, l’eventuale invio all’Ufficio per la mediazione si configurerebbe

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come inopportuno e certamente inefficace. In questo caso, infatti, sarà più rispettoso del principio di presunzione di innocenza e dei diritti della difesa, procedere eventualmente all’invio solo se successivamente emergesse dal soggetto un atteggiamento diverso, se pur non di assunzione di responsabilità formale almeno di non completa estraneità ai fatti.

Diverso è il caso in cui il minore dichiarasse una diversa versione dei fatti: es. “c’ero, ma è andata diversamente, non è tutta colpa mia, non ho fatto niente di male…”; in questa situazione sarà l’Ufficio, durante i colloqui preliminari, a valutare l’opportunità della mediazione.

In ogni caso l’ufficio per la mediazione penale minorile rimane a disposizione degli operatori

per valutare insieme l’opportunità della proposta d‘invio al seguente recapito: UFFICIO PER LA MEDIAZIONE PENALE MINORILE via Sant’Antonio, 16 - Brescia Tel. 030/3748.037 - 3748.038 Fax 030/3748. 039

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Appendice

A) riferimenti normativi:

Legge 16 luglio 1962 n. 1085 Ordinamento degli uffici di servizio sociale e istituzione dei ruoli del personale di predetto servizio DPR 24 luglio 1977 n. 616 Attuazione della delega di cui all’ art. 1 della Legge 22 luglio 1975 n, 382 DPR 22 settembre 1988 n. 448 Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni Dlgs 28 luglio 1989 n. 272 Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del DPR 448/88 Circ. n. 37 del 22 novembre 2007 e n. 7 del 22 novembre 2007 Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale Regione Lombardia Indicazioni per la presa in carico dei minori sottoposti a procedimenti penali.

B) Estratti: Art. 6 DPR 448/88 [servizi minorili] In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Si avvale altresì di servizi di assistenza istituiti dagli enti locali. Art. 9 DPR 448/88 [accertamenti sulla personalità del minorenne] 1. Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. 2. Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire parere di esperti, anche senza alcuna formalità. Art 12 DPR 448/88 [assistenza all’imputato minorenne] 1. L’assistenza affettiva e psicologica all’imputato minorenne è assicurata in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minorenne e ammessa dall’autorità giudiziaria che procede. 2. In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi di cui all’art. 6. 3. Il pubblico ministero e il giudice possono procedere al compimento degli atti per i quali è richiesta la partecipazione del minorenne senza la presenza delle persone indicate al comma 1 e 2, nell’interesse del minorenne o quando sussistono inderogabili esigenze processuali. Art. 28 DPR 448/88 [sospensione del processo e messa alla prova] 1. Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. 2. Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. 3. Contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore.) 5. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte. Art. 29 DPR 448/88 [Dichiarazioni di estinzione del reato per esito positivo della prova] 1. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Art. 27 D. L.vo 272/89 [Sospensione del processo e messa alla prova] 1. Il giudice provvede a norma dell’art. 28 DPR 488/88 sulla base di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali. 2. Il progetto di intervento deve prevedere fra l’altro:

a) Le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita;

b) Gli impegni specifici che il minorenne assume c) Le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale

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d) Le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato.

3. I servizi informano periodicamente il giudice dell’attività svolta e dell’evoluzione del caso, proponendo, ove lo ritengano necessario, modifiche al progetto, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di ripetute e gravi trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione. 4. Il presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo e l’affidamento riceve le relazioni dei servizi e ha il potere, delegabile ad altro componente del collegio, di sentire, senza formalità di procedura, gli operatori ed il minorenne. 5. Ai fini di quanto previsto dall’art. 28 co. 5 e 29 del DPR 488/88, i servizi presentano una relazione sul comportamento del minorenne e sull’evoluzione della sua personalità al presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo nonché al pubblico ministero, il quale può chiedere la fissazione dell’udienza prevista dall’art. 29 del medesimo decreto.

C) Riferimenti normativi per tirocinio

Legge 104/92 Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate Legge 68/99 Norme per il diritto al lavoro dei disabili” e successive modifiche Dlgs. 9/4/08 n. 81 Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro Legge 196/97 Norme in materia di promozione dell’occupazione D.M. 142/98 Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all’art.18 della L. 196/97 sui tirocini formativi e di orientamento Legge Regionale 1/2000 Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia Legge Regionale 3/2008 Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e socio sanitario Legge 328/2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali Legge Regionale 1/1999 Politiche regionali del lavoro e dei servizi per l’impiego Legge Regionale 13/2003 Promozione all’accesso al lavoro delle persone disabili e svantaggiate Legge 381/91 Disciplina delle cooperative sociali Linee guida per il settore inserimenti lavorativi del Distretto di Cremona corredate de Gli strumenti della mediazione” approvate dall’assemblea dei Sindaci del Distretto di Cremona il 1° settembre 2006