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Alessandra Mastrodonato LA NORMA INEFFICACE: CONFLITTI E NEGOZIAZIONI NELLE ARTI NAPOLETANE (SECC. XVI-XVIII)* Le corporazioni napoletane, a partire già dagli anni ottanta dell’Ottocento, quando ancora vivo e politicamente significativo era il ricordo della loro sop- pressione, sono state oggetto di un vivace dibattito storiografico che, fondato essenzialmente sull’analisi delle fonti statutarie, ha cercato di ricostruire la storia e la fisionomia di singole Arti, alla ricerca delle peculiarità dell’ordina- mento corporativo sviluppatosi nella capitale partenopea nel corso dell’età moderna e dei suoi caratteri originali rispetto al modello prevalente nell’Italia comunale. Raccolti nella loro successione cronologica, collazionati nell’even- tuale discordanza delle redazioni disponibili, distinti secondo le differenti cor- porazioni, gli Statuti delle Arti sono stati minuziosamente esaminati da storici e giuristi, con esiti relativamente esaurienti per ciò che attiene all’individua- zione dei vincoli interni ed esterni delle corporazioni in qualità di soggetti giu- ridici, ma scarsamente soddisfacenti nell’ottica di un orizzonte d’indagine più ampio che si prefigga di considerare l’ordinamento corporativo nel suo com- plesso e di guardare alle Arti come ad elementi significativi della vita econo- mica, politica e sociale. Si tratta di un’impostazione storiografica che, tendente ad accostarsi alla documentazione statutaria in termini spiccatamente formalistici, si è prolungata per buona parte del Novecento, tra fasi alterne di oblio e di ripresa della tematica corporativa, contribuendo a delineare un’immagine rigida e, per molti aspetti, riduttiva delle corporazioni napoletane: un’im- magine prevalentemente modellata sui parametri esteriori dell’espressione normativa del dover essere delle Arti e poco attenta, invece, a quel tessuto di vincoli, pratiche sociali, consuetudini e negoziazioni che animano la vita quotidiana del mondo corporato e che per lo più sfuggono alla codificazione statutaria. Soltanto in anni relativamente recenti, grosso modo a partire dai tardi anni ottanta del Novecento, l’indagine storiografica sui corpi d’Arte è riuscita ad emanciparsi da un simile approccio giuridico-formale e ha incominciato a per- correre strade nuove, ricorrendo a una maggiore diversificazione della docu- mentazione archivistica, nonché ad un considerevole allargamento della strumentazione metodologica e della griglia concettuale di riferimento. Le nuove metodologie di ricerca hanno trovato una precoce e più larga applicazione soprattutto in riferimento alle differenti realtà statuali del Cen- * Abbreviazioni utilizzate: Asn (Archivio di Stato di Napoli), Bsdi (Biblioteca di Storia del Diritto Italiano – Università degli Studi di Bari) e Snsp (Società Napoletana di Storia Patria). 65 27 n. Mediterranea - ricerche storiche - Anno X - Aprile 2013

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  • Alessandra Mastrodonato

    LA NORMA INEFFICACE: CONFLITTI E NEGOZIAZIONI NELLE ARTI NAPOLETANE (SECC. XVI-XVIII)*

    Le corporazioni napoletane, a partire già dagli anni ottanta dell’Ottocento,quando ancora vivo e politicamente significativo era il ricordo della loro sop-pressione, sono state oggetto di un vivace dibattito storiografico che, fondatoessenzialmente sull’analisi delle fonti statutarie, ha cercato di ricostruire lastoria e la fisionomia di singole Arti, alla ricerca delle peculiarità dell’ordina-mento corporativo sviluppatosi nella capitale partenopea nel corso dell’etàmoderna e dei suoi caratteri originali rispetto al modello prevalente nell’Italiacomunale. Raccolti nella loro successione cronologica, collazionati nell’even-tuale discordanza delle redazioni disponibili, distinti secondo le differenti cor-porazioni, gli Statuti delle Arti sono stati minuziosamente esaminati da storicie giuristi, con esiti relativamente esaurienti per ciò che attiene all’individua-zione dei vincoli interni ed esterni delle corporazioni in qualità di soggetti giu-ridici, ma scarsamente soddisfacenti nell’ottica di un orizzonte d’indagine piùampio che si prefigga di considerare l’ordinamento corporativo nel suo com-plesso e di guardare alle Arti come ad elementi significativi della vita econo-mica, politica e sociale.Si tratta di un’impostazione storiografica che, tendente ad accostarsi

    alla documentazione statutaria in termini spiccatamente formalistici, si èprolungata per buona parte del Novecento, tra fasi alterne di oblio e diripresa della tematica corporativa, contribuendo a delineare un’immaginerigida e, per molti aspetti, riduttiva delle corporazioni napoletane: un’im-magine prevalentemente modellata sui parametri esteriori dell’espressionenormativa del dover essere delle Arti e poco attenta, invece, a quel tessutodi vincoli, pratiche sociali, consuetudini e negoziazioni che animano la vitaquotidiana del mondo corporato e che per lo più sfuggono alla codificazionestatutaria.Soltanto in anni relativamente recenti, grosso modo a partire dai tardi anni

    ottanta del Novecento, l’indagine storiografica sui corpi d’Arte è riuscita ademanciparsi da un simile approccio giuridico-formale e ha incominciato a per-correre strade nuove, ricorrendo a una maggiore diversificazione della docu-mentazione archivistica, nonché ad un considerevole allargamento dellastrumentazione metodologica e della griglia concettuale di riferimento.Le nuove metodologie di ricerca hanno trovato una precoce e più larga

    applicazione soprattutto in riferimento alle differenti realtà statuali del Cen-

    * Abbreviazioni utilizzate: Asn (Archivio di Stato di Napoli), Bsdi (Biblioteca di Storia del DirittoItaliano – Università degli Studi di Bari) e Snsp (Società Napoletana di Storia Patria).

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    tro-Nord della Penisola, ma nell’ultimo ventennio anche la letteratura sulMezzogiorno ha mosso i primi passi in direzione di una generale revisionedelle categorie interpretative e degli orizzonti problematici con cui guardareal fenomeno corporativo. A partire dall’imprescindibile lavoro di LuigiMascilli Migliorini sulle corporazioni annonarie e di mestiere nella Napolidel Settecento1 – cui hanno fatto seguito, nel corso degli anni novanta,approfondimenti e ricerche di notevole interesse condotti da studiosi comeLuigi De Rosa2, Franca Assante3, Anna Dell’Orefice4 e Rosalba Ragosta5 –gli studi corporativi sul Mezzogiorno sembrano aver ritrovato una rinnovatavitalità, da un lato rivisitando con un approccio innovativo tematiche clas-siche, come quelle dell’organizzazione del lavoro, della formazione profes-sionale e dell’assistenza all’interno del mondo corporato, dall’altrodelineando nuove piste di ricerca ed esplorando nuovi ambiti di indagineche spaziano, per citarne solo alcuni, dai conflitti tra le Arti alla tutela dellavoro, dalle relazioni con i poteri centrali e le autorità cittadine alla dimen-sione della sociabilità urbana e dell’autorappresentazione simbolica.In particolare, la tematica del conflitto intracorporativo e intercorporativo,

    al centro di molti dei contributi più recenti, non solo in riferimento al Mezzo-giorno6, consente di aprire squarci significativi sull’insieme delle pratichesociali e dei processi di cambiamento che animano il mondo del lavoro, sulconfronto, o più spesso sullo scontro, tra culture del lavoro diverse e antago-niste, sugli scambi, gli attriti e le negoziazioni che si intrecciano e si stratifi-cano dentro la bottega artigiana e nelle maglie del mondo corporato, sulcomplesso delle strategie individuali e collettive messe in atto dai matricolatie dalle istituzioni corporative per far valere i propri interessi particolari; valea dire su aspetti inediti e finora sostanzialmente inesplorati del fenomeno cor-

    1 L. Mascilli Migliorini, Il sistema delle arti: corporazioni annonarie e di mestiere a Napolinel Settecento, A. Guida, Napoli, 1992.

    2 L. De Rosa, Le corporazioni nel Sud della Penisola: problemi interpretativi, «Studi storiciLuigi Simeoni», XLI (1991), pp. 49-68.

    3 F. Assante, Le corporazioni a Napoli in età moderna: forze produttive e rapporti di produ-zione, ivi, pp. 69-83 e Ead., I profeti della previdenza: monti e conservatori nelle corporazioninapoletane in età moderna, in A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli (a cura di), Corporazioni e gruppiprofessionali nell’Italia moderna, F. Angeli, Milano, 1999, pp. 601-612.

    4 A. Dell’Orefice, Il tramonto delle Arti della seta e della lana a Napoli (secoli XVIII-XIX), ivi,pp. 241-256.

    5 R. Ragosta, Istituzioni e conflitti nell’Arte della seta a Napoli (secoli XVI-XVIII), ivi, pp. 347-360.

    6 Cfr. E. Merlo, Le corporazioni: conflitti e soppressioni. Milano tra Sei e Settecento, F. Angeli,Milano, 1996; P. Massa, Annona e corporazioni del settore alimentare a Genova: organizzazionee conflittualità (XVI-XVIII secolo), in A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli (a cura di), Corporazioni egruppi professionali nell’Italia moderna cit., pp. 390-420; R. Ragosta, Istituzioni e conflitti nel-l’Arte della seta a Napoli (secoli XVI-XVIII), ivi, pp. 347-360; R. Sabbatini, Tra conflitti corporativied “ecologia sociale”: la manifattura della seta a Lucca tra Sei e Settecento, ivi, pp. 361-389; V.Chilese, I mestieri e la città. Le corporazioni veronesi tra XV e XVIII secolo, F. Angeli, Milano,2012.

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  • La norma inefficace: conflitti e negoziazioni nelle Arti napoletane (secc. XVI-XVIII)

    porativo che le fonti statutarie lasciano per lo più in ombra o non riescono,da sole, a fotografare e restituire.Da tali premesse può prendere le mosse una compiuta riflessione sulla

    persistente dialettica tra norma e pratica che sembra attraversare come unfilo rosso le alterne vicende delle corporazioni partenopee, costantementein bilico tra sforzi di codificazione normativa e una realtà quotidiana moltopiù mossa, stratificata e conflittuale che gli Statuti faticano a disciplinareed orientare; una realtà, insomma, in cui si manifesta, in tutta la sua evi-denza, l’inefficacia della norma.Già ad una prima analisi delle Capitolazioni delle Arti appare, infatti,

    evidente come liti, abusi e contenziosi siano all’ordine del giorno all’internodel mondo corporato e rappresentino, per così dire, una costante della vitaassociativa, al punto che, in non pochi casi, la stessa stesura degli Statutie le frequenti integrazioni e modifiche ad essi periodicamente apportatesono esplicitamente motivate proprio dalla necessità di ricorrere alla cer-tezza del diritto e della norma scritta per porre un freno alle frodi e allecontroversie interne. Il composto edificio delle Capitolazioni viene di conti-nuo contraddetto, nella concreta esperienza della vita corporativa, dall’ele-vato contenzioso, di natura prevalentemente civile, che si genera nelquotidiano operare delle Arti. O, forse, sarebbe meglio dire che la sapientearchitettura delle norme statutarie, tante volte rimodellata e restaurata,trova la sua principale ragion d’essere proprio nell’esigenza di disciplinareuna realtà che, a dispetto dei continui appelli alla solidarietà di mestiere,al «pubblico vantaggio» e all’ossequio della legge, si nutre di vivi contrastidi interesse, di rapporti conflittuali tra singoli individui e gruppi, di insof-ferenza verso l’autorità pubblica.Al di là delle fonti statutarie, in cui trovano espressione normativa quei

    momenti fondativi e quegli snodi che, con linguaggio vichiano, si potrebberoforse definire come il momento eroico nella vita delle corporazioni, è, però,soprattutto la documentazione di carattere giudiziario che, gettando lucesul quotidiano funzionamento del sistema delle Arti e sulle concrete dina-miche esistenti nell’ambito del mondo corporato, contribuisce a far emer-gere il fitto groviglio di liti, abusi e contenziosi in cui si snoda larga partedella vita delle corporazioni.Gli incartamenti relativi alla vasta mole di procedimenti giudiziari,

    civili e criminali, dibattuti nei Tribunali interni alle singole corporazioni(laddove presenti)7, così come in quelli esterni ed in particolare di frontealla Gran Corte della Vicaria e alla Regia Camera della Sommaria8, con-sentono di far luce tanto sulla conflittualità interna a ciascuna corpora-

    7 Asn, Consolato dell’Arte della Lana – Atti amministrativi, processi civili e penali, bb. 48,50, 51, 54, 56, 61, 63 e 80; Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Processi civili delTribunale dell’Arte della Seta, bb. 32-36, 38-89, 160-167, 188-230 e II Numerazione. Proceduregiudiziarie civili e criminali dibattute nella Curia dell’Arte della Seta, bb. 238 e 251.

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  • zione, ovvero sulle innumerevoli controversie che vedono contrapposti,a seconda dei casi, semplici lavoranti e maestri, manodopera artigiana eceto mercantile, piccoli produttori e grandi operatori del settore, a riprovadi una sempre più difficile tenuta collettiva di singole Arti, quanto sullaconflittualità esterna, vale a dire sulla rivalità e la concorrenza che inter-corrono tra le diverse corporazioni e, in particolare, tra quelle aventi uncampo di competenza affine, e qui è l’intero sistema corporativo ad esserechiamato in causa.Dall’analisi attenta di questa documentazione emerge con chiarezza

    un’immagine del sistema corporativo napoletano molto più mossa e dina-mica di quella per lungo tempo tratteggiata dalla storiografia, tendente, ingenere, a sottovalutare la dimensione del conflitto e a porre in evidenza,invece, soprattutto gli elementi di immobilismo e di armoniosa composi-zione delle tensioni interne9.

    1. La conflittualità interna: frodi, abusi e contenziosinelle Arti napoletane

    Scrive Ubaldo Cippaluni nella Premessa al suo Studio sulle corporazionid’arte nel Regno di Napoli nel periodo austriaco:

    Scopo di questo studio […] è dare una chiara visione della idea direttrice cheispira queste organizzazioni del lavoro, […] del come la caratteristica di queste Cor-porazioni sia data dalla fusione degli interessi, dalla comunità degli sforzi pel rag-giungimento del benessere collettivo, dalla stretta alleanza del lavoratore con l’altrolavoratore, del come ogni atto sia ispirato a equità e fraternità10.

    Si tratta di una visione schiettamente organicista del sistema delle Arti,tendente ad interpretare la singola corporazione, così come il mondo cor-

    8 Asn, Sezione Giustizia – Processi Antichi. Pandetta Vassallo, bb. 121-126 e Pandetta Nuo-vissima, bb. 451, 1467, 1468, 1829, 1842, 1885, 1966, 2042, 2821 e 2904; Regia Cameradella Sommaria – Processi. Pandetta Generale o Seconda, bb. 180, 221, 229, 353, 356, 384 e448; Regia Camera di S. Chiara – Processi resoluti, b. 2.

    9 Cfr. F. Pepere, Il diritto statutario delle Corporazioni di Arti e Mestieri massime nelle Pro-vince Napoletane: memoria del socio Francesco Pepere, Tipografia e stereotipia della Real Uni-versità, Napoli, 1882; R. Majetti, Cenno storico sulle origini delle Corporazioni di Arti e Mestieriin Napoli. Quali forme giuridiche e quale carattere economico assunsero dal secolo XIV al secoloXIX, «La Gazzetta del Procuratore», XX (1885-1886), pp. 1-5, 13-16 e 25-28; A. Broccoli, Lecorporazioni d’arti e mestieri in Napoli e lo statuto dei Fabbricatori di Capua, «Archivio StoricoCampano», II (1892-1893), pp. 345-371; U. Cippaluni, Studio sulle corporazioni d’arte nelRegno di Napoli nel periodo austriaco, «Annali del Seminario giuridico-economico della RegiaUniversità di Bari», II (1931), pp. 120-160 e A. Capone, Le corporazioni d’arte nel viceregno diNapoli dal 1600 al 1707, «Iapigia», V (1934), pp. 261-288 e 387-424.

    10 U. Cippaluni, Studio sulle corporazioni d’arte cit., p. 120.

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  • porato nella sua totalità, alla stregua di un organismo vivente in cui lediverse componenti – Consoli e matricolati, garzoni, lavoranti e maestri,professioni differenti e, talvolta, complementari – sono ordinate armonica-mente, quali membra di un unico corpo solidalmente protese verso il«benessere collettivo» dell’organismo sociale. Una visione, questa, nellaquale non si stenta a riconoscere gli echi del dibattito storiografico tardo-ottocentesco sulle Arti napoletane, fortemente permeato da una generaliz-zata preoccupazione, dai toni talvolta scopertamente paternalistici, per lepericolose conseguenze di un crescente individualismo e di uno sviluppoindustriale non socialmente disciplinato11.Una simile concezione armonica e ordinata del sistema delle Arti,

    indubbiamente, affonda le sue radici nella preminenza accordata, non sol-tanto nel XIX secolo, ma ancora fino a qualche decennio fa, alla documen-tazione statutaria, come fonte privilegiata per ricostruire la storia e imeccanismi interni di funzionamento delle corporazioni napoletane. Sonostate, ad esempio, interpretate in tal senso tutte quelle norme, così fre-quenti nelle Capitolazioni delle Arti, finalizzate a mantenere inalterate legerarchie esistenti, ad assicurare l’uguaglianza tra i maestri di una mede-sima corporazione e, più in generale, a ridurre al minimo le occasioni diconflitto, limitando non soltanto la rivalità esterna tra Arti affini, ma anchequella interna e, in particolare, vietando ogni abuso e ogni manovra diconcorrenza sleale che possa in qualche modo favorire un membro a disca-pito degli altri.Una così composta ed articolata architettura normativa risponde, certo,

    all’intento ideale di «mantenere tra gli uomini dell’Arte la pace, la tranquillità,e la concordia», secondo una formula ricorrente nella documentazione statu-taria. La storiografia più recente ha, tuttavia, ampiamente dimostrato che tranorma e pratica, tra il dover essere e l’essere, spesso sussiste un’irriducibilesfasatura12. Anzi, come si è detto, in molti casi, proprio l’insistente richiamoalla solidarietà di corpo e all’osservanza del dettato statutario, insieme al pro-gressivo inasprirsi delle pene e delle sanzioni previste per i trasgressori, testi-monia la difficoltà di tradurre in pratica quella «perfetta pace, e perpetua

    11 Una visione di questo tipo risulta, ad esempio, ben visibile in un contributo del 1892 diAngelo Broccoli, chiaramente finalizzato ad evidenziare l’«azione moderatrice dell’Arte», o, inmodo ancor più esplicito, in uno studio del 1884 dell’avvocato napoletano Raffaele Majetti, ilquale sottolinea il ruolo essenziale dei Consoli e dei Governatori nel «comporre e determinarecon le buone e con fraterna carità tutte le controversie e quistioni che insorgono tra individuidella stessa Arte […] per ovviare ogni disordine e conservare reciprocamente una buona armo-nia, benevolenza ed amicizia». A. Broccoli, Le corporazioni d’arti e mestieri in Napoli cit., p. 350e R. Majetti, Cenno storico sulle origini delle Corporazioni cit., p. 3.

    12 Cfr. P. Lanaro, Gli Statuti delle Arti in età moderna tra norma e pratiche. Primi appuntidel caso veneto, in A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli (a cura di), Corporazioni e gruppi professionalinell’Italia moderna cit., pp. 327-344.

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  • quiete tra i matricolati»13 tanto agognata dalle Capitolazioni, ma così distantedalla vita quotidiana delle Arti.La stessa stesura degli Statuti risponde, non di rado, alla necessità di

    ricorrere alla certezza della norma scritta e alla cogenza del diritto statu-tario, corroborati dall’apposizione del beneplacito regio, per disciplinarele tensioni interne alla corporazione e porre un freno alla continua liti-giosità dei matricolati, nonché «per evitare ogni abuso et fraude, acciò checiascuno habbia ad attendere con integrità et retto vivere et fare dettaArte come se ricerca ad optimi et boni cittadini», così come si legge, adesempio, nell’incipit della Capitolazione approvata nel novembre del 1555dall’Arte dei Candelari14. E che gli originari appelli alla concordia tra imatricolati e al rispetto delle Capitolazioni restino spesso inascoltati èchiaramente testimoniato dai ritocchi e dalle integrazioni periodicamenteapportati agli Statuti, con maggior frequenza tra la fine del Seicento e ilsecolo seguente, nel tentativo, spesso rivelatosi del tutto inefficace e fal-limentare, di porre un correttivo all’incontrollabile crescendo di abusi, litie contenziosi che quotidianamente oppongono individui e gruppi all’in-terno di ciascun corpo d’Arte.Nell’ottobre del 1663, ad esempio, la corporazione dei Pellettieri e Sca-

    mosciatori richiede l’assenso regio su alcuni nuovi Capitoli da aggiungereal precedente Statuto del 1608, affinché «se tolga ogni lite circa la divisioneda farsi fra li Maestri di detta Arte de tutte le pelli che se comprano da essisupplicanti, acciò che anco il povero Maestro abbia la sua portione e possavivere […] la qual cosa non fu osservata da alcuni Maestri de detta Arte, etper detta causa ne pende lite nel Sacro Regio Consiglio e con ciò la dettaArte si è redotta miserabile»15.Stesso discorso per il nuovo Statuto approvato nel settembre del 1688

    dall’Arte degli Ebanisti, in sostituzione di una precedente Capitolazione del1621: nell’incipit del nuovo testo statutario si fa esplicito riferimento «allicontinui abusi, e fraudi, che quotidianamente si vanno commettendo con-tro la forma delle nostre Capitolationi, con tutto ciò in questi tempi è statospesso necessario haver ricorso dell’Eccellentissimo Vicerè di questo Regno,e Regio Collaterale Consiglio e formare infine nuovi Capituli, […] affinchéin nessuno futuro tempo possi nascere tra li Maestri di essa Arte de’ Scrit-toriari d’ebano, avolio, oro, argento, ed altri metalli dissentione, difficultà,o fraude veruna»16.

    13 L’espressione è tratta dallo Statuto del 1668 dell’Arte dei Fornari e Tarallari. Bsdi, Rac-colta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b. 3, fasc. 60.

    14 Ivi, b. 2, fasc. 36. Una premessa analoga si ritrova nello Statuto del 1594 dell’Arte deiFunari e in quello del 1599 della corporazione dei Falegnami o Mastri d’ascia. Ivi, b. 3, fascc.64 e 56.

    15 Ivi, b. 5, fasc. 129.16 Ivi, b. 3, fasc. 52.

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  • Annotazioni di questo tipo ricorrono ancor più spesso nelle fonti set-tecentesche, quando tra le motivazioni che accompagnano la redazionedi nuovi Capitoli e la modifica di Statuti preesistenti si impone netta-mente, per la frequenza con cui compare e per il dettaglio esemplificativoche di essa si offre, quella del perdurare, anzi in molti casi dell’accre-scersi, di disordini, frodi, abusi e conseguenti controversie giudiziarie trai matricolati.Tutt’altro che isolata e paradigmatica nella sua normalità è, ad esempio,

    la vicenda che interessa, tra gli anni venti e trenta del Settecento, la cor-porazione dei Calzettari di opera bianca: nel giugno del 1722 i Consoli e imaestri dell’Arte approvano un nuovo Statuto, al fine di «moderare, ed inmolti capi corriggere le antiche Capitolazioni», risalenti al 1665, ormai dive-nute inadeguate rispetto al numero in costante aumento dei matricolati e,soprattutto, rivelatesi per molti aspetti inefficaci nel prevenire e contrastare«le continue frodi che si commettono nel negotio medesimo»17. Neppure lenuove Capitolazioni riescono, tuttavia, ad estirpare una volta per tutte gliabusi perpetrati da alcuni maestri ai danni della corporazione, tanto che,appena undici anni più tardi, nel marzo del 1733, i Consoli dell’Arte sonocostretti a riformarle nuovamente e, per ottenere il regio beneplacito sulleaggiunte apportate al proprio Statuto, inviano all’allora vicerè, Luigi Tom-maso Raimondo di Harrach, un Memoriale in cui espongono come, «per ladubbiezza d’alcuni capi di esse Capitolazioni», l’intera corporazione sia«continuamente intrigata da varie liti, come anche usandosi da alcuni variefrodi contro dette Capitolazioni, ne risulta danno gravissimo ad essi sup-plicanti di detta Arte»18.Ancor più esplicito, per citare un ultimo esempio, risulta un passaggio

    dello Statuto approvato nel settembre del 1747 dalle nove Arti che rientranonella corporazione dei Ferrari (Chiavettieri, Ramari, Arte grossa dei Ferrari,Chiovaroli, Cortellari, Scoppettari, Brigliari, Ferracocchi e Spadari), in cuicosì si giustifica la stesura di nuovi Capitoli da aggiungere alla precedenteCapitolazione del 1718:

    col progresso de tempi l’esperienza ha dimostrato che infinite sieno state le frodiche si son commesse, così da Maestri, come da Lavoranti, in pregiudizio et di dettaCappella, e di tutte le Arti, come del publico medesimo, onde ne son nati tanti scon-certi, et innumerabili differenze, e litigii […] per il che s’è stabilito di formare altreleggi […] adattando i ripari alle cose presenti e spiegando l’inconvenienti di esse, oaggiungendo altre determinazioni, che tutte conducono alla quiete dell’Arte, edall’utile del publico19.

    17 Ivi, b. 1, fasc. 23.18 Ibidem.19 Ivi, b. 3, fasc. 57bis.

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  • È, dunque, la stessa documentazione statutaria che, ad una lettura piùattenta e meno legata agli schemi interpretativi a lungo dominanti neldibattito storiografico20, fa trasparire in controluce il fitto groviglio di abusi,liti e contenziosi che agitano il quotidiano operare delle Arti. In quest’ottica,l’analisi degli Statuti si carica di nuovi significati e apre la via ad ineditepiste di ricerca. Il susseguirsi delle variazioni normative da una redazioneall’altra, il dilatarsi dei Capitoli a meglio circoscrivere le disposizioni gene-rali, i continui ritocchi apportati ad alcuni passaggi controversi del testostatutario al fine di renderne più chiara l’interpretazione e più efficace l’ap-plicazione, lo stesso linguaggio utilizzato che rimanda, più spesso di quelche si creda, al campo semantico del conflitto21, sono tutti elementi che con-tribuiscono a movimentare notevolmente il quadro per lungo tempo trat-teggiato dalla letteratura storiografica, in linea di massima incline, almenosino agli anni ottanta del Novecento22, a sottolineare la fissità e quasi unasorta di atemporalità della documentazione statutaria delle Arti.Si pone, in tal modo, l’accento sulla strutturale tendenza della norma

    corporativa a collocarsi ai margini di una realtà in continuo movimentoqual è, appunto, quella del mondo del lavoro in età moderna, sempre piùchiaramente contrassegnata da incalzanti processi di adeguamento tecno-logico e organizzativo e da una crescente conflittualità interna ed esternache proprio in questi cambiamenti affonda le sue radici e trova la suaragion d’essere. Nell’apparente armonia e compostezza dell’edificio norma-tivo disegnato dalle Capitolazioni delle Arti si aprono crepe profonde, attra-verso le quali è possibile scorgere, in un complesso gioco di luci ed ombre,interessi contrastanti, insanabili tensioni, persistenti contenziosi tra com-ponenti antagoniste del mondo corporato, che la regolamentazione statu-taria, con i suoi insistenti richiami all’ordine e alla concordia, cerca invanodi tenere a freno e di displinare.Come si è già accennato, oltre che da un’analisi più accorta delle

    norme capitolari, è soprattutto dal recente allargamento del campo d’in-dagine a fonti di tipo nuovo23 e in primis alla variegata documentazione dicarattere giudiziario (processi civili e criminali, allegazioni giuridiche,denunce, inchieste e sequestri di merci) che emerge con forza l’immaginedi un sistema corporativo, e conseguentemente di un mondo del lavoro,

    20 Cfr. P. Lanaro, Gli Statuti delle Arti in età moderna tra norma e pratiche cit., pp. 328-329.21 «Liti», «disordini», «dissentioni», «sconcerti», «differenze», «intrighi», «dissunioni»: sono solo

    alcuni dei termini che ricorrono con maggior frequenza nelle Capitolazioni napoletane, a testi-monianza dell’endemica conflittualità che attraversa il mondo corporato, ben al di là dei con-tinui richiami all’«ordine» e alla «concordia» contenuti negli Statuti delle Arti.

    22 Per una ricostruzione più dettagliata del dibattito storiografico di quegli anni si veda: S.Bulgarelli (a cura di), Gli Statuti dei Comuni e delle corporazioni in Italia nei secoli XIII-XVI, DeLuca, Roma, 1995.

    23 Cfr. C. Poni, Norms and disputes: the shoemakers’ Guilds in Eighteenth century Bologna,«Past and Present», 123 (1989), pp. 80-108 e S. Cerutti, C. Poni, Conflitti nel mondo del lavoro,«Quaderni storici», 80 (1992), pp. 361-367.

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    Alessandra Mastrodonato

  • molto più mosso e disarticolato di quello che trova espressione e siste-mazione normativa nell’intrinseca coerenza ed organicità degli Statuti.In questa nuova prospettiva di ricerca – attenta a cogliere, al di là di

    una certa «imbalsamazione delle disposizioni statutarie»24, quell’intricatosottobosco di liti, abusi e contenziosi che anima la vita quotidiana delleArti e il concreto svolgimento della dialettica corporativa – a risultare deci-samente smentito è, innanzitutto, quel principio di armoniosa composi-zione delle tensioni interne, di «perfetta concordia» tra i matricolati e digiustizia distributiva che la letteratura storiografica ha per lungo tempoconsiderato come il fondamento essenziale, e insieme lo scopo prioritario,dell’organizzazione corporativa. Al contrario, non soltanto il sistema delleArti nella sua totalità, ma finanche la singola corporazione, mostrano unelevato grado di conflittualità interna, frutto di interessi contrastanti, del-l’egoistico tentativo di difendere e salvaguardare monopoli e privilegi parti-colari, del confronto, o più spesso dello scontro, tra pratiche e culture dellavoro diverse e antagoniste; più in generale, riflesso dei complessi muta-menti sociali e dei fermenti in atto nel mondo del lavoro.A fare da apripista nell’analisi del contenzioso corporativo è stata, tra

    gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, la storiografia francese25,seguita, con un certo ritardo, da quella italiana, particolarmente attentanel recepire e sviluppare le suggestioni e gli indirizzi di ricerca d’Ol-tralpe26. Gli studi corporativi di ambito francese hanno posto l’accentosoprattutto sui momenti più acuti del conflitto all’interno delle Arti, nondi rado analizzati alla luce di una prospettiva più ampia e degli interro-gativi specifici posti dalla storia politica. In particolare, la conflittualitàtra maestri e lavoranti nell’ambito della bottega artigiana è stata inter-pretata come «possibile palestra del rovesciamento delle gerarchie socialiattuato dalla Rivoluzione», riconoscendo nelle agitazioni e nelle rivendi-cazioni economiche che attraversano le Arti, con maggior asprezza eintensità tra Sei e Settecento, «i prodromi di più ampie tensioni sociali»27.Accanto a queste forme di conflitto più appariscenti, è, però, soprattutto

    nella dialettica quotidiana e nelle permanenti negoziazioni che animanoordinariamente il sistema corporativo, e persino la vita della singola bottegaartigiana, che trova più vivida e chiara espressione quella pluralità di inte-

    24 P. Lanaro, Gli Statuti delle Arti in età moderna tra norma e pratiche cit., p. 332.25 Cfr. E. Coornaert, Les corporations en France avant 1789, Les Editions Ouvrieres, Paris,

    1968; W.H. Sewell, Work and Revolution in France: the language of labor from the Old Regimeto 1848, Cambridge University Press, Cambridge, 1980 e S.L. Kaplan, Le lutte pour le controledu marché du travail à Paris au XVIII siècle, «Revue d’Histoire Moderne et Contemporaine», 36(1989), pp. 361-412. Per una bibliografia più dettagliata e una riflessione più ampia in merito,si veda: A.D. Kessler, A revolution in commerce: the Parisian merchant court and the rise of com-mercial society in Eighteenth-century France, Yale University Press, New Haven-London, 2007.

    26 Cfr. S. Cerutti, C. Poni, Conflitti nel mondo del lavoro cit.27 Ivi, p. 363.

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    La norma inefficace: conflitti e negoziazioni nelle Arti napoletane (secc. XVI-XVIII)

  • ressi, culture e linguaggi che caratterizza il mondo del lavoro di AnticoRegime. Sulla scia dell’approccio inaugurato, ormai più di vent’anni fa, dauna ricerca di grande spessore come quella condotta, sempre in ambitofrancese, da Michael Sonensher28, la storiografia più recente ha scelto difocalizzare l’attenzione soprattutto sui conflitti quotidiani, sui meccanismidi negoziazione e sulla molteplicità di linguaggi e di sistemi normativi cuiessi rimandano, con l’intento dichiarato di ricostruire, tra le pieghe di que-sta «tensione plurivocale», i diversi interessi in gioco e, al tempo stesso, leforme di legittimazione cui essi di volta in volta si richiamano29.È quanto si intende fare anche in questa sede, privilegiando, non a caso,

    una fonte specifica, quella delle cause civili, considerata spesso una docu-mentazione più fredda di quella criminale30, ma forse più di quest’ultimaadatta a mettere in luce, nel ricorso reiterato e continuo alla giustizia, pra-tiche e tensioni ricorrenti nel mondo corporato, rivelatrici della difficoltà ditrovare una sintesi efficace e duratura in quella pluralità di interessi, cul-ture e linguaggi cui si è fatto cenno. La stessa varietà delle fattispecie giu-ridiche messe in gioco dal contenzioso civile conferma quanto esse tocchinoda vicino la vita dei matricolati e il quotidiano operare delle Arti, sollevandoquestioni cruciali che attengono direttamente all’alto grado di complessitàdell’organizzazione corporativa.Al di là delle violazioni in senso stretto delle norme capitolari, tra le

    cause più diffuse di controversia giudiziaria tra i matricolati, s’impone net-tamente la duplice, ma convergente, motivazione del mancato pagamentodel lavoro svolto o della cattiva esecuzione del lavoro commissionato. Moti-vazione convergente, si diceva, dal momento che in moltissimi casi ladisputa è unica, dovendosi, appunto, accertare in sede giudiziale se il cre-dito vantato sia effettivo o non si debba, piuttosto, dar ragione all’insol-vente che si rifiuta di pagare un prodotto scadente, la cui qualità elavorazione non risulta conforme agli standard prescritti negli Statuti31.In casi di questo genere, per dirimere il contenzioso, vengono di solito

    previsti opportuni accertamenti peritali, quasi sempre affidati ad altri mem-bri dell’Arte: spesso gli stessi Consoli o, comunque, due o più maestri rite-nuti «experti et autorevoli» e, come tali, «degni di fede». Questoprobabilmente spiega come mai simili dispute, quando oppongono unmembro della corporazione ad un committente esterno, raramente si con-

    28 M. Sonensher, Work and wages. Natural law, politics and the Eighteenth-century Frenchtrades, Cambridge University Press, Cambridge, 1989.

    29 Cfr. S. Cerutti, C. Poni, Conflitti nel mondo del lavoro cit., pp. 362-363.30 Per una discussione in merito si veda: M. Dean, J.C. Gégot, R. Wirtz, Fonti criminali e

    storia sociale, «Quaderni storici», 46 (1981), pp. 192-235.31 Particolarmente esposta a controversie di questo genere sembra essere, ad esempio,

    l’Arte dei Sartori, che, soprattutto nel corso del Settecento, ma in misura tutt’altro che irrile-vante anche nei due secoli precedenti, offre un lungo elenco di episodi di lavorazioni difettoseprotestate e di pagamenti non eseguiti. Asn, Ministero dell’Interno – II Inventario. Arti e mestieri,b. 5034.

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  • cludano con lo scioglimento del debitore dal suo obbligo, tendendo ingenere a tutelare il lavoro e gli interessi dei matricolati.Ne sono prova, ad esempio, le violentissime liti che, con maggior fre-

    quenza nel corso del Settecento, esplodono di continuo in un settore cru-ciale e fortemente protetto come quello dell’artigianato del legno,specialmente quando il manufatto protestato presenta dimensioni cospi-cue per complessità di lavorazione e costo. In queste controversie, checoinvolgono Falegnami, Ebanisti, Carrozzieri, Guarnimentari, ecc., adavere la meglio sulle pretese dei committenti esterni che si rifiutano dipagare il lavoro svolto, adducendo a giustificazione della mancata retri-buzione la cattiva qualità del manufatto commissionato, sono quasi sem-pre gli artigiani matricolati32, anche se la frequenza stessa del contenziosolascia intendere l’esistenza di un problema più vasto e generalizzato discadimento qualitativo della lavorazione artigiana, spesso semplicementeaggirato, ma non certo risolto, dalla tutela peritale della corporazione.Esiti ben diversi hanno, invece, gli accertamenti peritali quando il rap-

    porto creditore-debitore si profila all’interno della stessa Arte, vale a direquando esiste, come nel caso della manifattura tessile, una struttura ver-ticale della produzione che prevede più passaggi del medesimo manufattoper fasi successive di lavorazione o quando a commissionare il lavoro allemaestranze artigiane sono negozianti o mercanti-imprenditori, anch’essiinquadrati all’interno della corporazione, che forniscono al singolo arti-giano la materia prima e, talvolta, anche gli strumenti di lavoro e ritirano,poi, il prodotto lavorato per la vendita e lo smercio sul mercato.Un esempio per tutti è rappresentato, in tal senso, dall’Arte della Seta:

    a partire già dagli anni settanta del Cinquecento si registra un sensibileincremento delle tensioni interne all’Arte, soprattutto per quel che con-cerne i rapporti conflittuali tra le maestranze artigiane, con in testa i Tes-sitori, e i Mercanti di drappi, che tra la fine del XVI secolo e gli inizi diquello seguente vanno acquisendo un ruolo via via sempre più forte edecisivo nel governo dell’Arte, oltre che come indispensabile anello di col-legamento fra mercato e mondo produttivo33. I processi civili dibattutipresso il Tribunale dell’Arte mostrano come alla base di simili attriti visiano, innanzitutto, motivazioni di carattere economico, prevalentementelegate alle retribuzioni dovute dai Mercanti di stoffe ai Tessitori, non piùstabilite – da quel che si desume dalla documentazione giudiziaria –secondo le modalità originariamente previste dagli Statuti, vale a diredurante le adunate collegiali dell’Arte, bensì sempre più spesso lasciatealla libera contrattazione tra le parti34.

    32 Ivi, bb. 5035 e 5036.33 Cfr. R. Ragosta, Istituzioni e conflitti nell’Arte della seta cit., pp. 349-350.34 Asn, Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Processi civili del Tribunale dell’Arte

    della Seta, bb. 32-36, 38-89, 160-167, 188-230 e II Numerazione. Procedure giudiziarie civilie criminali dibattute nella Curia dell’Arte della Seta, bb. 238 e 251.

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    La norma inefficace: conflitti e negoziazioni nelle Arti napoletane (secc. XVI-XVIII)

  • A ricorrere presso il Tribunale dell’Arte sono soprattutto i Mercanti, chelamentano furti e frodi subiti ad opera dei Tessitori, i quali, invece di resti-tuire tutta la merce tessuta, ne rivendono clandestinamente una parte.Non mancano, tuttavia, casi di denunce di Tessitori contro i Mercanti perpagamenti mancati o effettuati in ritardo o inferiori rispetto alla sommainizialmente pattuita. Del resto, durante i dibattimenti processuali, inparecchi casi emerge che le indebite appropriazioni di tessuto perpetratedai Tessitori ai danni dei Mercanti sono, in realtà, pratiche compensativedelle «poche» o ritardate o mancate «mercedi»35.Nei decenni seguenti, il rapporto tra Mercanti e Tessitori si deteriora

    ulteriormente, anche per via della sfavorevole congiuntura commercialeche, a partire dagli anni trenta del Seicento, in concomitanza con una fasedi profonda e generale ristrutturazione del mercato internazionale dellaseta36, mette a dura prova le capacità di adattamento e di sopravvivenzadella manifattura serica napoletana. La contrazione delle esportazioni ditessuti, il decentramento in aree suburbane di alcune fasi della lavorazionedella seta37, l’assenza di regole a tutela del mestiere dell’artigiano e, in par-ticolar modo, di norme che regolamentino efficacemente l’offerta e il prezzodel lavoro, provocano un crescente inasprimento della concorrenza interna,di cui approfitta la componente mercantile dell’Arte per spuntare condizionipiù convenienti nei confronti delle prestazioni dei Tessitori38. Il ceto arti-giano della corporazione accusa, inoltre, i Mercanti di danneggiare la mani-fattura commissionando lavori di scarsa qualità, mentre questi ultimi sidifendono sostenendo che le loro scelte sono dettate dal mercato, ormaiorientato verso la domanda di tessuti più leggeri ed economici39.Dietro alle motivazioni contingenti dello scontro tra Tessitori e Mercanti

    si scorge un antagonismo atavico. Come opportunamente evidenziato daRosalba Ragosta, a fronteggiarsi sono due diverse strategie produttive,frutto del persistente carattere duale della manifattura serica napoletana,divisa tra spinte modernizzanti, aperte all’innovazione di prodotto e di pro-cesso e ai larghi orizzonti del mercato internazionale, da un lato, e forzepiù conservatrici, restie ad ogni forma di cambiamento e tese a sfuggire

    35 Asn, Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Inchieste, bb. 235-239.36 Per un’analisi accurata ed esaustiva delle cause del mutamento del mercato internazio-

    nale della seta e degli effetti da esso indotti nei principali centri serici europei, si rimanda alfondamentale contributo di Carlo Poni presentato in apertura dei lavori della ventiquattresimaSettimana di Studio dell’Istituto Datini: cfr. C. Poni, Moda e innovazione: le strategie dei mer-canti di seta di Lione nel secolo XVIII, in S. Cavaciocchi (a cura di), La seta in Europa: XIII – XXsecc. – Atti della ventiquattresima Settimana di Studio dell’Istituto internazionale di storia eco-nomica F. Datini (Prato, 4-9 maggio 1992), Le Monnier, Firenze, 1993, pp. 17-55.

    37 In un primo momento, soltanto le operazioni di filatura e torcitura, successivamente,anche quelle di tessitura e di tintura. Cfr. R. Ragosta, Napoli, città della seta: produzione emercato in età moderna, Donzelli, Roma, 2009, pp. 131-139.

    38 R. Ragosta, Istituzioni e conflitti nell’Arte della seta cit., p. 351.39 Asn, Sezione Giustizia – Processi antichi. Pandetta Vassallo: Memoriale dei Consoli e dei

    Mercanti dell’Arte della Seta al Re di Spagna, 9 aprile 1680, b. 121, fasc. 26.

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  • alla competizione incalzante dei manufatti stranieri e alle mutevoli ten-denze della moda, dall’altro40. Un dualismo, questo, che, assumendo tal-volta i toni accesi del conflitto aperto, contribuisce a minare e a sgretolareprogressivamente quello spirito cooperativo che aveva in origine animatol’esistenza dell’Arte, configurandosi come una delle ragioni principali dellacrisi della manifattura serica partenopea tra Sei e Settecento.Ancora una volta, è l’andamento del contenzioso civile che consente di

    gettare luce sul perdurare di un alto grado di conflittualità all’interno dellacorporazione e sull’inasprirsi degli attriti tra i matricolati. La serie delleInchieste aperte dai Consoli dell’Arte consente un esame più ravvicinato disimili frizioni41.Si moltiplicano, nel corso del XVIII secolo, le cause relative ai reati di

    furto e appropriazione indebita di tessuto perpetrati dai Tessitori ai dannidei Mercanti proprietari della stoffa, ma il quadro sembra complicarsi note-volmente rispetto ai secoli precedenti. Accanto ai ricorsi dei Mercantidefraudati e, per converso, alle non rare lamentele dei Tessitori che denun-ciano il mancato o ritardato pagamento del lavoro eseguito42, non mancanoesempi di furti di scampoli e rocchetti di seta da parte dei Filatori43, di truffedegli Incannatori ai danni di questi ultimi44, di frodi e appropriazioni inde-bite di seta da parte di Tintori e Rimondatrici ai danni dei Mercanti, maanche degli stessi Tessitori45, a conferma del fatto che la varietà delle fasidella lavorazione contribuisce in modo significativo ad accentuare e molti-plicare le occasioni di conflitto all’interno di una corporazione numerosa efortemente stratificata come l’Arte della Seta.Informazioni altrettanto interessanti si desumono dalla serie dei Sequestri

    di merci disposti dai Consoli dell’Arte, con maggior frequenza nel corso delSettecento46. Un’analisi attenta di questa documentazione permette di distin-guere i provvedimenti adottati per sospetta provenienza della merce tenutain bottega dai Maestri Tessitori, che in molti casi si dimostra essere frutto di

    40 R. Ragosta, Napoli, città della seta cit., p. 4.41 Asn, Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Inchieste, bb. 235-239.42 Particolarmente interessanti, a tal proposito, due denunce presentate da Tessitori con-

    tro i rispettivi datori di lavoro, rispettivamente in data 21 marzo 1720 e 16 aprile 1722. Ivi,b. 237.

    43 Ad esempio, in data 6 gennaio 1719. Ivi, b. 236.44 Relativamente al rapporto conflittuale tra Incannatori e Filatori, si veda la richiesta pre-

    sentata da questi ultimi alla Regia Camera della Sommaria in data 19 giugno 1723, per il rin-novo di un Bando restrittivo del 1603. Ivi, b. 235.

    45 Esemplare, in tal senso, una causa dibattuta dinnanzi al Tribunale dell’Arte tra il giugnoe il luglio del 1783, per l’appropriazione indebita di svariate libbre di seta da parte dei coniugiLeonardo Chiariello e Angela Palumbo, «di professione rimondatrice», ai danni di AgnelloMassa e Sabato Biondi, «pubblici negozianti di seterie», e del «tessitore di seta palermitano»Antonino Scaglione, inizialmente accusato del furto, che poi, invece, a seguito del processo edi opportune indagini disposte dai Consoli dell’Arte, si scopre essere stato commesso appuntodalla Palumbo e da suo marito. Asn, Sezione Giustizia – Processi antichi. Pandetta Nuovissima,b. 2042, fasc. 54527.

    46 Asn, Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Sequestri di merci, b. 239.

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  • furti e appropriazioni indebite ai danni dei Mercanti, da quelli, ancor piùnumerosi, effettuati per lavorazioni non conformi ai Regi Bandi, vale a direper qualità scadente del tessuto oppure della tintura su di esso eseguita47.Parallelamente, le fonti denunciano un significativo incremento di epi-

    sodi di violenza, liti e vere e proprie risse, particolarmente frequenti tra glianni trenta e quaranta del Settecento, quasi che una sorta di sommarioricorso alla giustizia privata tenda progressivamente a prevalere e ad affer-marsi sui tradizionali canali della giurisdizione corporativa48. Per la maggiorparte, si tratta di scontri e di disordini che insorgono tra i matricolati e, inparticolare, tra Tessitori, Mercanti e Tintori, ma non mancano casi di gar-zoni e apprendisti che denunciano percosse e maltrattamenti subiti adopera dei maestri49. È, questa, l’altra faccia del fenomeno rappresentatodal furto di merce, assai frequente e cospicuo nelle dimensioni, compiutoda apprendisti e giovani lavoranti ai danni dei propri datori di lavoro50:segnali, entrambi, di una conflittualità che non si appiana negli argini for-mali della tutela statutaria.L’Arte della Seta – ma il discorso potrebbe agevolmente essere esteso

    anche alla manifattura della lana51 – non rappresenta un caso isolato efuori dal comune. Certo, come si è detto, la complessità del processo pro-duttivo e l’articolata stratificazione del personale addetto contribuiscono amoltiplicare le occasioni di attrito e di tensione, anche per via degli interessia volte confliggenti e delle differenti culture del lavoro di cui sono portatricile diverse componenti sociali dell’Arte. Ma anche nelle corporazioni nume-ricamente più ristrette e caratterizzate da lavorazioni meno complesse ilcontenzioso civile è all’ordine del giorno e, anzi, sembra rappresentare unodei tratti caratteristici delle relazioni interne all’Arte.Anche in questo caso, accanto ai frequenti conflitti che, con maggiore

    intensità nel corso del Settecento, oppongono i Consoli stessi ad ampi set-tori delle maestranze artigiane, alimentando in molte Arti un diffuso malu-

    47 Tra il 1701 e il 1725, ad esempio, sono 53 i sequestri di seta disposti per sospetta pro-venienza della merce e ben 113 quelli effettuati per lavorazione non conforme ai Regi Bandi.Ibidem.

    48 Asn, Consolato dell’Arte della Seta – I Numerazione. Inchieste, b. 238.49 Episodi di questo genere si registrano, ad esempio, in data 29 febbraio 1716 e 2 agosto

    1723. Ivi, bb. 236 e 237.50 A questo proposito, tra gli episodi giudizialmente più significativi, si segnala un cospicuo

    furto di seta avvenuto nei magazzini dell’Arte in data 26 ottobre 1707, mentre circa undicianni più tardi, nel novembre del 1718, un episodio analogo coinvolge tutti i lavoranti che dinotte dormono nel medesimo magazzino, da cui vengono sottratti numerosi drappi e scampolidi seta. Ivi, b. 236.

    51 A mero titolo d’esempio, si segnala un «processo criminale» dibattuto nel settembre del1623 dinanzi al Tribunale dell’Arte della Lana tra Ferdinando Ciambello, «di professione car-datore», e i fratelli Giuseppe e Giovan Battista Marrochiello, Mercanti di lana, per il furto dialcune pezze di panno «trafugate» e illecitamente rivendute dal Ciambello ai danni dei dueMercanti che gliele avevano consegnate per la cardatura. Asn, Sezione Giustizia – ProcessiAntichi. Pandetta Nuovissima, b. 1885, fasc. 51959.

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  • more rispetto alle malversazioni, alle connivenze e al disinvolto eserciziodel potere da parte dei dirigenti corporativi52, tra le motivazioni principalidi tensione e di scontro tra i matricolati compaiono violazioni delle normestatutarie, mancati pagamenti, inadempienze contrattuali, furti e abusi divario genere, a chiara testimonianza dell’esistenza di una pluralità di fat-tispecie giuridiche che danno vita ad un fitto groviglio di liti e controversienon sempre facile da ricostruire e dipanare.Nello specifico, tra le violazioni statutarie, un interesse particolare rive-

    ste il mancato rispetto della distanza prescritta tra le botteghe. La spinosaquestione della «picciola distanza tra i posti o botteghe dell’individui del-l’Arte»53 è strettamente connessa alla crescita esponenziale, e spessoincontrollata, dei maestri matricolati e, conseguentemente, del numerodelle botteghe afferenti ad una medesima Arte, con grave danno perl’equilibrio domanda-offerta e per il livello dei prezzi e, dunque, anche perla certezza di esistenza economica dei singoli esercenti54. Per questaragione, le Capitolazioni delle Arti napoletane sono, in genere, piuttostosevere nel fissare la distanza minima da rispettare per l’apertura di unanuova bottega e nel prevedere aspre sanzioni per i trasgressori, di solitocostretti a «serrare la detta bottega» e, in alcuni casi, persino a risarciregli altri maestri danneggiati.È a queste norme capitolari così rigide e restrittive che si richiamano i

    tanti ricorsi presentati, a seconda dei casi, ai Tribunali interni delle Arti,alla Gran Corte della Vicaria o al Tribunale dell’Annona (nel caso specificodelle Arti annonarie), per la chiusura di una bottega che non rispetti rigo-rosamente le distanze prescritte.Emblematica, in tal senso, si rivela una causa intentata nell’agosto del

    1786 da Giacomo Gagliozzi e Vincenzo Petagna, entrambi «Bottegai di piùesercitii, iscritti all’Arte dei Pizzicaroli, il primo con bottega nella Piazza diS. Elmo nuovo, il secondo con bottega nella Strada di S. Monica», controGerardo Cavaliero, anch’egli «Bottegaio di più esercitii […] che avea perlungo corso d’anni esercitato suo mestiere in una bottega sita nella Stradadi S. Votivo, ove fu matricolato». Presentatisi dinanzi al Tribunale dell’An-nona, i due querelanti dichiarano che il detto Cavaliero, «avvalendosi delpretesto di venir espulso dal padrone della casa ove tiene sua bottega […],ha macchinato di trasferire altrove il suo esercizio» e ha affittato un «basso»

    52 Esemplari, in tal senso, gli abusi e le malversazioni di cui si macchiano, tra Sei e Sette-cento, i Consoli delle corporazioni dei Barbieri e Pelucchieri, dei Cartari di carte da gioco, deiFerrari e dei Maccheronari, prontamente denunciati dagli stessi matricolati, gravemente col-piti nei propri interessi. Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napo-letane, b. 1, fasc. 12bis; b. 2, fasc. 40; b. 3, fasc. 57bis e Asn, Tribunali Antichi, b. 1734.

    53 L’espressione è tratta da un ricorso indirizzato nel 1805 al Ministro dell’Interno dall’Artedei Verdumari. Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b.7, fasc. 167.

    54 Cfr. L. Mascilli Migliorini, Il sistema delle arti cit., p. 77.

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  • nell’anzidetta Strada di S. Monica, «vale a dire a poche canne di distanzadalla bottega del Petagna ed in poca distanza altresì dall’altra bottega delGagliozzi», richiedendone licenza all’Eletto del Popolo55. Appellandosi alrispetto del dettato statutario, i due maestri danneggiati affermano che unsimile trasferimento

    sarebbe un atto illecito e contro il prescritto delle Capitolazioni dell’Arte munite diRegio assenso, le quali nel caso dell’espulsione dell’inquilino in tal Arte matricolato,gli permettono sì il passaggio, ma in quella medesima strada, ove prima ritrovavasi;non già in altra diversa strada, o in altro luogo, ove arrecherebbe pregiudizio allealtre convicine, ed antiche botteghe, che ivi si trovano […] e quando altrove pen-sasse di collocarsi, sarebbe altresì obbligato a serbare la legge della distanza56.

    Essi chiedono, pertanto, che, in osservanza delle Capitolazioni dell’Arte,sia vietato al Cavaliero di trasferire il suo esercizio nell’anzidetta Strada diS. Monica, «sotto pena di sua immediata carcerazione», e fanno istanzaaffinché l’Eletto del Popolo non gli conceda la licenza necessaria per l’aper-tura della nuova bottega; istanza che viene prontamente accolta dal Tri-bunale dell’Annona, il quale riconosce l’inderogabilità del dettato statutarioe ribadisce l’obbligo, per tutti i matricolati, di attenersi rigorosamente alla«legge della distanza»57.Si nota, dunque – in questo come in altri casi analoghi58 – una chiara

    convergenza tra la sentenza emessa da una magistratura cittadina, qual èappunto il Tribunale dell’Annona, e quanto prescritto dalle Capitolazionidelle Arti, a riprova del definirsi di una prassi giurisprudenziale costante-mente orientata alla più rigorosa interpretazione del privilegio corporativoe ad una decisa chiusura verso ogni sollecitazione al mutamento che pureprovenga dall’interno stesso delle corporazioni.Nel caso specifico della distanza, l’intransigente rispetto delle norme

    capitolari è, peraltro, imposto da un ancor più cogente motivazione di

    55 Si ricorda che a Napoli le corporazioni annonarie, per il ruolo svolto nell’approvvigiona-mento alimentare della città e nella regolazione dell’offerta e dei prezzi dei generi di primoconsumo, sono poste sotto la giurisdizione dell’Eletto del Popolo, cui spetta la responsabilitàdi presenziare all’elezione dei Consoli e ratificarne la nomina, di provvedere all’acquisto dellepartite di grano e delle altre derrate alimentari e alla loro ripartizione tra i commercianti, diinvigilare sulle attività che si svolgono nel mercato e sulla buona qualità delle merci espostee, non ultimo, di dare licenza ai matricolati per l’apertura di una nuova bottega. A partire dalgennaio del 1758, un Dispaccio di Carlo di Borbone impone, inoltre, alle istituzioni corporativedi sottoporre all’Eletto del Popolo il controllo annuale dei propri rendiconti contabili. Snsp,Dispacci Reali: 21 gennaio 1758, VIII_D_13-22.

    56 Asn, Sezione Giustizia – Processi antichi. Pandetta Nuovissima, b. 1966, fasc. 53031.57 Ibidem.58 Altrettanto interessante e caratterizzato dal medesimo esito è, ad esempio, un ricorso

    presentato nel 1769, sempre dinnanzi al Tribunale dell’Annona, da un tale Pietro Schettini,«di professione Casadoglio», per ottenere che venga rispettata «la distanza prescritta dalleCapitolazioni dell’Arte fra due botteghe di essa professione». Ivi, b. 1829, fasc. 50858.

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  • ordine economico, vale a dire dall’esigenza di porre un freno all’indiscrimi-nato proliferare di esercizi commerciali in un universo urbano sostanzial-mente ancora ristretto, in cui – come lucidamente evidenziato da LuigiMascilli Migliorini – «l’aumento dell’offerta non si traduce in un incrementonella circolazione delle merci e nei redditi», bensì «in una perniciosa depres-sione del livello a cui sotto forma di prezzi e di quantità viene a svolgersi loscambio tra domanda e offerta»59. Non a caso, la spinosa questione delladistanza sembra assumere particolare rilevanza nelle Arti annonarie, piùdirettamente condizionate dal carattere angusto del mercato cittadino, oltreche dal basso coefficiente di elasticità della domanda di beni commestibili,e, dunque, segnate da un più alto grado di conflittualità interna e da unafortissima concorrenza tra i matricolati, che non esitano a ricorrere allagiustizia e a chiamare in causa le magistrature cittadine pur di tutelare ipropri interessi e salvaguardare la propria fetta di mercato.Gli incartamenti processuali si rivelano interessanti anche da un altro

    punto di vista: essi consentono di circoscrivere, almeno in parte, le com-petenze specifiche, in verità piuttosto ampie, dei Tribunali interni alle cor-porazioni e forniscono informazioni essenziali per ricostruire i loromeccanismi di funzionamento ed i rapporti più o meno conflittuali da essiintrattenuti con gli altri organi giurisdizionali, in particolare con la GranCorte della Vicaria e con la Regia Camera della Sommaria, la prima compe-tente nelle cause civili e criminali, la seconda in quelle di natura fiscale. Le cause dibattute di fronte ai Consoli delle Arti e, in particolare, dinanzi

    ai Tribunali speciali delle due Arti nobili della Seta e della Lana, dotate di giu-risdizione privilegiata e persino di proprie carceri60, riguardano non soltantoliti e controversie inerenti all’esercizio del mestiere (truffe, inadempienze con-trattuali, morosità nei pagamenti, furti, apertura di nuove botteghe, ecc.), maanche contenziosi di tutt’altra natura in cui siano coinvolti uno o più matri-colati (lesioni personali, pignoramenti di beni, stupri, risse, persino cause diannullamento di matrimonio).Tra gli incartamenti visionati sono, inoltre, innumerevoli i processi,

    sia civili sia penali, istruiti presso la Vicaria o presso il Tribunale dellaSommaria, in cui i soggetti della procedura giudiziaria, essendo «matri-colati ed esercitanti» di una data Arte, in virtù del cosiddetto privilegiodel Foro concesso alle corporazioni e a tutti i loro iscritti61, chiedono, equasi sempre ottengono, di poter godere di tale privilegio e trasferire lecause in cui sono coinvolti e tutti gli atti ad esse relativi presso il Tribu-

    59 L. Mascilli Migliorini, Il sistema delle arti cit, p. 77.60 Cfr. R. Pescione, Il tribunale dell’arte della seta in Napoli (da documenti inediti), Unione

    tipografica combattenti, Napoli, 1923.61 Cfr. R. Pescione, Gli statuti dell’Arte della seta in rapporto al privilegio di giurisdizione

    (da documenti inediti), «Archivio storico per le province napoletane», XLIV (1919), pp. 159-191e XLV (1920), pp. 61-87.

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    La norma inefficace: conflitti e negoziazioni nelle Arti napoletane (secc. XVI-XVIII)

  • nale dell’Arte62: il che non manca, in molti casi, di generare contenziosie controversie istituzionali tra i vari organi giurisdizionali coinvolti, pervia della parziale sovrapposizione di competenze e della non semprechiara linea di demarcazione tra le sfere di azione di ciascuno di essi.A tal proposito, è interessante notare come, fatta eccezione per alcuni epi-

    sodi isolati in cui – come già si è visto nel caso dell’Arte della Seta – prevale ilricorso ai canali informali, e spesso violenti, della giustizia privata, nella stra-grande maggioranza dei casi, i conflitti intracorporativi, al pari di quelli inter-corporativi di cui si parlerà più avanti, rivelano una notevole maturità nelleloro espressioni, nel senso che, sebbene spesso assai aspri nei toni, vengonocomunque incanalati, gestiti e risolti nell’alveo delle regole istituzionali e nel-l’ambito della prassi codificata della giurisdizione ordinaria e corporativa. Ilricorso reiterato e continuo alla giustizia, quale pratica ricorrente e diffusa nelmondo del lavoro di Antico Regime, lungi dal configurarsi come «l’appelloultimo a istituzioni percepite come estranee», si carica, in quest’ottica, di unsignificato del tutto nuovo, che ne fa, «non meno delle pratiche produttive,parte integrante ed elemento essenziale della stessa cultura del lavoro»63.Come ha scritto efficacemente Elisabetta Merlo, il conflitto nel mondo

    corporato non sembra essere «l’ultima spiaggia cui approdano contendentidefatigati da inconcludenti tentativi di conciliazione amichevole». Esso è,piuttosto, «un’opportunità ricercata e talvolta abilmente provocata: è il pro-logo di una transazione, cioè di una negoziazione che porta alla luce prassi,suscita aspettative reciproche, assegna ruoli sociali, fissa codici di com-portamento»64. Il conflitto, dunque, non già come fattore di disgregazionedel sistema delle Arti, bensì come elemento ad esso connaturato, comestrumento ordinario di negoziazione, abilmente sfruttato da individui egruppi per far valere i propri interessi particolari o per influire in modo ine-dito sugli equilibri interni alla corporazione.Le varie posizioni assunte dagli attori del conflitto intracorporativo, siano

    essi singoli matricolati, piccoli gruppi di pressione o interi settori delle mae-stranze artigiane, non mettono mai in discussione l’unità e la legittimità

    62 Particolare interesse riveste, in tal senso, un nutrito gruppo di istanze presentate tra il1790 e il 1791 al Supremo Magistrato di Commercio, nella persona di Don Giuseppe Secondo,«Commissario Protettore dei Privilegi della Nobil Arte della Seta», per l’«osservanza del privilegiodel Foro conceduto ad essa Nobil Arte della Seta», in cui i richiedenti, in quanto «sudditi didetta Nobil Arte», chiedono, e immancabilmente ottengono, per le cause in cui sono coinvolti,di essere giudicati «in Curia Artis Serici», anziché dinanzi al Tribunale Civile della Vicaria, e,a tal fine, allegano alle suddette istanze una «fede» sottoscritta dai tre Consoli dell’Arte, in cuisi certifica che l’imputato è effettivamente «matricolato in detta Nobil Arte […] siccome apparescritto dal libro delle matricole». Asn, Sezione Giustizia – Processi antichi. Pandetta Nuovissima,b. 2042.

    63 S. Cerutti, C. Poni, Conflitti nel mondo del lavoro cit., pp. 362-363.64 E. Merlo, La lavorazione delle pelli a Milano tra Sei e Settecento. Conflitti, strategie, dina-

    miche, «Quaderni storici», 80 (1992), pp. 369-397. Tale riflessione è stata, poi, ulteriormenteapprofondita dall’autrice ed arricchita di nuovi elementi interpretativi nel volume: E. Merlo,Le corporazioni: conflitti e soppressioni cit.

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  • dell’istituzione corporativa in quanto tale. Il conflitto si configura, semmai,come uno strumento efficace di trasformazione degli assetti istituzionali edegli equilibri economici e sociali dell’Arte: una trasformazione voluta ericercata da ampi segmenti del mondo artigiano che, consapevolmente, siservono del contenzioso civile e del ricorso alla giustizia corporativa pernegoziare condizioni economiche e lavorative più vantaggiose o per modifi-care e piegare a proprio favore gli instabili assetti sociali e gerarchici esi-stenti all’interno dell’Arte di appartenenza.In tal senso, si può affermare che l’endemica conflittualità interna al

    sistema corporativo, lungi dal rappresentare il segnale esteriore e tangibiledell’intrinseca debolezza e disarticolazione del sistema stesso e dell’irridu-cibilità delle tensioni e degli attriti individuabili al suo interno – riflesso, aloro volta, della difficoltà di trovare una sintesi adeguata tra la pluralitàdegli interessi, dei linguaggi e delle culture del lavoro in gioco – è, al con-trario, indice di flessibilità e di dinamismo, dal momento che è attraversoil conflitto che, di volta in volta, vengono rinegoziati gli equilibri interni allacorporazione e introdotti opportuni aggiustamenti all’apparente stabilità erigidità degli assetti istituzionali, economici e sociali disegnati dalle normestatutarie.

    2. La conflittualità esterna tra le Arti: la difficile negoziazione dei “confini”

    Alla forte conflittualità interna a ciascun corpo d’Arte corrisponde, adun livello superiore del sistema, la frequenza e, non di rado, la virulenzadel contenzioso intercorporativo, frutto dell’irriducibile antagonismo e dellamai sopita rivalità tra differenti corporazioni di mestiere e, in particolare,tra quelle operanti in settori produttivi contigui, maggiormente soggette apiù o meno accidentali sconfinamenti in campi di competenza diversi daquelli rigidamente definiti per Statuto.Che non si tratti di episodi isolati è testimoniato dall’insistenza e dal

    rigore con cui molte Arti, sin dalla loro istituzione, fissano pene e san-zioni anche molto severe per punire tutti quei matricolati che, incurantidella spartizione di competenze tra le diverse corporazioni, «fanno lavorispettantino ad altra Arte»65: pene e sanzioni che sembrano inasprirsi sen-sibilmente a partire dalla seconda metà del Seicento, quando, in conco-mitanza con i processi di riconversione funzionale che interessano iltessuto produttivo cittadino, si assiste ad una profonda ristrutturazionedel sistema delle Arti, che vede non soltanto la scomparsa, o comunqueil netto ridimensionamento, di produzioni di antichissima tradizione, maanche la nascita di nuovi mestieri, il complicarsi dell’universo urbano

    65 Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b. 3, fasc.57bis.

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  • delle professioni ed una generalizzata ridefinizione degli ambiti di com-petenza delle corporazioni superstiti.Alla crescente frammentazione del panorama dei mestieri cittadini cor-

    risponde, infatti, il moltiplicarsi dei confini66 e, non di rado, delle zone grigietra una corporazione e l’altra e delle terre di nessuno; ed è proprio a cavallodi queste frontiere mobili, incerte, mai fissate una volta per tutte e negliinterstizi lasciati vuoti da quella che si potrebbe forse definire la corporati-vizzazione dei mestieri cittadini, pronti per essere colonizzati da parte deglioperatori economici più intraprendenti, che si dispiega in tutta la suaasprezza il conflitto intercorporativo, un groviglio inestricabile di liti e con-troversie per la difesa, la conservazione ed eventualmente l’ampliamento,da parte di ogni singola Arte, del proprio specifico campo di competenza,del proprio esclusivo spazio di azione.Tracce evidenti di tali sconfinamenti sono rintracciabili negli Statuti di

    molte corporazioni napoletane, in cui si fa esplicito riferimento ai continui«litigi», «disordini» e «differenze» che oppongono Arti diverse ma operanti inambiti affini, coinvolgendole in un ininterrotto contenzioso per la ridefini-zione e la riaffermazione dei propri confini violati.Emblematica, in tal senso, la vicenda che interessa, intorno alla metà del

    Seicento, le due corporazioni «de Fornari da cuocer pane, e de Tarallari ancococitori di pane». In un Memoriale presentato al vicerè Pedro Antonio d’Ara-gón nel febbraio del 1668 per la richiesta dell’assenso regio su una nuovaCapitolazione, i Consoli dell’Arte dei Fornari espongono come, «per lo spatiodi quattro anni continui», siano insorti innumerevoli litigi

    tra la dett’Arte de Fornari con quella de Tarallari per le differenze che erano tral’una, e l’altra, per causa che detti Tarallari pretendevano che detti Fornari di panea cocere fossero uniti, e sottoposti ad essi Tarallari, et all’incontro essi Fornarihanno preteso con la loro antica Capitulatione esserno separati da detti Tarallariet esigere da quelli come cocitori di pane un carlino il mese67.

    Dopo alcuni vani tentativi di conciliazione da parte dell’Eletto del Popolo,la controversia era stata oggetto di discussione «tanto nel Regio ConsiglioCollaterale, quanto nella Vicaria, con haverno fatte molte spese così d’Avo-cati, e Procuratori come d’Aiutanti», ma non si era comunque giunti a met-tere un punto fermo alla questione e a porre fine, una volta per tutte, alle«liti, odij, e rancori, che fra l’huomini di dette Arti erano nate, o potevanonascere», fissando in maniera meno incerta e fraintendibile il confine tra le

    66 Per un’analisi critica della nozione di confine nella recente riflessione storiografica, siveda: P. Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, B. Mondadori, Milano,2000. Sulla trasposizione di tale nozione nell’ambito della sociologia dei conflitti sociali, si veda:R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernità: saggi sulla politica della libertà, Laterza,Roma-Bari, 1990.

    67 Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b. 3,fasc. 60.

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  • sfere di competenza delle due corporazioni coinvolte. Confine che si decide,infine, di eliminare, allorché, nel febbraio del 1668, l’Arte dei Fornari sta-bilisce dei nuovi Capitoli per «il buon reggimento, e governo di loro profes-sione» ed i Consoli dei Tarallari, «non volendo più litigare sopra le cosepredette per evitare le liti, discordie, e spese, che ben spesso da quellesogliono nascere, ma per dare perpetuo silentio a dette loro differenze etacciò fra gli uni e gli altri vi sia per sempre una scambievole e reciprocacorrispondenza, buona pace e perpetua quiete», si risolvono, grazie allamediazione dei loro avvocati, ad accettare «espressamente la detta menzio-nata Capitulatione de Fornari» e a sottoporsi ad essa68.Similmente, per prevenire eventuali sconfinamenti di competenze e le

    controversie che ne possono derivare, nell’agosto del 1695, il nuovo Sta-tuto approvato dall’Arte grossa degli Ottonari, oltre a sancire il divieto perchi non è iscritto all’Arte di fabbricare o vendere manufatti d’ottone «con-cernenti al nostro officio», dedica ampio spazio alla puntuale delimita-zione del proprio campo di azione professionale, comprendente tutte«l’opre de ottone come sono candelieri di chiesa, croci, lampade, cancel-late e campane», rispetto a quello, affine, coperto dai Maestri Ottonaridell’Arte sottile, i quali, invece, «fanno fibbie, granette, chiodini e cen-trelle», e proibisce categoricamente ai maestri e ai lavoranti dell’Artegrossa di effettuare lavori che non spettano ad essa e di andare a «lavo-rare in botteghe di Ottonari di lavori sottili, come a dire Centrellari», sottopena della «perdita delle robbe» e del pagamento di una multa assai one-rosa di ben venticinque ducati69.Si tratta, a ben guardare, di prescrizioni e divieti piuttosto frequenti nelle

    Capitolazioni delle Arti, che tentano, spesso invano, di marcare il territoriodella propria specifica professionalità e si affannano a definire e ridefinirefrontiere e ad occupare tutti gli spazi vuoti tra una corporazione e l’altra, inuna incessante e mai definitiva spartizione di competenze, monopoli e «pri-vative». Come nel caso della Capitolazione del 1721 «fatta per gli magnificiConsoli dell’Arte d’Opera bianca, dell’Arte de Rivenditori e di quella de Bam-baciari», già da alcuni anni riunite in un’unica corporazione, in cui si vietaai Rivenditori «di vendere lane, mante, materassi et altra robba attinenteall’Arte di Opera bianca e Bambaciari» e, viceversa, si proibisce ai Bamba-giari e ai Maestri dell’Opera Bianca «di affittare letti, né altri mobili attinen-tino all’Arte de Rivenditori»70. O come nello Statuto approvato nel settembredel 1747 dalla corporazione dei Ferrari, nella cui terza ed ultima «rubrica»sono inserite alcune «leggi particolari» finalizzate a circoscrivere con la mas-sima precisione lo specifico campo di competenza di ciascuna delle nove

    68 Ibidem.69 Asn, Cappellano Maggiore. Statuti di corporazioni, congregazioni e altri enti civili ed eccle-

    siastici, b. 1201, fasc. 28.70 Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b. 6,

    fasc. 137.

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    La norma inefficace: conflitti e negoziazioni nelle Arti napoletane (secc. XVI-XVIII)

  • Arti che rientrano nella corporazione («Zappari, Chiodaroli, Brigliari, Chia-vettieri, Coltellari, Calcarari, Scopettieri, Spatari e Carrozzieri»), nonché afissare tutta una serie di pene e di sanzioni anche molto severe per queimaestri e quei lavoranti che «fanno lavori spettantino ad altra Arte» oppureche vendono «opere non bollate col bollo di nostra Cappella»71. Fino al paros-sismo, già segnalato da Franca Assante, di una così rigida e pulviscolaredivisione dei mestieri «che non permette, ad esempio, ai Calzolai di rappez-zare scarpe rotte e ai Ciabattini di fare scarpe nuove o ai Pelucchieri di eser-citare l’Arte di Barbiere e viceversa»72.Neppure una selva così fitta di divieti e norme capitolari che moltiplicano

    all’infinito i confini tra una corporazione e l’altra riesce, tuttavia, a prevenire,o quantomeno a ridurre e contenere, l’endemica litigiosità tra le Arti. Il reiteratoappello all’osservanza di simili norme e divieti, spesso largamente ignorati eimpunemente aggirati dai matricolati, e il progressivo inasprirsi delle pene edelle sanzioni previste per i trasgressori rappresentano, anzi, una prova ulte-riore dell’incolmabile sfasatura tra l’essere quotidiano delle Arti e il doveressere imposto dagli Statuti, vale a dire della difficoltà di far rispettare il dettatostatutario e di porre realmente un freno alle frequentissime liti e alle «irresolutedifferenze» che, a dispetto delle prescrizioni capitolari, scoppiano di continuotra le Arti, proprio a seguito dei ricorrenti sconfinamenti, da parte di singolimatricolati o di interi settori delle maestranze artigiane, nell’ambito di perti-nenza di corporazioni diverse da quella di appartenenza.Sembra quasi che, più la legislazione statutaria si ostina a tracciare con-

    fini e ad innalzare barriere tra un corpo d’Arte e l’altro, segmentando sem-pre più l’universo cittadino dei mestieri e delle professioni, più aumentanoe si intensificano le rivalità e gli antagonismi tra Arti affini. Insieme ai con-fini si moltiplicano, infatti, anche gli interstizi del sistema delle Arti, in cuipiù facilmente si inserisce e trova occasione di manifestarsi il conflittointercorporativo; inoltre, per quanto le Arti si affannino ad accaparrarsimonopoli e a spartirsi competenze e «privative», restano pur sempre sco-perti alcuni spazi vuoti, ed è proprio nel tentativo di colonizzare queste terredi nessuno, oltre che naturalmente nello sforzo di difendere e conservarelo spazio precedentemente conquistato, che non di rado si giunge allo scon-tro aperto tra corporazioni operanti in settori produttivi contigui.Come ha scritto Luigi Einaudi in un contributo ormai datato ma che con-

    serva una sua pregnanza e suggerisce alcuni interessanti spunti di rifles-sione, «l’introduzione di nuovi artefatti, il cambiamento di moda, le rapidevicissitudini del commercio interno ed esterno aggiungono una grandissimaconfusione nella classificazione già fatta», da cui conseguono «liti continuetra un corpo d’Arte e un altro pel preteso concorso o privilegio esclusivo del-l’esercizio di un’Arte nuova o dello smercio d’una merce di nuovo nome»73.

    71 Le sanzioni previste per i trasgressori variano da semplici multe alla perdita della licenza,fino alla carcerazione nei casi più gravi di recidiva. Ivi, b. 3, fasc. 57bis.

    72 F. Assante, Le corporazioni a Napoli in età moderna cit., pp. 74-75.

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  • Ciò significa che, a dispetto della loro solerte attività normativa e nonostantele pene severe comminate ai trasgressori, le corporazioni non riescono maia fissare una volta per tutte i limiti esterni della loro sfera di competenzaprofessionale, tant’è che, più che di confini stabili e ben definiti, è forse piùopportuno parlare di frontiere mobili, incerte, permeabili74, che delimitanouna sorta di zona grigia tra una corporazione e l’altra in cui, non di rado, lecompetenze si sovrappongono, talvolta de iure oltre che de facto.Nell’impossibilità di operare distinzioni certe e incontrovertibili tra le

    sfere di competenza delle singole Arti, il conflitto intercorporativo e il ricorsoalla giustizia diventano spesso occasione per riaffermare privilegi e rinego-ziare confini. È questo, ad esempio, il caso dell’aspra controversia – di cuidà notizia anche Francesco Pepere75 – che oppone per quasi mezzo secolo,dal 1721 al 1767, l’Arte dei Torronari alla piccola corporazione dei Franfel-liccari, venditori ambulanti nelle pubbliche piazze di bastoncini di zuccherocaramellato, detti appunto «franfellicchi».Fin dai primi anni venti del Settecento, i Maestri Torronari presentano

    insistenti ricorsi, dapprima, al Commissario generale dell’Arte e, poi, al RegioConsiglio Collaterale, per rivendicare a sé «la fabbrica de franfellicchi salaticomposti di melazza, ed aglio, dicendo quella esser soggetta alle loro Capito-lazioni, munite di Regio Assenso», e denunciare, di conseguenza, «la moltagente, che vagando in pubbliche piazze una tal fabbrica esercitano, mentreun tal mestiere totalmente tocca ad essi loro per la detta Capitolazione»76.Già nel 1721 e poi nuovamente nel 1734 e nel 1750, i Torronari ottengono,così, l’emanazione di alcuni «Banni proibitivi» ai danni dei Franfelliccari, cuiviene espressamente vietato di «manipulare tal fabbrica», nel tentativo diristabilire un confine certo tra la sfera di competenza delle due corporazionie porre fine alle frequenti contese tra i matricolati dell’una e dell’altra Arte.Tale tentativo si rivela, però, del tutto fallimentare, come si può agevol-

    mente dedurre dalle continue denunce presentate dai Torronari e dal fattoche i Bandi in questione debbano essere periodicamente rinnovati e ina-spriti nelle sanzioni previste, per via delle imperterrite violazioni da partedei Franfelliccari. Fino a quando, nel maggio del 1767, la piccola Arte deiFranfelliccari, ormai estenuata dall’eccessivo prolungarsi della controversiae messa a dura prova dal «grave dispendio» e dalle «tante spese da tal litederivanti», decide di sottoscrivere una convenzione con l’Arte dei Torronarie accetta di unirsi ad essa, «con formare a tal oggetto alcuni nuovi Capitoliper il buon governo delle due respective corporazioni»77.

    73 L. Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d’arti e mestieri, «Rivista di storia econo-mica», II (1941), p. 110.

    74 Cfr. F. Walter, Frontiere, confini e territorialità, «Storica», 19 (2001), pp. 117-139.75 Cfr. F. Pepere, Il diritto statutario delle Corporazioni di Arti e Mestieri cit., p. 28.76 Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napoletane, b. 3,

    fasc. 61.77 La «convenzione» tra le due corporazioni viene approvata e ratificata dalla Real Camera

    di S. Chiara esattamente un anno dopo, il 21 maggio 1768. Ibidem.

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  • Anche in questo caso, come in quello sopra citato dei Fornari e deiTarallari, a porre fine al lungo contenzioso tra le due corporazioni coin-volte interviene una salutare semplificazione dell’intricato e frammentatouniverso dei mestieri cittadini; semplificazione cui si giunge mediante ilriassorbimento, all’interno dell’Arte più potente, dotata di una più ampiae consolidata base sociale, di quella economicamente più debole e menoradicata nella società cittadina, la quale, dopo innumerevoli quanto vanitentativi di riaffermare la propria autonomia e di difendere il proprio spe-cifico ambito di competenza professionale, è costretta, infine, a rinun-ciarvi, in genere perché non più in grado di sostenere gli alti costimateriali e sociali connessi con un ulteriore protrarsi della contesa.Non sempre, però, una simile soluzione si rivela praticabile: essa

    richiede quantomeno che tra le due Arti coinvolte esista una decisiva asim-metria in termini di peso economico e sociale o, in alternativa, di consi-stenza numerica degli iscritti, cosa che non sempre si verifica in modo cosìnetto ed evidente. Senza contare che, non di rado, ad essere implicate inuna determinata controversia, magari in momenti diversi e con posizionimutevoli nel tempo, sono più di due Arti, il che contribuisce a complicarenotevolmente il quadro dei rapporti reciproci tra gli attori in gioco e a ren-dere molto più incerti e meno prevedibili gli esiti dello scontro.Esemplare, in tal senso, si rivela il fitto intreccio di liti e contenziosi che

    agita, con particolare virulenza tra gli anni sessanta e settanta del Sette-cento, un settore produttivo relativamente di nicchia, ma non per questomeno importante e redditizio, come quello della fabbricazione e venditadelle carrozze, di per sé caratterizzato, per la notevole complessità deimanufatti prodotti, da un ciclo di lavorazione piuttosto lungo e articolato,cui partecipano, con mansioni e competenze complementari, differentifigure professionali, ciascuna afferente ad una diversa corporazione dimestiere: dai Mastri d’Ascia (per l’intelaiatura e le altre parti in legno) aiSellari e ai Pellettieri Scamosciatori (per i sedili e i rivestimenti in cuoio oin pelle), dai Guarnimentari (per i finimenti e tutto il corredo dei cavalli)agli Orefici (per le rifiniture e le decorazioni in oro o in altri metalli preziosi),fino ai Carrozzieri o Scassacocchi, cui spetta «il rifare li lavori vecchi»78.Nessuno stupore, dunque, che, in una così rigida e frammentata divisionedi compiti e di mansioni altamente specializzate, gli sconfinamenti in ambitidi competenza diversi da quelli spettanti a ciascuna figura professionalesiano letteralmente all’ordine del giorno, fonte di continui disordini e ten-sioni tra le varie corporazioni coinvolte nel processo produttivo.Una busta voluminosa della serie Processi resoluti della Real Camera

    di S. Chiara79, relativa agli anni tra il 1760 e il 1773, riunisce tutta unaserie di cause civili dibattute dinanzi alla Real Camera per stabilire a chi

    78 Ivi, b. 2, fasc. 39.79 Asn, Real Camera di S. Chiara – Processi resoluti, b. 2.

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  • spetti la competenza di fabbricare e vendere questo o quel pezzo di car-rozza, oltre che per imporre un maggiore controllo, da parte di ciascunacorporazione, sul livello di formazione professionale e di qualificazionetecnica delle proprie maestranze, onde mantenere elevati gli standardqualitativi di una produzione di lusso come quella in questione.Degno di nota, per durata e asprezza della contesa, è, ad esempio, un

    processo celebrato di fronte ai magistrati della Real Camera tra il lugliodel 1761 e il febbraio dell’anno seguente, che vede come soggetti dellaprocedura giudiziaria i lavoranti dell’Arte dei Guarnimentari e i negoziantidell’Arte degli Scassacocchi80. I primi presentano «formale ricorso» controi secondi, denunciando che «la loro Arte viene cotidianamente usurpatada Scassacocchi, Cocchieri, ed altre persone non approvate all’eserciziodella medesima, contro l’espresso stabilimento della Capitolazione dellaloro Arte». Essi chiedono, pertanto, al re, per il tramite delle istituzionicompetenti, di intervenire per porre fine «agli addotti abusi» e, a tal fine,allegano agli incartamenti processuali alcuni Capitoli approvati nel 1621,onde dimostrare come tali sconfinamenti di competenza siano esplicita-mente proibiti a tenore dei Capi XVIII, XIX, XXVII e XXVIII delle detteCapitolazioni, nonché di alcuni Bandi emanati da Ferdinando IV propriotra il luglio e l’agosto del 1761, in cui si vieta «a qualunque persona nonapprovata a detta Arte di Guarnimentari di esercitare la medesima» e di«vendere lavori a quella appartenenti»81.La controversia, volta anche in questo caso a ridefinire i confini e i

    rispettivi ambiti di competenza delle corporazioni coinvolte, si trascina perparecchi mesi, in un ininterrotto susseguirsi di ricorsi e contro-denunce,suppliche al re e scaramucce tra i matricolati dell’una e dell’altra Arte.Sino a quando, nel febbraio del 1762, si giunge ad una soluzione di com-promesso e il processo si conclude con un decreto della Real Camera di S.Chiara in cui si dà licenza agli Scassacocchi «di poter vendere le carrozzegià terminate, e terminare le altre principiate, per poterle anche vendere»,ma, al tempo stesso, si stabilisce che «doppo terminate dette carrozze prin-cipiate, non altro si possa fare da essi negozianti Scassacocchi ed abbianoessi a chiudere le botteghe, o rimesse, ove sono in esecutione li detti lavori,[…] restando in loro diritto solo il rifare li lavori vecchi, come stà prescrittonelle di loro antiche Capitolazioni»82.In realtà, dalla documentazione successiva si desume che gli Scas-

    sacocchi non accettano di buon grado una simile soluzione, come sug-gerito da un ennesimo ricorso presentato alcuni mesi dopo alla RealCamera da due di loro, Domenico Greglia e Gennaro Mennillo, nel ten-tativo di ribaltarne la sentenza in proprio favore. Si tratta, però, di untentativo vano, dal momento che le nuove argomentazioni addotte dai

    80 Ivi, b. 2, fasc. 11.81 Ibidem.82 Ibidem.

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  • due Scassacocchi contro i Guarnimentari vengono giudicate insuffi-cienti per una riapertura del processo e la Real Camera non fa altro cheribadire la validità del decreto precedentemente emanato.Non è un caso, del resto, che simili controversie, finalizzate a difen-

    dere la propria fetta di mercato e ad affermare i propri privilegi di corpocontro possibili sconfinamenti da parte di singoli o gruppi appartenentiad altre corporazioni, si intensifichino in modo evidente a partire daidecenni centrali del XVIII secolo, vale a dire di pari passo con un pro-cesso generalizzato di progressiva chiusura e sclerotizzazione del sistemacorporativo. La difesa del monopolio sull’esercizio del mestiere rappre-senta, fin dai tempi più remoti, una delle finalità principali e costitutivedell’istituzione corporativa83, tutta protesa a marcare il territorio della pro-pria specifica professionalità, tanto contro i «liberi fabbricanti» quantocontro le altre corporazioni operanti in settori produttivi contigui; ma èindubbio e, per molti aspetti, comprensibile che lo sforzo profuso per latutela del mestiere e per la definizione dei confini si accentui sensibil-mente e si carichi di più stringenti motivazioni in connessione con unafase di crisi generalizzata dell’universo produttivo cittadino e di conse-guente irrigidimento del sistema delle Arti84, che tende a perdere terrenoe a mostrarsi sempre più inadeguato rispetto alle nuove tendenze delmercato e, non di rado, reagisce alle trasformazioni in atto arroccandosisulle proprie posizioni e innalzando barriere sempre più spesse e invali-cabili tra una corporazione e l’altra.Chiaro segnale di questo progressivo irrigidimento dei confini e del tenta-

    tivo di rendere sempre meno permeabili le frontiere di ciascuna professioneè pure l’inasprimento – anch’esso causa di interminabili controversie – dellanormativa che, in alcune corporazioni, consente alle vedove dei matricolatidi mantenere aperta la bottega del marito defunto, tenendo con sé alcunilavoranti che le affianchino nell’esercizio del mestiere. Mentre fino alla finedel Seicento, e talvolta anche oltre, tale licenza viene abitualmente concessaalle vedove senza limitazioni di sorta, «acciocché dette vedove possanovivere», a partire dai primi decenni del Settecento, molte corporazioni modi-ficano i propri Statuti e proibiscono a quelle vedove che si siano risposatecon «persona esercitante altro mestiero» di «continuare a far essercitare l’Artede di loro mariti defunti»85, onde evitare intromissioni nell’esercizio della pro-fessione e, in particolare, nella gestione della bottega da parte dei secondi

    83 Cfr. G. Borelli, Per una lettura del rapporto tra città, mestieri produttivi e corporazioni nel-l’Italia moderna, in A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli (a cura di), Corporazioni e gruppi professio-nali nell’Italia moderna cit., pp. 31-43.

    84 Cfr. L. Mascilli Migliorini, Il sistema delle arti cit., pp. 79-81.85 È quanto si legge nel nuovo Statuto approvato nel dicembre del 1718 dalla corporazione

    dei Ferrari, ma analoghi divieti vengono inseriti, negli stessi anni, anche nelle Capitolazionidi parecchie altre Arti. Bsdi, Raccolta Migliaccio. Statuti di Arti e mestieri delle province napo-letane, b. 3, fasc. 57bis.

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    Alessandra Mastrodonato

  • mariti, immatricolati in un’altra corporazione. Un divieto, questo, che nonmanca di suscitare «infinite liti e differenze» all’interno del mondo corporato,come quella che oppone, tra il febbraio e l’aprile del 1745, la corporazionedei Ferrari a due vedove di Maestri Chiavettieri86, Carmosina Pinelli e Cate-rina Stanzione, entrambe «passate a seconde nozze con due Mastri Sartori»87.Richiamandosi allo «stabilimento, ed antica osservanza» delle proprie

    Capitolazioni, che proprio su questo e altri punti altrettanto crucialierano state riformate nel dicembre del 1718, la corporazione dei Ferraridenuncia l’illecito commesso dalle due donne, le quali, pur essendo «pas-sate a seconde nozze con persone esercitanti altra Arte», continuanoimperterrite a «far essercitare l’Arte de di loro precedenti mariti, con nota-bile pregiudizio di essa corporazione e di sua Cappella». Ed è proprio inossequio al dettato statutario e a questa nuova e pressante esigenza diirrigidimento dei confini che il Delegato dell’Arte, chiamato a dirimere ilcontenzioso, accoglie le richieste dei Consoli, ordinando alla Pinelli e allaStanzione di «serrare le sudette botteghe tra il termine di giorni otto […]altrimenti, detto termine elasso, si darà la dovuta providenza» e le duedonne incorreranno in pene ben più severe88.Anche in questo caso, tuttavia, il tentativo di rigida fissazione dei confini

    e di erezione di sempre nuove barriere, fermamente perseguito dall’istitu-zione corporativa, si scontra con la refrattarietà dei singoli: le due donne,come si ricava da una successiva denuncia della corporazione, nonostantei divieti imposti dal Delegato e le severe sanzioni minacciate in caso di reci-diva, persistono ad esercitare l’Arte dei defunti