Alias Del 14 Giugno 2015

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di GRAZIELLA PULCE Quando nell’ottobre 2014 usciva Pour que tu ne te perdes pas dans le quar- tier di Patrick Modiano, nessuno avrebbe immaginato che di lì a pochissimi giorni all’autore sarebbe stato conferito il Premio Nobel per la letteratura. Tanto più che l’ambito premio era stato attribuito solo qualche anno prima a un altro scrittore francese, Le Clézio. La designazione, dun- que, coglieva di sorpresa molti, non esclu- so lo stesso Modiano, personaggio da sem- pre schivo, appartato e contraddistinto da una leggendaria riservatezza e che nel commentare la notizia ha detto di aver avu- to l’impressione che il Nobel fosse andato a un altro, che aveva il suo stesso nome. Il libro che gli accademici non avevano potu- to leggere è ora disponibile nella elegante traduzione di Irene Babboni (Perché tu non ti perda nel quartiere, Einaudi «Super- coralli», pp. 123, e 17,00). Jean Daragane, anziano scrittore che vi- ve oramai isolato dal mondo, riceve la tele- fonata di uno sconosciuto che si offre di re- stituirgli un taccuino smarrito. L’uomo si presenta accompagnato da una giovane donna dall’aspetto equivoco. Quell’incon- tro mette in moto una serie di appunta- menti e i due si insinuano nella solitudine dello scrittore, che grazie a un nome che compare nel taccuino e che molto interes- sa ai due viene progressivamente riportato a un passato che egli aveva volontariamen- te reciso dalla propria coscienza. I ricordi pian piano si riaffacciano alla memoria del- lo scrittore, dapprima in modo frammenta- rio e incongruo, poi in forma più coerente e drammatica. Tutto converge verso la rie- vocazione di un episodio rimosso della sua infanzia, un’infanzia difficile e che per molti versi ripete quella dello stesso Modia- no, affidato dai genitori ad amici via via di- versi, e costretto a un’esistenza precaria e randagia, segnata da legami molto proble- matici tanto con il padre, ebreo collabora- zionista durante l’occupazione nazista di Parigi, quanto con la madre, distante e in- differente al bambino. È evidente che si tratta di un romanzo perfettamente in linea con le opere prece- denti dell’autore: l’ambientazione nella Pa- rigi occupata, un’aria fitta di mistero, un protagonista dall’identità incerta, un uo- mo sinistro che irrompe nella sua vita, l’in- vestigazione del passato, una donna del presente dal profilo indecifrabile, una don- na del passato sfuggente. Questa prova più recente tuttavia presenta un tratto di mag- giore limpidezza nella costruzione della struttura, anche se è evidente che chiama- re in causa la limpidezza a proposito di Modiano può apparire un vistoso contro- senso. Infatti il tratto più tipico dell’autore è appunto quel carattere ‘modianesque’, derivante dal fatto che persone, luoghi e tempi risultano marcati da una insanabile indecidibilità e immersi in una sorta di li- quido opaco che ne sfuma i contorni, e con i contorni le dimensioni, il peso, le vo- lontà, le intenzioni. Con totale fedeltà a una scena archetipica, il narratore presen- ta i tratti del sopravvissuto che torna a in- terrogare il passato per rendere giustizia a ciò che è stato inghiottito dal tempo e che tuttavia continua a incombere sui destini dei viventi. Dunque questa storia non presenta ele- menti di sostanziale novità rispetto alle opere precedenti. Qui però più che altrove il set narrativo ricalca la struttura di una pa- tologia. I personaggi di Modiano cambia- no nome e casa con estrema facilità e non di rado per cause inesplicabili. Essi vivono sotto una pressione continua che li schiac- cia e impedisce ogni forma di socialità. Nell’esistenza di Jean, Chantal e di tutti gli altri personaggi che abbiamo conosciuto nei testi di Modiano, non c’è traccia di rela- zioni sociali o affettive che non siano se- gnate dall’angoscia o da una inscalfibile in- differenza. Qualcosa di analogo alla ‘divina indifferenza’ che marcava la Dora Markus montaliana, la donna in fuga pe- renne da un paese e da un passato irrime- diabilmente devastati. Nei manuali di psi- chiatria tale condizione viene definita ‘sindrome di abbandono’ e disturbo della personalità, ma nei romanzi di Modiano la condizione di abbandono vissuta più o me- no consapevolmente dal bambino, segna anche gli altri personaggi, tutti di fatto get- tati sulla scena dell’esistenza dopo essere stati allontanati traumaticamente da un luogo protetto. Gettati senza un perché in uno spazio estraneo, questi personaggi senza identità restano condannati a un’esi- stenza che non riconoscono come propria e affondano in una fatale catatonia. Noi, scrive Remo Bodei, «non siamo una identi- tà chiusa, siamo un nodo di relazioni, quanto più conosciamo queste relazioni tanto più siamo noi stessi». I filosofi indicano la data di nascita del concetto di identità nel Settecento. Locke e Hume sono tra i primi a sottoporre ad analisi razionale il principium individuatio- nis che ha preso il posto di quel tutto unito che era l’anima. Ma l’identità non è una su- bstantia quanto un processo, non un dono ma una conquista, difficile e per di più pre- caria. E la storia, la letteratura e l’arte della modernità non mancano di fornirne ab- bondanti esempi. Ha un’identità chi ha la capacità di avere coscienza di rimanere se stesso nonostante il passare del tempo e i mutamenti portati dall’esperienza. Esatta- mente ciò che manca ai personaggi di Mo- diano. Jean scrive il proprio romanzo con il preciso intento di lanciare un «segnale lu- minoso» a una donna, alla quale da bambi- no era stato affidato dalla madre, quella che gli aveva messo in tasca un biglietto con l’indirizzo affinché il bambino non si perdesse nel quartiere. Ma quando si tro- va davanti a lei non è neppure in grado di formulare la domanda fondamentale e lei, ugualmente sfuggente e smarrita, non è in condizione di capire il perché di quel tardivo incontro, con un uomo che aveva conosciuto bambino e non aveva più rivi- sto. In questo faccia a faccia senza esito sta il senso del dramma e l’impossibilità dell’identità e dunque del riconoscimen- to. Nella commedia antica i due fratelli se- parati da bambini, posti uno di fronte all’altro, riconoscono l’altro e insieme se stessi, perché non possono davvero cono- scere se stessi fino a che non si imbattono nella loro stessa immagine duplicata. Qui invece intorno alle fioche luci delle lampa- de, che si accendono e si spengono sem- pre per mandare un segnale o per simula- re o dissimulare una presenza, permane una spessa coltre di ombre, che nessuna lampada può penetrare. Non c’è lettore che non faccia notare quanto densa sia la pagina di Modiano. Ogni capitolo è un tableau vivant, in cui la scena presenta vivi e immobili personaggi intenti a fissarsi l’un l’altro, o totalmente assorti nella contemplazione, di una vetra- ta che dà su un boulevard come di un do- cumento che si sottrae ostinatamente a un’interpretazione definitiva. Persa ormai per sempre la chiave di cifratura, ogni sce- na del presente o del passato presenta un enigma irrecuperabile. La ragione di que- sto dissesto sta nella assoluta discontinui- tà spazio-temporale: l’io non è un io, non somiglia a se stesso più di quanto somigli a un altro, forse opposto o odiato, la città le sue strade le case non somigliano a quel- le di cui la memoria riporta frammenti in- congrui, e dunque non c’è consistenza né per quanto riguarda il presente né per il passato. L’unico elemento potenzialmen- te in grado di operare il riconoscimento, di sostenere l’identità e dunque di garantire una possibile continuità tra i frammenti ir- relati o è assente o è morto. E quei fram- menti galleggiano disancorati sul pelo di un’acqua torbida e profonda. Ma Modiano è Modiano perché di tutto questo fa una potente macchina narrativa in cui si alternano con sapienza pensieri slegati e frustranti, scarne parole e silenzi smarriti e profondissimi. E quello spessore che tanto colpisce impone un’attenzione concentratissima, poiché egli dispone con esattezza parole e sottrazione di parole, e tutto il non detto preme e pesa sulla pagi- na tanto da richiedere una parcellizzazio- ne della lettura. Non si può leggere Modia- no ‘di fretta’, perché le sue 123 pagine aprono continuamente sull’implicito, sem- pre preponderante rispetto all’esplicito. La storia di Jean è anche allegoria di una na- zione e di una civiltà che ha smarrito qual- cosa di sé. Dunque ogni elemento ha un peso specifico particolare. Un taccuino, per esempio, non è solo un oggetto di uso quotidiano, che può essere smarrito (o ru- bato) e ritrovato, ma diventa la figura che in sé sussume i tratti e il ruolo di una miria- de di oggetti materiali e psichici: la cattura di un nome o di un numero, l’intenzione di conservare nonostante i traumi dell’esperienza e nonostante l’incomben- za dell’oblio, l’accidentalità e la volontà della memoria, la necessità di lasciarsi alle spalle, di allontanare, di chiudere una par- te di sé in un punto dello spazio che si può rendere a lungo o forse per sempre inac- cessibile a sé e agli altri. PATOLOGIA MODIANESQUE UN TACCUINO SMARRITO, UNA DONNA INDECIFRABILE, PARIGI OCCUPATA... DA EINAUDI IL NUOVO ROMANZO DI PATRICK MODIANO: LIMPIDO, OPACO JONA ALMANSI GADDA-PARISE C. SERENI «SERIAL CLASSIC» A MILANO ’700 FIORENTINO FERMOR THOMAS SCHERMI GABRIEL MATISSE

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Alias, rivista culturale del Manifesto

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  • di GRAZIELLA PULCE

    Quando nellottobre 2014 uscivaPour que tu ne te perdes pas dans le quar-tier di Patrick Modiano, nessuno avrebbeimmaginato che di l a pochissimi giorniallautore sarebbe stato conferito il PremioNobel per la letteratura. Tanto pi chelambito premio era stato attribuito soloqualche anno prima a un altro scrittorefrancese, Le Clzio. La designazione, dun-que, coglieva di sorpresa molti, non esclu-so lo stessoModiano, personaggio da sem-pre schivo, appartato e contraddistinto dauna leggendaria riservatezza e che nelcommentare la notizia hadetto di aver avu-to limpressione che il Nobel fosse andatoa un altro, che aveva il suo stesso nome. Illibro che gli accademici non avevanopotu-to leggere ora disponibile nella elegantetraduzione di Irene Babboni (Perch tunon ti perda nel quartiere, Einaudi Super-coralli, pp. 123, e 17,00).Jean Daragane, anziano scrittore che vi-

    ve oramai isolato dalmondo, riceve la tele-fonata di uno sconosciuto che si offre di re-stituirgli un taccuino smarrito. Luomo sipresenta accompagnato da una giovanedonna dallaspetto equivoco. Quellincon-tro mette in moto una serie di appunta-menti e i due si insinuano nella solitudinedello scrittore, che grazie a un nome checompare nel taccuino e chemolto interes-sa ai due viene progressivamente riportatoaunpassato che egli aveva volontariamen-te reciso dalla propria coscienza. I ricordipianpiano si riaffacciano allamemoria del-lo scrittore, dapprima inmodo frammenta-rio e incongruo, poi in forma pi coerentee drammatica. Tutto converge verso la rie-vocazione di un episodio rimosso dellasua infanzia, uninfanzia difficile e che permolti versi ripete quella dello stessoModia-no, affidato dai genitori ad amici via via di-versi, e costretto a unesistenza precaria erandagia, segnata da legami molto proble-matici tanto con il padre, ebreo collabora-zionista durante loccupazione nazista diParigi, quanto con la madre, distante e in-differente al bambino. evidente che si tratta di un romanzo

    perfettamente in linea con le opere prece-denti dellautore: lambientazione nella Pa-rigi occupata, unaria fitta di mistero, unprotagonista dallidentit incerta, un uo-mo sinistro che irrompe nella sua vita, lin-vestigazione del passato, una donna delpresente dal profilo indecifrabile, una don-na del passato sfuggente. Questa prova pirecente tuttavia presenta un tratto di mag-giore limpidezza nella costruzione dellastruttura, anche se evidente che chiama-re in causa la limpidezza a proposito diModiano pu apparire un vistoso contro-senso. Infatti il tratto pi tipico dellautore appunto quel carattere modianesque,derivante dal fatto che persone, luoghi etempi risultano marcati da una insanabileindecidibilit e immersi in una sorta di li-quido opaco che ne sfuma i contorni, econ i contorni le dimensioni, il peso, le vo-lont, le intenzioni. Con totale fedelt auna scena archetipica, il narratore presen-ta i tratti del sopravvissuto che torna a in-terrogare il passato per rendere giustizia aci che stato inghiottito dal tempo e chetuttavia continua a incombere sui destinidei viventi.Dunque questa storia non presenta ele-

    menti di sostanziale novit rispetto alleopere precedenti. Qui per pi che altroveil set narrativo ricalca la strutturadi una pa-tologia. I personaggi di Modiano cambia-no nome e casa con estrema facilit e nondi rado per cause inesplicabili. Essi vivonosotto una pressione continua che li schiac-cia e impedisce ogni forma di socialit.Nellesistenza di Jean, Chantal e di tutti glialtri personaggi che abbiamo conosciutonei testi diModiano, non c traccia di rela-zioni sociali o affettive che non siano se-gnate dallangoscia o da una inscalfibile in-differenza. Qualcosa di analogo alladivina indifferenza che marcava la DoraMarkus montaliana, la donna in fuga pe-renne da un paese e da un passato irrime-diabilmente devastati. Nei manuali di psi-

    chiatria tale condizione viene definitasindrome di abbandono e disturbo dellapersonalit,ma nei romanzi diModiano lacondizione di abbandono vissuta pi ome-no consapevolmente dal bambino, segnaanche gli altri personaggi, tutti di fatto get-tati sulla scena dellesistenza dopo esserestati allontanati traumaticamente da unluogo protetto. Gettati senza un perch in

    uno spazio estraneo, questi personaggisenza identit restano condannati a unesi-stenza che non riconoscono come propriae affondano in una fatale catatonia. Noi,scrive RemoBodei, non siamouna identi-t chiusa, siamo un nodo di relazioni,quanto pi conosciamo queste relazionitanto pi siamo noi stessi.I filosofi indicano la data di nascita del

    concetto di identit nel Settecento. Lockee Hume sono tra i primi a sottoporre adanalisi razionale il principium individuatio-nis che ha preso il posto di quel tutto unitoche era lanima.Ma lidentit non una su-bstantiaquanto unprocesso, non undonomauna conquista, difficile e per di pi pre-caria. E la storia, la letteratura e larte dellamodernit non mancano di fornirne ab-bondanti esempi. Ha unidentit chi ha lacapacit di avere coscienza di rimanere sestesso nonostante il passare del tempo e imutamenti portati dallesperienza. Esatta-mente ci chemanca ai personaggi diMo-diano. Jean scrive il proprio romanzo conil preciso intento di lanciare un segnale lu-minoso a unadonna, alla quale da bambi-no era stato affidato dalla madre, quellache gli aveva messo in tasca un bigliettocon lindirizzo affinch il bambino non siperdesse nel quartiere. Ma quando si tro-va davanti a lei non neppure in grado diformulare la domanda fondamentale elei, ugualmente sfuggente e smarrita, non in condizione di capire il perch di queltardivo incontro, con un uomo che avevaconosciuto bambino e non aveva pi rivi-sto. In questo faccia a faccia senza esitosta il senso del dramma e limpossibilitdellidentit e dunque del riconoscimen-to. Nella commedia antica i due fratelli se-parati da bambini, posti uno di fronteallaltro, riconoscono laltro e insieme sestessi, perch non possono davvero cono-scere se stessi fino a che non si imbattononella loro stessa immagine duplicata. Quiinvece intorno alle fioche luci delle lampa-de, che si accendono e si spengono sem-pre permandare un segnale o per simula-re o dissimulare una presenza, permaneuna spessa coltre di ombre, che nessunalampada pu penetrare.Non c lettore che non faccia notare

    quanto densa sia la pagina di Modiano.Ogni capitolo un tableau vivant, in cui lascena presenta vivi e immobili personaggiintenti a fissarsi lun laltro, o totalmenteassorti nella contemplazione, di una vetra-ta che d su un boulevard come di un do-cumento che si sottrae ostinatamente auninterpretazione definitiva. Persa ormaiper sempre la chiave di cifratura, ogni sce-na del presente o del passato presenta unenigma irrecuperabile. La ragione di que-sto dissesto sta nella assoluta discontinui-t spazio-temporale: lio non un io, nonsomiglia a se stesso pi di quanto somiglia un altro, forse opposto o odiato, la cittle sue strade le case non somigliano a quel-le di cui la memoria riporta frammenti in-congrui, e dunque non c consistenza nper quanto riguarda il presente n per ilpassato. Lunico elemento potenzialmen-te in grado di operare il riconoscimento, disostenere lidentit e dunque di garantireuna possibile continuit tra i frammenti ir-relati o assente o morto. E quei fram-menti galleggiano disancorati sul pelo diunacqua torbida e profonda.MaModiano Modiano perch di tutto

    questo fa una potente macchina narrativain cui si alternano con sapienza pensierislegati e frustranti, scarne parole e silenzismarriti e profondissimi. E quello spessoreche tanto colpisce impone unattenzioneconcentratissima, poich egli dispone conesattezza parole e sottrazione di parole, etutto il non detto preme e pesa sulla pagi-na tanto da richiedere una parcellizzazio-ne della lettura. Non si pu leggereModia-no di fretta, perch le sue 123 pagineaprono continuamente sullimplicito, sem-pre preponderante rispetto allesplicito. Lastoria di Jean anche allegoria di una na-zione e di una civilt che ha smarrito qual-cosa di s. Dunque ogni elemento ha unpeso specifico particolare. Un taccuino,per esempio, non solo un oggetto di usoquotidiano, che pu essere smarrito (o ru-bato) e ritrovato, ma diventa la figura chein s sussume i tratti e il ruolo di unamiria-de di oggetti materiali e psichici: la catturadi un nome o di un numero, lintenzionedi conservare nonostante i traumidellesperienza e nonostante lincomben-za delloblio, laccidentalit e la volontdella memoria, la necessit di lasciarsi allespalle, di allontanare, di chiudere una par-te di s in un punto dello spazio che si purendere a lungo o forse per sempre inac-cessibile a s e agli altri.

    PATOLOGIAMODIANESQUE

    UNTACCUINO SMARRITO, UNADONNAINDECIFRABILE, PARIGI OCCUPATA...DA EINAUDI IL NUOVOROMANZODI PATRICKMODIANO: LIMPIDO,OPACO

    JONA ALMANSI GADDA-PARISE C. SERENI SERIALCLASSICAMILANO 700 FIORENTINO FERMOR THOMAS SCHERMI GABRIEL MATISSE

  • (2) ALIAS DOMENICA14 GIUGNO 2015

    Attraente psichiatrico,un ragazzo-gattoper Umberto Saba

    di MASSIMO RAFFAELI

    La musa di Umberto Saba futanto ambigua e ancipite da realiz-zare, specie se valutata in retrospet-tiva, una combinazione in cui ilmaschile e il femminile non tantosi confondevano quanto si identifi-cavano. E infatti la sua raccoltaeponima, Trieste e una donna, e ilsuo romanzo terminale e postu-mo, Ernesto, potevano s cambiarereferenti e destinatarima restituiva-no senzaltro una medesima tem-peratura del sentire, un unico slan-cio a quella che il poeta chiamavala calda vita ovvero, quale sinoni-mo dello slancio e insieme della ri-cezione sentimentale, la sua amo-rosa spina.Elettivo e profondamente arri-

    schiato fu quanto a ci il suo rap-porto con il figlio del collega libraioantiquario Emanuele Almansi, unragazzo della classe 1924, Federi-co, cui sono tacitamente dedicatealcune poesie del Canzoniere (frale altre Per un fanciullo ammalato,Tre poesie a Telemaco, Vecchio egiovane) nonch diversi aforismidi Scorciatoie e raccontini e special-mente, cosa rara per il poeta triesti-no, la lunga prefazione al volumet-to delle liriche di Federico Almansimedesimo, Poesie (1938-1946),pubblicate a Firenze da Fussi nel1948 e di recente riproposte nelcomplessivo Attesa. Poesie edite einedite (Sedizioni 2015).Della parabola breve e tragica di

    Federico oggi si occupa il bellissi-mo volume di chi gli fu amico ed un fuoriclasse delle nostre lettere,Emilio Jona, il quale gli dedica Il ce-leste scolaro (Neri Pozza, pp. 222,e 16.00), unopera che assemblacon mano leggera documenti, la-certi epistolari,memorie e reinven-zioni dal vivo senzamai confonde-re o ibridare il vero e il verosimile:Saba vide un adorabile adolescen-te aggirarsi come un gatto, estra-neo e indipendente, nella casa pa-terna, un gatto che leggeva le suepoesie, lo ascoltava incantato e loguardava come un dio disceso perlui dal cielo in terra. Fuuna recipro-ca folgorazione e il volto del poetaamico invase lo spazio primaoccu-pato dal chiaro e onesto volto delpadre, da cui Federico vide scende-re lacrime amare per quella amici-zia che Emanuele percepiva comeun odio a s e distruttiva per il fi-glio.Conosciutolo fanciullo a Pado-

    va, Saba ritrova Federico nellosplendore della giovinezza a Mila-no nella nuova casa di Emanuelein cui ospite, nel suo eterno andi-rivieni da Trieste, fra il novembredel 45 e il maggio del 48. Il ragaz-zo, nonmeno attraente e singolarenella fisionomia, tuttavia moltomutato perch alle sue prime pro-ve poetiche (e, va aggiunto, provenarrative di ascendenza favolisti-ca) la vita, che per lui si immaginarovinosamente rapida in quel fran-gente, ha addizionato lamore an-dato a male per una ragazza elesperienza di partigiano in armi,ben pi rischiosa per un giudeo

    braccato, nella Repubblica dellOs-sola. Ma prima che un reduce, an-cora giovanissimo, Federico unragazzo ammalato di mente, unabulico preso dentro ubbe e chi-mere tutte sue, che prosegue e in-consciamente aggrava le atavichemalinconie e le brusche inversionipsichiche di suo padre Emanuele,uomo afflitto dai debiti e chiusodentro al matrimonio contrattocon una donna troppo differenteda lui, Onorina, lamadre di Federi-co, una pastora analfabeta scesadaimonti del Piemonte occidenta-le col suo carico di vitalit inesplo-sa e di affetto mutamente intransi-tivo. Fatto sta che la notte del 16maggio del 52 Emanuele, oppres-

    so dai sensi di colpa e dauna dispe-razione cui non sa pi dare un no-me, appoggia la canna di unapisto-la alla nuca di Federico che sta dor-mendonel suo letto e tenta di ucci-derlo, il che vuol dire, per la suamente allucinata, che tenta o pre-sume di salvarlo dalla stessa folliada cui si senteminacciato in primapersona. La sentenza, al processo,sar mite per questuomo dignito-so e morbosamente scrupolosoche al ritorno a casa si dar comeobiettivo la salvezza di Federicodallinferno degli ospedali psichia-trici.E questo proprio il baricentro

    del libro di Jona: il ritorno a casa diFederico, la ricostruzione di un fo-

    colare domestico, il prolungato au-tunno di colui che era stato un ra-gazzo splendente e ora un adultoopaco, appesantito, un ex poetadal talento astrale e ora invece unmite grafomane, il titolare di un im-menso epistolario vanamente indi-rizzato a qualcuno (amici come Jo-na, parenti residui) ma per lo pispedito a nessuno. Federico so-pravvive al padre di molti anni, trai ricordi e le figure superstiti di unfocolare da tempo assiderato, e sispegne a Milano nel dicembre del1978, quando ha appena cinquan-taquattro anni: il libro che gli dedi-ca Emilio Jona, unodei tre presentinel cimitero del Musocco al mo-mento delle esequie, un atto di

    struggentepietas rerum, il solo pos-sibile kaddish replicato in solitudi-ne, a tanta distanza di spazio e ditempo, in onore di un amico indi-menticabile e, nella giovinezza, in-separabile. (Qui va detto che sia lacompattezza di un libro che si leg-ge in una sola presa di fiato sia laricchezza polifonica dei livelli discrittura che vi si intramano dannopiena testimonianza del rilievo diun autore, poligrafo, con cui la no-stra cultura non ha ancora debita-mente fatto i conti. Biellese dellaclasse 1927, tra i fondatori di Can-tacronache, editore dei Canti po-polari del Nigra per Einaudi e didue ponderose antologie per Don-zelli Senti le rane che cantano.Canzoni e vissuti popolari della ri-saia, 2005, e Le ciminiere non fan-no pi fumo. Canti ememorie deglioperai torinesi, 2008 Jona ha fralaltro pubblicato saggi, romanzi,testi teatrali e uno splendido volu-medi poesie, La cattura dello splen-dore, che usc da Scheiwiller nel1998 con una prefazione di PierVincenzoMengaldo).Degli anni solitari di Federico,

    quelli di una vera e propria autore-clusione, scrive Jona: Federicoaveva un intimo impulso alla digni-t, alla compassione, alla grazia,maviveva ormai in un alternarsi in-controllato di chiarezza e di deli-rio, e sotto una coltre di dolcezza edi bonomia nascondeva una totaledisperazione. Lo dominavano laspada della noia, lo spleen, il torpo-re, il deformarsi della realt, le vocidi altri mondi, di altri linguaggi, si-no al passaggio dai pensieri ai gestipi aggressivi verso di s e verso glialtri, un tentativo di evirarsi, lap-piccare un incendio aimobili di ca-sa, gesti che provocavano i ricove-ri, sempre pi frequenti, nelle pub-bliche istituzionimanicomiali. So-

    no gesti che il tempo placher osmaltir progressivamente avvian-dolo in uno spazio di silenzio inso-norizzato nonostante la grafoma-nia e, a momenti, taluni intervallidi resipiscenza. Saba era morto datrentanni ed era inesistente daquasi quaranta il buon maestroche aveva dedicato al celeste scola-ro, per loccasione nobile giovinet-to, la n. 157 delle Scorciatoie infat-ti intitolata Federico e leducazione,dove si dice di un narcisismoporta-to alla oltranza e al dileggio, quasialla provocazione permanente, mache in realt si scopre comeuna se-greta, e tantopi impellente, richie-sta damore, di paterna e indulgen-te protezione. Era stato appuntoFederico Almansi a dettare alcunifra i versi pi puri, e disperati, chemai siano usciti da una adolescen-za: Ho visto unamadre che assas-sinava/ il figlio con un bacio trop-po avido,/ e il cuore oggi ne portail segno.// Ho visto lodio nei suoiocchi celesti,/ dove affiora unabont non morta:/ amore per uncielo sconfinato,/ per un paesenon dimenticato.

    di ANDREA ROSSETTI

    Dopo pi di mezzo secolo di tentativiescono, grazie a un piccolo coraggiosoeditore milanese, le poesie di FedericoAlmansi (1924-78), il ragazzo che sconvolsegli ultimi anni della poesia e della vita diUmberto Saba. Il caso, quando non si trattato di vero e proprio sabotaggio, halavorato a lungo allannullamento di questafigura che gi la schizofrenia avevapraticamente cancellato a nemmenotrentanni. Si sa: le lettere che Saba gliscriveva quotidianamente e checonsiderava il suo capolavoro non furonomai trovate; altre di Federico ad AuroraCiliberti sono state sbadatamente perse inun bar e mai ricomparse; altre ancoragiacciono segregate dalla volont deglieredi di colui cui furono indirizzate. Fino aqualche tempo fa di Federico non siconosceva nemmeno una fotografia; tantoche una studiosa sabiana si avventur in

    grotteschi ricami su un disegnino trovatotra le carte di Saba per trarne i trattisomatici. Poi improvvisamente, in un tornodanni, un susseguirsi di eventi editoriali:dapprima la pubblicazione del carteggio traSergio Ferrero e Saba (Archinto 2013), incui Federico spesso protagonista, quindiIl celeste scolaro, il bel romanzo di Jona, orale poesie.Il volumetto (Federico Almansi, Attesa,

    poesie edite e inedite, Sedizioni, DiegoDejaco editore, pp. 149, e 21,00), agilmentecurato da Francesco Rognoni, si apre con laplaquette di esordio, Poesie 1938-46pubblicata da Fussi nel 48. Fortementevoluto da Saba, che, unicum nella suabibliografia, ne scrive addirittura laprefazione, dichiaratamente il libro di unragazzo. Che, come tale, fa incetta disuggestioni e influenze: sbandando tra Saba(che ovviamente giganteggia), Montale eUngaretti, sfiorando inquietudinimetafisiche nelle cose migliori ma un po

    impersonali, e attingendo alle proprieesperienze in quelle pi sentite. forse laprima volta scrive Saba che un ragazzoconfessa (in versi) i suoi sentimenti diragazzo, senza n vergognarsi di questi, natteggiare a disprezzo. Ed cos, credo,che vadano storicizzate, tra gli entusiasmidellimmediato dopoguerra: tanto pi chegli esperimenti narrativi di Federico vannonella stessa direzione.La vera scoperta del libro per Attesa, la

    plaquette che Federico consegn a Ferreroe a Jona in due identici dattiloscritti attornoal 50 e che entrambi indipendentementecercarono, senza successo, di pubblicare.Erano accadute molte cose da quandoaveva scritto le poesie lodate da Saba, cosedi cui il libro di Jona d ampiamente conto:la guerra, le leggi razziali, la resistenza, ilcorpo a corpo con la malattia, linfernodomestico. C unurgenza espressiva inqueste poesie, scritte sul confinedellalienazione, una realt talmente

    drammatica che brucia qualsiasiaccademia, qualsiasi autorit. C un sensodi estraneit che ci ricorda forselesperienza di Celan. Mi dici che questeparole sono/ rubate alla memoria deltempo,/che dalla mia anima non soafferrare/ un sentimento nuovo/che sonofuori della vita. vero. E c una capacitdi guardare in faccia lorrore senzascomporsi. Le voci/ e i rumori del mondo/nonmi interessano. Vivo nel vago/edoloroso ricordo dei morti. Non sappiamose Saba lesse mai queste poesie. Pensiamodi no. Il silenzio era caduto tra i due. Dopoanni di silenzio ho scritto/ pochi versi. Nonposso mandarli a te, di cui s cara mera/(mi sarebbe) una lode. (Ignoro lanimo/con cui li accoglieresti), scriveva Saba. Seper li avesse letti, oltre al dolore per il datobiografico avrebbe provato purasoddisfazione: il celeste scolaro avevaacquisito i mezzi per esprimere qualsiasicosa anche lorrore pi alienante.

    FEDERICOALMANSI

    Urgenza espressivadal confinedella schizofrenia:poesie e Attesacon, per modello,ladorato Saba

    GERENZAUna struggentememoriadi Emilio Jonasu Federico(figlio del libraiotriestino EmanueleAlmansi), amatoda Saba e poipreda della follia di RAFFAELE MANICA

    Non sanno, i narratofagi esclusi-vi, quanto piacere possa riservare lalettura di autobiografie, diari, carteggi:non per trarne il mero punto di vistatestimoniale,maper il pullulare di esi-stenze che di l si pu riuscire a prono-sticare. Per, se limmaginazione nonsa prendere corpo e sostanza, un car-teggio lascia troppo margine allinter-rogare inevaso, uno spazio lacuno-so. A rimediare e a ricomporre il qua-dro possono intervenire le gioiedellerudizione: scavo accurato di da-ti, loro connessione, riscontri incrocia-ti. Esce ora un carteggio che, per chisappia pesare i nomi dei corrisponden-ti, il rapporto di unintensa amicizia lincontro di due modi di concepirela vita e di viverla , una scala di misu-ra dal doppio centro e, infine, unideadi letteratura. Il frontespizio reca: Car-lo Emilio Gadda-Goffredo Parise, Semi vede Cecchi, sono fritto Corrispon-denza e scritti 1962-1973 (Adelphi Pic-cola Biblioteca, pp. 346,e 18,00). Il vo-lume consta di quindici lettere di Gad-da a Parise, tre di Parise a Gadda euna, riguardanteGadda, di Parise a Va-lentino Bompiani; infine quattro scrit-ti di Parise su Gadda e un dialogo tra idue. Il resto del libro, il tessuto connet-tivo tra questi frammenti di vita, unadoppia biografia con ricognizione dicontesti per sparse membra, del cu-ratore, Domenico Scarpa, che ha tra-sformato lerudizione in folta ricostru-zione critica, intricata di richiami, pi-ste, accertamenti, spie.Gadda e Parise sono separati allana-

    grafe da trentasei anni: il lombardoGadda, classe 1893, il veneto Parise,1929. Si incontrano nel 58, quandoluno ha pi del doppio degli annidellaltro: Gadda lascia appena allespalle il Pasticciaccio, la cui stesura haprotratto per anni nel tentativo, rivela-tosi vano, di riuscire a sbrogliarne lamatassa gialla; Parise segnato dauna partenza rapidissima, una rivela-zione ribadita: da ventiduenne, con Ilragazzo morto e le comete; da venti-quattrenne, con La grande vacanza:due libri che, si direbbe nelle arti dellospettacolo, non sono pi usciti di re-pertorio. Uno scrittore di genio, se nonon ne avrebbero accompagnato lacrescita umana Prezzolini, Montale,Comisso. Nel 61 Gadda e Parise sonovicini di casa a Roma, la frequentazio-ne si fa intensa, traMonteMario, doveabita Parise, e via Blumenstihl 19. Lacartella delle lettere superstiti copremeno di un anno, da fine ottobre 62 afine agosto 63. Sono gli anni in cui, se-

    condo un ricordo condiviso (Arbasi-no, Citati), qui nella versione di Atti-lio Bertolucci, al suono dei Beatles, ilragazzaccio che sempre stava in Pari-se, portando in automobile per RomalIngegnere, rispuntava fuori nei sor-passi: il gran lombardo sudava, zitto,trattenendo il fiato, mimando, senzafarsene accorgere, una sorta di finta,esorcizzante, immaginaria frenata.Gadda prende congedo dalla terra nel1973, Parise nel 1986.Nel 1973 proprio, quando lIngegne-

    re, luomodi tutte le paure, scrive Pari-se, non ha pi ragione di temere nes-suno, perso come nella definitivacontemplazione del proprio io senzapi bufere, ora insomma che lachiacchiera da lui tanto amata potreb-be diventare lecita, Giulio Cattaneopubblica un volumetto su Gadda, in-

    sieme memoria e biografia, con grangusto dellaneddoto: il titolo, di ascen-denza manzoniana, proverbiale, Ilgran lombardo. Parise, con quella chesi deve pur definire una commozionedivertita, prende spunto e racconta co-s del sorpasso: dal 1961, scrive, si sta-va spesso insieme, si andava a farequalche giro in campagna nella miaautomobile che era una MGb, spider,rossa. Non lo spaventava apparente-mente, n il tipo di macchina, a dueposti, n la velocit. Lo spaventavapiuttosto il fatto che avendo io unacompagna egli prendesse il suo posto.Le regal unenciclopedia britannicadai molti volumi, che viaggiarono inlunghi viaggi da casa sua a casa mia,per scusarsi. Ne riebbe un dono diplaid scozzese, che ricambi conpran-zi che vennero ricambiati con botti-

    glie di vino, ricambiate a loro voltacon dubbi di non aver ricambiato ab-bastanza. Temeva anche di essere vi-sto, e criticato, a bordo di quella mac-china. Qualche volta diceva: Semi ve-de Cecchi sono fritto. Sarmai finitolo scrupolo, nella mente di quelluo-mo cerimonioso come se solo nella ce-rimoniosit potesse trovare pace mo-mentanea e illusoria ci che Freud cer-c di spiegare per tutta la sua opera?Forse in Gadda la cerimoniosit eraun tentativo di adattamento della spe-cie, un fenomeno che avrebbe interes-satoDarwin, e che infatti interessava ildarwiniano Parise, diventato tale perimpulso di Gadda. Ad ogni modo,mentreGadda temeva di essere passa-to in padella dal Gran sacerdote dellacritica, ritenuto omaldicente o incapa-ce di interpretare il senso di un uomo

    seduto al posto di unadonna in unau-to rossa lanciata a grande velocit,troppo parafuturista, troppomito del-lamodernit, avvenne che un giorno, qui Parise sembra un novelliere anti-co che avvii a conclusione il raccontodi una burla riuscita, ed unmodo ti-pico anche dei Sillabari un brigadie-re dei carabinieri si ferm ad esaminar-la e a lodarla. Chiese a Gadda:Quanto fa?. Gadda mi guard, guar-d il contachilometri e compose unasua risposta sibillina con inchino:Pochino, il contachilometri segnaduecento. Perch ci avr chiesto ilbrigadiere non a Parise ma a Gadda?Non occorre perizia astrologica per ri-spondere: destino: Gadda doveva libe-rarsi, come Pinocchio, dai carabinierie dal pentolone dellolio bollente.Per disse il brigadiere, salut escomparve. Gadda comment: Piaceai carabinieri. E se piace ai carabinieriperch non dovrebbe piacere a Cec-chi?.Uomodordine, Cecchi, vigilan-te: quando La cognizione del dolorevince nel 1963 il Prix International desditeurs, scrive un articolo che manoignota titola venuto il suo anno: chis-s, scrive Scarpa, quale funesto rin-tocco pot cogliere, in un titolo del ge-nere, Gadda.E uomo dordine Gadda, che a Pari-

    se or ora tornato da Parigi, corre lan-no 1968, chiede se ha visto qualcosa:Anche le barricate? bofonchi.Anche le barricate. Le barricate!...bofonchi, le barricate!... avrei volutovederli, sullAltopiano, con le Sa-int-tienne, le mitragliatrici fran-cesi in dotazione allesercito italiano,sulle quali, ricorda Scarpa, Gaddaapre il Giornale di guerra per lanno1916. Era uno dei modi in cui il con-servatore dialogava con lanarchico, bi-lanciando come cerimonia esige, la-sciando aperte tutte le vie allinterpre-tazionedei contemporanei e dei poste-ri; fin dallinizio dellamicizia, secon-do una testimonianza, Parise gli pare-va uno squisito esempio dellintellet-tuale indipendente, poco influenzabi-le dai tanti sostenitori del costituendocentrosinistra e, del resto, anche pi al-lergico alle obiezioni dei detrattori del-la nuova alleanza politica.Gadda e i doni, si visto: per alme-

    no uno fece un solo viaggio per rac-comandata espresso alla vigilia delNatale del 1962: un esiguo assegnocircolare e intrasferibile, Credito ita-liano Roma sede, n. 12/605.860, perpanettone o pandro o ricciarelli equalche liquido: pensavo al Carpno al Courvoisier da voi con tanta gen-tilezza offertomi il Natale scorso. Po-co mancava, ripagando dopo un an-no la bevuta, che, come altre volte, ilcerimonioso si pentisse per limportoinadeguato in s e rispetto ai destina-tari: da tenersi inmaggior conto, qua-le che fosse la cifra; stavolta dellasse-gno smarrito scrive: la libellula eracos tenue che ho avuto vergogna adirtene il peso.

    Filippo de Pisis,Giovane disteso, 1939,china su cartaJONA

    Nel 1961 diventanovicini di casa,la frequentazionesi fa intensa: Pariseporta sulla sua autolIngegnere...Un intrico di storiee gag ricostruitoda Domenico Scarpa

    IL CELESTE SCOLARO, DA NERI POZZA

    di MARGHERITA GHILARDI

    Ha spiegato Christa Wolf che tra tutte le formedi scrittura la pi facile lautobiografia. Perch chiscrive conosce alla perfezione lamateria, si muove inun ambiente famigliare come un pesce dentrolacqua. Per, aggiungeva, tra tutte anche la pidifficile. Lautobiografia non pu infatti limitarsi anarrare, dovr piuttosto svelare, accettando diprocedere fra turbamenti e dubbi. In una parola,diceWolf, chi scrive non potr evitare di farsi un pomale. Ecco, ci che il lettore pensa appena arrivato infondo a Via Ripetta 155 (Giunti, pp. 199, e 14, 00) proprio che a scriverlo deve essersi fatta piuttostomale, Clara Sereni. Subito dopo pensa che le saranche servito un bel po di coraggio. Addirittura picoraggio del solito. Di s e della sua vita, mescolandoinconsueti linguaggi narrativi, Clara Sereni ha svelatonel tempomolte cose. Qualche volta anche tornataa guardarle da angolature differenti, quasi volendoattestare con argomenti nuovi la loro carnale,rotonda verit. Il fatto autobiografico in quella suascrittura indisciplinata e anfibia, da lei stessa definita

    di frontiera, una potente ragione espressiva: nonpropriamentememoriama impegno testimoniale,investitura politica, patto inderogabile con la realt.Tutti i suoi libri, per quanto plasmati in forme anchemolto diverse, rispondono a unidentica necessit ditrasformare lesperienza in documento. Non si trattaper Sereni di promuovere a vicenda esemplare unacronaca privata, piuttosto di respingerla nel flussomaestoso e indistinto della Storia. Nessuno dei suoilibri sembra tuttavia cos pluralema allo stessotempo soggettivo come lultimo. Soprattutto nessunosi direbbe tanto esposto. Non solo lindirizzo deltitolo vero in Via Ripetta 155, lo anchelappartamento al quarto piano, senza riscaldamentoper con il soffitto a cassettoni, abitato da Sereni neldecennio insieme pi colorato e plumbeo dellanostra storia vicina. Veri sono i fatti che succedonogi in strada oltre quelle due finestre dipinte di giallo,vere le manganellate prese durante un sit-in controla guerra in Vietnam, vero il proiettile visto sparare avolto coperto e braccio teso dal cuore di un corteo.Sono veri, spesso anche noti, i nomi di maestri ecompagni di strada, amici, persone incrociate una

    volta poi perse per sempre. Scegliendo una classicastruttura storiografica, un capitolo per ogni anno dallucente 1968 al cinereo 1977, lautrice racconta senzanostalgie n revanscismi, piuttosto con severatenerezza, la corsa di una generazione che hacompiuto uninfinit di errori, mai sufficientementebiasimati, come ammetteva in Taccuino diunultimista (1998), ma che ha almeno diritto allaverit intangibile delle emozioni e dei ricordipersonali. Tra lelezione di Nixon e il referendum suldivorzio si conclude per Sereni anche la vicendadellappartamento un po bohmien abitato da solaconmolte speranze a ventanni e con altrettantesperanze lasciato per cominciare una convivenza dicoppia. Da cronaca plurale il libro diventa cos storiain soggettiva di un passaggio allet adulta: con il suostile esatto la scrittrice infilza le proprie fragilit e ledelusioni, il disagio di una emancipazionemai deltutto compiuta. Punta su di s uno sguardospudorato, pi un coltello che una torcia, per svelareil bisogno doloroso di dare forma a un vuoto. Tantoche un po di male, bench sappia anche farcisorridere spesso, in fondo lo sentiamo anche noi.

    CLARA SERENI

    Una bohmeincompiutadal lucente 68al cinereo 77:scrittura anfibiae indisciplinata

    SE MI VEDE CECCHI, SONO FRITTO: LE LETTERE TRA I DUE SCRITTORI E ALTRI MATERIALI, DA ADELPHIDomenico Gnoli,Bouton n. 4, 1969,Roma, collezioneMarzia Gnoli

    In copertina di Alias-D:Jean-Franois Lepage,dalla serie Memoriesfrom the Future

    GADDA-PARISEIL CELESTE SCOLARO, DA NERI POZZA

    Frammenti di Romacon spider rossa

    Il manifestodirettore responsabile:Norma Rangeri

    a cura diRoberto AndreottiFrancesca BorrelliFederico De Melis

    redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:tel. 06687195490668719545email:[email protected]:http://www.ilmanifesto.info

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    concessionaria dipubblicit:Poster Pubblicit s.r.l.sede legale:via A. Bargoni, 8tel. 0668896911fax 0658179764e-mail:[email protected] Milanoviale Gran Sasso 220131 Milanotel. 02 4953339.2.3.4fax 02 49533395tariffe in euro delleinserzioni pubblicitarie:Pagina30.450,00 (320 x 455)Mezza pagina16.800,00 (319 x 198)Colonna11.085,00 (104 x 452)Piede di pagina7.058,00 (320 x 85)Quadrotto2.578,00 (104 x 85)posizioni speciali:Finestra prima pagina4.100,00 (65 x 88)IV copertina46.437,00 (320 x 455)

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  • (3)ALIAS DOMENICA14 GIUGNO 2015

    Attraente psichiatrico,un ragazzo-gattoper Umberto Saba

    di MASSIMO RAFFAELI

    La musa di Umberto Saba futanto ambigua e ancipite da realiz-zare, specie se valutata in retrospet-tiva, una combinazione in cui ilmaschile e il femminile non tantosi confondevano quanto si identifi-cavano. E infatti la sua raccoltaeponima, Trieste e una donna, e ilsuo romanzo terminale e postu-mo, Ernesto, potevano s cambiarereferenti e destinatarima restituiva-no senzaltro una medesima tem-peratura del sentire, un unico slan-cio a quella che il poeta chiamavala calda vita ovvero, quale sinoni-mo dello slancio e insieme della ri-cezione sentimentale, la sua amo-rosa spina.Elettivo e profondamente arri-

    schiato fu quanto a ci il suo rap-porto con il figlio del collega libraioantiquario Emanuele Almansi, unragazzo della classe 1924, Federi-co, cui sono tacitamente dedicatealcune poesie del Canzoniere (frale altre Per un fanciullo ammalato,Tre poesie a Telemaco, Vecchio egiovane) nonch diversi aforismidi Scorciatoie e raccontini e special-mente, cosa rara per il poeta triesti-no, la lunga prefazione al volumet-to delle liriche di Federico Almansimedesimo, Poesie (1938-1946),pubblicate a Firenze da Fussi nel1948 e di recente riproposte nelcomplessivo Attesa. Poesie edite einedite (Sedizioni 2015).Della parabola breve e tragica di

    Federico oggi si occupa il bellissi-mo volume di chi gli fu amico ed un fuoriclasse delle nostre lettere,Emilio Jona, il quale gli dedica Il ce-leste scolaro (Neri Pozza, pp. 222,e 16.00), unopera che assemblacon mano leggera documenti, la-certi epistolari,memorie e reinven-zioni dal vivo senzamai confonde-re o ibridare il vero e il verosimile:Saba vide un adorabile adolescen-te aggirarsi come un gatto, estra-neo e indipendente, nella casa pa-terna, un gatto che leggeva le suepoesie, lo ascoltava incantato e loguardava come un dio disceso perlui dal cielo in terra. Fuuna recipro-ca folgorazione e il volto del poetaamico invase lo spazio primaoccu-pato dal chiaro e onesto volto delpadre, da cui Federico vide scende-re lacrime amare per quella amici-zia che Emanuele percepiva comeun odio a s e distruttiva per il fi-glio.Conosciutolo fanciullo a Pado-

    va, Saba ritrova Federico nellosplendore della giovinezza a Mila-no nella nuova casa di Emanuelein cui ospite, nel suo eterno andi-rivieni da Trieste, fra il novembredel 45 e il maggio del 48. Il ragaz-zo, nonmeno attraente e singolarenella fisionomia, tuttavia moltomutato perch alle sue prime pro-ve poetiche (e, va aggiunto, provenarrative di ascendenza favolisti-ca) la vita, che per lui si immaginarovinosamente rapida in quel fran-gente, ha addizionato lamore an-dato a male per una ragazza elesperienza di partigiano in armi,ben pi rischiosa per un giudeo

    braccato, nella Repubblica dellOs-sola. Ma prima che un reduce, an-cora giovanissimo, Federico unragazzo ammalato di mente, unabulico preso dentro ubbe e chi-mere tutte sue, che prosegue e in-consciamente aggrava le atavichemalinconie e le brusche inversionipsichiche di suo padre Emanuele,uomo afflitto dai debiti e chiusodentro al matrimonio contrattocon una donna troppo differenteda lui, Onorina, lamadre di Federi-co, una pastora analfabeta scesadaimonti del Piemonte occidenta-le col suo carico di vitalit inesplo-sa e di affetto mutamente intransi-tivo. Fatto sta che la notte del 16maggio del 52 Emanuele, oppres-

    so dai sensi di colpa e dauna dispe-razione cui non sa pi dare un no-me, appoggia la canna di unapisto-la alla nuca di Federico che sta dor-mendonel suo letto e tenta di ucci-derlo, il che vuol dire, per la suamente allucinata, che tenta o pre-sume di salvarlo dalla stessa folliada cui si senteminacciato in primapersona. La sentenza, al processo,sar mite per questuomo dignito-so e morbosamente scrupolosoche al ritorno a casa si dar comeobiettivo la salvezza di Federicodallinferno degli ospedali psichia-trici.E questo proprio il baricentro

    del libro di Jona: il ritorno a casa diFederico, la ricostruzione di un fo-

    colare domestico, il prolungato au-tunno di colui che era stato un ra-gazzo splendente e ora un adultoopaco, appesantito, un ex poetadal talento astrale e ora invece unmite grafomane, il titolare di un im-menso epistolario vanamente indi-rizzato a qualcuno (amici come Jo-na, parenti residui) ma per lo pispedito a nessuno. Federico so-pravvive al padre di molti anni, trai ricordi e le figure superstiti di unfocolare da tempo assiderato, e sispegne a Milano nel dicembre del1978, quando ha appena cinquan-taquattro anni: il libro che gli dedi-ca Emilio Jona, unodei tre presentinel cimitero del Musocco al mo-mento delle esequie, un atto di

    struggentepietas rerum, il solo pos-sibile kaddish replicato in solitudi-ne, a tanta distanza di spazio e ditempo, in onore di un amico indi-menticabile e, nella giovinezza, in-separabile. (Qui va detto che sia lacompattezza di un libro che si leg-ge in una sola presa di fiato sia laricchezza polifonica dei livelli discrittura che vi si intramano dannopiena testimonianza del rilievo diun autore, poligrafo, con cui la no-stra cultura non ha ancora debita-mente fatto i conti. Biellese dellaclasse 1927, tra i fondatori di Can-tacronache, editore dei Canti po-polari del Nigra per Einaudi e didue ponderose antologie per Don-zelli Senti le rane che cantano.Canzoni e vissuti popolari della ri-saia, 2005, e Le ciminiere non fan-no pi fumo. Canti ememorie deglioperai torinesi, 2008 Jona ha fralaltro pubblicato saggi, romanzi,testi teatrali e uno splendido volu-medi poesie, La cattura dello splen-dore, che usc da Scheiwiller nel1998 con una prefazione di PierVincenzoMengaldo).Degli anni solitari di Federico,

    quelli di una vera e propria autore-clusione, scrive Jona: Federicoaveva un intimo impulso alla digni-t, alla compassione, alla grazia,maviveva ormai in un alternarsi in-controllato di chiarezza e di deli-rio, e sotto una coltre di dolcezza edi bonomia nascondeva una totaledisperazione. Lo dominavano laspada della noia, lo spleen, il torpo-re, il deformarsi della realt, le vocidi altri mondi, di altri linguaggi, si-no al passaggio dai pensieri ai gestipi aggressivi verso di s e verso glialtri, un tentativo di evirarsi, lap-piccare un incendio aimobili di ca-sa, gesti che provocavano i ricove-ri, sempre pi frequenti, nelle pub-bliche istituzionimanicomiali. So-

    no gesti che il tempo placher osmaltir progressivamente avvian-dolo in uno spazio di silenzio inso-norizzato nonostante la grafoma-nia e, a momenti, taluni intervallidi resipiscenza. Saba era morto datrentanni ed era inesistente daquasi quaranta il buon maestroche aveva dedicato al celeste scola-ro, per loccasione nobile giovinet-to, la n. 157 delle Scorciatoie infat-ti intitolata Federico e leducazione,dove si dice di un narcisismoporta-to alla oltranza e al dileggio, quasialla provocazione permanente, mache in realt si scopre comeuna se-greta, e tantopi impellente, richie-sta damore, di paterna e indulgen-te protezione. Era stato appuntoFederico Almansi a dettare alcunifra i versi pi puri, e disperati, chemai siano usciti da una adolescen-za: Ho visto unamadre che assas-sinava/ il figlio con un bacio trop-po avido,/ e il cuore oggi ne portail segno.// Ho visto lodio nei suoiocchi celesti,/ dove affiora unabont non morta:/ amore per uncielo sconfinato,/ per un paesenon dimenticato.

    di ANDREA ROSSETTI

    Dopo pi di mezzo secolo di tentativiescono, grazie a un piccolo coraggiosoeditore milanese, le poesie di FedericoAlmansi (1924-78), il ragazzo che sconvolsegli ultimi anni della poesia e della vita diUmberto Saba. Il caso, quando non si trattato di vero e proprio sabotaggio, halavorato a lungo allannullamento di questafigura che gi la schizofrenia avevapraticamente cancellato a nemmenotrentanni. Si sa: le lettere che Saba gliscriveva quotidianamente e checonsiderava il suo capolavoro non furonomai trovate; altre di Federico ad AuroraCiliberti sono state sbadatamente perse inun bar e mai ricomparse; altre ancoragiacciono segregate dalla volont deglieredi di colui cui furono indirizzate. Fino aqualche tempo fa di Federico non siconosceva nemmeno una fotografia; tantoche una studiosa sabiana si avventur in

    grotteschi ricami su un disegnino trovatotra le carte di Saba per trarne i trattisomatici. Poi improvvisamente, in un tornodanni, un susseguirsi di eventi editoriali:dapprima la pubblicazione del carteggio traSergio Ferrero e Saba (Archinto 2013), incui Federico spesso protagonista, quindiIl celeste scolaro, il bel romanzo di Jona, orale poesie.Il volumetto (Federico Almansi, Attesa,

    poesie edite e inedite, Sedizioni, DiegoDejaco editore, pp. 149, e 21,00), agilmentecurato da Francesco Rognoni, si apre con laplaquette di esordio, Poesie 1938-46pubblicata da Fussi nel 48. Fortementevoluto da Saba, che, unicum nella suabibliografia, ne scrive addirittura laprefazione, dichiaratamente il libro di unragazzo. Che, come tale, fa incetta disuggestioni e influenze: sbandando tra Saba(che ovviamente giganteggia), Montale eUngaretti, sfiorando inquietudinimetafisiche nelle cose migliori ma un po

    impersonali, e attingendo alle proprieesperienze in quelle pi sentite. forse laprima volta scrive Saba che un ragazzoconfessa (in versi) i suoi sentimenti diragazzo, senza n vergognarsi di questi, natteggiare a disprezzo. Ed cos, credo,che vadano storicizzate, tra gli entusiasmidellimmediato dopoguerra: tanto pi chegli esperimenti narrativi di Federico vannonella stessa direzione.La vera scoperta del libro per Attesa, la

    plaquette che Federico consegn a Ferreroe a Jona in due identici dattiloscritti attornoal 50 e che entrambi indipendentementecercarono, senza successo, di pubblicare.Erano accadute molte cose da quandoaveva scritto le poesie lodate da Saba, cosedi cui il libro di Jona d ampiamente conto:la guerra, le leggi razziali, la resistenza, ilcorpo a corpo con la malattia, linfernodomestico. C unurgenza espressiva inqueste poesie, scritte sul confinedellalienazione, una realt talmente

    drammatica che brucia qualsiasiaccademia, qualsiasi autorit. C un sensodi estraneit che ci ricorda forselesperienza di Celan. Mi dici che questeparole sono/ rubate alla memoria deltempo,/che dalla mia anima non soafferrare/ un sentimento nuovo/che sonofuori della vita. vero. E c una capacitdi guardare in faccia lorrore senzascomporsi. Le voci/ e i rumori del mondo/nonmi interessano. Vivo nel vago/edoloroso ricordo dei morti. Non sappiamose Saba lesse mai queste poesie. Pensiamodi no. Il silenzio era caduto tra i due. Dopoanni di silenzio ho scritto/ pochi versi. Nonposso mandarli a te, di cui s cara mera/(mi sarebbe) una lode. (Ignoro lanimo/con cui li accoglieresti), scriveva Saba. Seper li avesse letti, oltre al dolore per il datobiografico avrebbe provato purasoddisfazione: il celeste scolaro avevaacquisito i mezzi per esprimere qualsiasicosa anche lorrore pi alienante.

    FEDERICOALMANSI

    Urgenza espressivadal confinedella schizofrenia:poesie e Attesacon, per modello,ladorato Saba

    GERENZAUna struggentememoriadi Emilio Jonasu Federico(figlio del libraiotriestino EmanueleAlmansi), amatoda Saba e poipreda della follia di RAFFAELE MANICA

    Non sanno, i narratofagi esclusi-vi, quanto piacere possa riservare lalettura di autobiografie, diari, carteggi:non per trarne il mero punto di vistatestimoniale,maper il pullulare di esi-stenze che di l si pu riuscire a prono-sticare. Per, se limmaginazione nonsa prendere corpo e sostanza, un car-teggio lascia troppo margine allinter-rogare inevaso, uno spazio lacuno-so. A rimediare e a ricomporre il qua-dro possono intervenire le gioiedellerudizione: scavo accurato di da-ti, loro connessione, riscontri incrocia-ti. Esce ora un carteggio che, per chisappia pesare i nomi dei corrisponden-ti, il rapporto di unintensa amicizia lincontro di due modi di concepirela vita e di viverla , una scala di misu-ra dal doppio centro e, infine, unideadi letteratura. Il frontespizio reca: Car-lo Emilio Gadda-Goffredo Parise, Semi vede Cecchi, sono fritto Corrispon-denza e scritti 1962-1973 (Adelphi Pic-cola Biblioteca, pp. 346,e 18,00). Il vo-lume consta di quindici lettere di Gad-da a Parise, tre di Parise a Gadda euna, riguardanteGadda, di Parise a Va-lentino Bompiani; infine quattro scrit-ti di Parise su Gadda e un dialogo tra idue. Il resto del libro, il tessuto connet-tivo tra questi frammenti di vita, unadoppia biografia con ricognizione dicontesti per sparse membra, del cu-ratore, Domenico Scarpa, che ha tra-sformato lerudizione in folta ricostru-zione critica, intricata di richiami, pi-ste, accertamenti, spie.Gadda e Parise sono separati allana-

    grafe da trentasei anni: il lombardoGadda, classe 1893, il veneto Parise,1929. Si incontrano nel 58, quandoluno ha pi del doppio degli annidellaltro: Gadda lascia appena allespalle il Pasticciaccio, la cui stesura haprotratto per anni nel tentativo, rivela-tosi vano, di riuscire a sbrogliarne lamatassa gialla; Parise segnato dauna partenza rapidissima, una rivela-zione ribadita: da ventiduenne, con Ilragazzo morto e le comete; da venti-quattrenne, con La grande vacanza:due libri che, si direbbe nelle arti dellospettacolo, non sono pi usciti di re-pertorio. Uno scrittore di genio, se nonon ne avrebbero accompagnato lacrescita umana Prezzolini, Montale,Comisso. Nel 61 Gadda e Parise sonovicini di casa a Roma, la frequentazio-ne si fa intensa, traMonteMario, doveabita Parise, e via Blumenstihl 19. Lacartella delle lettere superstiti copremeno di un anno, da fine ottobre 62 afine agosto 63. Sono gli anni in cui, se-

    condo un ricordo condiviso (Arbasi-no, Citati), qui nella versione di Atti-lio Bertolucci, al suono dei Beatles, ilragazzaccio che sempre stava in Pari-se, portando in automobile per RomalIngegnere, rispuntava fuori nei sor-passi: il gran lombardo sudava, zitto,trattenendo il fiato, mimando, senzafarsene accorgere, una sorta di finta,esorcizzante, immaginaria frenata.Gadda prende congedo dalla terra nel1973, Parise nel 1986.Nel 1973 proprio, quando lIngegne-

    re, luomodi tutte le paure, scrive Pari-se, non ha pi ragione di temere nes-suno, perso come nella definitivacontemplazione del proprio io senzapi bufere, ora insomma che lachiacchiera da lui tanto amata potreb-be diventare lecita, Giulio Cattaneopubblica un volumetto su Gadda, in-

    sieme memoria e biografia, con grangusto dellaneddoto: il titolo, di ascen-denza manzoniana, proverbiale, Ilgran lombardo. Parise, con quella chesi deve pur definire una commozionedivertita, prende spunto e racconta co-s del sorpasso: dal 1961, scrive, si sta-va spesso insieme, si andava a farequalche giro in campagna nella miaautomobile che era una MGb, spider,rossa. Non lo spaventava apparente-mente, n il tipo di macchina, a dueposti, n la velocit. Lo spaventavapiuttosto il fatto che avendo io unacompagna egli prendesse il suo posto.Le regal unenciclopedia britannicadai molti volumi, che viaggiarono inlunghi viaggi da casa sua a casa mia,per scusarsi. Ne riebbe un dono diplaid scozzese, che ricambi conpran-zi che vennero ricambiati con botti-

    glie di vino, ricambiate a loro voltacon dubbi di non aver ricambiato ab-bastanza. Temeva anche di essere vi-sto, e criticato, a bordo di quella mac-china. Qualche volta diceva: Semi ve-de Cecchi sono fritto. Sarmai finitolo scrupolo, nella mente di quelluo-mo cerimonioso come se solo nella ce-rimoniosit potesse trovare pace mo-mentanea e illusoria ci che Freud cer-c di spiegare per tutta la sua opera?Forse in Gadda la cerimoniosit eraun tentativo di adattamento della spe-cie, un fenomeno che avrebbe interes-satoDarwin, e che infatti interessava ildarwiniano Parise, diventato tale perimpulso di Gadda. Ad ogni modo,mentreGadda temeva di essere passa-to in padella dal Gran sacerdote dellacritica, ritenuto omaldicente o incapa-ce di interpretare il senso di un uomo

    seduto al posto di unadonna in unau-to rossa lanciata a grande velocit,troppo parafuturista, troppomito del-lamodernit, avvenne che un giorno, qui Parise sembra un novelliere anti-co che avvii a conclusione il raccontodi una burla riuscita, ed unmodo ti-pico anche dei Sillabari un brigadie-re dei carabinieri si ferm ad esaminar-la e a lodarla. Chiese a Gadda:Quanto fa?. Gadda mi guard, guar-d il contachilometri e compose unasua risposta sibillina con inchino:Pochino, il contachilometri segnaduecento. Perch ci avr chiesto ilbrigadiere non a Parise ma a Gadda?Non occorre perizia astrologica per ri-spondere: destino: Gadda doveva libe-rarsi, come Pinocchio, dai carabinierie dal pentolone dellolio bollente.Per disse il brigadiere, salut escomparve. Gadda comment: Piaceai carabinieri. E se piace ai carabinieriperch non dovrebbe piacere a Cec-chi?.Uomodordine, Cecchi, vigilan-te: quando La cognizione del dolorevince nel 1963 il Prix International desditeurs, scrive un articolo che manoignota titola venuto il suo anno: chis-s, scrive Scarpa, quale funesto rin-tocco pot cogliere, in un titolo del ge-nere, Gadda.E uomo dordine Gadda, che a Pari-

    se or ora tornato da Parigi, corre lan-no 1968, chiede se ha visto qualcosa:Anche le barricate? bofonchi.Anche le barricate. Le barricate!...bofonchi, le barricate!... avrei volutovederli, sullAltopiano, con le Sa-int-tienne, le mitragliatrici fran-cesi in dotazione allesercito italiano,sulle quali, ricorda Scarpa, Gaddaapre il Giornale di guerra per lanno1916. Era uno dei modi in cui il con-servatore dialogava con lanarchico, bi-lanciando come cerimonia esige, la-sciando aperte tutte le vie allinterpre-tazionedei contemporanei e dei poste-ri; fin dallinizio dellamicizia, secon-do una testimonianza, Parise gli pare-va uno squisito esempio dellintellet-tuale indipendente, poco influenzabi-le dai tanti sostenitori del costituendocentrosinistra e, del resto, anche pi al-lergico alle obiezioni dei detrattori del-la nuova alleanza politica.Gadda e i doni, si visto: per alme-

    no uno fece un solo viaggio per rac-comandata espresso alla vigilia delNatale del 1962: un esiguo assegnocircolare e intrasferibile, Credito ita-liano Roma sede, n. 12/605.860, perpanettone o pandro o ricciarelli equalche liquido: pensavo al Carpno al Courvoisier da voi con tanta gen-tilezza offertomi il Natale scorso. Po-co mancava, ripagando dopo un an-no la bevuta, che, come altre volte, ilcerimonioso si pentisse per limportoinadeguato in s e rispetto ai destina-tari: da tenersi inmaggior conto, qua-le che fosse la cifra; stavolta dellasse-gno smarrito scrive: la libellula eracos tenue che ho avuto vergogna adirtene il peso.

    Filippo de Pisis,Giovane disteso, 1939,china su cartaJONA

    Nel 1961 diventanovicini di casa,la frequentazionesi fa intensa: Pariseporta sulla sua autolIngegnere...Un intrico di storiee gag ricostruitoda Domenico Scarpa

    IL CELESTE SCOLARO, DA NERI POZZA

    di MARGHERITA GHILARDI

    Ha spiegato Christa Wolf che tra tutte le formedi scrittura la pi facile lautobiografia. Perch chiscrive conosce alla perfezione lamateria, si muove inun ambiente famigliare come un pesce dentrolacqua. Per, aggiungeva, tra tutte anche la pidifficile. Lautobiografia non pu infatti limitarsi anarrare, dovr piuttosto svelare, accettando diprocedere fra turbamenti e dubbi. In una parola,diceWolf, chi scrive non potr evitare di farsi un pomale. Ecco, ci che il lettore pensa appena arrivato infondo a Via Ripetta 155 (Giunti, pp. 199, e 14, 00) proprio che a scriverlo deve essersi fatta piuttostomale, Clara Sereni. Subito dopo pensa che le saranche servito un bel po di coraggio. Addirittura picoraggio del solito. Di s e della sua vita, mescolandoinconsueti linguaggi narrativi, Clara Sereni ha svelatonel tempomolte cose. Qualche volta anche tornataa guardarle da angolature differenti, quasi volendoattestare con argomenti nuovi la loro carnale,rotonda verit. Il fatto autobiografico in quella suascrittura indisciplinata e anfibia, da lei stessa definita

    di frontiera, una potente ragione espressiva: nonpropriamentememoriama impegno testimoniale,investitura politica, patto inderogabile con la realt.Tutti i suoi libri, per quanto plasmati in forme anchemolto diverse, rispondono a unidentica necessit ditrasformare lesperienza in documento. Non si trattaper Sereni di promuovere a vicenda esemplare unacronaca privata, piuttosto di respingerla nel flussomaestoso e indistinto della Storia. Nessuno dei suoilibri sembra tuttavia cos pluralema allo stessotempo soggettivo come lultimo. Soprattutto nessunosi direbbe tanto esposto. Non solo lindirizzo deltitolo vero in Via Ripetta 155, lo anchelappartamento al quarto piano, senza riscaldamentoper con il soffitto a cassettoni, abitato da Sereni neldecennio insieme pi colorato e plumbeo dellanostra storia vicina. Veri sono i fatti che succedonogi in strada oltre quelle due finestre dipinte di giallo,vere le manganellate prese durante un sit-in controla guerra in Vietnam, vero il proiettile visto sparare avolto coperto e braccio teso dal cuore di un corteo.Sono veri, spesso anche noti, i nomi di maestri ecompagni di strada, amici, persone incrociate una

    volta poi perse per sempre. Scegliendo una classicastruttura storiografica, un capitolo per ogni anno dallucente 1968 al cinereo 1977, lautrice racconta senzanostalgie n revanscismi, piuttosto con severatenerezza, la corsa di una generazione che hacompiuto uninfinit di errori, mai sufficientementebiasimati, come ammetteva in Taccuino diunultimista (1998), ma che ha almeno diritto allaverit intangibile delle emozioni e dei ricordipersonali. Tra lelezione di Nixon e il referendum suldivorzio si conclude per Sereni anche la vicendadellappartamento un po bohmien abitato da solaconmolte speranze a ventanni e con altrettantesperanze lasciato per cominciare una convivenza dicoppia. Da cronaca plurale il libro diventa cos storiain soggettiva di un passaggio allet adulta: con il suostile esatto la scrittrice infilza le proprie fragilit e ledelusioni, il disagio di una emancipazionemai deltutto compiuta. Punta su di s uno sguardospudorato, pi un coltello che una torcia, per svelareil bisogno doloroso di dare forma a un vuoto. Tantoche un po di male, bench sappia anche farcisorridere spesso, in fondo lo sentiamo anche noi.

    CLARA SERENI

    Una bohmeincompiutadal lucente 68al cinereo 77:scrittura anfibiae indisciplinata

    SE MI VEDE CECCHI, SONO FRITTO: LE LETTERE TRA I DUE SCRITTORI E ALTRI MATERIALI, DA ADELPHIDomenico Gnoli,Bouton n. 4, 1969,Roma, collezioneMarzia Gnoli

    In copertina di Alias-D:Jean-Franois Lepage,dalla serie Memoriesfrom the Future

    GADDA-PARISEIL CELESTE SCOLARO, DA NERI POZZA

    Frammenti di Romacon spider rossa

    Il manifestodirettore responsabile:Norma Rangeri

    a cura diRoberto AndreottiFrancesca BorrelliFederico De Melis

    redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:tel. 06687195490668719545email:[email protected]:http://www.ilmanifesto.info

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  • (4) ALIAS DOMENICA14 GIUGNO 2015

    di LUCIA SIMONATOMILANO

    Pu il classico essere seria-le? E la serialit pu diventare unclassico? Intorno a questi temiruota la mostra Serial Classic a cu-ra di Salvatore Settis e AnnaAnguis-sola, in corso a Milano fino al 24agosto, che ha inaugurato la nuovasede espositiva della FondazionePrada nel capoluogo lombardo:una distilleria di primo Novecentorinnovata da Rem Koolhaas e dalgruppoOMA di Rotterdam, pensa-ta per diventare un punto di riferi-mento per larte contemporanea,maprestata, nel suo esordio, allar-cheologia. Perch Serial Classic unamostra sullarte antica.Non so-lo, una mostra dagli intentididattici, che vuole insegnarequalcosa: prima di tutto, comechiarisce Settis nel catalogo (Se-rial/Portable Classic: The Greek Ca-nonand itsMutation, Progetto Pra-da Arte, 388 ill., pp. 392, e 70,00), aprendere le distanze da quellideaancora oggi radicata, secondo cuilarte classica (greco-romana) sa-rebbe stata sempre irripetibile, ori-ginale e normativa. A questa ideala mostra contrappone unaccura-ta indagine delle diverse forme diserialit presenti nella scultura anti-ca: una tema, forse il pianticlassico del mondo classico,gi oggetto negli ultimi quarantan-ni di particolare attenzione da par-te degli archeologi (tra i quali lastessa Anguissola, nel saggio perLErma di Bretschneider Difficilli-ma imitatio. Immagine e lessicodelle copie tra Grecia e Roma,2012), ma che non aveva trovatoancora, in una sede espositiva ita-liana, loccasione per uno sviluppocos generoso: non dunque la cele-brazione idealizzata di un mondoantico conosciuto solo per quelliche le vicissitudini storiche ci han-no consegnato come capolavoriunici, ma lo studio attento diunarte gi ab antiquo moltiplica-ta, proposta a Milano in tutta lasuamaterialit, svelandoneproces-si operativi e strategie artigiane.I casi del Discobolo di Mirone,

    dellaVenere accovacciatadiDoidal-sa e del Satiro in piedi di Prassiteleillustrano la vicenda forse pi notadella serialit nellarte antica:quellansia (romana) di ripetere inmarmoalcuni classici per eccellen-za (greci) in bronzo diffusasi tra I eII secolo, che occupaunposto di ri-levanza in Serial Classic, ma nonesaurisce la scena. Gli episodi simoltiplicano: dalle riproduzioniprodotte gi in Grecia di opere gre-che alla ricca varietmaterica dellecopie romane, dalla vicenda affa-scinante del colore nella sculturaclassica (ora perduto) alliterazio-ne umilissima, di bottega, dellaproduzione fittile. Al pubblico co-s consegnata limmagine di unavera e propria industria della scul-tura nellantichit, che nonpu es-sere misurata sulle sole sopravvi-venze, comedimostra la vetrina de-dicata allinizio della mostra ai po-chissimi resti delle tremila statuebronzee che decoravano un tempoOlimpia. Un sistema dellarte cheviene per questo ricostruito inmo-stra attingendo da materiali etero-genei, antichi e moderni: opere ra-re, come la Penelope di Teheran,ma anche calchi in uso da quasi unsecolo nelle aule universitarie euro-

    pee, originali bronzei greci e terre-cotte della Magna Grecia, copiemarmoree romane e loro interpre-tazioni barocche, proposte rico-struttive ormai storiche e nuoveipotesi di lavoro datate 2015.Nellallestimento ineccepibile

    del cosiddetto Podium (lo spazioespositivo su due piani della Fon-dazione Prada, dove si svolge lamostra), curato dallo stesso Ko-olhaas, questa selezione di operediventa parlante. La filologia dellostudioso si trasforma in espressio-ne visiva, in un linguaggio aperto econvincente. Nel primo livello, lapresenza su tre lati di vetrate creaunambiente particolarmente adat-to allesposizione della scultura,che di rado nei musei (e di fatto

    mai nelle mostre) si riesce a legge-re con una luce tanto naturale.Inoltre, alle statue ci si pu avvici-naremolto, da pi direzioni e a pialtezze, grazie a delle lastre di tra-vertino iraniano collocate su vari li-velli che creano lievi sommit oconducono in simboliche cave discavo, trasformando la sala in unpaesaggio (come sottolinea lostesso architetto olandese nel cata-logo) dove muoversi liberamente,passando da un gruppo di opereallaltro. La sensazione di lumino-sa piacevolezza, soprattutto a con-fronto con altre mostre, dove ilpubblico imprigionato in un iterprestabilito, scandito da sale in fer-rea successione. Sul Podium inve-ce lo spazio espositivo in ognuna

    delle due sale si pu misurare conun solo sguardo e si pu sceglieredove andare, davanti a cosa fermar-si, cosa tornare a vedere, gestendoin piena autonomia il proprio tem-po.Se la serialit il grimaldello che

    i curatori offrono al pubblico perleggere il mondo antico in modonon banale, nelle sue increspaturee nelle peculiarit del suo pensie-ro, le singole strategie espositive,che suggeriscono ma non impon-gono i punti di vista, riescono a ren-dere visibili queste increspature,queste peculiarit, e a concretizza-re i nessi figurativi e culturali tra lediverse opere: ecco dunque che unbronzetto del II secolo raffiguranteil Discobolo, posto su un piccolo

    podio, diventa il punto di osserva-zione privilegiato per misurare, suuna copia romana ben conservata,la libert di un artista settecente-sco davanti a un frammento anti-co; ma anche per capire quanta li-bert potessero avere gli stessi scul-tori romani nel rileggere i capolavo-ri greci, declinandone di volta involta le peculiarit a seconda delmateriale e delle dimensioni richie-sti, tanto da lasciare, a ognimoder-na ipotesi ricostruttiva, sfuocatalimmagine di quei prestigiosioriginali.Al piano superiore, la visuale

    imposta dal corridoio che introdu-ce nella sala a svelare, allineandoalcuni Aristogitoni, come funzio-nasse il sistema dei calchi in gessoin uso nellantichit. Accanto, untorso con segnati ancora i punti dimisurazione ci rassicura invecesul fatto che nel mondo classicoera ammessa tanto la variante delcanone, quanto la sua ripetizionepi pedissequa, quanto addiritturalemulazione tecnica (ovvero pernoi creativa) del modello. Anchele funzioni della serialit antica so-no indagate, come nel caso deiquattro Satiri versanti in marmo,provenienti dalla stessa villa di Ca-stel Gandolfo. Disposti per esserevisti frontalmente dallesterno delPodium e non dal suo interno, iquattro giovinetti ben torniti fini-

    scono per assomigliare a deimani-chini nella vetrina di un grandema-gazzino: un espediente espositivoche senzaltro ammicca con legge-ra ironia alla citt (e anche al com-mittente) dellamostra,manon tra-scende il dato archeologico, anzilesalta: perch le quattro statueerano gi in origine esposte insie-me, come multipli, allinterno del-lo stesso ambiente romano, secon-do un gusto per literazione chespiazza chiunque arrivi in mostracon unidea assoluta dellAntico.Non senza qualche divertito riferi-mento un po pop, queste sugge-stioni visive aprono su un mondoclassico che appare pi abbordabi-le, meno algido, ancora da cono-scere, nel quale le statue non sonoinnalzate su piedistalli, ma appog-giate direttamente sulle stesse la-stre di travertino dove si muove ilpubblico.Il dialogo tra antico e presente

    costituisce uno dei temi centralidel saggio Il futuro del classico diSettis (Einaudi 2004), con cui coe-

    Slanci di vitalitsognando lEllade

    di SANDRA PINTO

    Opera prima di Giulia Coco, unagiovane dottorata delluniversit diFirenze presentata daMina GregoriallAccademia dei Lincei, Artisti, dilettantie mercanti darte nel salotto fiorentino disir HoraceMann (Scienze e Lettere, pp.312, e 30,00) una pi che sostanziosarassegna sulla Firenze darte nelSettecento. Ai vertici del turismoeuropeo, la capitale del granducato gidei Medici infatti centro dattrazioneprimaria per eruditi e dilettanti, artisti,collezionisti, mercanti, e in generale pertutte le categorie di grand-tourists.Rispetto a Roma sono gli anni checomprendono i pontificati da BenedettoXIV a Pio VI e della Napoli rimessa a

    nuovo dai Borbone Firenze sidistinguer per un tipo particolare diaccoglienza cosmopolita ai suoi ospiti neiquarantanni centrali del secolo. Ladifferenza, rispetto alle capitali predette, chementre quelle, sul piano politico,diplomatico, della promozione delle artie della ricerca archeologica, attraversanounmomento privilegiato, Firenze si trovanel bel mezzo del vuoto registratosi conla fine del granducato mediceo, liniziodella Reggenza lorenese e lavvio delgranducato di Pietro Leopoldo.Circostanza che favorir grandemente SirHoraceMann, Residente britannico,giunto a Firenze nel 1737, dal 1740insignito del titolo di InviatoStraordinario di SuaMaest Britannica.La carica e pi ancora le qualit personali

    di uomo dimondo gli consentono difatto una centralit tale nella capitaletoscana da poterlo considerare di fattoun Reggente, di pi, un brillanteReggente, dello stato granducale per lerelazioni sociali, mondane, culturali ediplomatiche, capace di intrattenererapporti fruttuosi quanto piacevoli conlintera intellighenzia fiorentina ecosmopolita in citt e nello stato,oltrepassando ampiamente i compiti dipromotore esclusivo della nazionebritannica in loco. Studio specialistico,filologico, documentato in abbondanza regesto, appendici documentarie, indicedella letteratura artistica occupano unterzo del volume che numera 309 pagine nei quattro capitoli di narrazioneanalitica ha il pregio di far mostra di unamaturit e di una libert di valutazioneda considerarsi tanto pi preziose inquanto dovute a una esordiente.Largomento, certamente tuttaltro cheignorato, tuttavia sempre trattato nellamisura di piccoli incisi sullo sfondo delSettecento fiorentino, discopre, grazieallattenzione dellautrice su fenomeniche intrecciano il micro e ilmacroscopico documentale, unasituazione dinsieme di primissimo pianoper vivacit internazionale, in grado dioccupare la scena come quadro primariodel periodo, fino al momento prima che

    letichetta di corte lorenese, dagli anniottanta in poi, venga amodificaresensibilmente latmosfera culturale emondana della citt. La narrazione, senzanulla togliere alle note altrettantointeressanti e imprescindibili, gode poi diuna scorrevolezza e piacevolezza tali darichiamare in un certo senso le andaturedei tanti romanzi della letteraturaeuropea e americana dedicati alle highsocieties cosmopolite di fine Ottocentonei loro scenari italiani. Scelto HoraceMann come deus ex machina, lautrice haovviamente necessit di dare alprotagonista un deuteragonista dialmeno di pari se nonmaggiore livello, equesti HoraceWalpole, terzo eprediletto figlio di Sir Robert, primoministro di Giorgio I e Giorgio II. Benchtitolare di un solo giovanile soggiorno diqualchemese a Firenze nel 1739,Walpole rester ammaliato dalla felicitprovata in quel periodo comemai pi: Ican truly say that I never was happy butat Florence, affermer nel 1748 in unalettera aMann. Questi era stato eletto,appena conosciuto, ad amico pereccellenza, e si tratt di una amicizia adistanza, paradossalmente senzamai piincontrarsi, affidata a un rapportoepistolare senza interruzioni vita naturaldurante Mann scomparso per primonel 1786 e alla passione comune per il

    collezionismo e il mercato darte, cosche, seMann nel 1780 definir ilrapporto con lautore del romanzo goticoforse pi noto della letteratura britannicaThe Castle of Otranto, comeinfinitamente superiore a quello diOrestes and Pylades who were nothingto us. They cultivated their friendshippersonally, laltro, Walpole, davanti alcelebre dipinto di Zoffany, esposto nel1779 a Londra, raffigurante la Tribunadegli Uffizi invasa da visitatori illustri tra iquali lamico, irriconoscibile se non dopoconferma, non pu esclamare altro cheMy dear Sir... you are grown fat, jolly,young while I am become the skeletonof Methusalem!. Il capitolo che analizzaa fondo le ricerche di acquisto di opereper s e per altri cheWalpole affida allaintermediazione di Mann , a s stante,un contributo primario alla storia delcollezionismo settecentesco di arteitaliana antica emoderna, segnalandoopere che da Strawberry Hill e da altredimore patrizie delle campagne di questoe di quello -shire, diverse delle quali sonooggi rintracciabili allErmitage, allaNational Gallery di Londra e in varieresidenze aristocratiche britanniche. Aidue amici e alle loro comunicazioni dilunga durata, si accosta poi una verapleiade di figure, quali note, qualinotissime, altre fino a oggi non pi che

    citazioni. Tutti, a cominciare da JohannZoffany, che fa la sua comparsa sin dallaprima pagina del primo capitolo dellibro, guadagnano dal rapporto colResidente una individuazione piconsistente e storicamente significativanella scena toscana e di riflesso romanaed europea. Il salotto di Sir Horace inPalazzo Manetti non circoscritto aipiaceri dellintrattenimento, dellaconversazione, della festa, tipici caratteridellentit istituzionale da luirappresentata; il Residente al centro ditutto ci che avviene, pi o menorilevante che sia: punto di riferimentoper la massoneria locale einternazionale, per limpresa delDictionary of the English Language diSamuel Johnson presentatoallAccademia della Crusca; nellevicende di spionaggio econtrospionaggio britannico cheinteressano Toscana e Stato Pontificio,in cui si muove con ben dissimulatascaltrezza; con la stessa scioltezzafavorisce gli artisti e gli architetticontemporanei inglesi a Firenze,Thomas Patch, Joseph Wilton, RobertStrange, Joshua Reynolds, AnneSeymour Damer, William Chambers,Robert Adam, John Chute, i loroomologhi toscani, uno per tutti ilvedutista en titre di Firenze e della

    Toscana, Giuseppe Zocchi, e i numerosibrillanti intellettuali sul posto, AntonioCocchi, Tommaso Crudeli, GiovanniLami, Pompeo Neri, Angelo Tavanti ealtri, molti dei quali framassoni. Se poialcuni personaggi di spicco, comemilordCowper o il barone von Stosch, nongodranno le simpatie del Residente, cinon ridurr le frequentazioni permotividi opportunit. Nel plasmare il gusto deifiorentini va ricordato il Reggente coluiche introdusse a Firenze lamusica diHaendel, la scienza di Newton e la novitdellilluminismo. Nel rimpianto generalealla suamorte non venne seppellito,come desiderava, in un piccolo cimiterodi Livorno, dove il nipote e omonimoHoraceMann il giovane stabil soltanto ifunerali, e, riportando in patria salma epatrimonio, chiuse per sempre unastagione eccezionale di dare e avere traFirenze e lInghilterra. Come si vede unostudio esteso, approfondito eappassionato rende giustizia a unargomento di cui i nonmoltissimistudiosi italiani e stranieri di Settecentofiorentino del secolo scorso avrebberogradito alternativamente essere autori outilizzatori. Oggi tale studio fattocompiuto, dovuto a unautrice new entry,e gli utilizzatori potranno essere non solostorici professionisti ma anche lettoricolti e anglofili di tutti i tipi.

    di MASSIMO NATALE

    Nato a Londra l11 febbraio 1915;altezza 1metro e 77; occhimarroni; capel-li castani; segni particolari nessuno ().Professione? Allora, cosa scriviamo? chiese il funzionario dellUfficio Passapor-ti indicando la casella. A me non venivain mente nulla. Qualche anno prima, eramolto in voga una canzone americanadal titolo Alleluja, sono un vagabondo!,che in quei giorni continuava a girarmi intesta, e si vede che senza accorgermene lastavo canticchiando mentre riflettevo,perch il funzionario rise dicendo:Vagabondo non puoi proprio scriverce-lo. Dopo un attimo, aggiunse: Io mette-rei studente; e cos feci.Cos, con un documento timbrato l8 di-

    cembre 1933, un Patrick Leigh Fermor di-ciottenne decide di abbandonare lInghil-terra, cercando nel movimento un sollie-vo alla sua innata insofferenza per confinie regole che gli cost anche lespulsionedal Kings College di Canterbury e una ri-sposta al suo irruento, byroniano biso-gno di tradurre allistante le idee in azio-ni. Se il punto dinizio Hoek von Hol-land, nei Paesi Bassi, raggiunti con un pi-roscafo partito da Tower Bridge, lobietti-vo finale Costantinopoli. Premesse e pri-ma parte del viaggio attraverso la Ger-mania hitleriana e la Mitteleuropa, fino aun ponte sul Danubio che divideva la Slo-vacchia e lUngheria, e che proprio i tede-schi faranno poi saltare sono descritteda Fermor nello splendido Tempo di rega-li, pubblicato solo nel 1977 (Adelphi2009); mentre Fra i boschi e lacqua (1986,Adelphi 2013) ospita il rcit del suo pas-saggio nella Grande Pianura ungherese ein Transilvania fino alle Porte di Ferro, fraCarpazi e Balcani. Servono dunque pi diquarantanni, a Fermor, perch il ricordosi depositi nello spazio ulteriore dellascrittura. Ed una scrittura destinata a la-vorare prodigiosamente sulla solamemo-ria, in completa assenza di diari e taccui-ni, quasi tutti perduti. Intanto Paddy questo il soprannome affibbiatogli dagliamici era gi diventato, fra laltro, lauto-re diMani, il libro-capolavoro dedicato aisuoi viaggi nel Peloponneso, apparso nel1958 (Adelphi 2004). E aveva per la veritcominciato a lavorare proprio al raccontodellultimo tratto del suo peregrinare,provvisoriamente intitolato Un viaggio digiovent. Fermor non riusc mai a conclu-dere la revisione di un manoscritto a lun-go accantonato in favore dei primi due vo-lumi, e a chiudere davvero la stesura delsuo youthful journey. Soltanto nel 2013,due anni dopo la sua morte, e grazie a uncomplicato lavoro di sistemazione delma-teriale superstite spiegato nella loro intro-duzione al volume, Colin Thubron e Arte-mis Cooper sono riusciti a consegnare alpubblico il tassello mancante della trilo-gia che ancora una volta Adelphi a pro-porre in Italia, nella bella traduzione di Ja-copo Colucci , cio La strada interrottaDalle Porte di Ferro al Monte Athos (colla-na Biblioteca, pp. 365, e 22,00).Il titolo, scelto dai curatori, allude allin-

    terrompersi degli appunti di Paddy, che aBisanzio riserver soltanto qualche rapi-da nota. Costantinopoli una meta che

    non sembrava mai stata in dubbio, nem-meno per un attimo dunque in qual-che modo imprevedibilmente aggirata: lFermor sosta solo undici giorni, e il veroapprodo si rivela gi in questa sua lun-ga fuga adolescente la Grecia: la terradiMani e di Roumeli, la Grecia che lo ter-r con s a Kardamili fino a poco pri-ma della morte; la stessa Grecia che lo ve-

    de diventare, a Creta, un eroe di guerra(impersonato da Dirk Bogarde in ungrande film di Powell e Pressburger del1956, Colpo di mano a Creta). Qui a cam-peggiare al chiudersi del volume, e diun cammino che dura pi di un anno sono invece i monasteri del MonteAthos, dove solo pochi anni prima erapassato quel Robert Byron che infatti

    letto e ricordato con entusiasmo dallostesso giovanissimo Patrick.E in effetti gi nelle prime pagine della

    Strada interrotta lEllade e la sua culturasono una miniera di immaginazione chesi affaccia pi volte anche solo di sfuggi-ta alla mente di Fermor, fra nostalgiaper la grandezza del mito o della storia eslancio vitale, come nelle rveries cui

    Paddy si abbandona a Plovdiv, in Bulga-ria: Mi ubriacavo di quel complesso diodori che sembra costituire la vera essen-za dei Balcani () e intantomi domanda-vo se Alessandro (Magno ndr), da ragaz-zo, avessemai visto questa citt, fortifica-ta da suo padre sul confine orientale delregno (). Si riteneva pure che fosse iltriste luogo in cui Orfeo perse Euridice.E pi oltre, la Grecia sembra una speciedi destino inevitabile quando, da un pon-te sul fiume Strimone in Macedonia un Fermor improvvisamente fantastican-te lascia cadere una foglia di vite al cen-tro della corrente, chiedendosi se sareb-be riuscita a raggiungere lEgeo: e cospreannunciando la sua stessa sorte diqualche mese pi tardi.Come avviene mirabilmente in Tempo

    di regali o inMani, anche ne La strada in-terrotta questo anarchico alternarsi fracultura e vita, framemoria erudita o lette-raria e necessit dei dettagli delle scheg-ge di realt, anche quelle apparentemen-te insignificanti a fare la bellezza dellepagine di Fermor. Una memoria omericao un verso di Orazio possono o anzi devo-no convivere con un aneddoto qualun-que, o con un inaspettato manifestarsidella Natura. Cos Paddy e Nadezda unaragazza mezza greca e mezza bulgara, lacui gioiosa apparizione occupa i primidue capitoli del libro possono rivedersinelle mitiche vesti di Ulisse e Calipso, almomento del loro congedo definitivo. Maintanto lo sguardo del narratore pu an-che essere, a pi riprese, sedotto da un vo-lo di cicogne un uccello di passaggio,come tutti noi dalla loro migrazionesettembrina che segnala malinconica-mente limminente fine dellestatesullEuropa. Oppure, si pu anche indu-giare su un frammento di nessuna impor-tanza, su un aeroplanino di carta imbasti-to e fatto volare da una veranda: era bel-lissimo guardarlo mentre scendeva tran-quillamente nel vuoto, gi gi gi, finchin fondo, ormai piccolissimo, svanitofra le foglie.Questa grana creaturale probabilmen-

    te una radice decisiva per Fermor: asse-diato dalle cose, dal piacere (molto ingle-se, e tutto immanente) della percezione,del flusso degli eventi anche il suonodegli zoccoli sullacciottolato, le ruote deicarri, le urla dei venditori ambulanti e ilrumoremetallico delle bilance in un pic-colo paese diventano tutte esche allet-tanti , il soggetto non quasi mai narci-sisticamente al centro della scena. Forseanche per questo la sua scrittura, per far-si cos prensile, ha avuto bisogno di undistacco, di una presa di distanza duratadecenni: ma oggetto di questa distanzadoveva essere infine, pi delle cose, lapressione dellio su di esse. Spetta al rac-conto salvare infine ogni centimetro divita nella sua singolarit un trio di cor-morani sul Mar Nero, la luce dellorizzon-te a Bucarest, un volto, una sera indimen-ticabile per il solo fatto di essere irripeti-bilmente unica e affidarlo a chi si av-venturi fra questi capitoli. Perch agiscecertamente, in Fermor, unansia di dre-glment, di libert assoluta, ma questa

    SETTECENTO FIORENTINO UN SAGGIO DI GIULIA COCO

    Sir Horace Mann,salotto in romanzo

    SERIAL CLASSIC

    Veduta della mostra Serial Classiccon lApollo di Kassel, Fondazione Pradaa Milano, foto di Attilio Maranzano,courtesy Fondazione Prada

    Unarte moltiplicata:sistema e industriadella scultura antica

    SEGUE A PAGINA 7

    SEGUE A PAGINA 7

    Dalle Porte di Ferroal monthe Athos:tradotta lultima partedel viaggio iniziatoalla fine del 1933dallinsofferentestudente che volevatradurre allistantele idee in azioni (Byron)

    FERMORLA STRADA INTERROTTA DELLINGLESE PATRICK LEIGH FERMOR, DA ADELPHI

    Nellallestimentoa luce naturaledi Rem Koohlasle statue parlano,vicino ai visitatori.E comunicanola serialit comenuovo accessoallidea di classico

    Immagine tratta dalla copertina della biografiadi Fermor scritta dallinglese Artemis Cooper;in basso, Johann Zoffany, La Tribuna degli Uffizi(part.), Windsor Castle, Royal Collection

    A MILANO, NEL NUOVO SPAZIO DELLA FONDAZIONE PRADA: CURATORI SETTIS E ANNA ANGUISSOLA

  • (5)ALIAS DOMENICA14 GIUGNO 2015

    di LUCIA SIMONATOMILANO

    Pu il classico essere seria-le? E la serialit pu diventare unclassico? Intorno a questi temiruota la mostra Serial Classic a cu-ra di Salvatore Settis e AnnaAnguis-sola, in corso a Milano fino al 24agosto, che ha inaugurato la nuovasede espositiva della FondazionePrada nel capoluogo lombardo:una distilleria di primo Novecentorinnovata da Rem Koolhaas e dalgruppoOMA di Rotterdam, pensa-ta per diventare un punto di riferi-mento per larte contemporanea,maprestata, nel suo esordio, allar-cheologia. Perch Serial Classic unamostra sullarte antica.Non so-lo, una mostra dagli intentididattici, che vuole insegnarequalcosa: prima di tutto, comechiarisce Settis nel catalogo (Se-rial/Portable Classic: The Greek Ca-nonand itsMutation, Progetto Pra-da Arte, 388 ill., pp. 392, e 70,00), aprendere le distanze da quellideaancora oggi radicata, secondo cuilarte classica (greco-romana) sa-rebbe stata sempre irripetibile, ori-ginale e normativa. A questa ideala mostra contrappone unaccura-ta indagine delle diverse forme diserialit presenti nella scultura anti-ca: una tema, forse il pianticlassico del mondo classico,gi oggetto negli ultimi quarantan-ni di particolare attenzione da par-te degli archeologi (tra i quali lastessa Anguissola, nel saggio perLErma di Bretschneider Difficilli-ma imitatio. Immagine e lessicodelle copie tra Grecia e Roma,2012), ma che non aveva trovatoancora, in una sede espositiva ita-liana, loccasione per uno sviluppocos generoso: non dunque la cele-brazione idealizzata di un mondoantico conosciuto solo per quelliche le vicissitudini storiche ci han-no consegnato come capolavoriunici, ma lo studio attento diunarte gi ab antiquo moltiplica-ta, proposta a Milano in tutta lasuamaterialit, svelandoneproces-si operativi e strategie artigiane.I casi del Discobolo di Mirone,

    dellaVenere accovacciatadiDoidal-sa e del Satiro in piedi di Prassiteleillustrano la vicenda forse pi notadella serialit nellarte antica:quellansia (romana) di ripetere inmarmoalcuni classici per eccellen-za (greci) in bronzo diffusasi tra I eII secolo, che occupaunposto di ri-levanza in Serial Classic, ma nonesaurisce la scena. Gli episodi simoltiplicano: dalle riproduzioniprodotte gi in Grecia di opere gre-che alla ricca varietmaterica dellecopie romane, dalla vicenda affa-scinante del colore nella sculturaclassica (ora perduto) alliterazio-ne umilissima, di bottega, dellaproduzione fittile. Al pubblico co-s consegnata limmagine di unavera e propria industria della scul-tura nellantichit, che nonpu es-sere misurata sulle sole sopravvi-venze, comedimostra la vetrina de-dicata allinizio della mostra ai po-chissimi resti delle tremila statuebronzee che decoravano un tempoOlimpia. Un sistema dellarte cheviene per questo ricostruito inmo-stra attingendo da materiali etero-genei, antichi e moderni: opere ra-re, come la Penelope di Teheran,ma anche calchi in uso da quasi unsecolo nelle aule universitarie euro-

    pee, originali bronzei greci e terre-cotte della Magna Grecia, copiemarmoree romane e loro interpre-tazioni barocche, proposte rico-struttive ormai storiche e nuoveipotesi di lavoro datate 2015.Nellallestimento ineccepibile

    del cosiddetto Podium (lo spazioespositivo su due piani della Fon-dazione Prada, dove si svolge lamostra), curato dallo stesso Ko-olhaas, questa selezione di operediventa parlante. La filologia dellostudioso si trasforma in espressio-ne visiva, in un linguaggio aperto econvincente. Nel primo livello, lapresenza su tre lati di vetrate creaunambiente particolarmente adat-to allesposizione della scultura,che di rado nei musei (e di fatto

    mai nelle mostre) si riesce a legge-re con una luce tanto naturale.Inoltre, alle statue ci si pu avvici-naremolto, da pi direzioni e a pialtezze, grazie a delle lastre di tra-vertino iraniano collocate su vari li-velli che creano lievi sommit oconducono in simboliche cave discavo, trasformando la sala in unpaesaggio (come sottolinea lostesso architetto olandese nel cata-logo) dove muoversi liberamente,passando da un gruppo di opereallaltro. La sensazione di lumino-sa piacevolezza, soprattutto a con-fronto con altre mostre, dove ilpubblico imprigionato in un iterprestabilito, scandito da sale in fer-rea successione. Sul Podium inve-ce lo spazio espositivo in ognuna

    delle due sale si pu misurare conun solo sguardo e si pu sceglieredove andare, davanti a cosa fermar-si, cosa tornare a vedere, gestendoin piena autonomia il proprio tem-po.Se la serialit il grimaldello che

    i curatori offrono al pubblico perleggere il mondo antico in modonon banale, nelle sue increspaturee nelle peculiarit del suo pensie-ro, le singole strategie espositive,che suggeriscono ma non impon-gono i punti di vista, riescono a ren-dere visibili queste increspature,queste peculiarit, e a concretizza-re i nessi figurativi e culturali tra lediverse opere: ecco dunque che unbronzetto del II secolo raffiguranteil Discobolo, posto su un piccolo

    podio, diventa il punto di osserva-zione privilegiato per misurare, suuna copia romana ben conservata,la libert di un artista settecente-sco davanti a un frammento anti-co; ma anche per capire quanta li-bert potessero avere gli stessi scul-tori romani nel rileggere i capolavo-ri greci, declinandone di volta involta le peculiarit a seconda delmateriale e delle dimensioni richie-sti, tanto da lasciare, a ognimoder-na ipotesi ricostruttiva, sfuocatalimmagine di quei prestigiosioriginali.Al piano superiore, la visuale

    imposta dal corridoio che introdu-ce nella sala a svelare, allineandoalcuni Aristogitoni, come funzio-nasse il sistema dei calchi in gessoin uso nellantichit. Accanto, untorso con segnati ancora i punti dimisurazione ci rassicura invecesul fatto che nel mondo classicoera ammessa tanto la variante delcanone, quanto la sua ripetizionepi pedissequa, quanto addiritturalemulazione tecnica (ovvero pernoi creativa) del modello. Anchele funzioni della serialit antica so-no indagate, come nel caso deiquattro Satiri versanti in marmo,provenienti dalla stessa villa di Ca-stel Gandolfo. Disposti per esserevisti frontalmente dallesterno delPodium e non dal suo interno, iquattro giovinetti ben torniti fini-

    scono per assomigliare a deimani-chini nella vetrina di un grandema-gazzino: un espediente espositivoche senzaltro ammicca con legge-ra ironia alla citt (e anche al com-mittente) dellamostra,manon tra-scende il dato archeologico, anzilesalta: perch le quattro statueerano gi in origine esposte insie-me, come multipli, allinterno del-lo stesso ambiente romano, secon-do un gusto per literazione chespiazza chiunque arrivi in mostracon unidea assoluta dellAntico.Non senza qualche divertito riferi-mento un po pop, queste sugge-stioni visive aprono su un mondoclassico che appare pi abbordabi-le, meno algido, ancora da cono-scere, nel quale le statue non sonoinnalzate su piedistalli, ma appog-giate direttamente sulle stesse la-stre di travertino dove si muove ilpubblico.Il dialogo tra antico e presente

    costituisce uno dei temi centralidel saggio Il futuro del classico diSettis (Einaudi 2004), con cui coe-

    Slanci di vitalitsognando lEllade

    di SANDRA PINTO

    Opera prima di Giulia Coco, unagiovane dottorata delluniversit diFirenze presentata daMina GregoriallAccademia dei Lincei, Artisti, dilettantie mercanti darte nel salotto fiorentino disir HoraceMann (Scienze e Lettere, pp.312, e 30,00) una pi che sostanziosarassegna sulla Firenze darte nelSettecento. Ai vertici del turismoeuropeo, la capitale del granducato gidei Medici infatti centro dattrazioneprimaria per eruditi e dilettanti, artisti,collezionisti, mercanti, e in generale pertutte le categorie di grand-tourists.Rispetto a Roma sono gli anni checomprendono i pontificati da BenedettoXIV a Pio VI e della Napoli rimessa a

    nuovo dai Borbone Firenze sidistinguer per un tipo particolare diaccoglienza cosmopolita ai suoi ospiti neiquarantanni centrali del secolo. Ladifferenza, rispetto alle capitali predette, chementre quelle, sul piano politico,diplomatico, della promozione delle artie della ricerca archeologica, attraversanounmomento privilegiato, Firenze si trovanel bel mezzo del vuoto registratosi conla fine del granducato mediceo, liniziodella Reggenza lorenese e lavvio delgranducato di Pietro Leopoldo.Circostanza che favorir grandemente SirHoraceMann, Residente britannico,giunto a Firenze nel 1737, dal 1740insignito del titolo di InviatoStraordinario di SuaMaest Britannica.La carica e pi ancora le qualit personali

    di uomo dimondo gli consentono difatto una centralit tale nella capitaletoscana da poterlo considerare di fattoun Reggente, di pi, un brillanteReggente, dello stato granducale per lerelazioni sociali, mondane, culturali ediplomatiche, capace di intrattenererapporti fruttuosi quanto piacevoli conlintera intellighenzia fiorentina ecosmopolita in citt e nello stato,oltrepassando ampiamente i compiti dipromotore esclusivo della nazionebritannica in loco. Studio specialistico,filologico, documentato in abbondanza regesto, appendici documentarie, indicedella letteratura artistica occupano unterzo del volume che numera 309 pagine nei quattro capitoli di narrazioneanalitica ha il pregio di far mostra di unamaturit e di una libert di valutazioneda considerarsi tanto pi preziose inquanto dovute a una esordiente.Largomento, certamente tuttaltro cheignorato, tuttavia sempre trattato nellamisura di piccoli incisi sullo sfondo delSettecento fiorentino, discopre, grazieallattenzione dellautrice su fenomeniche intrecciano il micro e ilmacroscopico documentale, unasituazione dinsieme di primissimo pianoper vivacit internazionale, in grado dioccupare la scena come quadro primariodel periodo, fino al momento prima che

    letichetta di corte lorenese, dagli anniottanta in poi, venga amodificaresensibilmente latmosfera culturale emondana della citt. La narrazione, senzanulla togliere alle note altrettantointeressanti e imprescindibili, gode poi diuna scorrevolezza e piacevolezza tali darichiamare in un certo senso le andaturedei tanti romanzi della letteraturaeuropea e americana dedicati alle highsocieties cosmopolite di fine Ottocentonei loro scenari ital