Aldo Naouri Piccoli Tiranni Estratto

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Aldo Naouri Piccoli tiranni (non) crescono Manuale di educazione per i figli d’oggi Traduzione di Teresa Caggiano e Annalisa Crea EDIZIONI

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Aldo Naouri

Piccoli tiranni (non) cresconoManuale di educazione per i figli d’oggi

Traduzione di Teresa Caggianoe Annalisa Crea

E D I Z I O N I

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Aldo NaouriPiccoli tiranni (non) crescono

Manuale di educazione per i figli d’oggi

Progetto grafico: studiofluo srlImpaginazione: Maria Beatrice Zampieri

Redazione: Daiana GaliganiCoordinamento produttivo: Enrico Casadei

Aldo NaouriEduquer ses enfants

© Odile Jacob, 2008

© 2011 Codice edizioni, TorinoTutti i diritti sono riservatiISBN 978-88-7578-201-6

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A tutti i genitori che mi hanno dato fiducia, e ai loro figli, che tanto mi hanno insegnato.

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Indice

ix Prefazione

PrimaParte

Capitolo 1 5 Dov’è il problema?

Capitolo 2 27 Cos’è un bambino?

Capitolo 3 59 Cos’è un genitore?

Capitolo 4 97 Che cosa ostacola l’educazione?

SecondaParte

119 Qualche precisazione

Capitolo 5 121 L’educazione inizia nella culla

Capitolo 6 135 Insegnare l’altro

Capitolo 7 203 Sé e lui

225 Per concludere 227 Approfondimenti 229 Ringraziamenti

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Prefazione

La necessità di questo volume mi è stata evidente una sera di giu-gno del 2007, sul finire di una cena durante la quale, alla luce delle prospettive aperte dalle recentissime elezioni presidenziali francesi, la conversazione dei commensali si era concentrata sul preoccupan-te ritardo nazionale (vent’anni rispetto ai paesi più progrediti!) nel settore della ricerca. Alcune personalità presenti, che mi sembrava-no estremamente autorevoli e direttamente interessate, sostenevano che anche applicando le proposte che raccomandavano sarebbe stato praticamente impossibile colmare tale lacuna prima di due decenni.

Pur prestando molta attenzione alla discussione, non capivo per-ché non mi sentissi particolarmente toccato dalla gravità dell’argo-mento, né sensibile alla sua analisi e alle misure in grado di migliorare la situazione. In realtà speravo si affrontasse quello che secondo me era il problema di fondo, ossia il livello sempre più basso degli studen-ti universitari (di cui si lamentavano i miei numerosi amici docenti), nonché degli alunni delle scuole elementari e medie. Quest’ultimo punto, ignorato quando non completamente negato in Francia per anni, non è più un mistero per nessuno dall’inizio dell’anno scolasti-co 2007-2008, quando tutti i media nazionali hanno reso noti i dati dell’allarmante rapporto dell’Alto Consiglio dell’Educazione.

Poiché i commensali non sembravano intenzionati ad affrontare l’argomento, ritenni di dover intervenire dichiarando, forse un po’ troppo bruscamente, che il problema di cui si parlava costringeva a prendere in esame ciò che accadeva a monte; e senza ulteriori pre-amboli proseguii manifestando il mio timore che, se non fossero sta-te prese subito misure altrettanto radicali di quelle raccomandate per la ricerca, ma tese a riformare l’insegnamento primario e secondario, nel giro di vent’anni non si sarebbe più trovato alcun candidato in grado di abbracciare la carriera di ricercatore.

Ero quindi pronto a esprimere la mia opinione. A riferire ciò che avevo constatato nell’esercizio della mia professione e ciò che mi

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avevano insegnato gli scambi avuti negli ultimi vent’anni con pro-fessionisti di ogni settore. E a evidenziare che le misure correttive adottate nel corso degli ultimi anni, basandosi su un’analisi errata, non avessero sortito alcun effetto tangibile.

Tuttavia il mio intervento fu accolto non già dall’attenzione che credevo di suscitare, ma da un silenzio assoluto e carico (così mi parve) di disapprovazione. Quindi preferii tacere, lasciando che la conversazione riprendesse a poco a poco e che la serata proseguisse sullo stesso tono.

Era evidente che avevo commesso una gaffe imperdonabile, ma ci misi un po’ a rendermene conto. Avevo infatti mescolato realtà non strettamente collegate sul piano del contenuto, né su quello del-la portata, e ciò non poteva che risultare inaccettabile ai tecnocrati.

È giusto preoccuparsi del livello della ricerca, perché è l’indicato-re più attendibile del potenziale di crescita di un paese; per rilanciare quest’ultima, infatti, è indispensabile promuovere la ricerca.

Più che maldestro, il mio tentativo d’intervento sull’insegna-mento primario e secondario era fuori luogo. Eppure la sua logica mi sembra più che evidente: è infatti noto che, per quanto riguarda l’organizzazione effettiva dell’insegnamento primario e secondario, ogni paese si regola autonomamente, senza che ciò abbia la minima incidenza o venga preso in considerazione da statistici o da organi di valutazione esterni come indicatore del posto che quel paese occupa nel concerto delle nazioni.

I bambini tedeschi cominciano ad andare a scuola all’età di sei anni senza aver mai frequentato la scuola materna, che in Francia fornisce al bambino basi ritenute indispensabili. Gli alunni delle scuole inglesi trascorrono le giornate fra lezioni e sport. Quelli delle scuole americane seguono percorsi “su misura”, dal momento che possono specializzarsi a loro discrezione in una materia, così come ignorarne completamente altre.

Queste diverse modalità non sembrano far sì che un ingegnere, un biologo, un giurista o un intellettuale di un determinato paese sia necessariamente superiore agli altri. È un’opinione largamente condivisa, ma solo in teoria. Poiché, nel momento in cui una mul-tinazionale dovrà scegliere un ingegnere o un paese dovrà reclu-tare ricercatori, verranno selezionati i candidati migliori; e questi ultimi non avranno raggiunto l’eccellenza dall’oggi al domani, ma avranno ricevuto una lunga preparazione, iniziata prima di accedere all’università.

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xiPrefazione

È qui che entra in gioco la qualità delle risorse umane di cui dispone un paese, così come il modo in cui quest’ultimo decide di impie-garle. La superiorità numerica degli studenti americani permetterà sempre di trovare una quantità sufficiente di candidati, selezionati peraltro tramite iter esclusivi, che si posizioneranno al di sopra degli altri. Quanto a quelli delle scuole inglesi, è noto che il loro percorso continua a rispecchiare una forma ipocrita di successione aristocra-tica: i migliori, quelli che accedono alle università più prestigiose, provengono sempre da scuole private (chiamate, curiosamente, public schools) dalle rette proibitive, mentre i loro compagni usciti dagli isti-tuti pubblici (state schools) raramente riescono a raggiungere posizioni di eccellenza.

Queste realtà hanno poco a che vedere con quella francese, all’interno della quale prevale un lodevole ideale democratico teso a garantire a tutti uguali possibilità. La domanda che è importante porsi è quindi se sia meglio mantenere l’insegnamento a un livello elevato, e quindi esclusivo, o uniformarlo verso il basso, come si è deciso di fare negli ultimi anni.

Credo che queste due opzioni, entrambe radicali, facciano del-l’insegnamento un’esperienza che si innesta in modo improvviso nella crescita del bambino, anziché un’esperienza che il bambino fa propria grazie a un patrimonio di conoscenze preesistenti.

La prima opzione esiste da quando la scuola è stata fondata. Se è stata selettiva al punto da suscitare critiche così pesanti è perché non è mai stata associata a una riflessione approfondita sulla personalità del bambino.

Negli ambienti in cui per tradizione esisteva una certa consape-volezza di questo particolare aspetto dell’infanzia, il problema non si poneva, mentre gli ambienti meno privilegiati avevano difficoltà a tenere il passo. Che cosa fa davvero la differenza in questo senso? Una quantità di fattori, si dirà, fra cui non ultime le condizioni so-ciali. Certo, ma questo non spiega perché, oggi, anche molti bam-bini appartenenti ai ceti medi, e persino alti, incontrino notevoli difficoltà.

Ciò che accomuna tutti i casi è la mancanza di un’educazione precoce; di un’educazione di base, intendo dire, che è cosa diversa dall’istruzione. Parlo di quel bagaglio di cui il bambino viene do-tato per incontrare gli altri senza timore e spaesamento eccessivi, e sperimentare i rapporti sociali con tutti i vantaggi, le limitazioni e soprattutto l’impegno che richiedono.

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Gli ambienti svantaggiati non riescono a impartire questa educazio-ne, tanto per un certo deficit di mezzi intellettuali quanto per le al-tre inevitabili conseguenze dell’indigenza. Era a questo che alludeva Danton con la sua celebre affermazione «dopo il pane, il primo biso-gno di un popolo è l’educazione». Era necessario strappare il popolo alla miseria, e allo stesso tempo instillargli una maggiore consapevo-lezza della propria identità e istruirlo. In Francia ha forse contribu-ito a generare una certa confusione la trasformazione, avvenuta nel 19321,di quello che al momento della sua creazione era stato bat-tezzato Ministero dell’Istruzione, in un Ministero dell’Educazione Nazionale. Credo che nel nostro paese, peraltro, il sistema scolastico nazionale abbia concorso a diffondere negli ambienti “bene” o me-diamente agiati la convinzione di essere stati sollevati dalle proprie responsabilità in materia, appunto, di educazione, favorendo la ten-denza a lasciarsi guidare dal bambino stesso. Il bambino e la necessità di sviluppare il suo potenziale creativo sono stati messi al centro del sistema pedagogico.

Con queste riflessioni non voglio sostenere che l’approccio delle istituzioni ai problemi educativi sia sbagliato di per sé; tuttavia esso mi sembra troppo legato alle manifestazioni più evidenti del feno-meno, a scapito del contesto storico in cui questo si esprime e delle cause che lo hanno prodotto. Come si può decidere di adottare una serie di misure, soprattutto di ordine economico, volte a beneficiare coloro che si spera divengano bravi ricercatori, senza prendere in considerazione la qualità dell’insegnamento che viene loro impartito sin dalla più tenera età? È in base a questa visione parziale che gli esperti chiamati a decidere, affidandosi ad analisi considerate rigo-rose, hanno di volta in volta raccomandato la nuova pedagogia, la lettura globale2, la soppressione dell’apprendimento a memoria, la promozione garantita per tutti gli studenti (sebbene poi un diploma-to su due abbandoni gli studi alla fine del primo anno di università),

1 Il primo Ministero dell’Istruzione pubblica vide la luce nel 1828 e mantenne tale denominazione fino al 1932 (per 104 anni!), quando fu ribattezzato Ministero dell’Edu-cazione Nazionale. Questo termine è stato mantenuto più o meno immutato e tanto più gelosamente in quanto il governo di Vichy era tornato alla denominazione iniziale. 2 Mentre nella lettura sillabica e analitica si interpretano lettere e sillabe, per poi unire i singoli fonemi in modo da formare le parole, la lettura globale consiste nel ricordare e riconoscere la forma della parole come se si trattasse di disegni. Questa tecnica è ritenuta molto semplice, per quanto la sua utilizzazione sia limitata a poche frasi e parole fami-liari, tanto che può essere iniziata a un’età molto precoce.

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xiiiPrefazione

senza stabilire il budget e gli orientamenti della ricerca e tutti i fatto-ri che hanno portato quest’ultima nello stato in cui si trova.

Il dibattito che intendo avviare è particolarmente scottante. Nu-merosi eventi del nostro presente somigliano terribilmente ad altri del passato di cui si conoscono bene le conseguenze catastrofiche. Se ne correggerà quindi il corso (che alcuni definiranno prevedibile, senza peraltro smettere di sostenerlo)? Freud affermava che governa-re fosse uno dei tre mestieri impossibili, insieme a psicoanalizzare e al celebre essere genitori, su cui mi soffermerò più avanti.

Di fronte a una realtà tanto complessa, e fra decisioni e iniziative di segno diverso, ognuno fa del proprio meglio; tuttavia nessuno è in grado di giudicare in modo obiettivo la realtà in cui è immerso. Un’antica parabola indiana esprime questa verità in modo illuminan-te. Un maragià convocò un giorno alcune decine di sudditi ciechi dalla nascita e li mise di fronte a un elefante chiedendo loro a cosa somigliasse. Quello che toccò la proboscide disse che gli ricordava un serpente. Quello che toccò una zampa rispose che era simile a una colonna. Quello che toccò la coda parlò di una corda. Quello che toccò il ventre affermò, da parte sua, che doveva trattarsi di una botte, contraddicendo quello che, avendogli toccato l’orecchio, sosteneva fosse un fiore di loto. Le valutazioni errate dei ciechi na-scevano dal fatto che ciascuno di loro si era limitato a toccare le parti dell’elefante che erano alla propria portata. Per evitare di cadere in questa trappola, in qualsiasi circostanza e per qualsiasi argomento, i nostri governanti creano commissioni, per lo più multidisciplinari, di cui dovrebbero in teoria seguire le raccomandazioni.

Nel corso di quella cena ho avuto l’audacia di esprimere la mia opinione in presenza di persone che immagino facessero parte di va-rie commissioni. Riconosco che il mio intervento è stato probabil-mente poco tempestivo, ma ribadisco con forza le mie convinzioni. E mi è sembrato opportuno approfittare della prospettiva di nuovi orientamenti politici, aperta dalle ultime elezioni presidenziali3, per intervenire a modo mio nel dibattito; non interferendo nell’organiz-zazione concreta dei programmi scolastici, che non è assolutamente

3 L’importanza della scuola è stata più volte sottolineata dal presidente della Repubbli-ca nel corso della sua conferenza stampa dell’8 gennaio 2008.

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di mia competenza4, ma spiegando nel miglior modo possibile la natura del bambino.

A tale proposito non mi limiterò al discorso teorico, pure in-dispensabile, ma mi avventurerò su un terreno più pratico, quoti-diano e concreto; come ho fatto, d’altronde, durante tutta la mia carriera di pediatra. Nel dispensare consigli e prescrizioni, infatti, ho sempre fornito spiegazioni accertandomi che venissero recepite correttamente. Non ho mai voluto che i genitori si conformassero pedissequamente alla mia opinione, ma che comprendessero ciò che il figlio si aspettava da loro e ciò che erano tenuti a dargli. Pertanto l’excursus teorico della prima parte di questo volume servirà a chia-rire la seconda, più pratica, esplicitando le motivazioni dei suggeri-menti forniti.

L’educazione precoce consente al piccolo di imparare a control-lare il flusso di pulsioni che lo attraversa, e che lo spaventa perché non sa come gestirlo. Attraverso la percezione progressiva dello spa-zio, del tempo e del prossimo, gli farà scoprire il legame sociale che sarà obbligato a riconoscere e che questi ultimi decenni hanno mes-so a dura prova. L’educazione è considerata un compito estenuante, poiché il bambino possiede energie e risorse che sembrano illimitate; e sicuramente lo è quando non viene impartita con la convinzione che richiede; lo è molto meno quando ci si rende conto che fornirà al bambino i mezzi per superare senza difficoltà le tappe critiche del suo sviluppo5.

Mi auguro che questo libro possa aiutare i genitori, la società e chi è chiamato a prendere decisioni a conoscere meglio il bambino e le sue necessità.

Se è legittimo aspettarsi che la scuola trasmetta cultura, un com-pito già di per sé arduo, non bisogna però pretendere che svolga un

4 Vorrei segnalare che Odile Jacob, la mia editrice nell’edizione francese, ha deciso di inaugurare, con quest’opera, una collana all’interno della quale invita gli autori e gli studiosi interessati ai problemi dell’educazione nel senso più ampio del termine – quindi anche all’organizzazione pratica dell’insegnamento – a proporre le loro opere. L’autore del secondo volume della collana è Heinz Wismann, filosofo, storico delle idee e profes-sore all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, con il quale discuto da anni di tali questioni, che preoccupano entrambi, ma che abbiamo deciso di trattare separatamente per coglierne aspetti diversi.5 Mi riferisco in particolare all’adolescenza, che è divenuta l’incubo dei genitori perché è il periodo in cui tutto ciò che non è stato risolto durante l’infanzia torna a galla con una violenza difficile da affrontare.

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xvPrefazione

ruolo non suo. Se infatti l’organizzazione della scuola, la disciplina che impone e il laboratorio sociale vivente che rappresenta con-tribuiscono a perfezionare l’educazione del bambino, elaborarla e impartirla non le spettano in alcun modo. Desidero quindi ricorda-re ai genitori, giustamente ansiosi della riuscita scolastica dei propri figli, che la responsabilità dell’educazione di base spetta a loro e a nessun altro e che, come spiegherò in seguito, deve avere inizio al più presto ed essere portata a termine prima dell’ingresso alla scuola dell’infanzia, vale a dire entro il terzo anno di età6.

6 Per questo motivo la parte pratica di quest’opera riguarda solo questa prima fase della vita, sebbene alcune considerazioni esulino da essa.