Alexander Berzin - Il Dharma Nella Vita Quotidiana - Parte I°

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IL Dharma nella vita quotidianaAlexander Berzin 

Il Dharma come misura preventiva Mi avete chiesto di parlare della pratica del Dharma nella vita quotidiana. E’ importante comprendere ciò che si vuol dire con” Dharma “. Dharma è una parola sanscrita che significa letteralmente”misura preventiva”. E’ qualcosa che si fa per evitare i problemi. Per trovare un interesse alla pratica del Dharma, bisogna riconoscere che la via comporta dei problemi. E per questo, occorre coraggio. C’è molta gente che non prende la vita seriamente, che lavora duramente durante il giorno e poi la sera, poiché sono stanchi cercano di distrarsi in tutti i modi. Queste persone non si guardano veramente dentro per cercare la causa dei loro problemi. O anche quando vedono i loro problemi, non vogliono ammettere che la loro vita non è soddisfacente poiché sarebbe troppo deprimente. Occorre coraggio per verificare veramente la qualità della nostra vita e, nel caso, ammettere che non ne siamo soddisfatti.

Le situazioni insoddisfacenti e le loro cause Di sicuro, ci sono parecchi gradi d’insoddisfazione. Noi possiamo dire: “Qualche volta sono di cattivo umore, altre volte tutto va bene. Ma così è la vita”. Se ciò non è sufficiente, OK. Ma se noi speriamo di poter migliorare un tantino le cose, ciò ci spinge a cercare un modo per arrivarci. E per trovare dei metodi che migliorino la qualità della nostra esistenza, dobbiamo dapprima identificare l’origine dei nostri problemi. La maggior parte delle persone cerca la causa dei propri problemi all’esterno. “Se ho difficoltà a relazionarmi con te, è per colpa tua. Tu non ti comporti come voglio.” Ugualmente possiamo addossare la colpa alla situazione politica o economica. Secondo alcune scuole di psicologia, avvenimenti traumatici avvenuti nella nostra infanzia sono la causa dei nostri problemi attuali. E’ troppo facile rendere gli altri responsabili del nostro malessere. Accusare gli altri, la società o la situazione economica non è la soluzione. Se questo schema concettuale corrisponde al nostro, noi possiamo forse mostrarci magnanimi, cosa che può apportare beneficio, ma la maggior parte della gente si rende conto che ciò non basta per trovare conforto durevolmente ai propri problemi psicologici o al proprio malessere.

Secondo il Buddhismo, anche se gli altri, la società e via dicendo, aggravano i nostri problemi, essi non sono veramente la loro causa più profonda. Per scoprire la causa più profonda delle nostre difficoltà, è necessario rivolgere lo sguardo dentro noi stessi. Dopo tutto se noi pensiamo di essere sfortunati nella vita, è una reazione alla nostra situazione. E diverse persone rispondono in modo differente alla stessa situazione. E’ sufficiente osservare noi stessi per constatare che la nostra reazione alle difficoltà varia da un giorno all’altro. Se fosse solo la situazione esterna la causa del problema, la nostra reazione dovrebbe essere sempre la stessa, ma non è così. Ci sono dei fattori che incidono sul nostro modo di reagire alle situazioni,

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come aver avuto o meno una buona giornata lavorativa, ma non sono che fattori marginali. Essi non incidono in profondità.

A guardare più da vicino, noi vediamo che la nostra attitudine verso la vita, verso noi stessi e la nostra situazione contribuisce molto a determinare come ci sentiamo . Ad esempio, non ci affliggiamo costantemente quando passiamo una bella giornata, ma in caso contrario il sentimento di afflizione ritorna. La nostra attitudine fondamentale verso la vita forma il nostro vissuto. E se guardiamo ancor più da vicino ci rendiamo conto che la nostra attitudine mentale riposa sulla confusione.

La confusione come fonte di problemi Se noi analizziamo la confusione, constatiamo che uno dei suoi aspetti verte sulle cause e gli effetti comportamentali. Noi non siamo chiari quanto a ciò che occorre fare o dire e quanto alle conseguenze che deriveranno dai nostri atti e dalle nostre parole. Noi possiamo avere confusione circa il tipo di lavoro più opportuno, la nostra attitudine al matrimonio, all’avere figli, etc. Se noi iniziamo una relazione con qualcuno, quale sarà il risultato? Non ci è dato sapere. In verità, le nostre idee sulle conseguenze delle nostre scelte rientrano nella pura immaginazione. Noi crediamo forse che impegnandoci maggiormente nella nostra relazione con una certa persona, saremo felici per sempre come in una fiaba. Se siamo in collera, crediamo che sia sufficiente crederlo per migliorare la situazione. Non sappiamo come l’altro reagirà, crediamo semplicemente che fare una scenata e vuotare il sacco ci calmerà e che tutto andrà a posto. Ma niente va a posto. Allora vogliamo sapere cosa accadrà. Ci rivolgiamo disperatamente all’astrologia, o lanciamo e rilanciamo delle monete come insegna il Libro dei Cambiamenti, l’I Ching. Perché facciamo ciò? Perché vogliamo avere il controllo di ciò che accade.

Secondo il Buddhismo, esiste un livello di confusione più profondo. E’ la confusione relativa al modo in cui noi stessi e gli altri esistono, al modo in cui il mondo esiste. Tutto la questione sul controllo delle situazioni ci manda in confusione. Crediamo possibile avere il controllo completo di tutto ciò che ci accade e questo ci conduce dritti alla frustrazione. Non è possibile tenere tutto sotto controllo sempre. Non è la realtà. La realtà è molto complessa. Molte cose influenzano ciò che accade, non solamente ciò che facciamo. Non è che non abbiamo alcun controllo delle cose, né che siamo manipolati da forze esterne. Noi contribuiamo all’accadere degli eventi, ma non siamo il solo fattore determinante. A causa della nostra confusione e insicurezza, agiamo spesso in modo distruttivo -semplicemente perché siamo sotto l’influsso di emozioni perturbatrici, di attitudini mentali perturbatrici e di pulsioni compulsive derivanti dalle nostre abitudini. Non solamente agiamo in modo distruttivo verso gli altri, ma in primo luogo ci comportiamo in modo autodistruttivo. Vale a dire, ci creiamo più problemi. Se vogliamo meno problemi o se vogliamo liberarcene, o andando ancora oltre, se vogliamo essere in grado di aiutare gli altri a uscire dai loro problemi, dobbiamo riconoscere l’origine dei nostri limiti.

Sbarazzarsi della confusione

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Ammettiamo che si possa riconoscere la confusione come causa dei nostri problemi. Non è molto difficile. Molta gente riconosce: “sono nella confusione totale. Non so più dove mi trovo.” E quindi? Prima di spendere il nostro denaro per seguire quel corso o fare quel ritiro, occorre esaminare molto seriamente se siamo davvero convinti che sia possibile sbarazzarci del nostro stato confusionale. Se non crediamo che ciò sia possibile, allora che cosa ci si fa là? Se noi assistiamo a un corso o partecipiamo a un ritiro sperando che in tal modo ci si possa sbarazzare della confusione, è una mera utopia. Noi forse crediamo che la libertà possa arrivare in modi diversi, ad esempio, che qualcuno ci salverà. Potrebbe essere un’entità superiore, una figura divina, Dio magari! Ed eccoci credenti rigenerati. Un’alternativa consisterebbe nel cercare un maestro spirituale, un amico o qualcun altro che ci aiuti a uscire dalla confusione.

In situazioni simili è facile divenire dipendenti dall’altra persona e comportarsi in modo immaturo. Siamo talmente pronti a tutto per trovare qualcuno che ci salvi, che non esercitiamo più alcuno spirito di discriminazione verso le persone che ci circondano. Rischiamo di scegliere qualcuno altrettanto confuso e che a causa delle sue emozioni e attitudini mentali perturbatrici, approfitta della nostra ingenuità. Non è un modo pertinente di procedere. Non possiamo aspettare che un maestro spirituale o chiunque altro dissipi tutta la nostra confusione. Sta a noi far sparire la nostra confusione.

Seguire un maestro spirituale può essere utile solo se la relazione è sana. Altrimenti la situazione non può che peggiorare e accrescere la confusione. All’inizio, credendo che il maestro sia perfetto, che l’amico/a sia perfetto, noi possiamo trovarci sprofondati in uno stato di rimozione della realtà, ma presto o tardi la nostra ingenuità finisce per scomparire. E quando cominciamo a vedere le debolezze dell’altro e ad accorgerci che lui o lei non ci salverà dalla nostra confusione, allora crolliamo. Ci sentiamo traditi. La nostra fiducia e la nostra confidenza sono state tradite. Che orribile sensazione! E’ molto impotante cercare di evitare fin dall’inizio che si verifichi una situazione simile. Bisogna praticare il Dharma, le misure preventive. Occorre sapere ciò che è possibile e ciò che non lo è, ciò che può fare un maestro spirituale e ciò che non può fare! Prendiamo delle misure preventive per evitare di abbatterci.

Bisogna coltivare uno stato mentale libero dalla confusione. La comprensione, che è il contrario della confusione, serve a impedirle di manifestarsi. Il nostro lavoro nel dharma richiede introspezione e attenzione alle nostre attitudini mentali, alle nostre emozioni perturbatrici e al nostro comportamento impulsivo, compulsivo o nervoso. Ciò significa che siamo pronti a vedere cose di noi stessi non propriamente piacevoli, cose che preferiremmo rimuovere. Quando notiamo che certe cose sono la causa dei nostri problemi, allora dobbiamo applicare degli antidoti per superarle. E per questo abbiamo bisogno della base che è data dallo studio e dalla meditazione. Dobbiamo imparare ad identificare le emozioni e le attitudini mentali perturbatrici e la loro origine.

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La meditazione La meditazione, significa che ci esercitiamo ad applicare questi diversi antidoti in una situazione di cui abbiamo il controllo e che quindi, familiarizzando con essi, diveniamo capaci di applicarli nella vita reale. Ad esempio, se abbiamo l’abitudine di arrabbiarci quando gli altri non si comportano come vorremmo, durante la meditazione pensiamo a queste situazioni e sforziamoci di vederle partendo da un altro punto di vista. Ci possono essere numerose ragioni per cui l’altro si comporta in modo spiacevole. Non necessariamente per contrariarci o perché non ci ami. Nella meditazione, cerchiamo di dissolvere attitudini mentali quali “ Il mio amico/a non mi ama più perché non mi chiama.” Se noi affrontiamo una situazione del genere mantenendo uno stato mentale più disteso, calmo e comprensivo, non saremo più così contrariati se quella persona non ci chiama per tutta la settimana. E se iniziamo a dispiacerci, ricordiamoci che quella persona probabilmente è molto occupata e che sarebbe da egocentrici credere di essere al centro dei suoi pensieri.

Il Dharma è un’occupazione a tempo pieno La pratica del Dharma non è un passatempo. Non è qualcosa che si fa come quando si pratica uno sport o una tecnica di rilassamento. Non si frequenta un centro di Dharma per far parte di un gruppo o per ritrovarsi in un’ atmosfera amichevole. E’ possibile che sia piacevole andarci, ma non è quello lo scopo. Non ci si va come un drogato che va a prendere la sua dose – la sua dose d’ispirazione presso un maestro carismatico e divertente che fa in modo che si senta bene. In questo caso, non farebbe in tempo a tornare a casa che già ne sentirebbe la mancanza e avrebbe bisogno di una nuova dose. Il Dharma non è una droga. I maestri non sono delle droghe. La pratica del Dharma è un lavoro a tempo pieno. Ciò di cui si parla, è un lavoro sulle nostre attitudini mentali verso tutto ciò che concerne la nostra esistenza. Se noi lavoriamo per sviluppare un sentimento d’amore verso tutti gli esseri senzienti ad esempio, allora dobbiamo cominciare dalla nostra famiglia. Molte persone restano sedute nella loro camera a meditare sull’amore, ma non vanno d’accordo coi loro parenti o i loro congiunti. E’ triste.

Evitare gli estremi Quando cerchiamo di applicare il Dharma alle situazioni reali della nostra vita, a casa o al lavoro, occorre evitare gli estremi. Un estremo consiste nell’addossare agli altri l’intera responsabilità della situazione e l’altro estremo consiste nel prendere su di sé tutta la responsabilità. Gli eventi della vita sono molto complessi. Le due parti vi contribuiscono, gli altri e noi stessi vi contribuiamo. Noi possiamo cercare di condurre gli altri a cambiare il loro comportamento e le loro attitudini, ma sappiamo tutti, per esperienza, che non è cosa facile – soprattutto se ci poniamo come moralisti benpensanti e accusiamo l’altro di comportarsi come un povero peccatore. E’ molto più facile che cercare di cambiare sé stessi. Noi possiamo pure suggestionare gli altri nella misura in cui sono ricettivi in modo che non siano più aggressivi, ma il lavoro più grande verte su noi stessi.

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Quando lavoriamo su noi stessi, bisogna far attenzione a un altro paio di estremi: essere completamente preoccupati per i propri sentimenti o non esserne affatto coscienti. Il primo estremo è una preoccupazione narcisistica. Noi siamo toccati che da ciò che proviamo e tendiamo a ignorare ciò che gli altri provano. Tendiamo a pensare che il nostro sentire sia molto più importante di quello degli altri. D’altro canto, possiamo essere completamente staccati dai nostri sentimenti o non provarli affatto, come se le nostre emozioni fossero anestetizzate. Occorre un equilibrio delicato per evitare questi estremi. Non è così facile.

Se noi ci controlliamo costantemente, questo crea una dualità immaginaria – noi stessi e ciò che noi proviamo o facciamo – e, dunque, non possiamo veramente entrare in relazione con qualcun altro o essere con l’altro. La vera arte sta nell’essere connessi e nell’agire con spontaneità e sincerità avendo una parte di attenzione puntata sulla propria motivazione e così via. Occorre assolutamente provare, ma non è necessario tuttavia dissociarsi al punto da dimenticare di rapportarsi all’altro. Dovrei anche insistere sul fatto che talvolta è utile informare l’altro che, essendo presenti alla relazione, noi verifichiamo la nostra motivazione e i nostri sentimenti. Ma sarebbe molto narcisistico sentirci obbligati a dirlo. Sovente ciò che noi proviamo non interessa ad alcuno e sarebbe molto pretenzioso credere che gli altri vogliano saperlo. Quando ci rendiamo conto che cominciamo ad agire da egoisti è sufficiente fermarci. Non serve annunciarlo. Un'altra coppia di estremi consiste nel credere che siamo interamente buoni o interamente cattivi. A mettere troppo l’accento sulle nostre difficoltà, i nostri problemi e le nostre emozioni perturbatrici, finiamo per credere che siamo cattivi e ciò può facilmente degenerare in un senso di colpa. “Occorre praticare perché se non pratico sono cattivo”. Ecco una base nevrotica per la pratica!

Bisogna anche evitare l’altro estremo che consiste nel mettere troppo in evidenza i nostri lati positivi. “ Tutti noi siamo perfetti, basta vedere la nostra natura di Buddha.Tutto è per il meglio nel migliore dei mondi.” Ciò è molto pericoloso poiché può implicare che noi, proprio perché è sufficiente vedere la nostra natura di Buddha, non sentiamo il bisogno di abbandonare né di far cessare le nostre attitudini negative. “Sono meraviglioso, sono perfetto, non ho bisogno di fermare il mio comportamento negativo.” Ciò che ci occorre è un equilibrio. Se ci sentiamo depressi allora ricordiamoci della nostra natura di Buddha; se ci sentiamo euforici, ricordiamoci dei nostri lati negativi..

Divenire responsabili Si tratta essenzialmente di diventare responsabili di noi stessi, del nostro personale sviluppo e di sbarazzarci dei nostri problemi. Certamente abbiamo bisogno di aiuto, non è facile fare tutto da soli. Possiamo ricevere aiuto dal nostro maestro spirituale o dalla nostra comunità spirituale, da persone che condividono i nostri valori e che lavorano su se stessi anziché scaricare sugli altri i propri problemi. Per questo è importante in una relazione condividere la stessa attitudine, in particolare, non biasimare l’altro per i problemi che possono sopraggiungere. Se le due parti si rimandano la responsabilità l’una

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con l’altra, ciò non funziona. Se c’è uno che lavora su di sé e l’altro non fa che criticare, ciò non funziona. Se noi ci troviamo già in una relazione dove l’altra persona ci addossa la responsabilità delle difficoltà e ci stiamo a domandare in che cosa possiamo contribuirvi, ciò non significa che occorre cessare la relazione, ma è tuttavia più difficile. Occorre cercare di non fare i martiri in questa relazione: “Devo sopportare tutto questo! Com’è faticoso!” Tutta la situazione può essere molto nevrotica.

Ricevere un’ispirazione

La forma di sostegno che possiamo ricevere da un maestro spirituale, da una comunità spirituale o da un amico con cui condividiamo gli stessi valori è ciò che a volte si dice “l’ispirazione”. Gli insegnamenti del Buddhismo insistono molto sull’ispirazione ricevuta dai Tre Gioielli, dai maestri, etc. Il termine tibetano jinlab(byin-rlabs) è abitualmente tradotto con “benedizioni”, ma è una traduzione impropria. Noi abbiamo bisogno d’ispirazione, di una sorta di forza per continuare.

La via del Dharma non è una via facile. Significa occuparsi del lato sporco della vita. Abbiamo bisogno di fonti d’ispirazione che siano affidabili. Se prendiamo come fonte d’ispirazione maestri che riportano storie fantastiche di miracoli e tutto questo genere di cose, ciò non sarà molto affidabile. Tutto ciò può essere affascinante ma bisogna vedere come ci può influenzare. Nel migliore dei casi, ciò rafforzerà l’idea illusoria che possiamo ottenere la salute attraverso i miracoli. Immaginiamo che un grande mago ci salverà grazie ai suoi poteri miracolosi o che saremo noi stessi capaci di acquisire tali poteri. Bisogna essere prudenti nei confronti di questi racconti fantastici. Essi possono ispirarci nella nostra fede e ciò può essere utile, ma non è la base solida d’ispirazione di cui abbiamo bisogno.

Un perfetto esempio è quello del Buddha. Il Buddha non cercava d’ “ispirare” le persone né d’impressionarle con racconti fantastici. Egli non si dava importanza passeggiando e benedicendo la gente, o facendo cose del genere. L’analogia che il Buddha utilizzava e che si ritrova in tutti gli insegnamenti buddhisti, è che un buddha è come il sole. Il sole non cerca di riscaldare le persone. Il sole naturalmente, proprio per il fatto di essere il sole, dà spontaneamente il calore a tutti. E se ascoltare una storia favolosa, o rimanere colpiti davanti a una statua, o ricevere un cordino rosso da legare attorno al collo , può renderci euforici,ciò non è solido. Una fonte affidabile d’ispirazione, è il modo d’essere del maestro, naturale, spontaneo –il suo carattere, il suo modo d’essere in quanto risultato della sua pratica del Dharma. E’ ciò che c’ispira, non ciò che qualcuno può fare per divertirci. Benché possiamo rimanere affascinati da una storia fantastica, ciò non può darci un solido sentimento d’ispirazione. Via via che avanziamo, possiamo trovare ispirazione nel nostro stesso progresso – non per l’acquisizione di poteri miracolosi, ma per il modo in cui il nostro carattere cambia lentamente. Gli insegnamenti insistono sempre sul fatto che occorre rallegrarsi delle nostre azioni positive. E’ molto importante ricordarci che l’avanzamento non è

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mai lineare. Le cose non migliorano di giorno in giorno. Una delle caratteristiche del samsara è che i nostri umori conoscono alti e bassi almeno finché non ci siamo liberati completamente dal samsara, e questo è uno stato incredibilmente avanzato. Dobbiamo aspettarci di essere ora felici, ora infelici. Talvolta saremo capaci di agire in modo positivo, talaltra le nostre abitudini nevrotiche prenderanno il sopravvento. Ci sono alti e bassi, si sale e si scende. Normalmente, niente miracoli.

Gli insegnamenti sui metodi che permettono di evitare le otto preoccupazioni mondane sottolineano la necessità di mantenere il sangue freddo quando tutto va bene e non deprimersi quando va male. È la vita. Occorre guardare gli effetti a lungo termine, non gli effetti immediati. Ad esempio, se noi pratichiamo da cinque anni, possiamo constatare notevoli progressi dopo tanto tempo. Anche se siamo talvolta scontenti, se noi constatiamo che siamo in grado di far fronte alle situazioni con una mente e un cuore più sereni più chiari, è indice che abbiamo fatto dei progressi e questo è ispirante. Ciò non è spettacolare, si vorrebbe che lo sia, lo spettacolare ci fa decollare. Ma è un’ispirazione solida.

Essere pragmatici Ciò di cui abbiamo bisogno è di essere pragmatici e di tenere i piedi per terra. Quando facciamo delle pratiche di purificazione come la pratica di Vajrasattva, non bisogna pensare che San Vajrasattva ci purifichi. Non è una figura che esiste all’esterno, un grande santo che ci salverà e ci purificherà. Non è questo il procedimento. Vajrasatthva rappresenta la purezza naturale della mente di chiara-luce che non è in modo intrinseco intaccata dalla confusione. La confusione può essere allontanata. E’ riconoscendo la purezza naturale della mente per mezzo dei nostri sforzi che possiamo lasciar andare i sensi di colpa le potenzialità negative, etc. è ciò che permette al processo di purificazione di funzionare. Inoltre, via via che noi effettuamo tutte queste pratiche e ci sforziamo di integrare il Dharma nella nostra vita quotidiana, è importante riconoscere e accettare il nostro livello. E’ della massima importanza non essere pretenziosi e non voler essere a uno stadio più elevato di quello in cui in realtà ci si trova.

Affrontare il Dharma partendo da un ambiente d’origine cattolica La maggior parte di noi qui è di formazione cattolica. Quando affrontiamo il Dharma e cominciamo a studiarlo non è il caso di credere di dover abbandonare il Cattolicesimo per convertirsi al Buddhismo. E’ importante tuttavia non mischiare le due pratiche. Non facciamo tre prostrazioni davanti all’altare prima di sederci in una chiesa. Allo stesso modo, quando facciamo una pratica buddhista, non visualizziamo la Vergine Maria, bensì figure di buddha. Facciamo ogni pratica separatamente. Quando andiamo in chiesa, noi andiamo in chiesa; quando facciamo una meditazione buddhista, facciamo una meditazione buddhista. Ci sono molti punti in comune, come l’importanza dell’amore, di aiutare gli altri, etc. Non c’è conflitto alla base. Se pratichiamo l’amore , la carità, se aiutiamo gli altri, siamo nello stesso tempo un buon

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cattolico e un buon buddhista. Un giorno bisognerà pur scegliere, ma solamente se siamo pronti a dirigere tutti i nostri sforzi verso il raggiungimento di un immenso sviluppo spirituale. Se noi vogliamo andare in cima a un edificio, non possiamo salire due scale alla volta. Penso che sia una buona immagine. Se noi funzioniamo solo al livello della base dell’edificio, al pianterreno, nessun problema, non occorre inquietarsi, noi possiamo trarre giovamento da entrambi.

Evitare la fedeltà inopportuna Applicando il dharma nella nostra vita quotidiana, guardiamoci bene dal considerare negativa o inferiore la religione nella quale siamo nati, o dal rifiutarla. Sarebbe un grave errore. Si potrebbe infatti diventare un buddhista fanatico o un anticattolico fanatico. La gente fa ciò anche con il comunismo e la democrazia. Un meccanismo psicologico chiamato “fedeltà inopportuna” prende il sopravvento. Si tratta di una tendenza a voler essere fedeli alla propria famiglia, al proprio ambiente e così via. Noi vogliamo restare fedeli al cattolicesimo anche se l’abbiamo rifiutato. Se noi non siamo fedeli al nostro ambiente d’origine e lo rinneghiamo completamente in quanto dannoso, ci sentiamo cattivi. Essendo una situazione estremamente disagevole, noi proviamo inconsciamente il bisogno di trovare, nel nostro ambiente originario, qualcosa cui poter essere fedeli.

La tendenza ad essere fedeli ad alcuni aspetti poco benefici del nostro ambiente originario è inconscia. Ad esempio, può essere che rifiutiamo il Cattolicesimo, ma ci trasciniamo nel Buddhismo una gran paura degli inferi. Una mia amica, cattolica fervente, ha vissuto una vera crisi esistenziale dopo essersi rivolta al Buddhismo con altrettanto fervore. “Ho abbandonato il Cattolicesimo, andrò nell’inferno cattolico; e se abbandono il Buddhismo per tornare al Cattolicesimo, andrò nell’inferno buddhista !”. Ciò può essere divertente, ma è un vero problema per lei.

Noi apportiamo spesso inconsciamente alcune attitudini del Cattolicesimo nella nostra pratica buddhista. I più ordinari sono i sensi di colpa e la ricerca di miracoli o di persone che possano salvarci. Se non pratichiamo, pensiamo che dovremmo farlo e, appunto, ci sentiamo in colpa. Queste idee non ci sono di alcun aiuto. Occorre renderci conto quando ci comportiamo in questo modo. Dobbiamo esaminare il nostro ambiente d’origine e riconoscerne gli aspetti posititvi per poter rimaner fedeli ad essi piuttosto che a quelli negativi. Invece di pensare: “ Ho ereditato sensi di colpa e la ricerca di miracoli”, noi possiamo pensare: “Ho ereditato dalla tradizione cattolica i valori dell’amore, della carità e della solidarietà.”

Possiamo fare la stessa cosa con la nostra famiglia. Può accadere che noi rifiutiamo la nostra famiglia e che poi inconsciamente rimaniamo fedeli alle sue tradizioni negative piuttosto che a quelle positive. Ad esempio, se scopriamo che siamo molto grati per l’educazione cattolica ricevuta, allora noi possiamo seguire la nostra via senza entrare in conflitto col nostro passato e senza che sentimenti negativi vengano a turbare i nostri progressi.

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E’ importante cercare di comprendere il valore psicoloco di questo meccanismo. Se noi pensiamo al nostro passato – la nostra famiglia, la nostra religione di nascita o qualunque altra cosa - come negativo, allora tendiamo ad avere un’ attitudine negativa verso noi stessi. Questo non aiuta a rimanere più stabili sul nostro cammino spirituale.

Qualche nota per concludere Bisogna procedere lentamente, passo dopo passo. Quando ascoltiamo insegnamenti molto avanzati, iniziazioni tantriche, etc. , benché i grandi maestri del passato abbiano detto :“Appena apprendete un insegnamento mettetelo subito in pratica”, noi dobbiamo stabilire se si tratta di qualcosa che è troppo avanzato per noi o se possiamo applicarla fin da subito. Se è troppo avanzata, noi dobbiamo dobbiamo valutare i passi da fare sul cammino che ci prepara a divenire capaci di mettere questi insegnamenti in pratica e, poi, dobbiamo eseguirli. In breve, come diceva uno dei miei maestri, Guéshé Ngawang Dhargyey :“Se noi pratichiamo metodi fantasiosi, otteniamo risultati immaginari; se pratichiamo metodi pratici, otteniamo risultati pratici”.