Alesandro Pizzorno - Saggio Sulla Maschera

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7/14/2019 Alesandro Pizzorno - Saggio Sulla Maschera http://slidepdf.com/reader/full/alesandro-pizzorno-saggio-sulla-maschera 1/25  — 85 — La nozione psicologica Esiste una nozione puramente psicologica e negativa di maschera: ciò dietro cui il volto dell’uomo si nasconde. La maschera è quanto appare agli altri; die- tro, celato e protetto, l’essere autentico resta cosciente della propria diversità. Ci si mette la maschera per apparire diversi da quelli che si è. La maschera è l’apparenza; il volto, sentito dall’interno, è la realtà. Il giudizio così s’inscrive nella prospettiva della coscienza di sé. Si sceglie, è vero, una maschera perché si sa che rappresenta un personaggio, ma poi il nostro rapporto con tale nuova apparenza si esaurisce lì, in questo sapere, in questa consapevolezza avuta dell’apparenza del personaggio a coloro che lo vedranno. La nostra coscienza sarà in contatto solo con l’interno buio ed informe, e ne percepirà una garanzia di distacco e di libertà. Se una situazione l’esige – cioè: se il nostro interesse in quella situazione l’esige – noi ci mostreremo allegri: ma sarà solo una ma- schera, noi in realtà, autenticamente, saremo tristi; viceversa: un funerale, ed indosseremo la maschera della tristezza come un abito di lutto, pur potendo avere ogni ragione di essere allegri; così è un riso, sotto la maschera, il pianto dell’erede «heredis fletus sub persona risus est ». Ma ecco allora che, tenendo ferma una simile nozione, ciò che noi siamo non riusciamo a determinarlo che come l’opposto di ciò che la maschera è. Se poi applichiamo agli altri il ragionamento corrispondente, saremo portati a ritrovare, come si dice, il volto sotto la maschera; il che significa ad interpre- tare il comportamento di una persona. Ma l’unico dato è la maschera che ci è di fronte; per ricostruire l’essere autentico non potremo che partire dal suo aver scelto tale maschera (e non un’altra). Tartufo porta la maschera di devoto ma non lo è. Che cos’è allora? Dire che è un ipocrita, ripete la formula, equivale, anche letteralmente, a dire: è «uno che porta la maschera». Non ci resta che chiamarlo un «non devoto». Lungi quindi dal poter definire la maschera in funzione del suo nascondere la persona, siamo ridotti a definire la persona come ciò che è fatto essere dalla maschera grazie al suo venir scelta e mostrata. STUDI CULTURALI - ANNO II, N. 1, GIUGNO 2005 Saggio sulla maschera di Alessandro Pizzorno CON/TESTI

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Alessandro Pizzorno - Saggio sulla MascheraAntropologia, sociologia, Studi culturali

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    La nozione psicologica

    Esiste una nozione puramente psicologica e negativa di maschera: ci dietro cui il volto delluomo si nasconde. La maschera quanto appare agli altri; die-tro, celato e protetto, lessere autentico resta cosciente della propria diversit. Ci si mette la maschera per apparire diversi da quelli che si . La maschera lapparenza; il volto, sentito dallinterno, la realt. Il giudizio cos sinscrive nella prospettiva della coscienza di s. Si sceglie, vero, una maschera perch si sa che rappresenta un personaggio, ma poi il nostro rapporto con tale nuova apparenza si esaurisce l, in questo sapere, in questa consapevolezza avuta dellapparenza del personaggio a coloro che lo vedranno. La nostra coscienza sar in contatto solo con linterno buio ed informe, e ne percepir una garanzia di distacco e di libert. Se una situazione lesige cio: se il nostro interesse in quella situazione lesige noi ci mostreremo allegri: ma sar solo una ma-schera, noi in realt, autenticamente, saremo tristi; viceversa: un funerale, ed indosseremo la maschera della tristezza come un abito di lutto, pur potendo avere ogni ragione di essere allegri; cos un riso, sotto la maschera, il pianto dellerede heredis etus sub persona risus est. Ma ecco allora che, tenendo ferma una simile nozione, ci che noi siamo non riusciamo a determinarlo che come lopposto di ci che la maschera .

    Se poi applichiamo agli altri il ragionamento corrispondente, saremo portati a ritrovare, come si dice, il volto sotto la maschera; il che signica ad interpre-tare il comportamento di una persona. Ma lunico dato la maschera che ci di fronte; per ricostruire lessere autentico non potremo che partire dal suo aver scelto tale maschera (e non unaltra). Tartufo porta la maschera di devoto ma non lo . Che cos allora? Dire che un ipocrita, ripete la formula, equivale, anche letteralmente, a dire: uno che porta la maschera. Non ci resta che chiamarlo un non devoto. Lungi quindi dal poter denire la maschera in funzione del suo nascondere la persona, siamo ridotti a denire la persona come ci che fatto essere dalla maschera grazie al suo venir scelta e mostrata.

    STUDI CULTURALI - ANNO II, N. 1, GIUGNO 2005

    Saggio sulla mascheradi Alessandro Pizzorno

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    Ecco che la semplice dialettica psicologica, pur partita da uningenua di-stinzione di essere da apparire, riconduce la nozione di maschera ad incidere in maniera costitutiva sullessere della coscienza. Questo il contesto che nella nostra cultura ambienta la metafora del mettersi la maschera. Ma la stessa espres-sione ha avuto un signicato proprio, ha designato un comportamento umano. La gura psicologica, pur conservandone, come vedremo, la struttura, non che un estremo fossile, deposto da gesti effettivi, i quali sono potuti essere culto, tecnica di governo o di educazione, spettacolo, festa. In essi, un oggetto che noi chiamiamo la maschera; dalluno allaltro un atteggiamento fondamentale, la partecipazione delluomo ad altri che lui stesso ai suoi dei, ai suoi totem, ai suoi eroi, ai suoi simili sua sola arte per riconoscere se stesso. Qual , in que-sti rapporti, la parte delloggetto, qual il suo essere, che cos la maschera1?

    La maschera come oggetto

    anzitutto un oggetto materiale, una cosa. Prima dessere posta sul volto di un uomo essa ha una realt propria, quindi una funzione autonoma. Pu, senza portatore, rappresentare il dio nel culto, come in Grecia; pu venir piantata nel centro della capanna ove si celebra il rito mortuario, come presso popoli dellAfrica Occidentale; pu venir posta in una tomba (anche se in questo caso esiste il riferimento ad un uomo, ad un corpo), come in molte civilt mediter-ranee. Non si tratta della semplice funzione di immagine, quale potrebbe averla una statua: la maschera indica assenza, nello stesso momento che afferma la presenza, un volto vuoto, bidimensionale, la sua testa, il suo corpo sono tutto ci che non l.

    La realt materiale della maschera risalta nella sacralit che le deriva dalles-sere fatta di questa o quella materia. Il legno, per esempio, collegato alla foresta; la foresta ambiente sacro per eccellenza, sede degli spiriti ancestrali, luogo

    1 Tra gli studi di carattere generale dedicati alla maschera citiamo il saggio di Georges Buraud, Les masques, Paris,1948 che, scritto in una lingua molto bella, evita di affrontare le questioni pi teoriche; quello di Ilse Schneider-Lengyel, Die Welt der Maske, Mnchen, 1934, ricco di riproduzioni fotograche magniche e caratterizzato dal tentativo di conciliare una considerazione delle funzioni delle maschere con una analisi estetica della loro fattura; e, inne, quello di Leon Underwood, Masks of West Africa, London, 1948, che cerca di precisare la posizione delleuropeo contemporaneo di fronte a questi nuovi oggetti che si presentano alla sua attenzione artistica. Rispetto a questultimo punto, che va ben oltre le maschere per ricomprendere molti altri oggetti, questo studio pu fungere da introduzione. I termini della questione sono: ha un senso per noi giudicare artisticamente degli oggetti originariamente destinati ad altro uso? Ci sembra che si potr rispondere affermativamente solo quando si saranno stabilite le corrispondenze fra le condizioni nelle quali si presentava luso cui quegli oggetti erano destinati e le condizioni di ci che per noi contemplazione artistica. Quelle prime condizioni, studiando le maschere, abbiamo potuto descriverle principalmente come essere in un tempo concluso, partecipare ad una realt, identicandosi con essa, al di l della quotidiana identit personale. Ci sembra cos di aver esaurito un primo aspetto della questione. Rester da esaminare il senso di queste nozioni in riferimento alle nostre concezioni dellarte.

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    dove si raccolgono le societ segrete custodi delle maschere, quasi tempio. Cos la terra, che da molti popoli dellAfrica Occidentale viene considerata la madre di tutte le maschere, e che pu essere insieme spirito ancestrale e dea. In molti popoli persino il colore ha una virt propria, in s; cos il bianco il colore degli spiriti per quasi tutte le popolazioni africane; il rosso, colore del sangue, come anche delle bre mitiche che il dio Amma ha regalato agli uomini, il colore pi investito di signicati religiosi fra i Dogon (in Africa Occidentale) per i quali esiste uno spirito, unanima del colore.

    La realt privilegiata, sacra, che viene attribuita alla materia della maschera, la realt sacra della Natura. Curiosa una cerimonia di iniziazione nel Queen-sland: gli anziani si nascondono fra le cime degli alberi, gigantesche maschere informi, e di l parlano (diventati spiriti, forze naturali?) a giovani da iniziare. Da una parte la maschera appartiene alla Natura, il suo dominio il non-costruito, ci che precede e si distingue dal villaggio: , abbiamo visto, la boscaglia; l il suo rifugio, l si riuniscono le societ segrete che lhanno in consegna, l il luogo della guerra e della caccia, cui gran parte delle cerimonie mascherate fanno riferimento. Per le popolazioni di agricoltori ci signica molto spesso un riferimento agli antenati che non vivevano ancora nel villaggio. Insomma la maschera porta in s una presenza di Natura. Ma volta verso gli uomini, fatta dagli uomini e per essi, per le loro cerimonie e culti e feste. , in questo senso, un volto della Natura secondo misura umana. I Romani e i Greci di epoca tarda lappendevano agli alberi o la lasciavano qua e l nei boschi e nei giardini; essa ritrovava cos il suo ambiente originario, lassenza dietro il suo volto era presenza della Natura2.

    Non solo la materia della maschera esiste prima che la maschera venga fatta, l prima che luomo la formi, ma lessere chessa rappresenter ha una realt della quale luomo in presenza indipendentemente dalla propria capa-cit di produzione. La maschera un oggetto fabbricato, quindi normalmente compreso dallintelligenza produttiva delluomo; si riferisce per a presenze (rappresentandole) delle quali luomo ha unicamente esperienza obbiettiva. E per la sua materia, e per la sua immagine, la maschera avr una realt propria, non messa in opera dalluomo; fabbricandola luomo far prova della propria potenza produttiva su presenze non dipendenti da lui; a sua volta, loggetto chegli avr fabbricato acquister, da quelle presenze cui si riferisce, la dignit dellessere autonomo (cio ne a se stesso, compiuto, concluso).

    2 Oltre allafrica occidentale esistono ancora oggi in Europa luoghi di orente diffusione delle ma-schere, cfr. lo studio di Karl Meuli, Schweizer Masken, Zrich, 1943 sulle manifestazioni legate alluso delle maschere nei paesi alpini. Da ricordare che dal germanico masca lautore fa derivare la parola attuale (come del resto la parola Arlecchino da Harilo-Hing, re degli eserciti). In questo studio la maschera viene spiegata come un tentativo di dare espressione sempre temporanea e limitata al sopranaturale, come una forma di rappresentazione di un essere e non come la possibilit e la modalit di una identicazione vera e propria.

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    Vogliamo dire che la fabbricazione della maschera una delle forme per le quali la tecnica, riuscendo a costruire una rappresentazione, si pone come attivit mediatrice fra il fare umano e il mondo delle presenze obiettive (divine, naturali, mitiche). Umanizzazione della realt naturale e sacralizzazione dellatto produttivo umano, quindi. A cui corrisponder un doppio atteggiamento delluomo verso la produzione della maschera: da una parte continuer a fabbricare tale oggetto; dallaltra, nel mito, spiegher lorigine della maschera come il dono di un dio, o degli antenati mitici, o di qualche altro essere soprannaturale.

    La maschera e la morte

    Natura non soltanto il bosco o la terra, ma natura fondamentale per luomo la morte. Materia non soltanto la durezza o il colore, ma la rigidit, cio il non mutamento nel tempo, lidentit della cosa a se stessa. La maschera volto, aspetto umano, rappresentazione; ma cosa materiale, rigida, immutabile, come morta. La maschera e la morte sono in connessione fondamentale. Lo si potuto pensare sin per lorigine formale: il modello originario della maschera sarebbe stato il teschio umano o il cranio di un animale. Se ne potrebbe trovare unallu-sione in un mito Dogon, secondo il quale la prima maschera danimale fu tagliata per sostituire su di un altare il cranio di una bestia uccisa, perch il potere del cranio era diventato insufciente a proteggere contro la vendetta dello spirito.

    Teschio fatto maschera (con un rafnato lavoro di mosaico incrostato, con gli occhi di metallo che ci specchiano se li si guarda) quellallucinante capolavoro azteco, al British Museum, rappresentante, si crede, Tezcatlipoca, il dio del cielo. Similmente, la maggior parte delle maschere dellOceania composta di crani ancestrali, nei quali la carne stata sostituita da una materia articiale, simile allar-gilla. Ma poi pensiamo solo a quelle statuette porta-teschio della Nuova Guinea e di altrove: una piccola gura umana di legno sostiene, al posto del capo, un vero teschio umano. Il teschio la realt duratura del volto estinto, il corpo di legno solo sostegno e appendice del ricordo. E poi le orbite delle maschere (ma non di tutte) ricordano quelle dei teschi, che guardano senza occhi.

    Da teschio a maschera? Anche se tale genesi pu venir dimostrata per al-cune forme, essa ci interessa solo come una testimonianza fra altre. piuttosto nella vita di questo oggetto, nei miti che ne illustrano la ragione in questo o quel popolo, nei riti e negli usi, che va cercato, non lorigine, ma il senso di tale rapporto. Per i Dogon, ad esempio, la prima Grande Maschera stata costruita come copia in legno del cadavere del primo antenato morto (e trasformato in serpente) allo scopo di ingannarne lanima per farvela entrare e ssarvela. Simile funzione di ssazione delle anime dei morti hanno avuto le maschere di danza presso i Cinesi.

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    Per rinnovare la gran maschera, poi, i Dogon celebrano ogni sessantanni il loro rito maggiore, il Sighi. Esso era stato indetto originariamente in espiazione della colpa del primo antenato che, avendo voluto conoscere la lingua segreta, fu, per la prima volta nella storia degli uomini, colpito dalla morte. Apparizione della morte, quindi, e apparizione della maschera o, pi precisamente, la maschera viene a ristabilire lordine sul disordine provocato dalla morte. Fra la stessa popo-lazione, le altre cerimonie nelle quali le maschere vengono mostrate (facendole uscire dal loro rifugio segreto, fra le rocce) sono i funerali, e il Dama, che la celebrazione particolarmente solenne di uno o pi morti.

    Anche quando luso delloggetto esce dal dominio cultuale vero e proprio un misterioso legame sentito fra esso e la morte: presso i Salish (come fra altre popolazioni dellAmerica del Nord Ovest), quando una famiglia organizza feste o rappresentazioni nelle quali sia prescritta lapparizione di una maschera, non il proprietario a indossarla, ma viene stipendiato un estraneo, generalmente un vecchio: perch a chi porta la maschera tocca una morte prossima.

    Luso della maschera nei culti funerari dei popoli mediterranei, si pu dire che avesse in generale signicato apotropaico: si muniva il morto di questoggetto perch spaventasse i demoni pronti a molestarlo nel suo viaggio alloltretomba. Ma non altrettanto si pu dire delle maschere deposte nei sepolcri. Si guardino le cinque maschere doro battuto trovate da Schliemann nelle tombe di Micene: hanno tratti realistici, si riferiscono evidentemente a persone particolari. pro-babile che esse rappresentassero in oro, in materia immarcescibile il volto dei defunti. Quel volto doro era il volto denitivo, che non sarebbe pi mutato, che fuori della vita avrebbe continuato a vivere trionfando sulla morte.

    Volto denitivo, ed anche volto autentico, che coincide con il vero essere del defunto, e del quale il volto di carne non era stato che una apparenza transitoria. Questo evidente per gli Egizi, che hanno conosciuto la maschera probabil-mente soltanto in riferimento alla morte. Le maschere che troviamo poste sul volto delle loro mummie sono, come stato detto, il viso eterno, il ritratto soprannatu-rale del morto. La nozione di Ka, della copia o doppio di un individuo, suo corpo astrale, trovava probabilmente nella maschera la corrispondenza pi apparente.

    Tale condizione della maschera confermata dai vari usi i quali presup-pongono che impossessarsene signica impossessarsi del potere (o, in generale, di ci che gli antropologi chiamano mana) dellessere chessa rappresenta. Per esempio, i re Baul (in Africa Occidentale) portavano al collo, o incastrate sulle loro spade, le maschere in miniatura dei capi nemici uccisi o prigionieri: in modo che la loro propria forza venisse accresciuta della forza di quelli. Inoltre, fra le popolazioni della Nigeria esistono strane maschere in forma di capanna: si pensa chesse riproducano le capanne sacre destinate alla dimora delle anime dei morti; le maschere stesse sarebbero quindi abitate da quelle anime.

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    Siamo aiutati anche da numerose etimologie. Nella lingua dei Dogon, ma-schera si dice imina, che signica: ci che cattura e ssa il nyama; cio, come mana, lessenza, lanima, la potenza di ogni cosa. (Abbiamo gi ricordato il mito di questo popolo che conferma il senso della parola). Nella lingua delle popola-zioni della Liberia del Nord-Est, la parola che signica maschera, Ge, serve anche a designare lo spirito umano generale, e lo spirito degli antenati in particolare. Da notare ancora, fra queste popolazioni, che ogni personaggio importante possiede una propria piccola maschera, la quale rappresenta la sua essenza, il suo ritratto ideale3. E che sia cos, che non si tratti cio di un semplice ritratto del volto, pi o meno stilizzato, dimostrato dal caso dei gemelli, i quali posseggono una sola essenza, ma doppia. Se uno dei due muore e si tratta di un caso ben augurato, perch evita gravi complicazioni rituali la maschera dellaltro rappresenter la sua essenza immutabile di gemello: sar dunque doppio e avr due nasi, due bocche, e cos via.

    Pi vicino a noi, in latino, larva, vuol dire sia spettro sia maschera. Quanto alletimologia dellaltro termine designante la maschera, persona, abbandonata quella a cui si creduto a lungo, da personare (risuonare attraverso), la si cerca ora nellEtrusco (si sa che letrusca era una civilt in cui era molto diffuso luso della maschera). Probabilmente da che non accertato cosa volesse dire, ma che si legge in una iscrizione sepolcrale (sulla Tomba degli Auguri, a Tarquinia), fra una testa mascherata e un uccello che esce dalla bocca del defunto. Lambiguit signicativa: fra anima del morto e maschera. In ogni caso, in piena latinit, la parola persona serve ancora a designare le anime dei morti, specialmente nelle formule di esecrazione, in perfetta coerenza con la credenza latina che i morti sopravvivessero come maschere.

    Quella che oggi viene chiamata maschera mortuaria, cio il calco di gesso col quale da qualche secolo si usa ritrarre le sembianze di certi defunti ha tuttal-tra origine: probabilmente una curiosit quasi scientica di cogliere lobbiettivit assoluta di un volto; una fotograa plastica preparata per lindagine ancor pi che per il ricordo. Nulla, pi, di culturale. Ma riprodurre il volto della morte signi-ca riprodurre un volto che non esprime, nel quale non pu trasparire nessuno stato danimo, nessuna intenzione umana. un volto che nulla apparentemente distingue dal volto quotidiano, se non quella profonda assenza despressione che lespressione della morte. Come la maschera, allora, un volto umano al quale stata sottratta la persona; ma volto vero, denitivo (anche se, in questo caso, illustrativo, non essenziale), destinato a durare per gli altri al di l di ogni mutamento, di quella stessa persona abolita.

    3 Si veda G.W. Harley, Masks as Agents of Social Control in Northeast Liberia, Cambridge (Mass.), 1950, in cui viene minutamente descritto il sistema politico e religioso che gestiva, attraverso gli ufci di una societ segreta, loro in un intero gruppo di popolazioni africane.

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    La maschera e il mondo mitico

    Questo allora possiamo gi dire: la maschera comincia l dove si abolisce la persona; lespressione vi si pietrica, anzi non pi tale ma unapparenza di-ventata identica a se stessa. Tutta fatta di morte, sopprimendo la persona peritura si afferma e fonda la partecipazione della morte alla vita, e pu quindi, come ricordano i miti, ovviare alla morte. Se volto di morte, irrigidito, fatto cosa, la maschera appartiene allimmutabile, allidenticabile; sar identica a se stessa, allessere che rappresenta, attraverso il tempo. Chi di fronte alla maschera sar in presenza di un essere che nalmente fedele a se stesso, che realizza lidentit con se stesso. Tali sono gli esseri che appartengono al mito, o semplicemente al passato, tali sono gli antenati.

    Molti popoli fondano gran parte della loro vita religiosa e civile sul culto degli antenati, sulla partecipazione al loro potere, sulla presenza del passato. Gli antenati sogliono allora compiere visite periodiche, durante le quali si svolgono cerimonie, feste, rappresentazioni improntate alla loro presenza. Essi possono incutere terrore, punire o premiare, portare doni od esigerne. Nelle rappresentazioni pi complesse vengono rifatte le azioni compiute nel periodo mitico. La maschera il volto che tali esseri assumono per la loro presenza tra gli uomini. La loro terra il mito, luogo dove il tempo tutto trascorso, cio concluso; dove i fatti, anche se periodicamente ripetibili, sono propriamente gi fatti, i destini gi realizzati, la ne data con linizio, esattamente come la maschera uguale a se stessa dallinizio alla ne. A questo tempo corrisponde, nel mondo degli uomini, il tempo della festa per la sua periodicit, la sua rigida delimitazione temporale, astratta dal tempo quotidiano.

    La maschera partecipazione al mondo del mito: allaldil del tempo, perch essa stessa al di l del tempo come cosa, come materia; alle gure del mito, perch, come esse, gura identica a se stessa, permanentemente conclusa. Si consideri una cerimonia funeraria nella Nuova Bismarck: un uomo mascherato che si preparato di nascosto, sorge dalle ceneri del morto appena bruciato. I familiari accorrono, si prosternano ai suoi piedi, lo riconoscono come rinato. lo stesso di prima, ma non nel mondo di prima. Se ha una maschera, mentre prima aveva un volto, che appartiene a un altro mondo, quello del mito, degli esseri ormai identici a se stessi. La maschera continuazione, segno di passaggio e insieme di partecipazione.

    Lidenticazione

    Ma se nella tomba la maschera realizzava una situazione limite: la persona era sicamente annullata; ora la troviamo in unaltra situazione, che la sua propria:

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    di essere portata sul volto di un uomo. Essa ha allora un corpo. Secondo molti rituali, la sacralit delluomo che serve da sostegno entra esplicitamente a com-porre la sacralit della maschera. Lessere mascherato un mostro, perch il suo volto non appartiene al suo corpo o, meglio, perch volto e corpo sembrano appartenere a due nature differenti. Ma anche in ci si riafferma la propriet della maschera di costituire partecipazione. Il mostro unione di due esseri distinti, perci partecipazione incarnata delluno allessenza dellaltro. Cos i mostri e i mascheroni sulle pietre delle cattedrali e delle fontane sono la partecipazione della materia a un mondo vivente.

    Lunione delluomo e dellanimale si variamente manifestata in tutte le religioni. Essa signica non tanto la presenza di ci che diverso, verso il quale luomo fuggirebbe una nozione di s che in realt non formula ancora, bens dellobiettivo, identico a se stesso nella sua rappresentazione, nel quale luomo intende trasformarsi allo scopo di identicarsi ad un essere e riconoscersi e farsi riconoscere.

    Grazie alla maschera luomo si identica a questi esseri. Ma che senso ha questo identicarsi? E in quali condizioni si verica? Si potr ancora parlare in questo caso, di abolizione della persona, che pure tronco e sostegno della ma-schera, e si muove e si atteggia? Si potr ancora dire che la maschera o, adesso, la persona mascherata realizza lidentit con lessere che rappresenta?

    Lidenticazione cultuale presupposta generalmente da tutti i culti nei quali la maschera venga adoperata; gli esseri mascherati che si presentano nel culto degli antenati, sono gli antenati stessi; lessere mascherato che sorge dalle ceneri, il morto stesso. Esaminiamo a questo proposito un altro caso, fra i pi comuni (anche in popolazioni di civilt complessa come a Giava, a Bali e nel Tibet, ecc.): le maschere vengono adoperate in cerimonie destinate a scongiurare certe malattie. Il senso della cerimonia che le persone mascherate si identicano ai demoni fautori della malattia, per cui impossessandosi della potenza di costoro, si mettono in grado di neutralizzarli. Spesso le stesse maschere riproducono sin-tomi facciali di una malattia determinata; e le persone che le indossano imitano i comportamenti sintomatici di tali malattie4.

    Lo stesso principio informa gli innumerevoli tipi di danze e cerimonie per la caccia, nelle quali la maschera permette lidenticazione allo spirito dellani-male (e trascuriamo qui tutto quanto andrebbe detto sui riferimenti totemici) per invocarlo, scongiurarlo e controllarlo. Cos fra gli Indiani dellAmerica del Nord si organizzano vere e proprie pantomime che precedono la spedizione per la caccia al bisonte. Un mascherato mima il bisonte, altri i cacciatori. La rappresentazione avr efcacia sulla disposizione dei bisonti da cacciare, i quali

    4 Si veda il numero speciale della rivista Ciba, Le masque et la maladie, curato da Steinmann, 1949.

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    si lasceranno avvicinare ed uccidere. O, analogamente, le danze guerriere, con lidenticazione allo spirito del nemico.

    Insomma, il senso di simili cerimonie, senza il quale non avrebbero ragion dessere, che luso della maschera realizzi lidenticazione con lessere che essa rappresenta. Chiariamo subito che tale identicazione non psicologica. Non bisogna intendere cio, che la persona che indossa una maschera creda di essere il dio, lo spirito, lantenato, o altri che sia rappresentato; n che lo credano coloro che vedono. Porre la questione in questa forma, non ha senso. Se lo si fatto stato probabilmente per lassenza in certe religioni di una dogmologia espressa, che si tentato di sostituire con un sistema di interrogativi e di osservazioni. Non cinteressa sapere se questo o quel prete, questo o quel fedele, credano realmente (si dice e sintende: psicologicamente) alla presenza divina nelleucarestia; cin-teressa il dogma delleucarestia, senza il quale la cerimonia non avrebbe ragion dessere. Cos non cinteressa sapere se questo o quellofciante creda realmente di essere il dio rappresentato dalla maschera che indossa; cinteressa il fatto del-listituzione che d senso alla cerimonia.

    Non che tale stato di trasformazione non possa vericarsi, siologicamente, diremmo, o patologicamente. Si sa che la maschera indossata generalmente danzando, che la danza pu diventare parossismo, vertigine, e che quella deter-mina una forma di estasi, di assorbimento mistico, attraverso il quale si realizza lillusione. Qui per la maschera (e lo vericheremo per lo sciamanismo) si riduce ad essere una fra le altre tecniche che mirano ad analoghi effetti siologici.

    Le distinzioni che sarebbero necessarie qui, fra lucidit e trance, fra pro-posito ed estasi, sono impossibili a tracciare rigorosamente; tali stati di coscienza si compongono dialetticamente e non naturalmente; in ogni caso essi si situano al di qua della maschera, in un luogo quindi, che per noi che vediamo loggetto, non esiste pi. Ponendosi come volto di realt naturale, obiettiva, sopra il volto dellespressione personale, la maschera rimuove la frattura fra coscienza e com-portamento. La coscienza si realizza allora, senza residui, alla supercie dei gesti e delle forme. Essa allesterno dellessere mascherato, nel suo esser visto, nello sguardo che lo cinge. Se la maschera sopprime la coscienza personale, per realizzare lidentit di coscienza di tutte le persone che ne sono alla presen-za. Cos, con parole hegeliane, essa realizza la Aufhebung der Entzweiung, la sussunzione della dualit.

    Il ritmo, lidentit e la partecipazione

    Cinteressa allora ritrovare le condizioni obiettive per le quali si determina una simile relazione di identit delluomo nella maschera. Se la vertigine saltatoria una situazione limite, la danza, quindi il movimento e il ritmo, sono condizioni

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    capitali. Nella maschera stessa, nella sua composizione: la plastica della masche-ra una coreograa, stato detto. Se il portatore immobile, un movimento, almeno di sguardi, sar provocato intorno ad essa. Fra gli antichi Italici, nelle celebrazioni agricole, erano in uso maschere scintillanti, le Oscilla, sospese agli alberi, la cui virt risiedeva interamente in quel loro movimento. Certe maschere di popolazioni artiche sono di rame e vengono indossate da circoli di persone attorno al fuoco. Fra i rilievi e le cavit del rame il fuoco danza i suoi bagliori, in un rinnovarsi vertiginoso di espressioni, no allebbrezza. Cos forse per ogni maschera il senso vero, tale danza immobile di lineamenti.

    Nel ritmo i gesti vengono messi in rapporto ad altre presenze assieme alle quali ora si debbono formare, non pi puramente sospesi alla loro funzione. Nel ritmo la comunicazione non semplice contatto, composizione, comune azio-ne, davanti allaltro e per laltro. Nella danza i gesti si separano dal loro signicato quotidiano, sono per essere mostrati, non per fare, sono contenti in se stessi, non mezzi alla fabbricazione di un oggetto. La danza anchessa partecipazione nella composizione. Ed fondazione di una realt che ha un inizio e una ne che sar in essa compiuta5.

    Di partecipazione e di conclusione strumento la maschera. Nel movimento che la condiziona essa ssit. Nella vicenda dei gesti il segno della maschera resta immobile, identico a se stesso da istante a istante, tale alla ne qual era al principio. In quella danza essa parola immobile ed eterna. allora che la maschera emerge unica portatrice di realt in un mondo ove il fare quotidiano annulla se stesso nellesasperazione del suo proprio imitarsi e ripetersi. I gesti dissolvono ci che essa ricostituisce, i movimenti denudano ci che essa copre. Unica apparenza ed unica realt, essa ristabilisce su di un volto abolito lidentit di un essere6.

    Ma in un altro senso la maschera si fonda nel ritmo e chiama la partecipa-zione. Ritmo in tutte le manifestazioni a cui luomo si trova di fronte, fra lalter-narsi della stagioni, fra la semina e il raccolto, fra il giorno e la notte, fra la vita e la morte... Tutto si chiude e conclude in ciclo. Lanno muore e rinasce. Luomo muore e ritorna nella terra, e dalla terra ritorna alla vita. Per cui in antichissime

    5 In La danse sacre en indochine et en indonsie, Paris, 1951 Jeanne Cuisinier mette in evidenza limportanza della maschera nelle danze sacre, sottolineando che grazie ad essa il danzatore si integra al mito rappresentato.

    6 Per quanto riguarda la nozione di partecipazione si sa che Lvi-Bruhl, soprattutto in Les fonctions mentales dans les socits infrieures, Paris, 1910, ne fa uno dei principi fondamentali della mentalit primitiva. Ma ci sembra che essa abbia un senso differente da quello che vogliamo darle. Lvy-Bruhl for-mula una vera e propria legge della partecipazione la quale starebbe alla cos detta societ primitiva o pre-logica come la legge della non-contraddizione sta alla mentalit logica. I comportamenti che risultano incomprensibili secondo le nostre categorie logiche diventerebbero comprensibili applicando la legge della partecipazione, secondo la quale esiste una partecipazione tra gli esseri o gli oggetti legati in una rappresentazione collettiva. Ogni atteggiamento che vada dalla credenza nellefcacia della rappresenta-zione imitativa sino allidentit essenziale per cui, p. es. i Boror, popolo del Brasile del Nord, credono

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    forme di sepoltura il morto veniva posto sottoterra in posizione accucciata, per essere pronto alla rinascita. Di questo ritmo universale i riti di passaggio segna-no e celebrano i momenti. Dalluno allaltro c passaggio e rinnovamento, ma anche frattura e morte. Fra luno e laltro c partecipazione: i vivi partecipano allessenza degli antenati; i giovani degli anziani; gli iniziandi degli iniziati. La maschera strumento di questa partecipazione in quanto presenza di coloro che sono gi passati.

    Proprio per perch manifestazione di ci che passato, ma che anche ci a cui si passer, essa permanenza; come la sua rigidit fra i movimenti di chi danza. Nellincessante passaggio e ritmo ci che permanenza, durata, identit, ci che resistendo al tempo, rappresenta il tempo nel suo aspetto di eternit, pu fondare partecipazione; la maschera un oggetto creato dagli uomini per il loro comunicarsi. Comunicarsi gli uomini possono solo ritrovando, almeno per listante di uno sguardo, o di una danza, una comune identit in un oggetto.

    La maschera nasconde e rivela

    Tale la prima condizione concreta della maschera: su di un volto in una danza, centro di sguardi. Ora possiamo passare e descrivere, come altra condizione per lidenticazione allessere rappresentato, quel fatto che apparentemente primordiale: la maschera nasconde. La persona che nascosta cessa di innestare la propria azione sul corpo della sua storia quotidiana, interrompe la propria identit personale, sottrae ogni azione che compie alla responsabilit del prima e del poi. Anche in questo signicato, la maschera realizza il vuoto sotto di s, sinstaura unica realt sopra unassenza.

    Ci che viene nascosto in chi porta una maschera viene abolito, o resta al massimo come fatto privato, interno a una coscienza; senza espressione n co-municazione; cui neppure uno specchio rimane, per riconoscersi. La maschera nasconde, giusto, ma si tratta di un nascondere che abolisce e identica. Un modo, cio, di realizzare lessere che la maschera rappresenta. Ci che appare e vive, infatti, sono gli atti di una nuova identit, immediatamente inserita nella

    effettivamente di essere pappagalli rossi diventa concepibile per una mentalit retta dalla legge della partecipazione. Si sa che il Lvy-Bruhl stesso, verso la ne della sua vita, in conferenze e nei Carnets postumi ha rinunciato per buona parte alle sue teorie. A noi qui interessa solo ribadire che la partecipazione va rintracciata non in una mentalit, bens in istituzioni, primitive o no. E che l non sia che un comportamen-to che si differenzia da quelli che presuppongono lidentit personale. A conferma di questa posizione leggiamo recentissimamente un articolo di Roger Bastide, Contribution a ltude de la partecipation, nei Cahiers Internationaux de Sociologie, 1953 in cui si critica lutilizzo della partecipazione come categoria affettiva: essa sarebbe piuttosto una categoria pragmatica, di signicato culturale e non psicologico o mentale. Piuttosto che come azione mistica o come associazione mentale la partecipazione va vista, come anticipato da Leenhardt, secondo il modello dellazione mitica.

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    presenza degli altri, fatta essere dagli sguardi degli altri. I gesti dellessere masche-rato sono nudi, hanno ritrovato una necessit essenziale: di essere in funzione del loro esser veduti come autonomi da ogni preoccupazione, da ogni riferimento alla storia quotidiana della persona. Che un individuo si mascheri, e le sue mani, i suoi piedi, non saranno pi strumenti delle sue intenzioni, bens consisteranno compiutamente nella loro presenza fra gli altri. E tale presenza, nel circolo che racchiude la realt di una cerimonia, di una rappresentazione, di una danza, sar quella di un essere che viene riconosciuto per la sua identit a se stesso.

    Un caso particolare quello di certe maschere per sciamani (soprattutto della Siberia del Nord) il cui uso viene generalmente interpretato come facilitante la concentrazione interiore, lassorbimento mistico, il distacco dal mondo esterno. Ricordiamo anche che molte maschere africane sono composte in modo che lo sguardo, leggermente convergente, volto verso linterno, si direbbe, lasci unim-pressione di concentrazione profonda. La maschera dello sciamano (spesso di cuoio o di metallo) non rappresenta niente di particolare, un semplice schermo con dei fori agli occhi e alla bocca. Essa conseguente alla natura dello Sciama-nismo, che non un sistema di culto ma piuttosto una tecnica mistica (anche se con riessi sociali). La maschera serve allo sciamano per realizzare quellassenza dal mondo degli uomini che si convertir in viaggi mistici verso altri mondi; lo sciamano un solitario, la maschera favorisce e protegge la sua solitudine; ma questa solitudine a sua volta non che strumento per un pi ampio o pi intenso contatto: anche qui la maschera signica partecipazione. (Lo Sciamanismo conosce altre maschere, gurative e molto lavorate; generalmente maschere di malattie, o, bianche, rappresentanti spiriti). La condizione per ottenere la concentrazione interiore qui evidentemente lessere nascosti7.

    Ma se nascondere una condizione di assorbimento e di assenza, esso pure condizione di presenza di altri: nascondere sempre a qualcuno, e cos rivelare. Si ripete la condizione che indica il rapporto fondamentale: la presenza a coloro che guardano. Lessere rappresentato dalla maschera determinante nella situazione del mascherato, in quanto essere cio presenza identicata e conclusa; e in quanto rappresentato, cio reso presente ad altri.

    Certo, anche nella relazione corrente fra due individui, la rappresentazio-ne che fonda per luno lidentit dellaltro; la quale rappresentazione si sottrae al mutamento dellapparenza grazie a riferimenti costanti che permettono il riconoscimento, lidenticazione. Vedremo come lemergere di tale consapevo-

    7 Cfr. lo studio di Mircea Eliade, Le Chamanisme, Paris, 1953, in cui le maschere vengono considerate come una sorta di tecnica di integrazione o comunicazione magica. Lautore tende per a non differenziare a sufcienza tra la funzione della maschera e quella del costume. Sulla scorta di numerosi altri autori Eliade accetta la tesi del rapporto tra maschera e societ segrete degli uomini in relazione al matriarcato. Kroeber e Holt si oppongono parzialmente a questa tesi in uno schematico studio Mask and Moieties as a Culture Complex, pubblicato nel 1920 in The Journal of the Royal Anthropological Society.

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    lezza psicologica sia stato storicamente parallelo al costituirsi di una nozione di persona e allabbandono della funzione della maschera. Ma la rappresentazione della persona subisce, nella sua presunzione didentit, la necessaria interferenza dellinterpretazione dellapparenza con la quale la persona ci si fa conoscere; cio del riferimento di una condotta al principio che lidentica nel tempo. Men-tre per la maschera sia la constatazione della sua obiettivit autonoma da ogni modo espressivo, da ogni mutazione dellapparenza, sia il riferimento ad un essere soprannaturale (nel senso pi comprensivo: mitico; cio extra temporale) tutti gli elementi insomma che abbiamo determinato come abdicazione della persona la staccano da ogni relazione interna, non apparente (il dio nella sua rappresentazione) e lirrigidiscono nella sua permanenza.

    Nel rapporto agli altri si conclude quindi la realt della maschera, della situazione che la presenza della maschera suscita.

    Questo oggetto costituisce allora per un individuo, per un gruppo, per una societ, la possibilit di riconoscersi in un essere, identicandosi ad esso (partecipando alla sua identit); di fondare tale essere sulla sua presenza sociale. In tale senso la maschera costituisce lessere autentico di chi partecipa ad essa: di chi porta, e sar uno col suo aspetto esteriore, con la sua presenza apparente; di chi la guarda, e sar la sua rafgurazione conoscitiva, che interamente, in quel momento di fronte alla maschera, lo costituisce e realizza. Si potrebbe dire che quello del rapporto uomo-maschera con le parole di cui Hegel si serve per denire il culto: der ewige Proze des Subjekts, sich mit seinem Wesen identisch zu setzen leterno processo del Soggetto di farsi identico alla sua essenza.

    La maschera terrorizza

    Se nel suo esser presente ad altri che la maschera trova la perfezione della sua realt, ogni situazione determinata dalla maschera comprender, e far comprendere, tale presenza ad altri. Abbiamo gi analizzato la ragione della coreograa. Ma per ogni manifestazione della maschera, dalla pi semplice alla pi complessa, sar il circolo che la chiude sulla sua presenza, a suscitarla. Si vista la teoria secondo cui la maschera nasce dalla necessit bellica di terrorizzare i nemici gurando esseri mostruosi, incomprensibili, inumani. Checch ne sia dellautenticit di tale funzione, se essa sia allorigine storica o logica del nostro oggetto, non cinteressa qui discutere. Il fatto di tale spiegazione ci serve perch consta la complementarit dei comportamenti di chi porta la maschera e di chi la vede. Infatti il terrore suscitato dalla maschera produce correlativamente il corag-gio e laggressivit in chi la porta. I quali atteggiamenti, del resto, sarebbero gi giusticati dal nascondersi, e cos assimilarsi allessere che la maschera mostra; indipendentemente, probabile, dalla constatazione sperimentale delleffetto;

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    o anticipandola. Si tratta di identicarsi ad un essere che invincibile perch immutabile, perch sempre quale si mostra (la maschera, per esempio, non potr esprimere il dolore; la maschera non muore). Si tratta di sottrarsi al tempo pressante della situazione per porsi e di l agire nel tempo mitico ove operano gli esseri che le maschere rappresentano; di assicurarsi una presenza dominante e intangibile. Chi guarda terrorizzato dalla potenza dellessere rappresentato; ma soprattutto del rapporto mostruoso fra esso e luomo che la porta, cio dal-leccezionale processo di identicazione che si attua davanti a lui.

    Secondo un mito Dogon, leffetto della prima apparizione della maschera quando una donna che laveva scoperta per caso e laveva sottratta agli antenati immortali, se ne ritorn, indossandola, nel suo villaggio, fu di far scappare tutti quanti. Poi a sua volta un uomo se ne impadron di nascosto, si mostr alla donna facendola fuggire, ed instaur cos lautorit degli uomini. Nel qual mito si riette ladozione delle maschera da parte delle societ segrete degli uomini che in molte civilt agrarie fanno da equilibrio allautorit matriarcale8.

    La funzione apotropaica della maschera si manifestata in differenti modi. In Grecia era adoperata come spauracchio per i bambini. Anche oggi per diversi scopi educativi e terapeutici, la maschera stata adoperata con i bambini, e ge-neralmente si osservato che dopo un breve momento di terrore in colui cui tale oggetto veniva applicato, essa provocava immediatamente un atteggiamento di aggressivit. (Ci stato riferito che tali applicazioni sono riuscite a curare la bal-buzie presso certi soggetti infantili). Cos, uso apotropaico avevano le maschere nel culto di Dioniso; quelle del dio stesso, ma ancor pi frequentemente quelle dei Satiri. Ovvia inoltre tale funzione per le maschere riprodotte sulle armi. Inne, un caso limite in questa funzione terrorizzante, quello della Gorgone: apparendo, essa irrigidisce, pietrica, rende cio chi guarda simile alla maschera stessa. Chi guarda diventa maschera.

    La maschera, le societ segrete e lorganizzazione politica

    Allaspetto terrorizzante, apotropaico, da attribuirsi, ma solo parzialmente, la connessione della maschera con le societ segrete e di iniziazione: essa allontana il non-iniziato. Nelle societ segrete delle civilt di tipo agrario, come nelle societ misteriche della Grecia, viene fatto grande uso della maschera. Laspetto di se-gretezza si manifesta in diverse occasioni. Essa viene fabbricata di nascosto, con

    8 Ogni volta che ci siamo riferiti ai miti dei Dogon, abbiamo avuto sottocchio il monumentale lavoro di Marcel Griaule, Masques Dogons, Paris, 1938. Di rilievo il fatto che linterpretazione dellautore si fonda sul doppio rapporto della maschera con la morte di riferimento e di superamento, e che il principio comune di una funzione religiosa come di una eventuale funzione estetica della maschera visto nella lotta di queste genti per durare, in un trionfo sulla morte.

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    particolari precauzioni; gravi interdizioni a vederla pesano sulle donne e i ragazzi, no alla pena di morte, a volte; e cos quasi sempre ci che viene pronunciato attraverso di essa in lingua segreta. Oltre a queste constatazioni generali, pos-siamo citare qui, per la funzione enigmatica della maschera, una curiosa usanza (per la quale probabilmente non sarebbe difcile stabilire analogie con racconti mitologici accentrati sulla gura della Snge; che da qualche autore, il quale estende la nozione di maschera ad ogni essere contraffatto, viene considerata la prima di tutte le maschere). Fra popolazioni della Liberia del Nord-Est, dunque, quando un capo locale muore, un messo che indossa una maschera particolare viene inviato dalla societ segreta (cio dal possessore della Grande Maschera) e, fra esibizioni di danze, interroga la gente del posto, pone loro indovinelli o semplicemente problemi di aritmetica elementare, quali quante gambe hanno quattro mucche, nch, eletto un candidato, gli rinnover i suoi problemi, e secondo le risposte gli accorder, o no, la consacrazione denitiva.

    Tutto questo per non deve venir interpretato come una conferma della natura occultante della maschera. Lessere tenuta nascosta, come il nascondere, non che un momento in funzione dellapparire come del rivelare. Se viene tenuta nascosta quando non adoperata, se costituisce infrazione grave il ve-derla, in certe circostanze e per certe persone, ci non che una conferma che la sua virt, la sua realt operante, nellessere guardato, nella sua presenza ad altri. Lessere tenuta nascosta consacrazione dellesser guardata; del na-scondere, del rivelare.

    Non soltanto per la sua presenza enigmatica, ma per la sua virt di parte-cipazione, viene usata la maschera dalle societ segrete. Mettendo la maschera agli iniziandi, li si fa partecipare del senno e delle conoscenze degli iniziati. In questo senso stata interpretata la cerimonia rafgurata dallaffresco della Villa dei Misteri a Pompei, nella quale si vede un giovane mirare, riessa in una coppa, una maschera di Sileno. Ma la funzione delle maschere e delle societ segrete che le adoperano o che ne sono custodi non limitata a questi rapporti interni. Si sa che in gran parte delle civilt di tipo agrario di cui si ha conoscenza, le societ segrete strutturano lintero sistema politico-religioso.

    Esaminiamole in un esempio che ci sembra particolarmente ricco e che stato descritto in tutti i particolari. Le popolazioni della Liberia del Nord-Est erano organizzate secondo due gradi di sistemi politici. Uno, quotidiano o superciale, su scala minore di villaggio o di piccoli gruppi. Laltro, molto pi esteso, basato sulla societ Poro, custode delle maschere. Esisteva una Grande Maschera Ge il cui portatore, Gonola, esercitava le funzioni di grande sacerdote, di giudice e di legislatore. Altre maschere minori erano preposte a funzioni meno importanti: designare i capi, riscuotere le tasse, delimitare i luoghi di caccia e di pesca, risol-vere piccole dispute, e persino far cessare le guerre fra un paese e laltro. I capi militari avevano maschere speciali. Cos le funzioni di polizia, cio di esecuzione

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    di ordini, di giudizi; il reclutamento. La Grande Maschera presiedeva inoltre alle maggiori solennit pubbliche come certe nascite, i riti di passaggio, i matrimoni, i funerali, lerezione di edici e di ponti, le grandi feste, le celebrazioni per le vittorie, i riti per la pioggia.

    Ma soprattutto importante era la funzione educativa esercitata nella scuola della foresta, dove i ragazzi venivano tenuti in segregazione durante gli anni che precedevano la cerimonia del passaggio allet adulta (come comune a gran parte delle popolazioni africane). La societ segreta assume interamente la guida dei ragazzi che vengono iniziati ai miti del loro popolo e ad altre co-noscenze utili alle future funzioni da adulti. Tutti i rapporti si costituiscono in base alle maschere. Il direttore della scuola il Gonola stesso, cio il porta-tore della Grande Maschera; i guardiani hanno la maschera; e cos coloro che personicano le difcolt che i giovani dovranno superare per giungere alla cerimonia denitiva.

    Grossomodo si sarebbe tentati di dedurre che le maschere, in codeste manifestazioni, appaiono come insegne di funzioni; non molto diversamente dai nostri distintivi, gradi o uniformi. Eppure che si tratti di maschere e non di semplici insegne, o segni, indica non soltanto limpersonalit della funzione (la maschera sopprime la persona), ma anche, conseguentemente, che esse sono il luogo stesso dellautorit. E cos il passaggio dalluno allaltro portatore non richieder alcuna formalit; lestremo rispetto per loggetto stesso e la circospe-zione religiosa nel maneggiarlo, hanno leffetto di ridurre al minimo gli abusi di potere. Attraverso la maschera il sistema di governo si fonda concretamente e direttamente sul culto degli antenati.

    Se poi ricordiamo quanto siamo stati portati a descrivere dellessenza della maschera nel suo rapporto agli altri, allessere guardata e che viene qui singolar-mente confermato da diversi elementi, e soprattutto dal ruolo educativo che le si attribuisce diremmo che chi si trova di fronte alla maschera di fronte al principio stesso dellautorit impersonale, e che nel suo esserle presente direttamente ne partecipe. Partecipazione allautorit, insieme che una manifestazione, quindi la maschera; e non segno o simbolo che si riferisce e rinvia. Perci stesso che essa fonda lidentit di un gruppo al suo proprio essere: strumento di comunicazione sociale nel suo stesso apparire rivela il suo fondamento.

    La rappresentazione

    Mentre in Melanesia e in Africa le societ segrete hanno generalmente un ruo-lo politico, amministrativo ed educativo, fra gli Indiani dellAmerica del Nord esse potrebbero venir paragonate a compagnie drammatiche, il cui compito di rappresentare periodicamente i miti, o di onorare i morti con pantomine o

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    con altre forme di spettacoli. Fra gli Indiani Pueblo tali spettacoli assumono forme molto complesse si svolgono nelle piazze dei villaggi; analoghe forme di rappresentazione fra popoli asiatici, dal Tibet allIndonesia e Ceylon; inne, dallEuropa ai popoli di civilt indiana o di civilt cinese, quello che possiamo chiamare teatro, cio una forma di rappresentazione connessa ad un edicio particolare e che gradualmente abbandona laspetto di manifestazione periodica e rituale.

    Occorre allora vedere qual la condizione della maschera in questi nuovi contesti; qual il suo rapporto intrinseco con la rappresentazione, sia cultuale sia teatrale, al di l delle distinzioni approssimative fra luna e laltra. Indicando che la maschera identica a se stessa, abolizione del non-rappresentato e relazione costitutiva a coloro cui presente, abbiamo descritto le condizioni per le quali si realizza lidenticazione a un essere e quindi la sua presenza nella situazione fatta essere dalla maschera: la rappresentazione presenza9. Lessere della rap-presentazione si circoscrive in un tempo concluso (che sia il tempo del culto, della cerimonia o della festa), scisso dal tempo quotidiano, non soltanto per la sua datazione convenzionale, ma lo ripetiamo perch ha un inizio e una ne, perch i fatti che vi si succedono sono gi fatti, hanno gi scontato il loro esito. Distinto dal tempo del fare, il tempo della rappresentazione il tempo dellessere. I fatti che vi si svolgono imitano le azioni mitiche, ma sono anche, essi stessi, ogni volta, quelle stesse azioni mitiche, le costituiscono, le creano. Non si d infatti imitazione la quale non costituisca immediatamente realt effettiva. In questo senso ci sembra essere vera laffermazione che il culto precede e fa essere il mito, e non il contrario. Ancora pi preciso dire: allinizio il culto era il mito.

    Daltra parte, denendolo come imitazione di azioni gi svolte nel tempo mitico, cio obiettivo, la rappresentazione persegue una valorizzazione del fare quotidiano. Come per il bambino un gesto ha tanto pi valore quanto pi imita il gesto paterno, cos luomo che fa una cosa ha bisogno di dar giusticazione al suo atto ponendolo come imitazione di un atto mitico o tradizionale. Per

    9 In Die Geheiebuende und Masken Afrikas, Halle, 1898, uno dei primi lavori della sua lunga attivit di studioso dellAfrica in cui troviamo ampia documentazione sulle maschere e sulle societ segrete, Leo Frobenius propone certe nozioni che presentano delle parziali analogie con quelle di cui ci serviamo. La pi celebre quella di Ergriffenheit (lesser afferrato, lesser commosso, in preda a ), uno stato in cui luomo forma un tuttuno con la realt che lafferra, non la realt effettuale, ma quella dellessenza delle cose. Luomo afferrato da tale essenza, commosso, abbracciato, si identica con essa. Tale identica-zione resa possibile dalla fondamentale identit dellessenza di tutte le cose. Lidenticazione allessere rappresentato dalla maschera, in conseguenza, sarebbe un episodio di questa fondamentale disposizione ed esigenza di identicarsi. I termini di simile concezione generale che, come si sar capito, una pi o meno confessata ipotesi di ricerca di quanto non sia il risultato di analisi losoca, non vengono per vericati da Frobenius nei modi specici delle manifestazioni delle maschere; cfr. anche dello stesso autore Kulturgeschichte Afrikas, Zrich, 1933. Pi in generale, e in riferimento ad opere che elaborano una dottrina antropologica generale, soprattutto utile riferirsi a quanto Ernst Cassirer dice della rappre-sentazione nella sua Philosophie der symbolischen Formen, Berlin, 1923. Per l uso delle maschere nelle rappresentazioni religiose si trovano utili osservazioni nellopera di G. Van Der Leeuwn, Phnomenologie der Religion, Tbingen, 1933.

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    questo, intorno ai primi atti tecnici si costitu un intero sistema rappresentativo (gurativo o mitico): dallarare al battere il ferro, al modellare un vaso, tutto ebbe bisogno di un dio che avesse per primo compiuto tale atto. Un dio fa, luomo non pu che imitare.

    La rappresentazione si pone dunque come azione esemplare. In essa, cos come la deniscono le condizioni che abbiamo descritto, cos come, per quanto riguarda il nostro oggetto, denita dalla presenza della maschera, non siamo in grado di distinguere limitazione dallidenticazione. Non serve, ne abbiamo gi ricordato le ragioni, una distinzione psicologica: lidenticazione presupporrebbe la perdita di coscienza, mentre limitazione sarebbe consapevole delle proprie intenzioni. Tale distinzione si costituirebbe al di qua, al di fuori della realt che ci possibile (che possibile a chi non ha la coscienza interessata) di stabilire. Noi constatiamo che in quanto rappresentazione ad altri, ogni atto imitativo costituisce realt effettiva, lessere che imita sidentica, entro la realt della rap-presentazione, allessere imitato; limitazione risolve in s il modello, recupera latto originario.

    Per questo, fra la rappresentazione cultuale e la rappresentazione profana non ci sembra possibile stabilire una distinzione specica. Esse appartengono, ovvio, ad ambienti culturali diversi, e sulluno o sullaltro si potranno esercitare denizioni. Ma qui esse non cinteressano. Loggetto del nostro studio, la presenza della maschera nelle relazioni umane, cinduce invece a vericare la corrisponden-za di situazioni storicamente distinte. N sar valida la distinzione fra partecipante o spettatore. Chi assiste compie, per il suo stesso essere presente e guardare, un atto di partecipazione: cos, anche nella rappresentazione pi moderna, lo spetta-tore compier sempre determinati atti che consacrino questa sua partecipazione: dal comprare il biglietto, al mettersi seduti, al restare in silenzio, no al battere lo mani: tutto costituisce, in forma fossilizzata, un comportamento rituale. Daltra parte, nella rappresentazione cultuale, la distinzione fra celebranti ed assistenza non manca mai, anche se diversamente graduata; sia che gruppi partecipino e poi si ritirino, sia per lintero circolo dellassistenza, e cos via. Accingendosi quindi a descrivere questo nuovo dominio della maschera, il teatro, quanto gi sappiamo del nostro oggetto, che utilizzeremo a lumeggiare la nuova situazione. La funzione della maschera nel teatro contribuisce a denire che cos la maschera; ma anche, viceversa, che ci sia la maschera ci spiega che cos il teatro10.

    10 Per quanto riguarda le varie forme di rappresentazione culturale, di teatro primitivo ecc. si sa che ogni trattato di etnologia dedica uno o pi capitoli a questo argomento. Citiamo, tra gli altri, Primitive Religion, London, 1937, di Paul Radin, il quale ha anche curato la pubblicazione di testi teatrali dei popoli dellamerica precolombiana. Tra le opere esclusivamente dedicate allargomento, oltre al classico H. Use-ner, Die Heilige Handlung, in Archiv fr Religionswissenschaft del 1904, cfr. L. Havemeyer, The Drama of Savage People, New Haven, 1916 e K.T. Preuss, Der Unterbau des Dramas, Leipzig, 1927. Lo studio di queste forme drammatiche ha ben presto fatto nascere tentativi di allacciarle, pi o meno direttamente, al teatro nella forma quale noi la conosciamo, e quindi alle origini della tragedia greca. Lopera di Frazer

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    Nel teatro greco

    Sul signicato della presenza della maschera alle origini del teatro in Grecia, le opinioni sono discordi. Per alcuni il fatto che Tespi abbia adottato questo oggetto solo in un secondo tempo, mentre inizialmente aveva provato varie maniere di truccatura, determinante per ridurre la funzione della maschera a pure necessit tecniche; serviva da megafono; poteva esser facilmente cambiata da uno stesso attore obbligato di scena in scena a rappresentare personaggi diversi; i suoi tratti ben rilevati potevano venire scorti distintamente da lontano, e, riconosciuti al primo apparire, permettevano facilmente lidenticazione del personaggio. Per altri, invece, la presenza della maschera al di l dei pretesti per la sua adozione, dimostra la continuit da rito a teatro.

    Diremo ancora una volta che non ci interessano le intenzioni che questo o quel regista (esarco o corego) ha avuto adottando la maschera. la presenza obiettiva di tale oggetto nella situazione teatrale che occorre interrogare, i dati del suo rapporto con gli spettatori. Le conseguenze teoriche non vanno escluse; integrate in uninterpretazione generale, esse contribuiscono a darle un senso.

    La maschera determina e distingue un personaggio. Anche qui, e in maniera pi evidente, la maschera non serve a nascondere, bens a trasformare identican-do ad un essere. Notiamo che generalmente soprattutto per quanto riguarda la tragedia tale essere un eroe, cio un morto che viene fatto rivivere grazie ad una situazione rappresentativa; in ogni caso il mondo al quale tale essere appar-tiene il mondo mitico, un mondo di atti gi compiuti, di azioni gi concluse. La maschera non solo distingue un personaggio, ed il principio essenziale per cui Edipo Edipo e Elettra Elettra; ma essa lo determina interamente quale (cio

    contiene naturalmente spunti in questo senso e tra laltro propone riferimenti espliciti alla maschera, in appoggio alle teorie sulle origini magiche e religiose del dramma. Le tesi di Frazer hanno suscitato tentativi diretti di applicazione al problema delle origini della tragedia. Clamoroso fu quello di W. Ridgeway che nel suo The Origin of Tragedy, Cambridge, 1910, affrontando il problema da unangolazione dichiaratamente antropologica, fa derivare la tragedia dal culto degli eroi. In questopera troviamo solo brevi accenni alla maschera, ma in un lavoro successivo, del 1915, The Dramas and Dramatic Dances in Non-European Races, in Special Reference to the Origin of Greek Tragedy, Cambridge, 1915, troviamo ricerche che avvallano la tesi secondo cui il dramma trae origine dalle rappresentazioni mascherate in onore degli spiriti dei morti. Oltre Ridgeway, anche Murray sviluppa le teorie di Frazer e mostra le analogie tra i momenti della tragedia e i momenti dei riti agrari; Nilson invece tiene conto delle tesi sulle origini eroiche e funerarie della tragedia e cerca di conciliarle con quanto si pu ancora afferrare delle sue origini dionisiache. Una particolareggiata storia del problema si trova in Carlo Del Grande, Tragedia. Essenza e genesi della tragedia, Torino, 1952, secondo cui le origini della tragedia non vanno cercate nel culto dionisiaco, bens negli inni eroici, e nelle varie processioni rituali con partecipazione di coro. Oltre al saggio di F.B. Jevons, Masks and the Origin of the Greek Tragedy, in Folklore, 1916 per quanto riguarda la maschera nellantichit uno dei saggi pi precisi Uomo e maschera di Carlo Kerenyi contenuto nel volume Miti e misteri edito da Einaudi, Torino, 1950, in cui, attraverso unanalisi degli affreschi pompeiani viene determinata la funzione della maschere nelle cerimonie di iniziazione e nei riti di passaggio. Pur accennando alle tematiche della rappresentazione e dellidenticazione, Kerenyi non approfondisce per la questione teorica, rimandando in alcune righe nali allarchetipo paterno di alcune maschere e tendendo ad attribuire ad esse una funzione di super-ego che non fa che rinviare la questione, reintroducendo lerrore psicologistico.

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    quale stato nel mito e quale sar per tutta la durata della rappresentazione) sin dal suo primo apparire. Il personaggio da un capo allaltro compreso nella maschera; tutto il suo essere nella sua prima e denitiva apparenza; l, gi nel primo istante si trova racchiusa e indicata la ne, conclusione e destino.

    stato osservato molto acutamente che le maschere greche hanno i tratti concentrati, quasi sbarrati, sulla fatalit. Le loro grandi orbite sanno gi ci che sta per compiersi, ci che, sul cammino della fatalit, gi compiuto. Pietricate nella contemplazione del destino, esse ne riettono lenigma e la rivelazione. Nella maschera converge la contraddizione vitale del personaggio, che una cieca marionetta tra i li del destino, eppure esso stesso gi l dove lo porta il destino. Non solo quindi perch ne il principio distintivo, ma perch ne sigilla e consacra lidentit con il suo destino, la maschera lessere autentico del per-sonaggio. rivelazione della fatalit, ed partecipazione ad essa. Se tragica, lettura atterrita dei suoi decreti; se comica, unenorme sghignazzata irrigidita sul suo spettacolo. Comica o tragica, la maschera greca a tu per tu con il destino. Essa serve a rimuovere lindividualit psicologica, accidentale e quotidiana. Na-sconde la smora del dolore o della gioia, abolisce lespressione dei sentimenti. Lespressione della maschera, immutabile e fatale. Solo i gesti sono permessi nella recitazione, e i gesti non esprimono, ma comunicando convenzionalmen-te, sono linguaggio come le parole. In questo linguaggio la maschera ci che fonda lidentit dellessere che comunica, che si comunica. La maschera equivale al nome, stato detto, come latto alla parola e il rito al mito11. Oltre che con il destino e con lessere autentico del personaggio, la maschera allora comunio-ne con gli spettatori che la riconoscono, le danno nome e identit e, con la loro presenza, la fanno essere. Nel circolo personaggio-spettatore si compie la realt della partecipazione, degli uomini con gli dei, con il mito, con la fatalit, con la storia; partecipazione che poi sempre degli uomini fra di loro.

    La parola persona

    Ci sembra quindi che lanalisi della presenza della maschera alle origini della rappresentazione teatrale abbia potuto confermare le condizioni fondamentali del rapporto di questo oggetto con luomo. Ora passiamo ad esaminare un altro fenomeno, marginale, ma che rileva fortemente certi dati interessanti per la nostra questione. la storia della parola latina persona12. Dapprima vuol dire masche-

    11 Questi parallelismi sono indicati dal Pettazzoni in La religione nella Grecia antica, Bari, 1921.12 Numerosi studiosi si sono interessati della parola e della nozione di persona. Sommario ma

    comprensivo il saggio sullidea di persona incluso nel lavoro di Ignace Meyerson, Les fonctiones psycho-logiques et les oeuvres, Paris, 1947. Oltre agli ormai classici S. Schlossmann Persona und Prosopon im Recht und im christlichen Dogma, Kiel, 1906 e R. Hirzel, Die Person, Stuttgart, 1914 ci siamo serviti del

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    ra, la maschera che lattore porta sul volto nella rappresentazione teatrale. Nel vocabolario teatrale la parola si allarga quindi a signicati vicini: il personaggio, la parte. facile capire come da qui passi alla terminologia dei tribunali, perch il processo, la lite sono come rappresentazioni in cui ognuno agisce con una funzione rappresentativa, sia di altri che di se stesso. Personam agere vorr dire rappresentare la parte di qualcuno. Cicerone dir: tre persone io rappresento nello stesso tempo tres personas unus sustineo la mia propria, quella dellavversario e quella del giudice. Adoperata col genitivo essa assumer allora il signicato di un uomo in generale: persona regis, persona iudicis non vorr pi dire come si potrebbe pure immaginare: loggetto maschera che rappresenta il re, che rappre-senta il giudice, bens il re e il giudice stessi, in quanto tali, cio nella loro funzione distintiva. In generale la parola viene usata di preferenza alle altre analoghe quan-do ci si riferisce a ci che lindividuo agli occhi degli altri, o nella sua funzione fra gli altri; il ruolo, lufcio, lincarico, la dignit, il grado, luomo qualits.

    Il signicato proprio di maschera si mantiene intatto; no a Fedro, nella celebre favola, dove una volpe incontra una maschera nella campagna; no a Seneca, nellamara invettiva contro i suoi tempi: Non hominibus tantum, sed rebus persona demenda est et reddenda facies sua. Da questi elementi possia-mo ritenere che una parola che signica maschera serve anche, per determinati rapporti, a indicare ci che luomo di fronte agli altri uomini. Ma signica pure lumanit delluomo in quanto tale, e perci passer a sostituire homo quando questo termine consumer il suo signicato originario per venire usato al posto di vir. E signica anche carattere. Gi dal termine di aristotelico , allinglese, character, carattere e personaggio teatrale sono stati spesso omonimi. Infatti si , o si ha, un carattere, solo per gli altri, lo si mostra, lo si rappresenta. Sar come una maschera, ma sar anche ci che noi siamo. Se abbiamo visto giusto e maschera

    pi recente e lologicamente preciso H. Rheinfelder Das Wort Persona, Halle, 1928. Questultimo per anche lesempio di come tutta la questione lologica possa venir impostata su un pregiudizio, che qui addirittura di natura teatrale. Per spiegare le varie trasformazioni del signicato della parola persona, lautore indica la presenza di due concezioni del teatro, una propria del critico e una popolare; per lo spet-tatore ingenuo la maschera costituirebbe lessere autentico del personaggio, mentre per il critico sarebbe semplicemente un oggetto che nasconde il volto dellattore. evidente come qui un presunto buon senso non sia nientaltro che linuenza delle concezioni del teatro realistico, e come la nozione acritica della maschera abbia complicato la ricerca lologica. signicativo del resto che tutti gli sviluppi della parola niscano per esser fatti derivare dal signicato che essa aveva per lipotetico spettatore ingenuo. Anche se si tratta di una esposizione affrettata il saggio di Marcel Mauss, Une categorie de lesprit humain: la notion de personne et celle de moi, Paris, 1938 notevole nel raccogliere esperienze etnologiche, lolo-giche, storiche e giuridiche. La tesi implicita che esista una categoria fondamentale dello spirito, quella dellio, verso cui la nozione di persona, partita da quella di personaggio, tende a costituirsi in progresso. Ci sembra invece che tali nozioni, entrambe presenti anche nella nostra cultura, siano da svolgere nella loro dialettica, per ritrovarne cos le loro differenti manifestazioni. Non di una categoria di cui bisogna fare la storia (com stato per un certo tempo il programma di lavoro della scuola francese di sociologia) ma dei dati di una situazione. Prima di far la storia della categoria dellIo bisogna determinare che cosa essa signichi e quali siano le sue implicazioni pratiche nella nostra cultura, altrimenti si rischia di fare la storia di una nozione arbitraria.

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    signica volto denitivo, di morte e di destino, quando Epitteto dir: scolpisci la tua maschera, ci vorr dire componi il tuo destino.

    Ad un certo punto le dispute patristiche vengono a dare un signicato inatteso alla parola persona. Essa aveva subito uninterferenza da parte del suo equivalente greco ; il quale ha una storia analoga, e gi in Omero, lo troviamo nel signicato di faccia. Poi maschera, poi personaggio importante, personalit, per assumere, solo in epoca tarda, un signicato deteriore. Rilevante linuenza che il termine greco ha avuto su quello latino per ladozione nella terminologia grammaticale a signicare le tre essioni del verbo, secondo le tre possibilit di realizzazione rispetto al soggetto. noto che si pensato di collegare la triplice destinazione al fatto che il dramma aveva tre attori. E le interferenze poi si fanno pi evidenti quando ci si accinge a determinare la terminologia patristica.

    Si discusso a lungo quale dei due nomi, il greco o il latino, sia derivato dallaltro nelluso delle dispute dogmologiche. Si trova gi in Clemente Ales-sandrino, ma Tertulliano che, di persona, d le prime formulazioni decisive. Da allora il termine servir denitivamente ad indicare le tre persone divine. Si opporr a natura (unitas in tres personas, una persona in tres naturas), assumer il signicato di sostanza individuale, no alla celebre denizione di Boezio (individua substazia naturae rationalis) della quale poi San Tommaso dar uninterpretazione signicativa: la persona qualcuno che ha una certa dignit un personaggio, diremmo noi ; ma quale maggiore dignit che quella di avere una natura razionale, inde omne individuum rationalis naturae dicitur persona sed dignitas divinae naturae excedit omne dignitatem, et secondum hoc maxime competit Deo nomen personae. In quanto costituisce una dignit, quindi, la razionalit denisce la persona. Essa non fa che sostituire precedenti dignit di ordine sacro (ancestrale, iniziatiche, ecc.) che prima davano senso alla maschera, come essa ora d senso alla persona. Ma che cosa questa nuova radi-ce di dignit, il razionale, se non il luogo dove si realizza il principio di identit? Tale principio si introduce ora nella nozione di persona concepita come sostan-za, come prima esso era condizione di quella gura che gli uomini assumevano mettendosi la maschera.

    Non vogliamo stabilire analogie ristrette, ma solo corrispondenze che siano indicative. chiaro che Tertulliano, che aveva gi scritto un libro acceso contro ogni sorta di spettacoli, quando adotta nellAdversus Praxeam il termine di persona, non ha lintenzione di paragonare le tre persone divine a delle ma-schere. Il contesto mostra che egli dapprima esita tra gradus, formae e species, e inne accoglie personae, suggeritogli, parrebbe, da unanalogia di signicato con amministratore, rappresentante. Fra i padri della Chiesa, insomma, non ci fu il riferimento alla maschera pensando alle persone divine. Solo quando i Greci, per linusso del termine latino, a sostituiscono , lequivoco in questultimo termine con i signicati di volto e di maschera favorir eresie come

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    quelle dei Moralisti e dei Sebelliani, i quali immaginavano la divinit come indos-sante volta per volta luna o laltra maschera. Ma si tratt di eresie, e lequivoco fu limitato e passeggero. Resta il fenomeno obiettivo di una parola che signica maschera e che si estende ad altri signicati, no a quello di sostanza individuale, e diventa attributo della divinit. Risultano dunque evidenti da questi brevi cenni, senza che ci dilunghiamo a specicarli, i rapporti di tali nozioni con quelle che ci sono servite a denire la maschera nel suo aspetto antropologico.

    La maschera e la scrittura

    Converr ancora richiamare laltro fenomeno, decisivo per il nostro oggetto, e parallelo a quello che abbiamo appena descritto: labbandono della maschera. Il Cristianesimo bandisce la maschera, non solo dalle manifestazioni religiose dove del resto gi da secoli, in Occidente, era sparita, eccetto probabilmente per qualche culto non ufciale ma anche dal teatro e dagli spettacoli in genere. Nella stessa parola persona si sar perduto il signicato di maschera; solo una sua derivazione tardo latina personaticum (probabilmente posteriore, del resto, al francese personnage) sar adottata dalla terminologia teatrale. Il nostro termine maschera (in basso latino: masca; in spagnolo: mascara; in francese masque) che la sostituisce, appare proprio allora: di etimo incerto, forse arabo, forse longobardo. Nelle varie forme di Sacre Rappresentazioni, luso della maschera abolito, eccetto che per il personaggio del Diavolo. Ormai la maschera solo strumento diabolico, di inganno, per chi tema di mostrare il suo vero volto; cos il demonio apparso per la prima volta agli uomini sotto la maschera del serpente. Diavolo vuol dire piccolo dio, il dio decaduto; per tutte le religioni i demoni sono gli antichi dei sottomessi dai nuovi potenti. La maschera era il segno dellantica divinit, resta ora lo strumento del diavolo e il suo signicato si inverte.

    Prima del Cristianesimo gi lEbraismo, come tutte le altre religioni di origine semitica, aveva bandito, col culto delle immagini, ogni uso della maschera. La di-vinit occulta, non pu esser vista, la maschera la risolverebbe immediatamente in una presenza immediata. Ma ancora pi precisamente: la divinit si manifesta agli Ebrei attraverso la Scrittura; la Scrittura movimento, sviluppo nel tempo, la sua rivoluzione si attua nella storia. Gi in Grecia, al momento della Tragedia, in cui il mito veniva reso presente agli uomini nello spettacolo e nella maschera, era successo il momento della Storia; non pi la manifestazione immediata e presente, ma lo sviluppo successivo. Per gli Ebrei la scrittura a prendere il po-sto dellimmagine. La scrittura si volge nel tempo, si prolunga, cresce, non mai conclusa, come nella storia il presente cresce sul passato, non mai concluso; la maschera manifestazione presente, rivelazione istantanea, immediatamente conclusa. La Scrittura segno, appello allinterpretazione; la maschera identit

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    alla sua apparenza, senza interpretazione, senza glossa. I popoli semitici hanno inventato, e religiosamente conosciuto, la scrittura; per questo non hanno cono-sciuto le immagini e la maschera.

    Del resto il Dio degli ebrei ha formato con largilla luomo a sua immagine e somiglianza; quale un uomo che avesse inteso formare la propria maschera. Da tale immagine delluomo nascer pi tardi, nellincontro con una civilt che aveva conosciuto la maschera, la nozione di persona. Anche la persona cristiana non pu peraltro conoscere la maschera: signicherebbe in un solo istante la realizzazione del suo proprio essere, lesaurimento di unidenticazione che va invece ottenuta atto dopo atto, per unintera vita; signicherebbe la risoluzione dellanima nella presenza agli altri uomini.

    La ne della maschera. Dal culto allarte

    Prima la persona indossava la maschera, rappresentava lessere; identicandosi ad esso stabiliva la propria identit, presentava agli altri una realt la quale fondava la propria partecipazione: questo era il modo delle relazioni non quotidiane fra gli uomini. Ora la persona senza maschera di fronte allaltro uomo. Come potr questi identicarla, come potr attribuirle un essere? Mancandole lidenticazione ad un essere cui il mito dia una realt comune ed esemplare, dal suo proprio seno che la persona deve esprimere lessere identico a se stesso. tale sar la parola estrema della nostra cultura: luomo stesso si pone come essere al quale luomo si identica13.

    Se luomo quotidiano identicandosi ad ogni istante con loggetto della sua intenzione di fare e luomo del culto o del mistero, della rappresentazione o della festa identicandosi ad un essere mitico erano fondamentalmente distinti (proprio perch luomo non quotidiano non era pi uomo, bens lessere che egli rappresentava) ora, luomo del fare quotidiano e luomo dellessere identico a se stesso tendono a coincidere. La persona mitizzata, ma restando essa anche sulla terra nel tempo quotidiano incompiuta no alla propria morte, essa accoglier in s, e la porter attraverso tutti i suoi giorni, quella contraddizione che prima il culto o la festa conciliavano. Tale conciliazione, riassorbimento dellalienazione, come prima nel mito, ora vorr essere realizzata nella coscienza di s.

    Lidentit a se stesso sar interna: nel rapporto con laltro, lindividuo dovr esprimere questa realt. Dovr cio adattare la realt che egli comunica allaltro, alla realt che la sua propria e la sua sola autentica. Non di comunicare, di far partecipare, che si preoccuper, ma di esprimere se stesso. Luomo con la ma-

    13 Per unanalisi fenomenologica del nostro oggetto, cfr. i ricchi capitoli che G. Gusdorf dedica alla maschera e al personaggio nella terza parte della sua tesi Connaissance de soi, Paris, 1948.

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    schera crea la partecipazione, e la sua sola realt quella maschera l per laltro uomo, la sua verit non interna, da esprimere, bens tutta nellapparenza, nella presenza allaltro. Luomo senza maschera non ha identit, cio verit che appare; ogni suo gesto o parola o smora sono in funzione di una verit da interpretare. Si chiamer sincerit la misura di questa adeguazione.

    Ci riaccostiamo cos alle nozioni che avevano introdotto il nostro studio, e la ne ripeter il principio. Oggi la maschera ci si presenta deposta dai secoli o dai popoli lontani nei nostri musei. Quello che era stato un oggetto di culto per noi un oggetto darte. Ma gi per quella sua prima condizione la maschera raccoglieva in s due arti delluomo, quella per cui egli rappresenta modi-cando una materia, e quella per cui egli rappresenta atteggiando il suo corpo, mostrando i suoi gesti. Si manifestava tramite essa larte delle arti delluomo, che quella di comunicare con gli altri uomini, di partecipare insieme con essi ad una realt creata. Le condizioni culturali grazie alle quali in quelle prime manifestazioni la partecipazione veniva raggiunta lidentit ad un essere, la presenza ad altri uomini, e labolizione della persona si ripetono oggi nellar-te. La maschera ha segnato il nostro cammino dal culto allarte. Ora questo va studiato altrove.