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La Rassegna d'Ischia 2/97 45 Procida: alle radici di un rito La processione del Cristo morto di Sergio Zazzera sostanzialmente, identico a quello innanzi descritto. Si sa, peraltro, che, nell’antichità, in determinati momenti dell’anno e in talune località, si celebravano dei miti, ispirati al ciclo delle stagioni, del quale veniva inscenata la rappresentazione: così, le popolazioni semitiche di Siria e Babilonia veneravano Tammuz 8 - detto, anche, Adon (= Signore) 9 , la cui morte - come ricorda, anche, il profeta Ezechiele 10 - era pianta, a mezz’estate, al suono acuto dei flauti, mentre la sua effigie veniva unta di olio, rivestita di un drappo All’alba del Venerdì santo, dalla chiesa di San Tommaso d’Aquino - la «Chiesa nuova» dei procidani - sede della Congrega dei Turchini dell’Immacolata Concezione 1 , un corteo muove alla volta dell’Abbazia di San Michele Arcangelo, per accompagnarvi il simulacro ligneo del Cristo morto 2 , intorno al quale si snoderà la processione - denominata «dei Misteri», dalle figurazioni che vi partecipano -, che attraverserà, nel corso della mattinata, gran parte delle strade dell’isola 3 . Se questa è la più celebre, tra le «sceneggiate sacre» 4 di questo genere che, nel corso della Settimana santa, si svolgono, in Italia, secondo questo rituale, non si può, tuttavia, trascurare il ricordo delle altre - come quelle dei «Misteri» di Caltanissetta 5 e di Trapani 6 , o quella delle «Casse» di Savona 7 -, che, pur nella diversificazione di taluni particolari, riflettono uno schema, 1 Sulla quale cfr. S. Zazzera, La congregazione dei Turchini di Procida, in I canti della Passione, Napoli 1992, 24 ss. 2 Scolpito, nel 1728, dal napoletano Carmine Lantriceni: cfr., da ulti- mo, F. Petrelli, Cristo morto, in Il Cristo morto di Procida. Restauro, documenti, immagini, Napoli 1990, 13 ss. 3 Cfr. S. Zazzera, Riti di penitenza e propiziazione: il Venerdì santo a Procida, in Aa. Vv., Incontri a Campolattaro, Campolattaro 1987, 37 ss. Al fatto che il percorso della processione ha andamento discendente può essere attribuito il significato simbolico di rappresentazione della discesa del Salvatore: cfr. R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, tr. it., Milano r. 1990, 298 nt. 2. 4 Cfr. A. Pellegrino, Le sceneggiate sacre, in Corriere partenopeo, marzo 1993, 3 s. 5 Cfr. P. Toschi, Il folklore, Milano 1967, 36. 6 Cfr. A. Cattabiani, Calendario, Milano r. 1994, 199 s. 7 Cfr. E. Travi, Breve storia di Savona, Savona 1979, 70. 8 Tamuz, presso gli Assiro-babilonesi, Dum-zi(-abzu) (= «figlio legit- timo dell’abisso», ossia di Ea, dio dell’abisso), presso i Sumeri: cfr. G. F(urlan), s. v. Tammuz, in Encicl. italiana 33, Roma r. 1950, 219. 9 La necessità dell’identificazione dei culti di Tammuz e di Adone è negata, però, da A. T(accone), s. v. Adone, in Encicl. italiana 1, Roma r. 1949, 516. Il demonologo J. A. S. Collin de Plancy, Dizionario in- fernale, tr. it., Genova r. 1989, 26; 1102, poi, classifica Thamuz - detto, anche, Adonide - come «demone di second’ordine» del mondo ebraico, dominatore di fiamme e roghi. 10 Ez. 8,14.

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Procida: alle radici di un rito

La processionedel Cristo morto

di Sergio Zazzera

sostanzialmente, identico a quello innanzi descritto. Si sa, peraltro, che, nell’antichità, in determinati momenti dell’anno e in talune località, si celebravano dei miti, ispirati al ciclo delle stagioni, del quale veniva inscenata la rappresentazione: così, le popolazioni semitiche di Siria e Babilonia veneravano Tammuz8 - detto, anche, Adon (= Signore)9, la cui morte - come ricorda, anche, il profeta Ezechiele10 - era pianta, a mezz’estate, al suono acuto dei flauti, mentre la sua effigie veniva unta di olio, rivestita di un drappo

All’alba del Venerdì santo, dalla chiesa di San Tommaso d’Aquino - la «Chiesa nuova» dei procidani - sede della Congrega dei Turchini dell’Immacolata Concezione1, un corteo muove alla volta dell’Abbazia di San Michele Arcangelo, per accompagnarvi il simulacro ligneo del Cristo morto2, intorno al quale si snoderà la processione - denominata «dei Misteri», dalle figurazioni che vi partecipano -, che attraverserà, nel corso della mattinata, gran parte delle strade dell’isola3. Se questa è la più celebre, tra le «sceneggiate sacre»4 di questo genere che, nel corso della Settimana santa, si svolgono, in Italia, secondo questo rituale, non si può, tuttavia, trascurare il ricordo delle altre - come quelle dei «Misteri» di Caltanissetta5 e di Trapani6, o quella delle «Casse» di Savona7 -, che, pur nella diversificazione di taluni particolari, riflettono uno schema,

1 Sulla quale cfr. S. Zazzera, La congregazione dei Turchini di Procida, in I canti della Passione, Napoli 1992, 24 ss. 2 Scolpito, nel 1728, dal napoletano Carmine Lantriceni: cfr., da ulti-mo, F. Petrelli, Cristo morto, in Il Cristo morto di Procida. Restauro, documenti, immagini, Napoli 1990, 13 ss.3 Cfr. S. Zazzera, Riti di penitenza e propiziazione: il Venerdì santo a Procida, in Aa. Vv., Incontri a Campolattaro, Campolattaro 1987, 37 ss. Al fatto che il percorso della processione ha andamento discendente può essere attribuito il significato simbolico di rappresentazione della discesa del Salvatore: cfr. R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, tr. it., Milano r. 1990, 298 nt. 2.4 Cfr. A. Pellegrino, Le sceneggiate sacre, in Corriere partenopeo, marzo 1993, 3 s.5 Cfr. P. Toschi, Il folklore, Milano 1967, 36.6 Cfr. A. Cattabiani, Calendario, Milano r. 1994, 199 s. 7 Cfr. E. Travi, Breve storia di Savona, Savona 1979, 70.8 Tamuz, presso gli Assiro-babilonesi, Dum-zi(-abzu) (= «figlio legit-timo dell’abisso», ossia di Ea, dio dell’abisso), presso i Sumeri: cfr. G. F(urlan), s. v. Tammuz, in Encicl. italiana 33, Roma r. 1950, 219.9 La necessità dell’identificazione dei culti di Tammuz e di Adone è negata, però, da A. T(accone), s. v. Adone, in Encicl. italiana 1, Roma r. 1949, 516. Il demonologo J. A. S. Collin de Plancy, Dizionario in-fernale, tr. it., Genova r. 1989, 26; 1102, poi, classifica Thamuz - detto, anche, Adonide - come «demone di second’ordine» del mondo ebraico, dominatore di fiamme e roghi.10 Ez. 8,14.

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rosso11 e incensata12; così, pure, Ovidio13 narra che la morte di Adone era commemorata14 da un corteo, che ne accompagnava alla sepoltura, al suono lamentoso dei flauti, il simulacro, ornato di anemoni, che si dicevano sbocciati dal suo sangue, e dei cosiddetti «giardini di Adone», pianticelle di frumento, orzo e altri semi, germogliate rapidamente15; così, ancora, a Eleusi, nell’Attica, si celebravano i «Misteri» - detti, appunto, «Eleusini» -, in onore di Demetra, a ricordo della morte della figlia di lei, Persefone, e della restituzione della stessa, per una parte dell’anno, al mondo dei vivi, per volontà di Zeus16. Non poche, dunque, sono le affinità, che è dato rilevare, tra la processione del Venerdì santo di Procida e i riti pagani innanzi ricordati, tutti celebranti, in qualche modo, la morte e la resurre-zione di un personaggio mitico: al di là, infatti, dell’uso rituale dell’incenso, comune, sostanzialmente, a tutte le religioni17, un primo elemento, sul quale riflettere, dev’essere individuato nel nome di Adone, che ha radice comune a Adonai, sinonimo di Jahweh18, e in quello della madre di lui, Mirra19, che ricorda, da vicino, più che il dono offerto dai Magi a Gesù20, il nome ebraico

di Maria, Myriàm21, nonché nell’etimologia di quello di Demetra, individuabile in Diva Mater (in quanto divinità che s’identificava con la terra, nel suo attributo di fertilità)22, ma, probabilmente, anche in Dei Mater23, proprio come Maria24. Colpisce, inoltre, in maniera particolare, innanzitutto, il fatto che le rappresentazioni plastiche portate in processione nell’isola ricevano, come i riti eleusini, la denominazione di «Misteri», la cui etimologia, pe-raltro, va individuata, molto semplicemente, nel vocabolo greco mustes (= iniziato)25. Allo stesso modo, sono singolari l’impiego dell’olio, adoperato per ungere l’immagine di Tammuz26, proprio come la statua del Cristo morto di Procida viene unta con olio di cannella27, prima di essere portata in processione28, e la velatura dell’una, come dell’altra effigie29. Altrettanto, si dica per il suono lamentoso dei flauti, che accompagnava il «funerale» di Tammuz e di Adone, paragonabile a quello della tromba che precede il corteo procidano del Venerdì santo30: evidentamente, ciascuna civiltà adopera gli strumenti che le sono propri; ciò che conta è il

11 Sul rosso, come colore di lutto, si v. J. G. Frazer, Il ramo d’oro, tr. it., Roma r. 1992, 246.12 Cfr. J. G. Frazer, o. c., 372 ss. 13 Metam. 10,725 ss.; quanto al mito, cfr. lo ps. Apollodoro, 3,14,4. 14 A primavera, in Siria e ad Atene; d’estate, in Antiochia e in Egitto: cfr. G. G(iannelli), s. v. Adonie, in Encicl. italiana 1 cit., 517.15 Cfr. J. G. Frazer, o. c., 377 ss. 16 Cfr. J. G. Frazer, o. c., 448 ss. e v., pure, G. Benevento, Viaggio nel mito, Napoli 1989, 139 ss.; G. D’Anna, Dizionario dei miti, Roma 1996, 37, 53; anche rispetto al culto di Adone, A. Donini, Breve storia delle religioni, Roma 1994, 194, parla di «Misteri».17 E, segnatamente, nel culto dei morti, perché ritenuto «capace di mantenere il principio vitale nel cadavere»: cfr. G. Man(cini) - G. D(e) L(uca), s. v. Incenso, in Encicl. italiana 18, Roma r. 1949, 964.18 Cfr. G. R(icciotti), s. v. Adonai, in Encicl. italiana 1 cit., 516. 19 Che lo avrebbe generato da Teante; per altri, egli sarebbe nato da Fe-

nice e Alfesibea, ovvero da Cinira e Metarme: cfr. A. T(accone), o. c.20 Mt. 2,11; cfr., pure, Ps. Mt. 16,2, e, inoltre, il Vangelo apocr. dell’in-fanzia, § 92. 21 Sul nome di Maria, cfr. G. Ravasi, Una bambina di nome Maria, in Aa. Vv., Alle radici della fede, Milano 1985, 3, il quale ne afferma l’origine ebraica, e G. Iammarrone, s. v. Maria, in Lexicon. Dizionario teologico enciclopedico, Casale Monferrato 1993, 609 s., il quale propone due etimologie alternative, l’una dal composto egizio-ebraico Myr-ya/yam (= «L’amata da Jahvè»), l’altra dall’ugaritico mrym (= «l’ eccelsa»).22 Cfr. F. Ramorino, Mitologia classica illustrata, Milano r. 1988, 234. 23 Tale duplice, alternativa proposta etimologica si ritrova formulata da A. Donini, o. c., 140. 24 Sulla divina maternità di Maria, cfr. B. Forte, Maria, la donna icona del Mistero, Cinisello Balsamo 1988, 197 ss.25 Cfr. A. Donini, o. c., 191; peraltro, l’antichità conosceva altri «Miste-ri», come, ad es., quelli «orfici»: cfr. R. J. Stewart, I miti della creazione, tr. it., Milano 1993, 50. Merita di essere segnalata la particolarità, secondo cui, in ambiente cristiano - e, soprattutto, gnostico - tale significato fu conservato dalla forma plurale Mysteria, laddove il singolare Mysterium passò, dall’accezione originaria di «cosa indicibile», a quella del disegno di salvezza, ideato dal Padre, di raccogliere la famiglia umana intorno al Figlio: cfr. G. Iammarrone, s. v. Misteri di Cristo, in Lexicon cit., 660 s.; non si trascuri, tuttavia, che il vocabolo si ritrova adoperato, in alcune fonti, anche per qualificare la «rappresentazione di cose sacre mediante segni sensibili» (cfr. R. Gerardi, s. v. Mistero, ivi, 662), che è, proprio, il senso nel quale esso è impiegato per definire talune processioni, tra le quali quella di Procida.26 Figlio - secondo una genealogia - di Shamash, dio del Sole (cfr. G. F[urlan], o. l. c.), proprio come Cristo è figlio di Dio.27 Sui danni provocati alla scultura da tale trattamento, cfr. M. Tatafiore, Il restauro del Cristo di Procida, in Il Cristo morto cit., 30.28 Cfr. M. Masucci - M. Vanacore, La cultura popolare nell’isola di Procida, Napoli 1987, 37; del resto, Cristos (> gr. crio = ungere) è attributo di Gesù, nel senso di «unto del Signore» (o, più correttamente, «dello Spirito»: cfr. B. Forte, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Cinisello Balsamo 1981, 287 s.): cfr. Es. 30,22-33, in relazione a Lc. 2,26, e v. il Catechismo della Chiesa cattolica, § 438, nonché G. Iammarrone, s. v. Cristo, in Lexicon cit., 237.29 Di nero, quanto al Cristo morto, (cfr. M. Masucci - M. Vanacore, o. c., 45) poiché questo era il colore liturgico del Venerdì santo, nel rituale precedente al Concilio Vaticano II: cfr. Ufficio della Settimana santa, Udine r. 1887, 410. 30 Cfr. S. Zazzera, o. u. c., 38.

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modo secondo il quale se ne serve. Né può essere sottaciuto l’impiego degli anemoni, comune al culto di Adone e alla processione procidana - nel corso della quale ne recano fasci le bambine, in abito di comunicande -, e, soprattutto, dei «giardini di Adone», simili, in tutto e per tutto, alle cc.dd. «piante del Sepolcro»31, che circondano la statua del Cristo morto, esposta alla venerazione dei fedeli, prima di essere portata nella Chiesa abbaziale, ma che figurano anche su taluno dei «Misteri»; in proposito, anzi, non si trascuri, neppure, che le processioni misteriche pagane prevedevano il trasporto di «oggetti sacri», rappresentativi della divinità celebrata32, assimilabili, perciò, ai «Misteri» del corteo procidano. Del resto, i riti pagani connessi con miti di morte e risurrezione33 - come quelli sopra ricordati - e quelli pasquali - della religione cristiana, come di quella ebraica34 - presentano, con assoluta evidenza, la natura comune di «riti di passaggio»35, pur se, nel caso in esame, essi manifestano, talora, anche carattere sol-stiziale, a differenza di quelli della Pasqua, il cui carattere è, sempre, equinoziale36. Posto, dunque, che i culti e i riti cristiani

31 Germogli di grano, orzo e lenticchie, seminati nella segatura e coltivati al buio, per impedire la fotosintesi clorofilliana: cfr. A. Cattabiani, o. c., 167 (oltre che il medesimo J. G. Frazer, o. c., 393). 32 Cfr. N. Tu(rchi), s. v. Processione, in Encicl. italiana 28, Roma r. 1949, 274. 33 Tra i quali va annoverato, anche, quello di Osiride, che si colloca alle radici di taluni riti pasquali cristiani di pietà popolare: cfr. S. Zazzera, La Corsa dell’Angelo di Forio, in questa rivista, aprile 1996, 13 ss., e le altre manifestazioni ivi citate.34 Sulla Pesah (Pasqua ebraica), nel senso di «passaggio», cfr. G. Ravasi - R. Crovi, Brevia-rio familiare. Anno C, Milano 1991, 128.35 Il che, però, in un eccesso di semplifica-zione, è, inopinatamente, negato da A. van Gennep, I riti di passaggio, tr. it., Torino r. 1992, 34 e nt. 67.36 A voler essere precisi, la Pasqua, oltre che «solare» - e, in tal senso, equinoziale - (cfr. G. Ravasi - I. A. Chiusano, Breviario familiare. Anno A, Milano 1989, 126 s.), può essere considerata, anche, festa «lunare», a seconda che la s’intenda legata all’equinozio, ovvero al plenilunio, di primavera; più corretta sembra, però, la soluzione conciliante proposta da A. Cattabiani, o. c., 176 ss., che rispecchia l’af-fermazione del Vangelo di Gamaliele, 3,11, secondo cui la Pasqua ricorre nella «stagione...in cui il sole e la luna si girano» (corsivi no-stri). Sul simbolismo del ciclo solare, cfr. R. Guénon, o. c., 90, 96; 212 ss., nonché 173, sui suoi rapporti con quello lunare.

della pratica cultuale-processione si può dire nata con l’uomo, non v’è dubbio che il cristianesimo abbia mutuato l’usanza, in via diretta, dall’ebraismo, da una parte, e, dall’altra, dal paganesimo; e le più antiche manifestazioni devozionali cristiane aventi carattere processionale devono essere indi-viduate nelle cc. dd. Stationes quaresimali e nella processione romana del Legno della Croce42, che risalgono ai primissimi tempi dell’affermazione di questa religione. Evi-dentemente, dunque, anche manifestazioni di pietà popolare, come quella procidana del Venerdì santo - e come le altre consimili -, devono essere, tutte, riconducibili a una matrice comune, ben più risalente nel tempo - benché, allo stato, non identificabile -, che dovette costituire il modello tenuto presente dalla Chiesa posttridentina, quando essa s’indusse a favorire la diffusione di un tal genere di pratiche devozionali.

Sergio Zazzera

affondano, per lo più, le loro radici nei miti pagani37, sarà il caso di prospettare un’ipotesi di recezione-diffusione del rituale delle processioni dei «Misteri», a Proci-da, come altrove. In pro-posito, occorre premet-tere che l’introduzione delle rappresentazioni plastiche di scene delle Scritture - dapprima fisse, poi, anche va-riabili38 - nella mani-festazione procidana, è ascrivibile alla metà del sec. XVIII39, laddo-ve, in termini generali, l’origine e la diffusione di siffatti cortei è ricon-ducibile all’ideologia tridentina, affermatasi tra la fine del sec. XVI e il principio del successivo40. Non sussistono, dunque, difficoltà ad ammettere il carattere imitativo della processione di Procida, rispetto a quelle che si svolgevano, già da tempo, altrove41, relativamente alle quali, altresì, può essere riconosciuto analogo carattere, ma, questa volta, ben più risalen-te, nel tempo. Posto, infatti, che l’esigenza

ignota ai casali della capitale: cfr. C. Russo, Chiesa e comunità nella diocesi di Napoli tra Cinque e Settecento, Napoli 1984, 465 ss.42 Cfr. N. Tu(rchi), o. l. c.

37 Cfr. P. Toschi, Tradizioni popolari italiane, Torino 1967, 7; 110 s.; B. Pianta, Cultura popo-lare, Milano 1982, 67 s., i quali ampliano il pun-to di vista di A. Donini, o. c., 141 ss., limitato alla «cristianizzazione degli dei dell’Olimpo».38 L’«effimero», cui fa cenno V. Petrarca, Il corteo del Cristo morto. L’immaginario di un’isola del sud, in Il Manifesto, 20 aprile 1984, 7.39 Cfr. M. Parascandolo, Procida dalle origini ai tempi nostri, Benevento 1893, 417. In realtà, la processione del Cristo morto si svolgeva, già, in epoca precedente - come attesta una relazione di S. Visita del 1688 (ASDN., S. Visite 60, 505 v.), che la definisce «processio mortificationis» e la fa risalire a un momento anteriore -, ma, in luogo di portarvi i «Misteri», i confratelli si facevano la disciplina.40 Cfr. P. Toschi, o. u. c., 97, e, sulla diffusione di tale ideologia nel napoletano, J. Mazzoleni, Aspetti della riforma cattolica e del Concilio di Trento a Napoli, Napoli 1966, 9 ss.41 Insisto nel credere che il modello della processione di Procida possa essere individuato in quella che, a Napoli, organizzava la confra-ternita dei nobili spagnoli della «Solidad», sulla quale si v. C. Celano, Notizie del bello dell’an-tico e del curioso della città di Napoli 5, Napoli r. 1974, 1432. Tale tradizione parrebbe, peraltro,