ALLE RADICI DEL NATALE: UN “GENNA” COPTO A LALIBELA · Testo e foto di . Pasquale Soda. Da un...

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.................. ....................................................... Avventure nel mondo 1 | 2013 - 89 TACCUINO DI VIAGGIO | Etiopia V iaggio, quello attraverso il nord dell’Etiopia, dai contorni fiabeschi, in una realtà immaginata, sognata e scoperta passo dopo passo, con un’umanità segnata dalla povertà, dal bisogno ed allo stesso tempo da una solidarietà reciproca quale noi sembriamo aver perso. L’approccio verso i farangji, gli stranieri, appare caratterizzato da un sano razzismo alla rovescia, per cui la discriminazione ci impone costi maggiori, retribuzione delle foto, richiesta continua di penne, abiti, danaro e quant’altro possa servire. Superato questo sbarramento preconcetto, però, si entra in contatto con un’umanità profonda e sincera, con una disponibilità per lo straniero che commuove ed accalora in una comunione di spirito profonda. Esempio illuminante è quello offerto dalle celebrazioni religiose come il Genna (Natale copto), dove l’afflato religioso ed umano ha travalicato ogni differenza di colore, cultura o censo. E’ qui che risiede la magia di questo popolo, che dopo averti tormentato ad ogni passo con le insistenti sue richieste, ti lascia poi profonda una traccia nell’anima, che immediatamente dopo la partenza si trasforma in nostalgia ed in desiderio di ritornare. Ritornare attraverso scenari maestosi e diversi, con ambientazioni evocative, con monumenti suggestivi ed imponenti, prodotto della cultura di una razza nobile e bellissima, sempre in movimento, la quale copre a piedi distanze per noi impensabili, spinta dalla fede o dalla necessità oppure dal commercio. Ed anche di questo, infine, siamo stati testimoni: di autentiche migrazioni per raggiungere i mercati o la persona cara oppure la santa Lalibela, in occasione delle cui celebrazioni religiose in migliaia hanno camminato per giorni, molti addirittura per settimane. Queste figure esili e slanciate, avvolte nei loro bianchi sudari, con la bisaccia ed il “bastone di Abramo”, spesso appena distinguibili in nugoli di polvere, hanno riempito per giorni i nostri occhi con il loro incedere elegante ed elastico, quasi una danza, in cui piedi nudi o calzature assolutamente scarne ed essenziali sembrano sfiorare appena il terreno. Il nostro percorso si è snodato attraverso superbi altipiani, punteggiati da minuscoli villaggi, in un crescendo di scoperte architettoniche e storiche che affondano le loro radici nel mito della regina di Saba e dell’impero axumita, fatti rivivere dalle testimonianze giunte fino a noi e dalle accorate descrizioni delle guide locali che ci hanno accompagnato. Parallelamente a tutto questo, abbiamo condiviso un sentimento religioso diffuso e profondo, ben diverso da quello importato dall’evangelizzazione del ricco occidente “civilizzato”. Non a caso l’Etiopia rappresenta di diritto l’autentica culla della cristianità, in quanto primo Paese del pianeta ad istituirla come religione nazionale. Questo avveniva già nel IV secolo dopo Cristo, laddove nell’impero romano con l’editto di Milano nel 313, promulgato da Costantino I e Licinio imperatori d’occidente e d’oriente rispettivamente, era soltanto sancita la neutralità dello Stato nei confronti di ogni confessione religiosa e, quindi, la fine delle persecuzioni. In seguito la storia vedrà scontri a volte feroci con la sopravvenuta ondata culturale musulmana, la quale tuttavia non riuscirà ad imporsi militarmente, ma soltanto a stabilire alcune enclavi, oggi pacifiche minoranze perfettamente integrate con il resto della popolazione. Nell’arco dei secoli gli scontri a sfondo religioso hanno dato a molte comunità cristiane lo spunto per ritirarsi sulle spesso inaccessibili alture del Tigrai, dove hanno realizzato una miriade di chiese rupestri dal fascino straordinario, che scaturisce dall’incomparabile posizione ed al medesimo tempo da una complessità architettonica ed una ricchezza iconografica spesso insospettabili. E’ piacevole, tuttavia, constatare ALLE RADICI DEL NATALE: UN “GENNA” COPTO A LALIBELA Testo e foto di Pasquale Soda Da un Etiopia Storica gruppo Soda 01 TACCUINO DI VIAGGIO | Etiopia

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TACCUINO DI VIAGGIO | Etiopia

Viaggio, quello attraverso il nord dell’Etiopia, dai

contorni fiabeschi, in una realtà immaginata, sognata e scoperta passo dopo passo, con un’umanità segnata dalla povertà, dal bisogno ed allo stesso tempo da una solidarietà reciproca quale noi sembriamo aver perso. L’approccio verso i farangji, gli stranieri, appare caratterizzato da un sano razzismo alla rovescia, per cui la discriminazione ci impone costi maggiori, retribuzione delle foto, richiesta continua di penne, abiti, danaro e quant’altro possa servire. Superato questo sbarramento preconcetto, però, si entra in contatto con un’umanità profonda e sincera, con una disponibilità per lo straniero che commuove ed accalora in una comunione di spirito profonda. Esempio illuminante è quello offerto dalle celebrazioni religiose come il Genna (Natale copto), dove l’afflato religioso ed umano ha travalicato ogni differenza di colore, cultura o censo. E’ qui che risiede la magia di questo popolo, che dopo averti tormentato ad ogni passo con le insistenti sue richieste, ti lascia poi profonda una traccia nell’anima, che immediatamente dopo la partenza si trasforma in nostalgia ed in desiderio di ritornare. Ritornare attraverso scenari maestosi e diversi, con ambientazioni evocative, con monumenti suggestivi ed imponenti, prodotto della cultura di una razza nobile e bellissima, sempre

in movimento, la quale copre a piedi distanze per noi impensabili, spinta dalla fede o dalla necessità oppure dal commercio. Ed anche di questo, infine, siamo stati testimoni: di autentiche migrazioni per raggiungere i mercati o la persona cara oppure la santa Lalibela, in occasione delle cui celebrazioni religiose in migliaia hanno camminato per giorni, molti addirittura per settimane. Queste figure esili e slanciate, avvolte nei loro bianchi sudari, con la bisaccia ed il “bastone di Abramo”, spesso appena distinguibili in nugoli di polvere, hanno riempito per giorni i nostri occhi con il loro incedere elegante ed elastico, quasi una danza, in cui piedi nudi o calzature assolutamente scarne ed essenziali sembrano sfiorare appena il terreno.Il nostro percorso si è snodato attraverso superbi altipiani, punteggiati da minuscoli villaggi, in un crescendo di scoperte architettoniche e storiche che affondano le loro radici nel mito della regina di Saba e dell’impero axumita, fatti rivivere dalle testimonianze giunte fino a noi e dalle accorate descrizioni delle guide locali che ci hanno accompagnato. Parallelamente a tutto questo, abbiamo condiviso un sentimento religioso diffuso e profondo, ben diverso da quello importato dall’evangelizzazione del ricco occidente “civilizzato”. Non a caso l’Etiopia rappresenta di diritto l’autentica culla della cristianità, in quanto primo Paese del pianeta ad istituirla come religione nazionale. Questo avveniva già nel IV secolo dopo Cristo, laddove nell’impero

romano con l’editto di Milano nel 313, promulgato da Costantino I e Licinio imperatori d’occidente e d’oriente rispettivamente, era soltanto sancita la neutralità dello Stato nei confronti di ogni confessione religiosa e, quindi, la fine delle persecuzioni. In seguito la storia vedrà scontri a volte feroci con la sopravvenuta ondata culturale musulmana, la quale tuttavia non riuscirà ad imporsi militarmente, ma soltanto a stabilire alcune enclavi, oggi pacifiche minoranze perfettamente integrate

con il resto della popolazione.Nell’arco dei secoli gli scontri a sfondo religioso hanno dato a molte comunità cristiane lo spunto per ritirarsi sulle spesso inaccessibili alture del Tigrai, dove hanno realizzato una miriade di chiese rupestri dal fascino straordinario, che scaturisce dall’incomparabile posizione ed al medesimo tempo da una complessità architettonica ed una ricchezza iconografica spesso insospettabili.E’ piacevole, tuttavia, constatare

ALLE RADICI DEL NATALE: UN “GENNA” COPTO A LALIBELA

Testo e foto di Pasquale Soda

Da un Etiopia Storica gruppo Soda

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come così aride valutazioni lascino quasi sempre il posto a vicende che attingano dalla fantasia: secondo una di esse, ad esempio, circa un millennio or sono un bambino di stirpe reale, appena nato, fu avvolto da uno sciame d’api e perciò battezzato Lalibela, ovvero “le api riconoscono la sua sovranità” in lingua agaw. Destinato al trono si tentò di avvelenarlo per cui, caduto in coma, salì in Paradiso e vide una straordinaria città scolpita nella roccia. Dio stesso, quindi, gli ordinò di scendere sulla terra per realizzarla come nuova Gerusalemme.Quest’uomo non era, comunque, re Lalibela, il sovrano cui sappiamo di dover attribuire il nome della città e la realizzazione del suo progetto nel XIII secolo. Innumerevoli sono le leggende che avvolgono la storia di ciascuna di queste chiese ma, al di là di ogni considerazione, resta l’incredibile tessitura di cunicoli e di spazi sottratti alla montagna, che concorrono a realizzare un complesso unico e stupefacente. Esso rappresenta uno scenario magnifico ed immensamente suggestivo il quale, in occasione del Natale, si anima di cerimonie religiose interminabili e coinvolgenti, che caratterizzano la fede cristiana nella sua essenza più pura e poderosa. La ritmica alternanza di momenti di raccoglimento con fasi di letteralmente esplosiva partecipazione di migliaia di fedeli, convenuti da tutta la Nazione ed anche oltre, produce

momenti dall’impatto sonoro ed emotivo travolgenti. Verrebbe da paragonarvi, ma soltanto per caratterizzazione timbrica, il boato del pubblico allo stadio; ben altra, infatti, è qui l’armonia dei canti e la comunione degli spiriti che affratella celebranti e fedeli. Negli anni bisestili l’acme delle celebrazioni, tradizionalmente la notte fra il 6 ed il 7 gennaio, si sposta al giorno dopo, per cui abbiamo finalizzato il nostro programma allo scopo di essere a Lalibela almeno un giorno prima. Decidiamo di sfruttare la mattinata della vigilia per un’escursione in fuoristrada fino a Yemrehanna Christos, distante poco meno di 50Km. Impieghiamo poco oltre un’ora, percorrendo uno sterrato sconnesso e polveroso attraverso la realtà rurale che contraddistingue tutta la regione, con piccoli mercati e rade chiesette, meta di frotte di pellegrini che nell’occasione percorrono veri e propri itinerari penitenziali. Giunti ad uno spiazzo, restano alcune centinaia di metri di viale alberato da percorrere a piedi verso l’alto, fino alla base della montagna che ci sovrasta. Qui, in una fenditura orizzontale della roccia a ridosso di un ruscello, si trova incastonato un autentico gioiello dell’architettura axumita dell’XI secolo, frequentato nell’occasione da splendide fanciulle etiopi in pellegrinaggio. Ancora più stupefacente scoprire che l’intera struttura poggia sopra un telaio ligneo che la salvaguarda

dall’umidità del luogo. Il contrasto della roccia con i colori della facciata della chiesa, a strisce alternate di pietra bianca e legno chiaro, le piccole finestre intarsiate e le complesse geometrie lignee dei soffitti contribuiscono a creare un’atmosfera eterea e misteriosa. Il percorso della scarsa luce naturale che filtra all’interno, poi, crea un fascio luminoso sapientemente sfruttato dall’abate del luogo: posta nel cono luminoso, infatti, la sua sacra croce metallica brilla di bianca luce riflessa, che la esalta in un contesto ricco di ombre rosso tabacco. Pia fila per la benedizione di rito e suggestione alle stelle!Rientrati per un piacevole spuntino al nostro Seven Olives di Lalibela, seguono passeggiata pomeridiana nell’animatissimo mercato lungo la strada delle chiese e cena anticipata alle 18. Alle 18,30 in punto il cronometrico Giovanni Battista, propostosi come diacono e nostro accompagnatore, ci preleva conducendoci mano nella mano attraverso l’inestricabile muro umano che stipa la Chiesa ed i dintorni di Bet Maryam per il momento clou del viaggio: il Genna, o Natale copto! Persi e ricongiunti più volte, ci troviamo stipatissimi e contorti a sagomare i nostri fondo schiena sul ciottolato del muro perimetrale della chiesa, nel cui atrio all’aperto una massa indistinta di personaggi si anima in un ordine ancora da definire. Luogo gremito oltre ogni immaginazione, ma dal colpo d’occhio e dalla posizione ineguagliabili, avevo letto in relazioni precedenti di “panca in prima fila” ed ho visto persone nel recinto della chiesa durante le cerimonie. Dal muro perimetrale scenderò anch’io il mattino successivo: non ho invidiato la loro collocazione se non, forse, per la possibilità di poter scattare qualche ulteriore primo piano fotografico.Poco dopo le 19 iniziano i canti corali, al ritmo dei kebrei, i grandi tamburi rituali, e del tintinnio dei tsinatseil, i sistri, sonaglini metallici all’apice dei maquamia, i bastoni per la preghiera dei celebranti. Squilli di meleket, le trombe, accompagnati dalle tipiche urla delle migliaia di presenti in un’atmosfera quasi da stadio, sottolineano i

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01 Bet Gyiorgis02 Donna a Bet Gyorgis03 Ragazza a Y.Christos04 Yemrehanna Christos

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passaggi più intensi.I sacerdoti compiono danze rituali e processioni cerimoniali (shibsheba) in un vortice crescente di grandi croci d’argento o bronzo dalle diverse fogge, sgargianti ombrelli rossi, verdi e blu, ricamati con sacre figure, fiaccole e sacre icone che vengono portate in circolo nel recinto antistante la chiesa. Le sequenze in genere si articolano in una processione circolare che, passando davanti al palco delle autorità religiose, genera poi due gruppi che si fronteggiano, sempre cantando e danzando con

il sottofondo ritmico e l’intercalare della folla, fino a fondersi in un’unica massa umana, la quale alla fine si scompone di nuovo frontalmente in due gruppi che vanno a formare una processione in uscita. La variante nelle diverse sequenze cerimoniali é costituita essenzialmente dal sottofondo strumentale e dalle sacralia che vengono esibite durante le processioni. Fra una rappresentazione e l’altra lunghe arringhe di sacerdoti, i quali si esprimono nella lingua ge’ez, ignorata dalla quasi totalità della

popolazione ed esclusiva della casta sacerdotaleL’acme emotivo viene raggiunto alle due del mattino circa, quando si odono soltanto i canti dei celebranti misti a quelli dei fedeli a contrappuntare uno scenario illuminato esclusivamente dalle candeline accese che ognuno di noi ha ricevuto e dalla luna piena che ci sovrasta. In questo passaggio di intimo raccoglimento e di straordinario coinvolgimento emozionale e religioso, alcune sacre icone fendono miracolosamente la folla assiepata sui muri e nei dintorni, offrendosi alla personale devozione dei singoli fedeli. Alle tre quasi tutti i sacerdoti, esausti, si stendono per riposare nel perimetro utilizzato per le celebrazioni, mentre a turno uno di loro guida la preghiera della folla. E’ il momento in cui l’affettuoso Mesfin da Addis Abeba mi offre una bottiglia di plastica vuota su cui poggiare la testa a mo’ di cuscino per riposare un’oretta; con lui e la sua famiglia ho condiviso l’intera cerimonia, difendendo strenuamente dalla folla straripante che ci pressava i centimetri quadrati che ci ospitavano sul bordo del muro perimetrale intorno al fossato nella roccia in cui è scolpita la chiesa. Ai primi chiarori dell’alba, l’orizzonte celebrativo si allarga grazie alla riproposizione contemporanea di tutti i sacri oggetti di culto susseguitisi

durante la notte, i quali vanno a comporre un’unica ed enorme processione. Quest’ultima, donandosi alla venerazione dei fedeli stipati gli uni sugli altri, si dipana lungo la cinta muraria, portandosi ad occuparne due lati e lasciando dietro di sé gli altri due ad un’ininterrotta sequenza di sacerdoti che cantano e danzano all’unisono, inchinandosi periodicamente al ritmo di sistri e kebrei, spesso sovrastati dalle urla e dai canti degli astanti.In un’apoteosi di emozioni, trasporto religioso, gioia, suoni il sole del mattino illumina i celebranti ed i fedeli, che lentamente iniziano a defluire, sempre cantando la buona novella e suonando trombe, campanelli e tamburi, mentre si accompagnano ai religiosi con cui hanno condiviso il pellegrinaggio.Alle 9 circa, sfinito ma entusiasta, sono al Seven Olives: ci aspetta una lunga ed intensa giornata da dedicare alla scoperta del complesso monumentale costituito dalle undici chiese rupestri di Lalibela. Resta, indelebile, il ricordo di una lunga, intensa, magica, notte di Natale!

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05 Yemrehanna Christos

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Testo e foto di Aldo Lardizzone

Dal viaggio Ecuador Galapagos gruppo Lardizzone

Galapagos: le isole incantate

L’arcipelago delle Galapagos è uno dei luoghi più

sbalorditivi del mondo. Queste terre, che si sono evolute senza l’influenza dell’uomo, si contraddistinguono dal resto del pianeta per la diversità della fauna, della flora e del paesaggio e

per questo sono conosciute anche come “Las Islas Encantadas”, mentre il nome ufficiale, Galapagos, deriva dalle gigantesche tartarughe che vi abitano. Il modo migliore per scoprire le Galapagos è una crociera in barca e quello che segue è il breve resoconto di un viaggio di una

settimana tra le isole, a bordo di un piccolo yacht. Santa Cruz è l’isola da dove partono tutti i tour. Per cominciare la scoperta delle Galapagos sbarchiamo a Bachas beach, la classica spiaggia da cartolina, con finissima sabbia bianca che contrasta con il nero

delle rocce vulcaniche, il verde della vegetazione, il turchese dell’acqua e il blu del cielo. In lontananza, in mezzo al mare, si distinguono Daphne major e Daphne minor: due isolotti la cui forma conica rivela la loro origine vulcanica.Nell’immediato entroterra, c’è una piccola laguna

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