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ALLE ORIGINI DELL’INDUSTRIA IDROELETTRICA NELLA BASSA VALLE D’AOSTA Reparto Operativo di Pont-Saint-Martin Reparto Operativo di Montjovet 1 STORIE D’ACQUA E D’ENERGIA

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Alle originidell’industriA idroelettricA nellA BAssA VAlle d’AostA

Reparto Operativo di Pont-Saint-MartinReparto Operativo di Montjovet

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S T O R I E

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Compagnia Valdostana delle Acque ‒ Compagnie Valdôtaine des Eaux SpA

STORIE D’ACQUA E D’ENERGIA 1

Alle originidell’industriA idroelettricA

nellA BAssA VAlle d’AostA

Reparto Operativo di Pont-Saint-MartinReparto Operativo di Montjovet

Foto di copertina: Veduta della centrale, del ponte romano e del borgo di Pont-Saint-Martin da una prospettiva insolita.

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Presentazione

Introduzione

i. l’avvio della produzione idroelettrica, elemento di trasformazione e sviluppo dell’economia agro-pastorale delle vallate alpine

« Le moment est solennel pour la Vallée d’Aoste » (L.-N. Bich, 1907)I primi passi dell’industria elettrica nell’area alpina nord-occidentale La legislazione nazionale sulle acque pubblichee il suo rapporto con la nascente industria elettricaIl caso della Bassa Valle d’Aosta: tra usi tradizionalidelle acque e precoce vocazione industriale

ii. la società elettrochimica Pont-saint-Martin tra crediti stranieri, attività industriale e decollo elettrico

La costituzione della Società elettrochimica Pont-Saint-MartinL’impianto idroelettrico di Carema della Società elettrochimicaIl ridimensionamento dei piani industrialidella Società elettrochimica e la costruzione della centrale di BardL’epilogo della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin:verso la nascita della Sip

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iii. il progetto di utilizzazione del bacino del lys da parte della società ernesto Breda di Milano

Caratteristiche del bacino del LysLa Società Ernesto Breda di MilanoPrime richieste di utilizzo delle acque del Lys per scopi idroelettriciProgetti di sfruttamento integraleLe concessioni di derivazione di acque in favore della Breda

iV. i primi impianti idroelettrici della Valle del lys: aspetti tecnici

L’impianto di Pont-Saint-Martin della Sip-BredaIl progetto di sfruttamento del lago VargnoLa centrale di Gressoney-La-TrinitéL’impianto Zindra-Gabiet

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V. l’organizzazione del lavoro nei cantieri della sip-Breda

Aspetti tecnici ed infrastrutturaliRisorse umane e organizzazione del lavoro

Vi. la società idroelettrica della Valle d’Aosta (siva) e altre aziende operanti sul territorio della Bassa Valle

Dai progetti originari della Siva al cantiere di Châtillon - MontjovetL’impianto di Montjovet: aspetti tecniciLe linee elettriche Montjovet - Aosta e Montjovet - QuincinettoLa centrale di Hône della Società idroelettrica Villeneuve - Borgofranco, poi Società dell’alluminio italiano (Hône 2)Le centrali di Champdepraz e di Issime

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Vii. Progetti di sfruttamento della Valle dell’evançon e realizzazione delle centrali di Verrès e di isollaz

In Val d’Ayas, tra progetti ciclopici, opposizionedelle comunità locali e mancate realizzazioniLa centrale di Verrès del cotonificio BrambillaLa centrale di Isollaz della Sip

Viii. gli anni d’oro della società idroelettrica Piemonte (sip)

Nascita e sviluppo della Società idroelettrica Piemonte (Sip)Le principali attività della Sip in Valle d’Aosta: “Sincronizzando…” (1922-1930) ed “Elettrosip” (1948-1958)L’inaugurazione dell’impianto di Hône del 1947 (Hône 1)La costruzione delle centrali di Sendren e Zuinoalla fine degli anni CinquantaAttività assistenziali e dopolavoristiche del gruppo Sip

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Presentazione

Un’azienda solida e in piena espansione, CVA – Compagnia Valdo-stana delle Acque SpA, proprietaria a partire dall’anno 2000 di tren-tadue impianti di produzione idroelettrica sparsi su tutto il territorio regionale, raccoglie oggi nelle sue mani l’eredità di quasi un secolo e mezzo di sperimentazioni, attività, successi in uno dei settori leader dell’economia valdostana, quello della produzione energetica.Un paio di anni or sono, in occasione della celebrazione del decennale dell’azienda (2001-2011), si è chiarita l’opportunità di metter mano alla costruzione e all’organizzazione di un primo nucleo di archivio storico aziendale. In questo lasso di tempo sono state condotte accu-rate ricerche bibliografiche e archivistiche e hanno avuto luogo impor-tanti operazioni di recupero di fondi documentari e fotografici. La gran quantità di dati emersa da libri, giornali e riviste e da archivi pubbli-ci e privati ci permette, ambiziosamente, di tentar l’abbozzo di una prima storia delle origini dell’industria idroelettrica in Valle d’Aosta. Tale tentativo è ispirato non solo dal desiderio di colmare una lacuna documentaria e bibliografica, ma anche dalla speranza di riuscire a comporre insieme i pezzi – alcuni già noti, altri molto meno; alcuni fortemente ancorati alle realtà locali, altri legati alle vicende d’impor-tanti gruppi industriali e finanziari anche internazionali – di una storia destinata sicuramente ad altri sviluppi, man mano che nuovi documen-ti e testimonianze si renderanno disponibili.

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Con questi sentimenti e aspettative siamo oggi lieti di presentare e divulgare il primo e-book di CVA, Storie d’acqua e d’energia 1. Alle origini dell’industria idroelettrica nella Bassa Valle d’Aosta, nelle cui pagine sono raccolti i frutti di un lavoro storico sistematico e strutturato sui singoli impianti idroelettrici dei Reparti Operativi di Pont-Saint-Martin e di Montjovet. Proprio nella cosiddetta Bassa Valle d’Aosta ha avuto infatti inizio a cavallo tra Ottocento e Novecento, per una serie di felici circostanze ambientali ed economiche, la produzione idroelettrica a scopi industriali e commerciali. È nostra intenzione pro-seguire e completare la pubblicazione di queste Storie d’acqua e d’ener-gia estendendo la ricerca a tutto il territorio regionale e affrontando dunque, negli anni a venire, la storia dei Reparti Operativi di Châtil-lon e Avise. Quanto alla formula scelta della pubblicazione digitale in e-book, essa ci pare corrispondere in maniera funzionale e attuale alle esigenze della divulgazione: il lavoro messo a disposizione in rete permetterà facilmente non solo a ricercatori e studiosi, ma anche alle singole persone interessate di accedere a un complesso di dati organici e organizzati, in un’ottica di piena condivisione delle informazioni e delle conoscenze.

Riccardo Trisoldi Paolo Giachino Presidente CVA Direttore Generale CVA

Indice

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Introduzione

Le testimonianze delle attività delle generazioni che ci hanno prece-duto non sono sempre facilmente rintracciabili, soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti lavorativi che, in quanto ordinari o addirittura rou-tinari, spesso non sono considerati degni di occupare un posto nella “grande” storia e non trovano spazio nemmeno tra le carte d’archivio. Se è vero che i nomi e il ricordo delle persone dei decenni passati sopravvivono solo nella memoria di chi le ha amate, è anche vero però che le opere sono rimaste, segni tangibili sul territorio e nel paesaggio delle scelte compiute, dei progetti formulati e realizzati e quindi, indi-rettamente, testimoni del lavoro sollecito di tutti e di ciascuno. Proprio a partire dai singoli impianti idroelettrici (centrali, dighe e bacini) si è articolata la ricerca che ha portato alla redazione di questo e-book, nel tentativo, per ogni struttura, di mettere insieme il maggior numero possibile di pezzi della sua storia: dalla società che l’ha pro-gettata, alle ditte che l’hanno costruita, alle aziende nelle cui mani è passata nelle sue diverse fasi di attività produttiva. Un lavoro non facile, decollato con una lunga e dettagliata ricognizione bibliografica, condotta a tappeto sui fondi librari regionali e di alcuni archivi impor-tanti, come quello storico di Telecom Italia, che incorpora l’importan-te raccolta di documenti della Sip, il grande gruppo industriale di rile-vanza nazionale che prima dell’avvento di Enel nel 1962 ha dominato per quasi mezzo secolo il settore della produzione e della distribuzione di energia elettrica in Italia e anche in Valle d’Aosta.

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Il contenuto di questa prima tranche della ricerca s’incentra in partico-lare sul territorio appartenente ai Reparti Operativi di Pont-Saint-Martin e di Montjovet. Le informazioni nel testo sono state organizzate in maniera cronologica e in un’ottica che intreccia la presentazione del singolo impianto con le vicende delle varie aziende costruttrici. Parti-colare cura e valore sono stati attribuiti alla selezione delle immagini d’epoca, molte delle quali inedite, provenienti da diversi fondi archi-vistici, anche privati; il fatto di distinguere le fotografie attuali tramite l’uso della cromia è frutto di una precisa scelta espressiva. Le fotogra-fie storiche sono da intendersi come ulteriori testimonianze e fonti utili alla ricostruzione dei fatti; accanto a foto tecniche ed ufficiali, realiz-zate da professionisti, trovano spazio anche immagini amatoriali, che riproducono i gesti e i volti dei lavoratori nello svolgimento delle loro mansioni.Alcune avvertenze per chi si accinge alla lettura. Certe pagine, di carattere esclusivamente descrittivo, parranno forse connotate da un eccessivo tecnicismo. Il fatto è che alcune delle fonti del lavoro sono costitute da relazioni d’epoca, ingegneristiche e tecniche di alto livel-lo, che sarebbe stato un vero peccato trascurare del tutto. Per quanto riguarda poi le unità di misura utilizzate e i relativi dati numerici con-tenuti nel testo, non ci si stupisca di rinvenire magari, altrove, infor-mazioni sensibilmente diverse; è un problema che abbiamo dovuto affrontare nel momento in cui, nel corso della ricerca, si è constatata una certa difformità nella trasmissione dei dati, nei vari documenti a nostra disposizione. Abbiamo risolto la questione decidendo di indica-re chiaramente, nell’apparato di note o in bibliografia, la nostra fonte; nel caso degli impianti appartenenti al gruppo CVA, evidentemente, ci siamo appoggiati anche agli uffici tecnici di competenza.

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Come si potrà facilmente notare sfogliando le pagine del volume, infine, su alcuni impianti la documentazione risulta abbondante, pre-cisa e circostanziata; su altri invece, al momento, è scarna ed incerta. Nel ringraziare di cuore tutti coloro (e sono tanti!) che hanno fornito il loro contributo e la loro collaborazione in questa ricerca, auspichiamo che la sua pubblicazione faccia scaturire in molti – soprattutto in chi alla costruzione e manutenzione di centrali e dighe ha lavorato per una vita intera – ricordi vivi e nuove testimonianze da portare: tasselli di un mosaico che ricompongono storie vissute, sullo sfondo della “grande” storia dell’economia della nostra regione.

Marie-Rose Colliard

Indice

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l’avvio della produzione idroelettrica,elemento di trasformazione e sviluppo dell’economia

agro-pastorale delle vallate alpine

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l’avvio della produzione idroelettrica, elementodi trasformazione esviluppo dell’economia agro-pastorale dellevallate alpine

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agro-pastorale delle vallate alpine

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« Le moment est solennel pour la Vallée d’Aoste »(L.-N. Bich, La Vallée d’Aoste de l’avenir, Aoste 1907)

È innegabile che l’avvento dell’industria idroelettrica a cavallo tra Otto e Novecento e la sua diffusione nel corso del XX secolo abbiano rap-presentato un fattore fondamentale di trasformazione e di sviluppo del-la tradizionale economia agro-pastorale, artigianale e proto-industriale delle vallate alpine. Con tempi e modalità molto diversi, in alcuni casi già a partire dalla fine dell’Ottocento, per lo più nei primi decenni del Novecento e talora sino al secondo dopoguerra ‒ epoca della costru-zione delle dighe monumentali, come quelle di Beauregard in Valgri-senche e Place-Moulin nella Valpelline, per quanto riguarda la Valle d’Aosta ‒ l’industria elettrica ha costituito un elemento propulsore del processo di modernizzazione e avanzamento proprio dell’industrializ-zazione, venendo a rompere in maniera irreversibile l’equilibrio delle attività rurali, della produzione artigianale e dell’industria di base qua-le si manteneva sostanzialmente immutato da secoli. Ma è anche una profonda e radicale trasformazione sociale e culturale in senso lato quella che investe la montagna nel corso del Novecento: una trasfor-mazione in cui l’acqua gioca un ruolo di primo piano, per i notevoli cambiamenti sopravvenuti nei suoi utilizzi e nella sua valorizzazione, con le nuove forme di approvvigionamento energetico legate alla dif-fusione dell’industria idroelettrica e alle loro applicazioni nella vita di tutti i giorni e nelle varie attività produttive.L’energia elettrica ha caratteristiche sostanzialmente diverse da quel-le delle altre fonti conosciute al momento della sua diffusione: essa è

1/1 - Foto di copertina: Panorama di Gressoney-La-Trinité; sullo sfondo la centrale e la condotta forzata.

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facile da trasportare e il suo impiego garantisce una forma di pulizia inimmaginabile in altri casi; la possibilità di disporre, a costi relativa-mente bassi, di energia destinata sia all’utilizzo in loco sia alla ven-dita e alla distribuzione ‒ energia che nei primi decenni del secolo si affianca al carbone per poi spesso arrivare a sostituirlo ‒ presenta indubbi ed insperati vantaggi economici. E non si sottovaluti l’apporto di novità e anche di turbamento agli equilibri sociali locali, in sistemi fondamentalmente conservatori come quelli alpini, fornito dall’arrivo e dalla concentrazione di risorse e capitali esterni di società che inten-dono realizzare i nuovi impianti, società in cui entrano in gioco forzefinanziarie notevoli, di portata nazionale ed anche internazionale, come si avrà modo di illustrare. L’avvio stesso dei cantieri di costruzione delle centrali comporta quasi dappertutto e quasi sempre una massiccia immigrazione di lavoratori specializzati provenienti da altre regioni d’Italia e questo fatto giunge, in diversi casi, a trasformare il volto delle comunità locali, a seguito del definitivo trasferimento di molti operai, della formazione di nuove famiglie “miste”e dei relativi processi di integrazione sociale.Il montanaro ‒ si sa ‒ per evidenti motivi ambientali, è spesso tradizio-nalista, non di rado diffidente rispetto alle novità, soprattutto se queste provengono da un mondo diverso dal suo. In particolare, egli è poco incline ad abbandonare le sue certezze e poco disposto a metter mano ad iniziative mai esperimentate; se lo fa, lo fa con tutta la prudenza che gli è propria. Nel percorrere questo primo profilo delle origini dell’industria idroelettrica nella Bassa Valle d’Aosta, non potremo non stupirci del numero e dell’importanza dei soggetti (persone singole, società, consorzi, ecc.) non valdostani, che sono stati protagonisti di

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significativi progetti imprenditoriali ed industriali agli inizi del XX secolo. Ebbene, di fronte a tali e tante proposte provenienti dall’ester-no, i montanari si sono spesso arroccati in forme di salvaguardia di quelli che consideravano come loro diritti secolari e privilegi: primi fra tutti, gli usi delle acque, il bene ritenuto in assoluto più prezioso e essenziale, per la vita di persone e animali. Numerosi sono stati, nei decenni passati, gli esempi di difesa degli usi tradizionali delle risorse idriche nell’ambiente montano, di contro ad un generico “pericolo” proveniente dall’esterno e ad un uso indiscriminato e del tutto nuovo che suscitava perplessità e timori. Lo sfruttamento delle risorse agri-cole e silvo-pastorali sembrarono ancora a lungo, alla maggior parte dei Valdostani, poter corrispondere alle esigenze di una popolazione che aveva saputo adattarsi, nel tempo, ad un ambiente impervio e osti-le, dominare la natura e ricavarne mezzi sufficienti per rispondere ai bisogni primari individuali e collettivi. Nel panorama di tale diffusa diffidenza verso un mondo imprendito-riale che si percepiva spesso come rapace, non mancarono però, anche in Valle d’Aosta, figure illuminate che, per formazione, ampiezza di esperienze e vedute o semplicemente per lungimiranza e intuito perso-nale, seppero riconoscere nel settore idroelettrico il principale poten-ziale ambito di sviluppo e crescita della regione. A questo riguardo riproduciamo volentieri quanto scriveva, nel 1907, nell’opuscolo La Vallée d’Aoste de l’avenir. Le problème du jour: l’agriculture et les industries, Louis-Napoléon Bich (1845-1909), tra i fondatori del Comice Agricole, giornalista e scrittore, attento al cam-biamento dei tempi:

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« L’utilisation des forces hydrauliques pour la concentration de l’énergie électrique destinée à remplacer le combustible dans la traction et les industries est le plus grand problème du jour […]. La Vallée d’Aoste, par sa position géographique, topographique, hydraulique, exceptionnelle en Italie, ne doit-elle pas participer largement au grand réveil de l’industrie nationale ? Enclavée dans les plus hautes montagnes de l’Europe, cernée par de grands glaciers séculaires, ses eaux qui se précipitent avec impé-tuosité dans les anfractuosités des monts donnent naissance à des chutes pouvant rejoindre les mille mètres. Tous les cours d’eau utilisables de la Vallée sont susceptibles de produire des centaines de milliers de chevaux dynamiques pour alimenter les établissements manufacturiers et métallur-giques les plus florissants. Le moment est solennel pour la Vallée d’Aoste. Les problèmes qui se présentent en ce moment à notre solution sont des plus graves et d’une importance exceptionnelle. Nous avons aujourd’hui sur le tapis trois grandes questions qui doivent préoccuper tous les valdô-tains qui conservent dans leur cœur le feu sacré de la patrie : la percée de nos Alpes, le mouvement des étrangers, l’utilisation de nos forces hydrau-liques pour l’installation d’établissements hydro-électriques, manufactu-riers et métallurgiques qui donneront un nouvel essor à la viabilité, aug-menteront le mouvement de la population et des étrangers, et nous créeront une source de bien-être. C’est vers ce but que les valdôtains doivent en ce moment faire converger leurs forces. Aujourd’hui l’industrie a besoin de la houille blanche ; le moment est favorable. Il faut aussi savoir profiter des circonstances, des conditions des marchés internationaux […]. Ce serait douloureux de voir transporter ailleurs toutes nos forces électriques quand il est prouvé que c’est de leur utilisation sur place que le pays attend sa régénération économique […]. Les temps sont peut-être plus rapprochés qu’on ne le croit, où l’on verra notre Cité et le pays entier hérissés d’usines et de fabriques, où les habitants trouveront sous le toit natal le pain qu’ils vont maintenant chercher dans les régions hyperboréennes […]. L’électri-

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cité fournira partout la lumière, le combustible, la traction des véhicules ; elle fera fonctionner les machines et instruments de labour ; de puissantes pompes extrairont l’eau des canaux, des réservoirs, des puits pour arroser des campagnes aujourd’hui stériles ; elles dessècheront, assainiront des marécages pour redonner la fertilité aux terres improductives. Mais pour arriver à ces merveilleuses applications de nos forces hydrauliques, les valdôtains ne doivent pas imiter l’avare qui est mort de faim en contem-plant son trésor de peur d’y toucher. Ces richesses ne valent rien si on ne sait pas les exploiter, si l’on se contente de laisser l’eau couler, couler dans la Doire pour aller fertiliser les riches plaines du Vercellais. Il dépend du bon sens, du tact, de l’intuition des valdôtains de transformer notre Vallée en un grand pays agricole et industriel en même temps, en faisant un juste partage entre le travail et le capital qu’ils doivent savoir attirer pour le réveil de l’industrie ». Nota 1

A distanza di quattordici anni, nel bel mezzo dei lavori avviati dalla Sip-Breda per lo sfruttamento della Valle del Lys, così si esprimeva a sua volta Jules Brocherel (1871-1954) sulle pagine del suo giornale “Augusta Prætoria”, nel tentativo di informare ed incoraggiare i Valdo-stani sui progressi di un’industria che pareva destinata ad uno svilup-po inarrestabile, in un momento in cui, tra l’altro, la penuria d’acqua dovuta a motivi meteorologici ne faceva percepire tutta l’importanza economica a livello nazionale:

« La pénurie actuelle en énergie électrique, ensuite de la sécheresse pro-longée qui a réduit au minimum le débit des cours d’eau, a mis en évi-dence le rôle que l’industrie hydro-électrique exerce désormais dans la vie économique et sociale d’un pays comme l’Italie, dépourvu de houille noire. Il n’y a rien que la privation d’un élément indispensable au rouage de la vie qui en fasse sentir autant l’utilité. Pendant et après la guerre, la

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crise du charbon nous a révélé cette vérité de La Palisse que nous étions le pays le plus riche en houille blanche, cinq millions de chevaux dyna-miques au bas mot, et qu’au lieu de débourser chaque année des milliards à l’étranger pour acheter à des prix exorbitants cette précieuse matière qu’est le charbon, nous aurions mieux fait de placer cet argent dans le pays même, pour mettre une bonne fois en valeur nos ressources hydrau-liques […]. L’accaparement soudain des eaux de nos torrents de la part de puissantes sociétés industrielles a fait germer auprès des communes et des campagnards de regrettables préventions à leur égard, parce que, en leur raisonnement simpliste, ils ont cru entrevoir en ces entreprises des enne-mis qui cherchaient à les dépouiller de ressources dont ils étaient les seuls à jouir jusqu’ici. Beaucoup ont pensé qu’il s’agissait là d’un avantageux placement des extra profits de la guerre et que les travaux gigantesques, dévorant millions sur millions, étaient destinés à fructifier de gros divi-dendes aux heureux actionnaires. Or, il est bien que ce préjugé ne fausse plus le bon sens de notre population rurale ; se croyant la plus frappée par ce nouvel état de choses, elle a besoin d’être éclairée sur la réelle portée économique de ces sortes d’affaires... [N.d.R. Segue una lunga analisi dei costi dei cantieri per la costruzione degli impianti idroelettrici].Dans tous les pays à civilisation avancée, même dans ceux qui sont grands producteurs de houille, le problème hydroélectrique est considéré comme une question étroitement subordonnée à la vie nationale, d’où le devoir pour l’Etat de soustraire les entreprises aux aléas de l’initiative privée en les soumettant au contrôle de ses organes techniques et administra-tifs. Tous les pays possédant des réserves hydrauliques se sont outillés d’une législation spéciale, en vue de réglementer et d’intensifier la pro-duction et la distribution de l’énergie électrique qui est un élément de pre-mière nécessité dans la vie industrielle et sociale. La généralisation de ce mouvement est un indice sûr que nous nous acheminons vers des formes nouvelles d’économie industrielle, que de profondes modifications vont

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s’opérer chez les peuples qui pourront élever rapidement le niveau de leur richesse en énergie électrique. Pour l’Italie, c’est un problème vital qui constitue la prémisse de son relèvement économique ; si elle veut s’éman-ciper en partie de la sujétion qu’elle endure envers l’étranger du fait de son indigence en charbon fossile, elle doit valoriser au plus haut degré ses ressources hydrauliques. Tout porte à croire que, pour une fois, elle a pris les raccourcis pour arriver bonne première et que, sur ce point, elle ne se laissera devancer par d’autres pays. Et la Vallée d’Aoste, en raison de l’étendue de ses glaciers, du nombre de ses torrents et de ses lacs, ainsi que de la déclivité prononcée des thalwegs, est admirablement appareillée pour devenir le pays d’élection de l’industrie hydro-électrique ». Nota 2

Il passar del tempo ha evidentemente dato ragione a questi personaggi e alle loro idee. L’iniziale resistenza alla penetrazione di una mentalità nuova, per quanto riguarda gli usi delle acque per la produzione elet-trica, è stata ampiamente superata, nell’arco del secolo, grazie al ri-scontro degli evidenti vantaggi arrecati, nel tempo, a singoli, famiglie e comunità locali. Analizzato sul lungo periodo, l’avvento dell’industria idroelettrica ha creato occasioni di lavoro sul territorio, assorbendo manodopera del posto, e ha indotto processi di immigrazione di perso-nale specializzato che hanno avuto, come ricaduta, positivi fenomeni di integrazione sociale ed economica. Insieme con l’avvio dello sfrut-tamento delle prime risorse turistiche, in molte vallate esso ha contra-stato la tendenza, ampiamente registrata in tutto l’arco alpino occiden-tale, di un lento, ma costante ed inesorabile spopolamento delle zone montane. In presenza di cantieri grandi e duraturi nel tempo, ha sti-molato un ridimensionamento del settore agricolo, una vera e propria tendenza alla riconversione e alla riqualificazione della forza lavoro e

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uno stimolo all’apertura di nuove attività commerciali richieste dalla presenza di grandi afflussi di lavoratori in aree territorialmente limita-te.Un altro elemento positivo, da non sottovalutare, riguarda lo stimolo che è venuto dalla diffusione dell’industria elettrica nel senso della formazione, seppur lenta e faticosa, di un vero e proprio patrimonio di competenze tecnico-professionali di cui la regione era di fatto fino a quel momento priva: ci riferiamo ad una “scuola” di pratica quotidiana di tanti tecnici e operai in un settore, come quello elettrico appunto, qualificato da tecnologie in continuo aggiornamento. Non è sbagliato aggiungere, a mo’ di conclusione, che al momento attuale gli impianti idroelettrici risultano perfettamente acquisiti e per così dire assorbiti dalla cultura della popolazione locale. Essi vengo-no percepiti come fattori identitari e costituiscono parte integrante del paesaggio naturale ed umano.

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I primi passi dell’industria elettricanell’area alpina nord-occidentale

L’industria elettrica muove i primi passi nell’area alpina nord-occi-dentale verso la metà degli anni Ottanta del XIX secolo, sulla scorta di alcune sperimentazioni di illuminazione pubblica condotte a Milano nel 1882 ‒ anno che può costituire dunque la data di nascita dell’indu-stria elettrica italiana ‒ dal Comitato per le applicazioni dell’elettricità sistema Edison in Italia, dell’omonima Compagnia americana. Una campagna di carattere dimostrativo si concretizza nell’alimentazione, mediante una piccola dinamo, di novantadue lampade elettriche ad incandescenza, in sostituzione delle preesistenti a gas, nel ridotto del Teatro alla Scala. Il 28 giugno dell’anno successivo, sempre a Milano, entra in servizio la centrale di via Santa Redegonda e con essa inizia la regolare ali-mentazione della prima rete di illuminazione elettrica d’Europa, che si estende per circa cinquecento metri nei pressi del duomo. La centrale, costruita da tecnici e con materiali statunitensi, è voluta e realizzata da un comitato locale capeggiato da Giuseppe Colombo ‒ rettore del Politecnico di Milano tra il 1897 e il 1921 ‒ che pochi mesi dopo, nel 1884, darà vita alla Società generale italiana di elettricità sistema Edison.Più in generale, l’utilizzo delle risorse idriche per la produzione di energia elettrica era iniziato in Europa a partire dalla metà dell’Otto-cento. Le scoperte tecniche e le loro applicazioni tecnologiche si erano susseguite ininterrottamente nei decenni successivi, emergendo ben presto dal chiuso dei laboratori per raggiungere l’attenzione del gran-de pubblico, che a lungo avrebbe identificato l’elettricità tout court con la “luce”. A Torino, a metà degli stessi anni Ottanta, la fondamen-

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tale scoperta di Galileo Ferraris relativa al campo magnetico rotante e alla trasformazione dell’energia elettrica in forza motrice ‒ con le successive applicazioni delle modalità di trasmissione a distanza della corrente ‒ apriva la strada all’utilizzo dell’elettricità ai vari processi produttivi. Il trasformatore e il ricorso alle correnti alternate resero tecnologicamente possibile la nascita dei moderni sistemi di trasmis-sione e distribuzione di energia elettrica. Il perfezionamento, nel 1879, da parte dell’ing. statunitense L. A. Pelton della turbina idraulica, inventata dal suo collega inglese J. B. Francis trent’anni prima, por-tava alla realizzazione della prima centrale idroelettrica, nel 1880, a Northumberland, in Gran Bretagna. Nota 3Non si sottovaluti la centralità di Torino in questo percorso. La pre-senza, nella città subalpina, di una preesistente cultura accademica di natura elettrotecnica la rendeva orientata alla sperimentazione tecno-logica e impegnata in tentativi di soluzione del problema energetico su scala nazionale. Inoltre, la relativa vicinanza, sulle Alpi, di forze perenni alimentate dai ghiacciai (il cosiddetto “carbone bianco”, come veniva chiamato allora) e gli ampi consumi di una città in costante cre-scita a livello urbano ed industriale costituivano altre due fattori posi-tivi per il suo decollo energetico. Non c’è timore di sbagliare nel dire che il primo sfruttamento e la valorizzazione sistematica delle risorse idriche dell’arco alpino occidentale sono da attribuirsi all’oculata politica energetica del Comune di Torino. Allo stesso modo, nelle altre città piemontesi e ad Aosta, dalla fine degli anni Ottanta, prendevano for-ma diverse iniziative imprenditoriali volte alla costruzione di piccole centrali di produzione elettrica, della potenzialità di qualche decina di cavalli vapore (HP), spesso a prevalente scopo di illuminazione.

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In effetti, il principale obiettivo della produzione energetica in questa prima fase rimaneva quello dell’illuminazione pubblica. È per esem-pio del 1885 la fondazione in Aosta, su iniziativa di François Farinet (1854-1913), per quattro legislature deputato al Parlamento italiano, della Société valdôtaine pour l’éclairage public, il cui primo, modesto impianto ubicato nei pressi della vetreria Favre, derivava le acque dal torrente Buthier. Nota 4 La necessità di provvedere il centro urbano di lampade elettriche, in sostituzione di quelle vetuste ad olio o a gas, fu l’elemento che mise in moto anche a livello locale la ricerca nel set-tore idroelettrico. Quando, il 4 luglio 1886, il treno raggiunse il capo-luogo in occasione dell’inaugurazione della via ferrata, la piazza cen-trale della città era illuminata a festa; la costruzione della ferrovia, in quegli anni, con la componente di modernizzazione e di apertura che comporta, fu un ulteriore elemento di stimolo per la ricerca nel settore elettrico. E mentre uno dopo l’altro i Comuni valdostani si dotavano di impianti di illuminazione pubblica, alimentati da piccole centrali in corrente continua, anche numerosi privati si organizzavano con la fondazione di società o consorzi di produzione di energia. Così, per esempio, il 29 novembre 1895, si costituiva ad Aosta, per iniziativa di notabili locali tra cui l’avvocato Pierre-Joseph Frassy, la Società cooperativa di produzione e consumo di Luce elettrica. Essa costruì la sua prima centrale all’interno di un edificio occupato precedentemente da un mulino, al Pont-de-Pierre, utilizzando una caduta d’acqua della rive Gerbore; già nel 1911 avrebbe inaugurato un secondo impianto, in località Saumont. Nota 5Una svolta storica nel panorama della produzione energetica avviene nella seconda metà degli anni Novanta, con un vero e proprio salto

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dimensionale nella scala produttiva e distributiva regionale, in connes-sione con le esigenze dell’industrializzazione avanzante e, per la città di Torino, anche in rapporto al progetto di elettrificazione dei trasporti urbani. Entro la fine del secolo sono ben tredici le società di produzione (tra cui nel 1899 la Società elettrochimica Pont-Saint-Martin, antesi-gnana della Sip) ad essere istituite nel solo Piemonte. Una statistica condotta dal Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio nel 1911 ci propone un’istantanea sul panorama relati-vo alle aziende piemontesi produttrici e distributrici di energia elettrica nel decennio 1898-1908. Nota 6 Si tenga presente che nel testo vengono segnalate solo le aziende dotate di una potenzialità uguale o superiore ai 3 000 HP (pari a 2 230 kW). La statistica pone il Piemonte al secon-do posto, tra le regioni italiane, per la potenza installata (27 245 HP), dopo la Lombardia (34 922 HP). Nota 7Cinque di queste società operavano nelle province di Novara e Torino, le altre due nel Cuneese. Tutte avevano impiantato centrali idroelettriche integrandole con quelle termoelettriche. La Società di elettricità Alta Italia (Eai), costituita nel 1896, promossa dalla Siemens-Schuckert insieme con la Società lombarda per la distribuzione di energia elettrica, era passata da una potenzialità iniziale di 500 HP ad una di 25 000 HP attraverso la realizzazione di diverse centrali; la sua caratteristica era quella di possedere una rete di distribuzione a Torino, nel Canavese e nel Biellese. La Società per le forze motrici dell’Anza, costituita nel 1903, disponeva di 11 000 HP nell’impianto di Piedimulera (Novarese) realizzato nel 1907. La Società per le forze idrauliche del Moncenisio sviluppava 7 300 HP nelle due centrali idroelettriche della Cenischia. La Società Ossolana produceva 3 000 HP nella centrale sul torrente

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Avesa. La Società per le forze idrauliche dell’Alto Po, in provincia di Cuneo, aveva una potenzialità di 6 000 HP in due centrali idroelettriche e termoelettriche. Sempre nel Cuneese, la Società per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia aveva una centrale idrotermoelettrica a Che-rasco e produceva 3 000 HP. L’Azienda elettrica municipale di Torino, infine, con la sua centrale idroelettrica di Chiomonte, di 14 000 HP, tra-sportava a Torino l’energia con una linea di 55 chilometri a 50 000 volt e disponeva di una riserva termica di 10 000 HP. Il supporto energetico alla giovane industria metalmeccanica torinese, insieme con l’industria laniera e tessile del Biellese e del Novarese, costituisce dunque il fattore chiave per la comprensione dello sviluppo della produzione idroelettri-ca del Nord-Ovest in quegli anni, come risulterà anche chiaro in par-ticolare dalle vicende della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin descritte ampiamente nel capitolo relativo. Tra l’altro, proprio l’area dell’Italia nord-occidentale costituisce in quegli anni un potente elemen-to di richiamo per l’industria elettromeccanica internazionale. Diverse società straniere, in particolare tedesche, accorsero nell’area subalpina portando i primi progetti di valorizzazione delle risorse idriche in senso innovativo e approfittando di alcune congiunture favorevoli, tra cui un regime privatistico che lasciava ampio spazio all’iniziativa individua-le: dalla Siemens di Berlino, alla Aeg di Francoforte, alla Schuckert di Norimberga, alla svizzera (poi milanese) Brown Boveri, tutte queste società entrarono in aperta e accesa competizione tra loro per la ricerca di nuovi sbocchi di mercato, per una produzione in serie che andava dai grandi macchinari elettrici sino alle lampadine. A partire da questo momento, l’immenso patrimonio idrico valdosta-no acquista una importanza inimmaginabile fino a pochi anni prima.

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L’energia elettrica diventa competitiva rispetto ad altri tipi di energia e la sua trasferibilità anche per lunghe distanze risulta la carta vincente. La Valle intravede una possibilità di ripresa dalla generale e diffusa depressione economica in cui la sua industria è scivolata inesorabil-mente nella seconda metà dell’Ottocento, a partire dal settore metal-lurgico, così fiorente invece nel Settecento. Gli studi e gli investimenti promossi in questo ambito avranno l’innegabile merito di far ripartire l’industrializzazione della regione, a cominciare proprio dalla Bassa Valle d’Aosta.

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La legislazione nazionale sulle acque pubblichee il suo rapporto con la nascente industria elettrica

Proviamo ora a delineare, in sintesi, lo sfondo normativo-istituziona-le che, a cavallo tra Otto e Novecento, consentì e promosse il decollo dell’industria elettrica. Mentre qua e là, un po’ dappertutto in Italia, piccole centrali sorgevano per soddisfare le esigenze locali di elettrificazione, di fatto il quadro legislativo continuava a privilegiare il comparto agricolo rispetto ai settori industriali e a demandare unicamente all’iniziativa privata pro-getti e raccolta di capitali ai fini dell’elettrificazione.Con la legge n. 2248 del 20 marzo 1865 sull’unificazione ammini-strativa dei lavori pubblici, le concessioni di acque, che erano rego-lamentate in maniera differente nei vari Stati preunitari, erano state finalmente assoggettate ad una disciplina comune, riguardante sia gli utilizzi agricoli sia quelli per la produzione di forza motrice. La legge riconosceva il diritto degli antichi utenti a derivare acque pubbliche per finalità irrigue o industriali, stabilendo che il rilascio delle conces-sioni avvenisse per decreto regio a seguito di pagamento di un canone annuo, in caso di uso temporaneo, o di un prezzo di vendita, in caso di concessione di proprietà. La concessione veniva rilasciata al termine di un estenuante procedimento, che coinvolgeva la Prefettura, l’Uffi-cio del Genio civile, il Ministero delle Finanze, quello dei Lavori Pub-blici, il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici e il Consiglio di Stato. La legge lasciava peraltro insolute una serie di questioni essenziali ‒ a partire dalla stessa definizione di “acque pubbliche” ‒ che venivano demandate al Codice civile, anch’esso del 1865.La necessità di introdurre modifiche alla normativa vigente e di snelli-

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re le procedure per le concessioni portò, nel periodo immediatamente successivo, all’avvio di diversi progetti legislativi, che in realtà appro-darono solo tredici anni dopo, in maniera definitiva, alla promulgazio-ne di una nuova legge: la n. 2644 del 10 agosto 1884. Quest’ultima, pur non chiarendo il concetto giuridico di acque pubbliche, prescrisse la pubblicazione, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, degli elen-chi delle acque, provincia per provincia, e delle derivazioni effettuate, allo scopo di precisare quali acque dovessero essere soggette a conces-sioni e a pagamento di canone e quali a semplice autorizzazione delle opere, per evitare controversie tra le amministrazioni e gli utenti.Uno dei punti più importanti della legge del 1884 riguardò il chiari-mento del fatto che nessuno avrebbe potuto derivare acque pubbliche o stabilirvi mulini o altri opifici senza titoli legittimi ‒ fissati, questi ulti-mi, nel possesso trentennale anteriore alla promulgazione della legge ‒ o senza averne ottenuto la concessione dal Governo, concessione assog-gettata al pagamento di un canone. Come regola generale fu afferma-ta chiaramente quella relativa alla temporaneità delle concessioni per una durata massima di trent’anni, rinnovabile peraltro, alla scadenza, laddove si riscontrasse il rispetto dei fini per cui la derivazione era sta-ta originariamente concessa. Allo Stato spettava così anche il fondamentale compito di controllo e vigilanza degli obblighi imposti ai concessionari, nel rispetto del pubblico interesse: limitare lo spreco delle acque, evitare il formarsi di monopoli, vigilare sugli abusi (eventuali subconcessioni), persegui-re scopi utili al benessere generale del Paese. Quanto al rilascio delle concessioni, la legge del 1884 tentò anche di semplificare la procedura amministrativa, decentrandola e demandando ai prefetti la competen-

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za in materia, mentre al sovrano rimase solo l’emanazione di decreti di concessione di acque speciali, quali quelle dei laghi, dei fiumi di confine e dei corsi d’acqua navigabili. Se, tramite indicatori statistici, si dà un’occhiata ai risultati che questa legge e i suoi regolamenti attuativi produssero in quegli anni, Nota 8 bisogna riconoscere che fu proprio il settore elettrico, ossia quello legato alla richiesta di derivazioni d’acqua per la produzione di energia da trasportarsi lontano dai luoghi di produzione, a far impennare le ri-chieste di concessioni inoltrate al Governo. Fino alla metà degli anni Novanta del XIX secolo, tra l’altro, nessuna disposizione normativa prevedeva la costruzione di grandi impianti per la produzione e la distribuzione a distanza dell’energia prodotta con la caduta delle acque, ma si privilegiavano le applicazioni immediate. Insomma, l’energia veniva preferibilmente consumata là dove era sta-ta prodotta. Furono successivi, specifici provvedimenti per l’industria elettrica, Nota 9 ad avviare i progetti delle grandi e costose realizzazioni idroelettriche, che ben presto avrebbero permesso all’energia elettrica di affiancarsi e poi sostituirsi ai combustibili fossili importati dall’estero.Nel ventennio successivo, il dibattito sulle risorse idriche vide come protagonisti, accanto ai politici, anche gli economisti, i tecnici, i giuri-sti, gli industriali. Diversi progetti di legge furono avanzati, soprattutto nell’intento di procedere ad una definizione o distinzione tra le acque pubbliche e quelle private; ma nessuno di essi concluse felicemente l’iter legislativo. La fondamentale tappa successiva avvenne nel 1916, allorché fu vara-ta la nuova disciplina sulle acque pubbliche, quando lo scoppio della Grande Guerra rese imprescindibile la riforma della legislazione, in

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vista di un più razionale ed efficace sfruttamento delle risorse idriche nazionali. Alcuni importanti decreti luogotenenziali furono varati in quell’anno: il n. 27 e 57 del mese di gennaio, il n. 1149 del 3 settem-bre e il n. 1664 del 20 novembre. Quest’ultimo, in particolare, attuato dal ministro dei Lavori Pubblici Ivanoe Bonomi, riordinò finalmente tutta la complessa materia in derivazioni di acque pubbliche, rappre-sentando la volontà di interpretare anche diversi e contrapposti inte-ressi e ispirandosi a due principi fondamentali di ordine generale. In primo luogo, si riconosceva che le acque pubbliche, anziché un bene demaniale indiscriminatamente sfruttato dai privati, rappresentavano un grande servizio sociale da utilizzarsi secondo criteri di interesse collettivo; da questo punto di vista le concessioni di acque avrebbe-ro dovuto perseguire fini pubblici, sulla base di una vasta e raziona-le utilizzazione. In secondo luogo si prevedeva la soppressione delle concessioni perpetue e la definizione della durata di un cinquantennio della concessione governativa, al termine della quale sarebbero passa-te allo Stato tutte le centrali idroelettriche, le opere di raccolta e deri-vazione, le condotte forzate, i canali di scarico. Si profilava, dietro la cosiddetta “riforma Bonomi”, una prima forma di nazionalizzazione, che si sarebbe realizzata come sbocco conclusivo di un processo che lasciava grandi margini all’iniziativa dell’industria privata, come di fatto accadde.

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Il caso della Bassa Valle d’Aosta: tra usi tradizionalidelle acque e precoce vocazione industriale

L’utilizzo delle risorse idriche, in ragione della loro abbondanza, ha rappresentato fin dall’antichità un pilastro portante dell’economia dell’intera Valle d’Aosta. Ciò vale anche per il territorio oggetto di attenzione in questo volume, ossia la zona della cosiddetta Bassa Valle, con cui si definisce comunemente, a valle della stretta di Montjovet, la parte percorsa della Dora Baltea, insieme con le vallate dei suoi ultimi quattro affluenti in terra valdostana: sulla sinistra orografica la valle dell’Evançon o Valle d’Ayas e la Valle del Lys o Valle di Gressoney, sulla destra il vallone di Champdepraz attraversato dal torrente Cha-lamy e la Valle di Champorcher percorsa dall’Ayasse.Tale disponibilità di acqua, per usi potabili, domestici e irrigui e per la produzione di energia meccanica per svariate attività artigianali, in primis forge e fonderie, ha costituito da sempre una questione vitale da cui sono dipese la sopravvivenza e la qualità dell’esistenza di uomini e di animali. Mettendo in campo concrete forme di collaborazione e di solidarietà, le comunità rurali hanno imparato fin dai tempi più antichi a superare le contese che possono insorgere di fronte alla gestione di un bene così prezioso, a partire dagli usi irrigui. A questo proposito ne sono la testimonianza migliore la costruzione e la gestione dei rus, le imponenti opere di canalizzazione collettive o consortili che solcano tutto il territorio della regione e che hanno costi-tuito, nei secoli, la base della sua economia agro-pastorale. Realizzati per la derivazione dell’acqua dai torrenti principali, essi la conducono tuttora, durante la stagione estiva, attraverso una rete articolata diruscelli, fin nelle zone che ne hanno necessità, assicurando una ripartizione

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equa e proporzionata delle acque e dando una risposta concreta alle esigenze della collettività, tramite l’osservanza dei severi regolamenti che presiedono alla loro gestione. Gestione che ha assunto un’impor-tanza ancora maggiore dalla fine del Settecento, quando, con il venir meno del sistema dell’ancien régime, le acque sono passate dalle mani dei signori feudali a quelle delle comunità locali, le quali ne sono di-ventate responsabili al cento per cento. Esse hanno dovuto organizzar-si per l’opera di captazione delle sorgenti e di derivazione dai torrenti, per la costruzione dei canali in muratura o in legno, degli acquedotti, dei ponti e delle gallerie, per la gestione delle corvées per la pulizia e per ogni altra forma di manutenzione. Per la costruzione di tutte queste opere le comunità locali hanno dovuto affrontare grandi difficoltà di natura economica e tecnica, ricorrendo, talvolta, a manodopera spe-cializzata, in particolare per la realizzazione dei ponti. Per secoli i rus hanno continuato a scorrere in letti dalla struttura immutata, scavati nella terra o incisi tra le rocce. Solo intorno alla metà del XX secolo si è venuta a modificare talora in maniera sostan-ziale la rete dei canali e dei ruscelli; la disponibilità di nuovi materiali e mezzi e la diffusione dell’irrigazione a pioggia hanno portato per lo più, nel corso del Novecento, alla decisione di trasferire il trasporto delle acque in tubazioni interrate. Già nel Medioevo sono numerosi i rus attestati e in piena attività anche nelle valli di Gressoney ed Ayas. Per quanto riguarda la Valle del Lys, è nota soprattutto la situazione di Lillianes, grazie alle approfondite ricerche del dottor O. Zanolli, che negli anni Ottanta del XX secolo analizzò in maniera dettagliata i documenti dell’archivio comunale e parrocchiale. Ben dodici canali

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sono recensiti come in uso in questo territorio nei secoli XIX e XX; i più antichi risalgono, nella loro fondazione, al Trecento. Dalle testi-monianze risulta che le acque dei rus sono un bene prezioso e fanno l’oggetto di investiture e infeudazioni importanti da parte dei signori del posto nei confronti degli abitanti della zona, i quali sono tenuti, per l’utilizzo delle acque, al pagamento di censi in denaro e in natura. La gestione delle acque concesse avviene generalmente in forme associa-te o consortili, sia per quanto riguarda il loro uso ‒ severamente rego-lamentato da un sistema rigido di turni e orari settimanali prestabiliti, dalle implicazioni tecniche e giuridiche assai precise ‒ sia per il loro mantenimento. Veri e propri consigli di amministrazione agiscono in piena autonomia, stabilendo regolamenti, ripartendo i tempi dell’irri-gazione e rendendo conto delle spese alle comunità locali.Per quanto riguarda la Valle di Ayas, il più celebre di tutti è il Ru Cour-thaud, realizzato nel 1433, che prende avvio nel vallone omonimo, ai piedi del Monte Rosa, là dove si riuniscono le acque che scendono dalle Cime Bianche e dal ghiacciaio dell’Aventina. Anche nel territo-rio di Brusson si contano diverse derivazioni importanti, ampiamente utilizzate sino alla metà del XX secolo: il ru nella gorge di Ruines; due derivazioni a monte di Extrépieraz, in uso un tempo al mulino del villaggio; una per l’irrigazione delle praterie di Vollon; il ru di Fontai-ne, ecc. Altri due canali storicamente importanti si trovano nella parte bassa della vallata e sono quello di Arlaz e il Ru Herbal, che hanno la loro derivazione a poca distanza l’uno dall’altro, sotto l’abitato di Pon-teil. Essi seguono quasi una traiettoria parallela nel bacino di Arcésaz e sul territorio di Challand-Saint-Anselme. Al di sopra del villaggio di Pesan, mentre il Ru Herbal si suddivide in una gran quantità di rivi

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e dà origine al ramo di Challand-Saint-Victor, il Ru d’Arlaz prosegue sino a Orbeille, precipita in cascata al Peson d’Arlaz e raggiunge il promontorio che, sotto la Tête-de-Comagne, divide la valle centrale dalla bassa valle dell’Evançon. Lì esso si suddivide: una parte delle sue acque è dirottata verso la valle centrale, verso Montjovet, dove costeggia la collina e si spinge sino a Saint-Germain; la restante parte raggiunge quasi in orizzontale il territorio di Emarèse. Tutti questi per-corsi, utilizzati per secoli dagli abitanti della montagna, fanno ormai parte integrante del paesaggio delle nostre vallate e ne costituiscono un tratto imprescindibile; e non solo più dal punto di vista dell’econo-mia rurale tradizionale, come dimostra anche la loro recente riscoperta a fini turistici e di valorizzazione ambientale. Nota 10

***Si distingue invece, per certi aspetti, la storia della piana della Dora Baltea nel suo ultimo tratto valdostano, dove sin dalla fine del Sette-cento si afferma una vera e propria vocazione proto-industriale, che costituirà la base dello sviluppo del settore idroelettrico nella nostra regione. Come risulta ampiamente dai documenti d’archivio, ed in particolare da quelli che contengono le liste dei consegnamenti feu-dali, i signori locali ‒ quelli di Pont-Saint-Martin, i Vallaise, i Nico-le de Bard, gli Challant ‒ in età moderna erano proprietari di diversi opifici attestati nei territori di Pont-Saint-Martin, Donnas e Vert, Hône e Bard, Lillianes, ecc. Primitive ruote ad acqua, tramite ingranaggi lignei, muovevano seghe per il taglio del legname, magli e forge per le prime fonderie, frantoi e mulini per la trasformazione dei prodotti del-la terra, martinetti, battitoi per la produzione di stoffe di lana e di cana-

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pa. L’energia ricavata dall’acqua non veniva però ancora trasportata a distanza e quindi i primi centri di questa industria alpina ante litteram erano tutti concentrati lungo i torrenti e i canali. Negli anni 1763-64, per esempio, sulla sola riva sinistra del Lys risultano in azione ben venticinque ruote di diverso tipo, che muovono macchinari destinati a svariate produzioni artigianali. È nel corso del Settecento che gli opifici artigianali lasciano il posto alle prime industrie del settore, in ragione della possibilità dello sfrut-tamento in loco di vari giacimenti di ferro, dell’abbondanza di acqua a disposizione e dell’estensione delle foreste da cui ricavare carbone come combustibile. Nota 11 La nuova situazione che si viene a crea-re, per lo sfruttamento intensivo delle miniere durante l’intero corso dell’anno, è ben nota agli storici locali: gli effetti più preoccupanti sono l’inquinamento massiccio dovuto ai fumi di combustione, che arrecano danni irreparabili alle colture agricole, e il vero e proprio disboscamento di intere zone causato dal taglio indiscriminato dei boschi, anche per il commercio di contrabbando.Ai primi dell’Ottocento Pont-Saint-Martin si afferma definitivamente come cittadina a vocazione siderurgica, grazie soprattutto all’iniziati-va di François-Balthazard Mongenet, un fuoriuscito della Rivoluzione francese, il quale sulla riva sinistra del Lys impianta nel 1798 un alto-forno per la produzione di ghisa. Lo stabilimento riattiva alcune piccole officine già esistenti in paese e riunisce diversi canali di alimentazione idrica già esistenti in un’unica grande forza motrice che alimenta l’al-toforno. Nota 12 Nel panorama industriale del Regno sardo nella prima metà del secolo, la fabbrica di Mongenet gode di una certa conside-razione. Tutte le fasi della produzione sono assicurate e controllate,

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dall’approvvigionamento del metallo, proveniente dalle non lontane miniere di Traversella, ai procedimenti di fusione, sino alla lavorazio-ne del ferro e all’impianto di un laminatoio, che nel 1835 viene salutato come il primo esistente di tal genere in Italia. Due officine succursali ubicate a Carema e a Verrès garantiscono il proseguimento dell’attivi-tà quando scarseggia l’acqua motrice nello stabilimento di Pont-Saint-Martin. Mongenet aggiorna a più riprese le apparecchiature dei suoi stabilimenti acquistando dall’Austria nuovi macchinari in grado di mi-gliorare le capacità di resa e di ridurre le spese di combustione, come i forni a pudler, che funzionano con i gas ottenuti dall’altoforno oppure con i gas di torba. Il combustibile principale, comunque, come per tut-te le altre aziende operanti nel settore siderurgico, continua ad essere il carbone vegetale, consumato in ingenti quantitativi, che contribuisco-no al drammatico disboscamento della superficie forestale della Valle d’Aosta (tra il 1830 e il 1857 la superficie dei boschi valdostani passa da 60 mila a 32 mila ettari e nel 1864 è ridotta a 25 mila).Anche l’azienda di Antonio Cavallo di Ivrea, pure lui maître de forge, concorre ad accentuare la trasformazione di Pont-Saint-Martin in cen-tro industriale. Il suo stabilimento è ubicato sulla riva destra del Lys, in località Glair, a partire dal 1810 e sino al 1882, e ha una succursale in quel di Champdepraz. Seppur non attrezzato come quello di Mon-genet, che produce negli anni migliori sino a 20 mila quintali di ferro, lo stabilimento di Cavallo possiede un altoforno, una fornace, due pudler a gas e realizza una produzione annua di circa 5 mila quintali di materiale finito. Per quanto riguarda i paesi limitrofi, per Donnas ricordiamo almeno, dalla metà dell’Ottocento, la presenza della società l’Esploratrice, di

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cui è azionista principale Camillo Benso di Cavour, la quale avvia ricerche di nuovi filoni di rame e riprende lo sfruttamento della miniera di Hérin a Champdepraz. Per la lavorazione del minerale viene costrui-to sulla riva destra della Dora, a Chiampale, un grandioso stabilimento in cui trovano occupazione più di duecento operai, ma che crea gravi problemi di inquinamento all’aria e all’alveo della Dora. Il successo dell’Esploratrice è effimero. Già nel 1861 gli operai impiegati sono meno di un quinto rispetto a quattro anni prima. Negli anni Settanta, dopo un precedente, fallimentare, passaggio di proprietà, la fabbrica viene acquisita dai fratelli Augusto e Federico Selve, già proprietari di una fiorente attività siderurgica in Westfalia. La presenza della fa-miglia Selve a Donnas segnerà positivamente le sorti del paese, per decenni. All’inizio del nuovo secolo gli occupati nella fabbrica side-rurgica sono 450. Il ruolo di mecenati e benefattori che i fratelli Selve rivestiranno rispetto alla comunità locale trova un riscontro in parti-colare nella costruzione della scuola elementare e dell’asilo infantile, entrambi inaugurati negli anni Novanta del XIX secolo. Nota 13Anche Hône si configura, nello stesso periodo, come un paese in pieno fermento economico. La zona tradizionalmente occupata da attività artigianali e proto-industriali è quella accanto al ponte sulla Dora, il Glairet. Dall’antico complesso di mulini, lì ubicato da tempo imme-morabile, si passa ad una prima fonderia, gestita dalla famiglia Mutta, nella prima metà del Settecento, e dal notaio Jean-Jacques-Philippe Nicola, sino agli anni Ottanta del medesimo secolo. Successivamen-te lo stabilimento passa alla società Defey, Bich & C. (nel 1818) e ai fratelli Cantara di Torino (nel 1833). Questi ultimi introducono impor-tanti innovazioni entrando in concorrenza con l’attività di Montgenet

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a Pont-Saint-Martin, e garantiscono l’occupazione di duecento operai, aprendo una succursale anche a Pontboset. L’attività dei Cantara si arresta però a metà del secolo e nel 1855 è ceduta alla Società Ferriere di Bard, che fallirà già dopo soli sei anni. Dopo alcuni ulteriori pro-blematici passaggi di proprietà nel corso dei decenni successivi, tra gli anni 1890 e 1895 lo stabilimento, insieme con quello esistente in loca-lità Glair de La Cournou, è rilevato da un ingegnere svizzero, Jacques Gossweiler, e da due sue connazionali che vi avviano un’interessante attività di produzione di chiodi da scarpe e ferri da cavallo: si tratta della cosiddetta “fabbrica dei chiodi”, destinata ad avere un buon suc-cesso fino al periodo successivo alla Prima guerra mondiale. Nota 14

***La grave crisi che colpisce in generale il settore siderurgico negli ulti-mi decenni dell’Ottocento, sia per la sua fragilità strutturale e tecnica sia per la mancanza di un sistema imprenditoriale, ha delle evidenti ripercussioni anche in Valle d’Aosta. La regione, oltretutto, dopo l’uni-ficazione italiana, perde molto della sua storica funzione geopolitica, diventando solo più un lembo di frontiera, per giunta francofono, in un Paese italofono. Praticamente solo i Mongenet riusciranno a mantenere alla fine dell’Ottocento un ruolo significativo nel panorama industriale della Bassa Valle, facendo fronte alle difficoltà grazie alla strada del-la concentrazione industriale: essi si assoceranno infatti alle Ferriere di Udine, importante società del settore siderurgico, che assumerà da quel momento il nome di Ferriere di Udine e Pont-Saint-Martin.L’economia valdostana ritroverà nuova linfa nel passaggio tra Otto e Novecento proprio grazie alla valorizzazione delle risorse idriche per

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la produzione di energia per scopi industriali. La nascita dell’industria elettrica e delle prime società elettrocommerciali in Bassa Valle avrà delle responsabilità importanti nel processo di sviluppo e di pola-rizzazione industriale, nel senso che libererà la localizzazione degli stabilimenti e delle fabbriche rispetto al fattore energetico, spezzando la concentrazione che legava sino ad allora impianto di produzione energetica e impianto di produzione industriale. Proprio di questo si parlerà nel prossimo capitolo, che descrive nei dettagli le vicende del-la Società elettrochimica Pont-Saint-Martin.

1 Fonti e bibliografia

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Indice

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La storia della Società industriale elettrochimica Pont-Saint-Martin, operante in Bassa Valle e nel Canavese dal 1899 al 1918, costituisce un pilastro portante delle vicende dell’industria idroelettrica valdosta-na che intendiamo ricostruire in queste pagine.Per certi versi, potremmo dire che la fondazione di questa Società ne rappresenta il vero e proprio punto di partenza, dal momento che essa, contrariamente ai progetti aziendali originari, si specializzò ben pre-sto nella produzione e distribuzione di energia elettrica in un’ottica moderna di mercato; inoltre, dall’Elettrochimica Pont-Saint-Martin sorgerà, nel 1918, la Società idroelettrica Piemonte (Sip), la grande azienda destinata a raggiungere presto, dopo Edison, il secondo posto a livello nazionale, sino all’avvento di Enel nel 1962.Nello stesso tempo, le vicende dell’Elettrochimica sono strettamente legate all’ambiente industriale della Bassa Valle e al progressivo radi-carsi, in questo territorio, di società e personalità di spicco del mondo finanziario e industriale svizzero-tedesco, capaci di trasformarne in maniera sostanziale le attività.Procediamo con ordine. Nel 1882 la vecchia fabbrica siderurgica di Antonio Cavallo, ubicata sulla destra del Lys a Pont-Saint-Martin in regione Glair ‒ di cui si è detto nel capitolo introduttivo ‒ fu venduta per la somma di 160 mila lire alla Società anonima italiana miniere di rame ed elettrometallurgia, che vi impiantò il suo stabilimento. Questa ditta operava nel settore della lavorazione del rame tramite un nuovo procedimento basato sull’uso dell’elettricità. La sua fortuna fu però di breve durata: nel 1890 vi risultavano impiegati solo ventuno operai e

La costituzione della Società elettrochimicaPont-Saint-Martin

2/1 - Foto di copertina: Il canale di scarico e la centrale di Carema della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin.

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già nell’anno successivo l’attività fu sospesa. Gli stabilimenti furono poi rilevati dapprima da una società inglese, poi dalla Société belge des mines che intendeva utilizzare gli stabilimenti di Pont-Saint-Martin, ben attrezzati, per la trasformazione in fosfati della materia prima estratta dalle ricche miniere della Tunisia. In quel momento, lo stabilimento

era comunemente noto col nome di Fabbriche Dora-Lys e, tra i suoi dirigenti, troviamo il nome di un certo Tommaso Hambury, titolare, per conto dell’azienda, di una serie di concessioni importanti di deri-vazioni di acque della Dora Baltea.

2/2 - Pont-Saint-Martin, la ferriera Mongenet.

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A partire dal 21 novembre 1895, Hambury presentava alla prefettura di Torino un primo progetto dell’ing. Vincenzo Soldati Nota 15 per la richiesta di una derivazione di 7,5 mc / sec dalla Dora a Pont-Saint-Martin, con un salto di 10 metri, per aumentare la forza motrice del

suo stabilimento. Pochi mesi dopo, nel 1896, lo stesso Hambury modificava la sua istanza, richiedendo l’autorizzazione per due salti e per una portata complessiva di 15 mc / sec ed una potenza effettiva di 2200 HP. Quest’ultimo progetto venne approvato e la concessione prefettizia relativa fu accordata in data 1° agosto 1898.

2/3 - Pont-Saint-Martin, gli stabilimenti della Società elettrochimica in costruzione lungo la Dora Baltea.

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È a questo punto che le vicende della Fabbrica Dora-Lys s’intrecciano con quelle della Elettrochimica Pont-Saint-Martin.

Per motivi che ignoriamo, ma che possiamo facilmente intuire nel pano-rama della crisi siderurgica di fine Ottocento, Tommaso Hambury, titolare della derivazione suddetta, fin dal 1° ottobre 1898 la cedette ad Albert Dolfus di Lugano, azionista di un gruppo svizzero per la produzione di carburo di calcio e futuro consigliere della costituenda Società elettrochimica Pont-Saint-Martin.Il 20 giugno 1899, a Milano, nasceva infatti la nuova Società indu-

2/4 - Pont-Saint-Martin, veduta di insieme dei fabbricati della Società elettrochimica.

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striale elettrochimica Pont-Saint-Martin, i cui fini sociali dichiarati erano quelli propri dell’industria elettrochimica “in tutte le sue for-me e manifestazioni, dell’utilizzazione di forze motrici e trasporti a distanza dell’elettricità”. Fin dall’inizio l’attività elettrica fu intesa, per l’azienda, come complementare a quella elettrochimica: nell’am-bito dell’attività dello stabilimento, che avrebbe dovuto specializzarsi nella produzione di carburo di calcio ottenuto attraverso l’attivazione di forni elettrici, l’energia elettrica rappresentava una materia prima fondamentale. Tutti gli sforzi furono dunque orientati verso l’abbat-timento dei costi di produzione energetica mediante la costruzione di

2/5 - La centrale di Carema della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin.

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impianti in loco. Obiettivo strategico generale della nuova società era, nei piani originari, la conquista del mercato del Canavese, del Biel-lese e della Bassa Valle d’Aosta; ma, come si avrà modo di chiarire, gli esiti degli sviluppi industriali furono assai diversi dalle previsioni iniziali, per il netto prevalere, col tempo, dell’attività idroelettrica su quella industriale.La sede sociale fu Milano sino al 1917, dopodiché subentrò Torino. In base agli accordi statutari, la Società elettrochimica avrebbe avuto durata trentennale, sino al 31 dicembre 1929. La Società elettrochimica fu dotata di un capitale iniziale di 4 milioni di lire, suddiviso in 20 000 azioni di 200 lire. Principali azionisti furono alcuni gruppi finanziari svizzero-tedeschi, in primis l’azienda Schuckert e C. di Norimberga ‒ dal 1903 Siemens-Schuckert ‒ specializzata proprio nella produzione di apparecchi per correnti ad alta intensità e di forni elettrici: un’azienda evidentemente interessata in maniera particolare dallo sviluppo del set-tore elettrochimico, nel panorama internazionale. Azionisti secondari furono il Credito italiano, la Società italiana forni elettrici di Roma e la Società nazionale per industrie ed imprese elettriche. Queste ultime tre aziende, peraltro, risultavano anch’esse, in modi diversi, legate al mondo finanziario ed industriale tedesco. Nota 16Dunque, anche la Bassa Valle d’Aosta e le risorse idriche della Dora Baltea diventavano oggetto dell’attenzione di imprenditori importan-ti, nazionali e stranieri, che coglievano perfettamente l’importanza strategica del nuovo mercato. Nel consiglio di amministrazione della nuova società sedettero per anni i principali esponenti (amministratori delegati e direttori generali) delle aziende sopra menzionate. Il primo consiglio, in particolare, contava, su undici membri, otto tedeschi, un

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francese e due soli italiani, che detenevano peraltro le cariche diret-tive. Principale finanziatore, per tutti i servizi bancari fu il Credito italiano, già citato. Alla direzione del nuovo stabilimento fu chiamato Antonio Del Pra, ex direttore di una società elettrica di Pavia, per la sua competenza in materia, come risulta dai verbali del consiglio di amministrazione, conservato presso l’Archivio storico Telecom Italia di Torino.

2/6 - Opuscolo illustrativo pubblicato in occasione dell’inaugurazione della centrale di Carema nel 1901.

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L’impianto idroelettrico di Caremadella Società elettrochimica

Per quanto riguarda la costruzione del primo impianto idroelettrico, il progetto originario, degli anni 1899-1901, prevedeva la realizzazione di una centrale a Carema e della stazione di trasformazione a Settimo Vittone, tra Carema e Tavagnasco, con linea di distribuzione da prolun-garsi sino a Ivrea e a Biella. Con contratto del 5 luglio 1899, il consigliere svizzero di amministrazione, Albert Dolfus, cedeva alla Società appena costituita i suoi diritti sulle acque acquistati da Tommaso Hambury e dalle Fabbriche Dora-Lys. Numerose altre richieste di concessione di acque furono prese in considerazione negli anni successivi, tra cui alcu-ne nella valle dell’Evançon; il progetto più significativo di ampliamento riguardò la costruzione di una seconda centrale a Settimo Vittone, la cui domanda venne inoltrata sin dal febbraio 1900, concessione che fu però lasciata successivamente cadere nell’ambito della congiuntura economica nota come “crisi generale dell’industria biellese” dei primi anni del Novecento.Le vicende del primo impianto della Società elettrochimica, conosciu-to all’epoca col nome di impianto idroelettrico “di Pont-Saint-Martin”, facente capo in realtà alla centrale di Carema, sono ben note, da fonti diverse. La sua realizzazione costituiva infatti da un lato l’ultima fase di una serie di progetti volti, fin dal 1895, ad utilizzare la forza della Dora nella zona compresa tra la confluenza del Lys e il ponte ferro-viario di Carema, dall’altro l’avvio di un percorso di ben più ampia portata, come si è detto.Un evento di eccezionalità storica è quello vissuto dalla piccola comunità di Carema il 12 settembre 1901, data dell’inaugurazione della

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centrale. La regina Margherita stessa è presente alla cerimonia e il suo nome, in segno onorifico, viene dato al canale di derivazione dalla Dora, lungo circa tre chilometri, progettato dall’ing. Soldati. Il giorna-le “La Sentinella del Canavese”, nel numero del 12 settembre stesso, riporta una sintetica ma efficace cronaca della memorabile giornata. Ne estrapoliamo alcuni passaggi interessanti:

« A Pont-Saint-Martin, pavesato a festa, giungevano verso il meriggio le varie autorità da Ivrea e da Aosta. Verso le 3 pomeridiane, ora fissata per l’inaugurazione, cominciò ad affluire sulla via provinciale di fronte al

2/7 - Il canale di carico della centrale di Carema.

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viottolo che conduce al fabbricato dell’impianto idroelettrico numerosa folla di invitati, di villeggianti e di curiosi accorsi da Pont-Saint-Martin, da Ivrea e dai comuni vicini [N.d.r. Segue il lungo elenco delle autorità presenti]. Alle 3 precise giungeva in equipaggio la regina Margherita, accompagnata dalla sua dama d’onore marchesa di Villamarina e dal suo cavaliere d’onore conte Oldofredi. La regina venne salutata da applausi della folla e dal suono della marcia reale eseguita dalle bande musica-li d’Ivrea e di Carema […]. Giunta la regina all’ingresso del grandioso fabbricato, ebbero luogo le presentazioni dei vari membri del consiglio d’amministrazione e delle signore […] incaricate del ricevimento di S.M. Giungeva pure il vescovo di Ivrea, monsignor Filippello, incaricato del-

2/8 - La sala macchine della centrale di Carema nel 1901: gli alternatori.

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la benedizione dell’immissione delle acque nel canale […]. Compiuta la benedizione, il comm. Rava pronunciava un breve ma indovinatissimo discorso sulla trasformazione della forza delle acque in luce e calore. Una graziosa bambina biancovestita, figlia del cortesissimo e sempre previ-

dente ing. Antonio Del Pra, direttore della Società elettrochimica di Pont-Saint-Martin, presentava a S.M. uno splendido mazzo di fiori e la regina le regalava un bacio. A S.M veniva pure presentato un elegantissimo album, lavoro artistico del Vezzosi di Torino, contenente fotografie del canale e delle sale delle macchine, eseguite dal fotografo sig. Leydi di Ivrea. La regina ridiscendeva quindi nella sala delle macchine, due delle quali

2/9 - Il quadro dei comandi dei gruppi della centrale di Carema nel 1901.

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furono in sua presenza messe in azione […]. Così finiva questa festa del lavoro, elegante nella sua semplicità, e che fa bene augurare dell’avvenire industriale delle regioni del Canavese e della Valle d’Aosta ».

Progettato inizialmente per una portata di 15 mc / sec, con un salto di 14 metri, l’impianto di Carema fu poi ampliato a 30 mc / sec, per una potenzialità di 3 500 HP, di cui però soltanto 2 200 HP potevano essere forniti in maniera continua.Dal punto di vista della produzione energetica, bisogna infatti sottoli-neare il problema ‒ che costituisce un limite connaturato dell’industria elettrica alle sue origini ‒ della sua stagionalità: la produzione effettiva

2/10 - La sala trasformatori della centrale di Carema nel 1901.

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era strettamente legata alle variazioni della portata dei corsi d’acqua e pertanto l’energia prodotta risultava disponibile in modo discontinuo. Questo limite, a cui si sopperirà di lì a qualche anno con la costruzio-ne dei primi impianti alimentati da grandi laghi artificiali, rappresenta una caratteristica peculiare anche dell’Elettrochimica di Pont-Saint-Martin ai suoi esordi.Per la realizzazione dell’impianto ‒ costata, nell’insieme, circa 3 milioni di lire ‒ 73 proprietari furono espropriati dei loro terreni. I lavori (a monte, scavo per lo sbarramento sul fiume e per il canale di carico, e a valle, sbocco del canale di scarico e avanzamento verso l’e-dificio motori, come si chiamava allora) furono appaltati il 10 gennaio 1900 alla ditta De Bernardi di Ivrea, che vi impiegò 430 operai. Leggiamo la descrizione delle opere nel resoconto che ne fa il settima-nale “La Sentinella del Canavese”, il 19 settembre 1901, una settima-na dopo l’inaugurazione ufficiale:

« La derivazione si effettua quasi dirimpetto alla stazione di Pont-Saint-Martin, dove venne costruita una diga in calcestruzzo di cemento lunga poco meno di metri 90, destinata non solo a dirigere l’acqua verso l’im-bocco, ma anche a sollevarne il livello, ciò che è di evidente vantaggio nel periodo delle acque magre, durante il quale detta sopraelevazione rag-giunge i metri 1,40 a totale beneficio dell’importanza del salto. La cos-truzione di questa diga si cominciò verso la metà del gennaio 1900, dopo avere deviato le acque dalla Dora facendole scorrere in un ramo morto del fiume, di cui si approfondì per circa due metri il letto […]. Il 30 aprile 1900 tutte le opere d’imbocco erano ultimate. Due stagioni estive sono trascorse dalla costruzione della diga, la quale ha felicemente sostenuto l’impeto di molte piene e delle abbondanti acque ordinarie, in grazia spe-cialmente della sua forma molto allungata, la quale fa sì che tutti i gorghi

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che si producono a valle di questi sbarramenti e tentano di minarne le fon-dazioni non possono avvenire che sopra una robusta platea di calcestruzzo dello spessore di un metro circa. [...] Per un percorso di circa 400 metri, il canale è tutto scavato in trincea, attraverso un terreno in parte ghiaioso e in parte roccioso; per altri 400 metri circa è costruito in rilevato, con muri di sponda solidissimi e rafforzato da un terrapieno a scarpa naturale, largo in sommità 3 metri ».

Il materiale elettrico per la centrale di Carema ‒ quattro dinamo del-la potenza di 1 000 HP, sulle cinque previste ‒ fu acquistato dalla Schuckert di Norimberga. La realizzazione delle quattro turbine Francis venne invece affidata alla ditta Riva e Monneret di Milano, che aveva presentato un preventivo inferiore del 50% rispetto a quello della sviz-zera Escher Wyss, esperta nella produzione di macchine a vapore. Per la fornitura dei materiali di rame, a parità di prezzo tra la Metallurgica di Livorno e la ditta Selve di Donnas, venne preferita quest’ultima per la vicinanza sul territorio e la comodità nella gestione delle forniture. Fu infine la ditta Gadda di Milano a fornire i generatori e i trasforma-tori per la stazione di Settimo Vittone. Negli anni successivi, tuttavia, nell’ambito delle forniture, si riscontra che la prevalenza estera si farà sempre più importante, soprattutto nel caso delle apparecchiature elet-trotecniche. Nota 17La prima linea di trasmissione da Pont-Saint-Martin al Biellese, della lunghezza di circa 26 chilometri, utilizzava pali di supporto in legno di castagno o di larice alti circa 12 metri. La linea raggiunse successi-vamente i 75 chilometri ed era capace di trasportare sino a 5 000 HP, in previsione di una successiva espansione della produzione e del mer-cato.

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In conclusione di questo paragrafo, accenniamo infine ad una vicenda curiosa, riportata dalla stampa locale, che testimonia dell’impatto che la realizzazione del primo impianto idroelettrico dell’Elettrochimica ebbe sulle comunità di Pont-Saint-Martin e di Carema. Allorché, nel 1901, la Società avanzò la richiesta di raddoppiare la portata della de-rivazione d’acqua dalla Dora Baltea, nacque tra gli abitanti di Carema il timore che tale aumento di portata avrebbe nuociuto all’alimentazione delle sorgenti del lavatoio pubblico, le cui acque erano già state par-zialmente ridotte con la costruzione del canale industriale. L’ammini-strazione comunale incaricò pertanto un perito di stabilire l’eventuale entità del danno; costui rispose che per il bene comune, per l’igiene e per l’utilità del lavoro delle lavandaie si rendeva necessaria la costruzione di un nuovo lavatoio. La questione, tra la l’Elettrochimi-ca e il Comune, si protrasse irrisolta per anni, nonostante la proposta di un indennizzo di 3 500 lire da pagare alla comunità di Carema, che fu accettata solo con delibera comunale del 4 marzo 1905 e dietro l’obbligo, per la Società, di ripristinare il vecchio lavatoio e riattivarlo nelle sue funzioni. Peraltro, alla fine del mese di novembre del 1907, l’inter-vento richiesto non era ancora stato portato a termine; si ignora se sia poi stato realizzato oppure no.

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Il ridimensionamento dei piani industrialidella Società elettrochimica e la costruzione della centrale di Bard

Per tornare ora all’Elettrochimica e alla sua vera e propria attività industriale che, come si è detto, avrebbe dovuto assicurare all’azienda una certa espansione sul mercato dell’Italia nord-occidentale con la produzione di carburo di calcio, essa fu sì avviata a livello progettuale al momento della costituzione dell’azienda, ma nell’estate del 1900 risultava già abbandonata, a vantaggio della produzione idroelettrica. Nell’anno successivo fu ripresa in considerazione, probabilmente su richiesta della Schuckert, l’opportunità di impiantare i forni elettrici della fabbrica elettrochimica per produrre però non carbonato di cal-cio, ma sali di bario da destinare al mercato saccarifero. I forni furono realizzati nel novembre del 1901 e l’impianto entrò in funzione, in maniera ridotta e con obiettivi del tutto differenti rispetto alle previsio-ni iniziali, nel giugno 1902. Dall’estate del 1902 all’autunno dell’anno successivo vi si produsse barite idrata cristallizzata; dalla fine del 1903 alla fine del 1909 la produzione fu riconvertita in carburo di calcio, nonostante le prospettive di mercato non fossero affatto rosee.L’utilizzo del carburo, preparato per la prima volta dal chimico france-se Moissan nel 1892 per impieghi in agricoltura come insetticida, sta-va conoscendo infatti in quegli anni una inesorabile parabola discen-dente. Dopo aver trovato le sue principali applicazioni nella saldatura ossi-acetilenica che aveva rivoluzionato il sistema delle costruzioni in ferro, nella produzione di fertilizzanti azotati, e nell’industria del gas acetilene per l’illuminazione, il carburo stava vivendo una vera e pro-pria stagione di sovrapproduzione, con crisi periodiche ricorrenti, per il proliferare di fabbriche un po’ dappertutto, in Europa.

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Ben presto, la Società elettrochimica, attenta alle richieste del mercato e alle opportunità di investimento suscettibili di buona resa, modificò i suoi programmi per l’impianto dello stabilimento a Pont-Saint-Martin, e orientò in maniera decisa i suoi sforzi nel senso della produzione e della distribuzione dell’energia idroelettrica, in linea con quanto avve-niva anche altrove, in Italia e all’estero: la corsa all’accaparramento delle concessioni delle acque è un tratto peculiare delle origini dell’in-dustria elettrica, da parte di singoli investitori o di gruppi industriali e finanziari. Da un lato numerose industrie dei settori tessile, siderur-gico, dei trasporti, costruivano impianti idroelettrici per soddisfare i

2/11 - La “vecchia” centrale di Bard, costruita nel 1907 dalla Società elettrochimica Pont-Saint-Martin.

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propri bisogni energetici (tra breve si illustrerà ampiamente, al riguardo, il caso della Breda di Milano, nella Valle del Lys). Dall’altro, aziende dallo sguardo più lungimirante ‒ tra cui possiamo, a giusto titolo, annoverare l’Elettrochimica Pont-Saint-Martin ‒ seppero spe-cializzarsi nella produzione e distribuzione di un tipo di energia più a buon mercato rispetto a quella ottenuta col vapore; e tutto ciò, secondo precisi piani di controllo territoriale, con obiettivi di consolidamento ed espansione aziendale. Nel caso della nostra Società fu l’area del Biellese, con i suoi numerosi stabilimenti tessili, a costituire il natura-le riferimento e lo sbocco della produzione elettrica delle acque del-la Dora Baltea. Trattative particolari furono avviate dalla Società con

2/12 - La “nuova” centrale di Bard, inaugurata dalla Sip nel 1941.

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2/13 - Dati tecnici dell’impianto di Bard, tratti da Sip. Quarant’anni di attività, Torino 1938.

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l’amministrazione comunale della città di Biella e con il consorzio degli industriali della Valle Mosso, in concorrenza con altre aziende di origine svizzera. In questo periodo venne progettato il significativo ampliamento dell’impianto con la costruzione di una seconda centrale a Settimo Vittone, poi non realizzata, come si è già detto, per il soprav-venire di una crisi caratterizzata anche da spietata concorrenza.In particolare, la Società di elettricità Alta Italia (Eai), costituitasi nel 1896 con l’appoggio della Schuckert e specializzatasi nella distribu-zione ad alto voltaggio per scopi industriali, anche tramite l’acqui-sto di energia da diverse aziende autoproduttrici, ostacolò i piani di espansione dell’Elettrochimica in Piemonte. Fu impossibile giungere, in quel momento, ad una qualsivoglia forma di spartizione di aree di distribuzione e alla definizione di una tariffa comune; nello stesso tem-po, fu tenace la resistenza degli industriali locali, legati ancora a for-me assai tradizionali di approvvigionamento di forza motrice (tramite vecchi impianti a vapore messi in funzione durante le magre e antiche ruote idrauliche ancora utilizzate in occasione di portate esuberanti dei corsi d’acqua). Tutto ciò determinò una vera e propria fase di stal-lo per l’Elettrochimica, che culminò più tardi, nel 1909, in una grave crisi, acuita anche dalle difficoltà che doveva affrontare in quegli anni il mercato del carburo di calcio, per eccessi di produzione.Nel frattempo, nel 1907, era entrata in funzione la nuova centrale di Bard, per una portata di 22 mc / sec, un salto di 9,6 metri e una potenza di 1 400 kW. Costruita ai piedi del Forte, nei pressi della monumenta-le strada romana tagliata nella roccia, all’uscita della stretta gola della Dora, essa poteva contare sullo sfruttamento di un bacino imbrifero assai vasto, di quasi 3 000 kmq di estensione. L’impianto di Bard costò

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all’Elettrochimica circa 1 milione e 443 mila lire, ma l’importante in-vestimento risultò pienamente giustificato dalla sua resa, al punto che tutta la produzione della nuova centrale era già impegnata prima della conclusione stessa dei lavori di costruzione. Dopo la breve crisi che aveva colpito il settore tessile tra il 1902 e il 1903, il periodo si carat-terizzava, infatti, sotto il profilo industriale, per una vera e propria im-pennata nella richiesta di energia. Per di più, alcune eccezionali magre invernali della Dora avevano causato in quei due anni una serie di

2/14 - Pubblicità della ditta Marelli, fornitrice di macchinari elettrici.

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interruzioni nella fornitura di energia, non previste nei contratti stipu-lati con i clienti, e l’Elettrochimica si era vista nella necessità di corri-spondere onerosi indennizzi.A partire dal 1904 il già citato ing. Vincenzo Soldati progettò dunque e diresse i lavori per la realizzazione del canale di derivazione dalla Dora Baltea della lunghezza di circa 600 metri, con presa a valle dell’im-missione del torrente Ayasse. Nel frattempo, la Società acquistava dal geometra Camillo Fossati i diritti da lui posseduti sin dal 1900 sulle acque della Dora in quel tratto e nel 1905 il prefetto di Torino le concedeva la derivazione, di durata trentennale, per un canone annuo di 9 291 lire. I quattro gruppi installati nella centrale sarebbero rimasti in funzione sino alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, allorché fu decisa, dalla Sip, la ricostruzione del fabbricato, come risulta anche dal volume celebrativo del quarantennale dell’azienda uscito nel 1938 in occasione della visita di Mussolini a Torino. Nota 18

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L’epilogo della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin:verso la nascita della Sip

Una vera e propria rivoluzione nella struttura societaria dell’Elettro-chimica Pont-Saint-Martin ebbe luogo con la vendita, nel 1910, del pacchetto azionario della Società italiana forni elettrici in favore della Société industrielle d’énergie électrique di Parigi (dietro cui si celava-no ulteriori interessi tedeschi); quest’ultima diventava così la princi-pale azionista della Società elettrochimica. Il cambiamento ai vertici dell’azienda vide l’uscita dal consiglio di amministrazione di Luigi Zunini, amministratore delegato, e di Enrico Rava del Credito Italiano, due personaggi di spicco, che avevano orien-tato per un decennio le scelte societarie. Ora, nella componente dirigen-ziale, diventava preponderante la presenza straniera e questo segnava di fatto l’inizio di una nuova epoca. In effetti, cessò definitivamente la produzione di carburo e fu abbandonato lo stabilimento della fabbrica, dapprima affittato e poi venduto. La nuova strategia aziendale puntò unicamente sull’espansione della produzione idroelettrica: tramite in-tese e convenzioni con altre società analoghe operanti nella zona (Eai in particolare), che prevedevano la spartizione delle aree di vendita e reciproche forniture di energia, e tramite accordi con le industrie tessi-li locali dotate di centrali proprie. La costituzione di una rete di distribuzione unica poteva considerarsi completata, per l’area del Torinese e del Novarese ‒ che comprendeva in quel momento anche il Biellese e il Vercellese ‒ negli anni 1911-1913, alla vigilia della Grande Guerra. Opere importanti di ammoder-namento e di ampliamento dell’impianto furono sostenute in quello stesso periodo con il sostegno della Banca commerciale, che entrava

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nella struttura societaria affiancandosi al Credito italiano. Una svolta completa si ebbe invece con la discesa in guerra dell’Italia; l’Elettrochimica passava infatti, definitivamente, in mani nazionali, per il tramite della Società anonima nazionale per imprese elettriche di Milano e di alcune banche private milanesi prima (come la Belinzaghi e la Zaccaria Pisa) e dei principali industriali biellesi (la ditta Rivetti e figli, Besozzi, la Società anonima delle officine di Netro) poi. A questo punto la parabola della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin può però considerarsi conclusa, perché i cambiamenti che an-dremo a illustrare nelle prossime pagine, con la nascita della Società idroelettrica Piemonte (Sip) il 19 aprile 1918, sono di tanta e tale rilevanza da costituire a tutti gli effetti un nuovo capitolo nella storia dell’industria idroelettrica italiana.

2 Fonti e bibliografia

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l’avvio della produzione idroelettrica,elemento di trasformazione e sviluppo dell’economia

agro-pastorale delle vallate alpine

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il progettodi utilizzazione del bacino del lys da parte dellasocietà ernesto Bredadi Milano

Indice

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il progetto di utilizzazione del bacino del lysda parte della società ernesto Breda di Milano

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Caratteristiche del bacino del Lys

Il torrente Lys, il più lungo degli affluenti della Dora Baltea, solca la valle di Gressoney in direzione prevalente nord-sud per un percorso di circa 40 chilometri. Ha origine dal ghiacciaio del Lyskamm nel grup-po del Monte Rosa, a quota 2 337 metri, e s’immette nella Dora a valle di Pont-Saint-Martin, alla quota di 300 metri: su un tragitto dunque di una quarantina di chilometri, presenta un significativo dislivello di più di 2 000 metri.Sotto il profilo morfologico, la vallata si può suddividere in due sezio-ni abbastanza distinte, separate dalla gola di Pont-Trentaz nel Comune di Gressoney-Saint-Jean: la parte superiore raggiunge al massimo la larghezza di 6 chilometri, mentre quella inferiore arriva a 12 chilo-metri nel Comune di Fontainemore. Dal punto di vista del suo profilo longitudinale, la parte alta della vallata si può considerare suddivi-sa in quattro terrazzi (l’alpe Cortlys, Gressoney-La-Trinité, Gresso-ney-Saint-Jean e Gaby-Issime), raccordati da brusche e ripide rampe, con una configurazione a gradini che, insieme con l’ampiezza dell’ali-mentazione del bacino idrografico, ben si presta allo sfruttamento del-le risorse idriche sotto il profilo della produzione di energia. Pendenze forti e fianchi montani nudi e scoscesi caratterizzano il paesaggio del tratto superiore, in cui le portate di piena del torrente sono piuttosto consistenti. Il Lys è infatti alimentato da numerosi ghiacciai, per una superficie totale di circa 17,5 kmq, una dimensione ragguardevole in proporzione a quella totale del bacino, che è di circa 300 kmq. Più

3/1 - Foto di copertina: Il bacino di Guillemore visto da valle.

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dolce e dalla pendenza più omogenea, invece, la parte inferiore, da Issime a Pont-Saint-Martin, in cui il Lys si presenta meno minaccioso ed è alimentato da diversi torrentelli in cui confluiscono anche le ac-que sorgive; sono numerosi soprattutto quelli del versante sinistro, il cui spartiacque divide la vallata dal Biellese.

Assai piovosa, se paragonata alle altre valli tributarie della Dora Bal-tea, soprattutto per la sua posizione che la espone alle correnti umide

3/2 - Una rara immagine, anteriore al 1917, del ponte romano di Pont-Saint-Martin prima della costruzione della centrale.

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orientali provenienti dal Canavese, dal Biellese e dalla Valsesia, la Valle del Lys è caratterizzata, soprattutto nel suo tratto inferiore, da una vegetazione rigogliosa, dominata sino ai 1 000 metri di quota dalla presenza del castagno. Essa non ha mai avuto la necessità di una rete d’irrigazione particolarmente complessa, per l’esistenza di terreni natu-ralmente permeabili ed umidi.Il progetto di sfruttamento integrale delle caratteristiche oro-idrogra-fiche della valle del Lys è ideato dall’ing. Angelo Omodeo e dal suo

3/3 - Il trasporto delle condotte a Gressoney-La-Trinité, sotto la neve.

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collaboratore ing. Luigi Mangiagalli, per conto della Società italiana Ernesto Breda per costruzioni meccaniche (d’ora in poi semplicemen-te Breda), che avviò i lavori nell’estate del 1916. L’iniziativa del pro-getto spetta al fondatore della Società, ing. Ernesto Breda, coadiuvato dal Direttore generale, ing. Giuseppe Monacelli. Per l’epoca, si tratta indubbiamente di uno dei più interessanti esempi di sfruttamento orga-nico di una vallata.Obiettivo non secondario, accanto alla produzione di energia idroelet-trica per scopi industriali, è quello di assicurare la distribuzione am-pliando la rete già esistente. L’ubicazione stessa di Pont-Saint-Martin, alle porte della Valle d’Aosta, può facilitare i collegamenti in vista del « coordinamento generale della distribuzione di energia; le due con-dutture elettriche principali che dal nodo di Pont-Saint-Martin si spin-gono, l’una a Torino, l’altra a Milano, dove si collegano a tutta la serie dei più notevoli impianti esistenti rispettivamente in Piemonte e in Lombardia, permettono di realizzare quegli scambi di energia ed aiuti reciproci fra due così importanti regioni, tanto auspicati per la migliore utilizzazione delle forze idrauliche »: così recita, nella sua parte finale, il testo del volume L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys da parte della Società Idroelettrica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”, edito a Roma nel 1922 dalla Tipografia del Senato, che costituisce una fonte preziosa per la ricostruzione delle vicende di quei mesi e a cui attingeremo largamente nelle pagine che seguono.

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La Società Ernesto Breda di Milano

La Breda di Milano, alla vigilia della Grande Guerra, si presenta come una delle principali concentrazioni industriali italiane. Nata più di trent’anni prima, nel 1886, come Accomandita Ing. Breda e C., trami-te il rilevamento di un vecchio e malandato stabilimento di costruzioni meccaniche ubicato sulle sponde del Naviglio della Martesana, si tra-sforma ben presto in un moderno complesso industriale, grazie soprat-tutto allo spirito imprenditoriale e alla lungimiranza di Ernesto Breda, un giovane ingegnere civile di origine veneta che, dopo aver soggior-nato a lungo all’estero ‒ in Germania, Danimarca e Olanda ‒ riesce a trasferire nella sua impresa, per una serie di congiunture favorevoli, principi e metodi propri della più avanzata industria europea, in base al principio dell’importanza dell’apporto della cultura tecnico-scienti-fica alla crescita del sistema produttivo.Grazie ad una larga disponibilità di mezzi finanziari, in ragione del fondamentale sodalizio stretto con la Banca commerciale italiana, e forte dell’appoggio del suo illustre cugino Vincenzo Stefano Breda, fondatore dell’acciaieria di Terni, Ernesto Breda nel 1899 dà vita alla Società italiana Ernesto Breda per costruzioni meccaniche.L’azienda si consacra inizialmente alla produzione di materiale fer-roviario; dal 1885 il Parlamento italiano ha infatti varato il testo sulle convenzioni ferroviarie con cui il governo si propone di migliorare l’assetto del trasporto su rotaia su tutto il territorio nazionale; la pre-cedenza assegnata alle imprese italiane nella concessione degli appalti

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3/5 - Pubblicità della Breda su “Sincronizzando…”, rivista aziendale del gruppo Sip, nel 1927.

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costituisce, per la Breda, un’occasione d’oro. I processi produttivi e l’organizzazione del lavoro vengono migliorati mediante la suddivi-sione di macchinari, sempre più perfezionati, e di maestranze, sempre più specializzate, in sezioni omogenee tra loro e collegate. La generazione degli industriali a cui Ernesto Breda appartiene hanno la ferma convinzione che l’Italia debba produrre da se stessa le at-trezzature che le occorrono e ridurre la sudditanza dall’estero per gli approvvigionamenti di materie prime. L’idea dell’indipendenza e del prestigio nazionale si sposa, in questa fase, con una spiccata tendenza alla sperimentazione e soprattutto alla convinzione che l’industrializ-

3/6 - L’invaso di Guillemore in una cartolina degli anni Venti, foto J. Brocherel.

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zazione possa rappresentare l’unica vera alternativa alla società rurale tradizionale e all’egemonia, ancora dominante nel Paese, della grande proprietà fondiaria.Nel 1905, la nazionalizzazione delle ferrovie determina un’ondata cre-scente di ordinazioni collegate al potenziamento della rete esistente e alla costruzione di nuove linee. L’apertura del nuovo stabilimento di Sesto San Giovanni nel 1908 e dell’officina di Niguarda rappresenta un ulteriore passo in avanti per la Breda. Alla produzione di locomoti-ve (presto ampliata con carri merci e vetture di ogni genere) si affianca quella di trattori e macchine agricole e poi di munizioni e prodotti di uso bellico.Nel 1914-1915 sono proprio la mobilitazione industriale e il flusso crescente di commesse pubbliche per l’Esercito e per la Marina a far balzare ulteriormente in avanti l’azienda, che raggiunge il quarto posto in ordine di importanza nell’industria italiana, dopo l’Ilva, l’Ansaldo e la Fiat. L’attività produttiva è estesa alle più svariate produzioni d’im-piego militare: dagli stabilimenti di Milano, Niguarda e Sesto San Giovanni, escono ininterrottamente per la durata dell’intero conflitto, come da una gigantesca macchina da guerra, proiettili e ogni genere di munizioni, cannoni, obici, mortai e persino siluri.È esattamente in questo contesto che matura il progetto di sfruttamento integrale delle forze idrauliche della Valle del Lys per l’approvvigio-namento delle fonti energetiche. Nello stesso momento sono avviati gli studi per l’impianto di un cantiere navale a Marghera, nuovo porto industriale di Venezia (cantiere che vedrà la luce solo dopo la guerra), e viene allestito, nello stabilimento di Milano, un reparto specifico per la produzione di motori di aviazione, fatto basilare in vista della

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successiva trasformazione della Breda, nel momento della difficoltosa riconversione post-bellica.La scomparsa improvvisa dell’ingegner Ernesto Breda, il 6 novembre 1918, pochi giorni dopo l’armistizio e nel momento culminante dei suc-cessi della sua azienda, rappresenta la fine di un’epoca. La necessità di indirizzare l’attività della Breda verso produzioni d’impiego civile, senza più la solida protezione dello Stato e la garanzia di forti crediti bancari, coincide con un nuovo assetto societario e con il cambiamento del gruppo dirigente ai vertici dell’impresa; quest’ultima è peraltro sal-damente tenuta in mano dall’ing. Giovanni Breda, subentrato al padre in un momento difficile sotto il profilo finanziario e complesso anche dal punto di vista sociale come quello dei primi anni Venti, caratterizzato dagli scioperi dei lavoratori e dalle rivendicazioni sindacali del cosiddet-to “biennio rosso”. L’azienda si specializza, da questo momento, nella produzione aeronautica e di armi e amplia la sezione elettromeccanica e di prodotti per l’edilizia e di laminati di largo uso commerciale, che le assicurano continuità di sviluppo in un frangente difficile.

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Prime richieste di utilizzodelle acque del Lys per scopi idroelettrici

Le acque del Lys avevano fatto l’oggetto di attenzione di numerosi industriali piemontesi e lombardi fin dagli anni Novanta del XIX se-colo. Lo studio condotto dalla dottoressa Roberta Rio sui documenti conservati presso l’Archivio di deposito della Regione autonoma Valle d’Aosta, confluito nella pubblicazione del volume Sviluppo industria-le e risorse idriche in Valle d’Aosta dalla fine del XIX secolo ai primi decenni del Novecento, del 2006, riporta l’elenco delle richieste di concessioni avanzate al Genio civile in quegli anni, indipendentemente dall’esito, non sempre verificabile, dell’istruttoria; nel caso del bacino imbrifero del Lys le domande recensite ‒ la cui documentazione è con-servata appunto presso l’Archivio di deposito regionale ‒ risultano più di trenta.Oltre che per piccoli impianti destinati ad usi locali, le richieste più significative di utilizzo delle acque (concentrate sul corso del torrente a valle di Gressoney-Saint-Jean) riguardano la produzione di energia e il suo trasporto a distanza, in specie verso le industrie del Biellese, del Novarese e della Lombardia. Ferma, in realtà, in questa fase, è l’opposizione dei vari consigli comu-nali della vallata. Così deliberano, per esempio, il 22 giugno 1895 gli abitanti di Gressoney-Saint-Jean:

« Considerando che l’acqua del torrente Lys è da sempre goduta dagli abitanti di questa valle, i quali ne trassero derivazioni per l’agricoltura, la pastorizia e l’industria privata, come seghe, mulini, ecc. che sono le prin-

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cipali sorgenti di benessere per detti abitanti e che detta acqua del torrente Lys ha sempre servito all’abbeveraggio del bestiame e all’alimentazione delle varie sorgenti di proprietà privata che vengono utilizzate per i biso-gni della cucina e simili; e considerando che dal prosciugamento comple-to del torrente deriva l’impossibilità assoluta di irrigare e rendere fertili le terre che finora lo furono, nulla sarebbe la probabilità di poter ancora allevare bestiame per la mancanza di foraggio e dell’acqua per abbeverar-lo e si renderebbe in tal modo quasi inabitabile una delle regioni più fertili della Valle ». Nota 19

Nel periodo successivo (decennio 1906-1916) è la manifattura Rossa-ri & Varzi di Galliate a richiedere le concessioni più importanti sia in territorio di Issime sia a Fontainemore e Lillianes, per la costruzione di impianti al servizio dell’alimentazione del suo stabilimento di filatu-ra e tessitura di Ivrea, impianti che ‒ in base alle convenzioni stipulate ‒ avrebbero fornito anche energia elettrica alla Società elettricità Alta Italia (Eai) di Torino. Nota 20 La Rossari & Varzi sarà anche la prima azienda ad interessarsi alle acque del torrente Pacoulla e del lago Vargno, come si preciserà fra breve. Nel 1916 tutte queste concessioni saranno poi rilevate dalla Breda.Tra le esperienze di carattere locale, invece, vale la spesa di ricor-dare che nell’anno 1900 una non meglio definita Società d’elettricità Valle del Lys ‒ su cui purtroppo non possediamo altri dettagli, se non la notizia della sua liquidazione in tempo di guerra Nota 21 ‒ viene autorizzata a impiantare ed esercitare una conduttura elettrica a Gres-soney-Saint-Jean, a scopo di illuminazione pubblica nei due Comuni di Gressoney. La società trasforma un’antica derivazione sulla spon-da destra del Lys, in territorio di Gressoney-Saint-Jean appunto, dove

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esistevano da tempo un mulino e una forgia azionata dall’acqua di un canale alimentato dal Lys. Il mulino stesso viene trasformato in offici-na elettrica e venduto, con rogito del 13 agosto 1901, ad una società a nome di Cesare Petro e dell’ingegner Christillin, personaggio noto nel panorama industriale idroelettrico locale per le sue molteplici iniziative.

3/7 - Centrale di Lillianes in costruzione, 1906.In primo piano gli industriali Varzi e la famiglia Soudaz proprietaria del terreno su cui fu edificata la centrale.

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Progetti di sfruttamento integrale

Veniamo ora alla Breda. La Società avviò e portò a compimento, tra il 1916 e il 1920, una parte consistente dei lavori progettati inizialmente dall’ing. Omodeo, per la costruzione degli impianti idroelettrici nella Valle del Lys. Alla fine del 1920, conferì poi impianti e concessioni alla Società idroelettrica piemontese lombarda Ernesto Breda (nota comunemente come Sip-Breda) costituitasi l’8 dicembre di quell’anno con il concorso della Breda stessa e della Sip, che con ciò fece un altro importante passo in avanti nella sua escalation nel panorama idroe-lettrico della regione subalpina: essa poté, di fatto, a partire da quel momento, esercitare il controllo sulle acque della Bassa Valle d’Aosta e destinare ai consumi piemontesi oltre la metà dell’energia prodotta negli impianti del Lys, energia che sino ad allora era in toto destinata alla Lombardia. La Sip-Breda aveva sede sociale a Milano. All’atto della sua costitu-zione, nel dicembre 1920, la nuova società venne affidata alla direzio-ne dell’ing. Aldo Roncaldier, in qualità di amministratore delegato, e proseguì a tutti gli effetti l’opera iniziata dalla Breda proponendosi di portare a compimento il piano di sfruttamento dell’intero corso del Lys. Nota 22Quest’ultimo si configurò dunque, nelle intenzioni, come è descritto di seguito, partendo da valle, con la costruzione di tre centrali di base (quelle di Pont-Saint-Martin, Gaby e Chemonal) e due (Fontainemo-re e Gressoney-La-Trinité) con funzione d’integrazione invernale, in

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3/8 - Progetto di sfruttamento del bacino del Lys da parte della Breda.

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quanto alimentate da serbatoi artificiali. Segnaliamo peraltro che non tutto ciò che era negli auspici venne poi di fatto realizzato, come si costaterà facilmente alla semplice lettura.L’impianto di Pont-Saint-Martin avrebbe avuto presa a Guillemore di Issime e canale di derivazione sino a La Grangia, bacino imbrifero di 239 kmq di superficie e salto utilizzabile di 542,50 metri di altezza; quello di Fontainemore avrebbe utilizzato l’acqua del lago Vargno e del torrente Pacoulla, con un bacino imbrifero di 6,5 kmq, serbatoi al lago Vargno e al Balma, per una capacità totale di 2 250 000 mc e salto di 778,60 metri; l’impianto di Gaby prevedeva l’opera di presa a Wald, un bacino imbrifero di 123 kmq e un salto di 300 metri; l’impianto di Chemonal, la presa a Gressoney-La-Trinité, 70 kmq di bacino imbrife-ro e un salto di 205 metri; i due impianti di Gressoney-La-Trinité (alpe Cortlys e Zindra-Gabiet), avrebbero avuto il primo la presa a Biel, con bacino imbrifero di 38,5 kmq, salto di 144,75 m e serbatoio di 4 500 000 mc, il secondo un bacino imbrifero di 12,3 kmq, il salto di 727,25 metri e due serbatoi, al Gabiet e allo Zindra, per un totale di 8 400 000 mc. I principali collaboratori dell’ing. Roncaldier all’interno della Sip-Breda furono l’ing. Aldo Rossi, direttore tecnico ed amministrativo; l’ing. Agostino Dalla Verde, direttore di esercizio e responsabile del setto-re elettromeccanico; e l’ing. Carlo Pedroli, incaricato delle pratiche generali e delle pubbliche relazioni (dagli espropri, alle relazioni con terzi, alle linee, ai rapporti intersocietari, alla gestione degli osservatori meteorologici ecc.). Fin dall’inizio, il progetto si configurò come suscettibile di modifi-che e sviluppi ulteriori, con una priorità assoluta per la progettazione di serbatoi stagionali tramite la costruzione di sbarramenti e dighe in

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muratura, al fine di compensare l’eventuale deficit invernale con l’apporto di riserve accumulate nella bella stagione in bacini artificiali. La potenza ipotizzata all’inizio, per l’impianto, nel suo complesso, era di circa 70 000 HP, destinati ben presto ad essere superati.Segnaliamo che il progetto della Breda suscitò non poche perplessità e preoccupazioni tra gli abitanti di Gressoney e dell’intera vallata, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione dell’impianto Zindra-Gabiet. Memori di alcune recenti catastrofi avvenute qua e là in Europa per la rottura di dighe, le comunità locali contestarono il tipo di sbarramento previsto prima dell’avvio dei lavori e proseguirono nella loro opposizione anche dopo il completamento del cantiere, in parti-colare nel 1924, allorché sollecitarono l’intervento del Ministero dei Lavori Pubblici per sopralluoghi alla diga, in ragione di alcune preoc-cupanti perdite di acqua, di cui si dirà nel capitolo successivo. Nota 23

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Le concessioni di derivazione di acquein favore della Breda

Le prime concessioni richieste dalla Breda furono avanzate dall’in-gegner Aldo Tosi nell’estate del 1916: si tratta della richiesta di due derivazioni nel territorio di Gressoney-La-Trinité (in data 3 giugno e 10 agosto 1916), una dal torrente Moos e una sulla sponda sinistra del Lys; di una a Gressoney-Saint-Jean sulla destra del Lys (anch’essa in data 10 agosto) e di una a Lillianes (3 giugno). A sua volta l’ingegner Omodeo firmava la richiesta di una derivazione ad Issime (15 settem-bre) e un’altra richiesta per l’alpe Cortlys, sulla riva sinistra del Lys, a Gressoney-La-Trinité (18 luglio 1917). Nota 24 Nonostante il parere negativo dei consigli delle comunità di Gressoney, si procedette in tutta fretta ad una visita ispettiva, che venne effettuata nel novembre 1916 al torrente Moos e al lago Gabiet, da parte degli ispettori del Ge-nio civile e del Consiglio superiore delle Miniere e di un funzionario delle Ferrovie dello Stato. Nota 25Le domande della Breda risultano tutte quante finalizzate all’eroga-zione di energia a industrie elettrometallurgiche, elettrosiderurgiche e elettrochimiche in parte già attive e in parte da creare per il funziona-mento militare; aspetto, quest’ultimo, che consente alla Breda in que-sta fase di godere del pieno appoggio dei Ministeri della Guerra e dei Lavori Pubblici e di usufruire di agevolazioni previste in vari decreti luogotenenziali promulgati nel corso di quell’anno, in merito alle con-cessioni di pubblica utilità e alla fornitura di elettricità a favore di sta-bilimenti industriali di munizionamento militare. Nota 26 L’istruttoria è

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avviata con grande rapidità, al punto che a nulla valgono in questo caso né i ricorsi di alcuni consorzi irrigui, come quello del Ru di Héréraz a Perloz, timoroso di veder lesi i propri diritti, né ‒ come si è detto ‒ le opposizioni dei consigli comunali della vallata, che rivendicano per sé l’assoluta proprietà e il diritto dell’uso libero e incondizionato delle acque e citano il Ministero delle Finanze davanti al Tribunale di Aosta, ma che poi, già nel mese di dicembre 1916, si dichiarano disposti ad accordarsi con il Governo, in nome di una forma di ripartizione tra

3/9 - Impianto di Pont-Saint-Martin, il ponte-canale sul torrente Pacoulla, foto J. Brocherel.

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3/10 - La condotta forzata dell’impianto di Gressoney e il piano inclinato delle dighe Gabiet in costruzione.

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Stato e Comuni del canone, prevista dalla più recente normativa. E poca influenza ha anche l’istanza avanzata da altre due grandi azien-de idroelettriche emergenti in quel periodo, ossia Edison e Società di elettricità Alta Italia (Eai), assai preoccupate dell’intraprendenza della Breda. Esse pretenderebbero di vincolare l’utilizzo dell’energia pro-dotta solamente agli scopi industriali della ditta ‒ cosa che non trova in realtà riscontro nei termini di legge ‒ in maniera che la Breda non possa far loro concorrenza nella fornitura a distanza. Si spiana dunque in questo modo, tra il 1917 e il 1918, la strada ai pro-getti della Breda, che può metter mano ai suoi cantieri nella Valle del Lys senza rivali né confronti.Il 12 settembre 1918 la Breda ottiene la concessione per la costruzione della centrale idroelettrica di Gressoney-La-Trinité e per lo sfrutta-mento delle acque del torrente Moos e del lago Gabiet, in vista della costruzione dello sbarramento. Il 30 gennaio 1917 aveva già ottenuto la concessione per la derivazione dal Lys a Guillemore di Issime e per la costruzione del canale e della condotta che avrebbero portato l’acqua alla costruenda centrale di Pont-Saint-Martin. Ignoriamo invece la data della concessione per la derivazione dal Pacoulla e per la costruzione dello sbarramento del lago Vargno.La documentazione conservata al riguardo è ampia, molto precisa e cir-costanziata. La rivista nazionale “L’Elettrotecnica” pubblica con dovi-zia di particolari le relazioni tecniche degli ingegneri e dei costruttori. Dal canto suo, la Sip-Breda raccoglie nel prezioso volumetto del 1922, già ricordato, una chiara ed efficace sintesi del suo progetto, corredata di 31 tavole (13 disegni e 18 fotografie) che illustrano con dovizia di particolari lo status dei lavori in quell’anno. La descrizione è condotta

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in maniera sistematica, distinguendo gli “impianti finora eseguiti” da quelli “in costruzione”. Scenderemo, nel prossimo capitolo, in qual-che dettaglio tecnico che potrà risultare interessante soprattutto per chi conosce bene la situazione degli impianti in esercizio oggi.

3 Fonti e bibliografia

3/11 - La sala macchine della centrale di Pont-Saint-Martin, in servizio sino al 1958.

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l’avvio della produzione idroelettrica,elemento di trasformazione e sviluppo dell’economia

agro-pastorale delle vallate alpine

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i primi impiantiidroelettrici dellaValle del lys:aspetti tecnici

Indice

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L’impianto di Pont-Saint-Martindella Sip-Breda

Costruito a partire dagli anni della guerra ed entrato in servizio il 1° agosto 1920, l’impianto comprendeva sbarramento e opere di presa, canale, vasca di carico, tubazioni forzate, collettore, edificio dei moto-ri ‒ come veniva comunemente chiamata la sala macchine ‒ ed edificio dei trasformatori. Con la sua entrata in funzione cessarono il servizio le due piccole centrali di Lillianes e Fontainemore, acquisite, come si è detto, dalla ditta Rossari & Varzi di Galliate. Secondo i calcoli del pro-gettista, l’ing. Omodeo, dall’impianto si sarebbero ricavati circa 60 000 kW di energia nella stagione estiva, e poco meno, in media, durante le magre invernali.I criteri che determinarono la scelta di costruire la centrale in località Borna, poco a monte del ponte romano, sulla sponda destra del tor-rente, là dove il Lys fuoriesce da una profonda stretta, sono molteplici e collegati tra loro, ma si possono riassumere tutti nell’opportunità di disporre della centrale-base all’imbocco della vallata, nei pressi della stazione ferroviaria, in luogo accessibile per i servizi tecnico-ammini-strativi, dove le condizioni meteorologiche permettessero di lavorare ininterrottamente durante l’intero anno. A ciò si aggiunga la possibili-tà, in loco, di valorizzare una caduta di acqua potente, come quantità e dislivello.I lavori di costruzione dell’impianto cominciarono durante il periodo bellico. Per lo sbarramento e le opere di presa fu individuato il sito più adatto nella località di Guillemore, ad Issime, a 900 metri di quota,

4/1 - Foto di copertina: Il gruppo idroelettrico all’interno della sala machine di Pont-Saint-Martin.

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4/2 - Dati tecnici dell’impianto di Pont-Saint-Martin, tratti da Sip. Quarant’anni di attività, Torino 1938.

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poco al di sopra di una bella cascata, mèta di passeggiate e conosciuta dal punto di vista paesaggistico e turistico come il “Gouffre de Guil-lemore”. Nel corso della costruzione dello sbarramento, nel giugno 1917, il Lys danneggiò pesantemente il cantiere della Breda proprio a Guillemore, travolgendo e distruggendo tutti i ponti e le passerelle in legno, per danni complessivi ammontanti a più di 200 000 franchi. « C’est peut-être une vengeance du fier torrent, avant de se laisser réduire à l’état d’esclave », è l’amaro commento dell’editorialista del

4/3 - Le paratoie dello sbarramento di Guillemore, foto J. Brocherel.

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“Messager Valdôtain” nel riportare la breve notizia. Il 30 luglio dello stesso anno, un capomastro della Breda trova la morte nell’orrido; il suo corpo verrà recuperato e sepolto solo quindici giorni dopo. Nota 27

A lavori conclusi, con le opere ultimate sulla sponda sinistra del Lys, il torrente subito a monte dello sbarramento si allargò costituendo un bacino di riserva di circa 101 000 metri cubi e dando vita ad un piccolo

4/4 - La centrale di Pont-Saint-Martin, in funzione sino al 1958, incorniciata dall’arcata del ponte romano, foto J. Brocherel.

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lago, tuttora riserva di pesca, che occupò i prati preesistenti e sommer-se alcune vecchie case. Il canale di derivazione si sviluppava (e si sviluppa tuttora) sul versan-te sinistro della vallata, per una lunghezza di poco più di 10 chilometri, e correva per la massima parte in galleria; lo affiancava in parte una strada di servizio. Esso fuoriusciva dalle gallerie là dove doveva at-traversare, tramite opportuni ponti-canale, i torrenti Pacoulla, Bouro, Giassit e Verney. Il 7 febbraio del 1919 un grave incidente, per motivi che non conosciamo, provocò la rottura di una parte del canale e causò danni alla Breda per più di 2 milioni di lire. Nota 28La vasca di carico, in muratura di pietrame, fu progettata per una capacità di 6 000 metri cubi, in località La Grangia. Il massimo livello dell’acqua era alla quota di 887 metri. Fin dal 1920 la vasca dispone-va di un apparecchio teleidrografico per segnalare in centrale il livello dell’acqua.Per la condotta forzata, il progetto iniziale prevedeva l’installazione di quattro tubazioni; in realtà, sino al 1958, ne saranno montate solo due, chiodate, fornite dalla ditta Togni di Brescia, lunghe 1 142,50 metri, per un salto di 542,5 metri. Nel settembre 1918 la prima era già installata e si stava ultimando la posa della seconda. Nel 1958 verrà aggiunta una terza tubazione, saldata. Il diametro delle prime due tubazioni variava tra i 1 300 e gli 850 millimetri, il loro spessore tra i 6 e i 33 millimetri. Tutte le tubazioni in opera ‒ si sottolinea nel testo da cui attingiamo queste informazioni, il sintetico volumetto della Breda del 1922, più volte citato ‒ furono sottoposte ad un collaudo assai rigoroso. All’ini-zio della condotta c’erano doppi organi di chiusura: paratoia piana con comando a mano ed elettrico a motore, e valvola a farfalla pure con un

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4/5 - La vasca di carico e la partenza delle condotte forzate di Pont-Saint-Martin, foto J. Brocherel.

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comando a mano ed uno elettrico e con chiusura automatica in caso di eccesso di velocità dell’acqua. I comandi elettrici venivano azionati dalla centrale. Inoltre, una valvola automatica di rientrata d’aria per ogni condotta era destinata ad impedire lo schiacciamento dei tubi in caso di rapido svuotamento.Per attraversare la strada che risale la vallata di Gressoney la condotta fu appoggiata su un ponte ad arco in muratura; il Lys fu invece supera-to tramite un ponte ad arco in cemento armato; entrambi gli elementi architettonici furono ben presto percepiti come caratteristiche peculiari del paesaggio naturale ed umano del luogo. Lateralmente alle condotte correva il piano inclinato di servizio, oggi non più utilizzato.Il collettore fu costruito sul retro della centrale, all’esterno. Munito di due scarichi di fondo, contava cinque derivazioni, in lamiera di ferro omogeneo come la condotta: quattro per le turbine degli alternatori e una per le turbine delle dinamo eccitatrici. Un vasto piazzale circondava la centrale, che era divisa in due parti: la sala macchine, che misurava 13,80 per 65 metri, e i locali per l’appa-recchiatura elettrica, con un’appendice per l’officina meccanica. Nel fabbricato vennero installati i seguenti macchinari: una gru a ponte su carrello scorrevole da 40 tonnellate, realizzata dalle Officine elettro-meccaniche Rivarolo Ligure; due gruppi turbina-alternatore composti ciascuno da una turbina Pelton, delle Costruzioni meccaniche Riva di Milano (con potenza massima continua di 14 000 HP e regolatore di velocità autonomo a pressione d’olio, comandabile a distanza) e un alternatore trifase da 12 250 kVA, della Brown Boveri di Milano; due gruppi turbina-alternatore composti ciascuno da una turbina Pelton, delle Officine elettromeccaniche Rivarolo Ligure (con potenza massi-

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ma continua di 7 000 HP e regolatore di velocità autonomo a pressione d’olio, comandabile a distanza) e un alternatore trifase da 6 125 kVA, della Brown Boveri; ancora, due gruppi turbina-dinamo per l’eccita-zione, composti da una turbina Pelton della potenza massima continua di 600 HP, con regolatore di velocità autonomo a pressione d’olio, e da una dinamo esapolare in derivazione. Nella sala era già previsto il posto per altri due gruppi da 14 000 HP.I quadri di comando e quelli per i servizi ausiliari, gli interruttori, i trasformatori di misura, le sbarre, i coltelli, la batteria accumulatori, i reostati di campo, ecc. furono installati in un locale sporgente della sala macchine, da cui fuoriusciva anche la corrente generata dagli alternatori. L’energia attraversava poi il Lys mediante tre palificazioni (ne furono subito previste altre due) e raggiungeva, dopo un percorso di circa 150 metri, all’edificio dei trasformatori, che per necessità to-pografiche fu separato dalla centrale stessa e costruito in località Roc, in posizione panoramica su un promontorio sulla sinistra del Lys, cui si accedeva dalla centrale attraverso un sentiero di servizio oppure dalla strada carrozzabile che risaliva la vallata, attraverso una corta galleria o ancora tramite una piccola teleferica. L’edificio dei tra-sformatori doveva servire non solo per la trasformazione dell’energia prodotta nella centrale sottostante, ma anche per lo smistamento del-le linee in arrivo dalle altre centrali della vallata e per quelle in par-tenza in direzione della pianura. In base al progetto originario, Pont-Saint-Martin avrebbe infatti dovuto costituire il nodo a cui tutti gli altri impianti avrebbero fatto capo e da dove sarebbero partite tutte le linee per la Lombardia e per il Piemonte. Per questo motivo l’edificio dei trasformatori ebbe uno sviluppo notevole, come la sola centrale

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4/6 - L’interno dell’attuale sala macchine di Pont-Saint-Martin.

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di Pont-Saint-Martin non avrebbe forse richiesto. La possibilità della costruzione di un unico edificio a più piani nella gola del Lys era stata originariamente presa in considerazione, ma successivamente scarta-ta per motivi legati alla tempistica dei lavori. La realizzazione di due edifici separati fu ritenuta soluzione più agevole di quella di un unico fabbricato che avrebbe richiesto grandi opere di scavo e concentrazio-ne del cantiere in uno spazio assai ristretto.Nel 1922 risultavano dunque installati nell’edificio nove trasformatori

4/7 - La cabina di trasformazione di Pont-Saint-Martin in una cartolina d’epoca, foto J. Brocherel.

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della Brown Boveri monofasi da 4 100 kVA e due trasformatori delle Officine nazionali Savigliano trifasi da 1 000 kVA. L’edificio era a tre piani: al piano terreno, oltre ai trasformatori, vi erano gli interruttori ad olio da 80 000 V e le bobine di protezione dei trasformatori contro le sovratensioni; al primo piano le sbarre a 80 000 V e l’arrivo delle linee a 6 000 / 7 500 V della centrale; al secondo piano, le uscite o le entrate delle linee ad “altissima” tensione (così veniva definita a quei tempi la linea a 80 000 V), che erano previste in numero di sei, con i relativi scaricatori spinterometrici.Ancora una curiosità: la linea a 6 000 / 7 500 V tra la centrale e la sta-zione trasformatrice era stata inizialmente progettata in cavi, per ragioni di sicurezza. All’atto pratico ci si accorse presto che tale soluzione sarebbe stata assai onerosa, per la necessità di un nuovo ponte sul Lys per il passaggio dei cavi e per la natura rocciosa della parete sui cui gli stessi avrebbero dovuto inerpicarsi. Solo quando i macchinari erano in avanzata fase di costruzione, si optò per la linea aerea, che era con-siderata meno sicura e più pericolosa, ma che non diede poi di fatto nessun problema.L’energia era prodotta per essere utilizzata, come si è già detto, con due frequenze diverse: a 42 e a 50 periodi. La corrente a 42 periodi, con tensione di partenza a 73 000 V, veniva portata per 125 chilometri fino a Sesto San Giovanni dove, in un’ampia cabina, la tensione era ridotta a 13 500 V ed adoperata negli stabilimenti della Breda. Pure a 13 500 V era predisposto un allacciamento con gli impianti dell’Edison. Lungo la linea, nei pressi di Novara, una derivazione serviva per l’allacciamento alla rete della società Imprese elettriche Conti. Da Sesto partiva un’altra derivazione a 70 000 V che si allacciava alla linea

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della Società generale elettrica dell’Adamello. La corrente a 50 perio-di (con tensione di partenza a 45 000 V, ma tensione già prevista, per il

4/8 - Il passaggio nel borgo di Pont-Saint-Martin, nel 1950, di un camion che trasporta lo statore dell’alternatore.

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futuro, a 75 000 V) era ceduta a vari utenti, quali la Manifattura Ros-sari & Varzi, la Società di elettricità Alta Italia di Torino e la Società Lombarda per la distribuzione di energia elettrica di Milano.Per quanto riguarda la storia della centrale nei decenni successivi, una delle principali trasformazioni che riguardano l’impianto nel dopo-guerra è relativa all’installazione del nuovo gruppo, il terzo, nei primi mesi del 1950. Nota 29 Una singolare foto del trasporto dell’alternatore Breda da 22 000 kVA verso la centrale di Pont-Saint-Martin campeg-gia sul numero di “Elettrosip”, il giornale aziendale, dell’aprile 1950. Il pezzo, del peso di circa 50 tonnellate, richiede alla ditta trasporta-trice due giorni di lavoro; esso viene trainato da due autocarri-trattori posti uno in testa ed uno in coda ad un rimorchio a quaranta ruote.Per permettere l’ingresso in centrale, il piano stradale, nel bel mezzo dell’abitato, deve essere abbassato di circa 60 centimetri, con rottura del fondo roccioso.Il fatto che maggiormente segna le vicende della centrale in quegli anni è però la spaventosa esplosione avvenuta il 23 gennaio 1958. Il suo ricordo è ben presente ancora oggi nella memoria di numerosi testimoni, lavoratori presso la centrale e abitanti di Pont-Saint-Martin. Verso le sei di mattina del 23 gennaio, una terrificante deflagrazione sveglia di soprassalto coloro che vivono nel borgo. L’evento è causa-to dall’eccessiva velocità generata dalla turbina senza controllo, che danneggia il rotore dell’alternatore, provocando il contatto meccanico di uno o di più poli rotanti con la parte ferma dello statore, fatto che provoca la disintegrazione sia dello stesso alternatore sia della turbi-na. Le parti di macchinario del peso di diverse decine di chilogrammi, scagliate tutto intorno, anche fino a 150-200 metri di distanza, dan-

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neggiano anche gli altri gruppi e provocano danni persino ad alcuni edifici del paese. A seguito dell’incidente la sala macchine e il tetto di copertura risultano gravemente danneggiati, i muri sono perforati, le finestre distrutte; nell’interno, un cumulo di calcinacci, detriti e parti metalliche ingombra l’intero vano. La causa del grave incidente risul-terà poi essere l’immissione di corpi estranei (frammenti di ghiaccio) nel dispositivo che regola l’afflusso dell’acqua alla turbina: essa ne ha provocato il blocco e la perdita di controllo della velocità, errore non compatibile con i macchinari di quell’epoca. La distruzione delle mac-chine e dello stabile rende necessaria una completa ricostruzione della centrale. Nota 30

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4/9 - I danni al fabbricato della centrale di Pont-Saint-Martin dopo l’incidente del 23 gennaio 1958.

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4/10 - I danni provocati alla sala macchine della centrale di Pont-Saint-Martin dopo l’incidente del 23 gennaio 1958.

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Il progetto di sfruttamentodel lago Vargno

Come si è accennato, il primo progetto noto di sfruttamento delle acque del torrente Pacoulla e del lago Vargno (1665 m slm) in Comune di Fontainemore è quello avanzato dalla Manifattura Rossari & Varzi di Galliate tra il 1906 e il 1916. Nel 1915, in particolare, dopo aver co-struito la centrale di Fontainemore, la ditta acquista da Jean-Baptiste Blanc il lago e il terreno circostante, e nel 1916 presenta un progetto di costruzione di due serbatoi da realizzarsi ai laghi Vargno e Balma per incrementare la producibilità annuale dei suoi impianti.Già nel 1916, però, l’azienda con tutte le sue concessioni, come si è detto, è rilevata dalla Breda e la costruzione della diga, in muratura di pietrame a secco, sarà poi di fatto opera, tra il 1917 e il 1918, dell’in-gegner Luigi Mangiagalli, autore del progetto e direttore dei lavori. L’obiettivo del serbatoio è sia quello dell’alimentazione della centra-le di Fontainemore sia quello della regolazione annuale dell’energia producibile a Pont-Saint-Martin, mediante l’introduzione, nei periodi di magra, delle acque del lago, nel canale dell’impianto di Pont-Saint-Martin: nel caso di improvvisa richiesta di carico, le acque del Vargno avrebbero impiegato circa quattro ore a raggiungere la vasca di carico.L’invaso realizzato al Vargno ha una capacità di 1 250 000 metri cubi. Lo sbarramento è costituito da una diga ad asse fortemente arcuato, in pietrame a secco. Nota 31 Per il trasporto del cemento e degli altri materiali viene installata una teleferica con partenza dalla strada per Gressoney; le pietre, provenienti da depositi naturali e da cave locali,

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sono invece trasportate su vagoncini. La loro posa in opera è effettuata a mano, con una procedura molto accurata, che consiste nella realiz-zazione di una struttura di massi incuneati da blocchi più piccoli: nei paramenti sono collocati i blocchi più grossi e regolari, che degradano verso l’interno; il restante pietrame è inquadrato mediante cordonate regolari nei due sensi, longitudinale e trasversale. Lo sbarramento ha una lunghezza di circa 130 metri e un’altezza di ritenuta di 18 metri, con lo sfioratore posizionato a 1 684 metri di quota.

4/11 - La diga del lago Vargno, in una rara immagine a pieno invaso.

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La tenuta della diga è assicurata da un taglione di guardia spesso 2,5 metri, spinto sino alla roccia viva, e da una struttura impermeabile nella parte interna formata da una muratura di rivestimento in malta di cemento spessa da 1 metro a 60 centimetri, dall’alto in basso. A ciò si aggiungono lesene di rinforzo posizionate a 12 metri di distanza l’una dall’altra, che si internano nel corpo della diga, e altre in cemento armato che sporgono verso l’acqua. Nonostante tutti questi accorgi-menti tecnici, nel 1930, a seguito della registrazione di un aumento considerevole delle perdite a massimo invaso nel serbatoio, viene de-cisa la sospensione, diventata poi definitiva, anche dell’esercizio del Vargno. Particolarmente stonate ai nostri orecchi suonano dunque le parole di Jules Brocherel, che nel suo articolo Lacs artificiels dans la Vallée d’Aoste, pubblicato su “Augusta Prætoria” del 1924, così si esprimeva in merito alla sicurezza del lago artificiale: « Le barrage du lac de Vargno, sur le territoire de la commune de Fontainemore, n’a donné lieu à aucune remarque, que nous sachions, quant à sa stabilité et à son étanchéité. Il est vrai que la charge du réservoir ne dépasse guère 1 500 000 mc: il n’y a donc pas à craindre des infiltrations à tra-vers la digue, dont la longueur et la hauteur sont bien inférieures à celles du Gabiet ». Nota 32 Come si è detto, in base al progetto originario era in programma anche un secondo sbarramento da realizzarsi al lago Balma, con costruzione di una condotta forzata a servizio della centrale di Fontainemore. Ben-ché la documentazione in nostro possesso non si esprima al riguardo, è assai probabile che la costruzione della centrale di Pont-Saint-Martin (che di fatto soppianta quella di Fontainemore) abbia fatto accantonare i propositi di ampliamento dell’impianto. Propositi e progetti che sono

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definitivamente messi da parte, a maggior ragione, dopo l’emergenza dei problemi statici della diga del Vargno.

4/12 - La diga del lago Vargno vista da valle.

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La centrale di Gressoney-La-Trinité

La centrale di Gressoney-La-Trinité, realizzata sulla sinistra del Lys, presso la confluenza col torrente Netschio, entra in attività il 1° dicembre 1921. I suoi impianti elettrici sono frutto della progettazione dell’ing. A. Barbagelata con la collaborazione dell’ing. Agostino Dalla Verde, che ne è il direttore di esercizio. La centrale è messa in funzione no-nostante il relativo serbatoio, quello dell’impianto Zindra-Gabiet, non sia ancora in piena efficienza. Sotto il profilo strutturale e decorativo, la scelta di utilizzare ‒ anche per questo fabbricato, come per quello di Pont-Saint-Martin ‒ la pietra da taglio e il legno per i serramenti persegue l’obiettivo di dare all’in-sieme un carattere più consono all’architettura locale. Il tetto, assai pendente a causa delle nevicate abbondanti, è sostenuto da possenti capriate in ferro. Inoltre, uno speciale ballatoio realizzato per impedire che i turbini di neve penetrino nell’edificio agevola la fuoriuscita della linea a 75 000 V, in direzione di Pont-Saint-Martin.

All’atto della sua entrata in funzione, la sala macchine della centrale dispone di una gru a ponte e carrello scorrevole da 33 tonnellate, della Breda; di due gruppi turbina-alternatore composti ciascuno da una turbina Pelton della Riva di Milano, con potenza massima continua di 11 200 HP, da un alternatore trifase da 10 500 kVA della General electric Company; di un gruppo motore-dinamo da 55 kW per l’eccita-zione di riserva, della Brown Boveri. Per ogni gruppo è prevista una

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tubazione della condotta forzata, ma nella prima fase di entrata in eser-cizio l’unica condotta, munita di una biforcazione, alimenta indifferen-temente i due gruppi, che risultava così di riserva uno rispetto all’altro.La sala trasformatori è invece attrezzata con due trasformatori della General electric Company, trifasi, in olio, con raffreddamento a circo-lazione di acqua, ciascuno da 10 500 kVA e rapporto di trasformazione 6 000 / 77 000 V. I quadri di manovra sono collocati in un podio eleva-to, in testa alla sala macchine. L’acqua di raffreddamento dei supporti

4/13 - Il paese di Gressoney-La-Trinité nei primi anni Venti; sullo sfondo, l’impianto idroelettrico.

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dei macchinari e dei trasformatori è derivata dall’acquedotto costruito dalla Società, mentre è disposta, come riserva, una pompa centrifuga che pesca nel canale di scarico.

L’acqua dal Gabiet viene addotta alla centrale attraverso una galleria, del diametro di un metro e mezzo, al cui interno è prevista una tuba-zione metallica della ditta Togni di Brescia. I tubi sono forniti dalla Società Ferrum di Kattowitz dell’Alta Slesia, in un momento difficile

4/14 - L’interno dell’attuale sala macchine di Gressoney-La-Trinité.

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4/15 - Dati tecnici dell’impianto di Gressoney-La-Trinité, tratti da Sip. Quarant’anni di attività, Torino 1938.

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per la stabilità politica di quel paese, turbata da insurrezioni di bande armate. Il montaggio di questa condotta, lunga in tutto circa 1 650 me-tri, costituisce un vero e proprio record a livello costruttivo, essendo realizzata in soli tre mesi, dall’agosto all’ottobre 1921, quando final-mente, dopo un periodo di preoccupante stasi, avviene la consegna dei tubi dalla Germania. Ecco la descrizione del loro arrivo e del loro montaggio, tratta da un articolo di “Sincronizzando…”, il giornale aziendale del gruppo Sip, che la presenta come una epica impresa:

« Appena riaperte le officine di Kattowitz un ingegnere specialista, appo-sitamente incaricato dalla Sip-Breda, vi si precipitava a seguire, control-lare e sollecitare la lavorazione e soprattutto, cosa la più difficile, a far procedere la lavorazione stessa in modo che i tubi fossero pronti secondo l’ordine voluto dal montaggio. Una settimana dopo il suo arrivo colà, cominciavano a partire i tubi e le spedizioni continuarono ininterrotte e quotidiane fino a fornitura ultimata. I vagoni venivano scortati fino alla frontiera austro-tedesca: dopo un breve tragitto in territorio austriaco arrivavano al Brennero dove erano ricevuti da personale Sip-Breda esperto delle segrete cose ferroviarie, che li instradava, nei modi dovu-ti, attraverso i gineprai burocratici delle nostre Ferrovie statali. Come media un vagone impiegava 18-20 giorni per arrivare da Kattowitz a Pont-Saint-Martin. In questa località era predisposto un servizio di au-tocarri per portare i tubi fino a Gressoney-La-Trinité, dove giungevano nella stessa giornata del loro arrivo a Pont-Saint-Martin e dove erano an-zitutto disposti per ordine in un ampio parco dietro la centrale. Di là un robusto piano inclinato li portava fino al posto dove erano destinati. Il lavoro di montaggio propriamente detto era affidato a tre squadre che ave-vano ciascuna il proprio tronco ed erano composte di manovali, ribaditori e cianfrinatori […]. Messe a posto le singole livellette, subentrava l’opera dei

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muratori per i blocchi d’ancoraggio dei vertici, che nel caso della condotta del Gabiet sono ben ventitré. Nel mentre si eseguivano tali lavori, nella centrale si montava alacremente il macchinario e l’apparecchiatura elet-trica e, alla diga, la muratura avanzava quotidianamente di ben 400 metri cubi. Un vero record! […] E, più in alto ancora, allo Zindra, proprio sotto le più eccelse vette del massiccio del Rosa, altre schiere di operai perfo-ravano la montagna perché le acque del torrente Moos potessero essere convogliate al lago Gabiet. Mediante questa somma di lavori concordi, ai primi di novembre la tubazione era completamente montata (in tre mesi!) e l’impianto sarebbe stato in condizioni di prendere servizio ». Nota 33

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L’impianto Zindra-Gabiet

Il serbatoio del lago Gabiet viene progettato con lo scopo di integrare le magre invernali dell’impianto di Gressoney. La superficie del baci-no del Gabiet propriamente detto (3,5 kmq) viene ampliata di circa 8 kmq deviando ed immettendo nel lago, all’alpe Zindra, le acque del torrente Moos, per un totale di 11,5 kmq di bacino imbrifero. I lavori di costruzione hanno luogo tra il luglio 1919 e la fine del mese di set-tembre del 1923.Zindra è una località a 2 515 m di quota, situata al di sotto dei ghiac-ciai dell’Indren e del Garstelet, sul versante meridionale della Pirami-de Vincent. Il torrente Moos viene sbarrato mediante una piccola diga in muratura, provvista di due scarichi di fondo e di una paratoia di presa. La derivazione si svolge sulla sponda sinistra, tramite un canale quasi interamente in galleria, della lunghezza di circa 1 350 metri, che possiede anche una bocca per captare l’acqua del torrente Olen, che scende dal colle omonimo. La restituzione delle acque del canale avviene liberamente nel lago Gabiet. Quanto al lago stesso, ben noto agli alpinisti e agli escursionisti, esso occupa una conca glaciale al di sopra di Gressoney-La-Trinité sul per-corso del sentiero che attraverso il Col d’Olen conduce ad Alagna in Valsesia. La sua forma, a triangolo isoscele, con i due lati più lunghi convergenti a valle, dove solo uno stretto passaggio permette lo scolo delle acque, ben si presta al progetto di costruzione di uno sbarramento a sud, là dove le montagne paiono riunirsi. La costruzione della diga,

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realizzata sulla soglia di tracimazione naturale del lago, eleva il livel-lo dell’acqua dai 2 342 metri slm a quota 2 375. La capacità d’invaso prevista è di circa 4 400 000 metri cubi. Per impedire la tracimazione delle acque e la loro discesa, lungo il vallone del torrente Moos, viene costruito, a settentrione, con caratte-re provvisorio, un argine arcuato, in terra battuta, alto circa 6 metri, la cosiddetta diga nord, che avrebbe poi dovuto essere sostituita da una più alta quando si fosse sopraelevato lo sbarramento principale (progetto che di fatto non fu realizzato, presumibilmente a causa delle

4/16 - Veduta del lago Gabiet da monte a valle, con le due dighe nord e sud.

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consistenti perdite d’acqua riscontrate in occasione delle prove di col-laudo della diga e nei suoi primi anni di esercizio).L’opera principale dell’impianto è la diga sud; costruita durante quat-tro stagioni lavorative estive, di cinque mesi ciascuna, a partire dal 1° luglio 1919, essa richiede ben 78 000 metri cubi di muratura. I lavori sono affidati all’impresa Anselmino e Maroni, sotto la sorveglianza della Direzione lavori della Breda, facente capo all’ing. A. G. Rossi, con sede a Pont-Saint-Martin.La diga è a gravità massiccia in muratura di pietrame, leggermente arcuata. La muratura è realizzata con malta di cemento ottenuta mesco-lando sabbie di frantoio a sabbie naturali del Lys; tale miscela è quella che assicura la massima resistenza, in base alle prove parametriche effettuate presso i laboratori del Politecnico di Torino. Lo sbarramento è lungo 240 metri e largo alla base 32 metri. La diga è costruita se-condo i criteri approvati con decreto ministeriale n. 1309 del 2 aprile 1921, portante il titolo Norme per i progetti e per la costruzione di di-ghe di sbarramento per serbatoi e laghi artificiali, e sottoposta, durante la sua costruzione, a diverse visite ispettive da parte di funzionari del Genio civile.Il materiale roccioso per la costruzione viene direttamente recuperato sul posto, utilizzando le bombarde residuate dalla guerra come agen-te esplosivo; più volte all’anno vengono fatte brillare potenti mine. Anche alcune piccole cave nella zona sono utilizzate allo scopo. Una squadra di scalpellini sbozza e riquadra le pietre migliori, che sono accu-ratamente spazzolate e lavate. Sia le spalle sia la base della diga risul-tano ben affondate nella roccia; per dare ulteriore sicurezza alla sua tenuta vengono effettuate numerose iniezioni di cemento liquido nella

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roccia stessa. Nel corso della stagione lavorativa del 1921 la media di avanzamento del lavoro è di 400 mc di muratura al giorno.Nel 1923 lo sbarramento con il suo serbatoio è oggetto di un’accurata

ispezione da parte del geologo Augusto Stella, del Politecnico di Tori-no, il quale formula un giudizio rassicurante sulla stabilità della roccia su cui poggia la diga. L’anno successivo è la volta di una commissione tecnica governativa, con l’incarico di valutare le particolarità costrut-

4/17 - La diga sud del Gabiet in costruzione.

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tive dello sbarramento. Il problema di alcune perdite di acqua elevate, che si verifica fin dalla prime prove di invaso, fa temere, presso la gen-te del posto, difetti strutturali nella costruzione della diga. Esso vie-ne affrontato e risolto tramite ulteriori lavori di impermeabilizzazione della roccia (anche con svuotamenti totali dell’invaso) e con la messa in opera di un rivestimento metallico per tutto il paramento di mone-te della diga. Questi interventi hanno luogo negli anni 1926, 1930 e 1934-1936; Nota 34 in particolare, il rivestimento metallico risolverà il problema definitivamente riducendo le perdite ai valori minimi attuali. Segnaliamo anche che, per i medesimi problemi, la commissione di collaudo dell’opera nei primi anni impose l’abbassamento del livello dello sfioratore di superficie di un metro rispetto al progetto iniziale, per avere una maggior sicurezza sulla resistenza della diga alla spinta del ghiaccio nella stagione invernale; esso infatti dura da novembre a giugno e il suo massimo spesso raggiunge i 95 centimetri, di cui 20 di ghiaccio spugnoso.

4 Fonti e bibliografia

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l’avvio della produzione idroelettrica,elemento di trasformazione e sviluppo dell’economia

agro-pastorale delle vallate alpine

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1

l’organizzazionedel lavoro nei cantieridella sip-Breda

Indice

5

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Aspetti tecnici ed infrastrutturali

Intendiamo completare la lunga e analitica descrizione dei primi im-pianti della Valle del Lys contenuta nel capitolo precedente riportando qualche interessante informazione in merito all’organizzazione gene-rale del lavoro nei cantieri avviati dalla Sip-Breda tra gli anni 1916 e 1922.Fonte di primaria importanza è ancora il piccolo volume del 1922 a cui abbiamo già largamente attinto, dal titolo L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys da parte della Società idroelet-trica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”, le cui pagine illustrano in maniera sintetica, ma efficace, e con un senso di sincera fierezza che traspare da ogni riga del testo, le difficoltà tecniche ed organizza-tive che un tale progetto di sfruttamento globale delle risorse idriche in ambiente montano pone in essere e chiede di risolvere. In effetti, l’impianto Zindra-Gabiet, per la realizzazione della centrale di Gres-soney-La-Trinité e delle opere della diga, nel 1922 è ancora in corso di esecuzione ed è pertanto oggetto di una descrizione particolareg-giata da parte della Breda, data l’importanza del lavoro e la grandio-sità dei mezzi adoperati. Le stagioni lavorative, in ragione dell’alta quota, presentano un periodo utile di non più di quattro o cinque mesi all’anno; caratteristica del cantiere del Gabiet è la grande quantità di installazioni meccaniche messe in opera, tra l’altro in un lasso di tem-po brevissimo, sotto la direzione e l’organizzazione dell’ing. Augusto Terzi. Desumiamo poi altre informazioni assai curiose anche dal lungo

5/1 - Foto di copertina: In posa sul carrello del piano inclinato delle dighe del Gabiet.

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e circostanziato contributo di Désiré Lucat e Jules Brocherel, Aména-gement des forces hydrauliques du Lys, pubblicato su un numero della rivista “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste” nel 1921.L’energia occorrente ai lavori si ricava dalla centralina provvisoria di Miravalle, che utilizza ‒ con un salto di 39,28 metri ‒ l’acqua del Lys e che per lungo tempo sostiene da sola tutto il lavoro; solo dopo l’en-trata in funzione della centrale di Pont-Saint-Martin nell’agosto del 1920 essa sarà supportata da una linea ad alta tensione proveniente dal fondovalle. Nella centralina di Miravalle sono installati due gruppi turbina del tipo Francis e due alternatori, uno AEG da 105 kVA, l’altro Alioth da 200 kVA, entrambi con eccitatrice accoppiata. C’è poi un trasformatore trifase da 600 kVA; per riserva vi sono inoltre tre loco-mobili Breda da 40 HP e due motori a benzina da 60 HP a quattro cilindri. Come macchinari di utilizzazione elettrica il cantiere possie-de in tutto 35 motori di varia potenza, da 5 a 100 HP.Una teleferica a moto continuo, prodotta dalla ditta Alberti di Milano, solleva e trasporta dalla centrale di Gressoney-La-Trinité al Gabiet, su un percorso di circa 2,5 chilometri, una serie di carrelli da 400 chilo-grammi di portata ciascuno, alla velocità 1,5 m / sec. La teleferica è supportata anche dagli argani di due piani inclinati: il primo è lungo 1 200 metri, il secondo 400, con pendenza rispettivamente di 45 e 48 gradi; entrambi hanno tre rotaie e scambio a metà del percorso e sono collegati a loro volta in piano orizzontale da due ferrovie Décauville. Un terzo argano serve il piano inclinato dello Zindra, per una lunghez-za di circa 1 000 metri, ed è realizzato a doppio binario.Il pietrame necessario per la costruzione della diga è trasportato dai

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blondins della ditta Ceretti e Tanfani di Milano. Il sistema ha una por-tata di 2 500 chilogrammi, profondità di discesa del carico di 40 metri, velocità di sollevamento di 0,33 m / sec e velocità di traslazione di 1 m / sec.Completano le dotazioni a disposizione per i trasporti due piccole teleferiche per lo Zindra, alcuni arganelli con movimenti a motore e a mano, diverse gru, paranchi, binde varie e una piccola locomotiva a vapore da 10 HP con scartamento da 60 centimetri.Il cantiere possiede poi, evidentemente, diversi macchinari per la produzione delle malte, dei calcestruzzi, delle sabbie: betoniere, im-pastatrici, intonacatori, frantoi, lavatrici di sabbia ecc; e, ancora, com-pressori d’aria, perforatrici, martelli a rotazione e a percussione, sonde,

5/2 - Il cantiere di costruzione della diga sud del Gabiet: vista da monte.

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5/3 - Il cantiere di costruzione della diga sud del Gabiet: il versante sinistro.

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5/4 - Le baracche degli operai al cantiere del Gabiet.

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5/5 - Lavori di preparazione per il rivestimento in lamiera dello sbarramento del Gabiet.

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5/6 - Il cantiere di costruzione della diga sud del Gabiet: il versante destro; foto A. Bider di Ivrea.

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pompe a pistone o centrifughe, materiali di segheria e falegnameria. Due apposite officine meccaniche ubicate a Gressoney-La-Trinité e a Pont-Saint-Martin hanno a disposizione torni, macchine per saldare e una piccola fonderia che serve per le grandi riparazioni.La più grave difficoltà incontrata negli anni della costruzione degli impianti sembra essere quella dei trasporti, per la presenza dei nume-rosi cantieri disseminati lungo tutta la vallata su un percorso di quasi quaranta chilometri e con un dislivello da superare di circa 1 300 metri. La stazione ferroviaria di Pont-Saint-Martin è evidentemente la base di partenza per tutte le forniture. Di conseguenza, nelle sue vicinanze,

5/7 - La stazione di partenza della teleferica a Gressoney-La-Trinité.

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sono allestiti diversi magazzini di ricevimento delle merci. Nel 1919, per esempio, la Breda acquisisce il fabbricato delle vecchie ferriere, lo stabilimento metallurgico chiuso fin dagli inizi della guerra, che viene adibito a deposito. Nota 35La Breda ha inoltre, fin da subito, costruito in paese un apposito edi-ficio per la Direzione dei lavori, direzione affidata, in periodo bellico, all’ing. Ugo Sartori. Tutti gli uffici tecnici e amministrativi sono ubi-cati in una bella ed elegante villa in stile svizzero, conosciuta da allora con il nome di Villa Breda, più tardi di proprietà dell’Enel e sede dei “tirafili” del Gruppo Impianti; essa sorge lungo la strada che porta alla stazione, sulla sinistra scendendo. Dalla Direzione lavori parte la linea telefonica che raggiunge le diverse sezioni degli impianti nella vallata e che è collegata anche con la direzione centrale della Società a Milano. Si tenga conto del fatto che il telefono pubblico, collegato con Aosta, Ivrea e Torino ‒ importante elemento di avanzamento tecnologico e segno della “modernità” ‒ era stato installato a Gressoney-Saint-Jean e a La-Trinité, i paesi più alto della vallata, solo pochi anni prima, rispettivamente nei mesi di settembre e di dicembre 1915. Nota 36Il servizio trasporti propriamente detto viene in parte assunto diretta-mente dalla Breda ‒ che possiede a Pont-Saint-Martin diverse auto-mobili, camion e motociclette ‒ e in parte affidato all’impresa Borsani di Legnano, che in paese dispone di un suo garage e di un’officina per le riparazioni. Circa venti camion vanno quotidianamente su e giù per la strada della vallata, una strada notoriamente impegnativa anche in ragione del “forte traffico” che la percorre per motivi turistici: proprio così si legge nei testi della Breda, e la considerazione non può non strapparci un sorriso. Nota 37 L’impresa riconosciuta come la più ardua

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consiste nel trasferimento, a Gressoney-La-Trinité, dei macchinari per la centrale: il pezzo più pesante è di circa 250 quintali e i mezzi devo-no superare pendenze superiori all’11%, con curve assai strette lungo il percorso, in condizioni assai disagiate. Non bisogna poi dimenticare che durante la prima fase dei lavori, per la costruzione degli impianti di Pont-Saint-Martin e del lago Vargno, grande importanza hanno ancora le scuderie e i carriaggi. Qualche anno dopo, nel 1922, si se-gnala invece che i muli sono ancora utilizzati, ma solo per trasporti accessori, e solamente in alta montagna.

5/8 - Montaggio del macchinario della centrale di Gressoney-La-Trinité.

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5/9 - Lo sbarramento di Guillemore in costruzione.

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5/10 - Barchette di pescatori sul lago di Guillemore.

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5/11 - Il fabbricato della centrale di Pont-Saint-Martin in costruzione.

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5/12 - Pont-Saint-Martin, attraversamento del Lys da parte delle condotte forzate: a destra la centrale, a sinistra in alto lacabina di trasformazione.

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5/13 - Il sovrappasso, sulla strada per Gressoney, delle condotte forzate di Pont-Saint-Martin in costruzione.

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5/14 - Il deposito degli esplosivi al cantiere del Gabiet.

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5/15 - Particolare della costruzione del ponte sul Lys delle condotte forzate di Pont-Saint-Martin.

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5/16 - Foto di gruppo sui vagoncini durante lo scavo della galleria di derivazione dell’impianto di Pont-Saint-Martin.

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5/17 - La cabina di trasformazione di Pont-Saint-Martin.

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5/18 - I comandi degli interruttori nell’edificio dei trasformatori di Pont-Saint-Martin.

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5/19 - Il fabbricato della centrale di Pont-Saint-Martin in costruzione.

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Il numero complessivo di operai al lavoro durante l’estate del 1921 è di 2 175. Circa 1 300 di loro sono impiegati per la costruzione del ser-batoio del Gabiet. Complessivamente, per i lavori a Gressoney-La-Tri-nité, al Gabiet e a Zindra lavorano 1 850 persone; 60 si occupano della manutenzione della strada della vallata e 40 delle opere già concluse; un centinaio è distribuito nei diversi impianti; 40 sono gli autisti di camion, vetture, carriaggi; 30 addetti si occupano dei viveri e 5 degli aspetti sanitari. È l’immagine di un operoso ed infaticabile formicaio, quella che emerge dalla descrizione del lavoro che leggiamo nelle pagine di Lucat e Brocherel:

« Mille trois cents ouvriers travaillent autour de la digue dans un ordre parfait. Chacun a sa tâche bien définie, on croirait voir une fourmillière en un jour d’été. Cent cables métalliques se croisent dans l’air : ce sont ceux des fils conducteurs de l’énergie électrique, ceux du téléphone et du télégraphe, ceux des transports aériens. De lourdes caisses traversent l’air au-dessus de votre tête et descendent devant vous, suspendues à un fil qui se déroule et s’enroule de nouveau ; les wagonnets des Décauville passent, chargés de grosses pierres d’éclat et de mortier liquide, se déclanchent sous vos yeux, versant à pied d’œuvre leur contenu, et repartent rapide-ment ; les machines sifflent, ronflent, tournent et battent avec fracas. On a l’impression d’un bruyant tohubohu, mais tout se poursuit avec ordre, sans le moindre achoppement. Parmi tant d’hommes, l’on dirait que personne ne parle, mais tous sont à leur besogne, dont ils s’acquittent avec ferveur,

Risorse umanee organizzazione del lavoro

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sans qu’il soit besoin de les exciter ou de les commander. Que l’industrie est belle, lorsqu’elle est portée à cette perfection ! ». Nota 38

Diverse abitazioni di Gressoney sono state affittate ai lavoratori, che provengono dalle più diverse regioni italiane ed in particolare dalla Lombardia. Per i cantieri di alta montagna di Gressoney, sono allestite confortevoli baracche in legno provviste di 60 letti (per una capacità complessiva di 2 000 persone), coperte in tegole e fornite di adeguata aerazione e di stufe a legna per affrontare gli improvvisi abbassamenti della temperatura, assai frequenti in alta quota. A disposizione di ogni persona vi sono ben sei coperte di lana.La Breda tiene a sottolineare, nel suo testo, come essa abbia curato sempre in modo particolare l’assistenza al personale, preoccupandosi dell’igiene, della sicurezza sul lavoro e di ogni comodità. A Pont-Saint-Martin, per esempio, è addirittura installato un frigorifero, con relativa macchina per il ghiaccio, da usare nell’assolata stagione estiva. I lavo-ratori dispongono dappertutto di condotte di acqua potabile e control-lata, di lavanderie, di forni per il pane, di mense e luoghi e occasioni di ritrovo serale. Non si dimentica nemmeno l’assistenza spirituale ai lavoratori, come attesta una breve notizia riportata dal “Messager Val-dôtain” nel 1919, secondo cui la direzione della Breda ha l’abitudine di far celebrare, per festeggiare santa Barbara, patrona degli architetti, dei minatori, dei vigili del fuoco, una funzione religiosa. Nota 39Al Gabiet, oltre alle baracche che assicurano l’alloggio per la notte, ve ne sono di destinate agli uffici, ai magazzini per le derrate alimentari, ai macchinari. Una baracca ospita il laboratorio meteorologico, appar-tenente all’osservatorio Monte Rosa del Comitato glaciologico italia-

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no; esso è fornito di termometri, barometro, barografo, anemometro, anemoscopio, idrometro, bussola, pluviometri e idrografo. In diversi punti nella vallata, lungo il Lys e i suoi affluenti, la Breda ha installato apparecchi misuratori i cui dati vengono periodicamente inviati a Par-ma, all’Ufficio idrografico del Po. Un’altra baracca, collocata a distan-za, raccoglie il materiale per le esplosioni; un’ultima, infine, svolge le funzioni di infermeria di primo soccorso. Tanto a Pont-Saint-Martin quanto a Gressoney sono attrezzate due infermerie con personale della Breda e medici locali; un’autolettiga permette di accompagnare rapi-damente gli ammalati gravi agli ospedali di Ivrea o di Torino.Ogni cantiere dispone di uno spaccio e una rivendita di sale e tabacchi ‒ riforniti dal deposito centrale ‒ che assicurano ai lavoratori un prezzo di vendita dei prodotti del tutto equo. Così, gli operai possono scegliere se acquistare nei negozi i viveri di cui abbisognano oppure se usufruire delle cucine comuni gestite dalla Breda stessa. Un opportuno divieto di aprire bar, cantine o buvettes nei paraggi, concordato con le amministra-zioni locali, fa sì che il vino sia fornito agli operai dalla Società stessa, in quantità sufficiente, ma controllata, per prevenire abusi. Quanto ai liquori, sono vietati. Per ciò che concerne i salari, nel corso dei cinque mesi estivi del 1921 le spese per il personale ogni mese ammontano a 1 300 000 lire; quelle alimentari a circa 450 000 lire. Quotidianamente si consumano 12 quintali di pane e 7 quintali di vino; ogni mese 9 000 kg di carne e ogni settimana 1 800 bottiglie di birra. Mensilmente gli operai riescono ad inviare alle loro famiglie, tramite vaglia postali, la cifra accertata di circa 180 000 lire. Nessuno sciopero né protesta sem-bra turbare l’organizzazione del lavoro, cosa che ‒ sottolineano Lucat e Brocherel ‒ è da ascrivere al merito sia degli operai sia dei loro superiori.

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5/20 - Lettera al direttore del cantiere della Breda concernente l’impiego di manodopera di origine trentina.

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Riportiamo ancora qualche stralcio dal testo pubblicato su “Augusta Prætoria”, che rende bene l’idea della necessità, da parte di certi organi di stampa, di incoraggiare un’opinione pubblica refrattaria ai progres-si dell’industria idroelettrica e preoccupata dell’impatto ambientale e della ricaduta negativa sul sistema economico rurale tradizionale di tutta questa “modernità”. Sono soprattutto gli aspetti sociali e culturali ad essere messi in evidenza:

« Les résultats de ce système [in riferimento al divieto di acquisto di alco-lici] ont été excellents: pas d’ivrognes, les plus endurcis sont repartis, et les autres se sont corrigés; pas de désordre, pas de rixes, le travail avance plus rapidement, les ouvriers finissent par être plus satisfaits et se trouvent à même de faire des épargnes pour leurs familles […]. Les dirigeants de la Société observèrent aussi dès le commencement que ces ouvriers, provenant de différentes régions de l’Italie, tendaient naturellement à se grouper selon leur pays d’origine. Ils ne manquèrent pas de mettre à pro-fit cette symphatie réciproque qui est d’une haute importance en tant que chaque régions a ses mœurs, ses habitudes, ses goûts pour l’alimentation, ses manières de penser et de sentir, qui auraient pu être froissés par les naturels d’une autre province ou, du moins, les mettre mal à l’aise dans leur promiscuité. Elle favorisa donc ces groupements, tant pour ce qui est des logements dans les différentes baraques comme pour les repas et elle en obtint les plus heureux résultats. Les ouvriers furent très sensibles à ces sages dispositions, vécûrent toujours en bonne harmonie entr’eux et donnèrent un meilleur rendement dans le travail ». Nota 40

Non si dimentichi poi, come attesta anche la tradizione orale, trasmes-sa di generazione in generazione, che nei cantieri di costruzione degli impianti, in particolare per lo scavo delle gallerie, lavorarono anche diversi

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militari di origine austro-ungarica, prigionieri della Prima guerra mon-diale. Per quanto riguarda la situazione di Gressoney, sappiamo che nell’inverno del 1918-1919 morì, probabilmente per l’epidemia della cosiddetta “spagnola”, una decina di questi prigionieri, i cui nomi sono ricordati da una targa posta nel cimitero del paese.Nell’ottobre del 1916 erano già giunti a Fontainemore circa trenta militari di origine tirolese (“irridenti”, vengono definiti nella stampa locale), Nota 41 per lavorare agli ordini della Breda nella segheria di Fon-tainemore. Si tratta della medesima segheria che il 6 agosto dell’anno successivo sarà teatro di un evento luttuoso con numerose vittime, in

5/21 - Appunti relativi al programma dei lavori nella Valle del Lys nell’inverno 1918-1919.

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occasione del distacco dalla montagna, per le piogge torrenziali, di un masso, che travolge il laboratorio e una baracca adiacente. Al di là delle laconiche informazioni che possiamo recuperare dai giornali del tempo, non siamo in grado di fornire dettagli più precisi sulla consi-stenza numerica di questi lavoratori coatti né sulla loro dislocazione sul territorio né sulla loro sorte successiva: l’argomento è ancora tutto da studiare. In altre situazioni, ovvero nei cantieri dell’Ansaldo che proprio in quegli anni si avviano in vari punti della Valle (per esempio nelle centrali in costruzione di Champlong a Châtillon, di Champro-tard e Chavonne a Villeneuve, di Morgex, o nello scavo della galleria ferroviaria tra Cogne e Pila, o ancora nella costruzione di ponti e di strade, e soprattutto nelle miniere di Cogne e di La Thuile) la presenza di questi soldati è meglio accertata e documentata. Nota 42 Quanto alla spagnola, in quel terribile autunno essa non fece vittime solo tra gli austro-ungarici: un gran numero di operai decedette per le conseguenze della febbre o dovette lasciare il posto di lavoro, in licen-za o addirittura licenziandosi, per assistere altrove i famigliari amma-lati. Un documento di quei mesi, conservato presso il Fondo Breda di proprietà di CVA, quantifica il calo della forza lavoro nell’ottobre del 1918 a circa 2 000 unità; dal medesimo testo veniamo a scoprire che a Pont-Saint-Martin la Breda aveva allestito un lazzaretto capace di trenta posti letto.Un’ulteriore difficoltà provenne alla Breda, paradossalmente, in que-gli stessi mesi, alla Breda, dalle conseguenze della vittoria in guerra. L’impresa Damioli, a cui erano stati appaltati i più importanti lavori, visto il positivo frangente storico, si affrettò a richiamare il suo per-sonale nell’Italia del Nord-Est, per procedere al complemento della

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costruzione di un grande ponte sul Tagliamento. La Breda rivide e ristrutturò in quell’occasione tutte le mansioni del personale tecnico e direttivo.

5/22 - Richiesta di attivazione della linea telefonica di collegamento tra i cantieri,durante la costruzione degli impianti della Valle del Lys.

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5/23 - Personale con relative mansioni, impiegato nel cantiere del Gabiet nell’ottobre 1918.

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5/24 - Note relative alle spese per i trasporti.

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5/25 - Bollettino settimanale dell’ottobre 1918, relativo al personale presente al cantiere del Vargno.

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5 Fonti e bibliografia

5/26 - Nominativi del personale dipendente dalla Direzione lavori della Breda, impiegato nei vari cantieri.

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Indice

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Dai progetti originari della Sivaal cantiere di Châtillon-Montjovet

La Società idroelettrica della Valle d’Aosta (Siva) viene istituita nel 1907 a Torino, con un capitale iniziale sociale modesto, di 200 000 lire, per iniziativa di un gruppo finanziario nazionale, che agisce in sinto-nia con la Edison. I suoi principali promotori ‒ come risulta dall’atto costitutivo conservato presso l’archivio storico della Telecom di Tori-no ‒ sono la Società per lo sviluppo delle imprese elettriche, la società delle Strade ferrate meridionali (una finanziaria nota anche col nome di Bastogi) e l’ingegner Rinaldo Negri della ditta Gadda e C. di Mila-no, fondatore, tra l’altro, della Società elettrica Riviera di Ponente.La Siva si attiva fin da subito per ottenere diverse concessioni di acque sull’intero territorio valdostano. In un periodo in cui l’offerta di energia è ancora decisamente sovrabbondante rispetto alla richiesta, in previsione degli sviluppi futuri, essa formula il progetto di accaparrar-si tutte le derivazioni del bacino imbrifero della Dora Baltea. Per que-sto motivo il consiglio di amministrazione fa condurre ad un certo ing. Guttinger una ricognizione a tappeto, al fine di redigere un elenco di tutte le forze idrauliche disponibili in Valle d’Aosta adatte allo sfrut-tamento industriale. Con un’ulteriore indagine di mercato s’intende valutare i possibili sbocchi della produzione energetica nel Biellese, nel Vercellese e nel Monferrato.Dai dati emersi dai documenti dell’archivio di deposito della Regione autonoma Valle d’Aosta, risulta che la Siva presentò domande per l’utilizzo dell’Artanavaz ad Etroubles, del Clavalité a Fénis, della Dora

6/1 - Foto di copertina: Veduta d’insieme dell’impianto di Montjovet, prima della sua ricostruzione negli anni Sessanta.

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di La Thuile nell’omonimo paese, della Dora di Valgrisenche ad Arvier, della Dora di Rhêmes; inoltre avanzò richiesta per le acque della Dora Baltea (per la realizzazione dell’impianto di Châtillon-Montjovet), del Marmore e dell’Evançon. Su questi ultimi tre corsi d’acqua deciderà poi di concentrarsi, lasciando cadere le richieste del versante destro orografico della vallata e, più in generale, l’ambizioso progetto inizia-le di sfruttamento integrale del bacino valdostano.La realizzazione più importante della Siva è la costruzione della cen-trale di Montjovet. Abbiamo rintracciato ne “L’Elettrotecnica”, la rivi-sta dell’Associazione elettrotecnica italiana, un’articolata descrizione

6/2 - La “vecchia” centrale di Montjovet in una cartolina d’epoca.

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tecnica dell’impianto, entrato in funzione il 1° settembre 1914. Nel paragrafo seguente riporteremo dunque i dati contenuti in questo testo, integrati con poche altre fonti e qualche preziosa testimonianza orale. Tutte queste informazioni risultano particolarmente interessanti perché fanno riferimento a quella che è comunemente definita la “vec-chia” centrale, che fu in funzione sino agli inizi degli anni Sessanta. Con l’avvento di Enel, il progetto di ricostruzione già promosso dal-la Sip nel 1961-1962 fu ripreso e portato a compimento, tramite il rifacimento completo dell’impianto che peraltro seguì lo schema di utilizzazione del precedente: la galleria di derivazione fu ampliata, il

6/3 - L’opera di presa dell’impianto di Montjovet, in località Saint-Clair a Châtillon.

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fabbricato della centrale demolito e ricostruito poco più a valle, sulla Dora; alla vecchia tubazione della condotta forzata, riutilizzata come sfioratore della vasca di carico, se ne affiancarono due nuove; sul sito dove sorgeva la vecchia centrale fu installata la stazione di trasforma-zione. Solo l’opera di presa a Saint-Clair di Châtillon non subì modifi-che sostanziali. Durante gli anni della ricostruzione, il personale della centrale (dipendente prima della Sip, poi di Enel) continuò a lavorare a Montjovet con mansioni di cantiere, a fianco delle varie imprese ope-ranti. Il primo gruppo turbina entrò in funzione nel 1965, il secondo nel 1966.Torniamo ora indietro nel tempo. Dalle notizie riportate da Vincent Gorris, nel suo articolo Dérivation des eaux de la Doire pour la con-struction hydro-éléctrique. Châtillon-Montjovet, pubblicato sul “Mes-sager Valdôtain” del 1915, i lavori di costruzione dell’impianto di Montjovet risultano avviati nell’estate del 1912, con lo scavo del canale di derivazione che collega l’opera di presa ubicata a Saint-Clair di Châtillon e il sito dove, nei pressi dell’antico borgo di Publey, ai piedi della stretta denominata Mongiovetta, sorgerà la centrale. Un numero variabile di operai compreso tra i 400 e i 1 200, a seconda del-la stagione, lavora alla costruzione dell’impianto; numerosi sembrano essere anche i lavoratori valdostani, accanto a quelli provenienti da altre regioni d’Italia.Non mancano, durante i ventisei mesi in cui il cantiere è aperto, gli incidenti, anche mortali. Il “Messager Valdôtain” riporta diverse notizie che ci fanno, pur nella loro brevità ed essenzialità, intravedere le precarie condizioni di sicurezza del lavoro. Nota 43 Il 18 giugno 1913, per esempio, le acque della Dora a Châtillon trascinano con sé una

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passerella provvisoria dell’impresa. Due operai perdono la vita in quel frangente: il primo nel crollo del ponte; il secondo, di origini berga-masche, tra i flutti del fiume in piena; il suo corpo sarà recuperato solo quindici giorni dopo a Montjovet. Due mesi prima, il 5 aprile, era avvenuto un episodio ancor più grave, allorché, a seguito di un diver-bio tra operai del cantiere, la lite si conclude con un omicidio: Bernardo Pranza di Drusasco, per motivi a noi ignoti, spara cinque colpi di revolver all’indirizzo del suo collega Rosset di Ollomont, che alcuni giorni dopo decede, per le ferite, all’ospedale di Aosta. Il 9 gennaio 1914 un incidente nella galleria costa la vita a Jean Gabignon di

6/4 - Il fabbricato della “vecchia” centrale di Montjovet.

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Bellecombe e diverse ferite gravi ad un numero imprecisato di mina-tori. Il 2 maggio dello stesso anno è ancora un addetto allo scavo, tale Jean Ciocchetti, a ferirsi gravemente, investito da un vagone. Il 21 giu-gno l’esplosione di una mina uccide Jean Yon di Issogne, di 28 anni. Il 21 settembre a provocare la morte del minatore Joseph Rhodoz, di 19 anni, è una frana che lo travolge all’interno della galleria. Un incidente di diversa natura è invece quello del 25 aprile 1914, quando un camion carico della tubazione in ferro per la condotta forzata rovescia il suo rimorchio nella Dora.

6/5 - Scorcio delle condotte forzate e del fabbricato dell’attuale centrale di Montjovet.

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Per ciò che riguarda le numerose segnalazioni di incidenti occorsi all’interno della galleria, troviamo riscontro in merito alle difficoltà tecniche di esecuzione dei lavori di scavo e, successivamente, di manutenzione, anche in un articolo apparso sulla rivista mensile del gruppo Sip “Sincronizzando…” del 1924. Si segnala in questo testo che la presenza di terreno “sfavorevole” è stata la causa del prolungamento dei lavori in occasione della realizzazione della galleria. E, dopo dieci anni di funzionamento, si rende necessario un arresto dell’impianto, nella primavera del 1924, per interventi di manutenzione straordinaria. Un camion deve attraversare la Dora per trasportare sulla riva destra materiali vari, in vista del prosciugamento del canale di scarico per la riparazione di alcuni tratti della galleria di derivazione, che rischia pericolosi crolli dopo dieci anni di funzionamento. Ecco di seguito il resoconto dell’epica impresa, che ha per protagonisti il camion (e, evi-dentemente, il suo autista):

« Dopo alcuni sopralluoghi, l’Ufficio idraulico ritenne necessaria una radicale riparazione. Fu decisa una fermata dell’impianto di Montjovet e detta fermata si effettuò dal 27 aprile al 20 maggio. Serie difficoltà si presentarono per i trasporti data la scomodità del posto. Si trova il canale sulla sponda destra della Dora senza altra strada d’accesso che il ponte di comando della nostra diga. Dal 15 aprile, utilizzando la possibilità dell’in-vaso dell’acqua, si tenne la Dora asciutta; si fece quindi eseguire una stra-da attraverso il letto del fiume e con un carro con mulo si iniziò il trasporto di tutto il materiale rotabile e legname. Però si ebbe subito l’impressione della dannosa lentezza nel procedere dei lavori, non consona all’urgente necessità della messa in funzione dell’impianto. Si provvide quindi ad un trasporto più rapido a mezzo camions, inviando un camion Fiat 15 ter, ed il giorno 28 aprile si tentò la traversata della Dora. L’acqua della Dora, già

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6/6 - Lavori di prosciugamento del canale dell’impianto di Montjovet nel 1924.

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assai cresciuta, non concedeva che pochi minuti di tempo per la traversa-ta. Una quindicina di uomini con corde attendevano dall’altra sponda gli ordini in caso di bisogno. Chiuse le grandi paratoie l’acqua cominciò a diminuire ed il camion si incamminò nell’alveo del fiume. Fu un momen-to d’ansia intensa. Si vide l’acqua accumularsi dietro la diga ed il camion guidato dal bravo chauffeur Prato procedere traballando attraverso il letto della Dora quasi asciutto. Ad un certo punto s’incagliò in alcuni massi, ma furono pochi secondi. Con l’aiuto degli uomini pronti, poté proseguire la traversata ed arrivare dall’altra sponda proprio in tempo prima che si dovessero aprire le paratoie, avendo l’invaso raggiunto il suo massimo livello. E così il camion era dall’altra sponda, trionfatore di ogni ostaco-lo. Superata questa difficoltà, si procedette verso il canale scoperto. Con due piani inclinati appositamente costruiti, il 1° maggio con l’aiuto di un argano si portò il camion nel canale e quindi fu calato in galleria. Serven-dosi del camion come ponte, si fece prima un impianto provvisorio di luce elettrica lungo la galleria per illuminare i lavori, e tutto il giorno il camion dovette fare continua marcia avanti ed indietro per ben 3 chilometri. I lavori di preparazione procedettero veloci; vi erano addetti circa cento operai in squadre di tre turni […]. La difficoltà stava nel prosciugare il canale di scarico. Questo canale è lungo m 130 con una larghezza di m 15, quasi perpendicolare alla Dora. Nel mese di maggio, epoca dei lavori, in canale libero vi erano m 2,50 d’altezza di acqua e nella camera delle turbine invece 5 metri di acqua. Si dovette costruire uno sbarramento e mediante pompe prosciugare tutta la camera di scarico […]. Dopo sole cinque ore di funzionamento delle pompe, si ottenne il prosciugamento quasi completo del canale libero ». Nota 44

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L’impianto di Montjovet:aspetti tecnici

Il finanziamento per la costruzione della centrale di Montjovet (che costò nel complesso la rilevante cifra di 7 milioni di lire) provenne per la maggior parte alla Siva da parte di Elektrobank, colosso finanziario svizzero, con partecipazioni al credito tedesco, legato a Aeg. Ciò fece sì che le forniture per il materiale elettrico ed idraulico fossero per la maggior parte di provenienza straniera, ad eccezione del contributo della ditta Togni di Brescia, che realizzò la tubazione della condotta forzata e la diga a paratoie, ubicata sulla riva destra della Dora Baltea, in località Saint-Clair.Lo sbarramento di questo impianto costituì, per quell’epoca, una gros-sa novità: si trattava, infatti, in Italia, di uno dei primi casi di diga a paratoie. La possibilità di costruire una diga fissa in muratura venne scartata fin da subito per le caratteristiche stesse del fiume, in quel pun-to: la Dora presenta infatti ancora tutti i caratteri di un torrente alpino, a forti e rapide piene, con un rischio elevatissimo per la stabilità della diga stessa. Uno sbarramento mobile sembrava invece offrire garanzie maggiori. Fu dunque realizzata una diga a quattro paratoie della lar-ghezza di 12,5 metri e di 4 metri di altezza, separate da pile costituite da cavalletti in ferro riempiti di calcestruzzo, spessi 0,90 metri. La diga sbarrava l’alveo della Dora, in modo da poter raccogliere nelle magre invernali tutta l’acqua disponibile, proveniente da un bacino imbrifero delle dimensioni di 2 214 kmq.Per ridurre l’attrito durante il sollevamento delle paratoie, furono

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interposti degli speciali carrelli di scorrimento, comandati dallo stes-so argano che sollevava le paratoie. Il comando degli argani poteva avvenire sia a mano (con quattro uomini a disposizione la velocità di sollevamento delle paratoie era di 3 centimetri al minuto, ossia erano necessarie circa 4 ore per sollevare completamente la paratoia) sia, normalmente, con motore elettrico (con velocità di sollevamento di 45 centimetri al minuto e un tempo complessivo di 16 minuti). Dal bacino di presa partiva il canale di derivazione, lungo in tutto 4 370 metri, che correva per un primo tratto di 729 metri in galleria; i successivi 320 metri, scoperti, si svolgevano a mezza costa; una seconda galleria di più di 3 chilometri si prolungava sino al bacino di carico, della capacità di 2 000 metri cubi, sufficiente a garantire che, per un eventuale imprevisto sovraccarico della centrale, la condotta forzata non si svuotasse.Anche la condotta forzata rappresentava una particolarità dell’impian-to di Montjovet. Infatti la tubazione era unica e misurava 3,10 metri di diametro interno. Lunga 81 metri, scendeva con una pendenza costante del 62%. Oltrepassava la ferrovia per mezzo di un viadotto in cemento armato lungo 31 metri. La possibilità di realizzare un sottopassaggio era stata presa originariamente in considerazione, ma fu poi accanto-nata per gli eccessivi costi e per i rischi che avrebbe comportato alla ferrovia stessa un’eventuale rottura dei giunti della tubazione.La vecchia sala macchine della centrale misurava 16 per 31 metri (l’attuale misura 23 per 38 metri). La ditta Escher Wyss e C. di Zurigo fornì i tre gruppi, composti da doppia turbina Francis ad unico scarico centrale, che sviluppavano 4 800 kW di potenza ciascuna; gli alterna-tori erano invece della Thomson Houston. Al momento della descrizione

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6/7 - Interno dell’attuale sala macchine di Montjovet.

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che stiamo prendendo in considerazione e che risale al maggio 1915, dalla centrale partiva una sola linea, a 45 000 volt.L’impianto così descritto fu realizzato, per conto della Siva, dalla Società per lo sviluppo delle imprese elettriche di cui era direttore generale l’ing. G. Barberis e che aveva come direttore tecnico l’ing. F. E. Carcano. La parte idraulica venne seguita dall’ing. Narutowicz di Zurigo, men-tre i lavori furono diretti dall’ing. L. Fioretti e affidati all’impresa Bastianelli per le gallerie e le opere di presa e alla ditta Damioli per la costruzione della centrale. Il 19 aprile 1914 la Società Sviluppo impre-se elettriche e l’impresa Bastianelli offrirono al ristorante Pôle Nord

6/8 - Montjovet, l’attuale vasca di carico con le paratoie autolivellanti.

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un banchetto per 700 commensali, per festeggiare la conclusione dei lavori della galleria di derivazione; Nota 45 la centrale entrò regolar-mente in funzione quattro mesi e mezzo dopo.L’energia prodotta dalla centrale di Montjovet venne immessa, sulla linea dell’alta tensione della Società di elettricità Alta Italia (Eai), pro-prietaria della linea di trasmissione e specializzata nella distribuzione. In virtù di accordi formulati fin 1910 e stipulati ufficialmente nel 1911, l’intera produzione annua della centrale di Montjovet (circa 8 000 kW) passò all’Eai per la cifra di 115 lire a kW/annuo.

6/9 - Montjovet, il cantiere di costruzione del nuovo argine sulla Dora e del piazzale, nei primi anni Sessanta.

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Le linee elettriche Montjovet - Aostae Montjovet - Quincinetto

Due parole, infine, sulle linee elettriche in partenza da Montjovet, la cui realizzazione presenta alcuni elementi di curiosità. Il 5 dicembre 1921, dopo un rapido sopralluogo, veniva decisa la costruzione della linea elettrica Montjovet - Aosta (30 chilometri, a 75 000 Volt), la cui idea era nata e maturata in una sola settimana, con l’intento di collega-re la centrale di Montjovet alle linee del gruppo idroelettrico Ansaldo. Nei giorni immediatamente successivi se ne faceva il tracciato di mas-sima e l’11 dicembre si trasmetteva alle Officine di Savigliano l’ordi-ne dei pali di ferro a traliccio. Il 27 del medesimo mese iniziava già il lavoro di scavo. La linea fu divisa in due tratti: il primo da Montjovet a Châtillon, di 7,5 chilometri, il più difficile da realizzare, per le asperità del territorio (alcune campate raggiungono i 395 metri di lunghezza); il secondo da Châtillon ad Aosta, di più semplice realizzazione. Nono-stante le forti nevicate avvenute nel corso del mese e il freddo intenso che raggiunse in alcuni giorni i quindici gradi sotto zero, il 29 gennaio 1922 tutti i 189 pali erano stati innalzati. La tesatura della linea risul-tò completata il 4 febbraio e l’indomani, alle ore 15.40, si lanciava la tensione sulla linea, che risultava perfetta nella sua esecuzione. Circa 1600 persone lavorarono a questa impresa, per la quale ben tre tele-feriche furono impiantate in mezzo alla vallata. 200 muli furono uti-lizzati per il trasporto dei pali, del cemento, delle sabbie, della ghiaia e dell’acqua. Quando quest’ultima scarseggiava, si ricorreva persino allo scioglimento della neve, tramite apposite caldaie. Unitamente alla

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linea elettrica, si pensò a quella telefonica, che segue per massima par-te il tracciato della strada nazionale che risaliva la Valle.Quanto alla linea Montjovet - Quincinetto, il primo tronco di linea entrò in funzione il 14 novembre 1922. Esso costituiva la prima parte di una grande linea predisposta a 120 000 Volt, che avrebbe dovuto portare l’energia ricavata dai grandi impianti in fase di progettazione nell’Alta Valle d’Aosta fino a Torino, ad Asti, ad Acqui, quindi a oltre 150-200 chilometri di distanza. Obiettivo prioritario era quello di con-vogliare sul Piemonte la maggiore energia possibile, disponibile dalle centrali dell’Ansaldo in Valle d’Aosta, e nello stesso tempo provve-dere a ridurre le perdite, ormai troppo ingenti, sulla vecchia linea di Viverone. La costruzione di simili linee comportava la capacità di affrontare e superare tutta una serie di problemi tecnici assai rilevanti, in primis la caduta di tensione. La difficoltà del percorso, nel tratto valdostano, era soprattutto data dal corso tortuoso della Dora e dalla necessità di usufruire dei pochi e fragili ponticelli esistenti per trasportare tutto il materiale indispensabile per l’innalzamento della linea. Il tratto più impegnativo per il tracciamento della linea fu evidentemente la gola di Bard, che venne attraversata con un’unica campata di ben 416 metri, a causa dei dirupi scoscesi di entrambe le sponde, dell’instabilità e peri-colosità dell’alveo della Dora in quel punto e dall’andamento tortuoso della strada nazionale, che si doveva evitare. La lunghezza del primo tratto di questa linea, sino a Quincinetto, era di poco più di 21 chilo-metri; il numero totale dei pali di 112.

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6/10 - Pubblicità della ditta Officine Savigliano, fornitrice di macchinari elettrici, nel 1922.

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6/11

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La centrale di Hône della Società idroelettricaVilleneuve-Borgofranco, poi Società dell’alluminio italiano (Hône 2)

Risale alla vigilia della Grande Guerra il progetto originario di realiz-zazione di una centrale a Hône, sulla riva destra dell’Ayasse, in loca-lità Raffort, ai margini dell’abitato, da parte della Società idroelettrica Villeneuve-Borgofranco. Obiettivo principale è la fornitura di energia ad alcuni stabilimenti elettrochimici di proprietà della società stessa, tra cui in particolare quello di Borgofranco d’Ivrea, che produce clorati

6/12 - Vista odierna della centrale di Hône 2.

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di sodio e di potassio e materiali esplosivi.La Società idroelettrica Villeneuve-Borgofranco, che ha sede in via Cernaia, a Torino, dove è stata fondata nel 1913, rientra in assetti societari legati alle importanti acciaierie di Terni e possiede, in quegli anni, anche una fabbrica elettrochimica a Nera Montoro, nel Comune di Narni. Essa ha in previsione anche la costruzione di uno stabilimen-to di produzione dell’alluminio a Villeneuve, il quale entrerà di fatto in funzione nel 1917 e sarà supportato dalla vicina centrale di Chavonne.La progettazione dell’impianto dell’Ayasse (canale, condotta e centra-le) viene affidata all’ing. Giacinto Soldati, figlio dell’ing. Vincenzo,

6/13 - L’interno della centrale di Hône 2 con i gruppi originali.

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noto per aver già costruito, in Bassa Valle, i canali di Pont-Saint-Martin/Carema e di Bard e per aver, in quegli stessi anni, messo mano anche alla progettazione per la derivazione dell’impianto di Villeneuve. Lo sviluppo previsto dell’impianto dell’Ayasse è di una dozzina di chilometri, con un salto di 745 metri, per una potenza complessiva di 7 000 HP. La captazione dell’acqua avviene nel territorio di Champor-cher, tra le frazioni di Mellier e di Salleret, a Outrelève, alla quota di 1 140 m slm; il canale è realizzato lungo il versante destro della vallata, assai scosceso e problematico, e raccoglie anche le acque dei torrenti Manda e Crest.

6/14 - La sala quadri d’epoca della centrale di Hône 2.

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Tra i mesi di aprile e settembre 1917 il cantiere di costruzione, articola-to in cinque settori distinti, è in piena attività e vi lavorano circa 1 200 persone. Nei pressi della stazione di Hône-Bard è allocato il deposito generale dei materiali; direttore dei lavori è un certo ing. Mauselin. Nota 46 Il cantiere si chiude nel 1919-1920, allorché la centrale entra in funzione con soli due gruppi da 3 500 kVA (con turbine Vevey e alternatore CGE), alimentati da un’unica condotta forzata, e l’energia viene trasmessa allo stabilimento di Borgofranco con una linea lunga 13 800 metri. La seconda condotta sarà aggiunta alcuni anni dopo, nel 1925, allorché viene installato anche il terzo gruppo da 7 000 kVA (con turbina Riva e alternatore Brown Boveri). In realtà sia il canale derivatore sia l’opera di presa presentano fin da subito problemi ricor-renti, per i danni subiti a causa di frane e smottamenti. L’opera di presa viene addirittura asportata e ricostruita interamente almeno due volte, negli anni 1922 e 1958. Nel frattempo, fin dal 28 dicembre 1918, la Società di Villeneuve-Borgofranco, viene incorporata, insieme alle sue proprietà e ai suoi diritti in quel di Hône, dalla Società per l’alluminio italiano (denomi-nata prima Sai, poi Alcan), come risulta dall’atto notarile conservato presso l’archivio della Commission des Traditions del Comune. La presenza di queste società sembra segnare positivamente, in quegli anni, le sorti del paese. Per facilitare i lavori di costruzione della cen-trale, infatti, vengono apportate alcune importanti migliorie, come per esempio l’allargamento della strada tra il ponte sulla Dora e la località Raffort. Inoltre, si raggiunge finalmente un accordo definitivo per la realizzazione dell’illuminazione pubblica, un progetto dibattuto per anni in consiglio comunale e mai approdato a risultati concreti. Lo

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schema di convenzione definitiva è siglato il 19 giugno 1924, anche se l’installazione dell’elettricità a Hône sarà inaugurata solo il 23 aprile 1928. Per le questioni legate alla distribuzione della corrente elettrica in paese si costituisce la Cooperativa elettrica di Hône, con un centinaio di soci, sulle cui vicende siamo informati dai documenti conservati presso l’archivio comunale e presso l’archivio della Commission des Traditions. Nei decenni successivi, invece, la convivenza con la Società dell’alluminio si farà più difficoltosa, come attestano i documenti con-servati negli archivi comunali di Pontboset e di Champorcher, relativi soprattutto a vertenze giudiziarie per risarcimento dei danni subiti dai

6/15 - La stazione di trasformazione d’epoca della centrale di Hône 2.

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6/16 - Interno dell’attuale sala macchine di Hône 2.

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privati per il cattivo funzionamento del canale e per il contestato paga-mento dei canoni.Un’altra tappa importante per la storia dell’impianto di Hône ha luogo negli anni 1929-1931, allorché viene realizzato il bacino di integrazio-ne del lago Miserin, il più esteso lago naturale della Valle d’Aosta. La diga, alta 6,20 metri e lunga al coronamento 173,85 metri, è realizzata a gravità, in muratura di pietrame rivestita di bolognini. Il volume totale di invaso disponibile è, al momento della costruzione, pari a 851 000 mc. Nel 1959 viene invece definitivamente accantonato il progetto di sopraelevazione della diga di ben 13 metri, che avrebbe

6/17 - Centrale di Hône 2, particolare di macchinario.

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6/18 - Foto d’epoca dell’arrivo delle condotte forzate nella centrale di Hône 2.

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permesso all’invaso di raggiungere un volume di 3 400 000 mc. Lo scarico di fondo della diga (posto alla quota di 2 553 m slm e della por-tata massima di 2 mc / sec) è utilizzato per il rilascio stagionale delle acque, che vengono poi captate con la presa del canale di derivazione sul torrente Ayasse a Outrlève.Negli anni Cinquanta, altri importanti interventi sono realizzati a sup-porto dell’alimentazione della centrale di Hône 2. Si tratta, in partico-lare, della costruzione, tra il 1953 e il 1954, del bacino del lago Verco-ce e, tra il 1956 e il 1957, del bacino di integrazione nel vallone della Manda, con la relativa sistemazione degli alvei dei torrenti e l’installa-

6/19 - Il trasporto, dalla stazione ferroviaria, della seconda condotta forzata di Hône 2, nel 1925.

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zione di appositi sifoni per lo svuotamento di alcuni laghi naturali (tra cui il Secco, lo Champas, il Nero, il Manda e il Cornuto). Nel progetto complessivo di utilizzo delle acque dell’Ayasse erano previste anche la costruzione dell’impianto idroelettrico di Ponte della Maddalena, posto a quota 1 835 m slm, per l’utilizzo diretto delle acque del lago Miserin, e l’impianto di Outrelève, a monte della presa del canale de-rivatore dell’Ayasse, per l’utilizzo delle acque turbinate dall’impianto di Ponte della Maddalena e dei torrenti Laris, Vercoce e Legna, opere in realtà mai realizzate. Per quanto riguarda la centrale di Hône, la cabina elettrica di smista-mento dell’energia prodotta è rimasta alloggiata all’interno della sala macchine fino al 1950, anno in cui è stata realizzata la cabina esterna con la nuova trasformazione 11 000 / 70 000 Volt e la relativa linea di trasporto, successivamente ammodernata alla tensione attuale di 132 kV. Aggiungiamo ancora qualche piccola curiosità relativa alla gestio-ne di questo impianto, sotto il profilo delle risorse umane: solo nel 1954 accanto alla centrale è stata costruita la casa per il personale che vi lavorava, mentre fin dalle origini, nel fabbricato esistente presso la vasca di carico, alcuni locali appositi ospitavano l’alloggio del guar-diano che vi risiedeva ed era collegato con il “mondo” solo attraverso un impervio sentiero, un telefono a manovella e, sul tracciato delle condotte forzate, una teleferica lunga 1 600 m del tipo “va e vieni”, poi demolita negli anni Novanta. Ora la vasca di carico ed il suo livello dell’acqua sono sorvegliati da apparecchiature elettriche.La Società dell’alluminio italiano, poi Alcan Società alluminio italiano SpA, rimase proprietaria dell’intero impianto sino al 1° gennaio 1986, allorché tutto quanto passò nelle mani di Enel.

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6/20 - Un palo della teleferica nel cantiere di costruzione di Hône 2.

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Le centrali di Champdepraze di Issime

La centrale di Champdepraz, in località Pied-des-Vignes, è una centrale ad acqua fluente con un bacino imbrifero pari a 28,89 kmq, che utilizza le acque dei torrenti Chalamy e Chevrère e dei numerosi laghi (Gran Lago e laghi Cornuto, Nero e Bianco) che caratterizzano il paesaggio del ma-gnifico vallone del parco regionale del Mont-Avic. Per quanto la potenza installata sia piuttosto modesta (tre gruppi da 900 kVA), la concezione idraulica e la struttura dell’impianto sono oltremodo interessanti e par-ticolari proprio in ragione della derivazione delle acque dai laghi di alta quota, che sono utilizzati per lo più allo stato naturale. Mediante un cana-le di scolo sotterraneo, l’acqua del Gran Lago (2 162 m slm e 1 200 000 mc di capacità) viene immessa nel vallone di Chalamy, attraversa per tracimazione i laghi Cornuto e Nero e si raccoglie nel Lago Bianco, dove vi è una semplice opera di presa con paratoia che regola il deflusso nel torrente. L’acqua spillata dal lago, con la portata della sorgente Pierrot, viene poi derivata più a valle con una semplice traversa fissa tracimabile su cui si innesta il canale derivatore, della lunghezza di 2 830 metri, che raccoglie lungo il percorso anche l’acqua del torrente Chevrère. Dalla vasca di carico in località Chevrère, a 1 180 metri di quota, scende una condotta forzata con due piccole tubazioni di diametro della lunghezza di 1 682 metri ciascuna, che penalizzano il rendimento dell’impianto in modo significativo; esse alimentano le tre turbine Pelton della Riva, del 1917; dopodiché l’acqua viene restituita al torrente. I tre alternatori Brown Boveri alimentano un solo trasformatore elevatore. I lavori per la

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6/21 - Veduta odierna della centrale di Champdepraz.

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costruzione dell’impianto furono avviati, per conto del Governo, durante la Grande Guerra e precisamente nel 1917, dalla ditta Cravetto, che negli stessi anni realizzava in Bassa Valle altre due centrali idroelettriche nel Comune di Donnas e una a Pont-Saint-Martin. Nota 47 Cravetto rilevò una concessione rilasciata alla Società per distribuzione di energia elettrica Ovesticino di Novara. Nota 48 Venne intrapresa innanzitutto la canalizza-zione del torrente, con lo scopo di ottenere una forza motrice di circa 3 000 HP. Sui giornali dell’epoca si riporta notizia dell’importante sfor-zo costruttivo, che vede l’impegno di “milliers d’ouvriers”, Nota 49 tra cui non possiamo escludere la presenza di prigionieri di guerra, tramandata

6/22 - Particolare dei giunti della condotta forzata di Champdepraz.

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a livello popolare e confermata da quanto sappiamo per situazioni ana-loghe (impianti della Sip-Breda e impianti dell’Ansaldo), come si è già avuto modo di precisare altrove. La centrale entrò in servizio il 21 marzo 1920, per poi passare alla Sip il 3 dicembre 1940 (per quanto il riconosci-mento ufficiale della titolarità dati solo del 25 febbraio 1942). Sull’im-pianto furono formulati, negli anni, diversi progetti per uno sfruttamento più completo degli invasi, tra i quali segnaliamo almeno la costruzione di una diga che avrebbe potuto raggiungere i 3 500 000 mc di invaso e di un secondo impianto a monte di quello esistente; nulla fu, di fatto, realizzato.

6/23 - Interno dell’attuale sala macchine di Champdepraz.

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***Unica nel suo genere è la vicenda della centrale di Grand-Praz di Issime. Essa venne infatti costruita, a partire dal 1939 e nei primi anni della Seconda guerra mondiale, dall’Ilssa-Viola di Pont-Saint-Martin, l’im-portante industria siderurgica fondata nel 1931 e che proprio nel perio-do bellico conobbe il periodo della sua massima espansione con 1 350 addetti. Nota 50Per un decennio l’Ilssa, per la produzione di energia elettrica, si av-valse dell’acqua del Lys derivata da una roggia utilizzata anche dagli

6/24 - Centrale di Champdepraz, particolare di macchinario.

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abitanti di alcune frazioni rurali per usi domestici ed irrigui; ciò pe-raltro causava spesso contestazioni tra gli utenti privati e la società. Con l’aumentare del suo fabbisogno energetico, lo stabilimento mise mano alla realizzazione dell’impianto di Issime, che fu inaugura-to nel novembre 1943. Il 12 agosto dell’anno successivo un nucleo di partigiani, proveniente probabilmente dal Biellese, danneggiava gli impianti della centrale, distruggendo il quadro di distribuzione e met-tendo sabbia nelle turbine; anche questo episodio s’inserisce nel con-testo della lotta resistenziale nella sua fase più acuta, di cui abbiamo già detto a proposito della centrale di Verrès.L’Ilssa-Viola era titolare di almeno tre concessioni di derivazione di acque del Lys; solo il cosiddetto “terzo salto” (quello di Grand-Praz, appunto) venne sfruttato appieno, mentre gli altri due, Sendren e Zuino, furono più tardi ceduti alla Sip. L’opera di presa della centrale fu rea-lizzata ad Issime, in località Rickard; il canale in galleria ebbe uno svi-luppo di 2 700 metri e il salto fu realizzato di 64 metri, per una potenza complessiva di 3 000 kW. I macchinari installati erano della Riva, la turbina, e della Marelli, l’alternatore. La prima linea di distribuzione, a 70 kV, fu abbandonata dopo una abbondante e distruttiva nevicata del 1986, che portò alla sua demolizione.L’Illsa-Viola mantenne la proprietà della centrale di Issime per oltre quarant’anni. Nell’estate del 1986, in occasione della dismissione del-lo stabilimento e dell’acquisto, da parte della Regione, di tutte le pro-prietà della fabbrica, si presentò il problema della sorte della centrale e dei suoi addetti, che in quel momento erano nove. I lavoratori furono posti in cassa integrazione per alcuni mesi, dal dicembre 1986 all’a-prile dell’anno successivo, in attesa di trovare una soluzione; nel frat-

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tempo la produzione della centrale fu arrestata. La soluzione venne individuata nella costituzione, in data 2 gennaio 1987, di una società cooperativa (la Società cooperativa elettrica Issime, a responsabilità limitata), formata dal personale stesso dell’impianto, sulla base di una convenzione stipulata con l’amministrazione regionale. Questa situa-zione durò una decina di anni, sino al 10 febbraio 1997, allorché fu formalizzata la cessione dell’impianto a Compagnia Valdostana delle Acque - Compagnie Valdôtaine des Eaux, che due anni prima aveva già rilevato gli impianti di Issime, Champagne 2 a Villeneuve e Lillaz di Cogne e cambiato appunto la sua denominazione da Ilva centrali

6/25 - La centrale di Issime oggi.

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6/26 - Il ponte sul Lys a Zuino, per l’accesso all’opera di presa della centrale di Issime.

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6/27 - Interno dell’attuale sala macchine di Issime.

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elettriche a CVA. Espletate le ultime formalità burocratiche, anche la cooperativa si sciolse, in data 30 dicembre 1998.I dipendenti della cooperativa, che si assestarono in quel decennio sul numero di cinque (tre di loro andarono in pensione in quegli anni e tre furono le nuove assunzioni), furono in toto responsabili della gestione dell’impianto e delle sue officine e della distribuzione dell’energia, la cui produzione venne, per convenzione, interamente ceduta ad Enel. I lavoratori si occuparono anche dell’assunzione del nuovo personale e della sua formazione. Nota 51

6/28 - Issime, il trasporto dello statore e dell’alternatore sul ponte sul Lys, opportunamente rinforzato per l’occasione, nel novembre 1997.

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6 Fonti e bibliografia

6/29 - Particolare dello statore della centrale di Issime durante i lavori di manutenzione straordinaria nel novembre 1997.

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Progetti di sfruttamento della valle dell’evançone realizzazione dellecentrali di Verrèse di isollaz

Indice

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In Val d’Ayas, tra progetti ciclopici,opposizione delle comunità locali e mancate realizzazioni

Accanto alla valle del Lys, pure la valle di Challand-Ayas, eviden-temente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento attira l’attenzione dei capitali industriali, in vista dello sfruttamento dell’ampio bacino idrografico del torrente Evançon, che trae la sua alimentazione dalle falde glaciali occidentali del gruppo del Monte Rosa. Sono ben dicias-sette le richieste documentate di concessione di derivazione di acque dell’Evançon per scopi industriali, presentate all’amministrazione del Genio civile, tra il 1896 e la Grande Guerra. Incrociando i dati raccolti dalla dottoressa Roberta Rio nella sua ricerca sui documenti conserva-ti presso l’Archivio di deposito della Regione Valle d’Aosta con altri dati provenienti da fonti diverse (giornali e delle riviste dell’epoca), emerge un interesse costante, nell’arco di quel ventennio, per le risorse idriche di questa vallata, interesse che non si trasformerà però, a differenza di quanto accaduto in parallelo nella valle del Lys, nella realizzazione di impianti a catena.I primi progetti in ordine di tempo riguardano la richiesta di conces-sioni di acque di modesta portata, analoghi a quelli che un po’ in tutti i Comuni, nella regione, vengono presentati per lo sfruttamento delle acque alpine. Altri, invece, tutti del periodo bellico o immediatamente post-bellico (1917-1919), presentano un maggior interesse sia per le loro proporzioni sia per l’importanza economica delle aziende propo-nenti; se fossero andati a buon porto, avrebbero non solo modificato la fisionomia della valle tramite la realizzazione di ampi bacini a serbato-

7/1 - Foto di copertina: La centrale di Isollaz.

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7/2 - Veduta paesaggistica della centrale di Isollaz in una cartolina d’epoca.

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7/3 - Centrale e condotta forzata di Verrès.

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io e la scomparsa di vaste porzioni di terreno agricolo e pastorale, ma anche inciso profondamente sulla vita dei suoi abitanti. Ne illustriamo alcuni.A firma dell’ing. A. Mussatto, viene presentato nel 1917 dalla società Edison un progetto per la realizzazione di un grande bacino di 16 000 000 mc a monte di Champoluc, le cui acque avrebbero azionato i mac-chinari di una centrale da costruirsi a Vollon. Un secondo lago, della capacità di 1 250 000 mc, avrebbe sommerso tutta la piana ad occi-dente di Brusson, per il tramite di uno sbarramento artificiale. Un canale in galleria al di sotto del Col di Joux avrebbe condotto l’acqua a Saint-Vincent, per l’alimentazione di una seconda centrale; la restitu-zione delle acque sarebbe avvenuta alla Dora Baltea tramite il torrente Perral. La portata d’acqua complessiva era calcolata tra 24,30 e 50 moduli, con una differenza di livello utilizzabile di 876,18 metri e una potenza compresa tra 28 388 e 58 410 HP. In data 25 maggio 1917 il medesimo ing. Mussatto presentava un’ulteriore istanza volta a com-pletare il progetto descritto con la realizzazione di un terzo serbatoio, intermedio fra i due, in territorio di Ayas, e in grado di incrementare ulteriormente la potenza prodotta, fino ai 74 836 HP.Anche la società Ansaldo propose in quell’anno la realizzazione di uno sbarramento, in direzione della morena di Pracharbon ad Ayas, con l’obiettivo di formare un serbatoio della capacità di 23 500 000 metri cubi. Il lago in questione avrebbe sommerso la piana ai piedi di Antagnod e diversi villaggi. Una galleria scavata sotto il monte Zer-bion avrebbe condotto le acque sino a Saint-Vincent, alla confluenza tra il torrente del Grand-Valley e la Dora Baltea, là dove sarebbe sorta la centrale; tutto ciò, per una portata d’acqua media di 41 moduli, una

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7/4 - Pubblicità della ditta Tubi Togni di Brescia, fornitrice delle condotte forzate nel 1927.

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caduta di 1 052 metri e una potenza complessiva di 57 509 HP.Un ulteriore progetto, presentato sempre nel 1917 dall’ing. Pariani, prevedeva anch’esso l’opera di presa a valle del villaggio di Corbet e un serbatoio di 20 000 000 mc, con una portata media di 29,31 moduli, un salto di 805 metri e una potenza di 31 459 HP. La differenza sostanziale rispetto ai progetti già illustrati consisteva nel fatto che l’acqua sarebbe stata restituita all’alveo dell’Evançon stesso, all’altez-za di Challant-Saint-Victor.L’ultimo progetto, cronologicamente parlando, è quello presentato dalla Fiat il 27 dicembre 1918, per la realizzazione di un serbatoio di

7/5 - L’opera di presa della centrale di Verrès a Isollaz.

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13 000 000 mc. Una prima centrale sarebbe sorta a Champoluc, con una derivazione di 22,70 moduli di portata, per una potenza di 1301 HP. Un canale avrebbe condotto l’acqua ad una seconda centrale nei pressi di Corbet, con 28,15 moduli di portata, un salto di 46,60 metri e una potenza di 1 749 HP. Una terza derivazione, di 34,27 moduli, sarebbe scesa infine verso Saint-Vincent, dove un primo salto di 861 metri avrebbe prodotto 39 342 HP di energia e un secondo, più picco-lo, di 184,50 metri, una forza di 8 430 HP. Il progetto, assai complesso ed articolato, avrebbe comportato una potenza media di 50 822 HP e ricondotto le acque nella Dora Baltea.Al di là delle diverse soluzioni prospettate e dei vari percorsi ipotizza-ti per le canalizzazioni, tutti questi progetti suscitarono l’opposizione degli abitanti della vallata, i quali temevano più di ogni altra cosa la sottrazione dell’acqua dell’Evançon dal suo alveo naturale e i danni conseguenti per le zone che, secondo loro, private di acqua, sareb-bero state esposte ai capricci del clima, mentre le piane e gli alpeggi più produttivi dell’alta valle sarebbero scomparsi, sommersi da grandi laghi artificiali. Le diverse amministrazioni comunali, informate delle richieste di concessione formulate dalle varie società descritte, avan-zarono immediatamente le loro riserve al Genio civile tramite istanze di opposizione, chiedendo in particolare che nessuna concessione potesse essere autorizzata prima che fosse emesso un giudizio sui loro diritti di proprietà e uso legittimo delle acque in questione. Esse ‒ dichiararono ‒ non intendevano bloccare a priori lo sfruttamento del-le forze idrauliche dell’Evançon, ma innanzitutto tutelare gli interessi dell’agricoltura e delle popolazioni locali, prima di quelli degli indu-striali. Sulla stampa, si fece interprete del malcontento dei suoi conter-

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ranei il can. Joseph Lale-Démoz di cui citiamo un passo tratto dal suo fondamentale contributo Projets de dérivation des eaux de l’Evançon, pubblicato in un numero della rivista “Augusta Prætoria” del 1919. Al di là dei toni fortemente polemici, si può leggere sincera preoccupa-zione per gli eventuali cambiamenti economici e sociali di cui non si riesce ad intravede la portata che in termini negativi:

7/6 - Stabilimento Riva Calzoni di Milano nel 1924, reparto turbine idrauliche.

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« Notre vallée est en train d’être inféodée aux électrotechniciens. Si tous les projets échafaudés par les ingénieurs vont être mis en œuvre, d’ici à quelque temps nous verrons nos cours d’eau à sec et nous aurons la joie de regarder les paysages accoutumés à travers un grillage de fils électriques. Pourtant, il y a longtemps que nous habitons le pays d’Aoste, et nous n’avons aucune envie de déguerpir. Faudra-t-il que nous assistons, les bras croisés, à cette mainmise sur notre légitime patrimoine hydraulique et que nous nous résignions à changer de pénates pour ne point incommoder les spéculateurs ? Il faudrait parfois se souvenir que nous sommes chez nous et que les devoirs de l’hospitalité n’arrivent pas au point de remettre aux hôtes les clefs de la maison ». Nota 52

Di fatto, bisogna constatare che nessuno dei numerosi progetti avan-zati in questi anni da aziende diverse andò a buon fine, nel caso della Valle di Ayas. Prima di poter parlare di un impianto di una certa impor-tanza che sfrutti le acque dell’Evançon dobbiamo aspettare la seconda metà degli anni Venti del Novecento e la costruzione della centrale di Isollaz.Forse non aveva del tutto torto il giornalista Jules Brocherel quando nel 1921 scriveva che tutti questi progetti, precedentemente illustrati ‒ e gli altri a cui non si è fatto cenno ‒ rispetto alle caratteristiche della vallata presentavano delle problematiche di natura tecnica insormon-tabili, per l’epoca. Impossibile, per le caratteristiche idrogeologiche delle conche di Champoluc, Antagnod, Pracharbon e Vollon, prevede-re degli ancoraggi sicuri per la costruzione degli sbarramenti, in ragio-ne dei terreni morenici e permeabili che le compongono. In questo, la situazione della Valle d’Ayas risultava completamente diversa rispetto a quella della Valle di Gressoney. L’unica soluzione possibile sarebbe stata lo sfruttamento della parte bassa della vallata. Si tratta esatta-

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mente di ciò che succederà, alcuni anni dopo, allorché il gruppo Sip, ormai consolidato ed in piena espansione industriale, metterà mano alla costruzione del suo impianto di Challand-Saint-Victor:

« Si ce n’est au débouché de la vallée, en dessous de Challand-Saint-Anselme, où la déclivité du torrent est la plus forte, nous ne voyons pas la possi-bilité de trouver ailleurs des chutes économiquement aménageables, car le profil parabolique du torrent n’offre aucune rupture sensibile, jusqu’à Saint-Jacques d’Ayas. Pour utiliser la portée de l’Evançon, il faudrait une chute de quelques centaines de mètres, que l’on ne pourrait obtenir qu’en allongeant excessivement le canal de dérivation. La puissance qui en résulterait suffirait-elle à balancer les frais de construction ? ». Nota 53

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La centrale di Verrèsdel cotonificio Brambilla

Le vicende della centrale idroelettrica di Verrès sono strettamente legate alla storia della più importante fabbrica della Bassa Valle, ossia la Filatura Brambilla, che nei momenti d’oro della sua produzione, nel corso del XX secolo, diede lavoro contemporaneamente a più di milleduecento persone. Il cotonificio Brambilla rappresentò fino alla metà degli anni Settanta un punto di riferimento fondamentale nel panorama economico-sociale della Bassa Valle, per la forte richiesta di forza lavoro che la sua presenza stimolò sul territorio, e che fu tale da avviare un significato fenomeno di immigrazione, in particolare dal Monferrato, dal Bresciano, dal Bergamasco e dal Veneto. Nell’articolazione e nella complessità delle vicende della prima fase, quella fondativa, si può leggere una pagina interessante sui primordi industriali della Bassa Valle, per quanto riguarda in particolare la lot-ta concorrenziale che lo caratterizza. In particolare si può facilmente capire come l’acquisizione delle concessioni di derivazione delle acque ‒ in questo caso quelle dell’Evançon ‒ abbia costituito la conditio sine qua non per l’avvio di qualunque progetto imprenditoriale.Le prime concessioni dal torrente Evançon nel territorio di Brusson e dei due Comuni di Challand erano state autorizzate a partire dagli anni 1899-1903, in favore in primo luogo della Société des mines d’or de l’Evançon di Paul Perret con sede a Ginevra, e poi della The Evançon Gold Mining Company Limited di Londra, in vista della produzione di energia idroelettrica da impiegare nelle attività estrattive, di trasporto

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e di lavorazione dei metalli delle miniere di Challand-Saint-Anselme e di Brusson. In particolare, fin dal 5 luglio 1903 era stata autorizzata, con decreto del prefetto di Torino, la costruzione di una centrale (poi realizzata nel 1906) in località Pont-de-l’Ila (più tardi italianizzata in Ponte Lila) a Challand-Saint-Anselme, sulla riva destra dell’Evançon, con opera di presa alla confluenza del torrente di Graines, con una potenza di 1 250 HP.A sua volta, l’industriale Luigi Cravetto, personaggio noto nel pano-rama industriale della Bassa Valle, proprietario degli stabilimenti siti a Donnas e a Vert, in data 19 ottobre 1905 presentava un’ulteriore

7/7 - La centrale di Verrès.

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richiesta di derivazione di acqua di 15 moduli nel territorio di Chal-land-Saint-Victor. Il progetto, redatto dall’ing. Antonio Dal Pra, pre-vedeva la derivazione della presa sulla sponda destra del torrente, mediante la costruzione di una diga stabile, un salto previsto di 148 metri e una potenza di 3 000 HP. Già prima di ottenere la concessione, però, Cravetto cedeva la propria domanda alla Società del cotonificio Domenico Staurenghi di Monza, con atto del 7 luglio 1906. Negli stes-si giorni, il direttore dello stabilimento monzese scriveva al sindaco di

7/8 - Verrès, particolare del manometro della pressione della condotta forzata.

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Verrès, cav. Giuseppe Agosti, per informarlo dell’intenzione di inse-diare un opificio nella zona a seguito dell’acquisizione della suddetta concessione e anche di quella relativa all’impianto di Ponte Lila, con-cessioni rilevate grazie all’interessamento dell’on. François Farinet. La società richiedeva al Comune la sua collaborazione per l’acquisto dei terreni necessari alla costruzione dello stabilimento.Un problema di concorrenza emergeva però quasi subito. In alternativa alla domanda di Cravetto, infatti, negli stessi mesi era stata avanzata una richiesta, assai più articolata, da parte dell’ing. Vincenzo Soldati, volta all’acquisizione, nella zona di Isollaz, di una derivazione d’ac-qua di proporzioni maggiori, per una potenza complessiva di circa 6 000 HP, da destinare all’industria elettro-metallurgica. La restituzio-ne delle acque sarebbe avvenuta nella piana di Verrès, nei pressi della stazione ferroviaria. Fu proprio questo dettaglio del progetto a impe-dirne la realizzazione. Grazie all’interessamento, ancora una volta, del deputato Farinet, il progetto di Soldati venne bloccato: il Comune di Verrès richiese la tutela dei suoi diritti in materia di usi irrigui ed il prefetto di Torino gli diede ragione, favorendo così il progetto del cotonificio Staurenghi.Ma già nell’anno successivo, all’inizio del 1907, a Monza si rinun-ciava all’impianto di uno stabilimento industriale a Verrès, per dissidi interni al consiglio di amministrazione della società. È a questo punto che emerge sulla scena il Cotonificio Valle d’Aosta, che rileva il pro-getto e acquista, tra la primavera del 1908 e l’autunno del 1909, tutti i terreni su cui sorgerà poi di fatto la fabbrica. È importante, en passant, sottolineare come la scelta di insediare il cotonificio a Verrès fu dettata non dall’eventuale presenza di manodopera sul posto, bensì unicamen-

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te dalla possibilità di disporre in loco di energia elettrica, grazie alla disponibilità della produzione già avviata nell’impianto di Ponte Lila.I lavori di costruzione del complesso industriale furono affidati alla società edile Costruzioni Angelo Brambilla di Milano, assai nota in quell’epoca in tutta Italia per la gran quantità e l’importanza delle ope-re realizzate: dalla stazione di Porta Nuova di Torino alla sede centra-le della Banca d’Italia in Milano, ai cantieri navali di Taranto, ecc. A seguito del fallimento del Cotonificio Valle d’Aosta, avvenuto già nel 1911, fu proprio l’impresa edile Brambilla a rilevare i suoi beni immobili, diventando unica proprietaria del cotonificio (lo stabilimento

7/9 - Centrale di Verrès, particolare di macchinario.

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della filatura con i suoi annessi e connessi e l’impianto idroelettrico già esistente e funzionante). D’altro canto, la Brambilla, dalla ditta Staurenghi di Monza acquistò anche la concessione, datata 26 gennaio 1908, per derivare dall’Evançon 15 moduli di acqua sulla sponda destra, con un salto di 148 metri e una potenza di 3 000 HP, concessione che prevedeva già la realizzazione di un secondo impianto ubicato a Verrès: un progetto a cui peraltro non si era potuto metter mano, a causa del fallimento societario.La rimessa in funzione del cotonificio a pieno regime, con diverse centinaia di dipendenti, richiese a priori un riassetto e un ampliamento degli impianti idroelettrici. Quando la Brambilla nel 1913 rilevò l’attività industriale, la centrale di Ponte Lila era composta da tre turbine Pelton della Escher Wyss di Zurigo, tre generatori trifasici a 1 900 Volt della Oerlikon e tre eccita-trici a corrente continua. La Brambilla inoltrò alla prefettura di Torino la richiesta di modifica della concessione del 1908, chiedendo di potenziare ulteriormente questa centrale, fino a 5 700 HP, derivando 33 moduli d’acqua; la richiesta fu però respinta. Ecco allora la deci-sione di avviare i lavori di costruzione del nuovo impianto di Verrès con la centrale ubicata al fondo di via Artifizi, presa a Isollaz, vasca di carico a Champeille e doppia condotta forzata. Nota 54Nel progetto industriale complessivo entrarono anche la Società stra-de ferrate meridionali (denominata anche Bastogi) e alcune banche. Il programma iniziale prevedeva la rimessa in funzione del cotonificio entro l’estate del 1913, con un aumento progressivo della sua capacità produttiva, e il compimento, entro l’ottobre del medesimo anno, della nuova centrale, quella di Verrès appunto, dotata di una potenzialità di

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7/10 - La centrale di Verrès oggi.

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2 500 kW. Il gruppo finanziario così costituito offrì alla Società di elet-tricità Alta Italia (EAI) l’intera produzione eccedente i bisogni produt-tivi, al prezzo stracciato di 105 lire per kW /anno, a partire dal 1913. In realtà, per alcuni ritardi nei lavori, la centrale ‒ inizialmente dotata di tre turbine da 1 500 kW e tre alternatori ‒ entrò in funzione solo nel 1914 e la fornitura all’Eai iniziò il 29 maggio 1914 con un certo ritar-do rispetto agli accordi contrattuali intercorsi. La mancata consegna in tempo utile costò alla società fornitrice una penale di 73 000 lire e la corresponsione gratuita di 500 kW per cinque mesi. Nota 55Successivamente, nel 1932, vennero eseguiti dei lavori di ampliamen-to della centrale di Verrès per il potenziamento dell’impianto: alle tre turbine preesistenti furono applicate tre dinamo e venne montata una turbina San Giorgio da 4 000 kW con due dinamo, utilizzata per la produzione di corrente continua. La turbina San Giorgio fu collegata ad una condotta di acqua indipendente, affiancata alla preesistente dal-la vasca di Isollaz alla centrale. L’ampliamento della centrale permise di sfruttare appieno le potenzialità del salto disponibile, elevando la produzione a 9 000 kW, ridotti della metà nei mesi invernali. A seguito dell’ampliamento dell’impianto, e in ragione dell’eccedenza di energia prodotta, fu decisa dalla Brambilla la costruzione di un impianto per la produzione industriale di concimi chimici per l’agricoltura. La nuo-va fabbrica, che sarebbe stata chiamata popolarmente “La Chimica”, fu costruita in regione Glair, nei pressi della confluenza dell’Evançon nella Dora. La fase lavorativa si avviò nel 1934 e ben presto l’industria chimica di Brambilla si posizionò, sul mercato della produzione del solfato ammonico, accanto ai leaders del settore. In quell’occasione la Brambilla ottenne in concessione le miniere di pirite cuprifera di

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Hérin in Comune di Champdepraz, di Chuc e Servette a Saint-Marcel, di Alagna e di Riva Valdobbia in Valsesia.La centrale di Verrès, durante la seconda guerra mondiale, nei mesi della lotta resistenziale, fu oggetto ‒ così come altri impianti della Valle d’Aosta ‒ di un pesante atto di sabotaggio da parte di formazioni partigiane del posto. La notte tra il 6 e il 7 marzo 1944, alcune cariche esplosive furono fatte brillare tra due ancoraggi della condotta forzata, all’altezza dell’abitato di Chavascon: l’acqua si riversò a valle, rove-sciandosi sulla centrale ed inondandola; trascinando con sé pietrame e detriti, mise fuori servizio i macchinari e demolì una parte dell’edi-

7/11 - Interno dell’attuale sala macchine di Verrès.

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ficio. Nei mesi durante i quali la centrale rimase chiusa per le ripara-zioni, l’energia elettrica per le attività industriali fu fornita dalla Sip e in parte, di nuovo, dalla centrale di Ponte Lila, rimessa in funzione durante il conflitto, dalla fine di aprile del 1942, per aumentare la pro-duzione di energia in periodo bellico. Nota 56 Il sabotaggio agli impianti idroelettrici e soprattutto ai tralicci delle linee elettriche faceva parte di un preciso piano di azione messo in atto nei primi mesi della lotta partigiana (primavera del 1944), in cui si mise in luce in particolare il gruppo di Fénis, capeggiato da Emile Lexert. Obiettivo delle azioni di sabotaggio era quello di provocare l’interruzione, almeno parziale, della lavorazione nei diversi stabili-

7/12 - Scorcio della condotta forzata della centrale di Verrès.

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menti industriali della Valle e di colpire direttamente al cuore le varie strutture produttive, di rilevanza bellica, che in quei mesi erano nelle mani degli occupanti tedeschi e dei fascisti. Si trattava anche di favo-rire gli scioperi e le agitazioni interne agli stabilimenti, al cui interno si stavano organizzando i primi comitati di resistenza. I mesi successi-vi (estate del 1944) videro progressivamente un abbandono degli atti commessi contro gli impianti idroelettrici ed un intensificarsi dell’at-tività ai danni delle vie di comunicazione (strada statale e ferrovia), tendente ad ostacolare sia il trasporto della produzione bellica della Cogne sia i movimenti delle truppe nazifasciste. Nota 57Sino ai primi anni Settanta del XX secolo la centrale fu di proprietà della Brambilla. Non appartenne mai ad Enel. Nel 1989, insieme con gli impianti di Issime, Champagne 2 a Villeneuve e Lillaz di Cogne, entrò nel gruppo di Ilva centrali elettriche, la società nata per gestire il patrimonio idroelettrico della Cogne Acciai speciali. Nel 1995 le centrali di Champagne 2, Lillaz e Verrès, a seguito di lunga e articola-ta trattativa con l’amministrazione regionale, passavano alla Regione autonoma Valle d’Aosta e la denominazione di Ilva veniva modificata in “Compagnia Valdostana delle Acque - Compagnie Valdôtaine des Eaux”, con sede ad Aosta. Nel frattempo, nel gruppo, era stata acquisi-ta anche la centrale di Issime, nel 1997. In questi anni, che preludono all’acquisizione delle centrali Enel del territorio valdostano da parte della Regione e alla nascita, nel 2001, di Compagnia Valdostana delle Acque ‒ Compagnie Valdôtaine des Eaux SpA con sede a Châtillon, l’impianto di Verrès viene potenziato con la sostituzione della condot-ta forzata e l’installazione del quinto gruppo, al fine di raggiungere una potenza totale installata pari a 12 300 kW.

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La centrale di Isollaz della Sip

La principale iniziativa idroelettrica che riguarda la Valle d’Ayas è l’impianto di Isollaz a Challand-Saint-Victor, costruito tra il 1926 e il 1928 dalla Società idroelettrica Piemonte, tramite la costituzione della società denominata Società idroelettrica dell’Evançon (Side). La rea-lizzazione di questa centrale rientra nei piani di ampliamento della Sip avviati negli anni Venti del Novecento, dopo la prima fase di consoli-damento aziendale. Nota 58L’impianto di Isollaz entra in funzione nel novembre del 1928 ed è destinato all’utilizzo di tutta l’energia disponibile delle acque dell’Evançon e dei torrenti Lavasey e Graine, rispetto ad un bacino imbrifero com-plessivo di 176,76 kmq.Nella piana di Brusson viene realizzato un bacino della capacità di 200 000 mc, mediante lo sbarramento del torrente. Dall’opera di presa si derivano 8 mc / sec di acqua. Il trasporto avviene tramite un canale lungo più di 7 chilometri ‒ le cui estremità corrono a cielo aperto e il tratto centrale in galleria, sulla riva destra della vallata ‒ sino alla vasca di carico situata sopra Isollaz, a 1 270 m di quota, da cui partono le due tubazioni della condotta forzata. La centrale utilizza un salto di 598, 42 metri e possiede due gruppi capaci di sviluppare una potenza di 24 000 HP ciascuno. Tutti i macchinari, compresi i trasformatori da 20 500 kVA, previsti per un rapporto 6600 / 135 000 V, sono forniti dalla Breda.Il cantiere di costruzione dell’impianto, gestito dalla Direzione costru-

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zioni idrauliche del gruppo Sip, è allestito ad Arcésaz di Brusson, dove sono montati i magazzini, le officine e uno stabilimento per la produ-zione di ossigeno liquido. La progettazione della centrale e delle palazzine per il personale è inve-ce opera dell’architetto Giovanni Muzio di Milano (1893-1982), Nota 59 esponente di rilievo della corrente cosiddetta “tradizionalista” e “clas-sicista” degli anni Venti e Trenta. In Valle d’Aosta, Muzio aveva già progettato negli anni immediatamente precedenti la centrale di Maën, realizzata tra il 1924 e il 1928, e quella di Covalou, nel 1925-1926. Sempre negli anni Venti lavorerà ancora alla stazione di pompaggio di Promeron, alla diga di Cignana e alla centrale di Perrères (1926-1928),

7/13 - La centrale di Isollaz in costruzione negli anni Venti.

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mentre negli anni Cinquanta realizzerà la centrale di Avise, nel 1952, e quella di Quart, nel 1955. In tutti questi edifici Muzio riuscì a coniu-gare forma e spazi con il rispetto della funzione produttiva, tramite il ricorso a geometrie chiare ed essenziali. Ciò è evidente soprattutto negli interni, nella corrispondenza tra struttura architettonica e impian-ti elettrici: strutture, aperture, basamenti, macchine e “infrastrutture” elettriche compongono un insieme organico e coordinato.Due parole, infine, sulla nuova linea di trasmissione dell’energia a 135 kV, che si diparte da Isollaz. Nel primo tratto, essa costeggia la strada di accesso alla centrale descrivendo un’ampia curva per la necessità di passare tra i gruppi di case del posto; successivamente scende

7/14 - Lo sbarramento del bacino di Brusson in fase di costruzione.

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rapidamente verso l’Evançon, portandosi sulla sponda sinistra con una campata di 400 metri. La linea continua a scendere rapidamente fino al castello di Verrès e poi raggiunge la linea Covalou-Torino nei pressi della stazione del paese, dove è in costruzione nel 1929, un’apposita cabina di sezionamento. Benché il percorso della linea di Isollaz sia relativamente breve (ventun tralicci in 4 chilometri circa) esso presen-ta diverse difficoltà di esecuzione: a livello topografico, nel tracciato, per la natura alquanto accidentata del terreno, e per la sua realizzazio-ne, per la mancanza di vie di accesso e per la necessità di trasportare a spalle d’uomo tutti i materiali necessari (acqua, cemento e sabbie). Un’ulteriore difficoltà è data dalla presenza della linea telegrafica di

7/15 - Lo sbarramento del bacino di Brusson a fine lavori, sotto la neve.

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Stato da cui è necessario allontanarsi il più possibile per evitare peri-coli dovuti all’induzione reciproca.L’inaugurazione di questa nuova linea avviene nel maggio del 1930 ed è resa nota da una breve cronaca pubblicata sul numero di agosto di quell’anno di “Sincronizzando..”, il mensile della Sip. L’evento è festeggiato con un pranzo offerto a tutti gli operai e agli impiegati presso l’albergo dell’Aquila di Brusson, pranzo che ha luogo dopo una visita alla centrale e allo sbarramento, alla presenza di tutti i principali dirigenti del gruppo.Molto più avanti negli anni, e precisamente alla fine del 1951, è un altro progresso che viene segnalato per la vallata, nell’ambito delle iniziati-

7/16 - Realizzazione di un piano inclinato per la costruzione del canale derivatore dell’impianto di Isollaz.

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ve promosse dalla Sip, ossia l’allacciamento, alla preesistente linea in funzione sul resto del territorio, della linea 9 kV che da Brusson sale finalmente fino all’estremità della vallata, in quel di Champoluc. La produzione Sip viene a sostituirsi dunque a quella di alcune centraline locali che hanno fornito energia fino a quel momento anche a località turistiche di una certa importanza quali i villaggi alti di Antagnod.

7/17 - La vasca di carico della centrale di Isollaz.

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7/18 - Interno dell’attuale sala macchine di Isollaz.

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7/19 - L’attuale sala trasformatori di Isollaz.

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7 Fonti e bibliografia

7/20 - Veduta d’insieme della centrale di Isollaz con la condotta forzata.

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gli anni d’orodella società idroelettricaPiemonte (sip)

Indice

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Nascita e sviluppodella Società idroelettrica Piemonte (Sip)

La Società idroelettrica Piemonte nasce a Torino il 19 aprile 1918, in occasione di un’assemblea straordinaria della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin; il trasferimento della sede da Milano a Torino e il cambiamento della denominazione sociale non rappresentano che l’atto finale di un processo inevitabile, in qualche maniera atteso. Si è già descritto ampiamente, nel capitolo dedicato alle vicende della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin, come quest’ultima avesse, nel corso degli anni, modificato sostanzialmente la sua struttura societaria ed amministrativa. L’istituzione della Sip è il risultato della tendenza accentratrice che si viene chiaramente delineando durante il periodo bellico, a livello nazionale. L’azienda darà immediatamen-te avvio ad un programma espansionistico senza precedenti, volto al conseguimento del monopolio regionale nell’ambito della produzione e della distribuzione di energia elettrica; sotto il suo controllo sarà a poco a poco ridotta tutta l’area industrializzata del Piemonte, da Ver-celli ad Asti, dalla Valle di Susa alla Valle Mosso, alla Valle d’Aosta.Non solo essa incorpora subito, per fusione, la Società idroelettrica Valle d’Aosta (Siva), proprietaria del “modernissimo” impianto di Montjovet e del costruendo impianto di Quincinetto; ma tramite un sistema di partecipazioni incrociate assume anche il controllo della Società di elettricità Alta Italia (Eai). La produzione ‒ con il controllo sugli impianti e l’acquisizione di nuove concessioni ‒ e la distribuzione ‒ con l’eliminazione dei duplicati delle linee ‒ vengono a concentrarsi

8/1 - Foto di copertina: Gruppo idroelettrico della centrale di Hône 1.

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nelle mani dello stesso gruppo, dominato da industriali biellesi e finanziato prevalentemente dalla Banca commerciale italiana.Dal 1919, poi, ulteriori impegni finanziari sono assunti, come si è già ricordato, con la fondazione della Società idroelettrica piemontese lombarda Ernesto Breda e con l’alleanza con la Società lombarda per la distribuzione di energia elettrica; e soprattutto con l’acquisizione di pacchetti azionari delle maggiori società idroelettriche del Piemonte, in maniera da assicurarsi il diritto di prelazione nell’acquisto di ener-gia. Nel gruppo Sip entrano, una dopo l’altra, la Società piemonte-se di elettricità, la Società Piemonte centrale di elettricità, la Società idroelettrica Monviso, l’Elettrica industriale albese, la Società forze idrauliche del Chisone e quella del Moncenisio. La maggior parte del-lo sviluppo della Sip nella fase del suo decollo, insomma, deriva da accordi industriali e felici combinazioni finanziarie e non è quin-di principalmente frutto di investimenti diretti per la realizzazione di nuovi impianti, fatta eccezione per quello di Quincinetto, entrato in funzione nel 1919 e risistemato e ultimato dall’impresa Filippa nel corso del 1924. Nota 60Per tutto il primo quadriennio (1918-1922) e per certi versi sino al 1933, il nome e la fortuna del Gruppo sono legati ad alcune figure di spicco, quali Dante Ferraris, Gian Giacomo Ponti, Giuseppe Besozzi, personalità di rilievo nel mondo imprenditoriale subalpino e di chiara fede nazionalistica, Nota 61 le quali privilegiano come strumenti del-lo sviluppo industriale l’aumento del capitale sociale tramite crediti bancari e la concentrazione aziendale con il controllo sulle aziende proprietarie delle principali centrali. In breve, per effetto di successive fusioni e di oculate alleanze, nelle mani della Sip e delle sue consociate

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si vengono a concentrare tutte le principali iniziative locali dell’area alpina nord-occidentale. Nell’arco di un quindicennio la Sip passa così dai 30 milioni di kW prodotti nel 1907 ai 350 del 1922; la potenza installata nelle sue centrali nel 1919 è di 47 000 kW, di 110 000 nel 1922. Una fase di marcata espansione anche progettuale, con la promozione di nuove società e la realizzazione di nuovi impianti, è quella che caratterizza invece la seconda metà degli anni Venti, allorché il Grup-po metterà mano, per esempio, alla costituzione della Società idroelet-trica dell’Isarco in Alto Adige, finalizzata alla costruzione dell’impor-tante impianto di Cardano, il quale diventerà uno dei pilastri della sua produzione; o ancora, in Valle d’Aosta, alla costituzione della Società idroelettrica dell’Evançon, per la realizzazione del nuovo impianto di Isollaz, di cui si parlerà diffusamente nel prossimo capitolo. Suc-cessivamente, sarà lo sfruttamento integrale del bacino del torrente Marmore in Valtournenche tramite la Società idroelettrica Marmore a rappresentare il principale impegno progettuale dell’azienda, la quale, dopo aver realizzato la diga di Cignana e l’impianto di Maën, proce-derà alla realizzazione degli invasi di Perrères e Goillet e agli impianti di Covalou e Châtillon. Dopo aver consolidato l’attività elettrica, la Sip passerà presto ad interessarsi anche del settore radiofonico e poi di quello telefonico, diventando presto uno dei più importanti gruppi industriali italiani. In occasione del riassetto telefonico nazionale, nel 1925 una controllata della Sip, la Stipel, ottiene la concessione del ser-vizio telefonico per le regioni Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia. Da quel momento la crescita è rapida: tra il 1926 e il 1928 il gruppo acquisisce anche il controllo di altre due società concessionarie, Timo e Telve, che operano nell’Italia del Nord-Est e del Centro.

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A seguito della grave crisi seguita al tracollo del 1929, nel 1933 il Grup-po è salvato dall’intervento pubblico attraverso l’Istituto per la rico-struzione industriale (Iri), che ne diventa il principale azionista. Inizia così, per l’azienda, una nuova fase, durata sino al 1945, rappresentata in particolare dal suo principale esponente, l’ing. Giancarlo Vallari, e ben documentata, per esempio, dalla pubblicazione, nel 1938, in occasione della visita di Mussolini a Torino, del volume celebrativo del quarantennale di attività, che illustra le principali realizzazioni dell’a-zienda e la sua crescita economica negli anni del regime fascista. Nota 62 Nel dopoguerra, la società riprenderà i suoi ritmi e il suo assetto ordi-nario, impegnata ormai in attività elettriche, telefoniche ed editoriali di rilievo nazionale. La storia del Gruppo cessa nel 1964, anno in cui giunge a compimento il processo di nazionalizzazione dell’industria elettrica, con la nascita dell’Enel, e di quella telefonica, con la costi-tuzione della nuova Sip, la Società italiana per l’esercizio telefonico.

***

Per completezza di informazione, avendo in questo paragrafo accen-nato alla nascita della vecchia centrale di Quincinetto, forniamo alcuni dati anche in merito all’impianto di Quincinetto 2 – realizzato da Enel negli anni 1988-1989 – il quale ha sotteso due impianti preesistenti: quello di Carema, già da tempo fuori servizio, e quello di Quincinetto appunto, rimasto in esercizio sino all’entrata in funzione di Quincinet-to 2, e più tardi ceduto a terzi e da questi riutilizzato.L’impianto di Quincinetto 2 è unico, tra quelli del gruppo, a sorgere in parte in territorio valdostano e in parte in quello piemontese. Esso, provvisto di due gruppi Kaplan, utilizza le acque dell’intero bacino

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idrografico della Dora Baltea, pari a 3 263 kmq.La centrale è stata realizzata proprio di fronte a quella già esistente, in Comune di Quincinetto, ed è incassata nel pendio della montagna, dal quale emergono solo l’imboccatura della caverna della vasca di carico e la vetrata della sala macchine, ben visibili da parte di chi percorre l’autostrada Aosta-Torino.I due salti preesistenti, di 13 e 9 metri, sono stati ottimizzati tramite la realizzazione di un unico salto di 23,80 metri; la portata dell’acqua è stata aumentata da poco più di 30 mc / sec a 110 mc / sec; la potenza è passata da circa 8 MW a 22 MW, la producibilità da 40 a 100 GWh all’anno.L’opera di presa, che sorge nel Comune di Pont-Saint-Martin, è stata costruita là dove esisteva quella della vecchia centrale di Carema ed è costituita da quattro paratoie che sbarrano il corso della Dora e la cui regolazione è automatica, per mantenere la quota d’invaso costante a 305,10 metri slm. L’acqua derivata dall’invaso, attraverso una galleria di derivazione della lunghezza di 2,30 km, giunge alla vasca di carico, dalla quale arriva tramite due grandi condotte forzate ad attivare le tur-bine idrauliche della sala macchine in caverna.

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8/2 - Immagini dell’arrivo del trasformatore nell’impianto di Quincinetto 1, nel 1924.

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8/3 - Centrale di Quincinetto 1, opera di presa.

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8/4 - Centrale di Quincinetto 1, sfioratore alla vasca di carico.

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8/5 - Centrale di Quincinetto 1, sala macchine.

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8/6 - Centrale di Quincinetto 1, canale adduttore.

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8/7 - Veduta odierna della centrale di Quincinetto 2.

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8/8 - Interno dell’attuale sala macchine della centrale di Quincinetto 2.

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Anche in Valle d’Aosta, come nel resto dell’Italia nord-occidentale, la Sip procede nella prima fase all’acquisizione e al controllo della maggior parte delle centrali già esistenti, in particolare quelle di Pont-Saint-Martin, Gressoney-La-Trinité, Bard, Carema, Montjovet e Quin-cinetto; solo successivamente mette mano alla progettazione di nuovi impianti. A partire dal 1922, la sua presenza in Valle d’Aosta è detta-gliatamente documentata dagli articoli pubblicati sulla rivista “Sin-cronizzando…”, Nota 63 il mensile aziendale che costituisce una fonte documentaria di prim’ordine, per certi versi unica nel suo genere, sulle attività del gruppo. Nuove realizzazioni e ricostruzioni, aspetti tecnici e attività dopolavoristica, tutto è registrato e descritto con rigore scien-tifico nelle pagine del giornale; nulla è trascurato, dai grandi progetti costruttivi alla cronaca delle gite aziendali. L’abbondanza dei partico-lari che si rinviene nei testi facilita notevolmente il lavoro di ricostru-zione storica. Il fattore caratterizzante l’attività della Sip in quegli anni è un conti-nuo intervento di ammodernamento ed aggiornamento sugli impianti valdostani acquisiti.Innanzitutto, sono le linee di trasmissione a impegnare sforzi ed ener-gie. Dalle cronache aziendali veniamo a sapere, per esempio, che la nuova linea elettrica Pont-Saint-Martin ‒ Torino è in funzione fin dal 10 ottobre 1921. Nota 64 Negli anni immediatamente successivi, le arterie Sip saranno in grado di convogliare energia anche alla Lombardia per

Le principali attività della Sip in Valle d’Aosta:“Sincronizzando…” (1922-1930) ed “Elettrosip” (1948-1958)

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8/9

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mezzo delle linee che fanno capo a Sesto San Giovanni, dove altri col-legamenti importanti consentiranno di alimentare numerose altre reti locali. Il progetto complessivo, destinato ad essere ultimato nel corso di qualche anno, prevede la standardizzazione delle tensioni nella rete Sip e il progressivo passaggio a tensione più elevata delle linee che col tempo sono diventate più importanti.In questa nuova sistemazione, un ruolo di primo piano riveste la cabina trasformatrice di Pont-Saint-Martin, destinata, dal 1927, a di-ventare il centro di raccolta e smistamento di tutta l’energia prodotta in Valle d’Aosta; su di essa infatti converge anche l’energia prodotta dalle centrali Ansaldo dell’Alta Valle. Per quanto riguarda la Bassa Valle d’Aosta e il Canavese e il Biellese, nella seconda metà degli anni Venti si procede alla soppressione della linea Carema-Biella a 15 kV; all’innalzamento della Quincinetto-Biella da 40 a 75 kV e al suo pro-lungamento sino a Pont-Saint-Martin; all’innalzamento della Vivero-ne-Biella da 40 a 75 kV. In questo modo tutta l’energia prodotta a 40 kV che, tramite la linea Quincinetto-Viverone-Torino, veniva sino a quel momento trasformata a Torino, fa tutta quanta capo a Pont-Saint-Martin, dove viene trasformata a 75 kV per essere poi trasferita sulle linee del Piemonte e della Lombardia.Per quanto riguarda invece gli interventi più significativi agli impian-ti, segnaliamo che, durante l’inverno 1923-1924, avviene una radicale trasformazione delle opere di presa della centrale di Bard: la primitiva traversa fissa in calcestruzzo è sostituita da una diga a tre luci di 21 metri ciascuna, con paratoie metalliche a settore circolare, assai adatta alla natura impetuosa del fiume in quel punto. Inoltre la centrale riceve anche una sistemazione elettrica più consona alle nuove esigenze del

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8/10 - Interni della cabina di trasformazione di Pont-Saint-Martin nel 1929.

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servizio, nel senso che viene rifatta l’alta tensione. Sino a questo mo-mento l’energia prodotta dalla centrale a 3 000 V era elevata a 15 000 V per essere poi trasportata a Carema e a Quincinetto, dove la trasforma-zione a 40 000 V consentiva l’alimentazione della rete del Biellese; da questa data invece la centrale stessa avrà la possibilità di trasformare la sua energia a 40 000 V immettendola sulla linea Verrès-Quincinetto. La centrale di Bard sarà poi soggetta ad una completa ricostruzione con ampliamento, a partire dal 1938. La portata media dell’acqua vie-ne aumentata a 45 mc / sec e la potenza innalzata a 4 389 HP; i quat-tro gruppi preesistenti sono sostituiti da un solo gruppo verticale con turbina Kaplan. Il nuovo impianto, inaugurato nel 1941, mantiene, del precedente, l’impronta dello sbarramento, dell’opera di presa, del canale di derivazione e di quello di scarico; la sala macchine è invece allestita in un nuovo edificio ubicato un centinaio di metri più a monte; la vecchia centrale è adibita da quel momento a magazzino.

***Nel dopoguerra, a partire dal 1948 e per una decina di anni, la prin-cipale fonte di informazioni sulle attività della Sip è data dal nuovo mensile aziendale “Elettrosip”, che riporta una gran quantità di dati, spesso spiccioli, di interesse vario, e che possono soddisfare anche certe nostre curiosità. Per esempio siamo informati sul fatto che, nel corso del 1948, tre cen-trali Sip hanno battuto ogni precedente primato di produzione di ener-gia elettrica e due di queste si trovano proprio in Valle d’Aosta: la centrale di Maën, che ha toccato i 106 milioni di kWh (il massimo precedente era stato raggiunto nel 1941 con 90 milioni di kWh), e

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quella di Isollaz, che ha raggiunto i 120 milioni di kWh e il cui prima-to precedente era del 1947, con 109 milioni di kWh. Nota 65 Altrove è invece una notizia di carattere luttuoso a colpire la nostra attenzione: nel corso dei cinquant’anni (1899-1949) di vita dell’azienda, ben 63 lavoratori hanno perso la vita per infortunio sul lavoro.Siamo poi edotti su diverse iniziative a margine dell’attività di produ-zione elettrica: nell’autunno del 1948 viene acquistata dalla Sip la sto-rica Villa Selve di Donnas: essa verrà trasformata in abitazioni per il personale di Hône, Bard e Pont-Saint-Martin; il progetto ricostruttivo prevede di ricavare quattro alloggi composti di cucina, due o tre came-re, ingresso e bagno, e un quinto alloggio nel sottotetto. I locali della medesima villa, opportunamente attrezzati a livello didattico, saran-no adibiti, dieci anni dopo, a centro di qualificazione per elettricisti e luogo di formazione e addestramento per il personale Sip addetto agli impianti della Valle d’Aosta. Nota 66Sotto il profilo industriale, in quegli stessi anni il Gruppo persegue un obiettivo assai importante, denominato nel lessico aziendale “caccia alle perdite”, il quale consiste nell’alzare la tensione sulle linee ovun-que sia possibile, al fine di diminuire le perdite sul trasporto dell’ener-gia. Il 12 dicembre 1948, la centrale di Carema, che aveva iniziato il suo servizio a 15 kV, passa dalla tensione di esercizio di 40 kV a quella di 70 kV. Il lavoro, che consiste nella sostituzione dei trasformatori, è eseguito interamente dal personale della centrale e viene realizzato con materiali recuperati da impianti demoliti. Da Ivrea ad Aosta il 40 kV risulta così completamente sparito, per lasciare posto al 70 kV. Alcuni anni dopo, nel 1951, è in corso di trasformazione l’intera rete tra Pont-Saint-Martin e Sesto San Giovanni, una delle più vecchie

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linee del gruppo Sip, costruita nel 1917 durante la guerra. Obiettivo è la scomparsa della tensione di 70 kV, che verrà inserita nell’unica a 130 kV, con vantaggi economici e semplificazione del servizio e degli scambi. I lavori, nel mese di giugno del 1951, risultano già ultimati da Sesto San Giovanni a Turbigo, mentre devono proseguire da Turbigo a Montestrutto, dove è prevista la sistemazione di una sottostazione di smistamento a 130 kV capace di ricevere e smistare tutta l’energia Sip della Valle d’Aosta verso il Piemonte e la Lombardia.

8/11 - La “nuova” centrale di Bard, entrata in funzione durante la Seconda Guerra mondiale.

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L’inaugurazione dell’impianto di Hône del 1947(Hône 1)

La costruzione della centrale di Hône costituisce il primo risultato del-lo sforzo costruttivo post-bellico del gruppo Sip. Si tratta infatti del primo impianto di produzione superiore ai 100 milioni di kWh che entri in funzione nel dopoguerra: la sua produzione è valutata in 120 milioni di kWh annui, dei quali 45 invernali. L’impianto, da solo, col

8/12 - Hône 1, ingresso alle caverne della sala trasformatori e della sala macchine.

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suo valore, rappresenta la garanzia di quasi sette decimi del capitale sociale della Sip in quel momento. Con la sua realizzazione, l’asta fluviale della Dora risulta utilizzata praticamente senza soluzione di continuità da Châtillon a Quincinetto, in una vera e propria “catena” di impianti che si inserisce in un complesso produttivo di ben più ampia portata e per il quale il gruppo prevede ulteriori e significativi sviluppi.I lavori alla centrale di Hône, iniziati fin dal 1939, erano stati inter-rotti a causa della guerra. L’impianto è ufficialmente inaugurato solo nel 1947, e per la precisione il 14 dicembre, alla presenza del ministro delle Comunicazioni Corbellini, in rappresentanza del Governo, di alti funzionari del ministeri delle Comunicazioni e dei Lavori Pubblici, dei dirigenti del gruppo Sip ‒ il presidente on. Giovanni Battista Ber-tone e i direttori generali ing. Luigi Selmo e avv. Attilio Paces ‒, del presidente dell’Anidel (Associazione nazionale imprese produttrici e distributrici di energia elettrica) ing. Pietro Ferrerio, delle principali autorità regionali e delle varie rappresentanze del personale. Una cro-naca dettagliata dell’evento è descritta nel primo numero di “Elettro-sip”, il giornale aziendale del gruppo, in uscita nel marzo 1948. Dopo aver reso omaggio, di fronte alla lapide che ne riporta i nomi,

8/13 - Immagini dall’inaugurazione della centrale di Hône 1 nel 1947, tratte dalla rivista aziendale “Elettrosip”.

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agli operai caduti sul lavoro, tutti i convenuti si riuniscono nella Cat-tedrale di Aosta dove il vescovo mons. Maturino Blanchet benedice il nuovo impianto e dove le varie autorità pronunciano discorsi di cir-costanza. Al termine della cerimonia di inaugurazione vengono distri-buiti certificati di benemerenza con cui la Sip intende esprimere il suo riconoscimento e ringraziamento ai progettisti, gli ing. Hans Lutz, Luigi Nicolis e Giulio Gentile, ai tecnici dell’impresa costruttrice, l’Idraulica S.C., e agli operai che si sono distinti nei lavori del cantiere. La festa

8/14 - La piana di Hône di fronte alla centrale durante i lavori di costruzione dell’impianto.

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si conclude con il pranzo offerto e servito nella galleria della finestra di attacco alla camera di carico scavata nella roccia.Procediamo ora ad una breve descrizione dell’impianto, che si innesta, come si è detto, sull’asta fluviale della Dora Baltea, con opera di presa a Montjovet. Al di sotto della Mongiovetta sono raccolte e convogliate nell’impianto le acque di scarico dell’omonima centrale, con un cana-le diretto di collegamento, e/o quelle della Dora, con uno sbarramento chiuso da paratoie a settore. Il canale derivatore si sviluppa in galleria

8/15 - L’opera di presa della centrale di Hône 1 a Montjovet.

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per circa 14 chilometri e termina con una camera di carico che si pre-senta come una vera caverna ricavata nella montagna. Dalla camera di carico si stacca la condotta forzata, anch’essa interna. Pure i locali della centrale vera e propria sono ricavati completamente nella roccia e sono costituiti da due caverne, con fronte verso l’esterno e comuni-canti tra loro, delle quali la maggiore costituisce la sala del generatore e la minore il locale per il trasformatore elevatore. Dalla caverna della turbina, con un canale di scarico in galleria della lunghezza di circa un chilometro, avviene la restituzione delle acque nella Dora, a mon-

8/16 - Hône 1, la vasca di carico e l’arrivo del canale di derivazione.

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te della gola di Bard. La stazione all’aperto, nel piazzale antistante la centrale, permette lo smistamento dell’energia su due linee. L’intera potenza idraulica dell’impianto, con un salto utile di 37,65 metri, è ottenuta con una sola turbina Kaplan ad asse verticale, della Riva, con potenza efficiente di 18 400 kW; si tratta, in quel momento, di una delle più potenti costruite in Italia. L’alternatore è dell’Ansaldo, dimensio-nato per 22 000 kVA con tensione di 6,5 kV, mentre il trasformatore, della Breda, è di 22 000 kVA.

8/17 - Lavori in corso sulla turbina nella centrale di Hône 1.

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A onor del vero e per completezza di informazione, dobbiamo ricordare come la realizzazione stessa della centrale non fu priva di difficoltà per l’opposizione avanzata dai coltivatori proprietari di beni nella piana o Tsampagni, riuniti in consorzio, nei confronti della Sip, i quali erano preoccupati per la riduzione della quantità di acqua destinata agli usi irrigui nella zona interessata. Una sintesi delle vicende, con una vera e propria cronistoria della vertenza, si può leggere sul giornale “Le Pays

8/18 - Lavori in corso sulla girante Kaplan nella centrale di Hône 1.

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d’Aoste” del 10 novembre 1950. Inoltre, per la sua stessa posizione, scavata com’è nella montagna che sovrasta, a sud, la piana di Hône, la centrale è stata nel corso della sua esistenza oggetto di diverse inon-dazioni. Tra tutte, ricordiamo almeno quella dei giorni 4 e 5 settembre 1948, allorché una violenta alluvione colpì diverse zone del Piemonte e della Valle d’Aosta. La centrale andò completamente sommersa; in occasione del medesimo evento, quella di Gressoney subì dei danni al canale di scarico, mentre alla centrale di Pont-Saint-Martin il Lys in piena asportò totalmente il muraglione di difesa. Nota 67 Facendo un

8/19 - Lavori in corso nel sotto macchina della centrale di Hône 1.

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bilancio, in quei due giorni circa metà della produzione degli impianti valdostani della Sip fu danneggiata o isolata per le interruzioni delle linee. Circa 60 000 kW di potenza efficiente produttiva furono mes-si fuori servizio. Anche gli impianti di trasporto furono seriamente danneggiati, dato che numerosi tralicci in ferro risultarono divelti ed asportati. A seguito dei numerosi altri episodi di esondazione della Dora verificatisi nella seconda metà del XX secolo, si provvide alla

8/20 - Lavori in corso sulla girante Kaplan nella centrale di Hône 1.

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realizzazione di opportune paratie di difesa davanti alla sala macchine, dell’altezza di circa 3 metri. Chi era in servizio nella centrale di Hône in occasione della drammatica alluvione del 15-16 ottobre del 2000 ricorda con dolore i notevoli danni subiti dall’impianto, nonostante le paratie attrezzate, dal momento che il livello dell’acqua superò le difese, raggiungendo la quota di 3,30 metri.

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La costruzione delle centralidi Sendren e Zuino alla fine degli anni Cinquanta

Notizie precise e circostanziate sulla costruzione degli impianti di Sendren e Zuino nella valle del Lys ci provengono da alcuni dettagliati articoli rintracciati ancora una volta sul mensile “Elettrosip” delle annate 1957 e 1958.I due impianti, entrati in funzione alla fine del 1958 e nel corso del 1959, vengono ad inserirsi tra quelli già esistenti di Gressoney-La-Trinité, della Sip stessa, e di Issime, di proprietà dell’Ilssa-Viola di Pont-Saint-Martin, a completare lo sfruttamento integrale delle acque del Lys, e a saldare per così dire gli anelli di una ideale catena che collega le acque del Gabiet alla centrale di Pont-Saint-Martin. Nello studio e nell’esecuzione di questi due nuovi impianti ‒ si legge nell’articolo ‒ « si è perseguito lo scopo di conciliare le esigenze tec-niche di una razionale utilizzazione delle risorse idrauliche con il più attento e scrupoloso rispetto delle bellezze naturali: in modo che le derivazioni d’acqua e le altre opere s’inseriscono il meglio possibile nello stupendo scenario della valle, senza offendere le caratteristiche e gli aspetti essenziali di questi luoghi incantevoli ».

La collocazione delle due centrali è per così dire suggerita dalla stessa conformazione dei luoghi: esse vengono infatti a trovarsi ai piedi delle ripide balze che segnano, verso valle, i confini delle due piane di Gres-soney-La-Trinité e di Gressoney-Saint-Jean.Il progetto originario della Sip, non andato a buon porto, prevedeva la

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8/22 - Centrale, condotta forzata e stazione elettrica di Sendren.

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realizzazione di un unico salto, per concentrare tutta la potenza dispo-nibile. Ne sarebbe derivato uno schema costruttivo più semplice, con spese di esercizio ridotte. Dopo un accurato esame della situazione idrologica, si preferì però ripartire l’utilizzazione delle acque in due salti successivi, in maniera da convogliare anche i torrenti e i corsi d’acqua minori. Soluzione che permise anche di impattare meno sul paesaggio, con qualche minimo sacrificio tecnico.L’impianto di Sendren, ad acqua fluente, ha l’opera di presa sul Lys a Lysbalma, ai margini della piana di Gressoney-La-Trinité. A mezza

8/23 - L’opera di presa della centrale di Sendren, a Lysbalma.

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costa corre il canale derivatore, il cui percorso, di oltre 3 chilometri, si svolge per un tratto più breve in galleria artificiale, per un tratto più lungo in galleria naturale, e raccoglie anche le acque del torrente Valdobbiola. Una galleria-serbatoio di 240 metri sfocia nel bacino di carico. La condotta forzata, lunga 278 metri, è installata all’aperto. La centrale, situata a Sendren, a monte di Gressoney-Saint-Jean, ha un bacino imbrifero di riferimento pari a 76,56 kmq; essa è dotata di un gruppo da 12 500 kVA. L’impianto è previsto per una portata di 6 mc / sec, con un salto di circa 193 metri e una potenza installata di 9 950 kW.

8/24 - Interno dell’attuale sala macchine di Sendren.

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8/25 - La centrale di Zuino oggi.

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La produzione annua viene stimata in 38,76 milioni di kWh.L’impianto di Zuino, invece ‒ impianto a bacino ‒ comprende la presa dal Lys e un bacino di accumulazione di circa 90 000 metri cubi a Bel-ciuken, al termine della piana di Gressoney-Saint-Jean; seguono un tratto di 455 metri in galleria artificiale sulla sponda sinistra, un pon-te-canale per l’attraversamento del Lys, un tratto in galleria naturale di 6 503 metri e una galleria serbatoio di 500 metri che termina al bacino di carico, esso pure in galleria, in località Belcrest. La centrale, che ha un bacino imbrifero di riferimento di circa 111,53 kmq ed utilizza le acque del Lys e del torrente Forca, sorge a Zuino, nel Comune di Gaby; essa è dotata di un gruppo da 27 500 kVA, con canale di scarico per le restituzione delle acque nel Lys appena a monte della presa del-la centrale di Issime. La portata prevista dell’impianto è di 7 mc / sec

8/26 - Interno dell’attuale sala macchine di Zuino.

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8/27 - Centrale di Zuino, particolare di macchinario.

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con un salto di circa 380 metri e una potenza installata di 22 900 kW. La produzione annua dell’impianto è calcolata in 103 milioni di kWh.Nel giugno 1957, per quanto riguarda l’impianto di Sendren, risultano condotti a termine i lavori di scavo per l’opera di presa, mentre si sta lavorando al canale di derivazione. Risulta in via di ultimazione il pon-te per l’accesso alla centrale e si sono iniziati i getti di fondazione per la costruzione del fabbricato stesso. Per quanto riguarda l’impianto di Zuino, si lavora alacremente alla presa e al bacino di accumulazione, dove è in via di esecuzione una importante rettifica dell’alveo del Lys. In località Belcrest sono state montate due teleferiche, di cui una, in particolare, è utilizzata per lo sgombero dei materiali di scavo in gal-leria; si prevede l’allestimento di una terza teleferica per il trasporto delle tubazioni della condotta forzata.Nel corso dell’estate dell’anno successivo tutti i lavori si perfezio-nano e si vanno ultimando, in maniera che le due centrali potranno entrare in servizio nei mesi successivi. A Sendren è in corso il lavoro di reinterro degli scavi per ripristinare il profilo naturale del terreno e non arrecare guasto al paesaggio; nell’edificio della centrale si stanno eseguendo lavori di finitura (intonaci, serramenti, ecc.) ed è stato ini-ziato il montaggio del macchinario. Anche a Zuino il cantiere procede speditamente. A conclusione dei lavori, un’ampia area di terreno ri-sulterà risanata, dato che in precedenza ogni piccola piena del torrente copriva vasti tratti di terreno trasformandolo in palude; anche a questo servono ‒ sottolinea l’autore dell’articolo ‒ gli accorgimenti tecnici degli impianti idroelettrici, ossia ad una opportuna regolazione delle acque montane.

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8/28 - La centrale di Zuino, con la condotta forzata interna alla montagna.

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Attività assistenzialie dopolavoristiche del gruppo Sip

Il gruppo Sip poteva vantare una delle più vecchie organizzazioni assistenziali di tipo aziendale. Fin dal 1906 la Società di elettricità Alta Italia (Eai), tra le prime in Italia, aveva aderito alla formazione di un ente mutualistico che si era costituito a Torino sotto il nome di Fondo di previdenza del personale dipendente. Suo scopo precipuo era quello di assicurare agli operai la corresponsione della paga quando essa, in applicazione delle norme contrattuali allora in vigore, non veniva con-cessa in caso di malattia o di infortunio, e di fornire agli operai l’as-sistenza medica, farmaceutica ed ospedaliera di cui avevano bisogno. Questo Fondo funzionò regolarmente ed estese la sua assistenza agli operai della Sip, della Piemonte centrale di elettricità e della Sip-Breda, cambiando la sua denominazione in Cassa di soccorso interna operai del gruppo Sip.Il 1° marzo 1929 si costituiva, in Torino, anche la Cassa di assistenza per gli impiegati della Sip, dell’Eai della Piemonte centrale di elettri-cità, con un fondo iniziale di 60 000 lire. Le entrate erano costituite da un versamento di 5 lire mensili per ogni iscritto. Scopo della Cassa era quello di assistere i propri iscritti in caso di malattia o infortunio, prov-vedendo al rimborso delle spese mediche e farmaceutiche e al ricovero in ospedali convenzionati.Dal 1929 le due Casse mutue procedettero parallelamente per quanto riguarda l’assistenza in caso di malattia, adottando i medesimi criteri as-sistenziali. Un progresso notevole si ebbe con l’estensione dell’assistenza ai

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8/29 - Immagini di una visita dell’Unione escursionisti torinesi agli impianti della Valle del Lys nel 1923.

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famigliari conviventi a carico degli iscritti. Tale provvedimento ebbe decorrenza dal 1° gennaio 1941 e fu di grande importanza, perché andò a diminuire notevolmente l’onere per le spese a carico degli iscritti per l’assistenza sanitaria ai propri congiunti, onere che non di rado su-perava le possibilità finanziarie della famiglia. Altre migliorie furono apportate dopo la guerra; nel 1948 veniva istituita in via sperimentale anche l’assistenza per le cure fango-terapiche, che incontrava subito un largo favore tra gli assistiti. In sintesi, i principali progressi nel campo dell’assistenza mutualistica ai dipendenti delle aziende elettriche del gruppo Sip riguardarono l’appianamento delle disparità di trattamento tra operai ed impiegati; inoltre, l’ampliamento delle prime provvidenze e la creazione di nuove giunsero a garantire al lavoratore e ai suoi con-giunti un’adeguata tranquillità economica anche nel caso di malattie lunghe e costose.Nel 1924 nacque il gruppo sportivo della Sip, che da un lato sviluppò tutta una serie di attività indipendenti (confluite nelle sezioni di atletica, scherma, ginnastica, pallacorda, nuoto, sport invernali, alpinismo, pal-lavolo, pallone elastico, bocce, motociclismo, calcio, escursionismo), dall’altro costituì il primo nucleo del Circolo dipendenti aziende Sip o Dopolavoro aziendale Sip (circolo Das, in breve), il principale promo-tore di numerose e svariate attività al di fuori dell’orario di lavoro. Al Das facevano infatti capo tutte le attività ricreative delle società con-sociate (convegni, raduni, gite, visite guidate, competizioni, ecc.), che potessero offrire la possibilità di conoscersi e di rinforzare lo spirito di gruppo.Tra le attività più significative segnaliamo l’organizzazione del-le cosiddette “colonie estive” per i soci, che riguardarono per lunghi

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8/30 - Immagini della colonia alpina di Cignana nel 1930.

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anni anche alcune località montane della Valle d’Aosta. La prima “co-lonia estiva” in termini cronologici ‒ termine con cui si indicavano le vacanze stanziali, in turni di quindici giorni, destinate ai dipendenti e alle loro famiglie ‒ fu quella marina, organizzata al Lido di Venezia ed interrotta solo durante la guerra, negli anni 1944 e 1945. Da quando al Lido s’impiantò, nel 1947, una colonia esclusivamente infantile, altre mète furono scelte per le ferie al mare dei dipendenti: Varazze e Sanremo in Liguria, Cattolica sull’Adriatico.Gressoney è, in quegli anni, la mèta di gite escursionistiche ed anche alpinistiche per i lavoratori della Sip, che scoprono, grazie alle atti-vità del dopolavoro aziendale, le bellezze paesaggistiche delle vallate valdostane e si cimentano in ascensioni sportive di vari livelli di dif-ficoltà. Alla fine degli anni Venti a Saint-Jean la villetta Latelten, ubi-cata accanto all’Hôtel du Nord, ospita una colonia alpina della Sip. Diciassette camere da letto singole o doppie e una sala di lettura sono a disposizione degli ospiti provenienti da Torino o eventualmente da altre destinazioni. Sono previsti turni di vacanza di quindici giorni. I prezzi variano dalle 325 lire della prima quindicina di luglio alle 450 della prima quindicina di agosto e sono comprensivi di vitto, alloggio, servizio, tassa di soggiorno e di iscrizione e viaggio di andata e ritorno da Torino. I bambini sotto i tre anni non pagano, ma devono dormire nel medesimo letto dei genitori. Si richiede a coloro che aderiscono al progetto un certo spirito di cameratismo e di adattamento:

« Non è possibile presumere di vivere in assoluta autonomia nel mezzo di una comunità che deve ordinarsi ed affiatarsi né pretendere in essa il trat-tamento dei grandi alberghi. Camere decorose, letti puliti e comodi, cibo buono, vario, nutriente ed abbondante, condito da comunicativa allegria

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8/31 - Presentazione fotografica della centrale di Isollaz, sul mensile aziendale “Sincronizzando...” nel 1930.

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fraterna. Gite, aria, salute, riposo: ecco i pregi della colonia alpina del Das […]; ecco gli obblighi che incombono ai soci che beneficiano di questa onerosa iniziativa promossa dalla modernità di vedute del gruppo e dal generoso riconoscimento che esso dedica alle nobili ed assidue fatiche dei suoi collaboratori ». Nota 68

A sua volta, la colonia di Cignana poteva ospitare 50-60 persone per turni di quindici giorni. Dal 1° luglio 1930 essa subì una radicale tra-sformazione, assumendo un carattere puramente alpino e perdendo le sue caratteristiche alberghiere. Venne sostituita infatti da un rifugio attrezzato per la vita a più di 2 100 metri quota e capace di diciotto posti letto, con una cucina in comune; esso era destinato a gruppi di alpinisti, come trampolino di lancio per le ascensioni sulle varie cime della Valtournenche. Nel corso della sua prima estate di attività, ospi-tò settantotto persone: sessantacinque provenienti da Torino, dieci da Bologna e tre da Milano.Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi del dopolavoro Sip, è opportuno ricordare come ogni sezione disponesse, solitamente, di una sua sede attrezzata. Il 21 aprile 1929 veniva inaugurata la sede di Pont-Saint-Martin del Das, destinata a più di un centinaio di tecnici, impiegati ed operai che lavoravano negli impianti del gruppo in Bassa Valle. Nota 69 I locali per la nuova sede furono messi a disposizione al pianterreno di una palazzina di proprietà della società stessa, sita lun-go il viale che dalla stazione portava al paese: composta da una sala riunioni, una sala di lettura, una sala da gioco, un camerino con bagno e doccia, un bel giardinetto ombroso con il gioco delle bocce, la sede era dotata anche di un grammofono e di giornali e la sua stessa ubicazione favoriva la frequentazione da parte dei lavoratori del posto,

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che in essa potevano trovare un punto di riferimento dove incontrarsi e trascorrere il tempo libero. La cerimonia di inaugurazione della sede vide la partecipazione di tutte le rappresentanze delle autorità locali: il federale fascista geom. Guido Parenti, il direttore del giornale “La Provincia di Aosta”, i rappresentanti dei Fasci maschili e femminili di Pont-Saint-Martin, Bard, Carema e Donnas, l’associazione Com-battenti e Militari in congedo, il Dopolavoro comunale di Pont, ecc. Allietò la cerimonia la banda municipale di Pont-Saint-Martin.

8/32 - Attenzione riservata al personale, sulle pagine del mensile aziendale “Sincronizzando...” nel 1925.

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Proprio in questa sede del dopolavoro viene festeggiata dai lavoratori della sottosezione di Pont-Saint-Martin la notte di Natale del 1929, in un clima di serena allegria, come risulta dalla cronaca riportata sul numero di “Sincronizzando…” del mese di febbraio successivo:

« La graziosa sede locale del Das, addobbata per la circostanza, è stata teatro di una veglia danzante protrattasi fino alle prime luci dell’alba. Set-tanta tra soci e loro famigliari erano presenti e ad essi vennero offerti lo spumante, biscotti e dolci. La festa fu animata da una orchestrina, secondo lo stesso giudizio militarescamente espresso dai presenti, ‘molto in gam-ba’. Il massimo merito ne va dato al direttore, signor Cipriano Reimondo, capo centrale di Bard. Notevolissimo lo spirito di cameratismo constatato ancora una volta tra i soci e che mano a mano aumenta col progredire del-la nostra attività dopolavoristica ». Nota 70

Non bisogna infine dimenticare che uno dei punti di forza su cui il gruppo Sip fece anche leva fu indubbiamente la priorità assegnata alla formazione, sia interna all’azienda sia in rapporto ad altri enti forma-tivi. La Sip, negli anni, mise volentieri a disposizione delle varie sedi universitarie, per i corsi di specializzazione delle facoltà di ingegneria, i suoi impianti valdostani, che diventarono la meta di istruttive visi-te didattiche nella bella stagione, come risulta dall’abbondante docu-mentazione rintracciata ancora una volta sul giornale aziendale “Sin-cronizzando…”.

8 Fonti e bibliografia

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Nota 1 ^L.-N. Bich, La Vallée d’Aoste de l’avenir. Le problème du jour :l’agriculture et les industries, Duc, Aoste 1907.

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Nota 2 ^J. Brocherel, Nos forces hydrauliques, in “Augusta Prætoria.Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921,nn. 9-10, pp. 185-187.

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Nota 3 ^Per approfondimenti di carattere generale sulla situazione italiana,cf. i cinque volumi della Storia dell’industria elettrica in Italia,Laterza, Roma-Bari 1992-1994.

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Nota 4 ^P.-L. Vescoz, Il y a 25 ans. Lumière électrique. Chemin de fer,in “Le Messager Valdôtain” 1912, pp. 37-39.

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Nota 5 ^Sulla società, più nota come Società cooperativa Forza e Luce (denominazione assunta fin dal 1911), cf. R. Nicco,La Società cooperativa Forza e Luce di Aosta, Quart 1996. Sulle vicende dell’elettrificazione della città di Aosta, cf. G. BoNis cuaz, L’illuminazione pubblica, in Aosta. Progetto per una storia della città,a cura di M. cuaz, Musumeci, Quart 1987, pp. 347-357.

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Nota 6 ^Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio,Statistica degli impianti elettrici attivati od ampliati in Italia nel decennio 1899-1908. Notizie sulle varie applicazioni elettriche al 1911,Roma 1911.

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Nota 7 ^In Lombardia, in particolare, operavano le società Edison,Conti e la Società lombarda per la distribuzione di energia elettrica.

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Nota 8 ^Cf. i regolamenti n. 3544 del 9 novembre 1885 e n. 710 del 26 novembre 1893, che prevedevano la costituzione di consorzi o di società civili o commerciali per l’esercizio delle concessioni.

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Nota 9 ^Cf. per esempio la legge n. 232 del 7 giugno 1894 e alcune importanti circolari del Ministero delle Finanze, come quella datata al 1° settembre 1897, dal titolo “Concessioni di forze motrici d’acque pubbliche da trasportarsi a grandi distanze per mezzo dell’energia elettrica”.

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Nota 10 ^Per approfondimenti sui rus, la bibliografia è abbondante. Si segnalano almeno J.-M. TrèVes, L’ancien rû d’Emarèse, Imprimerie Catholique, Aoste 1916, ripubblicato in J. TrèVes, H. R. Von Fels e J. BréaN, Le Ru Corthod : recueil de textes, Musumeci, Quart 1986; J. BréaN, Anciens rus de la Vallée d’Aoste, in “Bulletin de l’Académie Saint-Anselme”, XXVIII (1950), pp. 99-144, ripubblicato dal Centre Culturel di Challand-Saint-Anselme, in TrèVes, Von Fels e BréaN, Le Ru Corthod… cit.;J.-A. Voulaz, Le ru Herbal : aperçu historique et documents, Association valdôtaine des archives sonores, Il Timbro, Aoste 1985; G. Grimod, P. lexerT, J.-A. Voulaz, Aperçus sur les rus valdôtain, in“Le monde alpin et rhodanien” 4/1985; E. E. GerBore, Les rus de la Vallée d’Aoste : règlementations et usages, in L’homme et les Alpes, Glénat, Grenoble 1992, pp. 292-293; e. e. GerBore, Les rus valdôtains auMoyen-Âge, in “Annales Valaisannes”, 1995, pp. 143-161; J. Barocco,L. Giai e J.-G. riVoliN, Autour des rus. Notes à servir pour l’étude de l’ancien réseau d’irrigation de la Vallée d’Aoste, in “Archivum Augustanum”, n. s., I (2001), pp. 195-216 ; Gli antichi canali irrigui dell’arco alpino. Storia, gestione e valorizzazione di un elemento del territorio montano, a cura di G. VauTeriN, Le Château, Aosta 2003; G. VauTeriN, Gli antichi rû della Valle d’Aosta: profilo storico, agricolo, tecnico e ambientale dei canali irrigui in una regione di montagna,Le Château, Aosta 2007. Sulla Valle del Lys, i due contributi più recenti sono quelli di D. marTiNeT, La cultura dell’acqua, in “Augusta” 2013, pp. 29-44, sui rus di Issime, e di F. coNsol, D’wülini. I rus, in “Augusta” 2013, pp. 45-47, sul ru di Fontaineclaire.

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Nota 11 ^Per uno sguardo complessivo sulla situazione della Bassa Valle nel Settecento, cf. F. BaudiN, Miniere e ferriere, in La porta della Valle d’Aosta, a cura della Settima Comunità Montana, Musumeci, Quart 2001, pp. 85-99; cf. anche R. Nicco, Il ruolo dell’industria minerario-metallurgica nella Valle d’Aosta dei secoli XVIII e XIX, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Valle d’Aosta, a cura di S. J. WoolF, Einaudi, Torino 1995, pp. 471-542.

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Nota 12 ^Sulla situazione dell’industria metallurgica a Pont-Saint-Martin prima di Mongenet, cf. R. Nicco, Lo sviluppo nel Settecento, in Pont-Saint-Martin, Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della Bassa Valle, Musumeci, Quart 1997, pp. 112-119.

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Nota 13 ^Per approfondimenti, cf. T. charles, Donnas, l’impronta dei Selve, Bollettino della Biblioteca comunale di Donnas, n. 3, 1987.

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Nota 14 ^Per approfondimenti, cf. R. marTiNeT, E. mosca, L’ingegnere svizzero Giacomo Gossweiler e la sua “fabbrica dei chiodi” nella Hône di inizio Novecento, Le Château, Aosta 2007.

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Nota 15 ^Sulla figura dell’ing. Vincenzo Soldati (1841-1917) e sulle sue numerose attività nell’ambito delle costruzioni ferroviarie e delle costruzioni idrauliche, anche in Valle d’Aosta, cf. la commemorazione tenuta nell’adunanza del 28 giugno 1919 dalla Società degli ingegneri e degli architetti di Torino, in www.digit.biblio.polito.it/499/1/1918_002.pdf, che raccoglie gli atti della Società stessa.

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Nota 16 ^In sintesi, per il 52,5% il capitale sociale della Società elettrochimica Pont-Saint-Martin era di provenienza svizzero-tedesca, per il 5% francese (tramite la partecipazione della Société des carbures métalliques di Parigi) e per il restante 42,5 % italiana.

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Nota 17 ^Per approfondimenti, cf. Il canale Pont-Saint-Martin ‒ Carema. L’edificio motori, le condutture, l’avvenire, in “La Sentinella d’Ivrea”, n. 38, 19 settembre 1901, riprodotto in M. Barsimi, Carema terra di vino e di emozioni, Hever, Ivrea 2013, p. 105.

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Nota 18 ^Sip. Quarant’anni di attività, Società editrice torinese, Torino anno XVI e. f. [1938].

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Nota 19 ^R. rio, Sviluppo industriale e risorse idriche in Valle d’Aostadalla fine del XIX secolo ai primi decenni del Novecento,Le Château, Aosta 2006, p. 80.

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Nota 20 ^Per approfondimenti cf. R. Nicco, Lo sfruttamento delle risorse idriche, in Pont-Saint-Martin. Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della Bassa Valle d’Aosta, Musumeci, Quart 1997, pp. 140-146 e O. zaNolli, L’eau et son utilisation dans l’industrie. L’éclairage et la force motrice, in Lillianes. Histoire d’une communauté de montagne de la Basse Vallée d’Aoste, Musumeci, Quart 1986, pp. 137-156.

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Nota 21 ^M. Barsimi, Carema terra di vino e di emozioni,Hever, Ivrea 2013, p. 109.

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Nota 22 ^Per problemi di liquidità, gli impianti della Sip-Breda passarono tutti alla Sip verso la metà degli anni Venti.

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Nota 23 ^Per approfondimenti, cf. ancora Nicco,Lo sfruttamento delle risorse… cit., pp. 140-142.

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Nota 24 ^Per approfondimenti, cf. rio,Sviluppo industriale… cit., pp. 78-98.

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Nota 25 ^“Le Messager Valdôtain” 1918, p. 66, e J. Brocherel,Lacs artificiels dans la Vallée d’Aoste, in “Augusta Prætoria.Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1924, nn. 1-6, p. 22.

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Nota 26 ^Cf. i decreti luogotenenziali n. 57 del 25 gennaio 1916;n. 1149 del 3 settembre 1916; n. 1664 del 20 novembre 1916.

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Nota 27 ^“Le Messager Valdôtain” 1919, p. 58.

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Nota 28 ^“Le Messager Valdôtain” 1920, p. 72.

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Nota 29 ^“Elettrosip” 4/1950, serie conservata pressol’Archivio storico Telecom Italia di Torino.

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Nota 30 ^La centrale elettrica Sip a Pont-Saint-Martin sconvoltae semidistrutta da una spaventosa esplosione, nel “Il Monitore Valdostano”, anno IX, num. 4 del 31 gennaio 1958.

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Nota 31 ^Per approfondimenti sulla costruzione di questo tipo di diga, cf. L. maNGiaGalli, Dighe in muratura a secco e sbarramento sul torrente Hone [o alto Belice, in Sicilia], in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. VIII, n. 33 (5 dicembre 1921), pp. 705-711.

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Nota 32 ^J. Brocherel, Lacs artificiels dans la Vallée d’Aoste, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1924, nn. 1-6, p. 26.

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Nota 33 ^Una meravigliosa affermazione della Sip-Bredanel montaggio dei tubi dell’impianto Gressoney-Gabiet,in “Sincronizzando…”, n. 3, anno I, marzo 1922, pp. 91-94.

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Nota 34 ^Per approfondimenti, cf. G. GeNTile, I rivestimenti metallici delle dighe in muratura di pietrame del Lago del Diavolo e del Gabiet. Appendice alla monografia L’impermeabilizzazione di alcune dighe a gravità in muratura di pietrame, in “L’energia elettrica”, febbraio 1937, p. 72.

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Nota 35 ^“Le Messager Valdôtain” 1920, p. 72.

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Nota 36 ^“Le Messager Valdôtain” 1916, p. 114.

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Nota 37 ^Così risulta anche da una interessanteRelazione e confronti sui mezzi di trasporto, del 13 novembre 1918, conservata presso gli archivi di CVA, Fondo Breda.

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Nota 38 ^D. lucaT et J. Brocherel, Aménagement des forces hydrauliques du Lys, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 9-10, p. 238.

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Nota 39 ^“Le Messager Valdôtain” 1919, p. 58.

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Nota 40 ^lucaT et Brocherel, Aménagement… cit., pp. 240-241.

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Nota 41 ^“Le Messager Valdôtain” 1918, p. 65.

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Nota 42 ^Per uno sguardo d’insieme sulle fonti a disposizione su questo argomento, cf. quanto scrive Alessandro Celi nella sua tesi di Dottorato di ricerca in Storia, cultura e strutture delle aree di frontiera, Valle d’Aosta militare. Esercito, cultura e società in una regione di frontiera 1848-1940, Università degli Studi di Udine, a.a. 2011/2012, rel. Paolo Ferrari,pp. 224 e ss.

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Nota 43 ^“Le Messager Valdôtain” 1914, pp. 95 e 101; 1915, pp. 121 e 125.

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Nota 44 ^G. FoGliasso, Alcuni cenni sui recenti lavori nell’impianto di Montjovet della Eai, in “Sincronizzando…”, n. 12, anno III, dicembre 1924, pp. 1398-1400.

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Nota 45 ^“Le Messager Valdôtain” 1915, p. 128.

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Nota 46 ^“Le Messager Valdôtain” 1918, pp. 66-67.

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Nota 47 ^Sulla centrale Cravetto di Pont-Saint-Martin cf. R. Nicco, Pont-Saint-Martin. Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della Bassa Valle d’Aosta, Musumeci, Quart 1997, pp. 145-146. Nel corso degli anni Ottanta queste centrali verranno cedute rispettivamente le prime due alle Acciaierie Ferrero e la terza all’Olivetti. La Regione autonoma Valle d’Aosta espresse inizialmente interesse per la loro acquisizione, in vista di un eventuale trasferimento all’Illsa-Viola, che possedeva una sola centrale in proprio, ma il progetto non andò a buon fine.

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Nota 48 ^C. BiNel, Gli anni dell’elettrosiderurgia: le acciaierie Cogne dalla prima guerra mondiale al boom economico, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Valle d’Aosta, a cura di S. J. WoolF, Einaudi, Torino 1995, p. 546.

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Nota 49 ^“Le Messager Valdôtain” 1918, p. 63.

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Nota 50 ^Per approfondimenti, cf. ancora Nicco, Pont-Saint-Martin… cit.,pp. 147-150.

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Nota 51 ^Siamo debitori di tutte queste informazioni e della ricostruzione precisa delle vicende di questa centrale alla cortesia e alla disponibilità del sig. Marco Busso di Issime, che è stato a lungo capo centrale a Grand-Praz (e quindi dipendente prima dell’Ilssa-Viola, poi della Società cooperativa elettrica Issime, poi della “vecchia” CVA, infine ‒ dal 2001 ‒ della “nuova”, come si usa dire all’interno dell’azienda) sino al suo pensionamento avvenuto nel 2003.

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Nota 52 ^J. lale-démoz, Projets de dérivation des eaux de l’Evançon, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1919, n. 2, p. 90.

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Nota 53 ^J. Brocherel, Nos forces hydrauliques (suite), in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 11-12, p. 261.

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Nota 54 ^La centrale di Ponte Lila rimase in esercizio presumibilmente sino al 30 giugno 1929, come riferito, da alcune persone che vi lavorarono fino a quella data, al sig. Jean-Auguste Voulaz di Challand-Saint-Anselme, a cui siamo debitori di diverse precisazioni in merito alle vicende di questo impianto e non solo.

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Nota 55 ^G. caliGaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 311-312 e 330.

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Nota 56 ^In realtà, dopo diversi anni di arresto della produzione, le condizioni dell’impianto erano alquanto precarie: la condotta forzata, completamente interrata, era bucata dalla ruggine in diversi punti e bisognava continuamente intervenire scavando e saldando le tubazioni, con grande disappunto degli agricoltori della zona (informazione trasmessa dal sig. Jean-Auguste Voulaz di Challant-Saint-Anselme).

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Nota 57 ^Il giorno successivo, l’8 marzo, viene minato il ponte-canale sul torrente Giassit che porta l’acqua da Guillemore alla vasca di carico della centrale di Pont-Saint-Martin; alla fine dello stesso mese è la linea della centrale elettrica di Cravetto a Vert a subire gravi danni. Per ulteriori dettagli, cf. R. Nicco, La Resistenza in Valle d’Aosta, Musumeci, Quart 1990, pp. 53-55 e 130-134.

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Nota 58 ^Per un inquadramento generale del contesto dell’industria idroelettrica in quegli anni, cf. le pagine sulla Sip, nel capitolo relativo.

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Nota 59 ^Sull’architetto Giovanni Muzio, per approfondimenti, cf. P. TorriaNo (prefazione di), Giovanni Muzio, casa editrice “Maestri dell’architettura” S.A., Ginevra 1931; G. GamBirasio e B. miNardi (a cura di), Giovanni Muzio. Opere e scritti, Franco Angeli, Milano 1982; L’architettura di Giovanni Muzio, Cataloghi Segesta Abitare, Milano 1994; F. irace, Giovanni Muzio, 1893-1982. Opere, Electa, Milano 1994. Sulla progettazione della centrale di Isollaz, cf. anche i disegni tecnici di Giovanni Antonio Porcheddu, del 1927, su progetto architettonico di Muzio, riprodotti in Architettura moderna alpina in Valle d’Aosta, a cura di L. moreTTo, Musumeci, Quart 2003, pp. 46-49: “Archivi G. A. Porcheddu, Politecnico di Torino: disegno del progetto esecutivo della centrale; pianta dei solai di copertura; centrale, prospetti secondo le sezioni; centrale, sala trasformatori, piante e sezioni”.

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Nota 60 ^Per approfondimenti, cf. L’impianto idroelettrico di Quincinetto della Società idroelettrica Piemonte, in “Sincronizzando…”, n. 3, anno III, marzo 1924, pp. 987-996 e La sistemazione dell’impianto di Quincinetto, in “Sincronizzando…”, n. 4, anno III, aprile 1924, pp. 1037-1040.

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Nota 61 ^Per approfondimenti cf. G. caliGaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993,pp. 380 e ss.

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Nota 62 ^Sip. Quarant’anni di attività, Società editrice torinese, Torino anno XVI e. f. [1938].

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Nota 63 ^La serie completa del mensile “Sincronizzando…” (1922-1930) è conservata presso l’Archivio storico Telecom Italia di Torino, in via Arrigo Olivetti 6.

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Nota 64 ^Per approfondimenti, cf. La nuova linea Pont-Saint-Martin - Torino. Prezioso contributo al florido avvenire delle industrie piemontesi, in “Sincronizzando…”, n. 1, anno I, gennaio 1922, pp. 10-13.

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Nota 65 ^Primati di produzione, in “Elettrosip” 3/1949.

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Nota 66 ^“Elettrosip” 10/1948 e 7/1958; in questo secondo articolo si propone la cronaca di una visita al centro fatta dalle autorità regionaliavv. Bondaz e geom. Pareyson.

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Nota 67 ^I nubifragi in Piemonte. Gravi danni agli impianti elettrici,in “Elettrosip” 8/1948.

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Nota 68 ^Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Colonia alpina Sip, in “Sincronizzando…”, n. 5, anno VIII, maggio 1929, pp. 365-366.

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Nota 69 ^Il 29 dicembre dello stesso anno è la volta dell’inaugurazione della sede Das di Gressoney-La-Trinité, come risulta dalla breve notizia in “Sincronizzando…”, n. 2, anno IX, febbraio 1930, pp. 169-170. Laddove le sezioni non dispongono di una vera e propria sede, sono attrezzate delle baracche apposite, smontabili, come succede per esempio ad Isollaz nel 1930; cf. Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Nucleo di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 7, anno IX, luglio 1930, p. 595.

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Nota 70 ^Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Gressoney,l’inaugurazione della sede. Ponte San Martino, un allegro Natale,in “Sincronizzando…”, n. 2, anno IX, febbraio 1930, pp. 169-170.

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Fonti e bibliografia

Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3Capitolo 4Capitolo 5Capitolo 6Capitolo 7Capitolo 8

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Fonti e bibliografia capitolo 1

- Daniela Manetti, La legislazione sulle acque pubbliche e sull’industria elettrica, in Storia dell’industria elettrica in Italia. Le origini 1882-1914, a cura di Giorgio Mori, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 111-154

- Carlo Bardini e Peter Hertner, Decollo elettrico e decollo industriale, in Ibidem, pp. 201-248- Giuseppe Barone, La riforma del 1916 e il piano elettro-irriguo (Nitti e il dibattito sull’energia),

in Storia dell’industria elettrica in Italia. Il potenziamento tecnico e finanziario 1914-1925, a cura di Luigi De Rosa, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 224-230

- Maria Ottolino, L’evoluzione legislativa, in Ibidem, pp. 465-509- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra

mondiale, Il Mulino, Bologna 1993 - Teresa Charles, Raimondo Martinet, Hône e il suo passato, Tipografia Valdostana, Aosta

1995- Roberto Nicco, Il ruolo dell’industria minerario-metallurgica nella Valle d’Aosta dei secoli

XVIII e XIX, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Valle d’Aosta, a cura di Stuart J. Woolf, Einaudi, Torino 1995, pp. 471-542

- Roberto Nicco, Pont-Saint-Martin, Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della bassa Valle, Musumeci, Quart 1997 (in particolare il cap. VIII, L’evoluzione industriale di Pont-Saint-Martin, pp. 109-150)

- Fausta Baudin, Miniere e ferriere, in La porta della Valle d’Aosta, a cura della Settima Comunità Montana, Musumeci, Quart 2001, pp. 85-99

- Roberta Rio, Profilo storico, in Rus et barrages: uomini, acque, capitali nella storia della Valle d’Aosta contemporanea, Saint-Christophe 2001, pp. 10-76

- Giacomina Caligaris, L’avvento dell’industria elettrica come fattore di rottura dell’equilibrio economico-sociale tradizionale nelle regioni dell’arco alpino occidentale, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 1/2004, pp. 185-221

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Fonti e bibliografia capitolo 2

- Torino, Archivio storico Telecom Italia, Società industriale elettrochimica di Pont-Saint-Martin, Registri dei verbali (delle assemblee dei soci, del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e del comitato esecutivo), 1899-1918

- L’inaugurazione del canale industriale di Pont-Saint-Martin, in “La Sentinella d’Ivrea”, n. 37, 12 settembre 1901, riprodotto in Margherita Barsimi, Carema terra di vino e di emozioni, Hever, Ivrea 2013, p. 105

- Giacomina Caligaris, La Società industriale elettrochimica Pont-Saint-Martin, antesignana della Società Idroelettrica Piemonte (Sip) negli anni dell’esordio 1899-1901, in “Studi in memoria di Mario Abrate”, vol. III, Napoli 1986, pp. 887-913

- Giacomina Caligaris, All’origine dell’industria elettrica in Piemonte : dalla società elettrochimica Pont-Saint-Martin alla Società Idroelettrica Piemonte (1899-1922), in “Studi piemontesi”, 1/1986, pp. 179-187 e in L’Italia industriale nelle sue regioni: bilancio storiografico. Atti del I Convegno Nazionale di storia dell’industria in Italia (Salerno e Amalfi, 29-31 ottobre 1985), a cura di Lucio Avagliano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1988

- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993

- Roberto Nicco, Pont-Saint-Martin, Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della bassa Valle, Musumeci, Quart 1997

- Roberta Rio, Profilo storico, in Rus et barrages: uomini, acque, capitali nella storia della Valle d’Aosta contemporanea, Saint-Christophe 2001, pp. 10-76

- Roberta Rio, Sviluppo industriale e risorse idriche in Valle d’Aosta dalla fine del XIX secolo ai primi decenni del Novecento, Le Château, Aosta 2006

- Margherita Barsimi, Carema terra di vino e di emozioni, Hever, Ivrea 2013

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Fonti e bibliografia capitolo 3

- Gita in Valle d’Aosta 28-30 settembre 1918. Gli impianti della Società italiana Ernesto Breda nella Valle del Lys e Impianto di Quincinetto, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. V, n. 27 (25 settembre 1918), pp. 373-374

- Désiré Lucat e Jules Brocherel, Aménagement des forces hydrauliques du Lys, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 9-10, pp. 202-246

- L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys da parte della Società Idroelettrica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”, Tipografia del Senato G. Bardi, Roma 1922

- Gli impianti della Sip Breda in Valle Lys, I e II parte, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. X, n. 33 (25 novembre 1923), pp. 790-800; vol. X, n. 34 (5 dicembre 1923), pp. 813-823

- Gli impianti della Sip Breda in Valle Lys, III parte, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. XI, n. 4 (5 febbraio 1924), pp. 69-79

- Jules Brocherel, Lacs artificiels dans la Vallée d’Aoste, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1924, nn. 1-6, pp. 20-28

- La Breda: dalla società italiana Ernesto Breda alla finanziaria Ernesto Breda: 1886-1986, Amilcare Pizzi Editore, Milano 1986, ed in particolare i contributi di Valerio Castronovo, La Breda nella storia dell’industria italiana, pp. 7-31; Gianfranco Petrillo, La Breda e Sesto San Giovanni tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, pp. 141-160, G. Mori, Una grande industria polisettoriale: il modello Breda, pp. 161-165

- Orfeo Zanolli, L’eau et son utilisation dans l’industrie. L’éclairage et la force motrice, in Lillianes. Histoire d’une communauté de montagne de la Basse Vallée d’Aoste, Musumeci, Quart 1986, pp. 137-156

- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993

- Roberto Nicco, Pont-Saint-Martin, Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della bassa Valle, Musumeci, Quart 1997, pp. 140-146

- Roberta Rio, Sviluppo industriale e risorse idriche in Valle d’Aosta dalla fine del XIX secolo ai primi decenni del Novecento, Le Château, Aosta 2006

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Fonti e bibliografia capitolo 4

- Archivi CVA SpA (uffici di competenza), Relazioni sulle opere e Disciplinari di esercizio e manutenzione delle dighe

- Gita in Valle d’Aosta 28-30 settembre 1918. Gli impianti della Società italiana Ernesto Breda nella Valle del Lys e Impianto di Quincinetto, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. V, n. 27 (25 settembre 1918), pp. 373-374

- “Le Messager Valdôtain” annate 1919 e 1920- D. Lucat e J. Brocherel, Aménagement des forces hydrauliques du Lys, in “Augusta Prætoria.

Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 9-10, pp. 202-246- L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys da parte della Società

Idroelettrica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”, Tipografia del Senato G. Bardi, Roma 1922 - Una meravigliosa affermazione della Sip-Breda nel montaggio dei tubi dell’impianto

Gressoney-Gabiet, in “Sincronizzando…”, n. 3, anno I, marzo 1922, pp. 91-94- Le nostre centrali. La centrale idroelettrica di Pont-Saint-Martin della SIP-Breda, in

“Sincronizzando…”, n. 11, anno I, novembre 1922, pp. 345-347- Gli impianti della Sip-Breda in Valle Lys, I e II parte, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti

della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. X, n. 33 (25 novembre 1923), pp. 790-800; vol. X, n. 34 (5 dicembre 1923), pp. 813-823

- Gli impianti della Sip Breda in Valle Lys, III parte, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della Associazione elettrotecnica italiana”, vol. XI, n. 4 (5 febbraio 1924), pp. 69-79

- Jules Brocherel, Lacs artificiels dans la Vallée d’Aoste, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1924, nn. 1-6, pp. 20-28

- A. Solari, La trasformazione della centrale di Pont-Saint-Martin della SIP-Breda, in “Sincronizzando…”, n. 5, anno VII, maggio 1928, pp. 289-292

- La centrale elettrica Sip a Pont-Saint-Martin sconvolta e semidistrutta da una spaventosa esplosione, in “Il Monitore Valdostano”, anno IX, num. 4 del 31 gennaio 1958

- Dighe e serbatoi della catena alpina, e Elenchi delle dighe italiane incluse quelle in costruzione al 31 dicembre 1959, in Le dighe di ritenuta degli impianti idroelettrici italiani, a cura della Commissione Anidel per lo studio dei problemi inerenti alle dighe, Associazione nazionale imprese produttrici e distributrici di energia elettrica, 6 voll., Roma 1961: Gabiet Nord e Sud e Vargno, vol. IV, schede 21 e 22

- Roberto Nicco, Lo sfruttamento delle risorse idriche, in Pont-Saint-Martin. Trasformazioni economiche e sociali di una comunità della Bassa Valle d’Aosta, Musumeci, Quart 1997, pp. 140-146

4 ^

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Fonti e bibliografia capitolo 5

- Archivi CVA SpA, Fondo Breda- “Le Messager Valdôtain”, annate 1916, 1918, 1920- Désiré Lucat e Jules Brocherel, Aménagement des forces hydrauliques du Lys, in “Augusta

Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 9-10, pp. 202-246- L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys da parte della Società

Idroelettrica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”, Tipografia del Senato G. Bardi, Roma 1922

5 ^

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Fonti e bibliografia capitolo 6

- Archivio Commission des Traditions, Comune di Hône, Impianto idroelettrico dell’Ayasse, Planimetria generale e documenti vari

- Archivi CVA SpA (uffici di competenza), Relazioni sulle opere e Disciplinari di esercizio e manutenzione delle dighe

- “Le Messager Valdôtain”, annate 1913, 1914, 1915- Vincent Gorris, Dérivation des eaux de la Doire pour la construction hydro-éléctrique.

Châtillon ‒ Montjovet, in “Le Messager Valdôtain” 1915, pp. 68-71- L’impianto di Montjovet in Valle d’Aosta, in “L’Elettrotecnica. Giornale ed atti della

Associazione elettrotecnica italiana”, vol. II, n. 14 (15 maggio 1915), pp. 318-326 e vol. II, n. 15 (25 maggio 1915), pp. 349-354

- La linea elettrica Montjovet – Aosta, in “Sincronizzando…”, n. 2, anno I, febbraio 1922, pp. 40-48

- Un’altra dura fatica compiuta. La nuova linea Montjovet-Quincinetto, in “Sincronizzando…”, n. 12, anno I, dicembre 1922, pp. 371-378

- L’impianto di Montjovet della Società Idroelettrica Valle d’Aosta, in “Sincronizzando…”, n. 2, anno II, febbraio 1923, pp. 463-466

- G. Fogliasso, Alcuni cenni sui recenti lavori nell’impianto di Montjovet della Eai, in “Sincronizzando…”, n. 12, anno III, dicembre 1924, pp. 1398-1400

- Una linea a conduttori d’alluminio in Valle d’Aosta, in “Sincronizzando…”, n. 8, anno IV, agosto 1925, pp. 328-329

- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993

- Teresa Charles, Raimondo Martinet, Hône e il suo passato, Tipografia Valdostana, Aosta 1995

6 ^

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Fonti e bibliografia capitolo 7

- Joseph Lale-Démoz, Projets de dérivation des eaux de l’Evançon, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1919, n. 2, pp. 90-99

- Jules Brocherel, Nos forces idrauliques, in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 9-10, pp. 185-192 e Nos forces idrauliques (suite) in “Augusta Prætoria. Revue valdôtaine de pensée et d’action régionaliste”, 1921, nn. 11-12, pp. 257-262

- L’impianto idroelettrico dell’Evançon della Side, in “Sincronizzando…”, n. 7, anno VI, luglio 1927, pp. 436-438

- Giulio De Marchi, Opere di scarico del bacino della centrale di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 3, anno VII, marzo 1928, pp. 139-149

- Rabezzana, La linea di trasmissione a 135 kV da Isollaz a Verrès, in “Sincronizzando…”, n. 2, anno VIII, febbraio 1929, pp. 91-96

- L’impianto di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 3, anno VIII, marzo 1929, pp. 192-194- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Nucleo di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 7,

anno IX, luglio 1930, p. 595- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Gita al rifugio Das ed inaugurazione sede di Maën.

Nucleo di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 8, anno IX, agosto 1930, pp. 675-677 e 682-683- La nuova linea 9kV Vollon-Champoluc, in “Elettrosip” 2-3/1952.- Roberto Nicco, La Resistenza in Valle d’Aosta, Musumeci, Quart 1990, pp. 53-55 e 130-134- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra

mondiale, Il Mulino, Bologna 1993- Architettura moderna alpina in Valle d’Aosta, a cura di Luca Moretto, Musumeci, Quart

2003- Roberta Rio, Sviluppo industriale e risorse idriche in Valle d’Aosta. Dalla fine del XIX secolo

ai primi decenni del Novecento, Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d’Aosta, Le Château, Aosta 2006

- Ezia Bovo, Ezio Alliod, La Brambilla, dalla fabbrica del cotone alla fabbrica della cultura, Musumeci, Quart 2007 [in particolare, sulla centrale idroelettrica di Verrès, pp. 113-116]

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Fonti e bibliografia capitolo 8

- La nuova linea Pont-Saint-Martin – Torino. Prezioso contributo al florido avvenire delle industrie piemontesi, in “Sincronizzando…”, n. 1, anno I, gennaio 1922, pp. 10-13

- Gite d’istruzione. Gli studenti della Scuola di applicazione per ingegneri di Padova visitano gli impianti idroelettrici del Piemonte [sugli impianti del Lys], in “Sincronizzando…”, n.7, anno II, luglio 1923, pp. 678-679

- Società idroelettrica Piemonte, Torino. Relazione del Consiglio di amministrazione all’assemblea straordinaria degli azionisti del 3 giugno 1924, supplemento alla rivista “Sincronizzando…”, n. 6, anno III, giugno 1924

- La nuova sistemazione della centrale di Bard, in “Sincronizzando…”, n. 1, anno VII, gennaio 1928, pp. 25-29

- A. Solari, La trasformazione della centrale di Pont-Saint-Martin della Sip-Breda, in “Sincronizzando…”, n. 5, anno VII, maggio 1928, pp. 289-292

- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Colonia alpina SIP, in “Sincronizzando…”, n. 5, anno VIII, maggio 1929, pp. 365-366

- La nuova sede del Das a Ponte San Martino, in “Sincronizzando…”, n. 6, anno VIII, giugno 1929, pp. 426-428

- Frezet, Il sistema capacitivo Siemens applicato nelle centrali di Viverone e Ponte San Martino, in “Sincronizzando…”, n. 10, anno VIII, ottobre 1929, pp. 747-753

- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Gressoney, l’inaugurazione della sede. Ponte San Martino, un allegro Natale, in “Sincronizzando…”, n. 2, anno IX, febbraio 1930, pp. 169-170

- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Il rifugio Das a Cignana, in “Sincronizzando…”, n. 3, anno IX, marzo 1930, pp. 250-252

- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Nucleo di Isollaz, in “Sincronizzando…”, n. 7, anno IX, luglio 1930, p. 595

- Attività dopolavoristica nel Gruppo Sip. Storia di un rifugio: la colonia alpina di Cignana, in “Sincronizzando…”, n. 10, anno IX, ottobre 1930, pp. 851-855

- Giulio Meneghina, La sottostazione di Ponte San Martino (Valle d’Aosta), in “Sincronizzando…”, n. 11, anno IX, novembre 1930, pp. 871-887

- Sip. Quarant’anni di attività, Società editrice torinese, Torino anno XVI e. f. [1938] – [testi a cura degli ing. Agostino Dalla Verde, Giulio Gentile e Arnolfo Pernier, volume celebrativo dei quarant’anni di vita ed attività della Sip]

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- Inaugurazione della centrale di Hône, in “Elettrosip” 1/1948 [con Fotocronaca dell’inaugurazione di Hône]

- I nubifragi in Piemonte. Gravi danni agli impianti elettrici, in “Elettrosip” 8/1948- Il passaggio a 70 kV della centrale di Carema, in “Elettrosip” 1/1949- Primati di produzione, in “Elettrosip” 3/1949- L’assistenza al personale, in “Elettrosip” 11/1949- L’aumento della tensione sulla linea PSM ‒ Sesto San Giovanni, in “Elettrosip” 6/1951- Dall’Elettrochimica di Pont-Saint-Martin al gruppo Sip: le tappe di una lunga ascesa, in

“Elettrosip” 6/1957- I lavori nella Valle del Lys, in “Elettrosip” 6/1957 - In costruzione le centrali di Sendren e di Zuino lungo il pittoresco corso del Lys, in “Elettrosip”

6/1958- C. Bermond e Giacomina Caligaris, Una fonte documentaria per la storia dell’industria

elettrica subalpina: l’archivio Sip di Torino, in “Studi Piemontesi”, vol. XIII, 2/1984, pp. 424-434

- Giacomina Caligaris, All’origine dell’industria elettrica in Piemonte: dalla società elettrochimica Pont-Saint-Martin alla Società idroelettrica Piemonte (1899-1922), in “Studi piemontesi”, 1/1986, pp. 179-187 e in L’Italia industriale nelle sue regioni: bilancio storiografico. Atti del I Convegno nazionale di storia dell’industria in Italia (Salerno e Amalfi, 29-31 ottobre 1985), a cura di Lucio Avagliano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1988

- Giacomina Caligaris, L’industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1993

- Teresa Charles, Raimondo Martinet, Hône e il suo passato, Tipografia Valdostana, Aosta 1995

- Archivio storico Telecom Italia, Guida 2012, Torino 2012

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Appendice a cura di Eugenio Serra

Nel corso della ricerca che ha condotto alla pubblicazione di questo e-book, sono stati contattati diversi dipendenti Enel e CVA, ora in pen-sione, che negli anni hanno rivestito ruoli di responsabilità presso i vari impianti idroelettrici descritti in queste pagine. Le loro testimonianze, raccolte sia in forma di intervista strutturata sia in occasione di collo-qui informali, sono risultate preziose per mettere a punto informazioni e dati, per richiamare alla memoria fatti e persone e più in generale per arricchire il testo e la materia, di per sé forse un po’ arida e tecnica, con la vivacità del vissuto personale. Tutti i dipendenti da noi contat-tati che erano già in servizio durante il passaggio dalla Sip all’Enel (1962) ricordano questa fase come un momento assai positivo, come un grosso salto di qualità, in particolare sotto il profilo economico, in ragione del notevole aumento salariale che spettò loro in quell’occa-sione. Con soddisfazione ci hanno raccontato di nuovi aspetti relazio-nali e di un miglior rapporto con l’ambiente di lavoro, caratterizzato in Enel da un’organizzazione gerarchica meno pressante e da maggior cameratismo e condivisione: in particolare per loro, giovani lavoratori all’inizio della carriera, fu importante poter imparare e crescere insie-me, in un contesto dove nessuno era geloso delle proprie conoscenze e competenze e dove una nuova mentalità, decisamente più aperta, consentiva facilmente gli avanzamenti professionali, che andavano a premiare l’impegno e il senso di responsabilità personali.Proprio durante questi incontri e queste interviste, mentre si raccoglie-vano le varie testimonianze e si rivivevano assieme, in un certo senso,

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le emozioni dei ricordi che emergevano dai racconti, si è pensato di provare a redigere un elenco di tutte le persone che hanno dedicato il loro tempo e la loro attività, giorno per giorno, agli impianti, nell’in-tento di conservarne la memoria, a livello aziendale.La lista, per ora limitata ai soli responsabili, è cresciuta pian piano arricchendosi di nomi (e quindi di volti) e di date, grazie al concorso di tanti, a partire dai ricordi di ciascuno. La sua complessità è dovuta soprattutto al fatto che le mansioni dei responsabili sono legate a strut-ture e a denominazioni che nei decenni sono più volte mutate.Uno dei ruoli più importanti – ormai relegato al passato – è quello dei “Capi Centrale”: veri e propri comandanti della nave, per così dire ti-monieri in navigazione, essi erano insediati fin dalle origini, all’epoca Sip; furono mantenuti con l’avvento di Enel, rimanendo operativi sino al 1983. In quell’anno una prima riorganizzazione di Enel Produzione modifi-cava la struttura dell’esistente “Gruppo Impianti Rete di Ivrea” (GIR Ivrea), da cui dipendevano direttamente i Capi Centrale degli impianti della Valle d’Aosta e del vicino Canavese, coordinati territorialmente da due Capi Nucleo, in una struttura del GIR con gli impianti suddi-visi in quattro raggruppamenti operativi, definiti Subarea di Avise, di Châtillon, di Montjovet e di Pont-Saint-Martin (con competenza an-che sugli impianti del Canavese). La riorganizzazione era finalizzata a concentrare in tempi brevi nelle sedi delle Subaree tutto il personale distribuito sugli impianti – Capi Centrale compresi, con nuove man-sioni – e a provvedere all’automazione e al telecontrollo degli impianti stessi, per ridurre le risorse umane. I lavori di automazione e di tele-controllo della maggioranza degli impianti e delle opere idrauliche

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connesse furono effettuati nel periodo tra il 1983 e il 1990 dal perso-nale degli uffici delle sedi centrali, del GIR Ivrea e dalle squadre ope-rative (EME e MIC) delle Subaree.Una seconda sostanziale riorganizzazione di Enel Produzione avvenne nel 1990: il “Gruppo Impianti Rete di Ivrea”, che nel 1987, nel frat-tempo, si era trasferito nella nuova sede di Châtillon, venne sostituito dal “Nucleo Idroelettrico di Châtillon”, che comprendeva solo gli im-pianti sul territorio valdostano – più la nuova centrale di Quincinetto 2 – suddivisi in quattro Reparti Operativi.

Nel mettere in rete questa raccolta dati sui Responsabili degli impian-ti, seppur ancora in forma embrionale, speriamo di stimolare e invitare tutti quei lettori che hanno informazioni in merito a collaborare, per raggiungere progressivamente un quadro organico più completo e più preciso del periodo trascorso.Il nostro intento è quello di rendere, col ricordo, un piccolo omaggio a chi ha dispiegato buona parte dell’energia della sua vita, in termini di tempo e di lavoro, di intelligenza e di passione, di perizia tecnica e di fatica fisica, a questi impianti, che con la loro produzione di energia elettrica, dal secolo scorso entrata nelle nostre case, hanno migliorato la vita, il lavoro e il futuro di tutti.

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Responsabile Classe Qualifica e Impianto Periodo

Menicatti Tesio 1887 Capo Centrale Bard 1941Guarato Leonardo 1940 Capo Centrale BardCuccotti Oreste 1900 Capo Centrale CaremaBagnasacco Franco Capo Centrale Carema Dossena Capo Centrale Gressoney 1918Maritano Capo Centrale GressoneyCitarnesi Capo Centrale GressoneyPesando Mario 1894 Capo Centrale GressoneyFranchino Arrigo Capo Centrale GressoneyDeffeyes Osvaldo 1925 Capo Centrale GressoneyCena Capo Centrale GressoneyPavia Giovanni 1929 Capo Centrale GressoneyDelzanno Pier Giorgio Capo Centrale GressoneyCanale Clapetto Aldo Capo Centrale GressoneyPanetto Capo Centrale Gressoney 1975 ÷ 1980Montanari Bruno Capo Centrale Gressoney 1983Busso Marco 1945 Capo Centrale Issime 2002Bagnasacco Franco Capo Centrale MontestruttoGedda Capo Centrale P. Preti** Capo Centrale P.St.Martin 1920Spagnol Pietro Capo Centrale P.St.MartinAlbani Capo Centrale P.St.Martin 1940 ÷ 1950Franchino Arrigo Capo Centrale P.St.MartinVergnani Flavio Capo Centrale P.St.Martin 1983Dozio Romano 1940 Capo Centrale Quincinetto 1 1983

** Nominativo attualmente non disponibile. Chi avesse informazioni in merito può contattare l’ufficio Marketing: tel. 0166-823111 - E-mail: [email protected]

Responsabili degli impianti idroelettrici nel tempo

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Responsabile Classe Qualifica e Impianto Periodo

Responsabile unico Zuino / Sendren Capo Centrale Sendren ** Capo Centrale Zuino 1959Montanari Bruno Capo Centrale Zuino Spagnol Pietro 1901 Capo Nucleo P.St.Martin Santorino Capo Nucleo P.St.Martin Deffeyes Osvaldo 1925 Capo Nucleo P.St.Martin Pan Ampelio Capo Nucleo P.St.Martin 1975 ÷ 1983Volpon Armando 1930 Capo Subarea P.St.Martin 1983 ÷ 1986Vergnani Flavio Capo Subarea P.St.Martin 1986** Capo Reparto Operativo P.St.Martin 1990Montanari Bruno Capo Reparto Operativo P.St.Martin 1995 ÷ 1999Maino Matteo Capo Reparto Operativo P.St.Martin 2000 ÷ 2001Rial Luciano 1953 Capo Reparto Operativo P.St.Martin 2001 ÷ 2010Soudaz Ivo 1957 Capo Reparto Operativo P.St.Martin 2010 ÷ 2013** Capo Centrale Champdepraz 1919Responsabile unico Montjovet / Champdepraz Capo Centrale Champdepraz ** Capo Centrale Hône 1947Moniotti Capo Centrale Hône Franchino Arrigo Capo Centrale Hône De Matteis Attilio Capo Centrale Hône Guarato Leonardo 1940 Capo Centrale Hône 1983Micheletto Roberto 1940 Capo Centrale Hône2 1983** Capo Centrale Isollaz 1928De Negri Mario 1914 Capo Centrale Isollaz Serra Giuseppe Capo Centrale Isollaz Delzanno Pier Giorgio Capo Centrale Isollaz 1983** Capo Centrale Montjovet 1912

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Oddi Luigi 1905 Capo Centrale Montjovet Pan Ampelio Capo Centrale Montjovet 1975Bognolo Alvaro Capo Centrale Montjovet 1975 ÷ 1983Albini Capo Centrale Verrès 1984Casadei Armando 1955 Capo Centrale Verrès 1984 ÷ 2002Delzanno Pier Giorgio Capo Subarea Montjovet 1983 ÷ 1987Sanson Giorgio Capo Subarea Montjovet 1987 ÷ 1990Guarato Leonardo 1940 Capo Reparto Operativo Montjovet 1990 Rigotti Giovanni Capo Reparto Operativo Montjovet 1996Maino Matteo Capo Reparto Operativo Montjovet 1996 ÷ 2000Canale Clapetto Roberto 1950 Capo Reparto Operativo Montjovet 2006Joly Marco 1950 Capo Reparto Operativo Montjovet 2006 ÷ 2008Gamba Mirco 1957 Capo Reparto Operativo Montjovet 2008 ÷ 2009Parmagnani Giancarlo Capo Reparto Operativo Montjovet 2009 ÷ 2010Berthod Mauro 1970 Capo Reparto Operativo Montjovet 2011 ÷ 2013Zucchi Giovanni 1905 Capo Centrale Châtillon 1940 Deffejs Osvaldo 1925 Capo Centrale Châtillon Dujany Faustino Capo Centrale Châtillon ** Capo Centrale Covalou 1926Mora Ettore 1883 Capo Centrale Covalou Novero Capo Centrale Covalou Carnelli Renzo Capo Centrale Covalou ** Capo Centrale Maën 1928Righero Tommaso 1909 Capo Centrale Maën Dell’Agosto Giuseppe Capo Centrale Maën ** Capo Centrale Nus 1951Tondi Capo Centrale Nus

Responsabile Classe Qualifica e Impianto Periodo

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Canale Clapetto Aldo Capo Centrale Nus Siracusa Francesco Capo Centrale Nus 1983** Capo Centrale Perrères 1943De Matteis Attilio Capo Centrale Perrères Responsabile unico Nus / Quart Capo Centrale Quart ** Capo Centrale S.Clair 1950Dunoyer Onorato 1939 Capo Centrale S.Clair 1983Anselmet Renato 1941 Capo Nucleo Châtillon 1977 ÷ 1983Serra Eugenio 1947 Capo Subarea Châtillon 1983 ÷ 1990Micheletto Roberto 1940 Capo Reparto Operativo Châtillon 1990 ÷ 1994Scalia Mario Capo Reparto Operativo Châtillon 1994 Santi Valter Capo Reparto Operativo Châtillon Chentre Walter Capo Reparto Operativo Châtillon 2007Soudaz Ivo 1957 Capo Reparto Operativo Châtillon 2007 ÷ 2010Gadin Jean 1974 Capo Reparto Operativo Châtillon 2010 ÷ 2013** Capo Centrale Avise 1954Giors Claudio Capo Centrale Avise Volpon Armando 1930 Capo Centrale Avise Caiazza Crescenzio 1930 Capo Centrale Avise 1983Pagliero Giacomo Capo Centrale Aymavilles 1983Borney Aldo Capo Centrale Champagne 1983Curtaz Franco Capo Centrale Champagne 2 2000Chanoine Ettore Capo Centrale Champagne 2 2000 ÷ 2002Berno Pierangelo Capo Centrale Chavonne 1983Responsabile unico Aymavilles / G. Eyvia Capo Centrale Grand-Eyvia Truc Ottino Capo Centrale Lillaz 1986 ÷ 2002** Capo Centrale Signayes 1951

Responsabile Classe Qualifica e Impianto Periodo

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Responsabile Classe Qualifica e Impianto Periodo

Collatin Guerrino Capo Centrale Signayes Dunoyer Onorato 1939 Capo Centrale Signayes ** Capo Centrale Valpelline 1958Scagliarini Giuseppe Capo Centrale Valpelline ÷ 1981Sanson Giorgio Capo Centrale Valpelline 1981 ÷ 1983Pan Ampelio Capo Nucleo Avise Deffeyes Osvaldo 1925 Capo Nucleo Avise 1982Anselmet Renato 1941 Capo Subarea Avise 1983 ÷ 1990Barbanti Giorgio Capo Subarea Chavonne 1983 ÷ 1990Caiazza Crescenzio 1930 Capo Reparto Operativo Avise 1990Borney Aldo Capo Reparto Operativo Avise 1996Janin Dario 1955 Capo Reparto Operativo Avise 1996 ÷ 1999Vuillermoz Maurizio 1949 Capo Reparto Operativo Avise 1999 ÷ 2007Vevey Marziano 1954 Capo Reparto Operativo Avise 2007 ÷ 2013Sclerandi Capo Servizio Produzione Valle d’Aosta 1930 ÷ 1963Fino Mario 1930 Capo Gruppo Impianti e Rete 1963 ÷ 1990Radici Ettore 1946 Capo Nucleo Châtillon 1990 ÷ 1991Jurman Eraldo 1950 Capo Nucleo Châtillon 1991 ÷ 1992Fornero Ilario 1948 Capo Nucleo Châtillon 1992 ÷ 1994Serra Eugenio 1947 Capo Nucleo Châtillon 1994 ÷ 2001

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Ai sensi di quanto stabilito dall’art. 13 del D. Lgs. 196/2003 e s.m.i., il Titolare del trattamento dei dati personali contenuti nel presente documento è C.V.A. S.p.A. a s.u.nella persona del Presidente, domiciliato presso la sede della Società in Châtillon, Via Stazione 31.Responsabile del trattamento dei suddetti dati è il Direttore Generale della Società, dott. Paolo Giachino; l’elenco completo e aggiorna-to di tutti i Responsabili del trattamento è consultabile presso la sede della Società. I dati personali contenuti nel presente documento sono trattati unicamente per scopi storici e hanno come uniche finalità lo studio, l’indagine, la ricerca e la documentazione di figure, fatti e circostanze del passato. Il trattamento dei dati personali avviene - con o senza l’ausilio di strumenti informatici - da parte di personale di C.V.A. S.p.A. a s.u. e/o da soggetti terzi che abbiano con essa rapporti di servizio, ai sensi degli articoli 11, 24, 99 e 101 del Codice della privacy, nonché - ove applicabile - sulla scorta di quanto stabilito dal Codice di deontologia e di buona condotta per i soggetti pubblici e privati interessati al trattamento dei dati per scopi storici.Gli interessati hanno diritto di esercitare tutti i diritti di cui all’art. 7 del D. Lgs. 196/2003.

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Crediti fotografici(La prima cifra indica il capitolo, la seconda la numerazione progressiva delle immagini; con il numero 1 si indica la foto di copertina di ogni capitolo)

Archivi CVA

2/5, 2/11, 2/12, 3/6, 3/9, 3/11, 4/3, 4/4, 4/5, 4/6, 4/7, 4/14, 4/17, 5/2, 5/4, 5/5, 6/5, 6/7,

6/8, 6/9, 6/12, 6/13, 6/14, 6/15, 6/16, 6/17, 6/21, 6/22, 6/23, 6/24, 6/25, 6/26, 6/27, 7/1,

7/5, 7/7, 7/8, 7/9, 7/10, 7/11, 7/12, 7/18, 7/19, 8/1, 8/7, 8/8, 8/16, 8/17, 8/18, 8/19, 8/20,

8/22, 8/23, 8/24, 8/25, 8/26, 8/27, 8/28

5/20, 5/21, 5/22, 5/23, 5/24, 5/25, 5/26 (Fondo Breda)

3/3, 5/7, 5/9, 5/11, 5/14, 5/15, 5/16 (Fondo Breda Girodo)

3/1, 5/10, 5/13, 5/17, 5/19 (Fondo Girodo)

Regione autonoma Valle d’Aosta, archivi dell’Assessorato Istruzione e Cultura

2/14, 5/3, 6/2, 7/2, 7/3, 7/17 (Fonds Domaine)

Comune di Hône, archivio della Commission des Traditions

6/18, 6/19, 6/20, 8/14

Archivio Storico Telecom Italia di Torino, sez. Emeroteca

Rivista “Sincronizzando…” annata 1922: 3/4, 6/10, 6/11; annata 1923: 8/29;

annata 1924: 6/6, 7/6, 8/2; annata 1925: 8/32; annata 1926: 8/9; annata 1927: 3/5, 7/4;

annata 1929: 8/10; annata 1930: 8/30, 8/31

Rivista “Elettrosip” 4/8 (aprile 1950), 8/13 (marzo 1948), 8/21 (giugno 1958)

Indice ^

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Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d’Aosta

1/1, 4/1, 4/9, 4/10, 5/1, 5/8, 5/18, 6/1, 6/3, 6/4, 7/13, 7/14, 7/15, 7/16, 7/20, 8/11, 8/12,

8/15 (Fondo fotografico Enel)

Archivio Marco Busso (Issime)

6/28, 6/29

Archivio Flavio Fasano (Perloz)

Foto di copertina, 2/1, 2/2, 2/3, 2/4, 2/6, 2/7, 2/8, 2/9, 2/10,3/2, 5/6

Archivio Gian Maria Soudaz (Lillianes)

3/7

Immagini tratte da Sip. Quarant’anni di attività, Società editrice torinese,

Torino anno XVI e. f. [1938]

2/13, 4/2, 4/15, 8/3, 8/4, 8/5, 8/6

Immagini tratte da L’utilizzazione delle forze idrauliche del bacino del torrente Lys

da parte della Società Idroelettrica Piemontese-Lombarda “Ernesto Breda”,

Roma 1922

3/8, 3/10, 4/11, 4/12, 4/13, 4/16, 5/12

Indice ^

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Ringraziamenti

Si ringraziano per la preziosa collaborazione Marisa Alliod, Renato Anselmet, Fausta Baudin, Alvaro Bognolo, Marco Busso, Roberto Canale Clapetto, Armando Casadei, Alessandro Celi, Anna Courthoud, Vincenzo Dalbard, Laura Decanale, Osvaldo Deffeyes, Romano Dozio, Flavio Fasano, Mirco Gamba, Leonardo Guarato, Dario Janin, Marco Joly, Matteo Maino, Raimondo Martinet, Roberto Micheletto, Silvino Morosso, Donato Panetti, Giancarlo Parmagnani, Silvana Presa, Luciano Rial, Giovanni Rigotti, Giorgio Sanson, Gian Maria Soudaz, Solange Soudaz, Marziano Vevey, Jean-Auguste Voulaz, ed in particolare Walter Tucci e Grazia Viola dell’Archivio storico Telecom Italia di Torino, Mauro Berthod e Ivo Soudaz Responsabili dei Reparti Operativi di Montjovet e di Pont-Saint-Martin.

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Indice impianti R.O. Pont-Saint-Martin e Montjovet

Impianto da pagina

Bard 56 e 241Carema 48Champdepraz 184Gabiet (dighe) 115Gressoney 109Hône 1 246Hône 2 173Isollaz 217Issime 188Montjovet 156Pont-Saint-Martin 89Quincinetto 2 230Sendren 256Vargno (ex diga) 105Verrès 206Zuino 256

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?B! Conseil - BarattiConcept, sviluppo e design

Barbara Bonetti Coordinamento editoriale

Marie-Rose Colliard Ricerca storico-documentaria e fotografica e redazione dei testi

Eugenio Serra Ricerca fotografica e revisione

Crediti