Alias supplemento del Manifesto 02/07/2011

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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 2 LUGLIO 2011 ANNO 14 • N. 26 QUARANT’ANNI FA MORIVA MORRISON, ICONA PREZIOSA DEL ROCK’N’ROLL. LE SUE CANZONI HANNO APERTO PORTE CHE LA MUSICA NON HA PIÙ RICHIUSO. UN RICORDO DELL’ARTISTA NELLE PAROLE DI JOHN DENSMORE, BATTERISTA DEI DOORS, DI CUI ESCE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA L’AUTOBIOGRAFIA. «HAI REALIZZATO LA TUA PROFEZIA, ANCHE SE SEI DOVUTO MORIRE PER DIFFONDERE IL MITO DELLA NOSTRA BAND» ... a pagina 11 CLINICHE DELLA GIOVINEZZA ULTRAVISTA:YOUSRA MOURAD BEN CHEIKH ANTI-MOURINHOCHIPS&SALSAULTRASUONI: ROCKSTAR PER CASO VESUVIO AMBIENT VESUVIO AMBIENT TALPALIBRI: CARLO LEVI RITRATTI ROMANI SNELL HOBSBAWM A. SCHMIDT MARKARIS FRASCA SORTINO ROVINE DI MILANO/4

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Page 1: Alias supplemento del Manifesto 02/07/2011

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»SABATO 2 LUGLIO 2011 ANNO 14 • N. 26

QUARANT’ANNI FA MORIVA MORRISON, ICONA PREZIOSA DEL ROCK’N’ROLL. LE SUE CANZONI HANNO APERTO PORTE CHE LA MUSICA NON HA PIÙ RICHIUSO. UN RICORDO DELL’ARTISTA NELLE PAROLE DI JOHN DENSMORE, BATTERISTA DEI DOORS, DI CUI ESCE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA L’AUTOBIOGRAFIA. «HAI REALIZZATO LA TUA PROFEZIA, ANCHE SE SEI DOVUTO MORIRE PER DIFFONDERE IL MITO DELLA NOSTRA BAND»

... a pagina 11

CLINICHE DELLA GIOVINEZZA • ULTRAVISTA: YOUSRA • MOURAD BEN CHEIKH • ANTI-MOURINHO • CHIPS&SALSA • ULTRASUONI: ROCKSTAR PER CASO • VESUVIO AMBIENT VESUVIO AMBIENT • TALPALIBRI: CARLO LEVI • RITRATTI ROMANI • SNELL • HOBSBAWM • A. SCHMIDT • MARKARIS • FRASCA • SORTINO • ROVINE DI MILANO/4

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■ AMORTALITÀ: IL PIACERE E I PERICOLI DI VIVERE SENZA ETÀ ■

Chi ha pauradelle rughe?

di Beatrice Cassina

«Un approccio me-dico innovativo di anti-aging, chesposa nutrizione e termalismocon le discipline mediche d’avan-guardia - biologia molecolare, ge-netica e medicina predittiva - perdar vita a un programma di ringio-vanimento...».

È una pubblicità, un comunicatoqualunque - ma reale - che pubbli-cizza una vacanza in uno dei tanti«paradisi» che vendono la vaga illu-sione che il percorso biologico e na-turale dell’invecchiamento possa es-sere combattuto e addirittura arre-stato. È questo solo un assaggio del-la strada che porta al luccicante re-gno dell’Amortality, raccontato dal-la giornalista Catherine Mayer attra-verso una ricerca molto accurata,nel libro Amortality: The Pleasureand Perils of Living Agelessly, ed.Vermillion (Amortalità: il Piacere e iPericoli di vivere senza età).

L’indagine è partita da uno dei re-gni indiscussi dell’apparenza e del-la bellezza artificiale: Las Vegas. Lacittà dove si ricreano magicamente,in pochi mesi e in formato mega-ho-tel, città o profili di epoche del mon-do antico, moderno, futuro o dellefavole, sempre e comunque resi inuna soluzione da parco giochi. ALas Vegas, camminando sotto lospesso impietoso sole della Strip, sipassa da una Venezia dei Dogi contanto di canali e gondole, alla Romaquasi imperiale di Cesare, a una Pa-rigi di fine Ottocento con la Tour Eif-fel, a una Manhattan costellata digrattacieli, fino alla magia del regnoincantato di Excalibur. CatherineMayer sottolinea da subito un para-dosso ironico: tanto l’architettura diLas Vegas è fantasiosa e sempre uni-ca nel suo stile e nei suoi riferimen-ti, quanto le persone che scelgonodi vivere qui sono invece molto simi-li: tutte similmente abbronzate, connasi similmente rifatti, sopraccigliasimilmente ridisegnate, labbra si-milmente rigonfiate.

Con una voce simpatica e dal clas-sico accento inglese, CatherineMayer spiega di aver sentito la neces-sità di scrivere un libro di questo ge-nere perché «descrive molto, moltopiù di quello che è il desiderio, assolutamente comprensibile,di resistere all’invecchiamento, e molto più delle molte tecnolo-gie che ci aiutano a ottenere certi risultati. Il problema maggio-re credo sia che vivere agelessly stia modificando in modo pro-fondo le nostre vite, il modo in cui ci inseriamo nel mondo dellavoro, del divertimento, nel mondo familiare, nelle relazionid’amore, il modo in cui si vive la giovinezza, la vecchiaia e tuttele altre stagioni della vita. L’idea fondamentale è spiegare che al-cune persone non hanno più aspettative convenzionali rispettoall’età, e non vivono più seguendo un processo naturale».

Non a caso, parlando al telefono soli pochi giorni dopo la vit-toria delle sinistre in Italia, e la conseguente sconfitta di Mr.Berlusconi, l’autrice sottolinea ciò che ha scritto del premieritaliano in una piccola parte del libro, in cui racconta unoscambio di battute con Putin in cui Berlusconi, che finanzia laricerca di tecnologie per l’estensione della vita, sostiene di vole-re e poter vivere fino a 130 e più anni.

«Lui è una delle persone che pensano di poter vivere moltopiù a lungo del previsto. Ma, se si pensa di poter vivere più alungo, anche se sembra strano, dobbiamo considerare che

questo avrà certamente qualcheconseguenza. Per esempio, che lepersone che hanno già molto pote-re e molti soldi ne avranno sempredi più. E la cosa mi fa un po’ paura.Nella circostanza citata nel libro,Mr. Berlusconi stava parlando conVladimir Putin. E qui davvero nonso bene di chi si debba avere più pa-ura. Per ora comunque, e credo inItalia ne sarete felici, non sono statirealmente trovati modi per fermarel’età».

Intanto a Las Vegas ci stanno pro-vando con ogni mezzo. Proprio qui,infatti, l’invecchiamento non solonon è «consentito», ma è addirittu-ra volontariamente ignorato.

Al numero 851 di Rampart Boule-vard, circondata da prati verdi inmezzo al deserto, sta proprio unadelle cliniche specializzate nel re-stauro strutturale e ormonale delcorpo umano degli over fifty: il Ce-negenics® Medical Institute.

Catherine Mayer, in questa clini-ca di Las Vegas, ci è arrivata. La ricet-ta vincente proposta a tutti, è quelladi «un’unica e bilanciata combina-zione di alimentazione, esercizio fisi-co e un’ottimizzazione di ormoni».La giornalista si è quindi sottopostaa visite ed esami; alcuni test costano3400 dollari, ma si può scegliere peruna consultazione gratuita. Il risulta-to finale non è stato pessimo, ma hacomunque bisogno di qualche ag-giustatina. Miss Mayer deve perderecirca 7 chili e sottoporsi a un’intensaattività fisica, anche perché le han-no trovato un grasso viscerale invisi-bile a occhio nudo. Per concludere,la cura consigliatale comprende l’as-sunzione di due ormoni steroidei inpastiglia e testosterone in crema.Ma si potrebbe anche poi assumerel’ormone estradiolo, per aumentarela densità delle ossa. La spiegazionea tutti questi ingarbugliamenti di or-moni da assumere, sostituire, ag-giungere, sta semplicemente nel fat-to che l’assunzione di ormoni puòfarci tornare al nostro scoppiettantestato giovanile. La popolazione tim-brata Cenegenics ottiene risultatisorprendenti a livello fisico ma, ri-corda la Mayer, è lo stesso motivoper cui gli atleti della Germania del-l’Est vincevano così tanti ori alleOlimpiadi. Il testosterone e altri or-moni prescritti ai pazienti Cenegeni-

cs lavorano sulla massa muscolare,ma possono però produrre un alto li-vello di colesterolo, ritenzione idricae rovinare molto la pelle.

Quindi, oltre a un’attenzionemaggiore per il proprio corpo, checomprende giustamente movimen-to e dieta, le cure proposte ed segui-te da questa popolazione di fanta-trentacinquenni, tutti in tutine daginnastica semi-attillate (tra cuispicca una ristrutturata Suzanne So-mers, la biondina di Tre Cuori in Af-fitto), sono fondamentalmente basa-te su ormoni.

Tra i medici di questa clinica, dairisvolti quasi simili a un fanatismoreligioso, c’è il settantaduenne dot-tor Jeffrey Life, che ha intrapresouna grande campagna pubblicitariaed è chiamato da tutti Jeff Six-pack,a causa dei tonicissimi addominalidi cui va parecchio fiero e di cui, an-che ventenni in forma, potrebberoessere invidiosi (Dottor Life ha an-che un sito web, www.drlife.com).

Già, gli amortali vanno fieri delproprio aspetto fisico, che curanospesso a livelli maniacali, sono sem-pre impegnati in attività sportive,non vanno mai in pensione ma pre-feriscono continuare a lavorare,hanno una vita sessuale assoluta-mente invidiabile, spesso anche gra-zie a pastiglie colorate, non si chie-dono mai se i loro comportamentisono adeguati alla propria età per-ché, di fatto, per loro parlare di età ètanto fuori luogo e fuori moda.

«Ho parlato di Las Vegas nel libro- dice la giornalista - ed è davverosurreale, essere in un posto dove tut-ti, sembrano uguali... È una sorta divisione utopica del futuro».

L’Occidente intanto si sta ade-guando a questa brutta dipendenzae, anche l’Italia, si sta rapidamentemettendo al passo.

«L’Italia, che è sempre stato unpaese con tradizioni forti, e in cuierano i genitori e la chiesa a dirti co-me dovevi vivere, oggi è un paeseche si è trovato in una situazione al-l’estremo opposto, dove non c’è piùcontrollo, ed è quindi diventato unterritorio molto favorevole per vive-re senza età, o almeno provarci. Èun paese dove la plastica del viso,per esempio, comincia a prenderesempre più piede».

Nelle piccole cose, e nei piccoli ecostanti cambiamenti, si possonotrovare i cenni di quello che ci si po-trà aspettare. «Le facce che vedi nel-le tante tv di Mr. Berlusconi, o addi-rittura in parlamento, mandanomessaggi, sono influenze importan-ti. Se le facce delle persone che tuvedi in tv hanno fatto una plastica,le tue aspettative saranno che, pri-ma o poi, vorrai veramente esserecosì, e fare la plastica sarà la cosapiù normale del mondo».

Sono cambiamenti molto lenti,molto profondi e, soprattutto, nonfacilmente cancellabili.

Il cliente tipo che arriva nel cen-tro di Cenegenics di Las Vegas, peresempio, è spesso fuori forma mapoi, seguendo una disciplina ferreafatta di molto esercizio, di un’ali-mentazione controllata, di ormonistudiati ad hoc, arriva velocementead avere una salute migliore e un fi-sico più tonico. Per le dosi di ormo-ni restano ancora molti dubbi, maper ora nessuno ha troppa voglia diprestarci attenzione.

Tutto era cominciato negli anniNovanta, a seguito di un breve stu-dio del dottor Rudman; gli ormonierano stati allora indicati dal New

England Journal of Medicine comeottimi supplementi per aumentarela massa muscolare senza effetti col-laterali, nonostante lo stesso studio-so avesse invece avanzato qualcheperplessità a causa della breve dura-ta della sperimentazione.

Nel 2003 la stessa rivista scientifi-ca tornava sull’argomento presen-tando questa volta sospetti che il co-siddetto ormone della crescita (mu-scolare), potesse anche accelerarela crescita di cellule tumorali.

Nonostante questi moniti, l’indu-stria dell’ormone non si è davveromai fermata.

Il fatto che l’unico modo davverodocumentato per allungare la vitasia comunque di contenere e regola-re l’assunzione di calorie (da esperi-menti fatti non su l’uomo ma su pic-coli organismi) ha quindi fatto acco-gliere con grande entusiasmo il re-sveratrolo, una sostanza che si tro-va nell’uva e che pare sia in grado diregolare il metabolismo.

Ma, anche questa volta, la pozio-ne magica non ha funzionato, per-ché il resveratrolo per ora ha creatoseri problemi ai reni di alcuni pa-zienti.

No, l’elisir di lunga-infinita vitaancora non esiste perché, per ora,ogni supplemento che sembra po-ter fermare l’invecchiamento è an-che lo stesso che ci può uccidere.

Gli amortali, spiega CatherineMayer nelle 296 pagine del libro,hanno creato un mondo in cui tan-te cose sono cambiate o, meglio, so-no state totalmente cancellate. Lereligioni si sono indebolite, non so-no più seguite come in passato, e

neanche sono di conforto nell’ac-compagnarci lungo le varie stagionidella vita. Non si è più in grado di ac-cettare il pensiero della morte e del-la fine come realmente possibile.

Un amortale viaggia, fa psicotera-pia, cerca e trova nuove ed emozio-nanti esperienze sessuali, come loscambio di coppia, la ricerca di av-venture di una notte e/o di gruppo,partecipa a seminari sul sesso doveimpara nuove pratiche e trova possi-bili amici/amiche. Gli ammortalicercano poi avventure con partnermolto più giovani di loro e, ancheper questo motivo, sono intrappola-ti nella continua ricerca di un fisicoimpeccabile, quello forse ditrent’anni o più fa.

L’amortale, dice la Mayer parafra-sando il «tu vali» della pubblicità diuna nota marca di cosmetici, com-pra, quasi ad occhi chiusi, ogni pos-sibile soluzione «magica» che pro-mette di fermare l’invecchiamento,senza per altro preoccuparsi di capi-re se ci sono concreti elementi di ve-ridicità.

E il soggetto amortale, per finire,decide di vivere in strani luoghi chia-mati Sun City, dove si può andaread abitare solo ed esclusivamentenel caso si sia più vecchi che giova-ni. Si deve essere «over» 50, 60, per-ché chiunque sia più giovane diquell’età non potrà avere mai dirittodi comprare casa o vivere in una del-le più di 50 Sun City presenti negliStati Uniti. «Queste persone, questiamortali, non arrivano a Sun Cityper vivere in pace gli ultimi anni del-

la propria esistenza, ma con l’aspet-tativa di una nuova vita». Forse addi-rittura di una nuova gioventù. Noncercano e non vogliono vivere inuna comunità con persone giovaniperché, dice Skinner, una vedovasessantenne, «se vivi in una comuni-tà mista, dove ci sono coppie sposa-te, impegnate con i loro bambini,non t’invitano a cena, e non divente-ranno mai tuoi amici...». Sun Citycancella quindi l’età perché di età,qui, ne esiste una sola.

«L’assenza di gioventù - spiegaquindi l’autrice - permette di avereuna potente illusione di essere sen-za età e quindi in un luogo tempora-le in cui molte delle fasi della vitapossono davvero riaccadere». I resi-denti di Sun City si sentono – e quin-di diventano – meno vecchi. Ma re-sta che questa censura, questa chiu-sura di ogni rapporto con il mondoche cresce e si trasforma, parados-salmente è proprio una chiusura er-metica nei confronti del mondo cherealmente vive.

Alcuni amortali poi, credono ad-dirittura che, attraverso la scienza,riusciranno davvero a fermare lamorte.

Una cosa decisamente strana,ma ad ogni convinzione particolar-mente audace o folle, sottostà an-che una spiegazione.

Arrestare l’invecchiamento,

ringiovanire, allungare la vita,

addirittura sconfiggere

la morte... è il nuovo sogno

su cui prosperano cliniche

specializzate nel restauro

strutturale e ormonale del corpo

umano degli «over 50».

Lo ha esplorato e descritto

in un libro la giornalista

Catherine Mayer

Sottotitolo del libro«The Life Plan»:«Come ogni uomo puòacquisire una saluteduratura, una intensavita sessualee un corpo più fortee più snello»

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Il ManifestoDIRETTORE RESPONSABILENorma RangeriVICEDIRETTOREAngelo Mastrandrea

AliasA CURA DIRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Federico De Melis,Roberto Andreotti(Talpalibri)ConMassimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

REDAZIONEvia A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAfax 0668719573ULTRASUONIfax 0668719573TALPA LIBRItel. 0668719549e [email protected]:http://www.ilmanifesto.it

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«Ci credono, e sono in tanti. Molto arrivano dal mondo dell’informati-ca e della tecnologia, e sì - dice con tono perplesso e forse un po’ diverti-to la giornalista - tanti pensano di poter realmente estendere la vita al-l’infinito. È una specie di religione alternativa, per certe persone. Men-tre facevo ricerca per il libro, mi sono ritrovata molte volte a pensare chefosse tutto molto divertente. Ma una cosa che invece mi ha fatto moltoarrabbiare, infuriare, è stato che, in paesi come Stati Uniti, Italia, Inghil-terra, in Occidente insomma, riusciamo a sopportare facilmente che lagente povera viva meno, abbia più problemi di salute, si nutra male, in-vecchi male e più velocemente, e che muoia prima. E questo è davveroinaccettabile».

Ma per i clienti della fabbrica del-la giovinezza perenne, che diventa-no sempre più numerosi e in cui gliuomini rappresentano una buonapercentuale, l’apparenza è diventa-ta davvero di vitale importanza.

«A me per esempio, in un’altra cli-nica che si occupa di plastiche, han-no detto che avrei dovuto fare unaplastica al collo, alla fronte, a anchenaso. Ma io ho avuto questo nasotutta la vita - dice ridendo - e michiedo come potrei mai cambiarlo,avrei una faccia completamentenuova». Ovviamente, CatherineMayer ha ascoltato, fatto domandee preso appunti, ma il suo naso è ri-masto lo stesso.

«Mi piacerebbe che la gente fos-

se più consapevole di se stessa, nonpiù bella secondo certi schemi este-tici fissati da non so chi. Il fatto pre-occupante però, è che queste nuo-ve “filosofie di vita” saranno sem-pre più ascoltate.

È come per noi, oggi, prestare at-tenzione a, per esempio, una perso-na che ha dei denti molto rovinati.Ne siamo colpiti, oggi attira la nostraattenzione. Ecco, probabilmente laplastica prenderà sempre più piede,al punto che sarà molto normale, ac-cettabile e necessario farla. La cosache mi sorprende di più però è cheoggi, invece di cercare di liberarci edessere finalmente quello che voglia-mo essere, è come se ci imponessi-mo da soli una strana uniformità.

Oggi non puoi dire con certezzase una persona è vecchia, giovane,se è uomo, donna... Sono tutti ugua-li. Piccoli nasi, stesse labbra...».

Dopo aver passato molti mesi acontatto con questo mondo, laMayer tuttavia non condanna total-mente questa ricerca di benessere.L’età che avanza non deve essereuna scusa per lasciarsi andare, per-dere ogni interesse e aspettare lamorte.

«Il trend dell’amortalità è in acce-lerazione ma, guardando gli abitan-ti di Las Vegas, ci sono anche motividi ottimismo. Gli ammortali ci mo-strano quello che le persone più an-ziane possono ancora fare ed esse-re. Preferiscono darsi da fare e lavo-rare, invece che vegetare».

Come dice il dottor Robert But-ler, psichiatra e gerontologo, «invec-chiare, o più accuratamente, il suocontrario, mantenersi giovani, èuno stato mentale che resiste allemisurazioni».

In copertinaJim Morrison, 1969

Struttura chimicadella molecola di Resveratrolo

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Di C.C.

«Non sono un cine-asta militante: mi limito a fare il miodovere». Così inizia a raccontarsi il re-gista tunisino Mourad Ben Cheikh,che incontriamo a Taormina, dove èvenuto a presentare il suo No more fe-ar. Racconto fedele e vibrante di gior-ni di fuoco, quelli che hanno visto unpaese abituato a chinare la testa perdecenni sollevarla di colpo, per grida-re, insieme, un decisivo «no». No alregime, no ai soprusi, no ai morti am-mazzati dalla repressione, no alle pa-ure che costringevano un popolo in-tero al silenzio e all’obbedienza.Niente più paura, recita il titolo del-l’opera di Mourad, non a caso.

Ci racconta la genesi del film?È un film che rovescia tutti gli sche-mi abituali con cui ho lavorato fino-ra, nato dall’obbligo di reagire nel-l’immediato. Ho preso la telecame-ra e ho iniziato a girare, senzaun’idea chiara in testa: l’idea si è for-mata toccando la materia stessa. Ilgiorno in cui ho ritrovato la mia di-gnità di cittadino non avevo altro de-siderio che ritrovare quella da cine-asta e usare i ferri del mestiere consenso e orgoglio di cittadino, seguen-do l’istinto del cittadino e dell’arti-sta. Perché l’istinto figlio dei propridesideri e della propria natura cine-matografica non è disordinato, por-ta a una certa coerenza. E il film ne èla prova: un puro gesto cinematogra-fico, con la coerenza del gesto conti-nuo, non di una riflessione.

Alla tavola rotonda sul Ma-ghreb ha parlato del pericolodell’autocensura: anche il suofilm ha incontrato questo ri-schio, magari nell’eliminazio-ne di scene di violenza?

Non ho inserito tutte le scene vio-lente perché non volevo far passareil messaggio che fossimo in perico-

CEDAR RAPIDSDI MIGUEL ARTETA, CON ED HELMS, JOHN C.

REILLY, ANNE HECHE. USA 2011

0Tim Lippe uomo qualun-que di Brown Valley,Wisconsin, non ha mai la-

sciato la sua città così come non èmai stato in un albergo e quando sireca a Cedar Rapids per parteciparealla convention del settore assicurati-vo in rappresentanza della sua compa-gnia incontra tre colleghi. Dean, Joane Ronald, veterani della manifestazio-ne lo portano fuori dai limiti della suaregolata esistenza. Miguel Arteta èregista di innumerevoli serie tv.

THIS IS BEAT - SFIDA DIBALLODI ROBERT ADETUYI; CON TYRONE BROWN,

MISHAEL MORGAN. CANADA 2011

0Dance Movie. Ballerini distrada provenienti da diver-si Paesi, si contendono il

titolo di Campioni del Mondo alla«Beat the world competition» di De-troit. Si tratta di una strada per tuttilunga, faticosa e piena di difficoltà.Colonna sonora hip hop, numeri acro-batici e tra i nomi e i gruppi che sicontendono la finale, Chase Armita-ge, Stefanie Nguyen, Fusion, FlyingSteps di Berlino, il brasiliano Revolu-stion.

TRANSFORMERS 3 (3D)DI MICHAEL BAY; CON SHIA LABEOUF, ROSIE

HUNTINGTON-WHITELEY, JOHN TURTURRO.

USA 2011

0Sam Witwicky deve aiutarei suoi amici Autobots a cer-care di sconfiggere definiti-

vamente gli acerrimi nemici Decepti-cons. Questa volta lo scenario sarà lospazio fra Stati Uniti e Russia, per unasfida che vedrà coinvolti anche nuovipersonaggi. Intanto Shockwave haconquistato il pianeta dei Transfor-mers dopo il distacco degli Autobotse dei Decepticons, e regna indisturba-to mentre la battaglia sulla Terra èsempre più accesa. Terzo episodiodella serie dopo Transformers (2007)e Transformers la vendetta del cadu-to(2009), il titolo originale è Transfor-mers: Dark of the Moon. Nel cast an-che John Turturro, John Malkovich,Frances McDormand.

SEGUE A PAG 10

■ INTERVISTA ■ YOUSRA, ATTRICE EGIZIANA ■

Cambiare il mondocon il potere dell’arteDi Claudia Catalli

Non intende parlare dipolitica, ci avverte, probabilmenteper via di recenti sue dichiarazionipoco felici. Eppure l’attrice egizianaYousra (all’anagrafe Civene Nas-sim) finirà per parlarne lo stesso, traun sorriso e uno sguardo preoccu-pato, senza mai scomporsi. È appe-na stata al Taormina Film Fest in ve-ste di giurata insieme al cineastafrancese Patrice Leconte e alla colle-ga italiana Maya Sansa: «Dopo po-chi giorni già mi sembrano gli amicidi una vita, non mi sento affattoun’estranea tra loro, forse perchétra noi mediterranei c’è da sempregrande chimica, e quand’è così è unpiacere lavorare insieme». E insie-me hanno premiato Sur la planchedella marocchina Leila Kilani, giàpassato allo scorso Festival di Can-nes: un dramma angosciante sul-l’esplosione di ribellione da parte didue ragazze arabe affamate di liber-tà. Per Yousra è lo spunto per rac-contarci la condizione femminilenel suo Paese, in cui lei è stata unadelle prime a sdoganare «non senzadifficoltà» la figura di una donna for-te e decisa ad emanciparsi, preten-dendo di vestire come meglio cre-desse, ad esempio, convinta che«non si debba mai imporre alle per-sone cosa pensare o indossare».Tanto meno alle donne.

Quanto ci ha messo a sentirsidavvero libera?

Parecchio. Non è stato né un proces-so immediato, né facile: ho inevita-bilmente incontrato ostacoli, ma hoavuto anche la fortuna di conosceregrandi menti e potermi affidare a lo-ro. Devo tutto ai grandi artisti chemi hanno accompagnata nella miavita e nella mia carriera, lasciando-mi addosso come uno stampo deiloro insegnamenti. Io sono fatta diquesto, vivo delle esperienze condi-vise con loro. Per questo continuo aripetere a chiunque che non biso-gna mai dimenticare i maestri, nétrattarli come roba vecchia.

Sta parlando anche di YoussefChahine, presumo.

Certo, mi piacerebbe che fosse quioggi, sento il suo spirito sempre conme, mi ha insegnato come rispetta-re l’arte. Perché chi fa questo me-stiere deve farlo per arte, mai persoldi. Da lui ho imparato la respon-sabilità di fare arte, la necessità diaprire porte anche difficili, la grintaper andare controcorrente e la de-terminazione nel credere fino infondo alle mie scelte. Mi ha fatto di-ventare una donna coraggiosa, in altre parole.

È questo il compito del cinema? Infondere coraggio, offrire nuoveprospettive?

Sì. Il cinema è lo specchio della società, ne riflette usi e costumi e ne raccon-ta gli avvenimenti, dai mutamenti politici fino alla quotidianità. Attraverso ilcinema puoi sentire il potere dell’avvenire, è come uno tsunami: capisci co-sa sta accadendo e hai la possibilità di osservarlo secondo prospettive diver-se. Da ambasciatrice dell’Onu, tocco con mano da anni problematiche pre-occupanti in tutto il mondo, dalla tratta degli umani agli stupri, dalla pedofi-lia alla violenza, fino all’aids, e di queste tematiche ne ho parlato spesso nelmio lavoro, in modi diversi. Dopo trent’anni di carriera posso dire che in par-te, anche con i registi con cui ho collaborato, siamo riusciti nell’intento: ab-biamo combattuto il terrorismo, il fondamentalismo e continuiamo ancoraoggi a cambiare la mente delle persone, per far capire loro cose importanti.Questo è il potere dell’arte, cinema compreso.

Ci fa un esempio concreto?Siamo arrivati a cambiare la leggesulle avances sessuali in Egitto conun telefilm, A public opinion case.Perché persino una serie tv può in-fluenzare e addirittura cambiare ra-dicalmente l’opinione pubblica.Questa serie parlava di donne cheavevano subito violenza, la critica siera subito scagliata feroce contro dinoi, dicevano, tra le altre cose, chele donne erano colpevoli di vestirsiin modo svergognato, e altre aberra-zioni simili. Tutto questo durante ilRamadan, che dura quattro settima-ne: finito il Ramadan, l’opinionepubblica era già cambiata, la gentela pensava in modo del tutto diver-so. Con un po’ di coraggio abbiamocambiato il loro modo di guardarele donne, tanto che di lì a poco c’èstata una sentenza penale comenon ce ne erano mai state prima:un caso di violenza sessuale in cui ilgiudice sembrava quasi aver capitoil senso del telefilm con il suo ver-detto. Un’ulteriore dimostrazionedi come il serial avesse contribuitoa far vedere la condizione femmini-le da un’altra prospettiva.

Come valuta la situazione del-le donne in Egitto?

Ho parlato con le donne dei villaggipiù piccoli, e scoperto con piacerepersone curiose e vivaci, che voglio-no imparare, studiare, istruirsi. So-no affamate di sapere, chiedonospesso di Internet, anche nei postipiù isolati e inimmaginabili. Eppu-re vanno sempre in giro con il velo.Questo per dire che le donne, so-prattutto negli ambienti rurali, so-no molti forti, i loro voleri e le loroparole sono ascoltati sia dal maritoche dai figli, hanno una forza straor-dinaria. Anche nell’Egitto del Nordhanno grande potere, poi certo nel-le città c’è il problema del fonda-mentalismo, che paradossalmenteattecchisce proprio lì dove c’è gentepiù istruita. È quello che va combat-tuto. Io rispetto chi vuole indossareil velo, ma non tollero l’imposizio-ne: una donna deve avere il dirittodi vestire come crede. Anche se difatto il velo è diventato per alcunepiù un costume popolare che un fat-to religioso. Può riflettere la povertào la voglia di proteggersi dagli sguar-di indiscreti degli uomini, ad esem-pio. E poi, certo, può anche esseresegno di mancata istruzione. Que-sto è ciò che accade nel nostro Pae-se, ma anche in Occidente non mipare che le donne siano serene: vi-

vono l’ossessione per la bellezza,quando l’importante è essere bellenel cuore e nella mente, perché labellezza fisica prima o poi sparisce.Invecchiando io stessa ho imparatotante cose: più maturi, più non soloaumenta la tua libertà, ma ti arric-chisci, impari come dare, amare, ri-spettare, stare al mondo.

Lei è un’icona del cinema egi-ziano, cosa pensa dei lavoridelle nuove generazioni?

Mi interessano molto, trovo abbia-no un entusiasmo raro: noi siamopiù classici, i giovani mi affascinanoper la loro energia, la passione equell’inconfondibile sentirsi fortiche fa bene al cinema, che dovreb-be tenere insieme il meglio del pas-sato e del presente. Una sola cosami sentirei di consigliare alle nuovegenerazioni: attenti, perché la frettapuò far male. Correndo a perdifiatopuoi scivolare, meglio camminarelenti ma con prudenza.

È stato questo il segreto dellasua carriera?

Esatto. Camminare piano e congrande attenzione, sotto la guida de-gli straordinari artisti con cui hoavuto la fortuna di lavorare. Alcunidi loro magari non lavorano più,ma io li sento ancora e li vado a tro-vare ogni volta che posso. La certez-za che ha sempre governato la miavita è che se non hai passato, nonhai presente e tanto meno futuro.Quindi anche nella carriera ho sem-pre sentito e subito l’importanzadei simboli, di quelle icone che mihanno fatto amare davvero il cine-ma. E poi devo ringraziare amici co-me Omar Sharif: se mi serve un con-siglio importante, da anni, vado dalui. È un uomo affascinante e moltosaggio, ama i poveri e li protegge esostiene come pochi altri al mondo.

Come procede oggi il cinemanel suo Paese, dopo le scosserivoluzionarie?

Non sta funzionando molto, perchétutto sta cambiando in fretta, anchei temi. Io credo che non si debbanomai esprimere giudizi mentre le co-se accadono, ma darsi tempo per ri-flettere e poi magari farne film. VediThe hidden wars of Desert Storm, gi-rato dieci anni dopo la guerra delGolfo. Certo, in momenti di rivolu-zione è necessario documentare co-sa accade, anche io ho partecipatoa film collettivi come 18 days, conzero budget ma tanta voglia, da par-te di tutti gli artisti che ci hanno la-vorato, di immortalare il momentosenza giudicare.

Ma la sospensione del giudi-zio non è partecipazione.

Lo è, in un certo senso: se mi siedo e osservo ciò che accade, valutando at-tentamente i cambiamenti, partecipo, ma a modo mio. E comunque sosten-go molte persone, anche se non lo do a vedere.

Progetti in arrivo?Un grande progetto sul popolo arabo, si chiama The Arab with Yousra. Na-sce dalla constatazione che gli arabi sono presenti in tutti settori, e in quelloche fanno eccellono da sempre. Sono rispettati da tutti e hanno una marciain più degli altri. Insomma: se gli arabi riuscissero a connettersi gli uni aglialtri con tutto il loro talento e il loro successo, esclusivamente per il bene delloro popolo, credo che il mondo arabo potrebbe arrivare davvero a un livel-lo diverso. Abbiamo in programma circa 400 interviste a tutti questi perso-naggi arabi in giro per il mondo. Io stessa sto sostenendo e promuovendoquesto progetto, che sarà una sorta di documentario con delle incursioni didramma. Poi continuo i miei progetti televisivi e per il Ramadan 2012 usciràun film a episodi con me protagonista.

In basso l’attrice egiziana Yousra

LETALE

INSOSTENIBILE

RIVOLTANTE

SOPORIFERO

CLASSICO

BELLO

COSI’ COSI’

CULT

MAGICO

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■ INTERVISTA ■ MOURAD BEN CHEIKH, REGISTA TUNISINO ■

Non abbiamo più pauralo a girare, mi interessava più im-mettere lo spettatore in un’esperien-za di vita, per condividere ciò cheabbiamo vissuto noi. L’autocensuranon c’entra nel mio caso: un film èun organismo globale, bisogna rac-contare senza ripetersi e dare diogni cosa l’impressione giusta.

Raccontare la rivoluzione attra-versosguardididonna: dadoveènata la vogliadiseguire lesor-ti delle due forti protagoniste?

È stata una scelta naturale, non hopensato di seguire quelle storie perdotare il film di una presenza fem-minile, tutt’altro: la donna in Tuni-sia è un anello forte della catena so-ciale. Anche a livello economico, iltessuto sociale tiene perché le don-ne lavorano e sono impegnate nelsostegno delle famiglie. Questo dàalle donne la libertà, non le leggi,che pure devono essere applicate.Nella vita di tutti i giorni la donnaha libertà perché lavora.

Cosa pensa di reazioni comequelladell’attrice egiziana You-sra, che ha dichiarato di preferi-re stare a guardare la rivoluzio-ne, più che parteciparvi?

Ognuno ha le sue motivazioni, prefe-risco una reazione chiara, come lasua e quella di chi si tira indietro,piuttosto che vedere chi prima canta-va le lodi dei dittatori e oggi cerca di«cavalcare la rivoluzione». Per fortu-na la rivoluzione ha una memoria: siricorderà di chi ha cambiato vestito.

Una rivoluzione che ha dimo-strato il potere delle immagi-ni, tra Internet e socialnetwork...

Sì, abbiamo dato l’idea di un consen-so che si forma in modo orizzontale,che attraversa tutto un popolo e conmezzi nuovi fa scoprire a chi si senteisolato che ce ne sono tanti come econ lui. Abbiamo dimostrato che ilconsenso ha nuovi modi di espressio-ne: i tunisini hanno deciso di reagirequando hanno visto in rete le imma-gini di Sidi Bouzid e di altrove, equando su Facebook tutti i nostri pro-fili avevano la bandiera al posto dellafoto personale, un segnale forte.

Il ruolo del cinema in tuttoquesto?

Non «fare la rivoluzione», ma ricosti-tuire un’immagine collettiva. Siamostati privati per decenni di ogni mez-zo in cui riconoscerci, oggi sentol’obbligo di ridare a me stesso e aitunisini la chance di avere un’imma-gine fedele di noi stessi. Abbiamoun’identità da costruire e l’arte èfondamentale in questo.

Com’era il cinema prima dellarivoluzione?

In Tunisia c’erano forse due-tre regi-sti allineati al potere, gli altri eravamoindipendenti e senza mercato. L’aiu-to del ministero della cultura è fonda-mentale in Tunisia, ma per fare cine-ma e teatro di qualità non dovevi perforza essere tra i favoriti del regime:Nouri Bouzid dava molto fastidio alpotere, ma lo dovevano finanziareper girare per festival e dimostrareche il cinema tunisino esisteva. Il pro-blema vero era misurarsi con la cen-sura che obbligava ad elaborare sog-getti in cui cercare di dire senza esse-re espliciti. Questi filtri finivano percreare un’autocensura, ancora piùgrave delle imposizioni del potere.

E l nuove generazioni di registi?Da qualche anno c’è stata l’esplosio-ne di una forma di produzione libe-ra, in digitale: centinaia di cortome-traggi e documentari, espressioni diuna nuova generazione fatta di per-sone e idee nuove, con ricerche arti-stiche mai viste prima. Per ora c’ètanta quantità e la qualità si lasciasolo intravedere, ma è una bellaspinta ad allargare la creatività cine-matografica in Tunisia. Le sale sonopoche, ma abbiamo un progettocon altri cineasti per ampliarle: stia-mo lavorando a nuove leggi per il ci-nema. Vogliamo creare un centronazionale di cinematografia, cosìda slegare il settore dal ministero

della cultura e avere più libertà. Lacreatività esiste, i mezzi ancora no.

Come funzionano ora i mezzidi comunicazione?

Tutta la geografia dei poteri in Tuni-sia si sta ridisegnando, nuove allean-ze si vanno tessendo e in questo mo-vimento i media ancora non hannofatto una vera mutazione. Le tv, po-che, erano tutte allineate con il vec-chio potere, da cui non si sono anco-ra liberate del tutto. Non si trattapiù di censura, ma di ritenzione del-le informazioni: certi media agisco-no come filtri per favorire una lineapiuttosto che un’altra, e in assenzadi regole chiare e una tradizione di

informazione equilibrata questoporta già a un disastro.

Il centrosinistra come si stamuovendo?

C’è stata un’esplosione di partiti. Al-cuni ideologicamente sono fuoridalla storia, esistono solo perché ladittatura li ha fatti resistere. Devonocambiare, evolvere, ritrovare il loroposto in una geografia nuova. Nelcentrosinistra ci sono movimentiche si stanno alleando, hanno capi-to che non c’è altra scelta.

Le sue opinioni in merito aun’eventuale ascesa del parti-to islamista?

Un partito religioso forte può esiste-re, ma non è detto che vada al pote-re. Se così fosse, non so cosa acca-drebbe: portano avanti un doppio di-scorso, uno per lo zoccolo duro delpartito e del popolo, l’altro per tran-quillizzare il resto della gente. Ora,portare avanti il discorso estremistanon allargherebbe la base elettorale,d’altra parte non si può tenere infini-tamente un discorso doppio, per cuidovranno scegliere. Come tutti.

Quale ritiene debba essere ilruolo dell’Occidente?

Non voglio più vivere le paure perprocura: l’Occidente ha paura del-l’Islam e dell’arabo, io non vogliopiù che metta nelle mani di paesi ara-bi e islamici una patente per blocca-re questa sua paura. Metà dei proble-mi tra mondo arabo e Occidente fini-rebbero se smettessero di proiettaregli uni sugli altri le proprie paure.Dell’Occidente penso anche questo:da noi c’era l’obbligo di non reagire,voi avete l’illusione di poter reagire.Con l’illusione il limite per ribellarsiè lontano, ma lo state raggiungendo.L’esempio è partito dalla Tunisia, laSpagna e l’Italia hanno dimostratoche gli stessi mezzi usati da noi pos-sono creare consenso ovunque. Lasocietà civile sta andando a una velo-cità superiore rispetto agli strumentidella politica classica, per questo varifondata. Non so quale nuovo siste-ma debba esistere, ma quello attualenon va più bene in nessun paese.

Ha vissuto molto in Italia, co-me trova il nostro Paese oggi?

Adoro l’Italia, ma non ho voglia ditornarci adesso. Quando fu eletto perla prima volta Berlusconi, ero conten-to solo perché tra i miei amici nessunolo aveva votato. Oggi non potrei dire lostesso. Mi deludono tante vostre rea-zioni fiacche su cose fondamentali. Edire che in Italia ho imparato cos’era lapolitica, se oggi in Tunisia spiego cos’èuna Costituente è grazie a voi. Mi eroappassionato alla vostra politica, miha deluso vedere che forma abbia pre-so quel sogno di cambiamento dopola caduta della prima repubblica. Oggi,grazie al referendum, vedo per la pri-ma volta una speranza di scossa. Spet-ta a ogni cittadino ritrovare l’impegnoper difendere le proprie idee e il sensodi appartenenza alla propria nazione.

Una grande attrice egiziana e un regista tunisino raccontano del loro impegno di cineasti a fronte dei grandi mutamenti

in corso nei loro Paesi. «Non so quale nuovo sistema debba esistere, ma quello attuale non va più bene da nessuna parte»

Il regista tunisino Mourad BenCheikh e una scena dal suo film«No More Fear»

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■ JAVIER MARÍAS E IL VARIEGATO MOVIMENTO DEGLI ANTI-MOURINHO ■

Il gioco del topo e del leoneCALCIO

di Luigi Cavallaro

«Sette giugno 1992. Ultima giornata della Liga, si gioca Teneri-fe-Real Madrid. Se il Real vince, si laurea campione. Se perde e il Barçavince, sarà quest’ultimo a conquistare il titolo. Sul risultato di 1-2, il Realsegna un gol regolare, che sarebbe stato praticamente decisivo. L’arbitrolo annulla per un fuorigioco inesi-stente. La partita continua, il Realpraticamente segna due gol (o unoe mezzo) nella propria porta, lapartita finisce 3-2 e il campionatovola a Barcellona. Oggi avremmomontato uno scandalo. Allora qua-si nessuno menzionò il gol annulla-to, né il Madrid se ne lamentò. Ri-conobbe di essersi “suicidato” nelsecondo tempo. Fu una partitamolto importante per la storia: ilBarça si tolse molti dei suoi com-plessi, cominciò a sbarazzarsi delsuo ancestrale atteggiamento vitti-mistico e diede inizio al suo perio-do di massimo splendore, che siprolunga fino ad oggi».

Comincia così un lungo articolopubblicato da Javier Marías su ElPaís Semanal il 15 maggio scorso.Com’è noto, lo scrittore spagnoloin odore di Nobel è un habitué delgenere: madridista sfegatato findalla tenera età (illuminata dal mi-tico Real di Puskas, Di Stéfano eGento), non ha mai fatto misterodi considerare il calcio un insoppri-mibile «recupero settimanale del-l’infanzia», al punto da ammettereuna volta che «poche cose mi han-no dato così tanta soddisfazionenegli ultimi anni come il fatto chemi chiedessero di scrivere di cal-cio». Ma questo articolo è particola-re, e ha suscitato clamore mondia-le per un feroce attacco a José Mou-rinho, attuale allenatore del RealMadrid e reo, a suo avviso, di averstravolto non solo la tradizionale

«signorilità» dei blancos, ma perfi-no il naturale stile di gioco madrile-no. «Se ci annullavano un gol ingiu-stamente, era uno scherzo del de-stino o un rischio del gioco e ne do-vevamo fare un altro», scrive infattiMarías, e lo stesso valeva per un ri-gore negato o un’espulsione ingiu-stificata: «il Madrid continuava adattaccare in dieci o in nove, non sidava mai per vinto», perché «quinon si cercano scuse, qui non siprotesta, si accetta la sconfittaquando l’avversario è stato miglio-re e la fortuna non ci ha accompa-gnato, si cerca sempre la vittoriaanche se c’è il rischio di esseresconfitti». Soprattutto, «qui nessu-no si sente sconfitto in anticipo».

Quindi, Marías attacca. Perchése quello è stato il Real Madrid finda quando lui era bambino, pro-prio non capisce cosa c’entri conquello stile «uno sciamano da sa-gra come Mourinho»: «un indivi-duo che non sa di calcio e che trat-ta il Madrid senza attenzione, chenon ha remore nel tradire la suacentenaria tradizione né nello spor-

carlo con una macchia che sarà dif-ficile cancellare». Incalza Marías:«il suo Madrid è una squadra conbuoni giocatori ai quali chiede digiocare in maniera brutta e cattiva;con attaccanti eccellenti a cui, nel-le partite chiave, non permette diattaccare; con giocatori onesti – lamaggioranza – che obbliga a com-portarsi in maniera brutale e diso-nesta». «Grazie al suo noto e infini-to risentimento e al suo potere qua-si assoluto», prosegue lo scrittore,Mourinho «schiaccia sotto un regi-me di terrore» i suoi giocatori. È«un allenatore onnipotente, onni-presente», un «piagnucolone cheaccusa sempre gli altri, un indivi-duo dittatoriale, pasticcione e irri-tabile, soporifero nelle sue dichia-razioni, per nulla intelligente, catti-vo vincitore così come cattivo per-dente e che, come ha detto DiStéfano, fa giocare il Madrid “co-me un topo”, mentre il Barça gioca“come un leone”».

Psicopatologia della criticaUn lettore superficiale potrebbe

rubricare l’invettiva di Marías fra letante periodicamente ammannitedai nostalgici del «bel calcio di unavolta», quello (secondo loro) fattodi decoubertiniana sportività, consquadre che badavano a giocare,«dare spettacolo», e non solo a vin-cere. Ma sarebbe sbagliato. Da pro-fondo conoscitore del calcio, e so-prattutto dei reali sentimenti diquei suoi speciali fruitori che sonoi tifosi, Marías sa bene che, mentreuno scrittore, un pittore o un can-tante possono prendersela como-da dopo aver fatto un libro, un qua-dro o un disco indimenticabile, nelcalcio non c’è posto né per il ripo-so né per il divertimento: non ser-ve avere un albo d’oro straordina-rio e nemmeno aver trionfato l’an-no prima, perché non c’è allegriapassata che possa compensare unpresente angoscioso (o peggio, me-diocre). Il calcio è un gioco in cui«non basta vincere, ma bisognavincere sempre, in ogni stagione,in ogni torneo, in ogni partita», leg-giamo in un suo articolo scritto giu-sto un mese dopo quel terribile 7

giugno 1992. E pur riconoscendoche si tratta di qualcosa di simile altormento di Sisifo, non sfugge aMarías che è proprio questa pecu-liarità a rendere il rapporto del tifo-so con la propria squadra così simi-le a quello con la propria vita: «Ilcalcio è il circo dei nostri giorni,ma anche il teatro. Deve essereemozione, paura e tremito, desola-zione o euforia», e può essere com-piutamente fruito solo a patto dicredere che «il disastro è il disastroe le gesta sono gesta», e perfino«che il mondo finisce a ogni parti-ta, anche se sappiamo che ce ne sa-rà un’altra dopo sette giorni».

Ora, chiunque conosca Mou-rinho sa bene che a contraddistin-guerlo rispetto agli altri allenatori èproprio una sorta di pulsione acce-cante per la vittoria. Il suo pal-marès è perfino esagerato: al nettodi coppe e supercoppe di lega na-zionali, sono sei campionati in trepaesi diversi e due Coppe dei Cam-pioni in circa 9 anni di attività.Non c’è nessun allenatore viventeo del passato che possieda numeri

appena paragonabili. Ancor menocoloro che possono vantareun’analoga capacità di drammatiz-zazione: le sue conferenze-stampasono spesso eventi memorabili, lasua gestualità e la sua mimica abordo campo possiedono un’inten-sità senza pari. «In questo gioco, senon c’è dramma non c’è niente. Seperdere o vincere una partita nonviene vissuto come un evento cru-ciale e con una trama e una storia,con una svolta o una catastrofeche riguarda il passato, il presentee il futuro, la dignità e il decoro enaturalmente la faccia con cui unosi alza l’indomani, allora lasciamoperdere»: sono ancora parole diMarías, e sembrano scritte perMourinho.

Ma se è vero che l’allenatore por-toghese incarna alla lettera ciò cheper lo scrittore spagnolo è l’essen-za del calcio, è evidente che le ra-gioni di un attacco così distruttivodevono risiedere altrove. Muoven-do dall’idea che il calcio è un «recu-pero settimanale dell’infanzia», po-tremmo in effetti congetturare che

Da sinistra José Mourinho,Andre Villas Boase lo scrittore Javier Maria.Foto Reuters

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le ferite narcisistiche subite dalbambino Marías a causa degli stre-pitosi successi ottenuti dal Barçanegli ultimi 10 anni abbiano reso«nevrotico» l’adulto Marías. Il qua-le, appunto da buon nevrotico,non può «ricordare» che il bambi-no Marías ha in cuor suo dileggia-to il Madrid perché incapace perlunghi anni di vincere perfino laCoppa del Re («senza offesa, un tro-feo alla portata del Mallorca o delGetafe») e si è spinto al punto di du-bitare della propria «fidelidad fut-bolera» («sono incerto se sceglierel’Athlétic Bilbao, la Real Sociedad oanche l’inimmaginabile: l’AtléticoMadrid»): piuttosto, ne fa carico aMourinho, che qui subisce il piùclassico dei transfert psicoanalitici.

Dalla frustrazione alla vittoria:fenomenologia di Mourinho

Ci piace pensare che il silenzioche l’allenatore portoghese ha ser-bato a seguito del violento attaccodello scrittore spagnolo sia fruttodi questa consapevolezza. Esatta-mente come l’analista, che utilizzail transfert come un «campo di gio-co» in cui lasciare esprimere libera-mente il paziente per coglierne lepulsioni patogene, Mourinho sa be-ne che la condizione sine qua nondel suo successo al Real è la «libera-zione» del carico di frustrazioni ri-mosse accumulate in questi annidal club e dai suoi tifosi. Come ha

mostrato Wilfred Bion nel suo cele-bre Esperienze nei gruppi, in casidel genere si tratta di concepire unprogramma operativo e di trasmet-terne l’immagine a tutti coloro chene sono coinvolti mediante una«narrazione» il cui senso complessi-vo sia capace di trascendere i singo-li successi e insuccessi che verran-no. E benché una parte essenzialedel programma sia costituita dal-l’individuazione di un «nemico» pe-ricoloso per tutto il gruppo, la cuisconfitta diviene l’obiettivo comu-ne, ben più decisive si rivelano alloscopo le qualità che deve possede-re il leader. Questi infatti dev’esse-re dotato di esperienza sufficienteper comprendere i propri e gli al-trui difetti e deve farsi garante del-l’incolumità del gruppo senza peròcercarne la benevolenza né temer-ne l’ostilità; deve saper vivere instretto rapporto emotivo col grup-po ed essere in grado di esercitarela propria autorità in un contestoin cui il gruppo è disposto ad accet-tare il suo ruolo solo fin quando luiè capace di sostenerlo; deve forma-re degli individui socializzati peruna vita di comunità e dunque ingrado di assumersi le responsabili-tà che questa impone; soprattutto,deve essere consapevole che la suaresponsabilità riguarda questioni«di vita o di morte» per il gruppo.

Sono qualità che Mourinho hagià messo ampiamente in mostraal Porto e soprattutto al Chelsea eall’Inter, dove è arrivato con la suaaura di «vincente» a riplasmarel’identità collettiva di ambienti sto-ricamente «perdenti», fino a guarir-ne tare ataviche. In ognuna di quel-le esperienze, l’allenatore porto-ghese è riuscito a creare «comuni-tà» vive e coese, alternando sapien-temente l’enfasi e l’iperbole dei to-ni alla dialettica scherzosa deglisfottò. Ma soprattutto ha saputocostruire squadre di elevatissimaqualità grazie a innovative metodi-che di training che, puntando sul-l’integrazione tra la preparazionetattica e quella psicofisica dei cal-ciatori, sviluppassero la loro capaci-tà di pensare in modo collettivo.Squadre in cui, come lui stesso hadetto, «il tutto sia superiore allasomma delle parti, in maniera taleda ottenere che grandi giocatoripensino e reagiscano insieme si-multaneamente di fronte a ogni va-riante del gioco».

Si tratta di una concezione agliantipodi della vecchia idea dell’alle-natore che escogita «situazioni digioco» per poi farle ripetere ossessi-vamente ai suoi calciatori, sfruttan-done le capacità di apprendimen-to di tipo «pavloviano»: l’obiettivodi Mourinho, al contrario, è quellodi trasmettere schemi e strategie inmodo tale che i calciatori, ferma re-stando la fedeltà ai principi ispira-tori del progetto, imparino al con-tempo a prevederne le possibili de-viazioni «creative» per tener contodelle peculiari contingenze del ca-so. È ciò che António Damásio habrillantemente definito «una ginna-stica della previsione mentale»; e ilfatto stesso che un neuroscienzia-to di fama mondiale come Damá-sio abbia prefato un libro dedicatoai metodi di allenamento di Mou-rinho crediamo valga di per sé soloa dimostrare la fondatezza di unodei più raffinati strali che l’allenato-re portoghese ha rivolto ai suoi de-trattori: «chi sa solo di calcio nonsa niente di calcio».

Il Barça e il «principio di realtà»Detto questo, non si è però det-

to tutto. La parte essenziale del pro-getto di Mourinho al Real Madrid(come già al Chelsea e all’Inter)consiste infatti nell’educare il grup-po all’accettazione del principio direaltà. Non è questione di sentirsi«sconfitti in anticipo», come insi-nua Marías, ma saper individuare

la strategia migliore per sconfigge-re un «nemico» potente – il Barça,manco a dirlo – che al momentogode per di più di un «consenso»pressoché universale.

È un punto sul quale ha più vol-te richiamato l’attenzione Jona-than Wilson, forse il miglior giorna-lista sportivo in circolazione (e au-tore, fra l’altro, di una magnificastoria della tattica calcistica chespereremmo di veder presto tradot-ta in italiano). La filosofia calcisticadel nostro tempo viene dall’Ajaxdei primi anni ’70, e i suoi principidi base sono essenzialmente due:circolazione del pallone e movi-mento continuo quando la squa-dra ha il possesso palla, pressionecostante per recuperarla in fase dinon possesso. È una filosofia cheRinus Michels e Johann Cruijffesportarono 40 anni fa dall’Ajax aBarcellona e che lì si è sviluppataattraverso il «Dream Team» costrui-to da Cruijff nei primi anni ’90 (conPep Guardiola centromediano) fi-no a pervenire all’eccellenza atte-stata dalle impressionanti statisti-che dei blaugrana nell’ultimaChampions League: una media dipossesso palla del 73,3%, e così per-fezionato da fare a meno delle clas-siche soluzioni del cross o del tiroda fuori a beneficio di una fittissi-ma trama di passaggi ravvicinati diprecisione chirurgica, che intonti-

scono gli avversari fino a narcotiz-zarli.

Come affrontare un «nemico»del genere? Il giorno prima della fi-nale di Champions, Arrigo Sacchisuggeriva a Sir Alex Ferguson, miti-co allenatore del Manchester Uni-ted, di non lasciare gioco e iniziati-va ai blaugrana, ma di pressarli eaggredirli a centrocampo. È ciòche Marías vorrebbe veder fare alsuo Madrid, che non sopporta diveder giocare come il topo controil leone. Sfortunatamente, se nonsi possiedono le qualità tecniche etattiche che i catalani apprendonofin da bambini, la copertura di tut-to il campo con il pressing e i rad-doppi può riuscire per non più diventi minuti: giusto quelli in cui i«Red Devils» sono riusciti a oppor-re un controgioco del genere pri-ma di sfinirsi e subire il gol di Pe-dro e poi, dopo l’episodico pareg-gio di Rooney, il definitivo k.o. daMessi e Villa.

Eppure, un anno fa, dopo l’inat-tesa eliminazione del Barça ad ope-ra dell’Inter, è stato ancora Wilsona chiedersi se la semifinale di ritor-no al Camp Nou non sarebbe stataguardata dagli storici del futuro co-me un «tornante significativo» perla sfida che implicitamente Mou-rinho lanciava all’idea che mante-nere il possesso palla sia il modomigliore di giocare a calcio: rende-

re il Barcellona così «inoffensivo»nonostante uno stupefacente 84%di possesso palla non mostrava for-se quanto potesse contare l’orga-nizzazione rigorosa quando si al-lea con la forza mentale? Non eraforse lasciando deliberatamentel’iniziativa ai catalani che i neraz-zurri avevano potuto sviluppareun controgioco fatto di resistenza, assorbimento della pressione e incur-sioni in contropiede?

Sbaglierebbe chi evocasse il catenaccio: l’Inter non difese affatto a uo-mo, ma rigidamente a zona, pressando a scalare i «sostegni» in modo cheil portatore di palla non trovasse compagni liberi a cui cedere il pallone(Messi, che tre settimane prima aveva segnato quattro gol all’Arsenal, riu-scì a tirare in porta una volta sola in 90 minuti). Piuttosto, non si faticheràa riconoscere nella scelta tattica di quell’Inter la stessa strategia che il RealMadrid ha adottato contro i catalani nella vittoriosa finale di Copa del Reye che ha replicato nella gara d’andata della semifinale di Champions pri-ma che l’espulsione di Pepe ne compromettesse irrimediabilmente l’esito.Del resto, chi altri se non un allenatore formatosi alla scuola del Barcello-na (Mourinho, come si ricorderà, è stato il secondo di Robson e Van Gaal)

poteva escogitare l’antidoto capa-ce di incepparne il meccanismo?

Il ritorno della «prostituzioneintellettuale

Tralasciamo il polemico affon-do di Marías sulle veementi criti-che che Mourinho ha rivolto all’ar-bitraggio della semifinale d’anda-ta: basti dire che, se perfino il WallStreet Journal ha sentito il bisognodi dedicare ai catalani un articolosfottente dal titolo «The World’sGreatest Whiners», in cui si raccon-tano celebri e meno celebri simula-zioni di Busquets, Dani Alves, Pe-dro, Mascherano e soci, è chiaroche i veri «piagnucoloni» stanno al-trove e che Marías sta ripetendo l’«errore» di imputare all’allenatoredella propria squadra comporta-menti che non sopporta nei vincen-ti. (Non ce ne voglia il grandeEduardo Galeano, ma esaltare ilBarça per il suo «gioco pulito» èun’autentica sciocchezza.)

Resta da dire che, siccome lavendetta è un piatto che si mangiafreddo, i nostri «commentatori» cal-cistici hanno colto nell’attacco diMarías e nella successiva elimina-zione del Real Madrid l’occasioneper un’insperata rivincita su Mou-rinho. Una rivincita ancor più dol-ce per la dedica a Guardiola concui l’ex «delfino» di Mourinho, An-dré Villas-Boas, adesso suo succes-sore nella panchina del Porto, haconsacrato la vittoria riportata nel-la finale di Europa League. C’è dacapirli: perfettamente ignoranti ditattica calcistica, strutturalmentediffidenti verso tutto ciò che sia or-ganizzazione collettiva e proprioper ciò adusi a spacciare per veritàintrascendibili le più trite banalitàdel bar sport (magari nobilitandolecon la filosofia negativa del Tiromancino di Edmondo Berselli), es-si non hanno mai potuto tollerareuno che, come Mourinho, li sfida-va apertamente sul terreno intellet-tuale. Proprio per ciò, nei giorniscorsi la stampa nostrana si è scate-nata nell’enfatizzare le più biecheesternazioni anti-Mourinho: dal«patetico» rivoltogli dall’allenatoremilanista Massimiliano Allegri (pa-tetico lui même) fino all’accosta-mento a Hitler (a Hitler!) di cui loha «gratificato» l’ex presidente ma-drileno Ramón Calderón, furibon-do per l’allontanamento di JorgeValdano dalla dirigenza madridi-sta. C’è stato persino chi è giuntoad esaltare Villas-Boas e il suo omo-logo Jürgen Klopp (44enne ct. delBorussia Dortmund trionfatore inBundesliga) come campioni di unanuova «generazione anti-Mou-rinho». Peccato che Villas-Boas siain tutto un clone di Mourinho (esi-larante un filmato su YouTube chene mostra la somiglianza perfinonella mimica e nella gestualità) eKlopp sia già stato definito «il Mou-rinho di Westfalia» per metodi d’al-lenamento e sistemi di gioco. «Pro-stituzione intellettuale», disse Mou-rinho in una celebre conferenza-stampa, e aveva ragione.

LA VITA SI FÀ DURAE CORTA NEGLI USAGli americani adorano essere i pri-mi della classe. E in effetti, se siguardano le classifiche mondiali,spesso lo sono. Per la forza dellaloro economia (anche se adessoormai la Cina li tallona), per la quan-tità, e la sofisticazione, dei loro ar-mamenti. Ma è loro il primato an-che in importanti aree d'eccellenza,nella ricerca scientifica o nell'istru-zione post universitaria. Peccatoperò che, se si passa ad altri indica-tori, non certo di minore importan-za, le cose cambino, e drasticamen-te. Come hanno raccontato, a metàgiugno, i ricercatori dell'«Institutefor health metrics and evaluation»dell'università di Washington.Perché quando si parla di qualitàdella vita e soprattutto della suadurata, gli americani hanno benpoco di cui vantarsi. Mentre in tuttoil mondo l'aspettativa di vita crescecostantemente, anche se non sem-pre uniformemente, in America lecose vanno alla rovescia. Nello stu-dio, che analizza le statistiche tra il1987 e il 2007, si scopre infatti cheanno dopo anno, il grande paese èsceso nelle classifiche mondiali. Perarrivare, per l'appunto 4 anni fa,addirittura al 37˚ posto. E se si guar-da a cosa succede in alcuni degliStati più poveri, le cose vanno anco-ra peggio. Nella contea di Holmesad esempio, nel Mississipi, una don-na può sperare di arrivare a 73-74anni, ovvero a quella che era l'etàmedia nelle società più avanzatenel lontano 1957. E la vita degliuomini lì è ancora più breve, si fer-ma in media ai 66 anni.Il Mississippi non è una terribileeccezione, visto che secondo lo stu-dio dell'università di Washington trail 2000 e il 2007 ben l'80% dellecontee americane ha fatto la marciadel gambero. «Il più grande declinonelle aspettative di vita dai tempidella 'spagnola' del 1918» comescrivono allarmati i ricercatori. Para-gonando quello che sta accadendoora nientemeno che all'epidemiache falcidiò gli Stati uniti all'iniziodel ’900.Anche negli Stati uniti ovviamente ilpanorama non è uniforme. Né geo-graficamente né socialmente, nétantomeno etnicamente. Al primoposto di questa classifica negativaci sono gli Stati del Sud est, del Mid-west meridionale e dell'Appalachia.I poveri, e le minoranze, soprattuttoi neri, vedono la vita accorciarsi an-no dopo anno. Ma la cosa più singo-lare è che adesso persino le donne,che tradizionalmente nel mondooccidentale sono le più longeve,perdono terreno. Il trend, dice unaltro studio del 2010, è cominciatonel 1997, e il risultato è che ora laloro aspettativa di vita, quantome-no in Mississippi o in gran partedell'Oklahoma e del Tennessee, èparagonabile a quella di paesi benpiù poveri, come l'Honduras, il Sal-vador o il Perù. Molti ricercatori so-no rimasti stupiti dai nuovi dati. Maquando si passa a chiedersi il per-ché sono tutti concordi. Se negliStati uniti si vive male, e poco, ilmotivo lo si trova nel sistema sanita-rio: l'America è l'unico paese cosid-detto «avanzato» che non proteggela salute dei suoi cittadini. L'unicasperanza è che dal 2014, quandoentrerà in vigore la riforma volutada Barack Obama, qualcosa cambi.

Alcune note

a margine

del feroce attacco

portato da Javier

Marías - scrittore

spagnolo in odore

di Nobel - a José

Mourinho, attuale

allenatore del

Real Madrid, reo

a suo avviso

di aver stravolto

la tradizionale

«signorilità»

dei blancos

e il loro naturale

stile di gioco

ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (7

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■ EMOZIONI VIDEOLUDICHE DA MIYAMOTO ■

Zelda, leggenda(ria)da venticinque anni

di Federico Ercole

Forza, saggezza e corag-gio: sono questi i tre elementi checompongono la Triforza, nella for-ma di tre triangoli lucenti uniti insie-me in un frattale che ricorda quellodisegnato dal matematico polacco

Waclaw Sierpinski. La Triforza è il simbolo delleLeggende di Zelda, la serie di videogiochi d’avven-tura inventata da Shigeru Miyamoto – già padredi Super Mario – nel 1986 per il Nintendo Enter-tainment System. Quando uscì in Giappone, el’anno dopo negli Usa, fu un successo enorme echi ci giocò fu immediatamente consapevole chela storia dei videogiochi sarebbe cambiata persempre. Era nato un genere nuovo e un nuovomodo di raccontare. Era l’alba di una nuova ondache avrebbe trasformato l’intrattenimento elettro-nico in epopea.

Giocare 25 anni dopo alla prima Leggenda è an-cora un’esperienza emozionante, soprattutto perchi possiede la cassetta originale e un NES funzio-nante. Si sfila la cartuccia dorata, la prima a con-sentirci di salvare la nostra posizione di gioco, dal-la sua bellissima copertina dello stesso colore e do-po averla inserita nella console si ascolta il temacomposto da Koji Kondo, ancora oggi immutato,se non nella ricchezza dell’orchestrazione perl’evoluzione degli hardware. È un motivo vaga-mente beethoveniano che ci introduce nella di-mensione fantasy, lirica ed eroica della saga. Leg-giamo una scritta scorrere sullo schermo che ci rac-conta del pericoloso Ganon che vuole impadronir-si della Triforza per dominare il mondo e di Zelda,una principessa che infrange la Triforza della sag-gezza in 8 frammenti, per salvarli, e li occulta. Poitocca a noi e per la prima volta indos-siamo i panni verdi di Link (si chia-ma sempre così, come «legame», illink tra la nostra realtà e quella virtua-le, egli non parla mai perché siamonoi che giochiamo a fornirgli pensie-ri, parole e emozioni) pronti a salva-re il mondo e la principessa Zelda.

Tutti gli elementi del videogiocomoderno e contemporaneo del gene-re avventuroso e non solo sono giàpresenti in Legend of Zelda, che Mi-yamoto immaginò passeggiando neiboschi attorno a casa sua. Si puòesplorare un mondo vasto e diversifi-cato con un suo ecosistema comples-so, si sale di livello aumentando la sa-lute di Link, si possono usare utensilie armi diverse, si risolvono enigmi, siperde tempo in avventure opzionali...

Negli anni successivi e con il suc-cedersi degli hardware Nintendoogni Leggenda è diventata una pie-tra miliare della storia dei videogio-chi, stabilendo nuovi parametri d’ec-cellenza, significando qualcosa dispeciale per chi ha vissuto quelle lun-ghe, complesse e sempre coinvol-genti avventure elettroniche. C’èsempre una principessa, c’è sempreLink e quasi sempre il perfido Ga-non, ma sono le invenzioni e le ideenuove, gioco dopo gioco, a renderequesta serie sublime, e gli attimid’epica e poesia, come il confrontocon il Link oscuro in Legend of Zel-da: Adventure of Link per NES. O co-me raccogliere la prima tintinnanteRupia verde, la valuta di Hyrule, ilmondo della saga, falciando un ce-spuglio. Il risveglio di Link in Legendof Zelda: Link to the Past, uscito perla più grande console di tutti i tempi,il Super Nintendo, quando cammi-niamo sotto una pioggia che diventail presagio liquido della sciagura im-minente. Solcare le acque delle diste-se marittime di Legend of Zelda:Windwaker per Game Cube, mentred’improvviso le nuvole si radunanoe scoppia una tempesta. Guidare iltreno facendolo fischiare in Legendof Zelda: Spirit Tracks per DS. Tra-sformarsi in un grande lupo nero-gri-gio in Legend of Zelda: Twilight Prin-cess per Wii. Ci vorrebbe un lungo ro-manzo per raccontare i grandi mo-menti delle avventure di Link.

Poi c’è sempre la musica e non so-lo la notevole colonna sonora, suo-nare uno strumento diviene partedel gioco: soffiamo dentro ocarinemagiche, ululiamo insieme ai lupiin un coro dolente e selvaggio, diri-giamo le sinfonie aeree dei venticon una bacchetta da direttore d’or-

chestra magica. C’è tuttavia, tra que-sti capolavori che vanno oltre l’in-trattenimento, e che come Lohen-grin per Natalia Ginzburg ci fannodimenticare per qualche tempol’oscuro domani, una Leggenda chemolti considerano la più grande, ad-dirittura ritenuta da tanti critici il mi-gliore videogioco mai realizzato, Le-gend of Zelda: Ocarina of Time.

Uscì nel 1998 per Nintendo 64. Èun’avventura lunghissima tanto chequando si pensa che possa essere fini-ta, dopo ore di gioco, scopriamo cheè appena iniziata. C’è un mondo va-stissimo da esplorare camminando,nuotando e a cavallo e il tempo scor-re, offrendoci albe e tramonti che am-plificano il realismo fatato del gioco.Link cresce e da bambino diventaadulto. Ci sono atmosfere spavento-se oltre che meraviglianti e la rappre-sentazione del Male assume tintedavvero oscure, cosmiche e tragiche.

È appena uscito un remake per3DS di questo capolavoro assoluto ei fan, pur essendone fatalmente at-tratti, si sono chiesti se valesse la pe-na rifare un videogioco già «perfet-to», un videogame che è rimasto nelcuore degli appassionati tanto da in-fluenzare le scelte della loro vita, co-me ci racconta l’attore Robin Wil-liams nello spot del gioco, dicendodi avere chiamato sua figlia Zelda do-

po avere terminato Ocarina of Time.Il mondo di Hyrule in questa ver-

sione ridisegnata in 3D è un luogoin cui è dolce ed entusiasmanteviaggiare ancora. È un po’ come im-maginarsi un Peter Pan adulto chetorna nell'Isola Che Non C’è con gliocchi della maturità, cogliendonedettagli che prima non aveva colto.Oppure ascoltare Mozart da bambi-ni e risentirlo dopo avere studiatoper anni composizione e armonia.Perché dopo tutti questi anni Ocari-na of Time è ancora, davvero, il piùgrande gioco di tutti i tempi.

Le tre dimensioni aggiungono unaprofondità di campo e uno splendo-re, anche nei luoghi più terrificanti,che sfiora gli occhi e la memoria conuna bellezza travolgente. Vediamo lescintille tonde ed evanescenti lasciatenell’aria dalla fata Navi, che ci accom-pagna durante l’avventura, materializ-

Atteso per la fine

dell'anno

il nuovo episodio

della saga

di «Zelda»,

ormai un classico

del fantasy

che si mantiene

entusiasmante

nonostante

il quarto di secolo

che si porta

sulle spalle

8) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

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zarsi oltre lo schermo dandoci l’illusio-ne di giocare e scherzare con le nostreciglia; ammiriamo in lontananza, ol-tre la valle verdeggiante, il profilo del-le torri del castello di Hyrule stagliarsicontro le nubi come se osservassimoun panorama vero da una finestra; vediamo l’ulti-mo raggio del sole che tramonta bucare lo schermoe poi dissolversi in una grigia aurora prima che ton-da sorga la luna, che levita tra noi e la console.

Presente e passato si sovrappongono in unaquarta dimensione che è quella del sentimento edel ricordo e se gli appassionati di videogiochi,nella marea di nuove uscite, quando finisconoun gioco «entrano» subito e senza difficoltà in unaltro, con Ocarina of Time avviene qualcosa di di-verso e dopo la sua conclusione è più difficile,per qualche tempo, intraprendere una nuova av-ventura virtuale, e ci si accorge di trovarsi a fanta-sticare sulla nuova Leggenda di Zelda, che do-vrebbe uscire a fine anno per Wii. Si tratta diSkyward Sword e racconterà di un Link adulto,un abitante dei cieli che scende sulla superficie diHyrule per salvarla ancora una volta. Lo stile grafi-co del gioco rimanda, secondo le dichiarazioni diMiyamoto e Eijii Aonuma, alla pittura impressio-nista, soprattuto quella di Cezanne.

Legend of Zelda è solo un videogioco, quindiun «prodotto» dell’industria dell’intrattenimentoche nel nostro paese condivide il nome con le

macchinette ruba-soldi che riempio-no bar e tabaccai. Ma Legend of Zel-da è solo un videogioco come Amo-re e Psiche di Canova è «solo» unascultura, La Madonna del Parto diPiero della Francesca «solo» un affre-sco, Vivre sa Vie di Godard «solo» unfilm e la quinta sinfonia di Bruckner«solo» musica. Legend of Zelda è ar-te, un dono elettronico dell’ingegnoall’umanità.

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FAR L’AMOREFrancia, 2011, 4’, musica: Bob Sinclar, regia:

Denis Thybaud, fonte: Mtv

6Il party milanese in onoredi Sinclar e del suo branoche remixa il refrain della

Carrà Far l’amore è di quelli travol-genti ed altamente erotici. Thybaudci mostra una serie di situazioni, satu-rando i colori e lavorando efficace-mente con il montaggio. Ma l’effettocomico e narrativo è dato dallo stes-so Sinclar che, in compagnia di unabella amica italiana, tenta invano diraggiungere in taxi la festa. Il tassina-ro però non è meneghino, infatti siserve di una mappa della città perorientarsi. Conseguenza: Bob e lafanciulla arriveranno a party ormaiconcluso. Divertente come idea, madiverte ancor di più sentire parlare initaliano il dj francese dall’aria piutto-sto stranita, con il finale dove si rive-la un impenitente playboy.

UN’EMOZIONEINASPETTATAItalia, 2011, 7’, musica: Raf, regia: autore

ignoto, fonte: Mtv

6Si svolge tutto in una stan-za questo clip di Raf, an-che se è un ambiente do-

ve sembra ci sia assenza di gravità,poiché il cantautore comincia a cam-minare sulle pareti e sul soffitto. Finqui siamo dalle parti di Dancing onthe Ceiling diretto negli anni ’80 daStanely Donen per Lionel Richie. Mapoi ecco il muro contro cui è sistema-to il letto trasformarsi in superficieprima di terra e poi liquida, sullaquale Raf sguazza e si rotola. I truc-chi, a parte gli inevitabili interventidigitali, sono quelli «classici», con unset creato appositamente per realiz-zare questo genere di effetti, inver-tendo il sopra con il sotto. Il risultatonon è originalissimo ma accettabile.

CAN’T STOP ME NOWBelgio, 2010, 3’28”, musica: Goose, regia:

Megaforce, fonte: Youtube.com

7I quattro componenti dellaband di rock elettroniconata nel 2000, scalano una

parete ripida in un paesaggio sulfu-reo e notturno, colpiti da frecce, ag-grappandosi a mani e braccia chespuntano dalla roccia. Un gigantescoocchio-bocca come una sorta di mi-nacciosa divinità ripete il titolo-re-frain del brano. Megaforce (collettivodi registi francesi) si concentra so-prattutto sul paesaggio cupo ma in-fuocato, barocco e sublime, con echicaravaggeschi e turneriani, compo-nendo un videoclip denso di sugge-stioni per i Goose. Il brano fa partedell’album omonimo.

TOXICUsa, 2004, 3’30”, musica: Britney Spears,

regia: Joseph Kahn, fonte: Mtv Dance

1Nei panni di una sensualehostess di un aereo, Brit-ney si porta nella toilette

un viaggiatore sottraendogli unachiave elettronica. Ora la Spears è aParigi con un look decisamente ag-gressivo, tuta nera e capelli rossofuoco. Con il dispositivo accede inun futuristico caveau e, elusi tutti isistemi di sorveglianza, ruba unamisteriosa capsula contenente unliquido verde («toxic» appunto) che,nella sequenza successiva, versa nel-la bocca di un uomo dopo averlosedotto con il suo bacio. Veleno?Assenzio? Non ha molta importanza,tanto questo video diretto da Kahn –pur se rivisto numerose volte – rima-ne piuttosto criptico, come una spystory. Ciò che conta è il ritmo trasci-nante e l’orgia di effetti speciali concui trasforma la popstar in unafemme fatale tecnologica. Eros, gla-mour e hi-tech si mescolano congrande sapienza in questo Toxic,fotografato da Brad Rushing e mon-tato da David Blackburn.

ALTRI MONDI

I capitoli della saga su Hyruledi F. E.

Le leggende di Zelda sono quasi tutte dagiocare, se si escludono le due orripilanti uscite perl’ormai dimenticata console Philips CD-I su licenzaNintendo. Quasi tutte le avventure si svolgono inambiti spazio-temporali diversi e sono indipenden-ti le une dalle altre, anche se Majora’s Mask si svol-ge nel mondo di Ocarina of Time e Phantom Hour-glass e Spirit Tracks in quello di Windwaker. Il mon-do tuttavia, nelle sue variazioni, è sempre quello diHyrule, il protagonista è il verde-vestito Link, laprincipessa Zelda e il cattivo Ganon.

Ecco i giochi imprescindibili, e reperibili, della se-rie, non considerando Ocarina of Time e il suo re-make.

LEGEND OF ZELDA (1986, Nes). Sono pochi quelliche possiedono il gioco originale, un vero pezzo dacollezione, ma la prima leggenda può essere scari-cata sulla Virtual Console di Wii. Moderno, vasto erivoluzionario. La prima leggenda non si scordamai.

LEGEND OF ZELDA: LINK’S ADVENTURE (1987,Nes): Anche questo si può scaricare su Virtual Con-sole Wii. Un mago malvagio vuole resuscitare Ga-non sfruttando il cadavere di Link. Il gioco cambiavisuale quando si entra nei dungeon, trasformando-si da una visuale isometrica dall’alto nelle due di-mensioni a scorrimento laterale. Vasto e comples-so, Link oscuro è cattivissimo ma c’è un trucco pereliminarlo facilmente.

THE LEGEND OF ZELDA: A LINK TO THE PAST(1991, Super Nes, Game Boy Advance, Virtual Con-sole Wii). Dopo Ocarina of Time la più lunga e pro-fonda avventura di Link, nello splendore colorato a16 bit del Super Nintendo. Due dimensioni daesplorare, enigmi ostici ma appaganti, nemici catti-vissimi, Ganon suino diabolico. Nella cassetta origi-nale c’era un foglio sigillato da aprire in caso di diffi-coltà con la soluzione di alcune parti del gioco. Lapiù bella avventura dei primi anni ’90.

THE LEGEND OF ZELDA: LINK’S AWAKENING(1993, Game Boy). Una leggenda inusuale comeambientazione ma splendida, ne è appena uscitauna versione colorata scaricabile per 3Ds. Link si ri-sveglia dopo un naufragio sull’isola di Koholint,

l’unico modo per tornare su Hyrule è trovare ottostrumenti magici e suonarli al cospetto di un uovogigantesco del Pesce del Vento.

THE LEGEND OF ZELDA: MAJORA’S MASK (2000, Nintendo 64, Virtual Console Wii). Una spe-cie di seguito, episodio parallelo, variazione straor-dinaria di Ocarina of Time, in cui Link torna indie-tro e rivive in continuazione lo stesso lasso tempo-rale per salvare Hyrule da una maledizione. Comedice il titolo le maschere vi hanno un ruolo fonda-mentale. Ci sono momenti angoscianti, quasi spa-ventosi.

THE LEGEND OF ZELDA: WINDWAKER (2003, Ga-me Cube). Meraviglioso da vedersi e da giocare,con una grafica che ricorda un cartone animato e icieli e i mari i disegni di Miyazaki. Hyrule è sommer-sa dalle acque e in compagnia di una barca senzien-te viaggiamo tra mari e isole in un’avventura mari-naresca-fantasy che ancora adesso stupisce per labellezza dei luoghi e la caratterizzazione dei perso-naggi. Il cattivo è un Ganon dalla statura shakespea-riana, Zelda combatte con noi sparando dardi di lu-ce nel finale, indimenticabile, del gioco.

THE LEGEND OF ZELDA: TWILIGHT PRINCESS(2006, Game Cube, Wii). La più nera, oscura e dispe-rata avventura di Link e della sua Principessa. Linksi trasforma in lupo in un mondo che cede alla tene-bra, Midna è uno dei più grandi personaggi di tuttala storia dei videogiochi.Ganon è orrore puro, Zelda l’eterno femmineo.

THE LEGEND OF ZELDA PHANTOM HOURGLASSe SPIRIT TRACKS (2007 e 2009, Ds). Le due avventu-re portatili per i due schermi del Ds utilizzano l’esteti-ca solo apparentemente naif di Windwaker e ne con-dividono l’universo. Nel primo utilizziamo una bar-ca, nel secondo un treno magico. Piccoli grandi capo-lavori che utilizzano alla perfezione il touch screendel Ds. Non c’è Ganon ma altri mali universali.

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di Bruno Di Marino

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SEGUE DA PAG 4

VITTORIO RACCONTAGASSMAN, UNA VITADA MATTATOREDI GIANCARLO SCARCHILLI; CON VITTORIO

GASSMAN, AGOSTINA BELLI. ITALIA 2010

0Ideato da Alessandro Gas-sman insieme a GiancarloScarchilli, ricostruisce il

percorso professionale e umano delMattatore attraverso materiali inediti,di repertorio, filmini di famiglia e lavoce di Vittorio Gassman stesso e disuo figlio Alessandro, con la parteci-pazione straordinaria di colleghi edamici tra cui Agostina Belli, SergioCastellitto, Dino De Laurentiis, Gian-carlo Giannini, Roberto Herlitzka,Mario Monicelli, Ornella Muti, Jac-ques Perrin, Anna Proclemer, GigiProietti, Francesco Rosi, Ettore Scola,Jean-Louis Trintignant, Carlo Verdo-ne, Paolo Virzì.

THE CONSPIRATORDI ROBERT REDFORD; CON ROBIN WRIGHT,

JAMES MCAVOY. USA 2011

7La guerra di Secessione èterminata con la sconfittadei sudisti, ma il conflitto

ha lasciato strascichi: il 14 aprile ilpresidente Lincoln è ucciso da JohnWilkes Booth. Tra gli arrestati c’è an-che Mary Surratt, poiché le riunioniper organizzare gli omicidi venivanofatte nella sua pensione. L’abilità diRobert Redford e dello sceneggiato-re James Salomon sta nel mostrarequanto sia difficile mantenere i nervisaldamente democratici di fronte aun attacco durissimo. In filigrana silegge quello che è avvenuto negliUsa dopo l’11 settembre e la letturadel film apre squarci inquietanti suipiani alti del potere. (a.ca.)

GIALLO/ARGENTODI DARIO ARGENTO; CON ADRIEN BRODY,

EMMANUELLE SEIGNER. ITALIA 2011

1Dario Argento rimane im-menso, elevando le pulsio-ni della sua estetica horror

ad artigianato shock del subconscio,a cardiogramma feroce di cento suc-cedanei. Nonostante le infinite diffi-coltà produttive, una trama sempli-ciotta e un cast (Adrien Brody, Em-manuelle Seigner, Elsa Pataky) allasbando, Argento si conferma genioinvisibile, un bambino che nella suavita cinematografica migliora le co-scienze interiori di ognuno di noi.Dario Argento è anche il motivo percui psicologi e critici hanno ancora lasensazione di esistere (per tanti mo-tivi, senza riuscirci). Non a caso, ipersonaggi di Giallo possiedono tuttiqualcosa di freudianamente irrisoltonella loro infanzia, e un po’ come ilgrande demiurgo raramente tornanonei luoghi in cui sono stati da bambi-ni, se non con la memoria. (f.bru.)

ISOLA 10DI MIGUEL LITTIN; CON BENJAMÍN VICUÑA,

BERTRAND DUARTE. CILE 2009

7Un episodio poco cono-sciuto del golpe cileno. Iministri del governo Allen-

de, il suo segretario personale e altriesponenti della pubblica amministra-zione furono portati nel profondosud del paese, sull'isola Dawson. Traquei trenta prigionieri c'era anche ilministro delle miniere Sergio Bitar,che ha scritto un libro a cui Littin si èispirato. Nel campo i detenuti perdo-no la loro identità e i contatti con ilresto del paese, i loro nomi sonoridotti a numeri. Il tessuto del film siallarga un po' alla volta in un respiroprofondo a comprendere non solo laloro vicenda personale fatta di digni-tà e forza morale, ma quella dell'inte-ro paese in un momento fissato persempre nella storia, l'assalto alla Mo-neda e la morte di Salvador Allende(e Littin non ammette la teoria delsuicidio, ora infatti si è riaperta l’in-chiesta).(s.s.)

LIBERA USCITADI BOBBY FARRELLY, PETER FARRELLY; CON

OWEN WILSON, JASON SUDEIKIS. USA 2011

5Quando all’orizzonte eraapparso Tutti pazzy perMary sembrava che due

nuovi geni irriverenti si fossero affac-ciati nell’olimpo hollywoodiano. Ne-gli anni successivi, pur firmando filmanche curiosi, non riuscirono più abissare quel successo così eccentri-co. Ora, tredici anni dopo, la coppiasembra avere subito una mutazionegenetica: nel loro mirino entranoinfatti un paio di quarantenni in odo-re di imbecillità. L’involuzione deiFarrelly non sta tanto nell’aver resomacchiette i due protagonisti maschi-li, quanto nel non aver saputo costru-ire situazioni che non fossero tutteancorate alle convenzioni. (a.ca.)

MICHEL PETRUCCIANI.BODY AND SOULDI MICHAEL RADFORD. DOCUFILM. FRANCIA

ITALIA 2011

7Michael Radford (Il mer-cante di Venezia, Il posti-no) intreccia le testimo-

nianze dirette e quelle del padre,delle molte donne della sua vita (dal-la hippie Erlinda alla pianista classicaGilda Buttà, che lo sposò), jazzistifrancesi ed americani (da Aldo Ro-mano a Joe Lovano), produttori di-scografici, il figlio Alexandre ed altripersonaggi che furono vicini al piani-sta. Biografia che appassiona e puòsedurre anche chi non sia un aman-te del jazz. Emergono con straordina-ria forza il carattere di Michel Petruc-ciani, la sua indomabile voglia divivere e sperimentare, la capacità divincere una malattia terribile e invali-dante, lo slancio nel condurre conestrema intensità la propria esisten-za, creando musica di rara potenza eispirazione. (l.o.)

PAULDI GREG MOTTOLA; CON SIMON PEGG, NICK

FROST. USA 2011

7Due amici fanatici di sf,scrittori di avventure galatti-che partono da Roswell,

New Mexico dove, come si sa, atter-rò un disco volante e salvano dallemacerie di un’auto maldestramenteguidata un alien alto un metro dinome Paul che produce incanti co-me Elio (e le Storie Tese) che infattilo doppia in italiano. Ne restano cosìaffascinati che se lo portano, peren-nemente inseguiti, in giro in camperper gli States prima di consegnarloall’astronave marziana di soccorso.L’ex filmaker indie Greg Mottola ma-neggia un budget serio ma non vacil-la e interviene con l’arma invincibiledell’umorismo. (r.s.)

13 ASSASSINIDI MIIKE TAKASHI; CON GORO INAGAKI, KOJI

JASUKO. GIAPPONE 2010

7Remake dal film di EichiKudo del ’63, il più grandedel genere «wu xia», è un

omaggio non solo al genere samuraie al gioco d’azzardo, ma anche alwestern all’italiana, dedicato a Ser-gio Corbucci, realizzato dall’attore eregista spacialista di neo-horror, riu-scita metafora del potere dispoticoincarnato in Naritsugu, principe feu-dale del 1844 e della sua idea dipopolo come «servitore del sovra-no». Miike si diverte a fare un po’ diaccademia ma resta quel giocolierenaturale dell’umorismo e della vio-lenza che ha esibito nella sua lungacarriera

IL FESTIVAL

LE VIE DEL CINEMAPARCO DI NARNI SCALO 5-10 LUGLIO

La diciassettesima edizione di «Le vie delcinema, rassegna dedicata ai film restauratidiretta da Alberto Crespi e Giuliano Montal-do per iniziativa del Comune di Narni conla collaborazione della Fondazione CentroSperimentale di Cinematografia-CinetecaNazionale, propone quest’anno un omag-gio speciale a Mario Monicelli, grande ami-co della rassegna. Un suo allievo e amico,Giovanni Veronesi presenterà la Grandeguerra. Il Comune di Narni mostrerà inanteprima al pubblico la targa dedicata alregista che verrà affissa nel cinema di Narniche, realizzato tre anni fa, non aveva anco-ra un nome e si chiamerà «Cinema Mario Monicelli». Ospiti della manifestazione apresentare i loro film preferiti (e restaurati) sono Ferzan Ozpetek (L’onorevole An-gelina di Zampa), Gianni Di Gregorio (Vaghe stelle dell’orsa di Visconti), SusannaNicchiarelli (Sogni d’oro di Moretti), Rocco Papaleo (Grazie zia di Samperi), AlbaRorhwacher (Diario di un maestro di Vittorio de Seta). (s.s.)

GENOVA FILM FESTIVALTHE SPACE CINEMA 27 GIUGNO - 3 LUGLIO

Ultime battute della 14a edizione del GenovaFilm festival: oggi sarà presentato nell’ambitodel focus «Oltre il confine: sguardi sul Koso-vo» il film di Giancarlo Bocchi Fuga dal Koso-vo (sala 5 ore 17) realizzato tra il 1999 e il2001, primo di una trilogia, a cui seguirà l’in-contro con il regista. Concorso di corti e docu-mentari alla presenza degli autori (sala 7 ore14). Alle ore 21 si terrà la cerimonia di premia-zione del festival e l’anteprima del film Losbarco di Adonella Marena e Dario Ferrario.Domenica 3 Per il focus sull’Ecuador (sala 5ore 15): La tigra di Camilo Luzuriaga (1990),La Polverera di Manuela Borgetti, Maria RosaJijon e Sonia Maccari (2005) a cui seguirà l’incontro con Maria Rosa Jijon e Fuera dejuego di Victor Arregui (2002). Alle 21 per il 150˚ dell’Unità d’Italia: Ma che storia... diGianfranco Pannone alla presenza del regista. Il festival si conclude con l’incontro conPupi Avati protagonista quest’anno della manifestazione. Seguiranno i suoi film Unasconfinata giovinezza (2010) e Il testimone dello sposo (’97). (s.s.)

MAREMETRAGGIOTRIESTE, CINEMA ESTIVO GIARDINO PUBBLICO, TEATRO

MIELA, 1-9 LUGLIO

«Maremetraggio» dodicesima edizione dedi-cato ai migliori cortometraggi si tiene a Trie-ste con un gran numero di film, iniziative eospiti: 79 tra i migliori corti internazionali e 8opere prime italiane, tra gli ospiti ChristianeFilangieri, Francesca Inaudi, Luca Lucini, Elisa-betta Rocchetti, Marco Rulli, Gianfelice Impa-rato, Pietro Ragusa, Andrea Bosca, AngeloOrlando. Anche quest'anno ci sarà la sezione«Oltre il muro», che porta il cinema all'inter-no del carcere di Trieste, il Coroneo. I detenu-ti potranno assistere alle proiezioni di alcunicortometraggi e formeranno una giuria che,sotto la guida del regista triestino Davide Del Degan, Nastro d'argento per il cortoHabibi, attribuirà il premio «Oltre il muro - Provincia di Trieste» al miglior corto dellaselezione. Una «prospettiva» dedicata al miglior attore emergente è dedicata a An-drea Bosca (foto) che è nel cast di Noi credevamo di Mario Martone (in program-ma). Sabato 9 incontro con attori e registi delle opere prime in concorso. (s.s.)

DOCUMENTARY IN EUROPEBARDONECCHIA 4-8 LUGLIO

Documentary in Europe, manifestazione inter-nazionale dedicata al documentario è unappuntamento importante per produttori,registi, responsabili di emittenti, addetti ailavori. Il workshop, a cui sono giunti per laselezione 164 progetti da 28 paesi del mon-do, si articola in due sezioni, il Pitching Fo-rum e il Match Making riservato ai progettiche hanno già una produzione. Nel corso delworkshop si vedranno Cinema Komunisto diMila Turajlic (che terrà una masterclass il 6luglio) la storia della Avala Film Studios natanei pressi di Belgrado per volere di Tito, LostDown memory Lane di Klara Van Es che trat-ta il tema dell’Alzheimer visto con gli occhi delle persone che ne sono affette, La casaverde (una storia politica) di Gianluca Brezza, storia di una casa rimasta imprigionatanel cantiere del nuovo palazzo della Regione Lombardia a Milano. La settimana deldocumentario aperta al pubblico propone la migliore produzione italiana e a conclu-sione sarà assegnato un premio del pubblico e un premio per il pubblico. (s.s.)

filippo brunamontiantonellocatacchio

mariuccia ciottagiulia d’a. vallan

luigi onoriroberto silvestrisilvana silvestri

L’OMAGGIO

SINTONIE

I CORTOMETRAGGI

IL DOCUMENTARIO

di filippo brunamonti

La graphic novel noir-Vittoriana diJohn Harris Dunning e Nikhil Singh,Salem Brownstone: All Along the Wa-tchtower (ed. Candlewick Press), èletteratura disegnata senza compar-timenti stagni, dalle visioni moltoinquietanti, com'è inquietante ilmondo. Marchia un punto di rottu-ra tra Edgar Allan Poe e H. P. Love-craft, rende fragili e deperibili i trattiproliferati di Alan Moore (Watch-men) e Dan Clowes (Ghost World),fino ad abitare lo spazio deserticodi Halo Jones e Ice Haven. Ne parla-no DazedDigital e il Guardian conappassionato calore. Nella paginadi apertura, l'autore sud africanoJohn Harris Dunning avverte: «Chiama il curioso e l'inconsueto, l'in-quietante, il macabro (...) chi cercagli orrori elettrizzanti nella sua vitaapparentemente banale (...) fareb-be bene a stare attento a ciò chedesidera». Leggere Salem Brownsto-ne è come leggere la nostra lunga,arguta serie di paure, che teniamonel cassetto e che ci accompagneràper sempre: le illustrazioni di NikhilSingh arricchiscono il viaggio di Sa-lem Brownstone, traghettandolo daun'esistenza tristemente ordinaria,fatta di Sit & Spin Laundromat, auna realtà ereditaria con padre mor-to a carico e una magione popolatada figure gotiche, come il Dr. Kino-shita e il suo Circus of UnearthlyDelights.Così giovane, da dove è scappato perraggiungere la sua realtà?Ho vissuto in Sud Africa fino a 24anni e sono cresciuto durantel'Apartheid, quando si viveva isolatidal resto dell'umanità, senza conta-re la castrazione dell'informazione,delle tv e dei giornali sotto censura.Una frustrazione per creativi e talenti.Sognavo Londra e New York comefossero Atlantide tanto era «conser-vatore» lo stato di creatività in SudAfrica. Finita l'università (ha studia-to cinematografia, ndr.) ho preso ilprimo volo per Londra e non ho piùguardato indietro. All'Africa devol'ispirazione e le sono grato peravermi fatto rimanere «outsider».Com'è convissuto con la storia di «Sa-lem Brownstone?»All'inizio l'ho pensata come un me-tafumetto, letteralmente un fumet-to-nel-fumetto. Poi assieme al colle-ga Jason Masters mi sono concen-trato su tre amici adolescenti chetrovavano Salem Brownstone, ilfumetto, lo leggevano e - come ac-cade in Creepshow - ne narravanociascun episodio. Questi brevi estrat-ti sono stato pubblicati in Inghilter-ra nell'antologico Sturgeon WhiteMoss per poi evolversi.Scrivere fumetti è un modo per restaregiornalista?Mi occupo di giornalismo ma nonbasta. Sin dall'infanzia ho «pensatoa disegnini». Sono cresciuto leggen-do William Burroughs, Anais Nin,Paul Auster, Thomas Pynchon eChester Himes, mi sono appassiona-to ad Alice nel Paese delle Meravi-glie e a Sherlock Holmes, anche sein ritardo rispetto ai miei coetanei.Ho visto e apprezzato molti filmdell'orrore come Nightmare: Dalprofondo della notte o Halloween,e fantasy come Dune, Altered Sta-tes... i fumettisti che porto nel cuoresono Grant Morrison e Pat Mills.Che cosa l'affascina artisticamente?I pazzi, gli spiantati, il surrealismo ei rivoluzionari.

Scienza della storia e della politicaIl marxismo e la sociologia sono incrisi, vabbene, ma non è questo ilproblema. Il problema è che Anto-nio Gramsci, nei Quaderni del car-cere, ha criticato il marxismo daBucharin a Marx e la sociologia daWeber a Comte, e avviato una nuo-va scienza: la scienza della storia edella politica - ma i marxisti e isociologi non lo sanno.«Per Gramsci la conoscenza scien-tifica dei processi storico-politicinon prende l’avvio da alcuna con-cezione generale del mondo edella storia, bensì dall’esperienza.Il contrario, cioè partire da unafilosofia, produce necessariamen-te una subordinazione che impedi-sce il raggiungimento dell’autono-mia della nuova scienza. Comeabbiamo visto nella critica dellesociologie, la caduta teorica delmarxismo – il suo deterioramento– è contenuta nella assunzionedel materialismo filosofico comefondamento dell’analisi‘scientifica’ dei processi storici enaturali. Ma cosa è questa‘esperienza’ che fonda il processoconoscitivo? Non si tratta dei datiempirici, poiché questi sono giàordinamenti della realtà elaboratisulla base di concezioni teorichedeterminate esplicite o implicite.Per ’esperienza’ Gramsci intende iprocessi storici concreti, ‘la storiastessa nella sua infinita varietà emolteplicità’; esperienza che ‘nonpuò essere schematizzata’ proprioper il fatto che non è costituita di‘dati’ (classificabili), ma di azioni,di processi complessi singolari. Intal modo Gramsci si oppone simul-taneamente tanto ad una fonda-zione di carattere speculativo,quanto a una fondazione di carat-tere empirista della conoscenzascientifica. (...).Sconfitto politicamente, Gramsciaveva individuato la causa dellapropria sconfitta (che prevedeva sisarebbe estesa a tutto il movimen-to comunista) nella mancanza diuna cultura scientifica indispensa-bile per guidare il processo stori-co-politico di sostituzione del vec-chio mondo con uno nuovo (checoncepisce come la creazione diuna nuova civiltà). Aveva realizza-to la critica delle teorie esistenti (ilmarxismo e la sociologia) e identi-ficato il bisogno di una nuovascienza. Come costruirla? Da doveprendere le mosse? Il punto dipartenza non si poteva trovare innessuna filosofia esistente, e an-cor meno la nuova scienza potevatrarsi deduttivamente da una con-cezione i cui fondamenti teorici emetodologici aveva già criticato.La conclusione a cui giunge è chia-ra: l’unico punto di partenza possi-bile è ‘la storia stessa nella suainfinita varietà e molteplicità’.Ma l’esperienza storico-socialenella sua infinita varietà e moltepli-cità non è disponibile né raggiungi-bile – se non in modo frammenta-rio - da alcun individuo o gruppoparticolare. Tale esperienza richie-de di essere prima elaborata intel-lettualmente a un certo livello perpoter essere trattata scientifica-mente, perché si costituisca comeoggetto di studio dal quale passa-re al livello scientifico».Brani virgolettati tratti da «La Traver-sata» di Pasquale Misuraca e Luis Ra-zeto Migliaro .www.pasqualemisuraca.com

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ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (11

di John Densmore *

Un tizio con un paio diclassici pantaloni universitari di vel-luto a coste marrone, una magliettamarrone e i piedi scalzi se n’era re-stato per tutto il tempo in dispartein un angolo del garage. Ray lo intro-dusse come «Jim, il cantante». Si era-no incontrati alla scuola di cinemadell’Ucla. Ray lavorava e allo stessotempo stava cercando di ottenereuna specializzazione in cinema, do-po una laurea in economia, e Jim sta-va completando una laurea di quat-tro anni in cinema. Lo stava facendoattraverso un corso accelerato didue anni e mezzo. Un tipo sveglio.In una occasione in cui Ray si era tro-vato a dover far fronte agli obblighicontrattuali del sindacato dei musi-cisti che prevedevano una band disei elementi, avevano suonato insie-me e lui aveva convinto Jim a resta-re ai margini del palco con una chi-tarra spenta. Avevano fatto da grup-po spalla a Sonny & Cher. Era stato ilprimo ingaggio a pagamento di Jime dire che non aveva suonato o can-tato una sola nota.

Il ventunenne Morrison era timi-do. Mi disse ciao e tornò nell’ango-lo. Immaginai che si sentisse a disa-gio circondato da musicisti, vistoche non suonava nessuno strumen-to. Mentre Morrison si aggirava peril garage alla ricerca di una birra,Ray sorrise come un fratello maggio-re orgoglioso mentre mi consegna-va un pezzo di carta stropicciata.«Da’ un’occhiata a queste liriche diJim», mi disse Ray. «You know theday destroys the night/Night divi-des the day/ Tried to run, tried to hi-de/Break on through to the other si-de/Made the scene, week to week,day to day, hour to hour/Gate isstraight, deep and wide/Break onthrough to the other side» (Sai che ilgiorno distrugge la notte/La nottesepara i giorni/Ho cercato di fuggi-re, ho cercato di nascondermi/Diaprirmi un varco dall’altra parte/Ho fatto la mia comparsa, settima-na dopo settimana, giorno dopogiorno, ora dopo ora/L’ingresso èdavanti a me, profondo e ampio/Aprirmi un varco dall’altra parte).

«Hanno un suono molto percus-sivo». «Ho trovato una linea di bas-so. Ti va di provare qualcosa?», dis-se Ray. «Sì, d’accordo». Ray attaccòe io utilizzai un suono secco di rul-lante, tenendo le bacchette di traver-so. Jim Manczarek si unì a noi conla sua armonica stravagante. Final-mente, dopo una lunga attesa, Mor-rison si mise a cantare il primo ver-so. Era titubante, non guardava nes-suno negli occhi, ma aveva un tim-bro imbronciato, come se stesse cer-cando di sembrare surreale. Nonriuscivo a smettere di guardarlo. Lasua timidezza mi affascinava. La chi-tarra ritmica di Rick era molto mor-bida, ma le tastiere di Ray creavano

una grande energia. A quel punto,suonammo un paio di canzoni diJimmy Reed e fu allora che l’energiadi Morrison ebbe un’accelerazione.

Accettai di andare da loro per fa-re altre prove, dato che adoravo suo-nare. Sapevo che mi volevano e pen-sai che per un po’ sarei rimasto aguardare come andavano le cose.Le prove successive andarono più omeno allo stesso modo, ma i branioriginali mi intrigavano semprepiù. Creammo gli arrangiamenti in-sieme e mi sentii in grande sintoniacon loro, soprattutto con Ray. Eccoil ricordo di Ray: «Ascoltavamo Jimintonare-cantare le parole più e piùvolte e, a poco a poco, il suono giu-sto per quelle parole iniziò a emer-gere. Eravamo anime gemelle, gen-te impasticcata che era alla ricercadi un altro tipo di sballo. Sapevamoche, se avessimo continuato con ledroghe, ci saremmo bruciati, percui lo cercammo nella musica!».Inoltre, Morrison era un tipo miste-rioso. E la cosa mi intrigava. (...) Sevivessi a Venice, potrei frequentare

Jim. È affascinante: mette tutto in di-scussione. Dannazione, la casa diRay costa solo settantacinque dolla-ri al mese, per un bilocale in stile vit-toriano con vista sull’oceano. Veni-ce, Cristo... non è territorio da surfi-sti. Lì ci sono vibrazioni da beatnik,con tanto di artisti e musicisti. Figo.

«Sta’ a sentire», disse Jim, facen-domi entrare. Aveva i capelli ancorabagnati per la doccia che si era appe-na fatto e vi fece scorrere le maniplatealmente mentre mi accoglievanell’appartamento. La criniera an-dò perfettamente a posto. «Comefai a sistemarti i capelli in quel mo-do?», gli chiesi, mentre si affrettavaverso lo stereo. «Li lavi e non li petti-ni», rispose, mettendo sul piatto l’al-bum di John Lee Hooker di Ray. Eragià in procinto di assumere un’ariada rockstar. Non lo vedevo da qual-che settimana, eppure c’era statoun cambiamento in lui. Si stava at-teggiando? Il blues riempì la stanza.(...) Crawling King Snake», chiesi.«Adoro il groove di Crawling KingSnake. Credo che, giunti al nostro se-

condo o al terzo album, dovremmoinciderla. Dopo aver realizzato unbel po’ di brani originali. Natural-mente, prima dobbiamo ottenereun contratto discografico». Non sta-vo più nella pelle per come pregusta-vo il futuro. Quei tizi - Ray, la sua ra-gazza, Dorothy, Jim e i loro amicidella scuola di cinema - erano stu-denti indipendenti, creativi, e io vo-levo stargli intorno. Un paio di setti-mane prima, eravamo andati tutti avedere L’India fantasma di LouisMalle all’Ucla e Ray e Jim avevanoparlato della «nuova ondata» france-se nel cinema. «Dovresti vedere I400 colpi, John», aveva insistito Ray.Sapevo che era un film di un registafrancese (Truffaut) e il titolo mi ave-va eccitato. Pensavo che si riferissea quattrocento pompini. Guardan-domi intorno nell’appartamento diRay, percepii un’euforia universita-ria e un’atmosfera orientale. Libri, ri-viste di cinema, tappeti orientali, co-perte indiane, fotografie erotiche. Inquella stanza mi si stavano dischiu-dendo interi universi nuovi. Avevovent’anni e tutto era possibile. «Ac-cadrà», ribatté Jim con fredda sicu-rezza. «Ascolta le corde vocali di quest’uomo, Cristo». Aveva untono di voce quasi riverenziale. Considerato il background sudi-sta di Jim, la cosa aveva senso. Era ossessionato dal suono deicantanti blues di colore. La sensazione cruda di sofferenzaespressa dalle loro voci pareva riverberarsi in lui. Restò in atten-to ascolto, perso nel suo mondo. Dopo parecchi altri brani, Jim

propose di andare a pranzo all’Oli-via’s. Mi alzai in piedi di scatto. Mivenne l’acquolina in bocca alla pro-spettiva della cucina genuina delsud. Purè e salsa gravy. «Ci sto, perònon dobbiamo tornarci a cena!», dis-si in tono scherzoso, massaggiando-mi lo stomaco. «Lo so, lo so. Qual-che pasto di fila in quel posto e devicorrere in bagno. Però, mi fa venirein mente la cucina di casa della Flo-rida!». «E costa poco!», esclamai. Jimtirò fuori quel sorrisino che ti sarestitenuto stretto in eterno. (...) Jim, so-no davvero fiero di ciò che abbiamofatto, sussurrai di fronte alla sepol-tura del mio vecchio amico, ma so-no stanco di essere conosciuto soloin quanto tuo batterista. Non so chisono. Ho trentun anni, questo lo so.Ti sono sopravvissuto di quattro an-ni, figlio di troia. Ora capisco che altempo non ero molto consapevoledella mia strada nel mondo. Per lomeno, tu hai realizzato la tua profe-zia, anche se sei dovuto morire perdiffondere il prezioso mito dei Do-ors. Il nostro patto segreto di morte.

Un patto non verbale, ovviamente.Oppure sono in preda alle allucina-zioni? Ti eri messo in viaggio verso ilbaratro e Ray, Robby e io, i tuoi ami-ci, ti abbiamo sostenuto. Fino a uncerto punto. Non avevamo idea chetu intendessi farlo sul serio. Ora michiedo se avrei potuto fare qualcosaper fermarti, persino mentre guar-do vecchi filmati e vecchie intervistein cui diciamo, be’, qualcuno di noideve pur sporgersi sul precipizioper gli altri.

Mi sono compromesso? Lo devo scoprire. Una gelida folatadi vento mi destò dalle mie fantasticherie. Girai rapidamentesui tacchi e mi affrettai a raggiungere gli altri. Una volta di fron-te al cancello, cinsi una spalla di Danny con un braccio, mentre

ci dirigevamo sull’acciottolato versol’automobile di Hervé. (...) Più tardi,seduto allo scrittoio stile regencynella mia camera d’albergo di Pari-gi, guardai i tetti fuori dalla finestra.Il sole stava cercando (vanamente)di farsi strada in quella mattinata gri-gia di foschia. Mangiai il cioccolati-no alla menta lasciato sul cuscino lasera prima dalla cameriera e risisommessamente della forma a L del-la mia camera. L’ennesima eccentri-ca camera d’albergo europea. I mieiocchi si spostarono dalla finestra,con la sua veduta sui tetti grigio-az-zurri di Parigi, al materiale di cancel-leria dell’albergo che mi fissava dal-lo scrittoio. Presi la penna dell’alber-go e iniziai a scrivere una lettera.

* È stato il batterista dei Doors dal 1965al 1973. Negli anni seguenti si è occupato

di danza, teatro e produzioni musicalid’avanguardia. Ha diretto e prodotto diver-si video sui Doors ed è stato consulente diOliver Stone per la sceneggiatura del filmbiografia «The Doors». Vive a Los Angelescon la sua famiglia. I testi riprodotti sono

(C) John Densmore

■ PAGINE ■ LA BIOGRAFIA DI JOHN DENSMORE È APPENA USCITA DA ARCANA ■

Porte aperte al rockQuarant’anni fa moriva Jim Morrison. Il ricordo in «Riders on the Storm», storico libro

del batterista del gruppo, pubblicato per la prima volta negli Usa nel 1990. «Almeno

tu hai realizzato la tua profezia, anche se sei dovuto morire per diffondere il mito dei Doors»

Un’immaginedei Doors.Da sinistra:Jim Morrison,John Densmore,Robby Krieger e RayManzarek. In piccolola copertina del librodi Desmond

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■ FENOMENI ■ INSEGNANTI, GIORNALISTI, MODELLE ■

I predestinatidella musica

di Simona Frasca

«Che cosa vuoi fare da grande?» Chiese ilnonno al piccolo Sting che all’epoca si chiamava Gor-don Matthew Thomas Sumner mentre passeggiavano inun parco. «Voglio suonare in una rock’n’roll band», ri-spose zelante Gordy. Il nonno restò di sasso: questo ra-gazzo è sbalorditivo, se avessero fatto a me la stessa do-manda non avrei saputo rispondere altro che l’astronau-ta. Nessuno sa se la storia andò così però è vero cheSting prima di esordire con i Police insegnava inglese inuna scuola di Newcastle, e a un tratto il destino interven-ne schiudendogli le porte dorate dello star system.

La fortuna è intervenuta prepotentemente nella vitadi molti insospettabili esponenti della cultura pop e cosìnel bel mezzo di una tranquilla carriera senza particolariimpennate si sono ritrovati sotto lo sguardo entusiastadel mondo intero. Cosa facevano Nico, Chrissie Hyndeo i Beastie Boys prima di diventare quello per cui li cono-sciamo? E chissà dove sarebbero oggi Tori Amos, i Pante-ra o i Black Eyed Peas senza l’intervento benevolo delladea bendata.

di Pi Erre

CREMONABarbaccoCorso Giacomo Matteotti 1(tel. 0372 801128)Ogni tanto le puntarelle, speciequelle rosse, vengono travolte dalbisogno di liquidare qualche luogocomune. Una sorta di killer instinct.L’ultima volta che è successo, citrovavamo a Cremona, e dopo duegiorni di Stradivari e Mina, di risto-rantoni slow food (leggasi il pureottimo La Sosta), abbiamo sentito ilbisogno di una boccata di pop. Ecosì siamo finiti ai tavolini all’apertodel Due Colonne, noto anche comeBarbacco. Viziati dalle splendideTania e Valentina, nonché dal bossLuca, abbiamo dato fondo alle riser-ve di champagne, dolcetto e risottoal taleggio. Il tutto al ritmo di quelcapolavoro che è Mr Saxobeat(Alexandra Stan). Mangiare il cula-tello della vicina Zibello, ondeggian-do con la testa e ancheggiando daseduti, dà veramente soddisfazione.Specialmente all’una di notte, orain cui in una città come Cremonac’è poco da ancheggiare. Bonus: lacantina ricercata e il cane Tatone.Malus: L’afa e le zanzare d’estate, lanebbia d’inverno. Voti: cucina 6;ambiente 7; servizio 7,5.SPADAROLO (RIMINI)DelindaVia Marecchiese 345(tel. 0541 727082)Più pop di così si muore. Abbando-nate le atmosfere glamour di vialeCeccarini e i ristorantoni sul mareacchiappa famiglie, eccoci nell’en-troterra del riminese, sulla stataleMarecchiese. Sgommiamo involon-tariamente sulla ghiaietta del corti-le, spegnamo i motori ed eccocitornati indietro di qualche decen-nio, in una locanda familiare e spar-tana dove trovi le più lodate taglia-telle al ragù (servite con piselli aparte) della Romagna. A mano, sin-cere, rosse. Inebrianti come lo stra-ordinario sax di Fiorenzo Tassinarinel valzer Battagliero: e pazienza seè la versione emiliana e non quellaromagnola (noi siamo con PaoloNori). Con il quartino di Sangioveseche scende giù fluido, eccoci al gal-letto alla cacciatora. Non mancanocappellini in brodo, piccione arrostoe piade a volontà. Bonus: prezzi bas-si, frugalità, serietà. Malus: la statale258 Marecchia. Voti: cucina 7; am-biente 6; servizio 7,5.ROMASalotto culinarioVia Tuscolana 1199(tel. 06 72633173)Un elegante bistrot romano allafine della Tuscolana, altezza TorVergata, incastonato nel finto castel-letto del mobilificio Peroni. Ci sonotutte le caratteristiche per incuriosir-si o per lasciar perdere e andare aintossicarsi al solito zozzone di Tra-stevere. Scegliamo la prima. Sparia-mo nel cd Sono cool questi romdegli Assalti Frontali e affrontiamocon più serenità la Tuscolana. Inprossimità del ristorante, si cambiacon Bill Evans, più adatto all’atmo-sfera del Salotto Culinario. Dovecomanda Adriano Baldassare (giàTordo matto di Zagarolo) che propo-ne, tra l’altro, cannoli di burrata eacciuga, cacio fritto con miele e pe-peroni, spaghettone Giovanni Fab-bri allo scoglio e babà agli agrumi.L’estro dello chef, ma anche la tradi-zione, per chi vuol stare con i piediper terra. Bonus: un’oasi nella Tusco-lana. Malus: servizio tra il distratto el’inutilmente pomposo. Voti: cucina7,5; ambiente 7; servizio 5,5www.puntarellarossa.it

Cosa facevano Nico, Chrissie Hynde

o i Beastie Boys prima di diventare

quello per cui li conosciamo?

Storie di artisti per caso, baciati

dalla fortuna e oggi al cuore del pop

❙ ❙ P I A T T I A L V I N I L E ❙ ❙

Valzer e piadinea go-go. Ecco il pop

12) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

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Sotto la voce metal si rubricano gli inizi di Billy Joelche fu un rocker proto heavy metal. Un pianistacome tanti con un buon training come interprete dimusica classica, capace di suonare ogni genere dimusica e di catturare al volo le richieste del pubbli-co di un qualsiasi piano bar, questi sembrano esse-re i trascorsi d’esordio di Joel se non avesse pubbli-cato un disco di puro hard rock con il suo duo Atti-la. Era il 1970 e Joel urlava con un guaito voluta-mente acuto e stridulo accompagnandosi con unorgano Hammond B-3, lo stesso utilizzato da DeepPurple, Pink Floyd e Le Orme. L’effetto wah-wahdiffuso e il suono aggressivo e implacabile associatialla copertina nella quale Joel e il batterista JonSmall appaiono vestiti come due guerrieri barbaricircondati da carcasse di animali all’interno di quel-la che sembra una cella frigorifera, suggeriscono unsenso di imbarazzo, divertimento e disgusto chenon può rendere giustizia a un disco che contiene,a detta di alcuni critici, riff interessanti anche se ilresto dell’umanità che ascolta musica, Joel compre-so, lo hanno definito il peggior disco mai realizzatonella storia del rock’n’roll.

Prima di deviare verso l’hip hop e lo smooth-funk i Beastie Boys furonouna delle tante band hardcore punk americane, si chiamavano TheYoung Aborigenes e come altre formazioni simili avevano aperto iconcerti per nomi grossi come i Dead Kennedys sul palco del CBGB’s.Adam Yauch, molto prima di farsi conoscere con lo pseudonimo diMCA si era unito alla band nella quale militavano Michael Diamond,la batterista Kate Schellenbach e il chitarrista John Berry. I futuri com-ponenti dei Beastie Boys si erano conosciuti a un concerto dei BadBrains e, come raccontano gli annali del rock, proprio in omaggio allaband hardcore di Washington avevano deciso di cambiare il loro no-me in modo tale da mantenere le stesse iniziali. Il culmine della lorocarriera avrebbe potuto consumarsi al fianco dei Bad Brains quandoparteciparono alla compilation New York Thrash del 1982, un’antolo-gia delle band hardcore punk della scena newyorkese in cui i BeastiBoys figurano con due brani-frammento di una manciata di secondiRiot Fight e Beastie. Invece avevano accidentalmente realizzato unahit hip hop: Cooky Puss. Il titolo del brano è il nome di un gusto digelato e nasceva da uno scherzo telefonico fatto ai danni della CarvelIce Cream, è un pezzo di pura idiozia in stile sperimental-demenzialee passò con grande entusiasmo nei dance club di tutta New York City.Il successo fu tale che attirò l’attenzione di Rick Rubin all’epoca pro-duttore della storica etichetta Def Jam. Rubin convinse i Beastie Boysa lasciare che l’hardcore diventasse una suggestione sedimentatanelle pieghe del loro stile che da quel momento in poi fu dichiarata-mente rap. I Beastie Boys passano alla storia come band hip hop conevidenti marcatori desunti dall’hardcore-punk con pezzi come HeartAttack Man, la cover di Sly Stone Time For Livin’ o ancora con l’ep del’95 Aglio e olio.

Siamo in California. Da una parte c’è Fergie, la valchiria del rap,ha pubblicato tre album di scarso successo e si incammina per ilsolitario sentiero della tossicodipendenza, e dall’altra Will.i.am,Apl.de.ap. e il rapper Taboo, il nucleo originario dei Black EyedPeas, che insieme alla corista Kim Hill hanno al loro attivo duealbum accolti tiepidamente. I tre sono stati impegnati politica-mente nella Native Tongues Posse, un collettivo hip hop nato allafine degli anni Ottanta che annovera tra i suoi fondatori gruppicome De La Soul, A Tribe Called Quest e che si ispira ai concettipositivi della négritude sia attraverso i testi che attraverso la musi-ca, con beat recuperati dai repertori afroamericani jazz. Nel 2003i due estremi si incontrano e i Black Eyed Peas «svoltano», KimHill viene sostituita da Fergie e il gruppo edita il terzo album Ele-phunk, un successo planetario grazie anche a uno dei singoli,Let’s Get it Started, titolo trasformato dall’originario Let’s Get Re-tarded che fu utilizzato in contesti cinematografici e sportivi comeinno agli Nba Playoffs del 2004.

Giovanni Pellino in arte Neffa nascea Scafati vicino Salerno, si trasferiscea Bologna e da lì entra nel circuitohardcore punk. La scena in queglianni, siamo nel decennio del riflus-so degli Ottanta, dà i suoi frutti mi-gliori al nord della valle padana, Tori-no è uno dei centri propulsori. Neffainizia a suonare la batteria con alcu-ne band esponenti del genere tracui i Negazione, gruppo di riferimen-to per i decenni Ottanta e Novanta. INegazione si sciolgono nel ’92 dopoaver preso parte all’edizione dell’an-no precedente del Monsters ofRock, tra i più importanti festival diheavy metal in Europa con varie edi-zioni tra cui quella italiana di Mode-na che nell’anno della partecipazio-ne dei Negazione vede sul palco gliAC/DC e i Metallica. Neffa, che ave-va già lasciato il gruppo, intraprendela sua prima svolta artistica verso ilrap, entra a far parte dell’Isola PosseAll Star e poi Sangue Misto. Seguenel 2001 un nuovo cambio di rottaverso il pop più blasé e pubblica lasua hit La mia signorina che decretail suo definitivo ingresso nel panora-ma della canzone italiana dai trattileggeri e ironici.

Il pluripremiato Neil Gaiman, artista della scuderiadella DC Comics, tra le più grandi case editrici difumetti (Wonder Woman, Superman, Batman tra isuoi supereroi più accreditati) arriva nel mondodelle storie a strisce dopo la non troppo fortunatacarriera come giornalista appassionato indagatoredei fenomeni della cultura pop. Nel 1984 scrive unabiografia sui Duran Duran, frutto del lungo flirt conalcuni esponenti della scena synth-pop inglese; illibro sebbene ricco di spunti interessanti oltrepassal’attenzione generale quasi in sordina. Il passaggioalla letteratura di fantascienza e da lì alle sceneggia-ture di fumetti è veloce, nel 1989 comincia a scrive-re la fortunata serie di Sandman in cui partendo dalprotagonista di nome Sogno si mescolano la culturaoccultista e le dinamiche narrative della sciencefiction care al suo autore/inventore, suggestionihorror e reminiscenze mitologiche. Gaiman conti-nua a riscuotere successo con Miracleman, il perso-naggio che eredita la fortuna editoriale del suo alterego e predecessore Marvelman e ritorna nel mon-do del rock questa volta attraverso la porta del me-tal stringendo collaborazioni con Alice Cooper. Unodei suoi personaggi quello della piccola Coraline èdiventato recentemente il film omonimo animato instop motion di Henry Selick.

Dopo essersi unita a Lou Reed e aJohn Cale nei Velvet Undergroud nel1966, Nico divenne un’istituzionedella frangia più estrema della con-trocultura musicale grazie alla suavoce monocorde e glaciale che sem-brava neutralizzare deliberatamentela carica sensuale del suo appeal.Aveva cominciato come mannequine prima di unirsi ai Velvet Under-ground aveva affondato un bel col-po al cuore del pop nel ’65 quandoBrian Jones le presentò l’allora im-presario dei Rolling Stones AndrewLoog Oldham che assunse JimmyPage prima che nascessero i LedZeppelin come produttore del suoprimo singolo I’m not Sayin’/TheLast Mile. Già allora la sua voce pos-sedeva quel formidabile senso didistacco anche se mitigato da unavena sinuosa di folk-pop destinata ascomparire.

Un riferimento alla biografia artistica di uno scrit-tore americano tra i più apprezzati per il modo incui elabora i temi della modernità legati all’aliena-zione e alle distorsioni della società capitalistica,alla nevrosi e alla cultura pop punk, David FosterWallace. Morto nel 2008 a 46 anni e prima di darela stura al suo particolare stile ironico con il ro-manzo d’esordio La scopa del sistema e la raccol-ta di racconti La ragazza con i capelli strani consi-derato il suo manifesto poetico e stilistico, Walla-ce ebbe un precedente come saggista e teoricohip hop pubblicando con Mark Costello Il rapspiegato ai bianchi (edizione originale SignifyingRappers: Rap And Race in the Urban Present),una riflessione sulla lingua nell’hip hop scritta nel1990 che oggi suonerebbe pretensiosa come unatesi di dottorato. Si trattò di un abbaglio narrativopresto rimediato.

Dal contesto del giornalismo musica-le arriva Chrissie Hynde, una delle musi-ciste più interessanti nel panoramarock di sempre, leader dei Pretenders.Nasce ad Akron nell’Ohio e da adole-scente conduce una vita irregolare eschiva, senza troppe feste, fidanzati,appuntamenti e disco music e cosìquella che per molti suonerebbe co-me un’esistenza da sfigati per lei fuuna vera e propria fortuna. L’unicacosa alla quale era interessata, dichia-rò poi a distanza di tempo, era anda-re ai concerti dove si sentiva libera dicorteggiare ed essere corteggiata.Chrissie si forma negli anni della con-testazione giovanile, della guerra inVietnam e dell’invasione in Cambo-gia; il vegetarianismo, la cultura hip-pie e il misticismo sono alcuni ele-menti centrali della sua personalitàculturale. Sono anche gli anni in cuicomincia a suonare la chitarra conalcune band e ad appassionarsi allavoro di critico musicale. Il trasferi-mento a Londra sancisce il suo ingres-so nel mondo dell’editoria grazie allasua relazione con Nick Kent, famosocritico rock inglese acrimonioso redat-tore di New Musical Express e TheFace. Negli anni Settanta fa il pieno dicultura punk, stringendo rapporti conMalcolm Mc Laren e Vivienne We-stwood, Sid Vicious, Mick Jones, TonyJames dei Generation X. Sul finire deldecennio finalmente forma la suaband, The Pretenders con la qualeinaugura la sua decennale carriera dimusicista che continua tutt’oggi.

Katy Hudson, nota come Katy Perrygrazie al suo tormentone dancefloor IKissed a Girl, emerge nel mondo delchristian pop. Nel 2001 a sedici annipubblica un album omonimo nel qua-le sono dichiarate le sue origini cristia-ne, Katy è figlia di due pastori prote-stanti e la sua formazione musicaleavviene nel gospel grazie alla sua per-manenza in un coro di chiesa. A untratto viene fulminata dalla rivelazio-ne dell’esistenza di un versante popsecolare e a lei sicuramente più con-geniale visto il seguito della sua bio-grafia artistica. I temi dell’ambiguitàsessuale ingenua e innocente vicini alteen-pop sound contemporaneo(Non era nelle mie intenzioni - cantanella canzone citata - ho perso la miadiscrezione, ero curiosa, ho baciatouna ragazza e mi è piaciuto il gustodel suo burro di cacao al sapore diciliegia, l’ho fatto così per provare espero che il mio ragazzo non se laprenda) le portano gran fortuna giac-ché da quando cambia nome e inseguito alla pubblicazione dei suoidue album One of the Boys (2008) eTeenage Dream (2010), insigniti deldisco di platino, viene investita dalpotente abbraccio della celebrità edella sua precedente identità nonresta che un album andato fuori stam-pa poco dopo la pubblicazione.

Una questione di collaborazioni in-dovinate, di incontri fortunati e dimiscele artistiche azzeccate è il se-greto del successo anche per i Mini-stry. Prima di licenziare l’epocaleThe Land of Rape and Honey nel1988 e prima che Al Jourgensen,frontman della band, cavaliere diuna miscela industrial-metal misan-tropica e molto critica nei confrontidella modernità alienante, inauguras-se il nuovo corso della band, quelloche ne avrebbe decretato fama esuccesso planetario, i Ministry nasco-no come band synth-pop pubblican-do due album With Simpathy(1983) e Twitch (1986). Quest’ulti-mo si avvale della collaborazione diAdrian Sherwood e indica il nuovosentiero con sonorità più dure per lequali si incamminerà di lì a pocoJourgensen insieme al nuovo sodalePaul Barker, al basso e alle tastierenella band fino al 2003, inauguran-do un corso che rappresenta unavera e propria rottura rispetto agliesordi con tanto di abiura nei con-fronti del primo album.

Una falsa partenza fu pure quella diTori Amos. Prima di diventare unadelle cantautrici americane più impe-gnate del panorama rock femminiledegli anni Novanta, con il suo grup-po Y Kant Tori Read pubblica nel1988 l’album omonimo per la Atlan-tic. Si tratta di un disco hard rock eTori alla voce assomiglia a Kate Bushma più sveglia e in linea con i gustidel mercato. La band gira in tour coni Cheap Trick e altre formazioni delgenere ma discograficamente si rive-la un flop. Tori nonostante il colporitorna alla canzone d’autore e scriveLittle Earthquakes pubblicato conmolte riserve dalla Atlantic solo nel1992 e che entra nella storia delrock dopo aver venduto milioni dicopie in tutto il mondo.

Dall’anno della loro nascita, era il 1981, i Pantera hanno faticato non poco per perfezio-nare il loro stile iniziale cambiando spesso pelle. Il cambiamento più significativo è sta-to quello che li ha allontanati dal glam rock degli esordi che risentiva enormementedella lezione dei Kiss, per indirizzarli verso un metal ancora inedito per quegli anni delquale essi stessi furono gli apripista e che mescolava l’heavy metal più classico alla li-nea speed/trash à la Slayer. Il primo album si intitolava Metal Magic, poi arrivò Projectsin the Jungle, dichiarato debito hair metal. Dimebag Darrell, chitarrista e membro fonda-tore della band, alimentò il favore dei fan grazie alle sue eccezionali doti tecniche, inpassato aveva vinto molte competizioni musicali e fu proprio per mano di un fan cheDarrell morì sul palco l’8 dicembre 2004. Quando nel 1990 passarono di etichetta dallaloro Metal Magic Records nata grazie al sostegno del padre di Darrell, con la quale ave-vano pubblicato i primi quattro album, alla Atlantic Records licenziano Cowboys fromHell, il loro album di rottura che segna la linea di demarcazione verso suoni feroci ac-cantonando i sedimenti pop ormai obsoleti della generazione precedente. Il disco fu unevento epocale, fuori le band glam ostentate con i capelli cotonati, dentro quelle dalsuono più roccioso, cupo e aggressivo come Metallica e Soundgarden. I Pantera ci ave-vano impiegato nove anni e quattro album prima di mettere a punto la loro personalericetta groove-metal copiata da molti.

ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (13

Page 14: Alias supplemento del Manifesto 02/07/2011

ON THE ROADMogwaiIn Italia la indie post rock bandscozzese, tra le migliori espressio-ni della nuova scena europea, perpresentare l'album Hardcore WillNever Die, but You Will.PADOVA GIOVEDI' 7 LUGLIO(PARCHEGGIO STADIOEUGANEO-SHERWOOD FESTIVAL)ROMA VENERDI' 8 LUGLIO (IPPODROMODELLE CAPANNELLE-ROCK IN ROMA)

BAGNOLI (NA) SABATO 9 LUGLIO(ACCIAIERIA SONORA-NEAPOLIS FESTIVAL)

Arcade FireUna delle band indie più quotatedel momento, da Montreal.MILANO MARTEDI' 5 LUGLIO (ARENACIVICA-MILANO JAZZIN' FESTIVAL)LUCCA SABATO 9 LUGLIO (PIAZZANAPOLEONE-LUCCA SUMMER FESTIVAL)

Ringo StarrIn Italia il vecchio superstite deiFab Four con His All Starr Band.MILANO DOMENICA 3 LUGLIO (ARENACIVICA-MILANO JAZZIN' FESTIVAL)ROMA LUNEDI' 4 LUGLIO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONABENE)

Dinosaur Jr.Torna una delle band più impor-tanti dell’alt rock Usa.FERRARA DOMENICA 3 LUGLIO (PIAZZACASTELLO-FERRARA SOTTO LE STELLE)SEGRATE (MI) LUNEDI' 4 LUGLIO(MAGNOLIA-GRAZIE A DIO E' LUNEDI')

Roger WatersIl «vecchio» bassista dei Pink Floyddi nuovo in tour con la sua versio-ne di The Wall.ASSAGO (MI) DOMENICA 3 E LUNEDI'4 LUGLIO (MEDIOLANUMFORUM)

Bettye LavetteIn Italia una delle regine del soul.ISOLA DEL LIRI (FR) SABATO 2 LUGLIO(PIAZZA DE' BONCOMPAGNI-LIRI BLUES)LIVORNO LUNEDI' 4 LUGLIO (VILLACORRIDI)

GENOVA MERCOLEDI' 6 LUGLIO (ARENADEL MARE-JUST LIKE A WOMAN)

A Place to Bury StrangersDa New York, sulla scia di Jesusand Mary Chain.SEGRATE (MI) VENERDI' 8 LUGLIO(MAGNOLIA)

Otis TaylorIl blues del musicista afroamerica-no.PIAZZOLA SUL BRENTA (PD) GIOVEDI'7 LUGLIO (ANFITEATRO CAMERINI)

CakeIl ritorno della indie band di Sacra-mento.SEGRATE (MI) MERCOLEDI' 6 LUGLIO(MAGNOLIA)

Anathema + DreamTheaterIl metal melodico della band ingle-se e i virtusismi della formazioneUsa.ROMA LUNEDI' 4 LUGLIO (IPPODROMODELLE CAPANNELLE-ROCK IN ROMA)VILLAFRANCA (VR) MARTEDI' 5 LUGLIO(CASTELLO SCALIGERO)

TuxedomoonLa band americana fu tra le piùinnovative tra Settanta e Ottanta.FIRENZE MARTEDI' 5 LUGLIO (ANFITEATRODELLE CASCINE)ROMA VENERDI' 8 LUGLIO (LAGHETTODI VILLA ADA-ROMA INCONTRA IL MONDO)

ColosseumTorna la band anni Settanta capita-nata da quello che allora era consi-derato da molti come il migliorbatterista rock in circolazione, JonHiseman.ISOLA DEL LIRI (FR) DOMENICA 3 LUGLIO(PIAZZA DE' BONCOMPAGNI-LIRI BLUES)GENOVA MARTEDI' 5 LUGLIO (ARENADEL MARE-GENOVA GUITAR FEST)

SOIANO DEL LAGO (BS) MERCOLEDI'6 LUGLIO (CASTELLO)

Gogol BordelloDa New York, un mix di punk, gyp-sy music, cabaret.RIMINI MERCOLEDI' 6 LUGLIO (VELVET)

SEGRATE (MI) GIOVEDI' 7 LUGLIO(MAGNOLIA)

BARI VENERDI' 8 LUGLIO (FIERADEL LEVANTE)

VILLAFRANCA (VR) SABATO 9 LUGLIO(CASTELLO SCALIGERO)

This Will Destroy YouLa band americana si muove inambito post-rock.LIVORNO MARTEDI' 5 LUGLIO (THE CAGE)

ROMA MERCOLEDI' 6 LUGLIO (TRAFFIC)

MARINA DI RAVENNA (RA) GIOVEDI'7 LUGLIO (HANA-BI)

Popa ChubbyIl blues elettrico del chitarristabianco del Bronx.LIVORNO MERCOLEDI' 6 LUGLIO (VILLACORRIDI)MONZA (MB) GIOVEDI' 7 LUGLIO (VILLAREALE)

SASSARI VENERDI' 8 LUGLIO (PIAZZASANTA CATERINA)

Burt BacharachIn Italia il famosissimo e apprezza-tissimo compositore statunitense.ROMA DOMENICA 3 LUGLIO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONABENE)LUCCA MARTEDI' 5 LUGLIO (PIAZZANAPOLEONE-LUCCA SUMMER FESTIVAL)

MILANO MERCOLEDI' 6 LUGLIO (ARENACIVICA-MILANO JAZZIN' FESTIVAL)

BARD (AO) VENERDI' 8 LUGLIO (PIAZZAD'ARMI DEL FORTE)

Skunk AnansieSkin, vocalist e leader, si è riunitaai suoi vecchi sodali.UDINE MERCOLEDI' 6 LUGLIO (CASTELLO)

PISTOIA VENERDI' 8 LUGLIO (PIAZZADEL DUOMO-PISTOIA BLUES)

BAGNOLI (NA) SABATO 9 LUGLIO(ACCIAIERIA SONORA-NEAPOLIS FESTIVAL)

Al Di MeolaTra i più apprezzati chitarristi inambito jazz fusion.MILANO SABATO 2 LUGLIO(LA MILANESIANA)

Badly Drawn BoyTorna in Italia l’artista britannico.ROMA GIOVEDI' 7 LUGLIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI)BOLOGNA VENERDI' 8 LUGLIO (VICOLOBOLOGNETTI)

Asian Dub FoundationTra gli esponenti principali del mo-vimento «new asian under-ground».ROVERETO (TN) DOMENICA 3 LUGLIO(PIAZZALE DE GASPERI)

Wu-Tang ClanUn mito del rap made in Usa.BARI GIOVEDI' 7 LUGLIO (FIERADEL LEVANTE)

VerdenaTour estivo per la rock band berga-masca che presenta Wow.FERRARA DOMENICA 3 LUGLIO (PIAZZACASTELLO-FERRARA SOTTO LE STELLE)TORINO SABATO 9 LUGLIO (PIAZZA SANCARLO-TRAFFIC FREE FESTIVAL)

PunkreasUna delle band più seguite dai fandello ska punk italiano.ROMA GIOVEDI' 7 LUGLIO (SAN LORENZOIN FESTA)BOSCO ALBERGATI (MO) VENERDI'8 LUGLIO (MONDIALI ANTIRAZZISTI)

CONSELVE (PD) SABATO 9 LUGLIO(EXTEMPORA FESTIVAL)

AfterhoursTour estivo per la formazione diManuel Agnelli.NAPOLI SABATO 2 LUGLIO (ACCIAIERIASONORA)BARI DOMENICA 3 LUGLIO (FESTADEL LEVANTE)

ROMA MERCOLEDI' 6 LUGLIO(IPPODROMO DELLE CAPANNELLE-ROCKIN ROMA)

MILANO SABATO 9 LUGLIO (ARENACIVICA)

ArdecoreTorna dal vivo la band «romane-sca».BOLOGNA MERCOLEDI' 6 LUGLIO(BOTANIQUE)

CaparezzaIl rapper di Molfetta è tornato conun nuovo album, Sogno eretico.SENIGALLIA (AN) SABATO 2 LUGLIO(FORO ANNONARIO)PADOVA MERCOLEDI' 6 LUGLIO(PARCHEGGIO STADIO EUGANEO-SHERWOOD FESTIVAL)

SESTO SAN GIOVANNI (MI) VENERDI'8 LUGLIO (CARROPONTE-BLOOMLIVE)

SubsonicaNuovo album, Eden, e nuovo tourper la band torinese.TORINO SABATO 2 LUGLIO (PIAZZACASTELLO)PARMA MARTEDI' 5 LUGLIO (PARCOEX-ERIDANIA)

BERGAMO GIOVEDI' 7 LUGLIO (ARENAESTIVA DELLA FIERA)

PADOVA VENERDI' 8 LUGLIO (PARCHEGGIOSTADIO EUGANEO- SHERWOOD FESTIVAL)

CATTOLICA (RN) SABATO 9 LUGLIO(ARENA DELLA REGINA)

Paolo BenvegnùIl cantautore si conferma tra i piùispirati della scena italica con ilnuovo lavoro Hermann.ROMA LUNEDI' 4 LUGLIO (CASADEL JAZZ-SOLUZIONI SEMPLICI FESTIVAL)MODENA MERCOLEDI' 6 LUGLIO (GIARDINIDUCALI)

REGGIO EMILIA GIOVEDI' 7 LUGLIO(PIAZZA DEL MUNICIPIO)

CAMUCIA DI CORTONA (AR) VENERDI'8 LUGLIO (PARCO PISCINA COMUNALE)

Yo Yo MundiLa band piemontese presenta dalvivo il nuovo album Munfrà.VERBANIA VENERDI' 8 LUGLIO (AREA FESTEMADONNA DI CAMPAGNA)

Serata MetalLa fiera di Milano ospita una notta-ta da non perdere per gli appassio-nati dell'heavy metal con quattronomi di primissimo piano del gene-re: Metallica, Megadeth, Anthrax eSlayer.RHO (MI) MERCOLEDI' 6 LUGLIO (ARENAFIERA DI MILANO)

I Suoni delle DolomitiParte l'edizione 2011 di uno deifestival più attesi d'Italia, tra lesplendide montagne del TrentinoAlto Adige. Si parte il 3 con Dolo-miti d'InCanto, un progetto specia-le con i cori del Trentino impegnatiin vari rifugi dolomitici. La rasse-gna prende corpo il 7, l'8 e il 9con il «concerto trekking» di MarioBrunello e Nives Meroi in Val diFassa (rifugi del Catinaccio e delSassolungo) e (il 9, ore 14), inPian Frataces.DOLOMITI TRENTINE DOMENICA 3E DA GIOVEDI' 7 A SABATO 9 LUGLIO (VARIESEDI)

Emilia Romagna FestivalDopo un'anteprima a metà giugnosi inaugura questa settimana il fe-stival itinerante. I primi due appun-tamenti sono con l'Orchestra I Ca-meristi e il Coro di Voci Bianchedel Teatro alla Scala in un concer-to con musiche di Piazzolla e Per-golesi (il 7) e l'Ensemble Variabilein un Omaggio a Schumann (l'8).IMOLA (BO) GIOVEDI' 7 LUGLIO (ROCCASFORZESCA)BAGNARA DI ROMAGNA (RA) VENERDI' 8LUGLIO (ROCCA)

LustandoPrime due delle tre serate dellarassegna nel Monferrato. In pro-gramma Hattori Hanzo, Marta suiTubi, Casino Royale e Marta theBlonde Pitbull dj set (l'8), Rumate-ra, Marracash, Tre Allegri RagazziMorti, Mista Savona, Sud SoundSystem e Bia Sound System dj set(il 9).LU MONFERRATO (AT) VENERDI' 8E SABATO 9 LUGLIO (CAMPO SPORTIVOE PIAZZA GHERZI)

MiOdiTorna il festival metal milanese,dalle ore 18 si alterneranno sulpalco Eyehategod, Boris, Kylesa,Church of Misery, Russian Circles,The Secret, Valerian Swing, HungryLike Rakovitz, Dogs for Breakfast,Midryasi, Devoggol, Nashwuah,Derma, Saade e Civil Civic.SEGRATE (MI) MARTEDI' 5 LUGLIO(MAGNOLIA)

BloomLiveSettima edizione per la rassegna dirock made in Italy che quest'annosi sposta a Sesto San Giovanni. Sulpalco Israel Vibration (il 5), Capa-rezza (l'8) e Club Dogo (il 9).SESTO SAN GIOVANNI (MI) MARTEDI' 5,VENERDI' 8 E SABATO 9 LUGLIO(CARROPONTE)

Luglio Suona BeneIl festival estivo al Parco della Musi-ca. Il programma della settimanaprevede: Ricky Martin (oggi), BurtBacharach (domani), Ringo Starrand His All Starr Band (il 4), i Car-mina Burana con Coro e Percussio-nisti dell'Accademia Nazionale diSanta Cecilia (il 6), il Concerto condedica di Ennio Morricone (l'8) e ilritorno dei Chicago (il 9).ROMA DA SABATO 2 A SABATO 9 LUGLIO(AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)

DinamoFestUn nuovo progetto autofinanziatoche regala a Roma oltre settantaeventi culturali per quattro giorni.In ambito musicale si segnalano Ilive di Clementino e il dj set di To-retta Stile (il 7), il live set electro diRichard Dorfmeister (l'8) e un in-contro nazionale di reggae sound(il 9).ROMA DA GIOVEDI' 7 A SABATO 9 LUGLIO(CITTA' DELL'ALTRA ECONOMIA EXMATTATOIO)

Indie Rocket FestivalIl festival pescarese chiude la suadue giorni con Shy Child, We HaveBand, Le Rose e Civil Civic.PESCARA SABATO 2 LUGLIO (PARCOLE NAIADI)

GruVillageAll'interno della kermesse una ras-segna jazz con Raul Midon e Ri-chard Bona, The Dudala MalamboProject (il 4), Mike Stern e DaveWeckl (il 5), Seal (il 6), Joe SampleTrio con Randy Crawford (il 7),Torino Jazz Orchestra con TullioDe Piscopo (l'8) e Mario Biondi (il9).TORINO DA LUNEDI' 4 A SABATO9 LUGLIO (SHOPVILLE LE GRU)

Festival delle CollineIl festival della provincia toscanaha in programma due appunta-menti, quello con l'Orchestra Regio-nale Toscana e Bobo Rondelli inPierino e il lupo e Mirko Guerrini eMassimo Ottoni in L'ombra di Pi-nocchio.POGGIO A CAIANO (PO) MERCOLEDI' 6E VENERDI' 8 LUGLIO (VILLA MEDICEA,CHIESA DI BONISTALLO)

AmenobluesLa cittadina in provincia di Novaraha in programma un festival bluescon i live di Angelo Leadbelly Rossi(oggi), East River String Band conRobert Crumb (l’8) e 19th StreetRed e Janiva Magness (il 9).COMMELLE-VERNAY (F) SABATO2 LUGLIOAMENO (NO) VENERDI' 8 E SABATO9 LUGLIO

Rock in RomaIl festival rock della capitale prose-gue i suoi appuntamenti con i livedi Black Label Society (il 3), Ana-thema, Dream Theater e GammaRay (il 4), Afterhours (il 6) e FabriFibra (il 9).ROMA DOMENICA 3, LUNEDI' 4,MERCOLEDI' 6 E SABATO 9 LUGLIO(IPPODROMO DELLE CAPANNELLE)

Sherwood FestivalL'edizione 2011 del consolidatofestival rock patavino proseguecon il concerto di Jeff Mills e DjAdam Beyer (oggi), Caparezza (il6), Subsonica (l'8) e Nouvelle Va-gue (il 9).PADOVA SABATO 2, MERCOLEDI' 6,VENERDI' 8 E SABATO 9 LUGLIO(PARCHEGGIO NORD STADIO EUGANEO)

10 Giorni suonatiL'ottima rassegna nella cittadinadel pavese porta sul palco BrianSetzer e Rock'n'roll Kamikaze (og-gi), Black Crowes (il 7) e John Mel-lencamp (il 9).VIGEVANO (PV) SABATO 2, GIOVEDI' 7E SABATO 9 LUGLIO (CASTELLO)

Roma incontra il mondoIl festival ha in programma concer-ti con Radici nel Cemento, Corodei Minatori di Santa Fiora e Ros-soantico, Cristina Donà, NiccolòFabi, Sud Sound System, MariaGadù, Tuxedomoon, Officina Zoè.ROMA DA SABATO 2 A SABATO 9 LUGLIO(LAGHETTO DI VILLA ADA)

Raze It UpFestival dedicato a hip hop e rap.Con Snoop Dogg (unica data),Co'sang, Kaos One, Fatman Sco-op, La Fouine, Mala Rodriguez,One Mic, Onyx, Rude Family e DjFish.BOLOGNA SABATO 2 LUGLIO (ARENAPARCO NORD)

Kernel FestivalUna rassegna vicina alla musicadance e elettronica. Ultima giorna-ta con Troy Pierce, Moritz VonOswald, Shed e Tonylight.DESIO (MB) SABATO 2 LUGLIO (VILLATITTONI TRAVERSI)

Liri BluesLa rassegna propone alcuni nomidi spicco della scena blues interna-zionale tra cui la vocalist BettyeLavette (oggi) e a chiudere i Colos-seum (domani).ISOLA DEL LIRI (FR) SABATO 2E DOMENICA 3 LUGLIO (PIAZZADE' BONCOMPAGNI)

AstimusicaSi apre con il Concerto grosso deiNew Trolls con l'Orchestra Sinfoni-ca di Asti il prestigioso festival pie-montese. Nella seconda seratatocca a Graziella Lintas e MauMau.ASTI VENERDI' 8 E SABATO 9 LUGLIO(PIAZZA SAN SECONDO)

Ferrara sotto le stelleSedicesima edizione per uno deifestival più importanti della peniso-la in ambito rock indipendente. Siparte domani con l'evento Un gior-no del tutto differente che vedràVerdena e Dinosaur Jr. insiemenel rifacimento di Bug, terzo al-bum della band statunitense. Pri-ma di loro sul palco Sakee Sed,Spread, Iosonouncane, Aucan eJennifer Gentle, questi ultimi conospiti i due Verdena Luca e Alber-to Ferrari. Per il 5 sono attesi, perl'unica data italiana, The Nationale, in apertura, Beirut, a chiuderela prima settimana di concerti il 6con, data unica, PJ Harvey.FERRARA DOMENICA 3, MARTEDI' 5E MERCOLEDI' 6 LUGLIO (PIAZZACASTELLO)

Fiera della MusicaLa cittadina friulana ospita la dodi-cesima edizione della rassegna.Due giorni con i Pil (Public ImageLimited) di John Lydon, specialguest The Horrors (l'8) e Mobycon A Certain Ratio (il 9).AZZANO DECIMO (PN) VENERDI' 8E SABATO 9 LUGLIO (AREA PALAVERDE)

Genova Guitar FestivalL'edizione 2011 del festival, la se-conda, è dedicata a Gary Moore.Si apre con l'unica data italiana diLee Ritenour & Dave Grusin (il 3)e Colosseum (il 5).GENOVA DOMENICA 3 E MARTEDI'5 LUGLIO (PORTO ANTICO ARENADEL MARE)

Just Like a WomanRiparte la kermesse dedicata al-l'universo musicale femminile. Ilcartellone prevede come primaperformance quella della vocalistBettye Lavette.GENOVA MERCOLEDI' 6 LUGLIO (PORTOANTICO ARENA DEL MARE)

Grazie a dio è lunedìUn festival non festival. Il lunedì alMagnolia è con Dinosaur Jr. inBug, Bud Spencer Blues Explosion,Warpaint, Mona, Iori's Eyes e Co-smetic.SEGRATE (MI) LUNEDI' 4 LUGLIO(MAGNOLIA)

Neapolis FestivalPrima giornata della rassegna par-tenopea, in cartellone Mogwai,Skunk Anansie, Marlene Kuntz e

l'unica data italiana di Architecturein Helsinki.BAGNOLI (NA) SABATO 9 LUGLIO(ACCIAIERIA SONORA)

Dancity FestivalLa rassegna ha in cartellone, tra itanti, Ad Bourke, Felix Kubi, Juju &Jordash, Kink & Neville Watson,Popolous, Stian Westerhus.FOLIGNO (PG) SABATO 2 LUGLIO(AUDITORIUM SAN DOMENICO)

IpmL'International Promoters Meetingè una manifestazione che prevedeincontri tra professionisti del setto-re in cui i protagonisti sono sia gliartisti che i promoter. Dopo l'inau-gurazione al Goa prevista per il 7,performance l'8 con Nicolas Matar(Cielo) e il 9 con Karizma, RickyBirickyno e Spellband (Room26).ROMA DA GIOVEDI' 7 A SABATO 9 LUGLIO(VARIE SEDI)

Venice Sunsplash FestivalIl Rototom se ne è andato e alloraecco un altro festival dedicato allamusica reggae. Sul palco FireBand, Jaka, Mad Professor, Mel-low Mood, Moa Anbessa, Shaggy,Train in Roots, Rasta Snob SoundSystem, Dj Gusma-T e Dj Vito War(oggi), John Holt, Israel Vibration,Third World, Andrew Tosh e Ulti-ma Fase (domani).CHIOGGIA (VE) SABATO 2 E DOMENICA3 LUGLIO (PARCO ISOLA DELL'UNIONE)

Villa Arconati FestivalIn cartellone, nell'ordine: StefanoBollani, The Chieftains e GiovanniLindo Ferretti.CASTELLAZZO DI BOLLATE (MI) LUNEDI'4, MARTEDI' 5 E GIOVEDI' 7 LUGLIO (VILLAARCONATI)

Soluzioni SempliciLa web tv del Circolo degli Artistiorganizza un festival alla Casa delJazz con A Classic Education, Ales-sandra Celletti, Cat Claws, Il Pandel Diavolo, The Jacqueries (il 3),Offlaga Disco Pax, Paolo Benvegnù(il 4), Joan as Police Woman, Na-da (il 5).ROMA DA DOMENICA 3 A MARTEDI'5 LUGLIO (CASA DEL JAZZ)

Milano Jazzin' FestivalA dispetto del nome la rassegnameneghina propone un cartellonenon propriamente «jazz». Sonoattesi: Ringo Starr and His All StarrBand (il 3), Arcade Fire, White Liese Cloud Control (il 5), Burt Bacha-rach e Mario Biondi (il 6), Lou Re-ed (l'8).MILANO DOMENICA 3, MARTEDI' 5,MERCOLEDI' 6 E VENERDI' 8 LUGLIO(ARENA CIVICA)

Traffic Fre FestivalLa rassegna torinese rinnova l'ap-puntamento estivo con: OfflagaDisco Pax, Tacuma, Young Wood(varie sedi il 6), Cristina Donà,Esma, Francesco De Gregori, LeLuci della Centrale Elettrica (il 7),Edoardo Bennato, Il Teatro degliOrrori, Tre Allegri Ragazzi Morti(l'8), Pfm, Verdena, Stearica (il 9).TORINO DA MERCOLEDI' 6 A SABATO9 LUGLIO (PIAZZA SAN CARLO E ALTRESEDI)

!50!La rassegna itinerante di PaoloFresu che gira la Sardegna preve-de Italian Trumpet Summit Il rito ela memoria. Fresu/David Linx/Die-derik Wissels, Fresu/Dhafer Yous-sef/Eivind Aarset, Fresu e Orche-stra Jazz della Sardegna Porgy &Bess, Fresu/Erik Marchand/Jac-ques Pellen, Fresu & Omar Sosa,Sheila Jordan Special Quintet (conFresu, Roberto Capelli, Attilio Zan-chi e Gianni Cazzola).BOSA (OR), SAN SPERATE (CA), OLIENA(NU), ORANI (NU), CARBONIA (CI),ULASSAI (OG), SETTIMO SAN PIETRO(CA), ORISTANO DA SABATO 2 A SABATO9 LUGLIO

Vivere JazzAnteprima fiorentina del festivalfiesolano con la band di MikeStern che comprende il violinistaDidier Lookwood.FIRENZE MERCOLEDI' 6 LUGLIO(ANFITEATRO DELLE CASCINE)

14) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

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■ SCENE ■ SUONI IN MOVIMENTO, TRA SANT’ANASTASIA E POMIGLIANO ■

Emergenza «ambient»Nuovi artisti, lontani dalle logiche mainstream del mercato pop, si affacciano

all’ombra del Vesuvio. Dal cantautorato «dal basso» di Mikele Buonocore alla minimal

di Emanuele Errante, dall’avanguardia degli Ansiria al polistrumentista Max Fuschetto

Pistoia Blues FestivalLo storico festival toscano ha inprogramma Methodica, Vetrozeroe Skunk Anansie (l'8), James Bur-ton, Robben Ford, Robbie Krieger& Ray Manzarek, Willie Nile, DavePeabody, Michele Beneforti & HotLove Trio, General Stratocuster &The Marshals, Skapestrati (il 9).PISTOIA VENERDI' 8 E SABATO 9 LUGLIO(PIAZZA DEL DUOMO)

Lucca Summer FestivalLa rassegna propone Burt Bachara-ch e Mario Biondi (il 5), Zucchero(l'8), Arcade Fire e A Classic Educa-tion (il 9).LUCCA MARTEDI' 5, VENERDI' 8 E SABATO 9LUGLIO (PIAZZA NAPOLEONE)

Spezia JazzCambio formula per la rassegnache abbina iniziative didattiche arecital con All Stars dei docenti,Rick Margitza & Aldo Bassi Quintet,Aaron Goldberg Trio, Lucio Ferrara/Alberto Marsico/Gegè Munari, Pe-ter Bernstein Trio, Beppe Landi/Ro-sciglione/Munari, Roberto Gatto-Fa-bio Zeppetella Hammond Trio, Bru-ce Forman Band, Mark Turner/Lar-ry Grenadier/Jeff Ballard, Karl Pot-ter & Aldo Bassi Funk It Up, GegèTelesforo Quintet.LA SPEZIA DA SABATO 2 A SABATO9 LUGLIO (CENTRO ALLENDE)

Casa del Jazz FestivalIn cartellone Carolina Brandes, Cin-zia Gizzi con Ada Rovatti, AndreaBiondi & Urban Tribe (con Salvato-re Bonafede), Sarah Jane Morris.ROMA DA MERCOLEDI’ 6 A SABATO9 LUGLIO (PARCO CASA DEL JAZZ)

Villa Celimontana Festival«Circus»Orientata verso teatro e circo, larassegna offre serate di caratteremusicale come Acoustic Basilicata(Rita Marcotulli, Rocco Papaleo,Luciano Biondini), omaggio in jazza Lucio Battisti, Mina in Black, Ca-valieri scolpiti tra le note del jazz.ROMA DA SABATO 2 A SABATO 9 LUGLIO(VILLA CELIMONTANA)

Mediterraneo JazzPrevisti i concerti di 3iO, un quar-tetto con i vincitori del contest2010, Euphonia Ensemble, Snetber-ger Trio, Nuovo Tango Ensemble,Rachel E & Omar Hakim.MARCIANA MARINA-ISOLA D’ELBA (LI)DA MERCOLEDI' 6 A SABATO 9 LUGLIO

Südtirol Jazz FestivalAlto AdigeUltimi due giorni con Michel PortalQuintet, Francesco Bearzatti Tinissi-ma Quartet, Six Alps & Jazz, Teren-ce Blanchard, Nord Sud Quartet,duo D’Agaro/Biason.BOLZANO SABATO 2 E DOMENICA3 LUGLIO (MUSEION, S. VIRGILIODI MAREBBE)

Ancona Jazz SummerSerie di recital serali con Cyro Bap-tista, Jeff Hamilton Trio, GabrieleMirabassi e l’Orchestra di fiati diAncona, Franco D’Andrea Quartet,Colours Jazz Orchestra con BobMintzer.ANCONA DA SABATO 2 A VENERDI'8 LUGLIO (MOLE VANVITELLIANA)

Iseo JazzLa rassegna, dedicata al jazz italia-no, si apre con il trio di Luigi Marti-nale ospite Alberto Mandarini.MONTECAMPIONE (BS) SABATO9 LUGLIO

Umbria JazzLa manifestazione parte con Rena-to Sellani e Massimo Moriconi,Henry Butler Trio, Dee Alexander’sEvolution (con un programma suJimi Hendrix), Stefano MinconeTrio, Anat Cohen Quartet, i FunkOff, Giovanni Guidi Quintet, Chihi-ro Yamanaka Trio, Herbie Hancock/Wayne Shorter/Marcus Miller tribu-to a Miles Davis, Tubolibre.PERUGIA VENERDI' 8 E SABATO 9 LUGLIO(CARIE SEDI)

a cura di Roberto Peciola con Luigi Onori (jazz)(segnalazioni: [email protected])

Eventuali variazioni di date e luoghi sonoindipendenti dalla nostra volontà.

di Girolamo De Simone

Sotto il Vesuvio c’è il solitoeffluvio di splendide emergenze.Non si tratta di quelle legate alla ma-lavita, al riciclo dei rifiuti, ai tristi efinti ricambi di pseudoclassi dirigen-ti. La scia luminosa delle autenticheemergenze è nell’organza delle arti,nella texture di musiche e territori.Esigenze urbane e forze «extraterri-toriali» sono una sorprendente anti-cipazione effettuale di quanto staaccadendo nel mondo delle comu-nità, nelle quali appaiono ormaiconfuse esigenze locali, pretese na-zionali, impotenze sovranazionali(fine dei diritti, civiltà al tramonto,trattati sospesi... La musica sotto ilVesuvio ci mostra efficacementequesto crogiolo d’influenze/aspetta-tive, mescolanza di passato e futu-ro, cronotopia spesso illuminata daltalento di uomini residenti e resi-stenti, a oltranza, nonostante ognischiaffo ricevuto.

Cominciamo dall’aderenza al ter-ritorio, dove la mescolanza ha mag-giore evidenza perché parte dalla fe-de popolare. Il più grande centro dipellegrinaggi e studi (non solo etno-musicali) del meridione è forse ilsantuario di Madonna dell’Arco,

ogni anno meta spirituale dei «fujenti», o «battenti». La chiesa è a Sant’Ana-stasia, alle porte di Napoli, nell’entroterra vesuviano o, per essere precisi, al-l’ombra del Monte Somma, che dalle eruzioni ha protetto questo lato del ter-ritorio campano ricchissimo di testimonianze archeologiche, religiose, eno-gastronomiche, egida di una tradizione in grado di condizionare, ancora, lavita comunitaria con i suoi «piennoli» di pomodorini, la produzione di «cata-lanesca», le recenti scoperte archeologiche (in futuro certamente si parleràdella Villa di Cesare Augusto tanto quanto degli Scavi di Pompei...). Qui la«tradizione» è ancora tessuto vivo del quotidiano (organza, texture), ed è deltutto naturale pensare e poi realizzare sul serio un’«opera popolare». Eccoche un’intera comunità, coagulandosi attorno a una scuola pubblica e auno dei suoi più interessanti cantautori, Mikele Buonocore, produce un di-sco che è anche opera «dal basso», perché raccoglie e propone le voci deibambini, degli anziani, dei professionisti della musica, mescolandole in mo-do tanto «verace» da farsi collante dell’entusiasmo di tutti. Il disco è stato do-nato alle «paranze» che si son reca-te in pellegrinaggio al santuario. Vie-ne poi proposto in un monograficoche sarà venduto dall’associazioneculturale Terra Vesuviana a un prez-zo «politico» (ancora possibile?splendido anacronismo del sud) esoprattutto sarà rappresentato informa scenica all’interno della nuo-va chiesa di Madonna dell’Arco. Lepersone/crocevia di questa straordi-naria operazione, che ha visto an-che l’apporto del Comitato naziona-le per l’apprendimento pratico del-la musica, sono una quarantina

(senza contare i bambini!), e non èpossibile nominarli tutti. Ci limitia-mo a quelli che ne rappresentano la«chiave»: Mikele Buonocore, gran-dissimo performer, voce e autore ditesti graffianti, unici. E ancora: Tere-sa Tufano, esplosiva dirigente scola-stica capace di sommuovere territo-ri altrimenti silenti; Maurizio DeFranchis, Carlo Faiello, FlavianaMondelli. Le collaborazioni vengo-no da Joe Amoruso, Sandro Som-mella dei Planet Funk, Mario Zacca-gnini e tanti altri. A dispetto dellaforza prevaricatrice e inautenticadella politica, queste azioni sembra-no essere le uniche forme di resi-stenza ancora efficaci, perché in gra-do di inoculare il virus di una condi-visione comunitaria.

Da Pomigliano d’Arco, invece,vien fuori un’esperienza completa-mente diversa, anche se il luogo èprossimo a Sant’Anastasia e a Som-ma. Una diversità è data sicuramen-te dall’importante e sedimentatatradizione operaista, che, parados-salmente, conosce ora un «livellodue« e forse anche un «livello tre» diemersioni musicali. Ci si riferisce al-le composizioni di Emanuele Erran-te, figura centrale della ambient ita-liana, autore di prove discografichecapaci di inneschi internazionali. Er-rante riceve costantemente il plau-so della critica, e pare volgersi a unsuccesso e un linguaggio apolidi,forse al di là degli schemi tradizio-nalmente presenti nei territori vesu-viani. Non fosse, naturalmente, perl’eccezionale parentesi ricamatacon delicatezza da Luciano Cilioche rappresentò un anelito di con-giunzione tra la mediterraneità tipi-camente partenopea della canzonedi ricerca, le avanguardie mitteleu-ropee e il progressive, disegnando ilperimetro della attuale «musica difrontiera».

Tre opere recenti di Errante ciraccontano una musica tra mini-

mal e ambient, con la prerogativa ri-conoscibilissima di una forte centra-lità acustica. È una presenza decisa,soprattutto nello splendido TimeElapsing Handheld (Karaoke Kalk,www.karaokekalk.de), che segue laDakota Suite, The North GreenDown e Out and About. Normal-mente, difatti, la musica ambientsembra generare una dimensionedi contiguità percettiva, una sortadi sospensione, di continuità inter-na che pare quasi rallentare il fluire- esterno - del tempo. Si potrebbe di-re che l’ambient raggiunge questo«continuum» attraverso la dilatazio-ne dei pattern; la minimal, invece,sortisce un affetto di annullamentocon la reiterazione delle figure ritmi-che: un incedere che si fa processo.Qui le tracce seguono crescendo edecrescendo più decisi, si fanno pro-tagoniste di una attenzione polifoni-ca. Minimal e ambient sono come idue lati della medaglia, o meglio co-me due vettori che disegnano uncerchio percorrendone il perimetronelle due opposte direzioni, e checircoscrivono, pertanto, un medesi-mo territorio d’appartenenza; in talmodo raccolgono la protezione diuno spazio/ritornello, come lo defi-nì Deleuze (si veda il cofanetto a luidedicato da Pierre-André Boutang,Derive/Approdi). L’artista ha biso-gno di ciò che non ha, e forse è que-sto che lo spinge a tramutarsi inagente «desiderante». Una maggio-re presenza, meno ambiente, resti-tuiscono centralità al gesto di Erran-te. Musicisti operai che volgono inprassi quanto ricercato nei desolan-ti luoghi meridiani: «il desideriostringe la vita... il desiderio ha biso-gno non di queste cose che ci lascia-no loro, ma di quelle cose di cuinon si cessa di spossessarli...».

E a proposito di spossessamento,ancora Cilio ci rende possibile esten-dere questa riflessione al lavoro de-gli Ansiria. Quello degli Ansiria è un

gruppo noto per aver vinto concorsie prodotto alcuni singoli notevoli. Ir-vin Vairetti ne è leader storico, e pro-viene da un percorso che lambisceil progressive (per la sua prossimitàall’epopea storica degli Osanna),ma che ha sempre mostrato empa-tia per le nuove avanguardie no-bor-der partenopee. Ciò gli consente dipervenire ora col cd Il vuoto e la suavanità (Afrakà, Fullheads, Audioglo-be) a una sintesi compositiva mira-bile e in grado di fondere scienza ecoscienza, potenza e dolcezza. Il cd,che abbiamo ascoltato in antepri-ma e apprezzato anche nelle fasi in-termedie, cioè nelle tappe di unameditata preparazione alchemicanon scevra da una cura certosina diaspetti timbrici e acustici (AlfonsoLa Verghetta), è un’opera prima do-ve sia la formazione stabile degli An-siria, composta dallo stesso Vairetti,Pasquale Capobianco, Nello D’An-na e Marco Caligiuri, sia ospiti d’ec-cezione (Lino Vairetti, Max Fuschet-to, Raffaele Giglio, Adriano Rubino)cospirano alla creazione di un mo-nolite che non esiteremmo a defini-re sin d’ora come un lavoro bellissi-mo e immerso nella contempora-neità. Nelle file delle molteplici col-laborazioni segnaliamo la presenzadel polistrumentista e compositoreMax Fuschetto, che con il suo Popu-lar Games ha dato eccezionale pro-va d’autore. Fuschetto ha recente-mente raccolto successi con Nura-gas, dove prende in prestito campa-nacci da pascolo di tutte le forme ele dimensioni per creare figurazioniritmiche e ibridazioni a metà tra col-to e profano, sempre all’insegna diuna musica popolare, che si attestacome fonte importante, politica,d’investimento e scommessa.

Nell’immagine grandeuna processionealla Madonnadell’Arco.Sopra Max Fuschetto,i Ketonici, gli Ansiria.A sinistra,le copertinedei dischi di MikeleBuonocore, EmanueleErrante e Ansiria

NAPOLI

ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (15

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16) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

MAURIZIO BAGLINI/FRANZ LISZTRÊVES (Decca)

8Il pianista Maurizio Baglini rende omaggio alcompositore ungherese nel bicentenario del-la nascita, interpretandone alcune musiche

tra le più note e popolari del musicista. Vengono da luieseguite la trascrizione dalla Campanella e di altri studidi Paganini, il Sogno d’amore, la Rapsodia ungherese n.2 e il Mephisto Valse. È musica scritta all’insegna di ec-cessi d’ogni tipo, iniziando da quello virtuosistico, conaccumulazioni architettoniche dei materiali sovrabbon-danti e trascendentali. Quella di Baglini è un’esposizionelucida, ma che non rinuncia affatto, dove può, persinoad accentuare la spettacolarità dello spirito anelantedelle recite messe in scena (in concerto) dal composito-re. Il risultato a volte sorprende perché tradisce la piùconsolidata routine. Lo si avverte nitidamente all’iniziodel Mephisto e nella Rapsodia nella quale l’interpreteaccentua fin quasi a deformare in una sorta d’astrazionegli sviluppi lisztiani. (g.ca.)

BRUNORI SASVOL. 2: POVERI CRISTI (Picicca)

6Rino Gaetano è il cantautore di riferimento diuna schiera di musicisti italiani venuti allaribalta negli anni Zero. Non sempre è necessa-

rio tirare in ballo un nome così ingombrante per parlaredi un altro artista ma in questo caso pare inevitabile.Brunori Sas, volente o nolente, rimanda a Gaetano inmaniera evidente - e il comunicato stampa non lo citatra le sue influenze probabilmente per evitare l’eccessodi accostamenti. Timbro vocale rauco, canzoni sempliciinfarcite di gesti quotidiani e storie ordinarie spesso urla-te tra cui riescono a farsi strada anche i grandi sentimen-ti e, qua e là, un tocco di ironia. «Iperrealismo popolare»nel segno della tradizione della melodia italiana d’auto-re; in questo senso un cantautore rassicurante. (l.gr.)

THE HORROR THE HORRORWILDERNESS (Tapete Records/Mutante Inc.)

6La band svedese (da non confondersi con gliinglesi The Horrors) dopo due album dalleinfluenze decisamente virate verso gli States

e a un rock di ispirazione indie sulla scia di gruppi comegli Strokes, torna con un terzo lavoro in cui a quelle lineeguida si aggiungono un amore per il pop britannico,quello più sofisticato - e se vogliamo meno «puramente»british - di band anni Ottanta come Prefab Sprout e StyleCouncil. C’è da dire che la loro scrittura, seppur semplicee senza particolari voli pindarici, è piacevole e i diecibrani di Wilderness ci dicono di un gruppo che sa il fattosuo. (r.pe.)

JÓHANN JÓHANSSONTHE MINER’S HYMN (130701-Fat Cat/Audioglobe)

7The Miner’s Hymn è un film-documentariodel regista newyorkese Bill Morrison sulla vitadi alcuni minatori nel nord dell’Inghilterra.

Per dare colori e suoni alle immagini di una vita nonfacile Morrison ha scelto di affidarsi a un compositoreislandese, Jóhann Jóhansson, che lo ha ripagato con unacolonna sonora intensa, dalla bellezza struggente. Pubbli-cato dalla 130701, costola della Fat Cat dedicata allesonorità neoclassiche, il disco punta il «core» compositi-vo sull’utilizzo dei fiati, un brass ensemble in cui fannobella mostra corni inglesi e francesi e melodie dilatateche inquadrano alla perfezione luoghi e mood presentinella pellicola, lasciandoceli immaginare anche senzaaver visto le immagini. (r.pe.)

LINGALADLA LOCANDA DEL VENTO (Lizard Records)

6La locanda del vento è il quinto album deiLingalad. In questo nuovo lavoro i brani (quin-dici) hanno sonorità che sembrano provenire

da un universo parallelo e dimenticato, lontano dallacivilizzazione. Oscillano tra il folk-rock, il pop-rock acusti-co e alcune atmosfere celtiche e popolari. Il tutto è con-dito, oltre che da chitarre, batteria, basso e pianoforte,anche da strumenti etnici e antichi (il bouzouki, la ghi-ronda, il dulcimer, il mandolino, il charango, il sitar, l’ar-monica, la fisarmonica e diversi tipi di flauti). I testi rac-contano storie semplici di uomini e del loro rapporto,quasi magico, con la natura e il mondo circostante. Perrilassarsi e sognare a occhi aperti, di un mondo che pro-babilmente non sappiamo più cogliere. (g.lu.)

ROBERTO MAGRIS QUINTETMORGAN REWIND: A TRIBUTE TO LEE MORGAN VOL: 1 (Jmood)

7Da molti anni il pianista Roberto Magris haconcentrato i propri sforzi negli Stati Uniti,trovando partner eccellenti e una nicchia di

visibilità che in Italia gli è spesso - a torto - negata. Que-sto è un progetto interamente rivolto all’opera di LeeMorgan, fiammeggiante trombettista hard bop scompar-so troppo presto, e giustamente molto rimpianto. Magrisha al fianco in sala d’incisione il grande Albert «Tootie»Heath, che mise piatti e pelli al servizio di Lee Morganagli inizi, a Filadelfia. Il posto di Morgan è «rilevato» dalbravo Brandon Lee, che non cerca certo di emulare Mor-gan, ma di suggerirne la presenza, sorretto dalla caricaritmica del pianista italiano. In coda un’intervista in temaa Heath. (g.fe.)

DANILO REA & FLAVIO BOLTROAT SCHLOSS ELMAU - OPERA (Act)

8Reduce dal successo dell’album live sullecanzoni di De André (edito dalla label tede-sca), il brillantissimo pianista propone un

altro repertorio. In realtà Rea da anni si occupa diriletture jazzistiche (per solo piano) di pagine operisti-che. Qui è affiancato dalla tromba eccellente di FlavioBoltro, solista che fu tra i primi negli anni Novanta aconquistarsi notorietà europea come membro dellafrancese ONJ. I due si lanciano - con energia, buongusto e inventiva - attraverso pagine celebri di Monte-verdi, Rossini, Bellini, Giordano, Vivaldi, Puccini e Ci-lea, da Lasciatemi morire a Io son l’umile ancella. Ilpianismo prezioso, effusivo, romantico eppure maisdolcinato di Rea ben si unisce alla tromba declama-toria quanto antiretorica di Boltro, inappuntabile nel-l’esposizione tematica e nell’improvvisazione. I dodicibrani sono stati registrati nel dicembre 2010 nel ca-stello Schloss Emau (al centro delle Prealpi Bavaresi),otto in studio e quattro dal vivo davanti al pubblico.Pur concentrandosi sulla melodia il duo riesce a con-servare il mood delle arie, si tratti dell’esuberanzarossiniana o del languore pucciniano. (l.o.)

THE OLYMPICSDOIN THE HULLY GULLY + DANCE BY THE LIGHT OF THE MOON

(Hoodoo Records/Egea)

7I primi due dischi della loro carriera, uscitiall'epoca per la Arvee Records sul finaledei Cinquanta. Loro, gli afroamericani The

Olympics, provenivano da Los Angeles e hanno fattoballare davvero folle sterminate. In questa uscita so-no presenti un totale di ventidue incisioni, inclusicinque inediti, che riassumono gli anni migliori diquesto quartetto vocale con il suo r'n'b scanzonato esolare. Li immaginate in completo elegante e ariafrivola? Esatto. La storia porterà poi numerosi rimpiaz-zi alla formazione originaria, alcuni traumatici (vedil'assassinio di C. Fizer durante la rivola di Watts nel'65), altri meno. Prima, durante e dopo restano que-sta manciata di brani. Incantevoli. (g.di.)

RETTORECADUTA MASSI (Edel)

7Dopo l'ascolto dell'eponimo primo brano -dove coinvolge anche Platinette - c'è damettersi le mani nei capelli: un pasticcio

pop rock come non si sentiva da tempo immemore.Tanto da domandarci: ma dov'è finita la peperina piùaffascinante del pop italiano a cavallo fra i Settanta egli Ottanta? Se si sopravvive, come d'incanto, dallaseconda Chi tocca i fili in poi si viene premiati, per-ché colei che non voleva farsi chiamare Donatella haancora frecce al suo arco. Arrangiamenti à la page,cantati con piglio e almeno un pezzo che resta intesta al primo ascolto: Se morirò, inquietante depro-fundis «in vita» dove si citano Caronte e Dante. (s.cr.)

MATANA ROBERTSCOIN COIN CHAPTER ONE: LES GENS DE COULEUR LIBRES

(Constellation Records/Goodfellas)

8Un disco complesso e pieno di cose. Datedall'unione del talento multiforme dellaleader e dalle singole storie dei musicisti

(docici) coinvolti in questa avventura. Chiamata inquel di Montreal, la Roberts (in passato già con B.Sugar) si chiude per due giorni presso l'Hotel2 Tan-go, di fronte a un piccolo pubblico selezionato. Il risul-tato originale alla fine sarà di novanta minuti, poiracchiusi per ragioni commerciali nei sessanta finalidel disco. Un lavoro che fa tremare i polsi per la suabellezza. Lei, con sax e voce, disegna paesaggi di cul-tura nero e afroamericana di incomparabile dolcezza.La cornice è data dalla tradizone Aacm. Il resto è acura della Roberts e dei suoi sodali. Fantastico.(g.di.)

SONNY ROLLINSLIVE IN MUNICH 1965 (Domino/Egea)

8Un inedito di Rollins non è certo cosa dapoco. 29 ottobre 1965 a Monaco in triocon Niels-Henning Orsted Pedersen al con-

trabbasso e Alan Dawson alla batteria. È un Rollinssperimentale. Intanto si tratta di uno dei tanti concer-ti di una tournée europea compiuta con partner sem-pre diversi di tappa in tappa. E poi questo è un mo-mento della carriera dell’eccelso saxtenorista in cuisono privilegiati gli itinerari melodici frammentati eanche tormentati, il procedere per «ricercari», la sono-rità calda ma acre. Darn that Dream, il primo deiquattro brani (ma uno è un medley e uno è formatoda On Green Dolphin Street più Night and Day, l’al-tro è The Song is You), è esemplare di queste inclina-zioni del linguaggio di Rollins. Entusiasmante il suodialogo con i partner, del tutto estranei alla praticadella routine. (m.ga.)

SIMONA SEVERINILA BELLE VIE (MyfavouriteRecord)

7Milanese, classe 1986, l'allieva di TizianaGhiglioni sfodera classe e maturità nel suoesordio discografico sotto l'ala protettiva di

Antonio Zambrin, che qui arrangia e suona il pianofor-te e le cuce addosso un repertorio prevalentementefrancese. Prova impegnativa con musiche di Fauré odello stesso Zambrini che in Enfance adatta addirittu-ra una lirica di Rimbaud, su cui la Severini si disimpe-gna con intelligenza e duttilità. (s.cr.)

TRUE WIDOWAS HIGH AS THE HIGHEST HEAVENS AND FROM THE CENTER TO

THE CIRCUMFERENCE OF THE EARTH (Kemado/Cooperative Music)

7Sono in tre, arrivano da Dallas, nel Texas, ilpaese di JR e Bobby Ewing, quelli dellasagra dei petrolieri in tv negli anni Ottanta.

Una terra che richiama l'idea di cappelli a falda larga,di camicie a scacchi, di stivaloni, del country, insom-ma dell'America più «orgogliosa»... Ma a volte ancheil Texas regala, musicalmente, delle eccezioni, comequesti True Widow, che con il loro slowcore in stileLow o Codeine tutto sembrano tranne che figli diquella terra. La definizione che danno di se stessi è«stonegazer», in un tentativo di unire le pulsioni shoe-gaze (e dark, che non mancano) e quelle dello sto-ner rock à la Queens of the Stone Age. Insomma,tempi rallentati e dilatati così come le melodie, esuoni pieni, saturi al punto giusto, per un disco che, adispetto del titolo, intriga non poco. (r.pe.)

giampiero canestefano crippagianluca dianaguido festinesemario gambaluca gricinella

gabrielle lucantonioluigi onori

roberto peciola

L E G E N D A

Francesco Adinolfi

Sono passati nove anni da The Bongo-lian, debutto dell'omonimo progetto,The Bongolian, guidato da Nasser Bouzi-da, la mente dei Big Boss Man. Adessoariva Bongos for Beatniks (Blow UpBU 060 CD), il nuovo disco. È come seil tempo si fosse arrestato, come seBouzida continuasse a inseguire inmaniera ostinata un sogno, un suono.Che peraltro ha trovato e che ha disve-lato a tanti epigoni deep funk. Quandouscì, fiancheggiando i più spiritosi BigBoss Man, The Bongolian era quasiun'applicazione scientifica al concettodi hammond soul, latin groove, booga-loo ecc. Era un vero e proprio studio,un ripasso di Incredible Bongo Band eJimmy McGriff; in mezzo un mondoche teneva dentro da Money Mark aMongo Santamaria alle sonorizzazionidi Alan Hawkshaw. È dunque tempodi forzare i propri limiti, di ri-rappresen-tarsi. Tra i pezzi il primo singolo TheRiviera Affair fissa subito il tono delcd, e così il secondo Give It to Me (onthe Left Side), una scorrazzata nei bea-ti mondi del bongo e dell'Hammond.Purtroppo anche in questo cd, le can-zoni si rivelano un divertente esercizia-rio con compiti magistralmente esegui-ti da Bouzida; una serie di passaggi/spunti già sentiti nei suoi dischi e inquelli dei maestri, un tentativo pocoriuscito di creare finalmente - ammes-so che sia poi questo l'intento del mu-sicista (un polistrumentista che neidischi tende a fare tutto da solo) - uncd di canzoni. Genere questo, moltospeciale, con regole e percorsi bendelineati. Piacerà molto ai neofiti del-l’hammond funk contemporaneo.

SI INTITOLA So Clear (Unique UNIQ183-0), il terzo disco degli spagnoliSweet Vandals. Rispetto al pecedenteLovelite, segna un ulteriore passo avan-ti verso il disegno di un soul pop tuttoincardinato dentro la voce gospel diMayka Edjole, un po' Esther Phillips,un po' Janis Joplin, un po' Dusty Sprin-gfield; l'irruenza di pezzi passati comeThank You for You, è mitigata stavoltada una rotondità di suono in cui si in-seriscono l'hammond e la tromba diSantiago Vallejo, e una pletora di cori-sti madrileni. Tra i brani spicca il groo-ve sensuale di Move It on, la spigolosi-tà di Listen for a while o You Reapwhat You Sow. Gli Sweet Vandals sonola soul band più nota in Spagna, alcentro di un mondo che include daGecko Turner a Makala ai Cherry Bop-pers. Si definiscono «dirty club sound»e il nuovo disco conferma. La stessadefinizione si attaglia anche a Bluebird

& Skoko, duo (anche nella vita) che neldisco Trust Your Mojo, Sista decostrui-sce il rock e lo re-impianta su un corpoblues, a tratti sognante (This Soul IsMine) a tratti ispido e scomposto(Mama's Blues). Il pezzo che dà il tito-lo al disco danza in equilibrio tra Mud-dy Waters e l'irruenza dei «Cramps de-celerati»; tra intrecci vocali (sensualissi-ma Elena Skoko, ex Cut) e schitarrate-mojo. Di padre in figlio e ritorno. DaRoberto ’Bluebird’ Ruggeri a Mattia(Ruggeri) che pubblica il cd Sing-a-long, registrato a Bali. Qui il suono èpiù tenue e in chiaroscuro; con riman-di a Jack Johnson o Ben Harper easpersioni di umori hawaiiani. Mattiasarà in tourneé in Francia, Spagna ePortogallo in agosto e settembre. En-trambi i dischi - distribuzione Audioglo-be - escono per la OmOm Music (info:http://www.omomworld.com).www.myspace.com/francescoadinolfi

ULTRASUONATI❙ ❙ M O N D O E X O T I C A ❙ ❙

Bonghi e vulcani blues.Il mojo del Vandaloti seguirà per sempre

BEPPE GAMBETTALIVE AT THE TEATRO DELLA CORTE/THE FIRST TEN YEARS (Gadfly

Records)

8Nel 1988 Beppe Gambetta, signore della seicorde acustica, decise di andare negli States aincontrare i maestri del suono nordamerica-

no. Una chitarra, uno zaino, un antenato dei registratoridigitali d'oggi grande come una valigia. Ne scaturì undisco mirabile, Dialogs, ma era solo l'annuncio di quan-to sarebbe successo poi: ricognizioni storiche sui virtuosidelle corde del Novecento, adattamenti per chitarra dal-le opere, curiosità coltivate, e risolte, sulla musica del-l'Est europeo e l'immenso repertorio popolare italiano.Con una spruzzata di De André a condire il tutto: e nonper moda, ma per saggia cocciutaggine nel far conosce-re un grande poeta del Mediterraneo anche a chi crededi ascoltare pura country music americana. Perché Bep-pe suona in stile flatpicking, tutto a plettro, nota pernota: forse il miglior specialista d'Europa. Da oltre diecianni riesce anche (a proprio rischio) a far confluire ilmeglio della chitarra acustica mondiale a Genova. Unafesta senza primi della classe, un'atmosfera senza egualinella Penisola. Il meglio lo ha raccolto qui: venti ospiti,anche se un doppio cd ci sarebbe voluto tutto. (g.fe.)

RICCARDO TESI & BANDITALIANAMADREPERLA (Visage/Ma.So.)

8Il passo del lavoro lo stabiliscono già i versi iniziali: «Era avventura escommessa una barca sul mare/era imbrogliare alle carte un pugno disale». Sono tratti da Origami, brano d'apertura del nuovo lavoro della

Banditaliana di Riccardo Tesi, e per le orecchie indurite a comando di chi si circon-da di Soli delle Alpi si torna a parlare di quando sul fondo fetido delle navi c'erava-mo noi, emigranti per forza. Ancora una volta, e accompagnato da una pattugliad'amici musicisti eccellente e solida, torna Riccardo Tesi con il suo progetto più

«rock» e «cantautorale»: diciotto anni d'esistenza, una maturità conquistata colpo su colpo. Anche se come al solito, sitratta d'intendersi sui termini, rock e canzone d'autore: Banditaliana è un percorso, un transito, un profumo e un aro-ma popolare senza le trappole mefitiche della nostalgia, è rock senza corazza posticcia. Anche a costo di non cantaresorti «magnifiche e progressive» al tempo di internet: vedi il brano Ali virtuali. Che poi respiri gaelici e yiddish, arabi egitani diano ossigeno a questa creatura è dato di fatto ascrivibile al passaporto di Tesi, «cittadino del mondo». Ai com-pagni di sempre Claudio Carboni e Maurizio Geri s'è aggiunto il percussionista Gigi Biolcati, già nel Trio Alboran. (g.fe.)

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ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (17

Filtrata da una quotidiana intimità, la Roma anni cinquanta dello scrittore torinese risulta l’epicentro

della Mutazione in agguato. E questo libro già da lui stesso progettato, e composto di scritti estemporanei,

ne rispecchia il carattere metamorfico, tra una restaurazione soffocante e nuovi fremiti di protesta

Carlo Levi,«Gli amanti», 1950-’52,Udine, Galleria d’ArteModerna, coll. Astaldi

di Clotilde Bertoni

Spazio «mutevole e im-mobile, fermo e fugace, labile eeterno», «centro fatale di chiesa ecorruzione»: la Roma stratificata edisorientante, splendida e torva,passaggio cruciale per Goethe co-me per Stendhal, per Hawthornecome per James, ricompare filtra-ta non da un’esperienza eccezio-nale ma da una quotidiana intimi-tà, in scritti di Carlo Levi compresitra il 1951 e il 1963 (per lo più usci-ti su giornali e riviste, qualcunoinedito): ora raccolti, secondo unprogetto dell’autore, con il titoloRoma fuggitiva, in un’edizione ba-sata sulle carte originali (Donzelli,pp. XII-211, € 17,50), curata da Gi-gliola De Donato, illustrata da foto-grafie di Allan Hailstone, e accom-pagnata da una presentazione euna postfazione di Giulio Ferroni.

Come Ferroni rileva, il titolo,ispirato a un sonetto di Quevedo(che Levi attribuisce erroneamen-te a Góngora), sottende più sensi.È fuggitiva la città, o meglio sfug-gente a una definizione univoca:epicentro della mutazione in ag-guato, stretta tra lunghi immobili-smi e metamorfosi incoerenti; inbilico tra la restaurazione soffo-cante di cui Levi avverte la minac-cia già nell’Orologio, e nuovi fremi-ti di protesta; disarticolata tra lastasi del centro storico, i disagi del-

le borgate in espansione e i quartieri moderni nati da un ra-pace affarismo, «sfavillanti e avidi come dentiere». E fuggiti-va è altresì la scrittura, non solo perché vincolata alla misu-ra effimera e agile dell’articolo, ma perché anch’essa refrat-taria alla classificazione, imbastita (in linea con la tradizio-ne elzeviristica che fa capo ai Pesci rossi di Cecchi) su unatrama irregolare di impressioni, divagazioni e note autobio-grafiche, e fluttuante lungo una gamma di toni eterogenei,che peraltro tocca gradi di profondità ben diversi.

Molti pezzi scivolano scorrevoli tra gli aneddoti dilettocontinuo del Levi uomo di mondo (come ricordano i suoiamici Sartre e Simone de Beauvoir) e i colpi d’occhio soste-nuti dalla sua esperienza di pittore, sfiorando quindi sugge-stioni e paradossi della capitale con pennellate classica-mente accattivanti e provvisorie: le osservazioni di costu-me sul «turismo iperbolico» delle comitive, o sulla villeggia-tura estiva non più solo rito snob di goldoniana memoria,ma anche insofferente fuga di massa; gli avvicendamenti ditipi umani (sempre mediati dalla prospettiva un po’ pater-nalista già tipica di Cristo s’è fermato a Eboli), quali l’uscie-re decorato di guerra senza averne compreso la ragione, lagovernante ciociara «torreggiante e imperturbabile», il con-tadino lucano rapinato da finti poliziotti; gli scorci di quoti-dianità, che vanno dall’eroicomico combattimento controcinque gatti di un topo degno del Rubabocconi leopardia-no, alla «scena hemingwaiana» di una turista che esige unNegroni senza gin e una Roma senza italiani, all’aggressio-ne improvvisa e miracolosa diuna primavera che «diventa insie-me foresta e architettura con l’in-fiorata di Piazza di Spagna».

Ma spesso la scrittura si fa piùinquieta e pungente, intercettapiù da vicino le ambiguità del tem-po, serra la realtà esaminata inuna rete palese o sotterranea dinessi e contrasti. Un articolo diva-ga con sbrigliata libertà associazio-nistica sulle Olimpiadi del 1960(paragonando l’atleta Wilma Ru-dolph alla Nataša tolstojana, im-magine antonomastica di gioia divivere, e accostando più a sorpre-sa un altro velocista, Livio Berruti,a un diversissimo esempio dellesterminate potenzialità della giovi-nezza, Piero Gobetti); ma quellosuccessivo si ferma invece aspra-

mente sul loro contesto, descriven-do la speculazione edilizia che neha approfittato per deformare ipiani regolatori, la costruzione del-l’Hilton scempio definitivo diMonte Mario, la dilatazione della«tela di privilegio e interessi» tessu-ta dai «Luigini», i benestanti e cor-rotti filistei presi di mira già nel-l’Orologio. E la Piazza Navona ado-rata tappa di ogni effettiva o carta-cea passeggiata romana, figura daun lato come fulcro della perma-nenza, familiare teatro di rassicu-ranti consuetudini (il «frastuonopagano e agreste» della festa dellaBefana, dove il mutamento iniziaa insinuarsi solo attraverso i gio-cattoli giapponesi), dall’altro co-me scenario di strappi laceranti,

teatro a sorpresa dell’efferato «de-litto di classe» commesso dal risto-ratore Fernando Ciampini, chel’11 marzo 1962 uccide a colpi dipistola il ladruncolo Rossano Mo-scucci, sorpreso a rubare un’auto-radio: delitto di cui Levi evoca ellit-ticamente protagonisti e dinami-ca (sarebbe stato opportuno qual-che ragguaglio in merito nell’altro-ve accurato apparato di note), persoffermarsi invece sulle sue valen-ze, e scorgervi, sulla scia di un giu-dizio di Pasolini, una spia agghiac-ciante del disprezzo per il sotto-proletariato e delle velleità di giu-stizia privata che serpeggiano nelconformismo borghese.

Lo scavo nelle dissonanze dellacontemporaneità si intensifica nei

passi sulla popolazione della cittàe della provincia, vista da un latocome «populusque» compressodall’intima congiunzione con unpotere passato per incarnazionivarie (impero, chiesa, fascismo, go-verno democristiano), ma sempreincombente e repressivo, dall’al-tro come agglomerato dai volti dif-ferenti: collettività avvezza al disin-canto, sia rassegnazione sempiter-na o noia moraviana; «massa iner-te» per cui il voto è una nuova arti-colazione del rito dell’obbedien-za, che si accalca a sorbire l’elo-quenza manipolatrice di Andreot-ti (assimilato ai personaggi sten-dhaliani imbevuti di «fredda pas-sione del calcolo politico» e «di-sprezzo fondamentale dell’uo-

mo»); ma anche «cosa viva, pienadi forza nascosta», serbatoio dienergie giovani in grado (come di-mostrano le più volte evocate mani-festazioni di Porta S. Paolo, partedella protesta contro il governoTambroni che insanguina l’Italiadel 1960), di sfondare le «muraglietradizionali» dell’indifferenza.

Levi spinge l’esplorazione dei fe-nomeni dell’epoca anche alla sferaa lui più prossima, con l’articoloCalcio e letterati, divertito e diver-tente racconto di una telefonata aBassani, in cui il proprio desideriodi dare degna voce al giudizio sul-l’appena comparso Giardino deiFinzi-Contini urta contro la sma-nia dell’amico di tornare alla visio-ne televisiva della partita Real Ma-

drid-Juventus; peraltro, rifiuta di ri-cavare dall’episodio «lunghe consi-derazioni sugli aspetti della civiltàdi massa, sui caratteri dell’aliena-zione», per sottolineare invece i «ri-sultati quasi incredibili di umiltà»che questa civiltà può generare:non solo canzonando così un ger-go sociologico già imperversante evacuo quanto le mode che studia,ma anche dissacrando l’autorevo-lezza ancora ambita dagli scrittori,smontando le loro pretese di supe-riorità sul proprio tempo. È appun-to un implicito piglio autodissacra-torio, in fondo, il principio unifi-cante di questi articoli: deponen-do i panni dello scrittore per quellidel commentatore occasionale, ab-bandonando l’abituale tensione al-le rappresentazioni organiche e aipronunciamenti forti, mescolandovolubilmente emozioni poetiche eengagement indignato, fervore del-le esortazioni e aporie del dubbio,Levi insegue le contraddizioni diRoma e del periodo con un atteg-giamento contraddittorio anch’es-so, riflette i cambiamenti in unascrittura a sua volta cangiante, po-ne sulle transizioni in corso do-mande leggere o corrosive, comun-que restie a sciogliersi in conclusio-ni; scontato poi aggiungere che lerisposte loro fornite dalla storia nerendono oggi per noi il suono for-se più malinconico, sicuramentepiù interessante.

■ IN UN’EDIZIONE BASATA SULLE CARTE ORIGINALI, «ROMA FUGGITIVA» DI CARLO LEVI ■

Levi, contrasti romani

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■ «RITRATTI» ROMANI AI CAPITOLINI ■

Ideale o naturalistapurché immortale

di Caterina Mascolo

«Le fotografie possono raggiungere l’eternità at-traverso il momento» (H. Cartier-Bresson). Anche il ritratto diqualsiasi individuo, nell’antichità greca e romana, si presta aessere interpretato come un manifesto per l’eternità e comeun mezzo per sconfiggere la morte attraverso la salvaguardiadella fisionomia. Non va però trascu-rata la fondamentale funzione del-l’effigie con il personaggio ancora invita; basti pensare allo scopo celebra-tivo dei ritratti degli imperatori, che,sparsi e riconoscibili in tutto l’impe-ro, veicolavano una sorta di biogra-fia «facciale» autorizzata del dinasta,aspetto affrontato anche dalla mo-stra I ritratti Le tante facce del pote-re, ai Musei Capitolini fino al 25 set-tembre (a cura di Eugenio La Roccae Claudio Parisi Presicce). Ma cosasi intende per ritratto? Tre le condi-zioni fondamentali stabilite a suotempo da B. Schweitzer e in parteancora condivisibili: la raffigurazio-ne di un personaggio specifico, la ri-conoscibilità dello stesso nella suaunicità e la riproduzione non solo fi-sionomica, ma anche caratterialedel soggetto (del resto Cicerone con-siderava il volto «lo specchio dell’ani-ma»). Il ritratto romano si è da sem-pre configurato, nell’ambito dell’an-tichistica, come uno dei temi più di-battuti: già J. Wickhoff vi riconobbeuna delle forme artistiche più origi-nali e autonome dell’arte romana;da tale premessa gli studi degenera-rono in considerazioni razziali sullapresunta genuinità, tutta autoctona,dei volti della Roma repubblicana(IV-I secolo a.C.). La consistenza del-le presunte energie indigene è stataperò da tempo sconfessata, mentremaggiore attenzione si è prestata di

recente ai processi di rielaborazioneo semplificazione dei modelli greci.Così la sezione iniziale della mostra«Egitto, Grecia, Roma» consente uneccezionale, per quanto complesso(per archeologi e non), accostamen-to tra la ritrattistica dell’Italia centra-le in terracotta, bronzo e marmo e di-verse creazioni greche, come il ritrat-to del commediografo Menandro:ben si comprende allora come le for-mule fisionomiche e formali elabora-te in Grecia vengano recepite conprontezza, e affatto passivamente,sul suolo italico.

Un’altra erronea tendenza ha rico-nosciuto nel ritratto antico un’evolu-zione rettilinea, con esordi «ideali»culminati nel «naturalismo»/«veri-smo» dei tratti (termini spesso usaticome sinonimi, senza che lo siano).Eppure, non si può essere schemati-ci nel tracciarne la storia e non lo sipuò fare con i nostri parametri di giu-dizio; che errore, infatti, considerareun ritratto «ideale» come non indivi-duale (e di converso, pensare chequalche ruga basti a rappresentarecon fedeltà un personaggio!); piutto-sto, i due poli sono tra loro comuni-canti, a volte persino sovrapposti.L’ossessione di ricercare la verosimi-glianza in questi volti è poi tutta mo-derna: d’altronde, già Plinio il Vec-chio denunciava il crollo di popolari-

tà del ritratto somigliante… Semmai,le ricerche attuali tendono a cavillare– eccessivamente? – sull’aspetto for-male, vivisezionando ogni disposizio-ne di capigliatura mediante una pre-cisa conta dei riccioli per l’individua-zione dei tipi degli imperatori comedei «privati». Iper-reazione ai tentati-vi psicologizzanti di un tempo?

Se è meglio non cadere in faciliequazioni (una bocca serrata nel IIId.C.? Ovvio, è un’età d’angoscia!),le letture solo analitiche di questeimmagini consentono sì una preci-sa datazione al quarto di secolo,ma rischiano di trasformarsi in stu-di esangui e di trascurare l’impattodei ritratti sugli spettatori antichi.Nel catturare i tratti individuali diqualsiasi personaggio la realtà si in-treccia alla finzione, l’arte alla mi-mesi; i piani si amalgamano a talpunto da non consentire più una lu-cida distinzione tra i diversi intenti.La maschera «pirandelliana» ben siapplica specie sui volti dei potenti:la bocca serrata di un Traiano corri-sponde a un atteggiamento realeche fu dell’Optimus, o è piuttostoun piglio energico costruito ad arte,quasi a mo’ di spot elettorale? O an-cora, l’«espressiva volgarità» di Ve-spasiano ricalca i tratti di un provin-cialotto asceso alla porpora o miraa marcare quei requisiti di praticità

e concretezza necessari dopo la ca-duta del vanesio Nerone?

A proposito di maschere. È pro-prio da quelle in cera degli antenati,tanto efficacemente descritte da Poli-bio – altrimenti sconosciute per via ar-cheologica, se non in pallidi riflessi –,che l’esposizione prende avvio, sno-dandosi poi attraverso altre sezioni te-matiche. Possono principi e privatiuniformarsi agli dèi, almeno sul pia-no figurativo? Come si ricostruisconole fisionomie di illustri predecessori ecelebri personaggi (Omero, Esiodoetc.) senza che se ne conoscano i pre-cisi tratti? Quale il linguaggio dei cor-pi, delle vesti e degli attributi? Le testeche spesso ci paiono mozzate vannoinfatti ricollocate su statue stanti invarie pose, in abiti civili, loricate o nu-de; ciascuna tipologia comunicavaun insieme di messaggi che consenti-vano allo spettatore antico di inter-pretare l’immagine senza – o quasi –margine d’errore. Ancora: la tenden-za a copiare le mode dei v.i.p. (ossia, imembri della famiglia imperiale) si ri-scontra anche nel mondo romano:l’adesione ai modelli è tanto entusia-sta da non limitarsi, in alcuni casi, asoli prestiti d’acconciatura, ma daestendersi persino alle stesse fisiono-mie. Ecco dunque perché tanti picco-li Traiani di ogni ceto sfilano in mo-stra, assecondando una tendenzache oggi avrebbe dell’inquietante: ba-sti immaginare ogni cartellone pub-blicitario con i volti calcati su quellodel leader politico di turno…

Una Vanity Fair è infine assicura-ta dalle matrone romane, algide ebelle come dee, pettinate con visto-se ed elaborate acconciature che sispingono fino al kitsch estremo (peril nostro gusto): sensuali corpi divi-ni – replicati da statue di Afrodite,ad esempio – in un curioso pa-tchwork possono infatti abbinarsi ateste persino di anziane. In conclu-sione, la mostra funziona sul pianoestetico/scientifico, e il voluminosocatalogo si pone come un preziosovademecum non solo per l’allesti-mento, ma anche per l’intero statodella questione.

Nella scorsa puntata abbiamo os-servato da vicino un pezzo d’Italiaper poi seguirne le drammaticheproiezioni nascoste nei confiniorientali della nuova Unione Euro-pea allargata a 27. Nella puntatadi oggi proveremo invece a inol-trarci nei confini interni, caotici esovrapposti dell’Italia di questiultimi anni. Partiamo con la scuo-la. Nella sua ultima raccolta diarticoli (Zone grigie. Conformi-smo e viltà nell’Italia di oggi, Don-zelli, pp. XIII-224, € 16,00), Goffre-do Fofi dedica un capitoletto acu-to, ma anche controverso, proprioal disastro della scuola pubblica.L’analisi è impietosa, ma non origi-nale. All’orizzonte si intravedono isoliti fari, Ivan Illich e Pasolini. No-te le tesi di fondo: la scuola dimassa non serve a nulla, anzi èdannosa. Basterebbero delle buo-ne scuole elementari per tutti epoi, magari, forme intermedie dispecializzazione. Sarebbe beneinsegnare poche cose, ma fonda-mentali. Soprattutto, attraversol’esempio degli adulti e di chi inse-gna, radicalità e buon senso. Einvece, per Fofi, la scuola pubblicaè andata in tutt’altra direzione,attirando a sé un ceto pedagogicocomposto da persone attratte mol-to più dal posto fisso che daun’autentica «vocazione». Così difronte allo strapotere dei nuovimedia e a una forma di culturadiffusa che poco c’entra con laconoscenza e molto, invece, con«l’asservimento volontario al non-pensiero», una scuola guidata dainsegnanti poco formati e senzavocazione si è rivelata, come eraprevedibile, argine inconsistente.Qualcosa di nuovo potrà forsearrivare solo quando la massa diprecari della scuola inizierà a ribel-larsi anzitutto all’umiliazione cultu-rale, e non solo economica, chesubisce. L’analisi di Fofi non miconvince su un punto, che però ècentrale. Non credo che il degra-do della scuola pubblica possaessere imputato solo al ceto peda-gogico; semmai a quanti hannovoluto che quel ceto fosse pocoformato, poco selezionato e pocopagato. Nietzsche sosteneva chese si vogliono schiavi è assurdovolerli educare da signori. Che ildegrado della scuola pubblicaitaliana sia anche una rispostapolitica delle nostre oligarchie allaconflittualità di massa del lungo’68 italiano? È un discorso lungo.Ne parleremo un’altra volta. E tut-tavia leggendo Quelli che però èlo stesso di Silvia Dai Prà (Laterza,pp. 162, € 10,00) mi è sembratoproprio di riconoscere quella stes-sa immagine di insegnante preca-ria su cui Fofi punta ancora, nono-stante tutto, qualche carta. Un’in-segnante che sa di non contarenulla, che non vuole salvare nes-suno, che lotta per conquistarsi afatica un po’ di equilibrio e, per-ché no, un po’ di saggezza; e ches’innamora inaspettatamente delsuo mestiere. Il racconto è un’au-tofiction. Descrive la discesa agliinferi di una giovane professores-sa precaria in un istituto professio-nale di Ostia, all’estrema periferiaromana. Entriamo in una vera epropria zona di frontiera. Da unaparte gli studenti: immigrati chenon parlano italiano, giovani rasa-ti con il mito di Mussolini, ragazze

vestite in modo assurdo, piercing,tatuaggi, creste e ipod ovunque.Dall’altra il «ceto pedagogico»,fatto di precarie guerriere, ideali-ste e ferocemente antiberlusconia-ne, come Marta; di signore di mez-za età benestanti, ciniche e frustra-te; di giovani padri divorziati, sen-za soldi perché precari da decen-ni, come il bell’Emiliano dagli oc-chi azzurri. Il libro è spassoso, di-sincantato, a tratti inquietante, atratti commuovente. Silvia è insie-me attratta e inorridita dai suoiallievi. Cerca di capirli, spesso nonci riesce, spesso non sa comecomportarsi. Si commuove. Liodia. Per esempio con Thomas,che ama Pascoli e Saba e ha impa-rato perfino a memoria qualchepoesia, non sa proprio che fare.Lui è un fascista convinto, credenella violenza contro i «comuni-sti», partecipa a risse, onora impro-babili modelli di virilità guerriera.Un suo amico è già in carcere peromicidio. Lui lo giustifica: ha ucci-so una zecca comunista. Silvia èinorridita, ma cerca più volte dicapire, di farlo ragionare, ma nonriesce. «Io non la so continuare,questa conversazione. Non hol’ipocrisia necessaria a risponder-gli: non si fa e basta; non ho lafede che mi permetterebbe diprospettargli il paradiso e l’infer-no; non l’ho la preparazione eti-co-politica di Theodor W. Adorno,né sono una psicanalista – nonsono neanche un maschio, haragione: non capisco». E tuttavia iragazzi la affascinano, attraversole loro storie assurde, tragiche,deformi capisce sempre di piùquale sia il potere magnetico del-la giovinezza. Lo spiega in unadelle pagine più belle del libro.Siamo a giugno. Sono finiti gliscrutini. Silvia è in un ristorante dipesce a Ostia, sul mare. Chiacchie-ra con Emiliano che la tormentacon i suoi problemi da giovanepadre divorziato senza soldi. Men-tre parlano, Silvia vede Daniel, unsuo atletico allievo mezzo rume-no, che a dieci metri da lei si eser-cita nello sport dell’estate: il«parkour». Salta a testa in giù daun muretto alto tre metri facendodue salti mortali e altre acrobazie.Che senso ha? Cosa vuole dirlel’immagine che blocca in un istan-te le vite di questi due uomini, lostudente spavaldo e l’adulto fru-strato? «Io mi dico che è proprioquesto quello che invidiamo aigiovani, quello che ci fa vestirecome loro anche a costo di essereridicoli, quello che inutilmente ten-tiamo di riesumare spendendocapitali in creme antirughe e ininterventi chirurgici – quegli enor-mi spazi vuoti che albergano den-tro di loro e lasciano spazio allescintille: alla voglia di essere qui,nel sole, a buttarti giù da un casot-to alto tre metri con una doppiapiroetta nonostante tua madrefaccia la colf in nero e tuo padrechissà quand’è l’ultima volta che siè visto». Claudio Giunta ha scritto,in una recensione di qualche setti-mana fa, che Quello che però è lostesso è un libro importante, ne-cessario almeno quanto Gomorra.Sottoscrivo, con una differenza: laDai Prà sa scrivere meglio di Savia-no, ma soprattutto ha una qualitàfondamentale che al nostro pur-troppo manca: l’autoironia.

Ritratto femminile, cd. Testa Fonseca,inizio II secolo d.C., Roma, MuseiCapitolini, foto di Zeno Colantoni

U N ’ A N T R O P O L O G I A F L U I D A / 3

Scuola: Fofi, Dai Pràe il ceto pedagogico

di Daniele Balicco

Fu Wickhoff

a riconoscere

nel ritratto

una delle forme

artistiche

più originali

dell’arte romana.

Oggi si presta

maggiore attenzione

ai processi

di rielaborazione

dei modelli greci.

Questo allestimento,

ricco di confronti,

è anche l’occasione

per fare il bilancio

degli studi

18) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

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■ UN LIBRO DEL FILOLOGO TEDESCO BRUNO SNELL (1896-1986) ■

I Greci da Amburgo

di Roberto Andreotti

Perché mai oggi dovremmo tornare aleggere Bruno Snell? La sua idea di Classico impre-gnata di universali è ancora operante dopo tantianni, o invece è una moneta fuori corso o, tutt’alpiù, un inutile oggetto d’affezione?Che fondamento scientifico è anco-ra in grado di garantirci la sua erme-neutica «dagli effetti deformanti» –come ha lucidamente dimostratoBernard Williams –, tesa a dimostra-re che se i greci di Omero non ricono-scono un certo elemento, allora que-sto «per loro non esiste»?: così, adesempio, non avendo a disposizionecorrispondenti termini lessicali, glieroi omerici risulterebbero privi delconcetto unitario di «corpo», di «ani-ma», di identità personale; sarebbe-ro incapaci di prendere decisioni;avrebbero «una esperienza etica pri-mitiva, priva di moralità»... Mettia-moci per un attimo nei panni di unodegli studenti che in questi giornidanno la maturità, il quale intendaproseguire nello studio delle lingueclassiche per farne il fulcro del pro-prio sviluppo culturale, umano, pro-fessionale: a che altezza egli dovràcollocare l’ideologia archetipica egreco-centrica di Snell, trovandosi vi-ceversa nella prospettiva di un Occi-dente ibridizzato che ha messo in di-scussione non solo l’‘univocità’ delleproprie radici, ma la stessa legittimi-tà culturale delle radici?; e nel qualeil Classico come matrice primigeniaed esemplare della cultura europeaha lasciato il campo a un ripensa-mento pluralistico dei modelli?

A provocare questi e altri interro-gativi è la pubblicazione inattesa diun libro del celebre filologo tedesco(1896-1986), arrivato sulla scrivaniagiusto il giorno del Venerdì Santo:con un tramonto ad Agrigento diFriedrich su una veste dai toni bassiprettamente universitaria (sembra-no xerox-copie anni ottanta rilega-te). Dunque un fatto di ordinaria at-tualità, ma di un’attualità quasi sen-za tempo, stando alla dedica in fron-tespizio (omnibus qui studia classicaamant), per la cui comprensione sa-rà utile accendere perlomeno qual-

che lampadina di storia della cultu-ra. Il volumetto in questione riunisceper il lettore italiano due saggi diSnell mai prima tradotti: Noi e gli an-tichi Greci, Nove giorni di latino(Pàtron editore, a cura di MarilenaAmerise, pp. VIII-154,€15,00). Si trat-ta di due testi di natura diversa, en-trambi risalenti agli anni cinquanta.Solo il primo di essi, pubblicato inGermania nel 1962, è propriamenteun saggio. La sua scansione – comecorrettamente dichiara l’autore – ri-sale in parte a una serie di contributiprecedentemente apparsi in rivista ociclostilati: «Regole e libertà nella lin-gua» (ma quanto pesa, qui, la‘mancanza’ di Benveniste…); «Osser-vazioni sulle teorie dello stile», sul re-lativismo storico delle esperienze edelle teorie estetiche; «Cultura gene-rale e scienze naturali», sulla nozio-ne occidentale di scienza come diret-to frutto della filosofia greca; «Svilup-po di una lingua scientifica in Gre-cia», col graduale passaggio dal con-creto all’astratto, e così via. A quel-l’epoca, specialmente in Germania,era molto attuale – per dirla con il di-scepolo Erbse – «la discussione sulvalore dell’educazione umanistica»,

con inevitabili ricadute soprattuttonel campo degli studi classici. Snell,che aveva maturato progressivamen-te un punto di vista anti-hegeliano, epreso le distanze dall’influente «Ter-zo umanesimo» di Jaeger (come haspiegato molto bene Diego Lanza),vedeva negli antichi Greci l’archeti-po cui ricondurre parabole di «pro-gresso e declino» e schemi di stili, lin-guaggi e soluzioni formali sentiti pe-rò come degli stadi evolutivi lungoun ideale vettore di sviluppo della ci-viltà, dove letteratura e arti figurativesi rincorrano in un suggestivo ma ri-schioso testa a testa. Così, ad esem-pio, un cavallo fremente del Parteno-ne sembrerà a Snell molto più «ani-mato» di certe teste umane antico-egiziane, anche se i Greci – concludecon apprezzabile cultura pittorica –,non avevano ancora imparato a «sen-timentalizzare» gli animali come fa-rà, molti secoli dopo, Landseer. Eccoun passo abbastanza sintomaticodel suo periodare: «Che un alberonella neve getti un’ombra blu, ciascu-no oggi lo vede, ma quando io eroun bambino molti ancora lo conte-stavano ai pittori impressionisti. E co-sì come questa parte di natura ha do-

vuto essere scoperta, tutto ciò chenoi chiamiamo “natura” è stato ac-quisito alla consapevolezza umananel corso della storia (…) La naturagrande, libera, il paesaggio che solle-va lo spirito, c’è soltanto da quandoPetrarca per primo salì su un monte,il monte Ventoso in Provenza (…).La natura intesa come kosmos ordi-nato (…) solo da quando i filosofi gre-ci la postularono…» (p. 68).

Sia tatticamente, sia stilisticamen-te (Erbse esalta la «chiarezza espositi-va» di queste pagine, tanto più stra-nianti se paragonate a certo saggi-smo fumoso che ci tocca in sorte og-gi), siamo insomma all’altezza delloSnell maggiore de La cultura greca ele origini del pensiero europeo, il fa-moso saggio uscito in prima edizio-ne a Gottinga nel 1948 con un titoloancora ‘hegeliano’: Die Entdeckungdes Geistes, ‘la scoperta dello spirito’.Einaudi lo tradusse quasi sùbito, macambiandogli l’abito. Probabilmen-te lo spirito in copertina avrebbe cre-ato perplessità e grattacapi, mentregli inglesi se la cavarono con il menocompromesso Mind. Una risaputasentenza dello stesso Hegel può aiu-tarci a fotografare, con un solo scat-to, il background filosofico di quelfortunato libro: «Presso i Greci ci sen-tiamo subito in patria (heimatlich),perché siamo sul terreno dello spiri-to… Lo spirito europeo ha trascorsola sua giovinezza in Grecia: da ciòl’interesse di ogni persona colta pertutto ciò che è greco». Solo puntan-dogli una pistola alla tempia oggi sitroverebbe qualcuno disposto a sot-toscrivere quest’immagine.

Di tutt’altra natura, come detto, èil secondo dei testi tradotti in questaoccasione, e cioè la sbobinatura diuna serie di lezioni radiofoniche peril Terzo programma tedesco, tenuteda Snell a partire dalla sera del Nata-le 1954, sull’importanza strategicadel latino e su alcuni aspetti rilevantidella cultura letteraria latina, da Ca-tullo alla retorica ciceroniana a Ovidio, fino ai Carmina Burana,con annessa piccola antologia di esempi. Anche qui l’attitudinealla limpidezza del dettato ci fa essere indulgenti su qualche ine-vitabile disaccordo storico-critico, ma le parti più attraenti pernoi restano quelle in cui Snell si concede, sempre con stile, qual-che spicchio di vissuto: il liceo Johanneum di Lüneburg frequen-tato da ragazzo, «dove sibilava la ghigliottina» della traduzione al-l’impronta («continua tu ora…»); la cosiddetta battaglia delle for-me, cioè le gare di latino in classe prima dell’estate; i compiti acasa con l’aiuto del padre, psichiatra, che però sbagliava gli ac-centi e gli spiriti di greco…

Non abbiamo ancora detto come è nato questo Snell italianoproposto fuori stagione dai classicisti bolognesi: non è del tuttoirrilevante per intuire che alone deve avere accompagnato ilgrande filologo tedesco nella sua lunga vita. Qualcosa trapela dal-le pagine introduttive e si tratta, in perfetta sintonia con la philíache impregnava le sue ricerche, di una curiosa staffetta umanisti-ca. La spinta a tradurre in italiano questi testi risalirebbe infattiallo stesso Hartmut Erbse (1915-2004), il discepolo di Snell. Erb-se conobbe Snell nel ’37, rimanendone segnato per la vita, al-l’università di Amburgo, dove il maestro si distingueva anche nel-la resistenza al nazismo. Ormai vecchissimo Erbse ospitò aBonn una giovane antichista italiana, Marilena Amerise appun-to, che insieme a lui, quasi cieco, leggeva proprio queste paginedi Snell per migliorare il proprio tedesco. Nel frattempo è scom-parso Erbse e infine anche l’ultima staffettista, prematuramentefotografata da sorella morte sulla soglia di un convegno pontifi-cio – come ricorda il cardinal Ravasi nell’epicedio che apre il li-

bro da lei così amorevolmente cura-to. Nessuno dei protagonisti di que-sta catena degli affetti si è dato curaperò di sottoporre a una elementareverifica storico-critica i «valori» affi-

SEGUE A PAGINA 20

BERSAGLIC L A S S I C I

SCICCHITANO,D’ANNUNZIOE LA GRECIA IBRIDAdi Massimo Natale

C’è un’inquieta nostalgia ellenicache si allunga sull’Europa romanti-ca, e più oltre, verso quella moder-nità ormai compiuta o quell’«epo-ca tarda», diceva Bachofen, cuimancano la «freschezza giovaniledell’esistenza» e la capacità di ricre-are simboli e miti propria dell’Anti-co. Su questa stessa onda anche latradizione italiana cerca una suairrinunciabile e antica maternitàoriginaria: la cerca in Grecia, a parti-re da Foscolo e Leopardi, fino alCarducci delle Primavere elleni-che, pronto a ribattezzarsi «degliEoli sacri poeti / ultimo figlio». O lacerca a Roma, su scia latina (sottol’auspicio di quel Virgilio che alme-no da Dante in poi è cooptato aforza tra i genitori del seme itali-co), soprattutto con Giovanni Pa-scoli. Novissimo tra i novissimi saràla terza delle nostre ‘corone’ otto-centesche, Gabriele D’Annunzio:ed è a questa sua preziosa genea-logia che guarda il libro di Emanue-la Scicchitano, ’Io, ultimo figlio degliElleni’ La grecità impura di Gabrie-le D’Annunzio (ETS, pp. 216, €18,00), nel quale l’intenzione anti-ca del pescarese – fra i primi a inte-ressarsene c’era non a caso, neglianni sessanta, un classicista comeCarlo Diano – è affrontata facendofruttare la chiave della mescolan-za, cioè rileggendo l’arco ampiodelle sue scritture come una sortadi ritorno a una Grecia che è ap-punto terra magica di ‘mescolanzevietate’ – e sognate, nella Lausvitae, «sul lito d’Eternità» –, il luo-go di una purezza ossimorica per-ché «perseguita attraverso l’ibrida-zione di tutte le forme». La Greciadi Dioniso, molto più che di Apol-lo, e a cui lo sguardo dannunzianosi rivolge, con forte vocazione anti-storica, ponendosi sin da Primovere il problema della «sopravvi-venza del mito e del sacro nellaletteratura moderna». E lo fa, D’An-nunzio, dialogando con un coro di‘esuli’, di appassionati lettori degliantichi, a cominciare da Nietzsche– certo frainteso o radicalizzato,ma importante nel fargli intravede-re il lato più oscuro e arcaico delMediterraneo, lontano dal chiaroremarmoreo della Grecia winckel-manniana – per arrivare al riuso ealla corrosione vitalistica che si dà,nella sua lirica, della lezione car-ducciana (e Carducci infatti si erascelto come nume tutelare, moltopiù che Dioniso, la calma grandez-za di Saffo e di Alceo). Ma se unritorno pieno all’Ellade si rivela ir-raggiungibile – risolvendosi nellaretorica neoclassica o nella insana-bile follia di un Hölderlin –, è solol’ipotesi di una grecità spuria e con-taminata che resta praticabile: unagrecità che accolga sul suo troncol’innesto indigeno, come nell’Esem-pio italico del genio vittorioso, incui l’essenzialità della forma elleni-ca abbraccia il desiderio italiano diascensione al molteplice e all’igno-to: così, ecco affiancarsi ai padriantichi figure-mito nostrane qualiDante, Leonardo, Michelangelo eGiuseppe Verdi: simbolo, quest’ulti-mo – e dedicatario, nel 1901, diun’ode in mortem – di un eroismointellettuale che, per D’Annunzio,non ha mai rinunciato a sfidare laprotagonista segreta di ogni ritor-no europeo all’Antico, e del tentati-vo moderno di riappropriarsi dellavita: la Natura.

Inattesi giungono due saggi anni cinquanta dell’autore de «La cultura greca

e le origini del pensiero europeo». Si sarebbe tentati di farsi ipnotizzare

dalla elegante ideologia «classicista» di questo maestro, già resistente al nazismo:

ma la sua Grecia archetipica non ha più spazio nella nuova koinè multiculturale

Atene, il «Theseion»fotografato da PascalSébah verso il 1874.In alto, Bruno Snell

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di Benedetto Vecchi

Eric Hobsbawm è lo sto-rico che, subito dopo il crollo delMuro di Berlino, mandò alle stam-pe un libro il cui titolo, Il secolobreve, è divenuto espressione tipi-ca per indicare il Novecento. Inquel saggio venivano individuatetre «età» per scandire gli anni chevanno dal 1914 al 1991. La prima,quella della «catastrofe», indicavala prima guerra mondiale e la lun-ga stagione del fascismo, del nazi-smo e della seconda guerra. Allacatastrofe seguiva però un perio-do chiamato «dell’oro», durante ilquale il capitalismo aveva cono-sciuto una fase di ininterrotto svi-luppo economico, la fine del colo-nialismo e, in Europa, il welfarestate. Da quel momento fino al1991 il mondo era però entratonell’età «della frana», che ha avu-to come apice il crollo del sociali-smo reale e la prima guerra delGolfo. In tutto il saggio, lo storicoinglese metteva sempre in rappor-to di causa ed effetto la forza poli-tica del movimento operaio conla tendenza del capitalismo a in-novare se stesso per arrestare ladiffusione del comunismo nelmondo. Nel «secolo breve», tutta-via, il marxismo è ritenuto da Hob-sbawm una delle grandi narrazio-ni novecentesche, come del restoaveva più volte affermato nei sag-gi scritti per la Storia del marxi-smo, ambiziosa opera da lui coor-dinata per l’editore italiano Einau-di. Tesi smentita dall’ultimo de-cennio del Novecento, che ha in-vece visto il suo declino. Il crollodel Muro di Berlino, oltre a seppel-lire il socialismo reale, condanna-va quindi a un triste oblio l’operae la tradizione del marxismo.

Il mondo era entrato nel lungoinverno neo-liberista fino a quan-do, nel 2008, la crisi economica

globale ricordò a tutti che il capita-lismo non era poi quel miglioredei mondi possibili a cui non erapossibile opporre nessuna alterna-tiva. L’«Economist», cioè il bigna-mi settimanale del neoliberismo,invitava invece a rileggere Marx,cioè quell’autore messo sì all’indi-ce, ma tuttavia capace di indicarenella crisi non un incidente di per-corso, bensì un elemento imma-nente allo sviluppo capitalistico.Come scrive Hobsbawm nell’in-troduzione del libro prontamentetradotto da Rizzoli Come cambia-re il mondo Perché riscoprire l’ere-dità del marxismo (pp. 466, €

22,00), il revival attorno a Marx hauna conferma nella Rete, vistoche se si digita il nome dell’autoredel Capitale sul motore di ricercaGoogle, il numero delle pagineche fanno riferimento al filosofodi Treviri è di gran lunga superio-re a quelle dove sono citati i gurudel modello economico neoliberi-sta (Milton Friedman e FriedrichAugust von Hayek, ad esempio).

Con molta ironia, lo storico in-glese annota che l’invito a risco-prire Marx non viene da intellet-tuali radical o vicini a qualche par-tito di sinistra, bensì da giornali eopinionisti da sempre apologetidel libero mercato. Eppure ilMarx che viene evocato a ridossodella crisi innestata dai subprimenon è il critico dell’economia poli-tica, né lo studioso che chino suilibri della British Library prendeappunti per mettere a fuoco le di-namiche dell’accumulazione pri-mitiva, della legge del valore-lavo-ro, del plusvalore assoluto e relati-vo, della rendita. Il Capitale, iGrundrisse non vengono mai no-minati, mentre molta enfasi vienemessa su alcune parti, quelle me-no politiche, del Manifesto del par-tito comunista. Marx è semplice-mente relegato nel ruolo di profe-ta della crisi del capitalismo e del-la sua tendenza a globalizzarsi.Hobsbawm non sottovaluta i ri-

schi di una normalizzazione delpensiero marxiano, ma mette tut-tavia in evidenza che gli editorialidell’«Economist» pongono fine al-la demonizzazione del pensiero

marxiano e che si può dunque tornare a studiare il «fantasma» tedescosenza incorrere nella condanna preventiva dell’establishment culturaleche per vent’anni lo ha dipinto come una delle fonti di quel male assolu-to che è stato il totalitarismo. Ma per tornare a Marx, occorre un’inizialecontestualizzazione storica della sua opera e della costellazione cultura-le che l’ha ispirata. Operazione indispensabile per verificare l’attualitàdella sua opera, ma anche per sottolinearne i limiti nello spiegare le di-namiche attuali del capitalismo. In fondo, Marx è pur sempre un autoreottocentesco e affermare l’attualità della sua opera significa innovarla.

Hobsbawm offre un riuscito esercizio di indagine storiografica che hail pregio di seguire sentieri magari già conosciuti, ma che comunqueconsentono di accedere a una visione panoramica inusuale dell’operamarxiana. È noto che Marx esplici-tò la costellazione culturale a cuifaceva riferimento – la filosofia te-desca, l’economia politica inglesee il pensiero politico francese –, eHobsbawm non le mette certo indiscussione, ma attraverso un at-tento lavoro filologico sugli scrittidi Marx rintraccia riferimenti a fi-losofi, economisti, teorici politicidell’Ottocento che rendono quel-la costellazione molto più affasci-nante di quanto non risultasse ha-dall’esegesi marxiana fino ad og-gi. Ad esempio mette in evidenzacome Marx sia stato fortementecondizionato da quel socialismoutopista che pure considerava il li-mite maggiore del nascente movi-mento operaio. Il suo rapporto èsempre ambivalente: critica forte-mente la fragilità teorica degli uto-pista inglesi, ma riconosce loro lagrande capacità di organizzare laclasse operaia, dandole così unaprospettiva politica. Allo stessotempo, trova nella Rivoluzionefrancese una fonte di ispirazioneper tessere la trama del suo pen-siero politico, ma oltre a Rousse-au, Saint-Just e i giacobini studiacon attenzione anche i testi dellecorrenti socialiste premarxiane,rintracciando in essi una critica al-la democrazia rappresentativache diverrà uno degli elementifondamentali della sua elaborazio-

ne teorica. Nel saggio sul sociali-smo premarxiano, Hobsbawmmette i testi di Marx in una relazio-ne «dialettica» con quelli dei socia-listi utopisti, evidenziando cosìuna costellazione culturale benpiù ricca di quella offerta da moltistudiosi marxisti. E quando affron-ta il rapporto tra il Marx dei «Ma-noscritti del ’44» e il Marx dellamaturità, lo storico inglese nonnasconde certo la sua adesione al-la tesi, maggioritaria tra gli studio-si, che il punto più alto della teo-ria marxiana è costituito dal Capi-tale. Mettendo in evidenza, però,che quello del filosofo tedesco èun laboratorio teorico sempre indivenire. Tutti i testi sono tassellidi un work in progress che nonpuò essere studiato secondo loschema della continuità o della di-scontinuità tra un’opera e la suc-cessiva. Nel capitolo dedicato allapubblicazione dei Grundrisse inInghilterra, Hobsbawm mette inevidenza che proprio quei «Linea-menti della critica dell’economiapolitica» esprimono al meglio il la-boratorio marxiano. Nei Grundris-se, sostiene Hobsbawm, Marx po-ne le basi del Capitale, definendoteoricamente gran parte dei con-cetti che svilupperà però successi-vamente, modificandoli, correg-gendoli.

In altri termini, l’opera marxia-na è un’opera aperta. Ma è pro-prio questa caratteristica che ren-de la gestione della sua ereditàuna scommessa teorica e dunquepolitica ancora da giocare. Del la-boratorio marxiano non c’è infattinessuno arcano da svelare. Il mo-vimento teorico indispensabilepuò essere riassunto da quella un-dicesima tesi su Feuerbach chetanto ha condizionato la tradizio-ne marxista. E se Marx scrivevache i filosofi hanno interpretato ilmondo, ora bisogna trasformarlo,adesso occorre affermare: «gli stu-diosi hanno interpretato Marx,ora si tratta di trasformarlo».

■ «COME CAMBIARE IL MONDO» DI ERIC HOBSBAWM ■ ■

Nuova lucesul revival Marx

SEGUE SNELL DA PAGINA 19

dati tanti anni fa a questi testi: veri-fica tanto più necessaria in quantola loro traduzione è destinata (an-che) a lettori giovani e comunquelontani dalla temperie in cui essifurono concepiti.

La difesa strenua del Classicocome umanesimo esemplare; laGrecia crogiolo dell’uomo euro-peo, e via dicendo, sono l’esito in-confondibile di una determinataideologia della Storia che non puòcerto essere riproposta oggi toutcourt, senza dare conto almenodelle obiezioni scientifiche mosse-le da autorevoli antagonisti comeLévi-Strauss o la scuola Gernet-Vernant-Detienne: a cominciareda quel «principio lessicale» cheWilliams ha smontato in pagine fe-roci e memorabili. Alcuni di questidispositivi di Snell, ormai definiti-vamente disinnescati, ‘tornano’nelle pagine ora svelate al lettoreitaliano. Per esempio le dimostra-zioni lessicali a proposito della‘conquista’ dell’astratto, o sulle ori-gini della congiunzione causale, ingreco; o ancora, quando si preten-de di abbozzare una teoria univer-sale delle arti che arrossirebbe seaffrontata anche solo alle pagineiniziali di Arte e illusione.

Si potrebbe obiettare che qui infondo lo scopo dei ragionamenti ètutto nobilmente proteso a tutela-re l’appannaggio della tradizioneclassica nella scuola (allora) mo-derna, vale a dire a difendere l’ar-chitrave dell’«uomo occidentale»(commovente la pagina di Snellsull’influenza esercitata dal Timeodi Platone sulla giovane mente delgrande fisico quantistico WernerHeisenberg). Non ci troviamo for-se anche noi, oggi, nella condizio-ne persino più drammatica di do-ver salvare l’insegnamento a scuo-la del greco, del latino e della sto-ria antica? Molto difficilmente pe-rò la classicità smagliante di Snell,così univoca e archetipica, avreb-be qualche chance di essere recepi-ta e metabolizzata in un quadro disaperi dove la nozione stessa di uo-mo occidentale – o quanto menoquella a cui si riferiva quella gene-razione – è andata in frantumi. Néi testi letterari e filosofici che Snellcon trasporto encomiabile ha stu-diato e in alcuni casi fissato in valo-rose edizioni, possono essere con-siderati dei preziosi gioielli per co-sì dire astratti dalla storia; la cuibellezza e verità sia arrivata miste-riosamente intatta sino a noi dopoavere solcato le onde del tempo(per usare una formula schemati-ca: storicità vs esemplarità).

È probabile che un pregiudizioanti-marxista sbarrasse al filologopensante Snell l’accesso a tuttauna serie di acquisizioni, dall’an-tropologia alla linguistica, che poidi fatto avrebbero modificato sindalle fondamenta il glorioso edifi-co ottocentesco delle Scienze del-l’antichità, e perciò anche la defini-zione di Classico nel panoramaepistemologico del dopoguerra.Oggi che si sono raffreddati i furoriideologici, e depurati certi eccessidi autoreferenzialità, possiamo va-lutarne meglio esiti e guadagni. Lalettura ‘anacronistica’ di questo li-bro di Snell riporta indietro le lan-cette, e ci fa sedere per qualcheora, in piena Guerra fredda, in unconfortevole salotto borghese tede-sco le cui finestre siano rimastechiuse da allora. In garage ci saràancora pargheggiato un indistrutti-bile Maggiolino VW, o più proba-bilmente un’elegante berlina conla stella a tre punte. Se non ci fac-ciamo stordire dalla macchina deltempo, possiamo portarci a casal’insegna e ricominciare daccapo:I greci e noi è ancora un buon pro-gramma di lavoro.

Dopo l’inverno

neoliberista

si è tornati

a parlare di Marx,

e lo hanno fatto,

in particolare,

i «nemici»

(l’«Economist»).

Adesso lo storico

inglese reinterroga

le carte e mette

in evidenza nessi

storici e vene

teoriche nuovi,

per un uso

del filosofo tedesco

più spregiudicato

e adeguato all’oggi

Karl Marx in una messinscenadi Christian Fregnetda «K.M. Le retour» di Howard Zinn

HOBSBAWM

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SCHMIDT

di Stefano Gallerani

Da quelli auto coniatia quelli successivamente tributati-gli dai suoi esegeti e più affeziona-ti lettori, davvero nel caso di ArnoSchmidt gli epiteti e le definizioninon si contano, espressione di vo-lontà e resa a un tempo di fronteal tentativo di condividere e diffon-dere un ritratto, il referto di unadelle esperienze letterarie più radi-cali e decisive del secolo scorso; dicontro, o conseguentemente, lacura editoriale dello scrittore tede-sco ha rimbalzato ora dal tentati-vo di canonizzarne l’opera sotto icartigli delle sigle più prestigioseora dalla necessità di affidare glisforzi a nuovi e meno grandi edito-ri i quali, soli, hanno dimostrato diavere la voglia e la pazienza di ren-dere pubblica – e disponibile – lasua opera.

Oggi, dopo Lavieri (che sotto ladirezione di Domenico Pinto aSchmidt ha dedicato addiritturauna collana, significativamentebattezzata Arno), è Zandonai adaggiungere un tassello prezioso al-l’incompleta bibliografia italianadell’autore (inaugurata da Einaudinegli anni sessanta e poi rimasta alungo negletta): come si può rico-struire dalla nota introduttiva diDario Borso (già curatore, oltreche di questa libro, di Ateo ? : Altro-ché!, insieme allo stesso Pinto), Pa-esaggio lacustre con Pocahon-tas (Zandonai, pp. 84, € 13,00)svolge un teorema cruciale nellageometria artistica schmidtiana:allestito dopo una permanenza dipochi giorni su un lago dell’Ol-demburgo, nell’agosto del ’53 (lostesso anno in cui si chiude la trilo-gia di Nobodaddy’s Kinder), Seelan-dschaft mit Pocahontas – pubblica-to nel 1955 per volontà dell’amicoAlfred Andersch – traduce l’inten-zione di Schmidt di animare una

forma di prosa inedita in grado direstituire il più fedelmente possibi-le la qualità sensibile dei ricordi at-traverso «varie “unità foto-testo”»che non si pongano, rispettiva-mente, come didascalia l’una del-l’altra, ma attivino un vero e pro-prio processo di genesi e mimesi.Pure, Schmidt è altrettanto consa-pevole che una trama convenzio-nalmente intesa come intreccio,snodo logico di eventi, non è ne-cessaria allo svolgimento di un si-mile corso verbale; ciò non toglieche i brevi paragrafi che compon-gono il Paesaggio corrispondano,a ogni modo, ciascuno a un episo-dio e che, sullo sfondo lacustre,dei nomi, e dunque dei caratteri,agiscano, dopotutto, come perso-naggi (che sono, per inciso, un im-bianchino che ha fatto fortuna euno scrittore senza occupazione).Entrambi gli elementi, però, con-vergono in «una chiara catena arti-colata» per «facilitare il lettore»non all’identificazione con unastoria bensì con un «vissuto» chedi quegli episodi e di quei perso-naggi significa non l’azione ma lacondizione; in altre parole, per faci-li consonanze con l’effrazione lin-guistica di Joyce (un accostamen-to, invero, più generico di quantonon sia proprio), le sponde del Pa-esaggio sono quelle del lago diDümmer ma potrebbero benissi-mo essere quelle della spiaggia diSandymount dove si svolge la lun-ga riflessione di Stephen Dedalusnel terzo capitolo dell’Ulisse; ulte-riore punto comune, sebbene siapiuttosto un pretesto per tornarea Schmidt, è la presenza, in en-trambi i testi, di due donne: le leva-trici in Joyce e le stenodattilografeincontrate dai protagonisti del Pa-esaggio lacustre con Pocahontasdurante la loro breve vacanza.Non pretestuoso è, invece, l’acco-stamento al tredicesimo episodiodell’Ulisse – detto di «Nausicaa»nello schema dattiloscritto daJoyce a Herbert Gorman – in virtù

di quella pulsione sensuale che èil correlativo soggettivo della natu-ra nel lungo racconto di Schmidt.Quest’ultimo aspetto, poi, valse al-l’autore, al momento della pubbli-cazione dello scritto su «Texte undZeichen», l’incriminazione per bla-sfemia e oscenità mossagli da ungiudice di Saarburg (vicino a Ka-stel, dove Schhmidt e sua moglieabitavano dal 1951) – accusa allaquale sfuggì trasferendosi a Darm-stad e, così facendo, sottraendosialla giurisdizione dell’allora bigot-to tribunale di Treviri.

Tutto ciò premesso – e posto, ri-guardo all’Ulisse, che quandoscrisse il Paesaggio lacustre con Po-cahontas Schmidt probabilmentenon conosceva ancora il capolavo-ro di Joyce –, per restituire il sensodi questo testo non sembra abbia-

no perso valore le parole con cui,nel 1966, in uno storico numerodel «Menabò» dedicato alla lettera-tura tedesca, Hans Magnus Enzen-sberger presentava lo scrittore diAmburgo: «Proprio quello che aicontemporanei parve spesso ma-nierismo e ghiribizzo, costituisco-no la loro rigorosa legittimità. Findagli inizi, Schmidt ha rifiutato e ri-nunciato al panorama storico, allaevidente obiettività del grande af-fresco. La sua prosa ignora la tota-lità. La sua prospettiva è estrema-mente soggettiva, il suo procedi-mento storiografico microscopi-co». Ciononostante – e magari pro-prio in forza di queste qualità –una volta che si decidesse a lasciar-si risucchiare dal flusso di paroleche agita i diciotto paragrafetti delPaesaggio si vivrebbe un’esperien-za di lettura che è innanzituttouna registrazione (nell’accezionemeccanica del termine) dei sensi,stimolati dalla molteplicità delleconnessioni, dall’acribia nella rico-struzione dei movimenti minimiche attraversano la pagina e, infi-ne, dall’esattezza del lemma taglia-to con mano esperta e sicura di il-luminato espressionista: «Vento fa-ceva tuffi a capofitto, e i cespuglijazzavano più distorti agli angolidei loro muri. Un tozzo sacco dinuvole strusciava attraverso il cie-lo, si lacerava in continuazione, alpunto che la juta grezza si sfilac-ciò e scivolarono fuori le lamieredi ottone: “Ma adesso spicciati !”»;o ancora, a suggello del rapportotra l’io narrante/scrittore e la datti-lografa ribattezzata Pocahontas,come una principessa indiana delSeicento: «Smisi e la posai di sbie-co davanti a me, finché la canoa sifermò. L’orizzonte ci ebbe nel suoastuccio piatto. Davanti a me spor-geva muta una rossa chilometrica,le ossute ginocchia ad altezza delcapo, il mento sul petto. Grosserondini passavano così vicino,quasi che il nostro posto fosse vuo-to, e noi non più presenti».

Quando si hanno le tasche vuotee le spalle scoperte c’è solo unmodo per fare cose che si deside-rano fortemente ma sono fuoriportata: svelare una disperata fac-cia tosta e metterla al servizio del-l’arte d’arrangiarsi tipica degli sbol-lettati cronici. In questo, GuidoFoddis manifesta un talento dav-vero speciale. Musicista precarioper professione, cicloamatore so-vrappeso per passione, scrocconeimpenitente per vocazione, lanciauna sfida apparentemente impos-sibile: compiere un viaggio di ol-tre 3000 km. al seguito del Girod’Italia senza sforare un budget di250 euro, vitto, alloggio e spesedi macchina compresi. Un pass dagiornalista di Radio Vespa gli con-sentirà di accedere alle aree riser-vate alla stampa – affollate dai«pennivendoli mantenuti dai quo-tidiani, per cui nutro sincera e ran-corosa invidia» – dove vari produt-tori enogastronomici locali mendi-cano briciole di pubblicità. Ma ilcolpo di genio è quello di inven-tarsi un ruolo di inviato per l’inesi-stente rivista culinaria Mangia Pia-no, incaricato di recensire piattitipici in luoghi tipici della provin-cia d’Italia in uno speciale insertodedicato alla celebre corsa a tap-pe, onestamente avvertendo cheil motto mangiapianista è «Senzala quantità, la qualità è nulla». Ov-vio che, visto il carattere itinerantedel suo incarico, inevitabilmentescandito dai ritmi del Giro, puòaccettare inviti a tavola solo seralie comprensivi di ospitalità per lanotte. Dunque, messa a punto lastrategia, si può partire per Il Giroa sbafo (ediciclo ed., pp. 224, €13,00). E poiché ogni impresadev’essere animata da un intentoche va oltre il soddisfacimento diun personale sfizio, eccolo: «Svele-rò a tutti gli stomaci vuoti quantocibo gratis si cela dietro le transen-ne della più importante corsa cicli-stica nazionale». Poiché, inoltre,l’ottimismo è necessario per af-frontare qualunque sfida, nellozaino vengono ripiegati pantaloniche hanno una taglia in più diquella abitualmente in uso, già diper sé abbondante.Si va per Strade Blu, necessaria-mente, dove nessuno esige il pa-gamento di un pedaggio e che«percorrono un’Italia sfigata, ma-linconica e letargica… Per moltepersone è un’Italia insulsa. Io latrovo struggente!». Da nord a sude poi di nuovo a nord, zigzagandotra i chiassosi ed effimeri Quartier-tappa e sonnolenti e durevoli agri-turismo, locande, pensioni, rifugi,fattorie, osterie fuori dal circuitopercorso dall’inquinante carovanadel Giro e dove non c’è ressa di«scrocconi travestiti da Vip». Nes-sun concorrente, dunque, in queiluoghi defilati. E beatitudini esclu-sive con abbuffate d’ogni ben didio, solido e liquido, «professional-mente» documentate. È anchequesto un modo per visitareun’Italia diventata invisibile masempre resistente, con grandespirito di adattamento e abbon-danti dosi di umorismo che nonstraborda mai in snobistico dileg-gio. Questo resoconto vale anchecome outing. E pazienza se «que-sti appunti di viaggio rappresente-ranno il requiem della mia credibi-lità come musicista».

Ateniesi che dimostrano a piazzaSintagma e a piazza Omonia con-tro i provvedimenti vessatori di ungoverno messo alle strette dallatroika Fmi-Ue-Bce, che si offre disalvare la Grecia concedendoleun prestito mirato più a rassicura-re le banche creditrici che il popo-lo in difficoltà. Poliziotti che a sten-to arginano la folla, preoccupatianch’essi, come tutti, dei tagli ailoro stipendi e alle loro pensioni.La nuova inchiesta del commissa-rio Kostas Charitos è ambientatanella cronaca di questi ultimi me-si e aiuta a chiarire come stannole cose in Grecia oggi quanto Ilfuoco di Atene di MichelangeloCocco o Debtocracy, il documen-tario di Katerina Kitidi e Aris Hatzi-stefanou visibile in rete (www.debtocracy.gr/indexen.html). Pe-tros Markaris dal 1995 si fa cariconei suoi gialli ambientati ad Atenedi dare un quadro della realtà con-temporanea tenendo stretti con-tatti con la tradizione letteraria. Ingenere il simbolo di questo lega-me è il dizionario greco del Dimi-trakos, l’unica lettura di Charitos.In Prestiti scaduti (traduzione diAndrea Di Gregorio, Bompiani,pp. 328, € 18,90), Markaris chiari-sce subito, in esergo, anche il suodebito verso Bertolt Brecht. Quiinfatti Charitos deve indagare sualcuni omicidi legati al mondo deiprestiti al consumo che si rivelanoalla lunga debiti capestro, deglihedge funds che non si sa benecosa siano, ma molti consideranoun ottimo sistema per guadagna-re presto e tanto (finendo inveceper perdere il capitale investito),delle società di rating e dei loroesperti ultraliberisti, dei bonificiche uno sconosciuto un bel gior-no ti manda senza apparente mo-tivo sul tuo conto personale dalleisole Cayman. Tutto quel mondo,insomma, che ci fa chiedere anco-ra: «Che cos’è una rapina in ban-ca paragonata alla fondazione diuna banca?». Anche il ruolo fonda-mentale che hanno in Prestiti sca-duti i mendicanti va visto comeun omaggio al Brecht dell’Operada tre soldi, benché sia al tempostesso un tratto di realismo dacronaca. Markaris riesce bene atenere in equilibrio il resocontodella realtà da un lato e il giocoartistico dall’altro. Del resto, rac-contando la sua carriera di tradut-tore dal tedesco nella recente au-tobiografia letteraria Io e KostasCharitos, ha scritto che «Brechtinsegna a guardare le cose da unacerta distanza, da lontano; a meha insegnato l’atteggiamento del-l’osservatore che si trova al centrodi un conflitto. E questo emergecon chiarezza ancora maggiorenel modo in cui io osservo Atenee gli ateniesi» (trad. Di Gregorio,p. 114). Dovremo dunque dare ilgiusto peso ai particolari del ro-manzo. Ne scelgo due. Il migliora-mento delle relazioni all’internodella famiglia Charitos rispetto airomanzi precedenti, che rendel’inchiesta per contrasto ancorapiù drammatica, e la rottamazio-ne della vecchia Fiat Mirafiori, so-stituita con una Seat Ibiza per soli-darietà tra poveri con gli spagnoli.Neanche il commissario Charitoscompera più una Fiat: forse biso-gnerebbe aprire così un telegior-nale della sera.

■ «PAESAGGIO LACUSTRE CON POCAHONTAS», 1953 ■

Scarti linguisticidi una soggettiva

VAGABONDINGL I B R I E V I A G G I

GUIDO FODDIS,LO SBOLLETTATOAL GIROdi Roberto Duiz

BERSAGLIN A R R A T I V A

PETROS MARKARIS,IL CROLLO GRECOVISTO CON BRECHTdi Fabio De Propris

Protagonista dello

sperimentalismo

tedesco post-bellico,

Arno Schmidt,

in Italia, è ormai

affidato

alla buona volontà

di editori-amatori.

In questo breve

resoconto

di una permanenza

nell’Oldenburgo,

c’è tutta la sua

acida idiosincrasia

per l’epica

novecentesca...

Arno Schmidt fotografato dalla moglie Alice sul Lago Dümmer, in Bassa Sassonia

ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011 (21

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CASI CRITICIP A O L O S O R T I N O

Solo il kitsch e l’ovvioper raccontare l’indicibile

di Gilda Policastro

Non fatevi

intimidire

dall’esoterismo

filosofico-narrativo

di Frasca, e entrate

in questo romanzo

abnorme

imperniato

intorno alla triade

tradimento-rimorso

-liberazione: triade

che si esplica

nell’ambiguo

rapporto

tra un busillis

neo-testamentario

e un ambiente

postmoderno

para-Sade

Lo sappiamo dalla Poetica di Aristo-tele come la costruzione del perso-naggio tragico passi attraverso l’imi-tazione di vicende «paurose e pieto-se» occorse a uomini non intera-mente colpevoli né completamen-te innocenti: in un caso quelle vi-cende risulterebbero infatti riprove-voli, nell’altro, poco interessanti.C’è un genere editorialmente invoga che, caricando il peso del-l’azione drammatica su un evento«pauroso» più che «pietoso», pensadi risolvere o almeno di aggirare ilproblema: si tratta del thriller, incui il «colpevole» (ma di una colpacircoscrivibile, meno eschilea o so-foclea), pur essendolo innegabil-mente, come da attesa soluzionefinale, può, tra l’altro, occasional-mente vestirsi di tenerezza, cosìcome la sua vittima mostrare, ditanto in tanto, una sua spietata luci-dità e freddezza, o, viceversa, com-piacersi della propria inevitabilesottomissione per farne via di sal-vezza o, quanto meno, strumentodi ricatto. A rivitalizzare un genereserve una novità, che di solito vie-ne imposta in forza di iperboli: alposto dell’omicida singolo, un sadi-co torturatore seriale; invece dellostupro della giovane donna, magarisuggellato dall’omicidio di rito, unasequenza di violenze che il sintag-ma d’obbligo vorrebbe inenarrabi-li. Quando l’oggetto della narrazio-ne (ostinata, o furba, si direbbe)venga dalla cronaca, il genere delthriller pone qualche problema inpiù, di natura eminentemente eti-ca. Si ha il diritto di evocare fatti epersone non solo realmente esisti-ti, ma tutt’ora in vita, e proprio coni nomi reali, inventandone (né po-trebbe essere altrimenti, a menoche non si tratti di memoriale deidiretti protagonisti) di sana pianta ipensieri, gli umori, i terrori?Il problema, che in parte condividia-mo, se l’è posto Christian Raimo inun recente dibattito apertosi sulromanzo di Paolo Sortino Elisabeth(Einaudi, pp. 216, € 19.50), dedica-to al caso di cronaca austriaca il cuiprotagonista la stampa di qualcheanno fa marchiava come «il mostrodi Amstetten», definendolo come ilpiù efferato criminale, in Europa,dalla seconda guerra mondiale inpoi: un padre che tenne segregataper 24 anni la propria figlia in unbunker da lui stesso costruito sottola propria abitazione, arrivando astuprarla un numero imprecisato divolte, e avendo con lei sette figli.Trattavasi, dunque, dell’agghiaccian-te delirio psichico di un singolo,non di un evento storico che impli-casse «universalità»: termine che,viceversa, Sortino utilizza, piuttostoimpropriamente, nella nota cautela-tiva di prammatica, in cui spiegacome i nomi veri dei protagonistidell’aberrante fatto, siano stati con-servati per «offrire uno schema uti-le» al lettore. Schema utile: torturereali di cui ci si appropria per farneletteratura.Letteratura, appunto, vediamolacosì. Nessun oggetto le è precluso:olocausto, terrorismo, camorra,fine del mondo. Il vero problema è,però, se come finzione va intesa,trovarle una lingua. A scrivereun’opera d’invenzione è indispensa-bile, anzi: è l’unico strumento cheabbiamo, la lingua letteraria, perricreare mondi, specie quelli chenon conosciamo, quelli cui non

possiamo avere accesso, quelli ine-narrabili. Diversa è un’inchiestagiudiziaria, che ci darà, attraverso ilresoconto puntuale e dettagliatodei fatti, e dunque una lingua chegià esiste, quella del rigore analiti-co o dell’anamnesi scientifica, ilprofilo di un colpevole. Costruireromanzo, cioè narrazione organizza-ta, sull’indicibile, è di per sé un az-zardo. E non si gioca d’azzardo sen-za correre dei rischi. Allora, com’èla lingua di Sortino? Piatta, non gio-ca d’azzardo: mai. Piuttosto indul-ge al kitsch e, imperdonabilmente,all’ovvio. Vediamone alcuni esem-pi, nel concreto: il padre-mostrosta per tornare dalla prima tranchedi galera proprio alla vigilia di unavacanza in cui la figlia adolescenteha riposto le speranze di liberarsida quella sofferenza che l’ha indot-ta a «scavarsi una stanzetta dietro ilcuore» (e già, poco prima: «eranodue coetanee costrette a giocare inun giardino di cemento, lei e la suaadolescenza»). Siamo all’occhiettoal lettore, che verrà portato per ma-no, con studiata calma, verso unabisso di cui può facilmente presa-gire profondità e sgomento. Matorniamo al testo: dal «cagnolino alguinzaglio» alla «puledra che atten-de di correre» alla «balena allevatanel budello di un abisso privato», lesimilitudini animali riferite alla pro-tagonista, afferenti tutte alla meta-forica della preda in gabbia (nonsolo Elisabeth, ma il bunker stesso,è «bestia», a un certo punto) so-vrabbondano già nelle prime pagi-ne, ma proprio nel senso che stuc-cano. E qualunque sforzo si faccia,poi, per raccontare lo strazio mon-tante della violenza, diventa tortu-rante per chi legge: ma non nelsenso dell’insostenibilità del male,bensì nel senso della banalità dellostile. Tutto è troppo detto, spiegatoanche quando si sarebbe narrativa-mente (o inenarrabilmente) impo-sta l’allusione, l’oscuro, la derivapsicotica anche linguistica, il miste-ro: lo scopo sin troppo atteso èquello di mostrare il rovesciamentodei ruoli dei protagonisti, la forzaostinata (e la follia crescente) dellavittima, resistenza biologica e psico-logica che è anche però al tempostesso accanimento sul carnefice,la cui ferocia, viceversa, è semprepiù controllabile, a parziale giustifi-cazione dell’altrimenti incomprensi-bile (ma nella realtà dei fatti, lorimane) resa finale. Niente, peral-tro, che non si trovasse già nellacronaca giudiziaria dell’evento: «sa-pevo che sarebbe finito l’incubo,nessuno può togliere ad un uomola propria libertà», pare abbia dettola vera Elisabeth.Rispetto ad altri casi similari, nonabbiamo molte altre testimonian-ze dirette da parte delle vittimeche quelle poche dichiarazionirese al processo, e praticamentenessuna documentazione fotogra-fica. Ma all’indomani della libera-zione, i bambini allevati nelbunker hanno disegnato, chissàperché, delle mani. Nemmeno sepassassero il resto delle loro di-sgraziatissime vite a raccontarcelinei dettagli, quegli orrori, potreb-bero indurci a maggior «pietà». Ese la storia del padre-mostro ci faancora «paura», la finzione roman-zata della psicologia delle vittimeci è parsa, viceversa, aristotelica-mente poco interessante.

■ GABRIELE FRASCA, «DAI CANCELLI D’ACCIAIO» ■

Tradimento di Giudanella discoteca dark

di Daniele Giglioli

Transita in questi giorniin libreria Dai cancelli d’acciaiodi Gabriele Frasca (Luca Sossella,pp. 591, € 30,00). Non so quanto ciresterà, ma verosimilmente nonmolto, come quasi ogni libro, etanto più questo romanzo abnor-me che è la summa di tutto quan-to il suo autore è andato facendo,come poeta, saggista e narratore,in molti anni di lavoro. Più cheuna recensione, questo è un appel-lo. Non è rivolto a chi già conoscel’opera di Frasca, con punte a vol-te di culto e fanatismo che temogli nuocciano più di quanto nongli giovino. Ma a chi non l’ha mailetto, al lettore qualunque che sisuppone (e Frasca stesso, sembre-rebbe, suppone) a un testo del ge-nere non si accosterebbe mai, o sene distoglierebbe subito alle pri-me righe. E l’appello è: non spreca-te questa possibilità, non fatevi re-spingere – se occorre anche con-tro il suo autore – dal suo esoteri-smo. Dai cancelli d’acciaio ha mol-ti punti di accesso, e qualunquelettore può trovarvi il suo. Una vol-ta dentro, non importa quantopossa sfuggirgli: ciò che gliene ver-rà sarà sempre e comunque in so-vrappiù. Padroneggiarlo tutto è im-

possibile, e forse nemmeno Frasca ci è riuscito. E non è già questa una sfi-da, a differenza di quanto accade nell’ordinaria amministrazione senzaombre né residui cui con poche eccezioni ci ha abituato una romanzerianazionale che non arriva nemmeno a lambire la possibilità del fallimen-to? Quelle in cui si fallisce sono le sole imprese che valeva di tentare. Daun libro del genere il lettore nonpuò che uscire sconfitto; ma glorio-samente, e tanto più quanto più cisi appassiona. Basterebbe questoa raccomandarlo.

Proviamo allora a tirare dal ro-manzo di Frasca, che ne annodaparecchi, un filo con cui orientar-ci. Molti altri sarebbero possibili,ma questo è decisivo: il tema deltradimento, del rimorso e della li-berazione. Col tradimento e le sueconseguenze hanno a che fare tut-ti i suoi personaggi. C’è in primoluogo il tradimento compiuto dalpadre gesuita Saverio Juvarra aidanni del vescovo di Santa Mira,Cristoforo Bruno (di cui è segreta-rio), studioso di copto, decifratoredi manoscritti neotestamentari,che in un antico codice ha scoper-to una versione del vangelo proto-giovanneo, anteriore ai sinottici evicina alla galassia del pensierognostico. Troppo pericoloso per lachiesa di Roma, che chiede al gesu-ita di eliminare il depositario delsegreto somministrandogli un far-maco che lo farà sprofondare nel-la demenza. Ma traditore è lo stes-so vescovo Bruno, che per tutta lavita ha tenuto nascosto per timorenon un qualsiasi apocrifo ma unvero e proprio frammento della Ri-velazione. E di che cosa parla que-sto vangelo se non del rapporto dicomplicità, necessità e coappar-tenza che lega la figura di Cristo aquello del suo traditore, DidimoGiuda, colui che lo consegna ai car-nefici con l’assenso del suo mae-stro (quello che devi fare, fallo pre-sto)? Anche Cristoforo Bruno d’al-tra parte sa benissimo che il suo di-scepolo lo sta tradendo, eppure

non rinuncia a consegnargli, a suavolta, una verità che non ha avutola forza di testimoniare in proprio.

È per espiare questa colpa cheentrambi, prima il vescovo e poi ilsuo segretario, decidono di espor-si all’esperienza sconvolgente difarsi attaccare a una sorta di blasfe-ma parodia della croce che costitu-isce l’attrazione clou della discote-ca Il Cielo della luna, sorta di po-stmoderno oltremondo dantesco,ideato da quel precipitato di ognipossibile dark lady che è ReginaMori, in arte Moira, dove gli ospitipaganti sono insieme attori e spet-tatori di un catalogo di oscenità,dalla pornografia più soft aglisnuff movies, che ricorda da vicinola drammaturgia sadiana delleCentoventi giornate di Sodoma. Ecolui che è appeso in croce è prota-gonista massimo dell’evento, co-stretto com’è a contemplare, e a es-sere visto mentre contempla, quel-la climax di turpitudini con addos-so un raffinato congegno di teleca-mere e sensori attraverso cui i ge-stori della discoteca registrano tut-to quello che lui vede e sente per ri-versarlo poi in un fortunatissimocircuito di Home Video.

Espiazione, liberazione, salvez-za. È la via giusta, per loro e per imolti altri personaggi (psichiatri e

psicotici, terroristi e affaristi, adolescenti e adul-ti equanimemente falliti) che ruotano attornoal Cielo della Luna? Certo non era questo l’in-tento di Regina Mori e del suo staff, che si pre-figgono piuttosto di «aiutare le persone (…) apassare dalla cella d’isolamento della responsa-bilità individuale alla grande gabbia da circodel godimento collettivo». Disciplinamento at-traverso il piacere, infrazione che conferma lalegge: conosciamo l’argomento. Ma è così diver-

sa da quella di tutti gli altri povericristi la redenzione gnostica cheSaverio Juvarra e Cristoforo Brunovanno scrutando oscuramente nelvangelo di cui sono testimoni e tra-ditori? Se il tradimento è necessa-rio a che l’evento si compia; se ilmale non è che l’ombra del bene;se «Dio è l’inferno con qualcosa dipiù»; se buona novella è solo quel-la che sospende il tempo così cheil passato non abbia più bisognodel futuro per espiarsi e il dolorepossa mutarsi in gioia senza fine;se all’interrogazione paranoica al-la Philip Dick (di chi è la colpa?) siaddiziona e si sovrappone la pole-mica di Gilles Deleuze (altro faro,insieme a Dick, di tutta l’opera diFrasca) contro il risentimento, il ri-morso, la ripetizione reattiva cheimpedisce di sciogliersi nel flussoinnocente del divenire: in che co-sa divergono l’attitudine consumi-sta dei frequentatori della discote-ca e l’anelito soteriologico di Bru-no e Juvarra? Non a caso ci sonoandati anche loro. Se tra le due op-zioni ci sia identità o differenza, edi quale natura siano questa iden-tità e questa differenza, è forse laposta in gioco più importante delromanzo di Frasca, che sul puntonon fornisce risposte definitive.Che tocchi al lettore cercarle è unfatto indubbio. Che riesca a trovar-le è invece molto dubbio: sarebbeinsieme la soluzione del myste-rium iniquitatis e dell’arcano dellasocietà capitalistica. Ma arrivare acomprendere come e perché i duemembri dell’equazione si illumini-no e si rispecchino a vicenda è unesito che basta alla gloria del suoautore, e alla sua.

Un’illustrazione di cyop&kafper il libro di Gabriele Frasca

22) ALIAS N. 26 - 2 LUGLIO 2011

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■ QUARTO MOVIMENTO DEL PROMEMORIA PER MILANO: I PRIVATI ■

Maestri antichitargati Mitsubishi

di Giovanni Agosti

In questa rievocazione mi-lanese, dagli anni Ottanta a oggi,si è già accennato al ruolo che iprivati assumono nella vita cultu-rale cittadina, secondo forme fi-no a quel momento non speri-mentate, soprattutto sul frontedell’arte contemporanea. Non èil caso infatti di dire che cosa ab-bia rappresentato – persino neglianni di merda – la presenza, pro-prio nel centro della città, tra leBanche e la Moda, della Fonda-zione Feltrinelli, fondata fin dal1949 da Giangiacomo(1926-1972) e volta a studiare letrasformazioni della società nel-la speranza di una sua, più giu-sta, modificazione; mentre la bi-blioteca Ambrosiana si trasfor-mava in un servizio a pagamen-to, si potevano continuare a stu-diare gratis, in via Romagnosi, idocumenti sulle lotte operaie delXIX secolo o i carteggi di PietroSecchia o i volumi di TommasoCampanella, tra le bandiere del-la Comune di Parigi e, ben pre-sto, gli archivi di casa Feltrinelli.

Stavolta non è in gioco la tradi-zionale vitalità delle gallerie d’ar-te, che Milano aveva conosciutoin più stagioni, direi, ininterrottelungo il Novecento: l’impresadella Fondazione Prada, avviatanel 1993, dichiarava intenzionidiverse, non direttamente con-nesse alla compravendita di di-pinti, sculture, video o installa-zioni. Circa due mostre l’anno,gratuite, ben presto non rivoltesolo al contemporaneo in corsoma anche ad artisti storicizzati,da Castellani a Paolini; orarid’apertura protratti; un calmierequalitativo naturalmente di livel-lo (anche se non mancarono sci-voloni); cataloghi curati grafica-mente e ricchi di informazioni;dépliant dati in omaggio, con imotivi essenziali della mostra,da tenere in biblioteca e non get-tare nel primo cestino... Qualcheimmagine resta nella memoriaindividuale: nella mia gli scivolie i funghi capovolti dello svizze-ro Carsten Höller, che si preoccu-pava di montare gli incantesimie, nel contempo, di spiegarli,proprio come piace a me. Persi-no qualche lascito alla città: l’ul-timo lavoro, 1996, di Dan Flavinche è l’illuminazione – blu, ver-de, gialla, rosa – ovviamente alneon nella Chiesa Rossa di Gio-

vanni Muzio, in periferia, sui bor-di del Naviglio: con i sacerdotidel quartiere che scrivono nel ca-talogo «per un esercito in rotta,occorre un segno improvviso dicoraggio e di speranza. Qualco-sa di bello, che freni la fuga eche ridoni la voglia di ricomin-ciare a lottare».

Sulla linea della Prada, si muo-veva anche la Fondazione Trus-sardi, con manifestazioni di uncerto interesse, soprattutto a par-tire dal 2003, che hanno portatoalla riproposizione – gratuita –di luoghi non canonici o desuetidella città: dal teatrino dell’Istitu-to dei ciechi (con Urs Fischer) aimagazzini della stazione di Por-ta Genova (con le bestie tuttebianche di Paola Pivi), passandoper l’opera senza titolo di Mauri-zio Cattelan: i bambini in vetro-resina impiccati, nel 2004, all’al-bero più antico di Milano, laquercia centenaria di piazza

XXIV Maggio. Ma anche per ilpallone aerostatico del polaccoAlthamer in volo sopra l’arena ci-vica della Milano napoleonica.In questi spazi sono state realiz-zate opere ad hoc e qualcuna halasciato anche ricordi piacevoli;per me le imprese – degne di per-sonaggi di Folengo o di Rabelais– di Peter Fischli e David Weissnei saloni di Palazzo Litta, ex se-de delle Ferrovie dello Stato: Al-tri fiori e altre domande, orsi eratti e scrofe e scarponi nei cami-netti, filosofie da due soldi am-mantate dal senso comune inmezzo agli affreschi rococò riferi-ti a Giovanni Antonio Cucchi.Anche qui piccole pubblicazionigratuite; niente servaggio adagenzie per prodotti precotti nésubalternità agli editori d’artepiù ovvi.

Tutto questo per dire che for-se è più saggio, in momenti diffi-cili sul fronte economico, che a

promuovere l’arte contempora-nea di qualità, quella che si fagiorno per giorno, siano i priva-ti, tanto più che non ci sono soloi mercanti. Come dimenticare itanti soldi pubblici spesi, tra l’al-tro, dal Comune nel 2001 per lamostra Milano Europa 2000. I se-mi del futuro, divisa tra la Trien-nale e il Padiglione d’arte con-temporanea. Dichiarava solo losmarrimento delle istituzioni, al-tro che «il punto sullo stato del-l’arte in Europa alla fine del XXsecolo». Ne resta testimonianzain poco più che qualche tronfiocomunicato stampa, raccattatonella risacca dell’internet. La vo-glia di riacciuffare un treno per-so, a furia di rincorse del già vi-sto e di consulenti stranieri (cre-do adeguatamente compensati),mentre in mezzo al brutto trion-fo della merce e alle giurie si eraperso – e lo scriveva già la LeaVergine – il senso di una «visio-

ne critica dell’esistere». E alloranon restava che ricorrere allebattute di Argan, dove si agitavaun retrogusto alla Maccari: «Le il-lusioni aiutano a vivere, le delu-sioni a morire».

Mentre si ripercorre, per som-mi capi, quanto successo sulfronte dell’intervento dei privatinei fatti dell’arte nella Milano acavallo tra il Novecento e il Due-mila sarebbe davvero sbagliato,nonché ingeneroso, non ricorda-re la parabola di Luigi Koelliker,il figlio di Bepi (1916-1981), ilgrande concessionario di auto-mobili, con le vetrine in piazzaSan Babila, dietro le quali sfilava-no, in un salone scintillante, vet-ture di lusso (poi sarebbe arriva-to un emporio Benetton). Ci vor-rebbe Balzac per raccontare que-sta vicenda dove si agita accantoal protagonista, con il suo muta-re di umori e di corpi, una folladi personaggi minori, più o me-no interessati. Grandi passioni,

tanto denaro, illusioni perdute, Mina Grego-ri, splendori e miserie, tanti parassiti, donnebelle, ma anche cambi epocali. Da illumina-re a suon di Surefire, le torce nere, che Luigiregalava, con generosità, a chi si recava a tro-varlo. Una vicenda che si svolge – fatto salvoil prologo e le parentesi in Estremo Oriente,da dove provengono le automobili Hyundaie Mitsubishi che hanno preso il posto dellepaterne Jaguar e Rolls Royce – tra i cavalca-via delle autostrade per i Laghi, l’ex mondodei Segreti di Milano di Testori, e la casa incentro, a un passo dal piacentiniano Tribuna-le, dove teneva corte bandita. Inun fabbricato medio borghese invia Fontana si stipano, in un tem-po brevissimo, oltre millecinque-cento dipinti, dal Cinque al Sette-cento (italiani, di tutte le scuole,e stranieri), di qualità estrema-

mente diversa, strumenti scienti-fici preziosi, una raccolta di testemozzate del Battista (già di Te-stori), sculture romane, orologinotturni, un segmento della col-lezione Melzi d’Eril, uccelli impa-gliati e mosche da pesca, ma an-che i resti di un chiostro spagno-lo del Medioevo installato nella sala del biliar-do, giù in cantina: e ti sembrava allora, in infi-nitesimo, di essere dentro Citizen Kane.

Ma non è solo il gusto per l’accumulo checaratterizza tanti collezionisti. Nell’impresadi Koelliker c’era, c’è una dimensione oniri-ca a cui è difficile sfuggire, non priva di rica-schi per la città che ha rischiato di trovarsiun museo con persino qualche capolavoro,da Tanzio da Varallo a Fra Galgario, a Ceru-ti; si fantasticava, infatti, in quegli anni, del-la trasformazione della raccolta in una fon-dazione. Ma si andava in via Fontana ancheper consultare l’archivio di un restauratoremantovano, Enos Malagutti, pieno di foto-grafie di quadri, che Koelliker aveva acquisi-to. Si aveva la sensazione di un incrementoquotidiano della collezione; antiquari di al-tre città si trasferivano a Milano o aprivanosuccursali per fare fronte alle voglie di quelcliente prodigioso in grado di entusiasmarsiper Paolo Pagani o per Giuseppe Vermiglio.Immaginarsi profittatori e avvoltoi, vistoche Koelliker andava alla ricerca, tra nugolidi caravaggeschi, di un’opera di Caravaggioin persona: trappole e trappoloni che perònon andarono in porto, nonostante la com-

parsa parallela – sulle rivistescientifiche, nelle mostre, persi-no su rotocalchi e quotidiani –di improbabili autografi, quasisempre copie da originali già no-ti. Sono infatti tra coloro che cre-dono che Caravaggio non abbiamai replicato le proprie opere:non ravviso in lui il tormento,pur tutto lombardo (da Manzo-ni a Gadda, ad Arbasino), dellariscrittura.

A Koelliker si ricorreva – men-tre la stagione delle sponsorizza-zioni stava vivendo il suo crepu-scolo e le istituzioni pubbliche la-titavano – per le richieste più va-rie riguardo il campo dell’arte,anzi della storia dell’arte: dalleborse di studio (per esempio perla Fondazione Longhi) ai contri-buti per i libri da pubblicare.Fuori tempo massimo, ma supatti fissati proprio allora, visti itempi lunghissimi della messain opera, è comparso proprioora – con un notevole contribu-to, per quanto non l’unico, di Ko-elliker – un capolavoro: i quattrotomi, con centinaia di splendideillustrazioni, del Leonardo a Mi-lano di Sandro Ballarin, final-mente una messa a punto su untema cruciale, tanto mal trattatonegli studi recenti.

All’improvviso tutto questoBengodi svanisce: i gusti di Koel-liker mutano; alle predilezioniper la pittura antica si sostitui-scono quelle per le armaturegiapponesi e poi, a rotta di col-lo, è il turno dell’arte contempo-ranea. La collezione si disfa, ini-ziano le vendite – magari a ope-ra degli stessi fornitori – e unsegmento del mondo artisticomilanese si trova del tutto im-preparato di fronte al variaredell’umore di un singolo indivi-duo. Che tema per un FrancisHaskell di oggi. Intanto per guar-dare i quadri nel buio smettia-mo di usare le americane Surefi-re e passiamo alle Fenix, inevita-bilmente cinesi.

4-continua

Negli anni più bui di questa rievocazione – cioè dai novanta a oggi –, arriva

dall’imprenditoria una proposta per l’arte di qualche qualità: Trussardi

e Prada. Mentre monta la vicenda balzacchiana del collezionista Koelliker

Un interno della collezionedi Luigi Koelliker nell’appartamentodi via Fontana a Milano

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