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28 | INNOVAZIONI pagina 99 we | sabato 2 aprile 2016 dal garage alla scuola design allo stato libero Artigiani | Il fai-da-te dei prototipi californiani è cresciuto e si è fatto collaborativo. Anche in Italia, con nuovi laboratori aperti nelle vecchie aule, all’insegna dell’open source VALENTINA MANCHIA n «Per noi open source è una questione di atteggiamento», spiega Alessandro Tartaglia, uno dei fondatori della Scuola Open Source di Bari (Sos) che a breve comincerà le sue attivi- tà tra design e tecnologia negli spazi del Politecnico, dopo la vincita del premio cheFare da 50.000 euro per i progetti di innovazione culturale a forte impatto sociale. «Tutto può essere open source. Anche la storia, per esempio, se inse- gnata in modo aperto, multi- disciplinare e condiviso». Do- ve la parola-chiave è “condivi- so”: a indicare una filosofia della collaborazione che va ben oltre l’aspetto tecnologico. È l’intreccio delle competenze dei soggetti che costruisce nuovo sapere e che risponde a nuovi bisogni inventando nuovi oggetti o hackerando quelli esistenti. A quindici anni dal 2001, anno in cui nel seminterrato del Mit è nato il primo labora- torio di fabbricazione collabo- rativa, ovvero il primo FabLab, l’open source e il design dal basso perdono la loro aura ri- voluzionaria per diventare pratiche quotidiane, negli Usa come in Europa. E lo stesso in Italia, dove il movimento ma- ker sta mettendo radici alla frontiera tra cultura digitale e cultura del progetto, tant’è che – secondo i dati di FabFounda- tion – il numero di FabLab sul territorio (64) è secondo solo a quello degli Stati Uniti (110). In più sono sempre maggio- ri, come dimostra il caso di Sos, le risorse investite in design, open source e alfabetizzazione digitale. È notizia di pochi giorni fa il bando del ministero dell’Istruzione, con un finan- ziamento da 28 milioni di eu- ro, per dotare le scuole del pri- mo ciclo di nuovi spazi didatti- ci per l’apprendimento delle competenze tecnologiche di base, trasformando i vecchi la- boratori didattici in FabLab a colpi di software libero come Arduino e macchine come stampanti 3D e laser cutter, ma sono già tante le realtà pubbliche e private che speri- mentano sul confine tra desi- gn, innovazione tecnologica e formazione alla creatività. La sfida, ora che la progetta- zione open source è possibile su larga scala, è innestare il pa- trimonio dei saperi dell’arti- gianato – la cura dei dettagli, la scelta dei materiali, la creativi- tà della forma rispetto alla fun- zione – sulle nuove possibilità tecnologiche e sui nuovi mo- delli di partecipazione. «Spiegare cos’è un maker o cos’è il movimento open sour- ce per noi significa spiegare che oggi, quando siamo da- vanti a un servizio, una tecno- logia o un prodotto possiamo pensare di smontarlo, capirlo e rimontarlo rimodulandolo a seconda delle necessità», con- tinua Tartaglia. E ancora: «Nessuno di noi crea il mondo che viviamo, ma se ne com- prendiamo dinamiche e fun- zionamento possiamo modifi- carlo attraverso il nostro agire. In questo senso siamo tutti de- gli hacker». Sos nasce con l’esigenza di reimmettere subito in circolo il proprio sapere tecnologico attraverso la scuola: «Credia- mo che la didattica possa e debba essere tutt’uno con l’at- tività continua di ricerca ed esplorazione. Fare le cose e im- parare facendole è assoluta- mente centrale nella nostra vi- sione delle cose, e nel progetto (anche di vita) che vogliamo realizzare», specifica Tarta- glia. Le attività di Sos (fondata da una comunità di «artigiani di- gitali, maker, imprenditori, designer, programmatori, pi- rati, umanisti, ricercatori, so- gnatori e innovatori», si legge nel loro manifesto) si svilup- peranno a breve in corsi teorici e laboratori pratici di vari livel- li, iniziative culturali, progetti speciali e di ricerca, consulen- ze, dopo un primo laboratorio di avviamento «che avrà come oggetto la co-progettazione assieme a docenti, tutor e par- tecipanti, durante un periodo di sette giorni, della scuola stessa». Makers a Bologna Dalla Puglia all’Emilia-Ro- magna, altra esperienza rile- vante è quella del FabLab di Bologna, nato tra il 2011 e il 2012 da un piccolo gruppo di makers e ora uno dei FabLab più attivi e più importanti d’I- talia, con 350 membri della community iscritti all’associa- zione MakeInBo e un fitto dia- logo con scuole, cooperative e istituzioni. «Siamo in forte crescita», racconta Andrea Sartori, tra i fondatori e i principali anima- tori del FabLab bolognese. «Stiamo raddoppiando lo spa- zio in Piazza dei colori e al tem- po stesso stiamo cercando una via di sfogo anche nel centro della città. A breve usciremo con una nuova offerta rivolta a makers, scuole e aziende». Tra gli obiettivi, l’esportazione dei laboratori dal basso nel circui- to scolastico del territorio e uno sviluppo ancora maggiore del rapporto con le aziende, grazie anche all’integrazione tra designer tradizionali e de- signer-hacker. «L’autoproduzione è un fe- nomeno in espansione tra i de- signer professionisti locali», spiega infatti Sartori. «Le col- laborazioni stanno aumentan- do e quasi tutte riguardano la realizzazione di gioielli e desi- gn di arredo. Il rapporto che si instaura è sempre molto inte- ressante: il maker trasferisce conoscenze sulle macchine e i processi produttivi, dà consigli sulle lavorazioni e sulle econo- mie del processo; d’altro canto il designer, attraverso l’auto- produzione, riesce a utilizzare le macchine sfruttandone completamente il potenziale dando così al maker anche una diversa visione di utilizzo». Lontani i tempi in cui i ma- ker agivano in solitudine, quello che si apre ora è un nuo- vo ecosistema in cui design tradizionale e «design diffu- so» collaborano strettamente per la messa a punto di proget- ti innovativi ad alta compo- nente tecnologica. È Ezio Manzini che nel sag- gio Design, When Everybody Designs. An Introduction to Design for Social Innovation (Mit Press, 2015), contrappo- ne il diffuse design all’expert design classico, delineando «una relazione che si sviluppe- rà non appena i due tipi di de- sign lavoreranno insieme per risolvere i molti e diversi pro- blemi che le nostre società do- vranno fronteggiare». Come a dire che le modifi- che nel panorama del design (i Un momento della realizzazione della “stampante di cocktail” Drinkinoun robot basato su un progetto open source che traduce i drink in una sequenza di posizioni e tempi di erogazione e produce il cocktail desiderato SOS «Fare le cose e imparare facendole», è la visione che la Sos di Bari porta dentro le classi

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28 | INNOVAZIONI pagina 99we | sabato 2 aprile 2016 sabato 2 aprile 2016 | pagina 99we INNOVAZIONI | 29

dal garage alla scuoladesign allo stato liberoArtigiani | Il fai-da-te dei prototipi californiani è cresciuto

e si è fatto collaborativo. Anche in Italia, con nuovi laboratori

aperti nelle vecchie aule, all’insegna dell’open source

stampa la pasta

i cocktail di Drinkino

la videocyclette

il Cubotto anti-ansie

VALENTINA MANCHIA

n «Per noi open source è unaquestione di atteggiamento»,spiega Alessandro Tartaglia,uno dei fondatori della ScuolaOpen Source di Bari (Sos) chea breve comincerà le sue attivi-tà tra design e tecnologia neglispazi del Politecnico, dopo lavincita del premio cheFare da50.000 euro per i progetti diinnovazione culturale a forteimpatto sociale. «Tutto puòessere open source. Anche lastoria, per esempio, se inse-gnata in modo aperto, multi-disciplinare e condiviso». Do-ve la parola-chiave è “condivi-so”: a indicare una filosofiadella collaborazione che vaben oltre l’aspetto tecnologico.È l’intreccio delle competenzedei soggetti che costruiscenuovo sapere e che risponde anuovi bisogni inventandonuovi oggetti o hackerandoquelli esistenti.

A quindici anni dal 2001,anno in cui nel seminterratodel Mit è nato il primo labora-torio di fabbricazione collabo-rativa, ovvero il primo FabLab,l’open source e il design dalbasso perdono la loro aura ri-voluzionaria per diventarepratiche quotidiane, negli Usacome in Europa. E lo stesso inItalia, dove il movimento ma-ker sta mettendo radici allafrontiera tra cultura digitale ecultura del progetto, tant’è che–secondo i dati di FabFounda-tion – il numero di FabLab sulterritorio (64) è secondo solo aquello degli Stati Uniti (110).

In più sono sempre maggio-ri, come dimostra il caso di Sos,le risorse investite in design,open source e alfabetizzazionedigitale. È notizia di pochigiorni fa il bando del ministerodell’Istruzione, con un finan-

ziamento da 28 milioni di eu-ro, per dotare le scuole del pri-mo ciclo di nuovi spazi didatti-ci per l’apprendimento dellecompetenze tecnologiche dibase, trasformando i vecchi la-boratori didattici in FabLab acolpi di software libero comeArduino e macchine comestampanti 3D e laser cutter,ma sono già tante le realtàpubbliche e private che speri-mentano sul confine tra desi-gn, innovazione tecnologica eformazione alla creatività.

La sfida, ora che la progetta-zione open source è possibilesu larga scala, è innestare il pa-trimonio dei saperi dell’arti-gianato – la cura dei dettagli, lascelta dei materiali, la creativi-tà della forma rispetto alla fun-zione – sulle nuove possibilitàtecnologiche e sui nuovi mo-delli di partecipazione.

«Spiegare cos’è un maker ocos’è il movimento open sour-

ce per noi significa spiegareche oggi, quando siamo da-vanti a un servizio, una tecno-logia o un prodotto possiamopensare di smontarlo, capirlo erimontarlo rimodulandolo aseconda delle necessità», con-tinua Tartaglia. E ancora:«Nessuno di noi crea il mondoche viviamo, ma se ne com-prendiamo dinamiche e fun-zionamento possiamo modifi-carlo attraverso il nostro agire.In questo senso siamo tutti de-gli hacker».

Sos nasce con l’esigenza direimmettere subito in circoloil proprio sapere tecnologicoattraverso la scuola: «Credia-mo che la didattica possa edebba essere tutt’uno con l’at-tività continua di ricerca edesplorazione. Fare le cose e im-parare facendole è assoluta-mente centrale nella nostra vi-sione delle cose, e nel progetto(anche di vita) che vogliamo

realizzare», specifica Tarta-glia.

Le attività di Sos (fondata dauna comunità di «artigiani di-gitali, maker, imprenditori,designer, programmatori, pi-rati, umanisti, ricercatori, so-gnatori e innovatori», si legge

nel loro manifesto) si svilup-peranno a breve in corsi teoricie laboratori pratici di vari livel-li, iniziative culturali, progettispeciali e di ricerca, consulen-ze, dopo un primo laboratoriodi avviamento «che avrà comeoggetto la co-progettazione

assieme a docenti, tutor e par-tecipanti, durante un periododi sette giorni, della scuolastessa».

Makers a BolognaDalla Puglia all’Emilia-Ro-

magna, altra esperienza rile-vante è quella del FabLab diBologna, nato tra il 2011 e il2012 da un piccolo gruppo dimakers e ora uno dei FabLabpiù attivi e più importanti d’I-talia, con 350 membri dellacommunity iscritti all’associa-zione MakeInBo e un fitto dia-logo con scuole, cooperative eistituzioni.

«Siamo in forte crescita»,racconta Andrea Sartori, tra ifondatori e i principali anima-tori del FabLab bolognese.«Stiamo raddoppiando lo spa-zio in Piazza dei colori e al tem-po stesso stiamo cercando unavia di sfogo anche nel centrodella città. A breve usciremo

con una nuova offerta rivolta amakers, scuole e aziende». Tragli obiettivi, l’esportazione deilaboratori dal basso nel circui-to scolastico del territorio euno sviluppo ancora maggioredel rapporto con le aziende,grazie anche all’integrazionetra designer tradizionali e de-signer-hacker.

«L’autoproduzione è un fe-nomeno in espansione tra i de-signer professionisti locali»,spiega infatti Sartori. «Le col-laborazioni stanno aumentan-do e quasi tutte riguardano larealizzazione di gioielli e desi-gn di arredo. Il rapporto che siinstaura è sempre molto inte-ressante: il maker trasferisceconoscenze sulle macchine e iprocessi produttivi, dà consiglisulle lavorazioni e sulle econo-mie del processo; d’altro cantoil designer, attraverso l’auto-produzione, riesce a utilizzarele macchine sfruttandonecompletamente il potenzialedando così al maker anche unadiversa visione di utilizzo».

Lontani i tempi in cui i ma-ker agivano in solitudine,quello che si apre ora è un nuo-vo ecosistema in cui designtradizionale e «design diffu-so» collaborano strettamenteper la messa a punto di proget-ti innovativi ad alta compo-nente tecnologica.

È Ezio Manzini che nel sag-gio Design, When EverybodyDesigns. An Introduction toDesign for Social Innovation(Mit Press, 2015), contrappo-ne il diffuse design all’expertdesign classico, delineando«una relazione che si sviluppe-rà non appena i due tipi di de-sign lavoreranno insieme perrisolvere i molti e diversi pro-blemi che le nostre società do-vranno fronteggiare».

Come a dire che le modifi-che nel panorama del design (i

n Tra i primi progetti realizzati dal team poiconfluito nella Sos di Bari, un oggetto basato suun progetto open source che circola da anni inrete. Drinkino è una “stampante di cocktail”,un robot che traduce i drink in una sequenza diposizioni e tempi di erogazione e produce auto-maticamente il cocktail desiderato. Ideato peril Festival dell’Innovazione 2015 e perfezionatograzie alla collaborazione della scuola di bar-tender di Bari, è realizzato con l’hardwareaperto di Arduino e pezzi di riuso: una stam-pante A3, un mouse, una bottigliera cinese da10 euro e un tritaghiaccio. (Scuola Open Sour-ce, Bari)

n Destinatoa chefepasticceri,quello diDaniloSpi-ga, specializzato in digital fabrication e con una pas-sione per il food printing, è un progetto di stampa 3Dalimentare checrea formecommestibili pensateperinteragire coni recettoridel gustoattraverso deipat-tern. L’obiettivo è fornire al consumatore una nuovaesperienza di degustazione, capace di includere piùaspetti sensoriali. Tra i primi risultati Vortipa, pro-totipo di pasta fresca vincitore del concorso BarillaPrintEat, realizzato con una stampante caratteriz-zatada unestrusorealimentarea siringaecontrolla-ta mediante l’utilizzo di software di modellazionetridimensionale. (FabLab, Sardegna Ricerche)

n Altro progetto di hacking realizzato dal team Sosche ha già preso vita al di fuori del gruppo di makerche l’ha creata. Videocyclette è già in funzione: Pu-glia Promozione, l’agenzia regionale per la promo-zione del territorio pugliese, l’ha commissionata perpoi portarla in tour nelle principali capitali europee.È una bicicletta potenziata con Arduino: il softwareopen source, in questo caso, collega la velocità dellapedalata allo scorrimento del video sui monitor e tie-ne conto della direzione che si imprime al percorsograzie a dei sensori di movimento sul manubrio. Il ri-sultato è una passeggiata, virtuale ma realistica – esecondo i propri ritmi – per i tratturi e le vie ciclotu-ristiche della Puglia. (Scuola Open Source, Bari)

n Questo dispositivo nasce dall’esigenza del makerAndrea Sartori di dotare il figlio piccolo di un siste-ma di videochiamata facile e veloce, accessibile conun solo pulsante. Ma l’idea, per realizzarsi, ha biso-gno di incarnarsi in un prototipo e di un sistema ingrado di gestire lo streaming audio-video tra due no-di della rete. La soluzione è il FabLab, e dalla collabo-razionecon LivioTalozzi (design)e StefanoLascial-fari (elettronica e sistemi di rete) nasce un dispositi-vo semplice, con un’interfaccia composta soltantoda un grosso pulsante e un lettore di card che rappre-sentanoilvoltodella personadacontattare.Cubottoè in via di commercializzazione. (FabLab, Bologna)

P R O D OT T IFabLab, il movimento maker,l’hacking) non sono una modapasseggera ma il risultato deinuovi modi di interazione di-gitale che abbiamo oggi a di-sposizione, e che sostituisconoall’idea determinista di unatecnologia con tutte le rispostequella, più democratica, diuna tecnologia che genera do-mande e solleva dubbi, por-tando l’uomo-maker a guar-darla come uno strumento enon come qualcosa di dato.

Faber sardiAnche in Sardegna diversi

progetti mettono insieme in-vestimenti tecnologici e cultu-rali, con un rapporto direttotra mondo della scuola e dellaricerca. Sardegna Ricerche,l’ente sardo per la ricerca e losviluppo tecnologico, dal 2014destina con il FabLab mezzomilione di euro (finanziamen-to regionale) per consentire atutti di sviluppare liberamentei propri progetti tecnologici.«I progetti del FabLab appar-tengono alle persone che li svi-luppano», specifica SandraEnnas, responsabile del labo-ratorio. «Il ruolo di SardegnaRicerche e del laboratorio èquello di sostenerli e aiutaregli artigiani a realizzarli».

È rivolto invece a disoccu-pati o inoccupati residenti sul-l’isola il programma “Genera-

zione Faber”, che ha già asse-gnato, a oggi, 100 borse da5000 euro per lo sviluppo diprogetti sperimentali nelle trearee del FabLab – un’offici-na-laboratorio, un coworkinge un’area e-textile, uno spazioattrezzato per sartoria e rica-mo pensato come luogo di in-contro tra artigianato tessile,moda e nuove tecnologie.

L’altra massiccia sperimen-tazione sul territorio sardo,che prenderà il via in questesettimane, è quella di Iscol@,progetto che nasce da una col-laborazione tra la Regione e ilCrs4, centro di ricerca interdi-sciplinare incentrato sull’in-novazione e già culla della webeconomy sarda, dai tempi delprimo giornale online in Euro-pa (era il 1994, con L’UnioneSarda.it).

L’obiettivo è ambizioso:combattere la dispersione sco-lastica (che nell’isola è al24,7% contro una media na-zionale del 17%) attraverso la-

boratori didattici innovativiche mettono insieme l’Aug-mented Reality con la proget-tazione 3D, l’internet delle co-se con la geolocalizzazione, lascrittura di contenuti multi-mediali con il coding.

Grazie a tutor tecnologici,insegnanti e allievi sarannocoinvolti in 120 laboratori,dalle elementari alle scuole su-periori, per rafforzare il pro-cesso di apprendimento tradi-zionale e per acquisire nuovecompetenze tecnologiche.«Per la prima volta», raccontaCarole Salis, responsabile delprogetto per Crs4, «sarannodelle realtà esterne al mondoscolastico a dire la loro in ma-teria di progettazione e vedia-mo quindi cosa succederà,quale sarà l’impatto sui ragaz-zi, sui docenti, e sulla lotta con-tro la dispersione scolastica».

Anche in questi casi, comenei molti altri sparsi tra i Fa-bLab italiani, pensare e faredesign si avvia a diventare unodei modi in cui possiamo ri-pensare il nostro rapporto conla tecnologia, non subendone irisultati ma facendone un con-sumo produttivo, per dirla allade Certeau, contribuendo a fa-re e a disfare i nostri prodottitecnologici. Un approccio cri-tico che può fare la differenzatanto per la scuola quanto peril design del futuro.

Un momento della realizzazione della “stampante di cocktail” Drinkinoun robot basato su un progetto open source che traduce i drink in una sequenza di posizioni e tempi di erogazione e produce il cocktail desiderato SOS

FORMAZIONE Sos, la scuola opensource di Bari TOMMASO CARMASSI

piccolo è rivoluzionario, forse

n Open source. Autoproduzioni. Ma-kers. Il presupposto per la libertà del desi-gn è statala rivoluzione digitale cheha or-mai quasi trent’anni. Imezzi di produzio-ne sono divenuti piccoli, trasportabili,economici. Oggi con un pc portatile si puòdisegnare un libro, progettare un appar-tamento o dare forma a un oggetto. La mi-niaturizzazione dell’elettronica ha per-messo di trasformare tecnologie ingom-branti in elettrodomestici ed è anche per

questa contiguità con la piccolezza degliattrezzi da bricolage che le nuove attivitàhanno recuperato un sapore artigianale.

Nella grafica abbiamo assistito alla tra-sformazione della composizione dei testida attività specialistica e costosa a praticaquotidiana. Oggi le font sono strumenticasalinghi. Sarebbe stato il sogno dei ri-voluzionari col ciclostile. Chi vuole puòfarsi un libro da sé o anche un giornale.Perché anche i sistemi di diffusione sono

cambiati e i social network, se ben usati,sono più efficaci di un ufficio stampa.

Il marxismo classico raccontava comeun elemento cruciale negli equilibri dipotere fosse il possesso dei mezzi di pro-duzione. Ma quel possesso significavausarli per dire e fare delle cose. L’entusia -smo per la libertà contemporanea va allo-ra ridimensionato. Oggi ci sono i mezzi,ma ci sono le cose da dire? Le magnifichesorti dell’autoproduzione saranno pro-gressive solo se opporranno alle produ-zioni mainstream nuovi contenuti e nuo-vi modi di guardare. Con una stampante3d si può “fare” un vaso o un kalashnikov.La scelta è cruciale. Eppure in troppi siesaltano per latecnologia in sé. Ilrischio èfinire per usare la stampante 3d per“stampare” un’altra stampante 3d. Smet-tendo di scegliere, rinchiudendosi in unatragica tautologia ombelicale.

RICCARDO FALCINELLI

«Fare le cose e impararefacendole», è la visioneche la Sos di Bari portadentro le classi

In Sardegna l’i n te r n e tof thingsentra inun programma di lottaalla fuga degli studenti

D I G I TA L E Una stampante 3D in azione al CES di Las Vegas JUSTIN SULLIVAN / GETTYIMAGES

28 | INNOVAZIONI pagina 99we | sabato 2 aprile 2016 sabato 2 aprile 2016 | pagina 99we INNOVAZIONI | 29

dal garage alla scuoladesign allo stato liberoArtigiani | Il fai-da-te dei prototipi californiani è cresciuto

e si è fatto collaborativo. Anche in Italia, con nuovi laboratori

aperti nelle vecchie aule, all’insegna dell’open source

stampa la pasta

i cocktail di Drinkino

la videocyclette

il Cubotto anti-ansie

VALENTINA MANCHIA

n «Per noi open source è unaquestione di atteggiamento»,spiega Alessandro Tartaglia,uno dei fondatori della ScuolaOpen Source di Bari (Sos) chea breve comincerà le sue attivi-tà tra design e tecnologia neglispazi del Politecnico, dopo lavincita del premio cheFare da50.000 euro per i progetti diinnovazione culturale a forteimpatto sociale. «Tutto puòessere open source. Anche lastoria, per esempio, se inse-gnata in modo aperto, multi-disciplinare e condiviso». Do-ve la parola-chiave è “condivi-so”: a indicare una filosofiadella collaborazione che vaben oltre l’aspetto tecnologico.È l’intreccio delle competenzedei soggetti che costruiscenuovo sapere e che risponde anuovi bisogni inventandonuovi oggetti o hackerandoquelli esistenti.

A quindici anni dal 2001,anno in cui nel seminterratodel Mit è nato il primo labora-torio di fabbricazione collabo-rativa, ovvero il primo FabLab,l’open source e il design dalbasso perdono la loro aura ri-voluzionaria per diventarepratiche quotidiane, negli Usacome in Europa. E lo stesso inItalia, dove il movimento ma-ker sta mettendo radici allafrontiera tra cultura digitale ecultura del progetto, tant’è che–secondo i dati di FabFounda-tion – il numero di FabLab sulterritorio (64) è secondo solo aquello degli Stati Uniti (110).

In più sono sempre maggio-ri, come dimostra il caso di Sos,le risorse investite in design,open source e alfabetizzazionedigitale. È notizia di pochigiorni fa il bando del ministerodell’Istruzione, con un finan-

ziamento da 28 milioni di eu-ro, per dotare le scuole del pri-mo ciclo di nuovi spazi didatti-ci per l’apprendimento dellecompetenze tecnologiche dibase, trasformando i vecchi la-boratori didattici in FabLab acolpi di software libero comeArduino e macchine comestampanti 3D e laser cutter,ma sono già tante le realtàpubbliche e private che speri-mentano sul confine tra desi-gn, innovazione tecnologica eformazione alla creatività.

La sfida, ora che la progetta-zione open source è possibilesu larga scala, è innestare il pa-trimonio dei saperi dell’arti-gianato – la cura dei dettagli, lascelta dei materiali, la creativi-tà della forma rispetto alla fun-zione – sulle nuove possibilitàtecnologiche e sui nuovi mo-delli di partecipazione.

«Spiegare cos’è un maker ocos’è il movimento open sour-

ce per noi significa spiegareche oggi, quando siamo da-vanti a un servizio, una tecno-logia o un prodotto possiamopensare di smontarlo, capirlo erimontarlo rimodulandolo aseconda delle necessità», con-tinua Tartaglia. E ancora:«Nessuno di noi crea il mondoche viviamo, ma se ne com-prendiamo dinamiche e fun-zionamento possiamo modifi-carlo attraverso il nostro agire.In questo senso siamo tutti de-gli hacker».

Sos nasce con l’esigenza direimmettere subito in circoloil proprio sapere tecnologicoattraverso la scuola: «Credia-mo che la didattica possa edebba essere tutt’uno con l’at-tività continua di ricerca edesplorazione. Fare le cose e im-parare facendole è assoluta-mente centrale nella nostra vi-sione delle cose, e nel progetto(anche di vita) che vogliamo

realizzare», specifica Tarta-glia.

Le attività di Sos (fondata dauna comunità di «artigiani di-gitali, maker, imprenditori,designer, programmatori, pi-rati, umanisti, ricercatori, so-gnatori e innovatori», si legge

nel loro manifesto) si svilup-peranno a breve in corsi teoricie laboratori pratici di vari livel-li, iniziative culturali, progettispeciali e di ricerca, consulen-ze, dopo un primo laboratoriodi avviamento «che avrà comeoggetto la co-progettazione

assieme a docenti, tutor e par-tecipanti, durante un periododi sette giorni, della scuolastessa».

Makers a BolognaDalla Puglia all’Emilia-Ro-

magna, altra esperienza rile-vante è quella del FabLab diBologna, nato tra il 2011 e il2012 da un piccolo gruppo dimakers e ora uno dei FabLabpiù attivi e più importanti d’I-talia, con 350 membri dellacommunity iscritti all’associa-zione MakeInBo e un fitto dia-logo con scuole, cooperative eistituzioni.

«Siamo in forte crescita»,racconta Andrea Sartori, tra ifondatori e i principali anima-tori del FabLab bolognese.«Stiamo raddoppiando lo spa-zio in Piazza dei colori e al tem-po stesso stiamo cercando unavia di sfogo anche nel centrodella città. A breve usciremo

con una nuova offerta rivolta amakers, scuole e aziende». Tragli obiettivi, l’esportazione deilaboratori dal basso nel circui-to scolastico del territorio euno sviluppo ancora maggioredel rapporto con le aziende,grazie anche all’integrazionetra designer tradizionali e de-signer-hacker.

«L’autoproduzione è un fe-nomeno in espansione tra i de-signer professionisti locali»,spiega infatti Sartori. «Le col-laborazioni stanno aumentan-do e quasi tutte riguardano larealizzazione di gioielli e desi-gn di arredo. Il rapporto che siinstaura è sempre molto inte-ressante: il maker trasferisceconoscenze sulle macchine e iprocessi produttivi, dà consiglisulle lavorazioni e sulle econo-mie del processo; d’altro cantoil designer, attraverso l’auto-produzione, riesce a utilizzarele macchine sfruttandonecompletamente il potenzialedando così al maker anche unadiversa visione di utilizzo».

Lontani i tempi in cui i ma-ker agivano in solitudine,quello che si apre ora è un nuo-vo ecosistema in cui designtradizionale e «design diffu-so» collaborano strettamenteper la messa a punto di proget-ti innovativi ad alta compo-nente tecnologica.

È Ezio Manzini che nel sag-gio Design, When EverybodyDesigns. An Introduction toDesign for Social Innovation(Mit Press, 2015), contrappo-ne il diffuse design all’expertdesign classico, delineando«una relazione che si sviluppe-rà non appena i due tipi di de-sign lavoreranno insieme perrisolvere i molti e diversi pro-blemi che le nostre società do-vranno fronteggiare».

Come a dire che le modifi-che nel panorama del design (i

n Tra i primi progetti realizzati dal team poiconfluito nella Sos di Bari, un oggetto basato suun progetto open source che circola da anni inrete. Drinkino è una “stampante di cocktail”,un robot che traduce i drink in una sequenza diposizioni e tempi di erogazione e produce auto-maticamente il cocktail desiderato. Ideato peril Festival dell’Innovazione 2015 e perfezionatograzie alla collaborazione della scuola di bar-tender di Bari, è realizzato con l’hardwareaperto di Arduino e pezzi di riuso: una stam-pante A3, un mouse, una bottigliera cinese da10 euro e un tritaghiaccio. (Scuola Open Sour-ce, Bari)

n Destinatoa chefepasticceri,quello diDaniloSpi-ga, specializzato in digital fabrication e con una pas-sione per il food printing, è un progetto di stampa 3Dalimentare checrea formecommestibili pensateperinteragire coni recettoridel gustoattraverso deipat-tern. L’obiettivo è fornire al consumatore una nuovaesperienza di degustazione, capace di includere piùaspetti sensoriali. Tra i primi risultati Vortipa, pro-totipo di pasta fresca vincitore del concorso BarillaPrintEat, realizzato con una stampante caratteriz-zatada unestrusorealimentarea siringaecontrolla-ta mediante l’utilizzo di software di modellazionetridimensionale. (FabLab, Sardegna Ricerche)

n Altro progetto di hacking realizzato dal team Sosche ha già preso vita al di fuori del gruppo di makerche l’ha creata. Videocyclette è già in funzione: Pu-glia Promozione, l’agenzia regionale per la promo-zione del territorio pugliese, l’ha commissionata perpoi portarla in tour nelle principali capitali europee.È una bicicletta potenziata con Arduino: il softwareopen source, in questo caso, collega la velocità dellapedalata allo scorrimento del video sui monitor e tie-ne conto della direzione che si imprime al percorsograzie a dei sensori di movimento sul manubrio. Il ri-sultato è una passeggiata, virtuale ma realistica – esecondo i propri ritmi – per i tratturi e le vie ciclotu-ristiche della Puglia. (Scuola Open Source, Bari)

n Questo dispositivo nasce dall’esigenza del makerAndrea Sartori di dotare il figlio piccolo di un siste-ma di videochiamata facile e veloce, accessibile conun solo pulsante. Ma l’idea, per realizzarsi, ha biso-gno di incarnarsi in un prototipo e di un sistema ingrado di gestire lo streaming audio-video tra due no-di della rete. La soluzione è il FabLab, e dalla collabo-razionecon LivioTalozzi (design)e StefanoLascial-fari (elettronica e sistemi di rete) nasce un dispositi-vo semplice, con un’interfaccia composta soltantoda un grosso pulsante e un lettore di card che rappre-sentanoilvoltodella personadacontattare.Cubottoè in via di commercializzazione. (FabLab, Bologna)

P R O D OT T IFabLab, il movimento maker,l’hacking) non sono una modapasseggera ma il risultato deinuovi modi di interazione di-gitale che abbiamo oggi a di-sposizione, e che sostituisconoall’idea determinista di unatecnologia con tutte le rispostequella, più democratica, diuna tecnologia che genera do-mande e solleva dubbi, por-tando l’uomo-maker a guar-darla come uno strumento enon come qualcosa di dato.

Faber sardiAnche in Sardegna diversi

progetti mettono insieme in-vestimenti tecnologici e cultu-rali, con un rapporto direttotra mondo della scuola e dellaricerca. Sardegna Ricerche,l’ente sardo per la ricerca e losviluppo tecnologico, dal 2014destina con il FabLab mezzomilione di euro (finanziamen-to regionale) per consentire atutti di sviluppare liberamentei propri progetti tecnologici.«I progetti del FabLab appar-tengono alle persone che li svi-luppano», specifica SandraEnnas, responsabile del labo-ratorio. «Il ruolo di SardegnaRicerche e del laboratorio èquello di sostenerli e aiutaregli artigiani a realizzarli».

È rivolto invece a disoccu-pati o inoccupati residenti sul-l’isola il programma “Genera-

zione Faber”, che ha già asse-gnato, a oggi, 100 borse da5000 euro per lo sviluppo diprogetti sperimentali nelle trearee del FabLab – un’offici-na-laboratorio, un coworkinge un’area e-textile, uno spazioattrezzato per sartoria e rica-mo pensato come luogo di in-contro tra artigianato tessile,moda e nuove tecnologie.

L’altra massiccia sperimen-tazione sul territorio sardo,che prenderà il via in questesettimane, è quella di Iscol@,progetto che nasce da una col-laborazione tra la Regione e ilCrs4, centro di ricerca interdi-sciplinare incentrato sull’in-novazione e già culla della webeconomy sarda, dai tempi delprimo giornale online in Euro-pa (era il 1994, con L’UnioneSarda.it).

L’obiettivo è ambizioso:combattere la dispersione sco-lastica (che nell’isola è al24,7% contro una media na-zionale del 17%) attraverso la-

boratori didattici innovativiche mettono insieme l’Aug-mented Reality con la proget-tazione 3D, l’internet delle co-se con la geolocalizzazione, lascrittura di contenuti multi-mediali con il coding.

Grazie a tutor tecnologici,insegnanti e allievi sarannocoinvolti in 120 laboratori,dalle elementari alle scuole su-periori, per rafforzare il pro-cesso di apprendimento tradi-zionale e per acquisire nuovecompetenze tecnologiche.«Per la prima volta», raccontaCarole Salis, responsabile delprogetto per Crs4, «sarannodelle realtà esterne al mondoscolastico a dire la loro in ma-teria di progettazione e vedia-mo quindi cosa succederà,quale sarà l’impatto sui ragaz-zi, sui docenti, e sulla lotta con-tro la dispersione scolastica».

Anche in questi casi, comenei molti altri sparsi tra i Fa-bLab italiani, pensare e faredesign si avvia a diventare unodei modi in cui possiamo ri-pensare il nostro rapporto conla tecnologia, non subendone irisultati ma facendone un con-sumo produttivo, per dirla allade Certeau, contribuendo a fa-re e a disfare i nostri prodottitecnologici. Un approccio cri-tico che può fare la differenzatanto per la scuola quanto peril design del futuro.

Un momento della realizzazione della “stampante di cocktail” Drinkinoun robot basato su un progetto open source che traduce i drink in una sequenza di posizioni e tempi di erogazione e produce il cocktail desiderato SOS

FORMAZIONE Sos, la scuola opensource di Bari TOMMASO CARMASSI

piccolo è rivoluzionario, forse

n Open source. Autoproduzioni. Ma-kers. Il presupposto per la libertà del desi-gn è statala rivoluzione digitale cheha or-mai quasi trent’anni. Imezzi di produzio-ne sono divenuti piccoli, trasportabili,economici. Oggi con un pc portatile si puòdisegnare un libro, progettare un appar-tamento o dare forma a un oggetto. La mi-niaturizzazione dell’elettronica ha per-messo di trasformare tecnologie ingom-branti in elettrodomestici ed è anche per

questa contiguità con la piccolezza degliattrezzi da bricolage che le nuove attivitàhanno recuperato un sapore artigianale.

Nella grafica abbiamo assistito alla tra-sformazione della composizione dei testida attività specialistica e costosa a praticaquotidiana. Oggi le font sono strumenticasalinghi. Sarebbe stato il sogno dei ri-voluzionari col ciclostile. Chi vuole puòfarsi un libro da sé o anche un giornale.Perché anche i sistemi di diffusione sono

cambiati e i social network, se ben usati,sono più efficaci di un ufficio stampa.

Il marxismo classico raccontava comeun elemento cruciale negli equilibri dipotere fosse il possesso dei mezzi di pro-duzione. Ma quel possesso significavausarli per dire e fare delle cose. L’entusia -smo per la libertà contemporanea va allo-ra ridimensionato. Oggi ci sono i mezzi,ma ci sono le cose da dire? Le magnifichesorti dell’autoproduzione saranno pro-gressive solo se opporranno alle produ-zioni mainstream nuovi contenuti e nuo-vi modi di guardare. Con una stampante3d si può “fare” un vaso o un kalashnikov.La scelta è cruciale. Eppure in troppi siesaltano per latecnologia in sé. Ilrischio èfinire per usare la stampante 3d per“stampare” un’altra stampante 3d. Smet-tendo di scegliere, rinchiudendosi in unatragica tautologia ombelicale.

RICCARDO FALCINELLI

«Fare le cose e impararefacendole», è la visioneche la Sos di Bari portadentro le classi

In Sardegna l’i n te r n e tof thingsentra inun programma di lottaalla fuga degli studenti

D I G I TA L E Una stampante 3D in azione al CES di Las Vegas JUSTIN SULLIVAN / GETTYIMAGES