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1 Studi Trentini di Scienze Storiche LXXX, 4 (2001) 715–743 L’ALFABETO CAMUNO 1. Ipotesi recenti. Come ha puntualizzato A. Morandi, a buon diritto oggi si può parlare di “epigrafia camuna”. 1 Il corpus delle iscrizioni preromane della Val Camonica, 2 supera i 160 titoli e presenta caratteristiche alfabetiche e linguistiche unitarie al proprio interno. Sia l’alfabeto sia le parole mostrano come non sia opportuno inglobare queste iscrizioni con quel- le di regioni limitrofe, ad esempio con le retiche 3 o le leponzie. Questo contributo mira a risolvere la questione preliminare ad ogni altra indagine, cioè l’esatta definizione dei valori fonetici dei grafemi. I lavori di G. Tibiletti Bruno sugli alfabeta- ri costituiscono un grande passo in avanti per la comprensione dei valori di parecchi segni che in precedenza erano stati ritenuti dubbi o erano stati malamente interpretati. Come sempre av- viene in questi casi, negli studiosi che per tanti anni avevano ipotizzato valori diversi, le nuo- ve proposte fanno sorgere perplessità, spesso giustificate da varie questioni. La stessa Tibiletti Bruno, pur avendo svolto un egregio lavoro di ricerca e sistematizzazione, non ha saputo o voluto trarne le conseguenze più semplici. In ciò è stata tradita dal “postulare per gli alfabetari camuni un modello-base senz’altro di tipo greco, ma addirittura greco arcaico, non etrusco, non venetico, non retico, ecc.”. 4 1 A. MORANDI, Epigrafia camuna. Osservazioni su alcuni aspetti della documentazione, in “Revue Belge de Phi- lologie et d’Histoire”, 76.1 (1998), p. 100. 2 Le sigle delle iscrizioni camune qui presentate e commentate sono desunte dalle edizioni di A. Mancini, M. G. Tibiletti Bruno e L. Bellaspiga, a cui sono debitore degli apografi qui pubblicati. Alle iscrizioni edite da A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, in “Studi Urbinati di Storia, Filosofia e Letteratura”, Supplem. lin- guistico 2/1 (1980), pp. 75-166, si riferiscono le sigle: Be 1-2 per le iscrizioni di Bedolina; FN 1-17 per le iscrizioni di Foppe di Nadro; Lu 1-13 per le iscrizioni di Crap di Luine; Na 1-19 per le iscrizioni di Naquane; SC 1-10 per le iscrizioni di Scale di Cimbergo; Se 1-5 per le iscrizioni di Seradina; Zu 1-2 per le iscrizioni di Salita della Zurla (in particolare Zu 2b è l’alfabetario); Alle iscrizioni edite in A. MANCINI, Iscrizioni retiche e iscrizioni camune. Due ambiti a confronto, in “Quaderni del dipartimento di linguistica” 2 (1991), pp. 77-113, si riferiscono le sigle BD 1-15 per le iscrizioni di Poggio della Croce (Berzo-Demo). Alle iscrizioni edite da M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, in “Quaderni camuni”, 49-50 (1990), pp. 29-171, si riferiscono le sigle: Tib. BD 1a-12n di iscrizioni di Berzo-Demo che in parte correggono quelle edite da Mancini; Tib. FN 1a-6f di iscrizioni di Foppe di Nadro (alcune correggono quelle edite da Mancini); PC 1a-45 per le iscrizioni di Pian Cogno; Pl. 1a-4 per le iscrizioni di Pla’ d’Ort. Alle iscrizioni edite da L. BELLASPIGA, Le iscrizioni camune delle rocce 24 e 1 di Pia’ d’Ort, in “Notizie Arche- ologiche Bergomensi” 2 (1994), pp. 249-260, si riferiscono le sigle (modificate rispetto a questo testo) Bell. Pl. 24, 1-9 e Bell. Pl 1, 1-2 di Pia’ d’Ort (rocce 24 e 1). 3 Per le iscrizioni retiche adotto le sigle di S. SCHUMACHER, Die rätische Inschriften. Geschichte und heutiger Stand der Forschung, Innsbruck 1992. 4 M. G. TIBILETTI BRUNO, Gli alfabetari, in “Quaderni camuni”, 60 (1992), p. 310. In una nota (n. 13) l’Autrice aggiunge: “A meno di non pensare a quelli greco-etruschi, come quello della Marsigliana, del VII-VI sec. a. C., ecc., però la tipologia di certi segni non corriponde a quelli camuni…”.

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Studi Trentini di Scienze Storiche LXXX, 4 (2001) 715–743

L’ALFABETO CAMUNO

1. Ipotesi recenti. Come ha puntualizzato A. Morandi, a buon diritto oggi si può parlare di “epigrafia camuna”.1 Il corpus delle iscrizioni preromane della Val Camonica,2 supera i 160 titoli e presenta caratteristiche alfabetiche e linguistiche unitarie al proprio interno. Sia l’alfabeto sia le parole mostrano come non sia opportuno inglobare queste iscrizioni con quel-le di regioni limitrofe, ad esempio con le retiche3 o le leponzie.

Questo contributo mira a risolvere la questione preliminare ad ogni altra indagine, cioè l’esatta definizione dei valori fonetici dei grafemi. I lavori di G. Tibiletti Bruno sugli alfabeta-ri costituiscono un grande passo in avanti per la comprensione dei valori di parecchi segni che in precedenza erano stati ritenuti dubbi o erano stati malamente interpretati. Come sempre av-viene in questi casi, negli studiosi che per tanti anni avevano ipotizzato valori diversi, le nuo-ve proposte fanno sorgere perplessità, spesso giustificate da varie questioni. La stessa Tibiletti Bruno, pur avendo svolto un egregio lavoro di ricerca e sistematizzazione, non ha saputo o voluto trarne le conseguenze più semplici. In ciò è stata tradita dal “postulare per gli alfabetari camuni un modello-base senz’altro di tipo greco, ma addirittura greco arcaico, non etrusco, non venetico, non retico, ecc.”.4

1 A. MORANDI, Epigrafia camuna. Osservazioni su alcuni aspetti della documentazione, in “Revue Belge de Phi-lologie et d’Histoire”, 76.1 (1998), p. 100. 2 Le sigle delle iscrizioni camune qui presentate e commentate sono desunte dalle edizioni di A. Mancini, M. G. Tibiletti Bruno e L. Bellaspiga, a cui sono debitore degli apografi qui pubblicati. Alle iscrizioni edite da A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, in “Studi Urbinati di Storia, Filosofia e Letteratura”, Supplem. lin-guistico 2/1 (1980), pp. 75-166, si riferiscono le sigle:

Be 1-2 per le iscrizioni di Bedolina; FN 1-17 per le iscrizioni di Foppe di Nadro; Lu 1-13 per le iscrizioni di Crap di Luine; Na 1-19 per le iscrizioni di Naquane; SC 1-10 per le iscrizioni di Scale di Cimbergo; Se 1-5 per le iscrizioni di Seradina; Zu 1-2 per le iscrizioni di Salita della Zurla (in particolare Zu 2b è l’alfabetario);

Alle iscrizioni edite in A. MANCINI, Iscrizioni retiche e iscrizioni camune. Due ambiti a confronto, in “Quaderni del dipartimento di linguistica” 2 (1991), pp. 77-113, si riferiscono le sigle

BD 1-15 per le iscrizioni di Poggio della Croce (Berzo-Demo). Alle iscrizioni edite da M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, in “Quaderni camuni”, 49-50 (1990), pp. 29-171, si riferiscono le sigle:

Tib. BD 1a-12n di iscrizioni di Berzo-Demo che in parte correggono quelle edite da Mancini; Tib. FN 1a-6f di iscrizioni di Foppe di Nadro (alcune correggono quelle edite da Mancini); PC 1a-45 per le iscrizioni di Pian Cogno; Pl. 1a-4 per le iscrizioni di Pla’ d’Ort.

Alle iscrizioni edite da L. BELLASPIGA, Le iscrizioni camune delle rocce 24 e 1 di Pia’ d’Ort, in “Notizie Arche-ologiche Bergomensi” 2 (1994), pp. 249-260, si riferiscono le sigle (modificate rispetto a questo testo)

Bell. Pl. 24, 1-9 e Bell. Pl 1, 1-2 di Pia’ d’Ort (rocce 24 e 1). 3 Per le iscrizioni retiche adotto le sigle di S. SCHUMACHER, Die rätische Inschriften. Geschichte und heutiger Stand der Forschung, Innsbruck 1992. 4 M. G. TIBILETTI BRUNO, Gli alfabetari, in “Quaderni camuni”, 60 (1992), p. 310. In una nota (n. 13) l’Autrice aggiunge: “A meno di non pensare a quelli greco-etruschi, come quello della Marsigliana, del VII-VI sec. a. C., ecc., però la tipologia di certi segni non corriponde a quelli camuni…”.

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Grafemi di alfabeti greci arcaici e alfabetari camuni (Tibiletti Bruno)

M. G. Tibiletti Bruno vede che rispetto al modello greco arcaico “sono sicuramente mutati i segni per β (2°), per � (6°), per ζ (7°), per θ (9°), per k (11°), per ś (l8°), per s (21°), per φ(26°)” e in alcuni alfabetari anche per p (17°). Ma invece di modificare il proprio assunto, ipo-tizza che tali segni sono mutati “perché si era creato o c’era il pericolo che si creasse un’omografia o anche solo una parvenza di omografia (una possibilità di confusione, per un discepolo un poco sprovveduto?)”.5 In effetti lo studio dell’Autrice sugli alfabetari è incentra-to sui mutamenti che i grafi avrebbero subito a partire dal modello greco per evitare omogra-fie. Tali omografie in parte sarebbero dovute all’uso di capovolgere o ruotare le lettere di an-goli diversi, in parte a ragioni contingenti: ad esempio l’adozione di “a aperto” avrebbe indot-to i “maestri camuni” a modificare per v la forma del digamma greco , aggiungendovi due sbarrette. Tuttavia, siccome “a volte e veniva tracciato con una barretta in più (del resto ci so-no alcuni esempi anche in greco di e con quattro sbarrette, ecc.), allora altri maestri hanno co-ricato il segno e prolungato le sbarrette oltre l'ex-verticale: ”.6

5 Ibid, p. 371 6 Ibid., p. 372.

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Per Tibiletti Bruno il problema cruciale diventa quello dell’identificazione dei segni camu-ni corrispondenti a ξ, φ, χ, ψ. Per ξ = ks ella suppone di risolvere il problema, attribuendo tale valore ai segni che precedono o negli alfabetari, occupando il 15° posto. In verità in questa posizione gli alfabetari camuni hanno grafemi diversi: Y (Zurla), (Foppe di Nadro), (PC 10b) e (PC 6, 27, 28). Tali grafemi non assomigliano né a degli alfabeti «azzurri» né a X, + di quelli «rossi». Assimilando erroneamente (v. § 8) a e quest’ultimo al segno che si ha in alfabeti beotici – ma solo davanti al sigma per marcare /khs/ – la Tibiletti Bruno attribui-sce il valore /ks/ a tutti i segni che sono al 15° posto negli alfabetari. Certamente, in generale, la posizione dei segni negli alfabetari è il primo e forse più importante elemento da cui partire per cercare il loro valore. Ma l’esame dell’intero corpus delle iscrizioni camune mostra chia-ramente che i grafemi situati al 15° posto negli alfabetari non possono denotare /ks/. Non sembra che la Tibiletti Bruno abbia svolto una tale analisi: anzi, dalle sue trascrizioni pare che ella non abbia compreso bene la natura di quei segni: viene assimilato a e quest’ultimo è distinto da per motivi puramente grafici.7

M. G. Tibiletti Bruno non solo afferma che i maestri camuni dovevano avere “sott’occhio” come modelli sia un alfabeto “azzurro” sia uno “rosso”, ma ritiene che “sulla base degli alfa-betari camuni dovremmo desumere che il sistema fonologico camuno fosse simile o uguale a quello greco, con l'aggiunta di segni per varianti”.8 Evidentemente anche questa conclusione, non confermata da indagini (prospettate, ma non ancora pubblicate), è il frutto tautologico della tesi di partenza.

In verità nulla si oppone all’ipotesi che l’alfabeto-modello camuno sia stato elaborato a partire da quello etrusco arcaico con mediazioni retiche e venetiche, modello a cui furono poi aggiunti segni per marcare suoni non contemplati dagli alfabetari etruschi. Ad esempio la se-quenza dei segni sulla tavoletta di Marsiliana d’Albegna (675-650 a. C.) combacia con quella canonica degli alfabeti camuni, non meno che le sequenze degli alfabeti greci. Fino al 14° grafo la corrispondenza è perfetta: anche in etrusco arcaico il gamma (3° segno) è un segno teorico che, quand’è usato, marca lo stesso fonema di k (poi lo soppianterà). Il 15° grafo non è mai usato nelle iscrizioni e quindi non possiamo determinarne il valore.9 Certamente es-so non è /ks/ né /khs/, dato che l’etrusco usa sempre due lettere per denotare questi gruppi. Ti- 7 Seguire la Tibiletti Bruno nelle sue “spiegazioni” non è sempre agevole. Eccone un esempio (ibid. pp. 334-335): “Poi deve esserci stata confusione per la somiglianza con il forcone che ha il manico,che si trova al 7° po-sto ( = z), anche perché a volte una sbarra poteva sfuggire al disotto dell'angolo (v. in 28a, sopra). Data questa somiglianza, da una parte PC 6,19 r.7 ha il forcone privo di manico di questo 15° posto portato anche al 7° (dove invece doveva presentarsi il manico), perché l'incisore per confusione ha uguagliato il 7° al 15° (però mi pare impossibile che un esperto non si rendesse conto che la diversità grafica corrispondeva a diversità fonica, e per-tanto l'omografia avrebbe creato confusione nell'interpretazione, anche se si trattava, comunque, di suoni affricati per entrambi), e dall'altra è stato esteso il forcone a manico lungo anche qui, perché PC 27p,39 r. sp. presenta sotto le tre punte un guasto nella roccia, però è ugualmente quasi certa la incisione, al disotto delle punte, della verticale del manico. Ma tale forcone a manico lungo, omografo di quello al 7° posto, viene poi disambiguato per semplificazione, cioè mediante l'eliminazione della sbarretta che è in senso contrario alla scrittura (per cui il forcone diventa a due punte, asimmetrico), alle Foppe di Nadro, in tutti gli alfabetari senza esclusione. Tale bi-sogno di differenziazione, una volta ammesso il tridente con manico anche al 15° posto, ha portato invece alla Zurla a un'altra soluzione ancora, cioè ha provocato una ripercussione all'indietro sul 7° segno, in Manc. Zu 2b = Zu 67,cioè il tridente con manico ha adottato una spalla quadra che non ha mai avuto (si potrebbe pensare a u-n'analogia con il bidente, che era a spalla quadra, e con le punte verso il basso, anche se proprio qui la spalla sembra un poco smussata e manca il manico), mentre il 15° segno è il forcone con manico, tracciato con pic-chiettatura piuttosto informe — come d'altra parte appaiono mal picchiettati anche altri segni — , ma anche la sbarretta obliqua sinistra è sicura, seppure un poco embrionale perché abbozzata con due soli colpi di punta”. 8 M. G. TIBILETTI BRUNO, Gli alfabetari, cit., p. 377. 9 L’ipotesi che marchi una sibilante, ventilata da vari autori, è indimostrabile.

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biletti Bruno legge correttamente il gruppo hs presente in PC 30. Ciò avrebbe dovuto far sor-gere più di un dubbio sull’opportunità di attribuire al 15° grafo degli alfabetari camuni in qua-lunque sua forma (Y, , e ) il valore ks.

alfabeto etrusco di Marsiliana d’Albegna (675-650 a. C.)

a b g d e v i h θ i k l m n ⊞ o p ś q r s t u sx φ χ

alfabetario camuno di Scala della Zurla [a] b g d e v i h θ i k l m n ú o p ś φ r s t u zz ? s2 θ2 θθ

alfabetario camuno di Piancogno a b g d e v i h θ i k l m n ó o p ś φ r s t u ? θ2 θθ (ú3) þ ? zz

Il problema dell’individuazione dei valori dei segni camuni, insomma, non può essere ri-solto soltanto mediante la comparazione grafica con i segni che occupano la stessa posizione in alfabetari usati per altre lingue (greco, etrusco, venetico o latino). La corrispondenza fra le posizioni nell’alfabeto e la comparazione grafica aiutano certamente ad impostare il problema generale, ma solo l’analisi delle occorrenze nelle varie iscrizioni può confermare i valori così attribuiti. Negli ultimi dieci anni le conoscenze sul corpus delle iscrizioni camune, nel frat-tempo arricchitosi di altre acquisizioni importanti grazie al paziente lavoro di M. G. Tibiletti Bruno, di A. Priuli e di altri ricercatori, hanno raggiunto un livello tale che è possibile un’identificazione certa di quasi tutti i segni. Ma questa è possibile solo se da un lato ci si at-tiene a quanto emerge dall’intero corpus e dall’altro si cerca di ricostruire un corretto sistema fonologico della lingua parlata dai Camuni.

Nel riesaminare la documentazione dell’epigrafia camuna, A. Morandi riconosce il grande merito delle innovazioni interpretative introdotte dalla Tibiletti Bruno. Egli però ritiene che “il quadro epigrafico in nostro possesso non sembrerebbe sconvolto anche perché le novità ri-guardano soprattutto le serie alfabetiche, didattiche e simboliche nello stesso tempo, mentre invece nella scrittura corrente i nuovi grafemi trovano rare applicazioni anche per la loro re-cenziorità e la limitata circolazione”.10 In verità Morandi non sembra cogliere completamente le prospettive di lavoro non solo nell’indagine sulla fonologia, ma anche sulla morfologia del-le iscrizioni camune offerte dal paziente e a volte illuminante lavoro della Tibiletti Bruno. Ba-sta una individuazione esatta dei grafemi che marcano le sibilanti s e z per aprire un discorso serio sulla possibilità di genitivi terminanti in -s. Se al contrario si è, come pare essere Mo-randi, ancora restìi ad abbandonare una delle cause di notevoli malintesi, cioè la trascrizione

10 A. MORANDI, Epigrafia camuna, cit. p. 106.

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con z del segno , si finisce con l’impacciare un filone di ricerca. Certo, tale trascrizione non implicava presso gli studiosi precedenti, la definizione di un preciso fonema; ma la conse-guente incertezza pregiudicava un’attendibile analisi fonologica e morfologica delle scritte.11 Ora la constatazione che la serie degli alfabetari camuni rispecchia in buona parte quella degli alfabetari etruschi permette di stabilire gli esatti fonemi delle sibilanti: marca /s/ e /ts/. Ciò è fondamentale per lo studio dell’affricazione in camuno, retico, leponzio ed etrusco.

2. I grafemi delle occlusive sonore. Se non si potesse verificare l’uso nelle iscrizioni delle singole lettere degli alfabetari, l’ipotesi della Tibiletti Bruno che il sistema fonologico camuno fosse simile o uguale a quello greco non si potrebbe né dimostrare né ricusare. Ma l’esame delle iscrizioni induce a dubitare che le occlusive sonore fossero presenti in camuno fin dai secoli precedenti l’uso della scrittura. Il gamma a uncino o ി non è mai impiegato al di fuori degli alfabetari (altrimenti si confonderebbe con = l : provando a mettere /g/ al posto di /l/ quando c’è si ottengono lezioni inattendibili). Esiste anche un gamma con forma negli al-fabetari PC 10b, PC 27p, Tib. FN 6f e lo stesso segno appare in SE 1 e forse in FN 17. Dubito che sia presente sulla lastra di Civitate Camuno: il presunto gamma ad arco appare staccato dalla successiva asta leggermente obliqua a causa della lacuna evidenziata nell’apografo della Tibiletti Bruno. Propendo quindi per leggere r invece di ci. Ancor più improbabile è la pre-senza di C in Na 19, dove dopo ue si hanno due segni curvi opposti che non si toccano, il pri-mo dei quali è un arco con curvatura larga. I due segni affiancati potrebbero costituire un k,altrove realizzato con / / e ノノ.

SE 1: eúlu(c)a iuenca FN 17: SCRB / lupuc

lastra di Cividate Camuno Na 19: uekouias

Non si può accertare se in SE 1 e in FN 17 marca /g/ o /k/. Un indizio a favore di /k/ è la possibilità che in FN 17 lupuc sia effettivamente la lettura esatta e corrisponda a etr. lupuce ‘morto’ (ma siamo nel campo dell’opinabile). Inoltre il segno potrebbe essere stato rimodella-to sul gamma etrusco o sul C latino per marcare, come appunto in etrusco e in latino, la velare sorda. La probabile mancanza di uso di un segno per /g/ corrisponde alla mancanza di delta, al di fuori degli alfabetari. L’unico d è in un’iscrizione di Dos dell’Arca in caratteri simili a quelli latini, comunemente letta DIEU. Questa mancanza di gamma e delta accomuna il ca-

11 A. L. PROSDOCIMI, Per una edizione delle iscrizioni della Val Camonica, in “Studi Etruschi” XXXIII (1965), pp. 578-79, n. 15, scrive: “La trascrizione z presuppone una sonora fricativa o, in altro senso, un’affricata, valore che sembra da scartare a priori per le posizioni in cui compare. La sonorità dovrebbe essere indicata dall’utilizzazione del segno etrusco per z, che però non notava necessariamente una sonora [certamente non la notava mai, aggiungo io], visto che l’etrusco non rileva una opposizione di questo tipo (sorda: sonora) [proprio perché non ha sonore]: d’altra parte il fatto che non compaiano altri segni certi per le sibilanti nelle iscrizioni camune (cfr. però n. 22 [nell’apografo c’è una specie di sigma a tre tratti]) deve rendere circospetti sull’attribuzione di un valore fonetico derivato da indizi formali…”.

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muno al retico e all’etrusco, dove non è usato neppure il beta: è noto che l’etrusco non ha oc-clusive sonore. Ciò significa che dobbiamo attenderci una mancanza di un fonema /b/ anche in camuno? Negli alfabetari il posto di β è tenuto da . Esso compare a Piancogno in PC 23l(bisú3lau) e in PC 19f dove davanti a bú3sú3(s) si notano due tratti che per Tibiletti Bruno raf-figurano la zampa di un animale incompiuto. Non è tuttavia da escludere che essi siano un hmal disegnato. In tal caso il digrafo hb marcherebbe un’aspirazione. Ciò infatti avviene in ah2p2re (Na 15) dove si ha h davanti all’occlusiva p da aspirare. Come si vedrà al § 3, un di-grafo è presente anche in pivhiau (Pia’ d’Ort).

PC 19f : (h)bú3sú3(x) Na 15: ahpre

PC 24m : nihnθau PC 30 : θuhsa is

Lu 6b: hohka Tib. BD 13o: ihsen o hksen.

Sc 8: pisuhk o pisahk Se 3: heas

PC 39: uahθ φaseu / uaφrus

La presenza di b fuori dagli alfabetari pone di nuovo il problema dell’esistenza o meno delle sonore. Per bisú3lau è possibile ricorrere all’ipotesi di un nome o lessema di origine celtica (cfr. Bisa, Bisellius, Bisillus). Per bú3sú o hbú3sú qualsiasi ipotesi è per ora precaria. Ma dal quadro complessivo si può dedurre, almeno come ipotesi di lavoro, che le occlusive sonore furono un’acquisizione abbastanza tarda, forse di influsso celtico e poi latino.

3. La spirante h. La spirante h è denotata da due (o tre) diversi grafemi. Negli alfabetari appare soltanto uno di essi, cioè H. Esso assume una forma particolare in Zu 2b, dove ha il trattino orizzontale in alto ( ). In PC 6, 19 al posto di H c’è il segno // (che negli alfabetari di

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Foppe di Nadro occupa il posto corrispondente a k), mentre H è al posto di k : quindi i segni usuali (almeno negli alfabetari) per h e k sono scambiati. Che non si tratti proprio di un errore, ma di un ulteriore sistema grafematico è dimostrato da PC 35, dove hkanoas ha \\ per h e bb (di altezza ridotta) per k. Inoltre anche in Lu 6a (hunze) h è marcato da //. Il segno H è chiaramen-te riconoscibile nell’iscrizione Lu 6b che, applicando coerentemente i valori desumibili dagli alfabetari e dalle altre iscrizioni, si deve leggere hohka. Se gli apografi di Tibiletti Bruno sono corretti, la PC 24m di Piancogno va letta nihnθau, la PC 39 (riga 1) uahθ φaseu (o raseu) e la PC 30 θuhsa is.

PC 19f: selzaþþePC 18e: seh manals

PC 20g: mi ruas

Lu 9: em hunze ?z2 in legatura?

Lu 6a: kunze o hunze

FN 14: piφiau

Bell. Pl 24, 4: pivhiau

FN 9 = Tib. FN1a: ehils rev

Anche l’iscrizione di Cividate Camuno contiene, secondo Tibiletti Bruno, il segno H e non II (riprodotto da Mancini). A mezza via sta Morandi che vede un segno ˧ seguito da una I.12 Seguo Tibiletti Bruno che legge h (coerentemente con l’apografo),13 poiché non ritengo che

12 A. MORANDI, Epigrafia camuna, cit. p. 104. 13 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit. p. 157.

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esista il grafema ˧ (trascritto con í) supposto dal Morandi e individuato da altri autori prece-denti in altre iscrizioni la cui lettura è controversa.14 Fra queste l’unica che può prestarsi all’ipotesi dell’esistenza di ˧ = í è Se 3, dove però a mio avviso non si ha ˧e, ma una legatura

he. Nelle altre iscrizioni si sono assimilati il presunto ˧ e l’effettivo che marca ú.Un H con due trattini orizzontali è presente ancora a Piancogno in PC 18 seh manals.15 Ti-

biletti Bruno vede una h anche davanti a m di PC 20. Mi sembra però più verosimile che si tratti non di un grafema, ma di un motivo dell’ornamento del fodero disegnato davanti alla scritta, sicché questa inizierebbe con m, anzi con mi (forse pronome personale seguito da un possessivo in -s : mi ruas). La PC 18 (seh manals) si incontra ad angolo retto con la PC 20 mi ruas e i due m sono intenzionalmente disposti ad angolo in modo da avere il trattino finale in comune. Presumo che entrambi i my siano in inizio di parola. Un altro probabile H è in FN 9 = Tib. FN 2b che leggo ehils rev.16 Una lacuna non permette di accertare se fra le prime due aste verticali ci fosse una trattino orizzontale: il dubbio può concernere soltanto h e k. Sicco-me i due tratti paralleli che marcano k sono spesso obliqui e più bassi delle altre lettere, h èpiù probabile.

Altri possibili h sono in Se 3 e in BD 13o dove non è da escludere la presenza di legature: in tal caso la Se 3 va letta heas, mentre in BD 13o resterebbe il dubbio se leggere ihsen o hi-sen oppure khsen (nell’eventualità di una legatura fra H e il k che ha forma ). Una legatura ancor più complessa è forse presente in Lu 9 (em hunze unz?). All’inizio di Lu 6a appaiono quattro aste che danno adito a più letture (hinze, kunze, ikinze, hknze, hunze?). La lettura hun-ze è possibile perché i primi due tratti costituirebbero h come in PC 35, e i secondi due, con-vergenti senza incontrarsi, formerebbero la u: tale lettura ha probabilmente un riscontro in Lu 9 dove leggo hunze con legatura.

In un’iscrizione di Pla’ d’Ort (Bell. Pl. 24, 4) tre aste verticali seguono un presumibile di-gamma realizzato con una serie di aste verticali (quattro?) ravvicinate, intersecate da due (o tre?) linee. Negli alfabetari il digamma ha una sola linea intersecante ( ). La presenza ecce-zionale di v si spiega meglio se si attribuisce alle tre aste successive il valore h : allora a-vremmo un digrafo vh per esprimere il suono /f/, così come avviene nelle iscrizioni etrusche arcaiche e nelle venetiche. Il tipo di h è a tre aste verticali (III), appunto come nell’alfabeto venetico. Un esempio simile di h è in ah2p2re.17 L’ipotesi che si abbia un digrafo vh = f è av-valorata dal fatto che la lettura pivhiau18 trova riscontro in piφiau di Foppe di Nadro.

14 Cfr. R. S. CONSWAI – J. WHATMOUGH – S. E. JOHNSON, The Prae-Italic Dialects, pp. 525, 529, passim; A. L. PROSDOCIMI, Per una edizione delle iscrizioni, cit. p. 578. 15 Questa scritta potrebbe essere fondamentale per stabilire la natura della lingua camuna arcaica: seh potrebbe equivalere a etr. seχ ‘figlia’ e la scritta si incrocia con mi ruas dove rua richiama etr. ruva “fratello”. 16 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit., p. 127, considera questa scritta, così come Na 19 (a-hpre: v. nota seguente), uno spezzone di alfabetario e la traslittera <α>βγδε?. A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, cit., legge solo e--zne.17 Mi sembra preconcetta la lettura di M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit. p. 67; ID., Gli alfa-betari, cit. pp. 317-321, passim, secondo cui la scritta ah2p2re (da lei letta αβγδε) è lo spezzone iniziale di un al-fabetario. A. L. PROSDOCIMI, Per una edizione delle iscrizioni, cit. p. 592, è incerto se attribuire a III il valore hoppure il valore .i., sull’esempio di varie iscrizioni venetiche di Padova, Vicenza, Gurina (le aste laterali avreb-bero la funzione di punti che segnano lo iato). Il Prosdocimi inclina per .i. Lo stesso dubbio esprime A. MANCI-NI, Le iscrizioni della Valcamonica, cit. p. 113, che però si limita ad osservare che la presenza del segno III “co-stituisce un importante elemento culturale per una correlazione non casuale con l’area venetica”. 18 Nell’edizione di L. BELLASPIGA, Le iscrizioni camune delle rocce, cit., p. 254, si ha sli?ii?iau, cioè si suppone che la prima lettera sia una “s angolosa”. Ma in Fig. 1 di p. 251 questo segno ( ) sembra accidentale. In ogni modo il suo valore non sarebbe s, ma ú3.

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La tesi che anche III marchi /h/19 è rafforzata dal fatto che in un insieme di segni sulla roc-cia 6 di Crap di Luine (Lu 5b) appaiono accostati III e H. Poco distante si hanno un l diritto e un l rovesciato (intercambiabili nelle iscrizioni) e, a se stante, il gruppo sz2; sotto di esso z con un altro segno illeggibile. Forse tali coppie di segni erano un promemoria o una “lezione” di grafemi intercambiabili e/o di gruppi consonantici standard. Il segno III appare anche in PC 14a, che leggo is2arhiau. Non si può accertare se la scritta è da scandire in is2 arhiau. Per con-tro, dovrebbero costituire un k i due trattini fra r e i in PC 36, leggibile come arkiau.Quest’ultima potrebbe essere una forma deaspirata di arhiau, se fosse questo un termine da scandire nella sequenza is2arhiau. Non varrebbe il viceversa (arhiau forma aspirata di ar-kiau), poiché ritengo che l’aspirazione fosse un fenomeno più antico e si sia poi avuta, come in etrusco, una deaspirazione sotto l’influsso del latino e, per il camuno, anche del celtico.

contesto di PC 14a (is2 arhiau) e PC 16c.

Lu 5b PC 36: arkiau PC 35: hkanoas

La scritta più importante per il discorso sulle velari aspirate e sulla spirante h in camuno è forse la PC 35. Essa inizia con due tratti paralleli che possono indicare soltanto h, visto che kanche altrove è marcato da due tratti paralleli formanti un grafo sensibilmente più basso. Dunque, la scritta inizia per hk. Il digrafo realizza lo stesso suono che in hohka. Possiamo al-lora ipotizzare che esso sia presente pure in Sc 8 (vedi apografo), dove si può leggere pisahk opisuhk, sebbene la lettura sia meno chiara. Il digrafo hk difficilmente marca un suono diverso da /kh/ e ciò pone un grosso interrogativo sull’esistenza di un grafo che denoti lo stesso suono. Per l’etrusco ci fu un periodo di coesistenza fra il digrafo hv e il segno a 8 per marcare /f/; quindi è possibile che nelle iscrizioni camune, specialmente in zone diverse, siano stati usati hk e un segno apposito per marcare /kh/. Ma questo segno non è per ora individuato. Di certo, ciò che a lungo è stato considerato un chi, cioè , , tale non può essere: come ha ben visto la Tibiletti Bruno,20 la sua posizione negli alfabetari mostra che tale segno corrisponde a z e

19 M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., p. 317, richiama l’attenzione sul fatto che nelle riproduzioni dell’alfabetario PC 6, 19 al posto di b si hanno tre aste verticali non legate da sbarrette oblique (come negli altri alfabetari) e che essendo l’iscrizione per ora introvabile, non è possbile un’ulteriore autopsia. Quindi l’Autrice tende ad assimilare III di PC 6, 19 e di Na 15 (ah2p2re) al grafema per /b/. 20 M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., p. 325.

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l’esame delle iscrizioni prova chiaramente tale valore. La stessa Autrice, però, ritiene che il chi camuno esista e che vada scelto fra il 24° e il 25° segno degli alfabetari (X, , , ): in

tale posizione si avrebbero i corrispondenti dei greci χ e ψ. A mio avviso X, , marcano delle dentali (v. § 7). Rimane da esaminare il segno che purtroppo non è facilmente identi-ficabile, potendosi confondere con X e con .

Lu 5a Na 13: tiuis

Un segno a croce è presente in Lu 5a. Esso è accompagnato da un’asta, così come avviene in alcuni alfabetari. In Zu 2b si ha I ; in PC 6, 19 si ha ─ I ; in PC 27 p si ha ─. Un’asta verticale da sola denota i, ma in alcuni alfabetari occupa anche il posto di t. Quindi I , I eforse anche ─ potrebbero essere o digrafi che marcano un fonema o scritture abbreviate per marcare due lettere (ad esempio se marcassero hi si risparmierebbe una delle aste di H). In ogni modo non credo che il camuno usasse, nell’epoca delle epigrafi attestate, un segno speci-fico per /kh/: anche a prescindere dall’esistenza del digrafo hk per denotare la velare aspirata, il grafema per h è usato pure laddove l’etrusco avrebbe χ, cioè 1) davanti e dietro consonante (nihnθau, uahθ, θuhsa(is), arhiau), 2) in posizione intervocalica (]esuhú, ehils) e 3) forse an-che in posizione finale, se la scansione seh manals è corretta.

4. I grafemi delle occlusive sorde. Oltre che dal p greco, spesso rovesciato ( ) o inclinato o a forma di ferro da cavallo, il fonema /p/ è marcato dal segno (anche rovesciato), presente pure nel retico di Magrè.21 Traslittero con p2. Esso è presente in Na 15 (ah2p2re), in Bell. Pl 24, 4 (p2ivhiau). Nitido è il segno in PC 34, dove tuttavia altre lettere sono meno leggibili. Tibiletti Bruno considera questo segno un rho, sebbene in 5 casi su 5 negli alfabetari appaia solo il rho di tipo . È ora certo che il segno a uncino camuno non vale mai p, ma sempre l.

Il segno o = marca la dentale sorda. Vedi il § 5 per il valore di X, traslitterato con t2

da Mancini. In Zu 1b e probabilmente in due alfabetari di Foppe di Nadro22 si ha un grafo T.A Piancogno il segno per t appare come una semplice asta verticale negli alfabetari PC 6, e PC 10b, mentre in PC 27p l’asta è intersecata da più di un trattino, ma non si capisce se questi concernono la lettera. Tibiletti Bruno23 non esclude che ciò sia dovuto a un fraintendimento

21 Si è ritenuto per molto tempo che tale segno marcasse /r/, sicché fu traslitterato con r2. A. MANCINI, Iscrizioni retiche, in “Studi Etruschi” XXXXIII (1975), pp. 249-306 [p. p. 253] avanza seri dubbi su tale valore, basandosi sulla concomitanza di r2 e r1 in due iscrizioni di Magrè. Invece M. G. TIBILETTI BRUNO, Camuno retico e para-retico, in Lingue e dialetti dell’Italia antica, a cura di A. L. PROSDOCIMI, VI vol., tomo II di Popoli e civiltà dell’Italia antica, 1-7, Roma 1978, p.237, dà per scontato che valga p. Più tardi anche A. MANCINI, Iscrizioni retiche e iscrizioni camune, cit., p. 87, accetta questo valore senza riserve, attribuendone il merito alla Tibiletti Bruno e a C. Sebesta. S. SCHUMACHER, Die rätische Inschriften, cit., p. 114, trascrive il segno con r2/p. Più tardi egli si decide a trascriverlo con p2 : v. S. SCHUMACHER, Le iscrizioni «retiche»: stato attuale delle conoscenze scientifiche, problemi specifici e prospettive future, in I Reti / Die Räter. Atti del simposio. Castello di Stenico, Trento 1993, p. 361. 22 L’incertezza – mi par di capire dalla spiegazione di M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., p. 344 – è dovuta alla coincidenza con linee casuali o naturali (striatura glaciali). 23 M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., p. 345.

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dello scriba copiatore per la difficoltà di vedere i tratti orizzontali tra le striature della roccia, esse pure orizzontali.

Al posto che negli alfabeti greci ed etruschi è occupato da k, negli alfabetari camuni si tro-vano segni diversi, seppure riconducibili ad una struttura unica: II, //, , , . Gli ultimi tre segni, che d’altronde potrebbero essere scambiati per (p), non sembrano presenti al di fuori degli alfabetari, tranne che nel caso su segnalato: in Tib. BD 13o non si può escludere la pre-senza di un in legatura con h, per formare un digrafo hk. È stato visto un segno K in Pl 1a,24 ma un più attento esame mostra che l’asta verticale è staccata dai due tratti obliqui, i quali si appoggiano all’asta successiva. Si legge dunque eúlu uipliau e non eúlu ukiliau.

Pl. 1a: eulu ukiliau PC 1a 3: kuaz2 o kuas

Tib. Pl 2b: zei?ú3tau Lu 8: em unke úk

Altrove sono attestati i due segni II, // a cui è da assimilare un grafo chiaramente presen-te in PC 36 (arkiau). Due k a forma di // sono ipotizzabili in LU 8 (em unke ú2k). Suppongo che costituissero un k i due tratti leggermente arcuati in senso opposto che formano la terza lettera di Na 19: in tal caso si leggerebbe uekouias (cfr. il teonimo etrusco Vecuvia, lat. Ve-goia). Mancini interpretò questo grafema come due ii,25 quando non era ancora nota l’esistenza degli alfabetari. Più problematica è l’identificazione di k con i due tratti corti e convergenti che in Tib. Pl 2b sembrano costituire il quarto grafema. Ciò darebbe adito alla let-tura zeikú3tau. A Piancogno si può individuare un k formato da due lineette non solo in ar-kiau, ma anche in PC 1a 3 (kuaz2 o kuas). Occorre notare che sotto il segno k ( )dell’alfabetario PC 27 p (vedi figura al § 7) sono tracciati i segni // e )), cioè due k alternativi, il secondo dei quali assomiglia a quello di arkiau.

5. I grafemi delle occlusive tenui aspirate. Gli alfabetari mostrano che il segno a 4 o 5 puntini (::, :⋅:, ::·) vale θ /th/. Il segno a puntini è presente in aθnens (SC 5), uaθias (Na 1), uaθiau (Na 2), núθú (Na 4), θuirau (Na 19: qui ci sono 6 punti disposti a triangolo), munθau(FN 2), zaθalas (BD 3), ues2θas2 (BD 13), nihnθau (PC 24m), uahθ (PC 39), θuhsa(is) (PC 30). Nella lastra di Civitate Camuno il segno ׃⋅ ׃ è chiuso tra due aste verticali, presumibili i.

Il segno a croce X è trascritto con t da Mancini e dagli autori che lo hanno preceduto. La Tibiletti Bruno è incerta se considerarlo un χ o un ψ, ma le sue lunghe considerazioni non toc-cano minimamente gli aspetti fonologici: sono una lunga serie di ipotesi alternative concer-nenti esclusivamente la posizione di X e di nei vari alfabetari e la relazione fra questa posi-

24 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit., p. 145; L. BELLASPIGA, Le iscrizioni camune delle rocce, cit. p. 251. 25 A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, cit., p. 117.

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zione e quella di χ e ψ negli alfabeti greci.26 La presenza di X dietro s e s2 mi fa supporre che formi con la spirante sorda un gruppo sth piuttosto che st. Il dubbio fra t e th vige, a mio avvi-so, per l’identico segno dell’alfabeto retico. In questa X è trascritto con t (ad es. Mancini27) ocon t2 (Schumacher28 e vari autori prima di Mancini): tali convenzioni, però, non hanno una ragione fonetica. Nel presentare il quadro geografico della presenza dei segni per le dentali, Mancini dichiara che “è impossibile nella fase attuale della ricerca dare una spiegazione e le motivazioni delle notazioni divergenti”.29 A me pare, però, che il problema sia solubile con i dati a disposizione. Occorre prima di tutto notare che è strano che non si sia individuato per il retico un grafema θ, posseduto invece e largamente presente sia in etrusco (che secondo gli antichi doveva essere parlato anche dagli antichi Reti) sia in venetico sia in camuno. Inoltre una ragione fonologica evidente ci obbliga a postulare l’esistenza di una dentale aspirata, se aspirate erano le consonanti marcate dal φ e dal χ retici. Problema preliminare: tali consonanti erano “aspirate” come sostengono parecchi autori relativamente al sistema fonologico etrusco o “spiranti” come ritengono coloro che seguono H. Rix? Per parte mia in questo caso seguo la communis opinio30 dell’aspirazione per l’etrusco arcaico, non escludendo una successiva spi-rantizzazione, almeno per la dentale, che mi pare testimoniata dal passaggio θ > z > presente in alcuni casi. Il problema si pone in termini analoghi per il retico, dove credo che fossero presenti, almeno per le dentali, sia l’“aspirata” sia la “spirante” e che il passaggio dalla prima alla seconda era in via di attuazione. Il primo passo sta nell’identificare i grafemi di /t/ e /th/: a tal fine potrebbero servire i paralleli con l’etrusco. Confesso il mio stupore nel vedere che Rix identifica in la spirante sorda (da lui indicata con <θ>). Il Rix scrive: 31

Zweitens haben die Räter das Ergebnis der ‘venetischen Dentalvertauschung’ übernommen. Wie die Veneter verwenden sie das Andreaskreuz X, das aus einer lokalen Variante des etruskischen <θ> stammt, für die unmar-kierten (stimmlosen) Dental /t/, während sie mit , dem etruskischen <t>, einem markierten Dental wiedergeben, nämlich eine Lenis, die okklusiv oder spirantisch sein konnte und für die Veneter stimmhaft [d], [δ], für die Rä-ter stimmlos ([d ̥], [θ]) war. Der Lenischarakter des mit rät. <θ> ( ) ausgedrŭckten Lautsegments folg mit einiger Sichereit daraus, daß es im Anlaut nur vor /r/ (θriahis MA-6, θrinaχe CE-1), nicht aber Vokal vorkommt, wo wiederum rät. <t> X, das Zeichen für die Fortis häufig ist (tarani[ FI-1, tiutis BZ-4, tukinua NO-1, tulzes SR-4.

Rix basa il suo assunto sul fatto che non si presenterebbe mai in inizio di parola davanti a

vocale, ma solo in riahis e rinaχe. Ciò non è esatto: a parte tinia a Feltre – su cui si può o-biettare che siamo in una zona di confine soggetta a influssi esterni – e a parte che in tiutis BZ-4 non è chiaro se i grafi marcano o X, in tine suna VR-1 si ha . D’altronde tutto ciò perde di significato se si attribuisce a il valore /t/ che il segno ha in etrusco. Etrusco, retico e forse camuno prima della scrittura (prima dell’VIII-VII secolo, se ci si riferisce all’etrusco) non avevano occlusive sonore: l’analisi lessicale mi fa pensare che nell’importare radici indo-europee essi si comportavano con una sorta di Lautverschiebung che contemplava i passaggi ie. mediae > etr. ret. tenues e ie. tenues > etr. ret. tenues aspiratae.32 Inoltre etrusco e retico 26 vedi M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., pp. 346-357, 374-376. 27 Vedi ad es. A. MANCINI, Iscrizioni retiche, cit. p. 252, n. 9; p. 305]. L’A. rinuncia semplicemente alla conven-zione degli autori precedenti. 28 S. SCHUMACHER, Die rätische Inschriften, cit., p. 113. 29 A. MANCINI, Iscrizioni retiche, cit. p. 305. 30 Espressa ad esempio da L. AGOSTINIANI, La considerazione tipologica nello sutio dell’etrusco, in “Incontri linguistici” 16 (1993), p. 29. 31 H. RIX, Rätisch und Etruskisch, Innsbruck 1998, p. 54. 32 In questa prospettiva la scritta ties di Na 17 (scritto presso la rappresentazione di una “danza rituale del sole”) corrisponderebbe a lat. dies come già A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, cit. p. 114 aveva ipotizzato; e ret. tine suna VR-1 sarebbe “lucente sole”: per tine cfr. etr. tin “Iouis, dies”, da ie. *deien- > *dino- di lat. nun-

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facevano corrispondere h, θ, f (o φ) ad ie. gh, th, ph. Rimane aperto, come per il protogermani-co, il problema dell’epoca in cui si sarebbe attuata la probabile spirantizzazione delle aspirate nel processo /t /> /th/ > /þ/, /k/ > /kh/ > /h/, /p /> /ph/ > /f/. Secondo il Rix in retico si avrebbe-ro due spiranti sorde /f/, /χ/ e forse anche la terza /θ/ in inizio di parola: fin qui concordo e an-zi tolgo la riserva per la spirante dentale, dato che la serie delle dentali possiede due segni specifici per /th/ e /þ/. Non posso seguire il Rix quando ipotizza oltre alle “drei stimmlose Ok-klusive: /p/, /t/, /k/ (Fortis [p] [t] [k] im Anlaut)”, l’esistenza di “Lenis [b ̥] [d̥] [g̥] als Variante

im Inlaut)”.33 Nulla indica l’esistenza di [b̥] [d̥] [g̥]. Ciò premesso, le considerazioni che mi spingono a traslitterare con θ il segno retico X sono le seguenti:

1) A Magrè i segni e X coesistono anche in una stessa iscrizione (MA 6, MA 19): dunque marcano fonemi diversi.

2) Nell’alfabeto etrusco, da cui i Reti presero la maggior parte dei loro segni, è che mar-ca /t/: non ci sono ragioni pratiche perché essi mutassero il valore di questo grafema. L’ipotesi che ci sia stata una mediazione venetica nell’assunzione dell’alfabeto modello fin dalla prima fase è inverificabile: furono comunque i Veneti a dover mutare il valore dei segni che in etru-sco marcavano /t/ e /th/ : evidentemente ai loro litterati era noto che comunemente venetico /d/ e /t/ corrispondevano a etr. /t/ e /th/; erano cioè a conoscenza di una sorta di Lautverschiebung a cui erano soggetti i termini che gli Etruschi importavano dagli altri popoli. Sarebbe allora strano che i Reti, affini linguisticamente agli Etruschi, ben sapendo che il modello originario era etrusco (non si può certo sostenere che ne fossero all’oscuro: essi erano un tramite del commercio fra Etruschi e popolazioni mitteleuropee) invertissero i valori dei segni etruschi, per adeguarsi a quelli dei Veneti, che avevano un sistema fonologico diverso. Com’è noto, il segno X si trova nel termine zilaθ di uno dei Cippi di Rubiera (Reggio Emilia; VII-VI secolo), dove c’è pure T /t/ e in altre località etrusche: l’opposizione X : T = [th] : [t] in etrusco è stata accuratamente illustrata da M. Cristofani con specifico riferimento all’iscrizione di Lozzo e all’alfabeto venetico successivo.34

3) Leggendo valθeφnu, valθikinu (e non valt-), è evidente il legame con etr. velθ- che ri-tengo connesso con aisl. vald ‘Macht, Gewalt, Herrschaft’, got. waldan, lit. veldėti ‘regieren’ etc.35 Analogamente ret. reiθuś SZ-5 richiama etr. reiθvi (Felsina, V secolo). Indizi contrari sono invece i nomi pitamn[ e latur (evidentemente nominativo dell’obliquo ret. laθurusi) su vasi di Spina del IV-III secolo; tuttavia per essi non si può scartare una mediazione venetica con deaspirazione. In effetti laθurusi richiama anche etr. laθerna, laθr, laθruni etc., mentre per pitamn- / piθamn- si ha un corrispondente a Lagole in Pittamnikos. L’inusuale gruppo tt difficilmente denota /t/. Esso si trova ancora a Lagole in huttos ( = Futtos secondo G. B. Pel-

dinae, aind. dína-m “giorno”, got. sinteins “täglich” etc. (IEW 186); per suna cfr. got. sunnō, aisl. aat. sunna etc. “sole”. Per camuno θuirau è ipotizzabile (me lo suggerisce il contesto dell’iscrizione) la base germ. *þver- corri-spondente a ie. *tu ̯er- “quirlen, drehen, wirbeln” (IEW 1100). 33 H. RIX, Rätisch und Etruskisch, cit. p. 57. 34 M. CRISTOFANI, Appunti di epigrafia etrusca arcaica III. Le iscrizioni di Chiusi, in SE XLV, 1977, pp. 193-204. 35 Secondo questa ipotesi una parola come θarani-, scritta con altre sull’osso tubolare studiato da C. SEBESTA,Iscrizione retica su osso dalla Valle di Fiemme (Tesero), in “Studi Trentini di Scienze Storiche” LX (1981), pp. 193-204, darebbe un riscontro con termini derivanti da ie. *ter- “forare, trapassare, passare al di là” indicanti og-getti forati, strumenti per forare etc. Invece *trinaχe avrebbe un eventuale corrispondenza con parole indoeuro-pee derivanti da *der- “schinden, spalten, schneiden” come germ. *trenn- (ovviamente queste indicazioni sono ipotesi di ricerca).

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legrini e A. L. Prosodocimi36) e in Attos. Secondo Prosdocimi “il nome proprio Attos è da in-tendere in chiave germanica: cfr. il diminutivo Attila…”37 Se ciò fosse vero, poiché Attila è ricondotto ad un ie. *ato- che in etr. e ret. diventerebbe *aθ-, la doppia tt di Attos marchereb-be un’enfasi con cui si cercherebbe di imitare in venetico l’aspirata th; ciò potrebbe valere an-che per Pittamnikos.

Un ulteriore indizio che in retico è X la marca dell’aspirata dentale sta in una caratteristica che accomuna retico e camuno: dopo la spirante postdentale sorda /s/ il segno X è più fre-quente che non : a Magrè abbiamo [e]sθuva, es.sθua, lasθe, usθiþu contro un solo caso con

(estuale); a Sanzeno ]isθi su un frammento di situla. A Steinberg non si trova sθ, ma sz3 in due iscrizioni (casz2ri, con ) e st in una terza (castri). Ciò significa che la dentale del gruppo st anche in retico e in camuno, come in etrusco, ha subito un’aspirazione a cui si sostituisce col tempo una spirantizzazione con passaggi st > sth > sz > zz ( > ) o ss. Gli esiti degli ultimi passaggi possono essere marcati da un grafema apposito: in etrusco esso è ś (san )nell’alfabeto meridionale e s ( ) nel settentrionale;38 in retico è . Ad essi corrisponde in camuno il grafema , di uso più raro. Trascrivo pertanto con ś.

Lu 7: u2nsθ2 BD 8h: u2es2θes / enes2au

In conclusione, ritengo che in retico l’opposizione X : sia [th] : [t]. Non scorgendo alcu-na ragione fonologica per cui i Camuni avrebbero dovuto adottare una convenzione diversa, traslittero con θ2 anche il X camuno, per distinguerlo dal θ formato da puntini o lineette (:ּ:,

). Quindi leggo linsθ2i, linsθ2, θ2ine (o θ2inze per possibile legatura), (h)unsθ2 in iscrizioni del Crap di Luine. A Berzo-Demo il gruppo sθ è presente in es2θ2iau. Forse si ha θ2 pure in minaθ2ai (SE 2; l’iscrizione è danneggiata nel punto del possibile segno X). In enoθ2inas (SC 4) la presenza di X esclude che sia un theta la lettera precedente: essa è una o, sebbene un ca-suale punto interno al cerchietto possa dare l’impressione di un segno . Tale segno è senza dubbio presente in reθ3enau (FN 3) ed è comunemente interpretato come θ. È probabile che equivalga a dell’alfabetario di Piancogno.

Na 18: θuirau Na 16: dú o dhú? Na 17: ties

Il segno appare soltanto in Na 16: esso assomiglia al segno venetico traslato convenzio-nalmente con z, ma a cui si attribuisce il valore /d/. Lo stesso segno è presente nell’iscrizione retica di Magrè MA-23 usθiþu e eve, dove si hanno ben tre segni che marcano aspirate e spiranti dentali: X, , . La traslitterazione dedeve mostra immediatamente un possibile nes-

36 Per il valore /f/ del grafema h di Lagole vedi G. B. PELLEGRINI – A. L. PROSDOCIMI, La lingua venetica II Stu-di, Padova-Firenze 1967, p.102. 37 G. FOGOLARI – A.L. PROSDOCIMI, I Veneti antichi Lingua e cultura, Venezia 1988, p. 323. 38 Il passaggio in questione e il valore di ś in etrusco sono discussi in A. ZAVARONI, Dati contro l’esistenza di una spirante palatale in etrusco, di futura pubblicazione in “Incontri linguistici”.

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so con gall. dede ‘posuit’, germ. ded- (preterito). Poiché quest’ultimo è da *dhē-, nulla esclu-de il mantenimento dell’aspirazione in retico e in camuno. In Na 16 la scritta sembra accom-pagnare il disegno di una scure e potrebbe riferirsi ad essa. Siccome la scure è simbolo di morte, sia dhú sia thú potrebbero appunto equivalere a un preterito germ. dō ‘morì, è morto’ (base *dheu- “hinschwinden, sterben, bewußtlos werden”, IEW 260). In etrusco l’ie. dh viene mutato in aspirata sorda th, ma è impossibile stabilire sulla base di un solo esempio per lingua, se ciò avviene anche in retico e in camuno. L’iscrizione MA-23 citata invita a distinguere da X [th] e da [þ], almeno per il retico. Anche tenendo conto del valore /d/ che il segno ha in iscrizioni venetiche, non si può escludere che al tempo delle iscrizione di Magrè fosse avve-nuta una Lautverschiebung dh > d come in germanico, nel qual caso marcherebbe /d/ sia in retico che in venetico. Anche per il camuno è questa l’ipotesi più semplice, ma per il momen-to non se ne possono escludere altre: ad esempio potrebbe essere la tarda combinazione di \\ = h con = t per denotare th. Ho già accennato all’esistenza di digrafi che marcano l’aspirazione delle occlusive.

Prima dell’edizione delle iscrizioni di Piancogno, il grafema era attestato soltanto in FN 14 che Prosdocimi39 e Mancini leggevano piφiau. Però Tibiletti Bruno tende a identificare con il segno degli alfabetari, da lei trascritto con q40 e A. Morandi è certo che il segno sia un “qoppa, qui in funzione di kappa”, tanto che egli legge qui *piqiau e *śqaniau in PC 31a.41 In effetti compare nella posizione che negli alfabetari greci e negli etruschi più anti-chi è occupata dal qoppa (q). Ma in etrusco il q si trova soltanto in iscrizioni arcaiche (VII-V secolo), spesso seguito da u,42 ma non nell’etrusco recente: dopo il V secolo a. C. q è elimina-to anche dagli alfabetari. Quindi per chi prese in prestito l’alfabeto etrusco dopo il IV secolo, il posto di q era per così dire libero.

Ritengo che la lettura corretta sia piφiau anche perché la stessa parola sembra scritta pi-vhiau in Bell. PO 24, 4 (v. § 3). Ma proprio tale equivalenza solleva dubbi sull’effettivo fo-nema marcato da = : /ph/, /bh/ o /f/? Non credo che marchi /bh/, data l’originaria assenza di sonore nel camuno che a mio avviso in origine aveva un sistema di occlusive simile a quel-lo del retico e dell’etrusco. Quindi leggo śφaniau in PC 31a e noto, a prescindere dal proble-ma della presnza di ś invece di s, che φ potrebbe denunciare un fenomeno simile a quello che spesso avviene nel gruppo originario st, cioè una forte aspirazione dell’occlusiva che segue la spirante postdentale. Si vedrà infatti più sotto che in camuno e retico sθ è la regola e st l’eccezione. Altre ragioni che mi inducono a ritenere = una labiale (aspirata o spirante?) sono:

1) assomiglia molto di più al φ che non al qoppa ( ) degli alfabeti etruschi; la forma tondeggiante si trova anche in venetico sebbene prevalga quella romboidale;

2) q non esiste nella serie consonantica venetica e non è presente nemmeno in retico. A favore dell’esistenza di q in camuno c’è una lettera che ha proprio la forma di qoppa

greco in FN 3 che infatti Mancini legge qlu.43 Non escluderei tuttavia che la coda del cer-chietto fosse un segno diacritico per denotare una vocale ó (vedi § 9). A Piancogno si ha in φrú3s (PC 2b), φeau o φlau (PC 37) e uaφrus (PC 39). Sempre a Piancogno una lettera si-mile a è individuata dalla Tibiletti Bruno in PC 16c (penultimo segno). Questa iscrizione presenta vari problemi epigrafici che rendono precaria la lettura complessiva. Secondo Tibi- 39 A. L. PROSDOCIMI, Per una edizione delle iscrizioni, cit. p. 596. 40 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit. p. 105, n. 63: “è molto probabile che la lettura del Mancini sia da correggere pi�iau anziché piφiau…”. 41 A. MORANDI, Epigrafia camuna, cit. p. 105. 42 Cfr. vhelequ, aliqu, raquvu, qutum, qurtunia etc. Sono però attestati anche tre casi di qa e uno di qe.43 A. MANCINI, Le iscrizioni della Valcamonica, cit. p. 133.

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letti Bruno, che legge imnetneprqi o imnetne prqi, la parola inizia con i ed è preceduta “da un cerchio fatto a gratella (con quattro corde verticali e due orizzontali)”.44 Se l’apografo dell’Autrice nella parte della rappresentazione di questo cerchio a gratella è fedele (la fotogra-fia non è pubblicata), sorge un serio dubbio: invece del cerchio si vede un arco con la sua cor-da (che può benissimo essere un rho) preceduto da tre aste verticali secate da due orizzontali. Quest’altro gruppo di linee potrebbe essere una legatura per ph: il p, orizzontale come in quasi tutti gli alfabetari, sarebbe intersecato dalle 3 aste che costituiscono h, una delle quali coinci-dente con la barra verticale del p stesso. Si può dunque leggere phrim…, tema accostabile a ret. φrima (esiste anche φirima). Stando all’apografo, la seconda parte della scritta si legge-rebbe neprφi, ma la presenza di un gruppo di tre consonanti solleva altri dubbi.

PC 16

6. Esiste una spirante labiodentale /f/ in retico e camuno? Si è detto sopra che in PO 4 sembra presente un digrafo vh (: pivhiau) il cui valore dovrebbe essere /f/ e che la stessa paro-la è scritta piφiau, dove a rigori φ marcherebbe /ph/. In etrusco /f/ è spesso l’esito di ie. /p/ in temi presi dall’indeuropeo prima della scrittura, ma a volte si constata una regressione a p (e-sempi inequivocabili: fufluna / pupluna sulle monete di Populonia; arcaico θavhna, θafna, rec. θapna), forse per influenza italica. Quanto a φ, che dovrebbe marcare un passaggio interme-dio, corrisponderebbe a p di temi indeuropei introdotti in etrusco qualche secolo dopo (VII-V secolo a. C.). In retico esiste un grafema simile a che usualmente è trascritto con ph.45 Secondo Rix φ vale /f/ in inizio di parola: ciò sarebbe evidenziato dal fatto che ret. φrima “aus dem venetischen Frauennamen Frema entlehnt”.46 In verità non è possibile accertare se ret. φrima < φirima sia un nome di persona e corrisponda a ven. Frema. Ma anche se così fos-se, potremmo cambiare i termini della questione: nulla indica che sia il retico ad importare il nome dal venetico e non viceversa. Nomi di persona con base *frem- (fremerna, fremnei) so-no presenti pure in etrusco. Alcuni lessemi fanno pensare che in retico p ed φ potessero esse-re scambiati. Ciò avviene a volte anche in etrusco, dove abbiamo l’arcaico aφuχu e il recente apucu, purθ e φurθce, φacsneal e pacsnial. A mio avviso in etrusco si ha una deaspirazione dovuta ad influsso italico-latino che a volte investe anche f. Fra i termini retici una varianza φ/ p non distintiva è certamente presente in iuφiku : iupiku e probabilmente in φanaχi : pnake < *panake (tema di etr. fanak-n-?), φanin : paniun; viφilie : vepelie; pava : φausuθ (base

44 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit., p. 81. 45 Secondo G. B. PELLEGRINI, Reti e retico, in L’etrusco e le lingue dell’Italia antica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia (Pisa 8 e 9 dicembre 1984), Pisa 1986, pp. 95-128 [p. 108], la spirante f in retico “pare realmente assente”. 46 H. RIX, Rätisch und Etruskisch, cit., p. 19. Più avanti (p. 53, n. 75) Rix, che vorrebbe dimostrare come pure in etrusco all’interno di parola, non ci sarebbe /f/, ma [b ̥] afferma: “Inlautendes <f> nur in italischen Lehnwörten (raufe < sabell. *roufos ‘rot’) oder als Folge von Lautwandel (Cafate < *kapvate ‘Capuaner’)”. A parte il fatto che il passaggio Cafate < *kapvate è un’ illazione del Rix, f si trova anche all’interno di parole che è impossibile ritenere imprestiti: afu = *aφu, afle, craufa = craupania, θavhna = θafna = θapna, elfa, ufle = uφle, s(c)lafra, cafre, laf[x]na, scurf(i)u, safrie, safici ecc.

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*pav- presente anche in etrusco). Inoltre ret. χanφel ha la base di etr. hamφe, hamφina, ret. aφir e aparie richiamano etr. aφer, aperu-, afur, apur-; sφura richiama etr. spur-. Sulla base di tale varianza φ / p conviene ammettere che φ denota un’aspirata /ph/ che però era deaspirata in altre aree linguistiche e/o in epoca successiva. La mancanza di un segno f denoterebbe allo-ra che in retico l’aspirata labiale non si era mutata, almeno all’epoca dell’introduzione della scrittura, in una spirante labiodentale.

Ovviamente non è prudente attribuire al camuno caratteristiche grafematiche o fonologiche che possono sembrare valide per il retico. Anzi, la coppia pivhiau / piφiau potrebbe essere presa come prova che in camuno φ ( ) marca /f/. Tuttavia, poiché anche negli alfabetari ca-muni sembra mancare il segno per /f/, è probabile che di esso non ci fosse bisogno quando la scrittura fu introdotta.

7. I grafemi delle spiranti /s/, /ts/. Il grafema (con le sue varianti) è stato trascritto con zdagli autori precedenti. Ma dopo il lavoro della Tibiletti Bruno sugli alfabetari, non è il caso di insistere con questa errata trascrizione: tale grafema marca chiaramente /s/. Lo stesso valo-re è da attribuire a che traslittero con s2, distinguendo da = z e da = þ2. Quindi in BD 6 leggo es2θ2iau (o es2tiau: nel segno a croce un tratto inclinato è notevolmente più corto dell’altro) e in Tib. BD 12 leggo es2θas2. Le due parole richiamano i termini retici MA-12 [e]sθuva, MA-13 es.sθua, la cui base è evidentemente la stessa di PA-1 eθsuale equivalente a MA-12 estuale. Le diverse scritture mostrano l’incertezza nell’esprimere coi grafemi usuali la pronuncia di una base /*estsu-/, da /*es-th-u-/. È possibile che tale base sia connessa con quel-la di area celtico-lepontica da cui derivano i NP Essius, Esdius, Estius, Eđ[---].47 In Tib. BD 12 es2θas2 / enes2au si ha anche in fine di parola e in posizione intervocalica, come avviene comunemente con . D’altronde anche è usato nel gruppo sθ: infatti questo gruppo nel cor-pus camuno è scritto nei seguenti modi:

⋅׃ ׃ ⋅׃ ׃ X X.

Il gruppo /sth/ slitta a sþ: si ha il gruppo in BD 4 (s2epz3a esþ). In Lu 11 non è evidente il senso della scrittura: non si può accertare se la parola inizia con sþ (più probabile) o finisce con þs. Forse in BD 5 il gruppo s2þ ( ) è stato poi corretto in (s2z2).48 Anche è un gra-fema comune al camuno e al retico (Sanzeno, Vadena, Negau). Il suo valore è desumibile dal fatto che lo stesso verbo a Sanzeno è scritto inaχe, a Magrè inaχe = inake = Xinake. I-noltre si hanno pi ie = piXie (Magrè) e au ile da auXu (Sanzeno). Accettato per X il valore θ, l’unico suono che può confondersi con /th/, in quanto da quello deriva, è la spirante /þ/, spe-cialmente se il passaggio /th/ > /þ/ non è uniformemente compiuto tra i parlanti. Dunque pon-go = þ e = þ2, ritenendo che i due grafemi retici denotino lo stesso fonema. In camuno non sorgono impedimenti ad attribuire ugual valore a (che trascrivo con þ). In camuno non è presente , bensì che però è stato intenzionalmente messo al posto del san etrusco, pre-sumibilmente perché ne condivide il valore. Quindi trascrivo con ś (v. sotto), assegnandogli il valore del san nell’etrusco meridionale (= sigma nell’etrusco settentrionale), valore am-biguo, essendo reso in latino con ZZ, Z, SS.

47 M. G. TIBILETTI BRUNO, Ligure leponzio e gallico, in Lingue e dialetti dell’Italia antica, a cura di A. L. PRO-SDOCIMI, cit, p. 205, n. 79. Secondo l’A. questi nomi deriverebbero da “un tema *eđđ-”. 48 Non mi sembra che fra s2 e z2 ci sia un altro grafema (leggo mapas2z2 dove Mancini legge mapaχuz). A mio avviso z2 è stato scritto in parte al posto di þ e poi sostituito perché þ assomigliava a s2.

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La presenza di sþ e sθ sia in camuno che in retico mi induce ad ipotizzare che il gruppo st originario subisca un’aspirazione della dentale in epoca precedente la scrittura e che poi una pronuncia fortemente assibilata spinga al passaggio ulteriore /s/+/th/ > /s/+/þ/ > /s/+/ts/. Ad un certo momento potè prodursi una variante epicorica con dileguo di /s/ iniziale a causa della forte tensione concentrata su /ts/ (/s/+/ts/ > /tz/); in altre varianti il gruppo /s/+/ts/ fu scritto e pronunciato sia SS sia ZZ > Z (cfr. issimia: dubito che si debba dividere in is simia49; leggo poi úzzime con legatura in Tib. BD 7g). Nell’iscrizione della nota brocca di Castaneda (Can-ton Ticino) tutte le lettere sono presenti anche in iscrizioni camune, tranne il sigma a 4 tratti che segna /s/ come in leponzio. Poiché il segno è sempre stato trascritto con t e con χ, si è comunemente letto vecezus est aststas χusus. A mio avviso la soluzione più semplice è che pure marchi /s/ come in camuno e che (originariamente sþ) sia un digrafo denotante un /ts/ molto enfatico: nel termine trascritto aststas (ma io lo traslittererei come asþsþas) i di-grafi sarebbero due per marcare una doppia consonante (cfr. ss, đđ, θθ in grafia latina): in-somma, si leggerebbe /atstsas/. Invece a Castaneda il gruppo di esþ realizzerebbe un suono diverso (/s/+/ts/) comparabile a quello di BD4 dove esþ (verbo < lat. est?) è scritto con gli stessi grafemi di Castaneda. La Tibiletti Bruno ricorda che il suono marcato in alfabeto epico-rico con š,50 s o đs è reso con ss, tt, ss, đđ, θθ, ds, đ, θ, dd, st nelle epigrafi latine della zona lepontica.51 Com’è noto, anche in alcuni termini celtici il gruppo st- si è ridotto a s-, con un passaggio intermedio /ts/ che in gallico è segnato con Đ e con Θ : cfr. Đirona = Θirona /tsirona/ < *Stirona, da *ster- «stella», cymr. seren «stella»; ir. serc «amore» da *sterg- (IEW 1032), mir. ussarb «morte» (*uks-sterbhā) etc.

Di grande importanza è l’alfabetario di Piancogno PC 27p, poiché sotto la sua parte inizia-le c’è, come se fosse una postilla, il gruppo sth. Ciò mi fa pensare che in Zu 2b la sequenza

X (s2θ2) fosse intesa come gruppo consonantico con lo stesso valore, cioè s+th. Nella parte finale di PC 27p,52 molto confusa per la presenza di parecchi segni estranei all’alfabeto, vedo un segno che nella parte inferiore interferisce con un segno a croce ( ): potrebbe essere una legatura per tś.

Il segno camuno che marca z /ts/ è : negli alfabetari esso occupa il posto canonico di z esi trova anche in alcune iscrizioni (FN 5, Pia’ d’Ort, Piancogno, Seradina). Attribuisco il valo-re /ts/ anche al segno ( )53 che indico con z2 e ha forme leggermente diverse, ma tutte ricon-ducibili all’alberello con tre rami invece di quattro e forse intese come combinazione di t es : vedi z2aθalas (Tib. BD 12n), úrez2úas (SC 7), kunz2e (o hinz2e, Lu 6a) etc.

49 M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit., p. 77, preferisce iz zimia.50 Trascrizione usuale, ma infelice dell’affricata marcata dal segno a farfalla e dal san.51 Ibid., p. 173. 52 Ho ritoccato l’apografo di Tibiletti Bruno nella parte finale, cercando di renderlo più aderente a quanto vedo nelle buone fotografie da lei pubblicate (ibid., p. 98). 53 Esso è presente in BD 4, BD 3 = Tib. BD 12n, BD 5 e forse in BD2 (letto diversamente da Tibiletti Bruno); poi in Lu 6a e forse in Lu 5 in legatura con e ; ancora in FN 1; infine a Scale di Cimbergo.

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In alcuni alfabetari esiste poi un segno = che a mio avviso è da assimilare alla legatura presente in uzzime (Tib.BD 7g), formata da due segni contrapposti. Rimane il dubbio se marca /þþ/ o /zz/ o entrambi (il segno può essere formato sia da da due = s2 contrapposti sia da due þ le cui aste verticali si sovrappongono). In nessun alfabetario si hanno insieme e il segno a farfalla o : anche per questa ragione ritengo che ai due segni fosse attribuito lo stesso valore /ss/ o /þþ/ o /zz/.54 Mi sembra probabile che corrisponda al segno a farfalla dell’alfabeto di Lugano (anche ): esso è traslitterato impropriamente con š, ma denota “-ts- issu d’occlusive dentale (orale ou nasale) + s, …; ancien group *-st- > -ts- peut-être dans IŠOS;ancient group *-dt- >* -tst- > -st- dans ANAREUIŠEOS”.55 Al di fuori degli alfabetari il segno si trova soltanto, secondo una lettura della Tibiletti Bruno, in PC 17d che in tal caso dovrebbe essere letta selzaZZe o selzaþþe (un lemma selzas figura in SC 1).

BD 4: sepza esþ

Tib.BD 7g Tib. BD 12n: zaθalas

8. I grafemi della vocale ú. Non sono stati riconosciuti dai precedenti autori i grafemi che marcano una vocale, o forse due, il cui suono sta fra o e u. Evidentemente si tratta di vocali distinguibili come fonemi a sé. Negli alfabetari questi grafemi precedono la o. In Zu 2b esso è simile ad una Y a gamba lunga; a Piancogno si hanno due varianti: (PC 10b) e (PC 6, 27: Tibiletti Bruno lo ha confuso con ). A Foppe di Nadro il grafema è (sempre frainteso dalla Tibiletti Bruno nei cui apografi troviamo ora ora ). Il segno , se ruotato di 180° (così è in alcune iscrizioni), corrisponde esattamente alla ypsilon degli alfabeti greci. Tibiletti Bruno, sebbene consideri gli alfabetari greci i modelli diretti per i maestri camuni, non ha preso in considerazione per i grafemi suddetti un valore vocalico, perché si è limitata ad argomenta-zioni relative al 15o posto dei grafemi negli alfabetari e non ha esteso l’esame a tutte le iscri-zioni. Nell’alfabetario etrusco al 15o posto c’è che non è mai usato nelle iscrizioni. Quindi gli scribi camuni (che a mio avviso presero come modello l’alfabeto etrusco piuttosto che quello greco) poterono sostituire il grafo senza problemi con un segno che denotasse un suono che gli Etruschi non avevano l’esigenza di distinguere. La vicinanza al segno o e le forme dei due grafemi (uno ha per modello l’antica Y etrusca, l’altro è l’elaborazione di una o) sarebbe-ro di per sé un indizio che essi marcano una vocale che sta fra la o chiusa e la u.

54 Nell’esame dei segni “a farfalla” nei vari alfabetari di Grecia e Italia, M. G. TIBILETTI BRUNO, Alfabetari, cit., pp. 367-68, ricorda che “nella tradizione grafica leponzia tarda è diffusa, in particolare a Levo compare anche in un'iscrizione latina in un nome di origine gallica [Cipošis]; essa può forse corrispondere in parte al Tau Galli-cum,suono più fricativo che affricato, mentre in altri casi può rendere una sibilante intensa o altro ancora”. 55 M. LEJEUNE, Lepontica, Paris 1971, p. 19. Lejeune accetta pure la tesi di M. G. TIBILETTI BRUNO, Ligure le-ponzio e gallico, p. 141, secondo cui in UVAMOKOZIS di Prestino il 2° membro -KOZIS sta per -gostis (ie. *ghostis).

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Na 4: núθú Bell. Pl 24, 3: eúlualeúlaz

Na 5: priaúis SC 7: úrezúas

PC 2b: φrú3s Pl 4: zatúau

PC 40: ú2 eu au BD 1: i ú u e a

A rigori conviene trascrivere Y e con ú (uso questa lettera in analogia con la trascrizione di u diacriticata dell’osco) e con ó il segno di Piancogno. La necessità di distinguere ó da úderiva dal fatto che nell’iscrizione su lastra di Civitate Camuno coesistono u, ú (una chiara Y)e ó (penultimo segno avente forma ). La prova che denota ú è data da SE 1 (v. fig. al § 2). Mancini, ignorando il trattino obliquo, assimila il secondo segno a una i e preferisce leggere un primo lemma eima, anche se non esclude che la presunta m sia una legatura lu. Questa so-luzione si impone se nel contempo si legge ú il grafema : infatti eúlu (con lo stesso ) figu-ra in Bell. Pl. 24, 1 e 3, mentre la base eul- si trova in BD 6 (eulú o euli) e FN 10 (EULISNE in caratteri latineggianti). A Naquane si ha , ovvia variante di , in Na 16 ( = dú? il valore del primo segno è ipotetico); invece troviamo Y in Pl 4 (zatúau), in Na 5 (priaúis) e Na 4 (nú-θú: vedo una legatura fra n e ú operata con un trattino sull’ultima linea obliqua di n;d’altronde una lettura nθú sarebbe difficilmente giustificabile). La lettura priaúis di Na 5 tro-

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va conferma in priaus di Na 6. Forse -us, -úis è una variazione morfologica. In úrez2?as (SC 7) la prima lettera è Y = ú ; la quinta è incerta: non si capisce se c’è un trattino leggermente o-bliquo che con l’asta verticale formerebbe ancora una ú oppure un trattino orizzontale (t ?). Altre ú dubbie (per le difficoltà di lettura) si riscontrano in BD 1, in Tib. BD 7g (forse úzzime)e in Tib. BD 6f : qui Tibiletti Bruno legge teimeχ1iau o σeimeχ1iau, mentre io propendo per teumesiau, poiché vedo al terzo posto un segno : una linea sottile obliqua parte da un punto mediano dell’asta.56

Il tipo = ú2 è attestato non solo negli alfabetari PC 6,19 e PC 27p, ma anche nell’iscrizione Lu 7 e forse in Tib. BD 91 che inizia con una u avente un’appendice sull’asta di sinistra. Da PC 40 viene comunque la conferma che ú2 marca un suono vocalico, probabil-mente lungo: vi si legge ú2 eu au, cioè due dittonghi e una possibile monottongazione ú2 < ou. La serie vocalica è scritta anche in BD 1, dove leggo i ú u e a. Questa serie appare in una foto pubblicata dalla Tibiletti Bruno che però non vi riconosce l’apografo del Mancini; in compen-so ella individua un’altra serie vocalica che a suo dire inizia con due sbarrette parallele che precedono a e i u e forse una o segnata da un cerchietto.57

Il segno che nell’alfabetario di Piancogno occupa il posto di Y è modificato in nella la-stra di Cividate Camuno (fig. al § 2): anch’esso è costituito da una o e da tre lineette che qui sono disposte in modo diverso, ma in sostanza alludono ancora ad una u diacriticata. Non si può d’altronde escludere che e segnassero, almeno in origine un dittongo ou. Il grafo è tuttavia importante, perché contiene anche l’elemento che funge anche da grafema a se stan-te. Trascrivendolo con s, Tibiletti Bruno ha proposto letture impossibili come (h)?zslau, e-si?msz, neoszs etc. Proprio questi impronunciabili nessi consonantici dovrebbero indurre a scartare l’ipotesi che denoti una consonante. La sua presenza nel segno mostra che si trat-ta di una modifica di : siccome questa forma poteva creare confusione con (s2), il trattino diacritico è stato posto come continuazione del secondo tratto. Traslittero con ú3 per distin-guerlo da Y = = ú e da = ú2. È possibile che sia un segno in orizzontale la piccola lette-ra che nell’alfabetario PC 10 b è stata messa verso la fine fra e . Siccome vi figura anche

prima di o, occorrerebbe ammettere che sia sia , pur distinguendosi, marcavano suoni vicini ad o e u.

Per completare il discorso sulle u, ricordo che in alcuni casi la V normale è ruotata di 90° e allargata, sicché assume la forma (cfr. NA 9 dove leggo sele usel (o useu). È evidente dalle epigrafi che, come la V latina, la V camuna funge anche da semivocale u̯ :cfr. uaθiau, uelai etc. Non è però da escludere che ciò fosse un uso tardo dovuto all’influenza dell’alfabeto latino.

9. Altre vocali. Il grafema (e a 4 tratti) nell’alfabetario Zu 2b e in quelli di Foppe di Na-dro occupa il posto del digamma. Evidentemente si tratta del grafema = v ruotato di 90° e semplificato (o non compreso da qualche copista). Nelle altre iscrizioni (nemases, ahpre, sele usel di Naquane, úrez2?as di Sc 6) è legittimo assimilare alla e normale a 3 tratti. Soltanto in Tib. FN 2b segue la normale e a tre tratti e quindi può marcare v : leggo ehils rev.58 Tutta-via il caso della e inversa cortonese nell’alfabeto etrusco e le diverse vocali dell’alfabeto osco 56 Mi baso sulla foto pubblicata da M. G. TIBILETTI BRUNO, Nuove iscrizioni camune, cit. p. 46. 57 Ibid. pp. 49-50. Nella foto distinguo soltanto u e o. Dalla descrizione ritengo possibile che davanti a u ci fosse una ú e che i fosse all’inizio. 58 Cfr. i derivati da rei ‘ritzen, schneiden’ (IEW 857) fra cui mir. rēo ‘streifen’ (*ri-u ̯o-), ags. ræ̅w ‘Reihe’ (*roi-

u ̯ā-). È possibile che rev, come ren che è scritto sopra l’alfabeto di Zurla, esprima ‘incidere, scolpire’.

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invitano a tenere in considerazione che potesse anche essere impiegata come variante fone-matica (e chiusa o lunga con colorazione i).

10. Conclusione. Questo è il repertorio dei grafemi, dei digrafi e dei gruppi consonantici del camuno e del retico qui esaminati, per i quali sono proposti i seguenti valori:

CAMUNO

sonore sorde aspirate = b , = p = = ph

= d o dh ? , , = t ⋅׃ ׃ , = θX = θ2 ; , = θ3

occlusive

= g o k ? II*, //, , , = kalveolare affricata dentale velare

= s= s2

= z ; = z2 = þ H , III = hII* = h

spiranti

= (sz) > zz, ss = þþ > zz * Il segno II = /k/ è eccezionalmente usato per h in 2 o 3 iscrizioni.

gruppi consonantici e legature

h+ occlusiva III = ph, = ph?

III = bhIII = vh (/f/)

// bb = kh

spirante + dentale

(aspirata)

, = þþ o s2s2 ; ( = śθ ?)

⋅׃ ׃ = ⋅׃ ׃ = X = X = sth ( > sz > ss o zz)

vocali , , Y = ú ; = ú2 ; = ú3

, = ó(u) 1 = e (tendente a /i/?)

semivocale o spirante labiodentale

2 = v? = v

RETICO

occlusive spiranti sorde aspirate legatura? = þ ; = þ2

= t X = θ = th? = *sth > sz > zz o ss= p = ph