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18-06-07 Alcol, sicurezza e salute: vietare o educare? CONVEGNO FIPE-VENETO 18/06/2007 A lato gli atti del convegno che si è tenuto il 18/06/2007 a Padova dal titolo: ALCOL, SICUREZZA E SALUTE: VIETARE O EDUCARE? Osservazioni e proposte sul Progetto di Legge regionale n. 117 sulla “Disciplina dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”. Nell’ordine, le relazioni del Presidente Fipe Veneto, Erminio Alajmo, del Direttore Generale Fipe, Edi Sommariva e del vice Presidente vicario della Fipe, Aldo Cursano.

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18-06-07 Alcol, sicurezza e salute: vietare o educare? CONVEGNO FIPE-VENETO 18/06/2007

A lato gli atti del convegno che si è tenuto il 18/06/2007 a Padova dal titolo: ALCOL, SICUREZZA

E SALUTE: VIETARE O EDUCARE? Osservazioni e proposte sul Progetto di Legge regionale n.

117 sulla “Disciplina dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.

Nell’ordine, le relazioni del Presidente Fipe Veneto, Erminio Alajmo, del Direttore Generale Fipe,

Edi Sommariva e del vice Presidente vicario della Fipe, Aldo Cursano.

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ALCOL, SICUREZZA E SALUTE: VIETARE O EDUCARE? Osservazioni e proposte sul Disegno di Legge n. 117 sulla

“Disciplina dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”

PADOVA – HOTEL HOLIDAY INN LUNEDI 18 GIUGNO 2007 – ORE 10.30

Relazione introduttiva del Presidente FIPE Veneto Erminio Alajmo

Nella mia veste di Presidente regionale della FIPE Veneto, do inizio ai lavori

di questa tavola rotonda, che ha creato molte aspettative nella categoria.

Innanzitutto, sono onorato di porgere il mio saluto di benvenuto alle autorità,

alle personalità e agli ospiti presenti.

Un ringraziamento ai vari esponenti del mondo dell’informazione che

seguono questo incontro.

Saluto, in particolare, le personalità presenti a questo tavolo:

- dott. Emanuele Scafato, dell’Istituto Superiore di Sanità, con diversi

incarichi direttivi, che poi andremo a scoprire;

- il vice Presidente vicario della FIPE nazionale, Aldo Cursano, che

sostituisce il Presidente Lino Enrico Stoppani, trattenuto a Milano per

un’altra assemblea;

- il Direttore generale della FIPE nazionale Edi Sommariva;

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- il famoso Arrigo Cipriani, nel suo ruolo di esercente veneto, conosciuto

in tutto il mondo;

- la professoressa Giuliana Fontanella, Presidente della terza

commissione consigliare regionale, che arriverà tra breve;

- il dott. Roberto Papetti, Direttore del Gazzettino, moderatore di questa

tavola rotonda, al quale tra poco passerò il testimone.

Un ringraziamento a tutti voi per avere accolto il nostro invito e per avere

accettato di discutere del problema “alcol”.

Tengo ancora la parola per introdurre le motivazioni che ci hanno portato in

questa sala.

All’inizio dello scorso mese di dicembre, abbiamo saputo che la terza

commissione consigliare della Regione Veneto aveva approvato all’unanimità

il progetto di legge n. 117, riguardante la “Disciplina delle attività di

somministrazione di alimenti e bevande”.

È la legge regionale che noi esercenti pubblici esercizi stiamo attendendo fin

dal 2002, per regolare il nostro comparto, così delicato e bisognoso di norme

aggiornate.

Ricordo che la legge nazionale 25 agosto 1991, n. 287, che attualmente

regola i pubblici esercizi, era nata incompleta e che, entro 6 mesi da quel 25

agosto 1991, doveva trovare il suo completamento attraverso il “Regolamento

di esecuzione”, mai emanato.

La nostra grande sorpresa è stata la lettura dell’art. 6, introdotto dalla terza

commissione, che prevede il divieto di vendere, somministrare e consumare

alcolici, di qualunque gradazione, dalle ore una alle ore sei del mattino.

“Divieto di vendere”, significa che i negozi commerciali non possono

distribuire prodotti alcolici: tutti sappiamo che a una certa ora della sera

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queste botteghe chiudono, per cui, per loro, il divieto è poco significativo,

anche perché chi vuole acquistare alcolici ha tutto il giorno per farlo.

“Divieto di somministrare”, si intende che l’esercente pubblico esercizio dopo

le ore una della notte non può più servire prodotti alcolici, e questo fino alle

sei del mattino; in linea di massima, per una buona parte della popolazione,

non esistono problemi perché a quell’ora è già a letto.

Però capita che per qualche anniversario, qualche festeggiamento, un

incontro tra amici, una missione per lavoro, il desiderio di divertirsi, porti delle

persone a cenare fino a tardi o a ricercare qualche posto per il dopo-cena.

A questa gente, anche di venerdì o sabato sera, o alla vigilia di qualche festa

infrasettimanale, l’esercente dovrà dire che, dopo l’una, non può più

somministrare né birra, né vino, né digestivi, né liquori.

Ma c’è di più, perché la legge prevede anche il divieto di “consumo”. Ciò vuol

dire che l’esercente di qualsiasi pubblico esercizio, alle ore una di notte,

dovrà passare per i tavoli e togliere, di brutto, i bicchieri contenenti bevande

alcoliche, di qualsiasi gradazione. Potrà lasciare in tavola solo acqua,

semplice o aromatizzata.

Mi domando: chi tra voi non si è mai trovato all’una di notte in qualche locale

pubblico, a concludere una piacevole serata tra amici o conoscenti? Sarà

imbarazzante sentirsi negare dall’esercente il “cordiale” preferito o, peggio,

vedersi togliere di mano il bicchiere perché è già scoccata l’una.

Potrei fare tantissimi altri esempi: il dopo-mostra del cinema a Venezia, i

tedeschi in ferie nelle località balneari o al lago, il dopo-Arena a Verona…

ognuno di voi può pensare a tutti gli episodi che lo hanno visto partecipe in

occasioni serali: non sarebbe certo piacevole vedersi negare l’ultimo brindisi.

Come esercenti pubblici esercizi, all’interrogativo posto dal titolo del tema di

questa riunione (vietare o educare?) rispondiamo, lo avrete capito,

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decisamente contrari all’idea di vietare la somministrazione di alcolici dopo

l’una.

Il proibizionismo non ha mai dato risultati soddisfacenti: chi vuole lo “sballo”

non aspetta certo l’una di notte per iniziare a “drogarsi”.

Noi di FIPE Veneto non siamo qui solo per dire di no al proibizionismo, sugli

effetti del quale ci sarebbe da discutere per giorni e giorni; ma desideriamo

avanzare delle proposte concrete, da realizzare sia all’interno degli esercizi,

sia in collaborazione con autorità, enti ed istituzioni.

Siamo, quindi, per educare, giovani e meno giovani, a corretti stili di vita, ad

un bere moderato, consapevole, più di qualità che di quantità.

Ricordiamoci che per gli esercenti è sicuramente sconveniente avere tra i

clienti del proprio locale persone brille, alticce, ubriache, perché disturbano gli

altri avventori e sono pericolose per sé e per gli altri.

A fronte del divieto che si vorrebbe introdurre, avanziamo delle proposte.

Innanzi tutto, facciamo nostro il “Codice etico di autoregolazione per la

sicurezza stradale”, promosso dal Ministro dell’Interno, dal Ministro per le

politiche giovanili e le attività sportive, dalla Conferenza dei Presidenti delle

Regioni e sottoscritto da associazioni: dei barman, degli industriali della birra,

dei distillatori, dei produttori di vini e dalla nostra FIPE e dal nostro SILB,

associazione italiana imprese di trattenimento danzante e di spettacolo, di cui

oggi è qui presente il Presidente nazionale Renato Giacchetto.

Di questo codice etico ne parleranno sicuramente con competenza il dott.

Sommariva e il dott. Emanuele Scafato, dell’Istituto superiore di sanità,

direttore del Centro che collabora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità

per la ricerca e la promozione della salute su alcol e problematiche alcol-

correlate.

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Come Presidente di FIPE Veneto, avanzo una serie di proposte concrete, per

contrastare l’abuso di alcol, soprattutto da parte dei giovani e delle donne, e

promuovere la cultura della legalità.

Prima proposta: prevedere, per coloro che intendono frequentare il corso

abilitante per esercitare l’attività di somministrazione, delle ore di lezione

obbligatorie sulle conseguenze dell’abuso di alcol. Questo vuol dire formare

professionalmente i futuri esercenti sugli effetti alcol-correlati e, quindi, a

comportamenti responsabili.

Seconda proposta: la regione Veneto, con la legge n. 41 del dicembre 2004,

ha sostituito i vecchi libretti di idoneità sanitaria personale con la formazione

di ciascun addetto, a cadenza biennale, con un corso della durata di tre ore.

Proponiamo che con la prossima tornata di rinnovo del libretto, già prevista

per l’autunno, venga inserito, tra le materie di insegnamento, il tema delle

conseguenze sulla salute dell’uso e abuso di alcol. Teniamo presente che,

nel biennio di formazione che sta per concludersi, sono stati coinvolti circa

500.000 addetti (titolari, collaboratori familiari, dipendenti) di aziende del

settore alimentare, compresi tutti i pubblici esercizi.

Terza proposta: coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori. A

qualcuno sembrerà impossibile poter insegnare nelle scuole di secondo

grado argomenti “sensibili”, come quello relativo all’alcol e alle droghe,

coinvolgendo gli studenti, che invece ci siamo abituati a vedere nelle piazze

(lo spritz di Padova insegna) con il bicchiere in mano e le note conseguenze.

Ebbene, proprio a Padova, recentemente gli studenti sono stati protagonisti di

un’iniziativa positiva e apprezzabile, denominata “Scuola permanente di

educazione civica Livio Paladin”. Tre classi, degli istituti: liceo classico Tito

Livio, liceo scientifico Nievo e tecnico commerciale Calvi, hanno partecipato

ad un laboratorio di formazione, per elaborare un documento su un tema di

scottante attualità e di complessità estrema: il fenomeno degli spritz.

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Vi sono stati incontri con docenti universitari, storici, esperti in diritto

amministrativo, ma anche con esponenti della categoria dei baristi, della

questura, con rappresentanti dei residenti del Centro e altri.

Il risultato dei lavori è stato molto positivo e lo si può rilevare da un opuscolo,

preparato in questi giorni, di cui abbiamo qui alcune copie, e spero ci sia

anche il tempo per poter sentire cosa pensa in merito alla fattibilità la

dottoressa Marta Cecchinato, coordinatrice del progetto.

Quarta proposta: inserire tra gli argomenti di insegnamento obbligatorio nelle

scuole – soprattutto in quelle alberghiere – le conseguenze dell’uso e abuso

di alcol e delle droghe, coinvolgendo esperti esterni al corpo docente.

Quinta proposta: iniziative associative da parte delle organizzazioni degli

esercenti pubblici esercizi. Ricordare periodicamente ai propri esercenti

associati gli obblighi previsti dal Codice penale e dal Testo unico delle leggi di

pubblica sicurezza, in materia di consumo di alcol. Esporre in tutti i pubblici

esercizi il cartello che ricorda ai frequentatori il divieto di consumo di alcol ai

minori di 16 anni. Va ricordato in proposito il ruolo fondamentale

dell’esercente, a volte paternalistico, ma comunque interessato al buon

ordine, visto che è soggetto ai controlli delle autorità e a delle pesanti

sanzioni, anche di natura penale, in caso di violazione della legge.

Sesta proposta: l’introduzione del “guidatore designato”: in caso di gruppi di

clienti che si apprestano ad una cena o ad una serata di divertimento,

chiedere che venga identificato il guidatore per il ritorno, che si impegna a

non bere alcolici. Questo conducente dovrà essere identificato con un segno

di riconoscimento, in modo che i responsabili del pubblico esercizio, ma

anche i baristi, i camerieri e i suoi amici, lo tengano sotto osservazione,

affinché consumi solo bevande analcoliche.

Settima proposta: chiediamo a tutte le autorità preposte di programmare delle

serie campagne sulla sicurezza stradale, da svolgere attraverso la stampa e

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le televisioni, affinché i messaggi arrivino nelle case e aiutino i genitori a fare

opera di educazione e di insegnamento verso i figli, di qualunque età.

La campagna sulla sicurezza stradale, però, non può essere sufficiente se

non è seguita da controlli sistematici sulle strade, più ampi e più intensivi di

quelli attuali, da svolgere soprattutto alla vigilia dei giorni festivi, quando si è

più rilassati e pervasi da una euforia di festa.

Ottava proposta: impegno delle associazioni a promuovere l’aggiornamento

professionale degli operatori del settore “bar / locali serali”, con lo studio e la

promozione di nuove bevande a basso contenuto alcolico e cocktail

analcolici, in sostituzione di quelli ad alto tasso alcolico.

Nona proposta: applicare le leggi vigenti. È inutile emanare nuovi divieti

generali e assoluti, che poi non saranno mai seguiti da controlli efficaci. È

necessario, invece, intervenire in presenza di gestioni sbagliate dei locali, con

provvedimenti restrittivi specifici, diretti a quel preciso esercizio, senza punire

preventivamente l’intera comunità.

Decima proposta: è inutile prendersela sempre, solo ed esclusivamente con i

pubblici esercizi. C’è una miriade di attività similari e abusive, svolte spesso

da soggetti non identificati, che sembrano essere esenti da ogni tipo di regola

e controllo. Mi riferisco alle sagre, alle feste campestri, agli pseudo circoli

privati, agli agriturismo, ai club, agli ambulanti, ai call center e a tutte quelle

attività che mai vengono controllate. Il detto comune, usato, abusato e

fuorviante, delle “stragi del sabato sera”, se voi osservate, si riferisce sempre

alle discoteche, mai che venga detto con precisione dove effettivamente le

vittime hanno abbondato nelle libagioni.

Altra considerazione: il Veneto è la prima regione in Italia per il turismo. Non

è solo merito di Venezia, di Cortina, di Jesolo, del Garda. Tutto il territorio,

città, cittadine e paesi, è di interesse turistico e questo è merito anche della

nostra gastronomia ed enologia. Spendiamo, come regione, un mucchio di

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quattrini per la promozione e la pubblicità dell’enogastronomia: che senso ha

spenderli se all’una di notte togliamo di mano il bicchiere al turista?

Infine, non va dimenticato che il proibizionismo, nel Veneto, potrebbe

innescare il famigerato pendolarismo o nomadismo notturno, verso le regioni

confinanti, che non pongono limiti agli orari di somministrazione, con tutti i

rischi che ben conosciamo, avendo vissuto un decennio fa le terribili

conseguenze.

Chiudo ricordando che i problemi alcol-correlati dei giovani, delle famiglie e

dell’intera società ci trovano assolutamente sensibili, ma la soluzione non può

essere trovata ponendola a carico dell’esercente pubblico esercizio ed

addossandogli tutte le responsabilità dell’attuale situazione.

Grazie dell’attenzione.

La parola va ora al moderatore della tavola rotonda, dottor Roberto Papetti,

Direttore del Gazzettino.

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“ALCOL, SICUREZZA E SALUTE : VIETARE O EDUCARE ?”

Osservazioni e proposte sul PDL regionale n. 117 sull’attività di

somministrazione di alimenti e bevande.

Intervento di EDI SOMMARIVA Direttore Generale di Fipe

Il Codice etico di autoregolazione siglato da alcune associazioni di

rappresentanza di imprese con i ministeri dell’Interno e delle Politiche giovanili

si inserisce nella tematica della responsabilità sociale delle imprese che vorrei

brevemente richiamare.

Chi si occupa da anni di questo problema sostiene che nell’impresa che vuole

assumere una responsabilità sociale debbano coesistere quattro tipi di

responsabilità :

1. economiche: sono quelle primordiali, perché un’impresa nasce avendo

come scopo primario quello di fornire beni e servizi di cui i consumatori

hanno bisogno e desiderio, generando il profitto;

2. legali: al tempo stesso le imprese devono anche attenersi alle leggi e ai

regolamenti promulgati dal governo locale e nazionale;

3. etiche: sebbene le responsabilità legali incarnino norme etiche di

giustizia ed imparzialità, le responsabilità etiche abbracciano attività e

pratiche che la società si aspetta o proibisce anche se non sono state

codificate in leggi;

4. filantropiche: includono le azioni dell’impresa che rispondono alle

aspettative della società e che rendono le imprese “buoni cittadini”,

attraverso azioni e programmi che promuovono il benessere umano e la

benevolenza.

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La responsabilità sociale di impresa implica l’adempimento simultaneo delle

quattro responsabilità indicate, la prima delle quali, quella economica, è il

presupposto naturale oltre che storico delle altre.

Ciò significa, in buona sostanza, che l’impresa che adotta questo schema deve

sforzarsi di, innanzitutto, fare profitti, rispettando la legge, per poi cercare di

essere etica e comportarsi come un buon cittadino.

E’ utopia tutto questo? Io penso di no. A certe condizioni.

La prima. E’ ben chiaro che l’obiettivo fondamentale dell’impresa nei confronti

dei suoi stakholders diretti ( lavoratori, fornitori, clienti) è quello di creare e

mantenere la propria competitività sul mercato, naturalmente nel rispetto della

legge. Ciò significa, in altre parole, che l’impresa deve essere messa in

condizione di “creare valore” e che per fare questo, soprattutto quando è di

piccole dimensioni, ha estremo bisogno di essere adeguatamente sostenuta e

incoraggiata dal sistema pubblico.

La seconda. Diventano quindi fondamentali in quest’ottica una collaborazione e

una coesione sostanziali, nell’ambito della responsabilità sociale, tra impresa e

istituzioni pubbliche. Si tratta, ad es., di superare il conflitto tra controllati e

controllori, di riavvicinare la politica regolatrice del mercato ai valori

dell’impresa, di fare seguire ai tanti “annunci” e “proclami”, fatti concreti e

monitorabili. Il nostro tessuto imprenditoriale, composto prevalentemente da

piccole imprese e abituato a tradurre immediatamente in pratica le necessità

contingenti, apprezza di più la politica del “fare” che quella delle “pubbliche

relazioni”. E reagisce di conseguenza nell’operare quotidiano, dando fiducia a

“chi fa” e allontanandosi da “chi proclama” senza riscontri fattuali.

La terza. Per diffondere una cultura sociale dell’ impresa, bisogna superare i

problemi di comunicazione esistenti. Questi problemi non si limitano alla

difficoltà di disseminare efficacemente le buone prassi ( innescando in tal

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modo il processo di imitazione che è alla base di molte trasformazioni del

nostro tessuto produttivo), ma investono lo stesso linguaggio utilizzato dai

“professionisti” della responsabilità sociale, talvolta troppo distante dalla vita

quotidiana delle imprese. Ciò impedisce alle imprese di più piccole dimensioni

di apprezzare appieno la visione di lungo termine che porta alla vera

sostenibilità della azioni sociali in azienda.

Attraverso il rispetto di queste tre condizioni è molto più facile stimolare

nell’impresa quella volontarietà dell’impegno che diventa cardine essenziale

dell’effettivo rispetto degli obblighi condivisi nei vari “accordi” o “protocolli di

intesa” tra i vari stakholders che anche la nostra Organizzazione ha siglato in

questi anni.

Un passo significativo verso questo modello di collaborazione tra pubblico e

privato è stato fatto con la sottoscrizione del “Codice etico di autoregolazione

per la sicurezza stradale” formalizzato a fine marzo tra il Ministero degli

Interni, quello delle Politiche Giovanili e dello Sport, la Conferenza dei

Presidenti delle Regioni e delle Provincie autonome e alcune importanti

associazioni di impresa, tra cui Fipe e Silb.

L’Accordo è importante nel merito e nel metodo.

Nel merito, perché mira a contrastare un fenomeno sociale di crescente

drammaticità per tutti, quello degli incidenti stradali dei giovani, di cui ancora

non si sa molto e per il quale forse si è fatto ancora troppo poco.

Nel metodo, perché l’Accordo è stato costruito ponendo sullo stesso piano

tanto gli impegni della sfera pubblica in termini :

- di azioni da intraprendere (ad es. l’aumento dei controlli di polizia sulle

strade)

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- di leggi/regolamenti da assumere sia a livello centrale che periferico (ad es.

reintroduzione della norma di divieto di vendita e somministrazione di alcolici

in forma ambulante),

quanto quelli delle imprese.

Con l’Accordo si è, inoltre, finalmente introdotta un’azione di monitoraggio

continuo e di valutazione dei risultati sulle azioni che i vari stakholders via via

intraprenderanno.

Passiamo in rassegna gli impegni sottoscritti più importanti :

(da parte del pubblico):

- favorire il coordinamento interistituzionale e rendere sistematiche le

esperienze positive

- promuovere misure restrittive sulla vendita e la somministrazione anche

in forma ambulante di bevande alcoliche nelle aree circostanti i locali di

ritrovo;

- favorire l’introduzione sul piano legislativo di nuove misure a tutela della

sicurezza stradale

- favorire controlli più sistematici, e comunque coordinati , sull’uso di

alcolici e sostanze stupefacenti;

- favorire nelle scuole guida per il conseguimento delle patenti specifici

programmi formativi sui fenomeni legati alla guida sotto l’effetto di

bevande alcoliche;

( da parte dei privati):

- favorire l’applicazione rigorosa della normativa vigente, in particolare per

ciò che attiene al divieto di vendita e di somministrazione di alcolici

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- promuovere e favorire campagne istituzionali, iniziative di informazione.

formazione, prevenzione e diffusione delle buone pratiche in tema di

sicurezza stradale;

- evitare messaggi pubblicitari in contrasto con i principi e gli obiettivi del

Codice etico

- promuovere l’identificazione del guidatore designato; a tali soggetti i

sottoscrittori si impegnano a somministrare bevande esclusivamente

analcoliche; prevedere ulteriori incentivi allo sviluppo dell’iniziativa con

sconti e gratuità;

- promuovere e sostenere l’uso di alcol test da parte dei clienti ed invitare

coloro che escono dai locali in stato di ebbrezza a rinunciare a mettersi al

volante;

- favorire, in collaborazione con le istituzioni la formazione dei gestori e del

personale dipendente sul tema dell’abuso di alcol e responsabilizzare il

personale addetto alla somministrazione sui divieti di consumo di alcol.

Certo non tutto ha subito funzionato.

L’opinione pubblica si aspettava di riscontrare immediatamente azioni

concrete, soprattutto da parte delle imprese.

Ma se da un lato la pratica del “guidatore designato” non si è ancora del tutto

materializzata, dall’altra lo Stato non ha finora intensificato, contrariamente a

quanto promesso i controlli sulle strade, il Parlamento non è riuscito a

completare l’iter di approvazione delle modifiche del Codice della Strada

predisposte dal ministro Bianchi, le Regioni si sono guardate bene

dall’introdurre, in base alle proprie competenze, norme urgenti per impedire lo

spaccio di bevande alcoliche nei “camionbar” fuori dalle discoteche.

Va invece a merito delle imprese, in particolare della più grande impresa di

ristorazione italiana (Autogrill), di aver dato per prima il buon esempio,

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togliendo immediatamente dalla vendita dei suoi market autostradali i

superalcolici.

Per una risposta più globale ed efficace, sarebbe stato forse meglio, come

avevamo richiesto, prevedere sperimentalmente alcune aree/distretti da

mettere in “sicurezza” all’interno dei quali concentrare il concomitante impegno

sia degli attori pubblici che di quelli privati.

La componente privata che ha sottoscritto l’accordo si sta muovendo con

convinzione verso l’autoregolamentazione.

Lo fa in collaborazione con le Istituzioni locali, a macchia di leopardo, con un

impatto comunicazionale non proporzionale all’impegno profuso e con il forte

rischio che, come in passato, le buone prassi non riescano anche per questo a

radicarsi sul territorio.

Alla radice di tutto c’è e resta la necessità di una condivisione allargata del

problema, in grado di coinvolgere una grande molteplicità di soggetti, pubblici

e privati, ciascuno per la sua parte e per la sua quota di responsabilità.

Lo possiamo, lo dobbiamo fare se potremo contare su un adeguato livello di

credibilità e di fiducia. Se ci sarà adeguata identificazione dei ruoli ,

necessariamente complementari, che gli attori coinvolti saranno chiamati a

svolgere nell’interesse della collettività e nell’ottica di un reciproco

rafforzamento delle iniziative di contrasto dell’abuso di alcol, in un quadro

globale di strategie condivise.

Dopo tutto, il problema dell’alcol nel nostro Paese non ha ancora raggiunto

quel livello di drammaticità sociale tipico di altre realtà. Il nostro modello

alimentare ci ha preservato fino ad oggi da abusi socialmente pericolosi. I

nostri giovani sembrano sovvertire questi valori tradizionali, non solo nell’uso

dell’alcol ma anche nella stessa alimentazione.

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Come operatori del settore, come responsabili dell’alimentazione fuori casa,

questo non ci piace non solo dal punto di vista etico e da quello dei costi sociali

che il fenomeno è in grado di generare, ma anche perché ci rendiamo conto il

cambiamento del rapporto tutto italiano con il cibo ( e con le bevande) ci

farebbe perdere parte della nostra identità di Paese e di popolo.

Anche a noi piace un’autorità pubblca che stimola, magari bilanciando bastone

e carota, l’autoregolazione dei comportamenti, non quella che passa per

scorciatoie proibizionistiche che mai hanno dato e mai daranno risultati positivi

e duraturi.

Per essere chiari, ci piace lo Stato della patente a punti, quello che fa i

controlli sulle strade e non solo fuori dalle discoteche o che impone ai locali

l’orario di chiusura per legge.

Ci piace lo Stato che investe in infrastrutture per la sicurezza stradale e non ci

piace lo Stato che abdica al proprio ruolo limitando la libertà dei cittadini.

Non ci piacciono gli interventi legislativi di tipo proibizionistico e punitivo che

favorirebbe il commercio al nero e spingerebbe imprese e giovani verso

l’illegalità e l’evasione. Né un garantismo astratto e senza regole che

danneggerebbe anch’esso imprese, giovani e famiglie. Governo e Parlamento,

Regioni ed enti locali devono divenire protagonisti di scelte ragionevoli,

responsabili che ricerchino comunque il consenso di tutti gli attori coinvolti.

Concertare può essere difficile e faticoso ma è la “strada maestra” per

assumere decisioni utili e soprattutto efficaci e per valutare anche

preliminarmente il contesto di mercato cui le eventuali norme sono destinate;

in tal modo si evita di compromettere sia la compatibilità economica delle

imprese che la sfera dei diritti e dei valori dei cittadini consumatori. In

quest’ottica le imprese apprezzerebbero particolarmente misure normative a

costo zero riguardanti:

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a) la possibilità reale di consentire ai locali pubblici di selezionare la

propria clientela senza incappare nella gabbia del TULPS;

b) l’ assoggettamento all’autorizzazione di pubblica sicurezza di

chiunque organizzi trattenimenti danzanti, in qualunque luogo e con

qualsiasi modalità;

c) un miglior governo del rilascio di autorizzazioni per la

somministrazione di alcolici.

Noi, per quanto ci riguarda, saremo, siamo disponibili a moltiplicare gli sforzi

per spingere i giovani all’autoregolamentazione dei comportamenti.

A cominciare dalle campagne contro l’abuso di alcol e a favore di corretti stili di

vita.

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“ALCOL, SICUREZZA E SALUTE : VIETARE O EDUCARE ?”

Osservazioni e proposte sul PDL regionale n. 117 sull’attività di

somministrazione di alimenti e bevande.

Intervento di ALDO CURSANO Vice Presidente Vicario di Fipe

Nel corso degli ultimi decenni gli stili di consumo e i modelli del bere hanno

subito a livello nazionale ed internazionale profondi cambiamenti e nel corso

degli anni più recenti hanno contribuito a modificare rapidamente culture e

tradizioni fortemente radicate nelle generazioni precedenti.

Tale processo ha coinvolte particolarmente donne, giovani e giovanissimi per i

quali il bere ha assunto una valenza d’uso, oltre che di consumo, ben lontana

dalle tradizioni e dallo stile di vita mediterraneo.

Abbiamo la piena consapevolezza, come imprenditori e come cittadini, che le

conseguenze di tali evoluzioni, oltre ad influenzare in taluni casi gli stessi

modelli di vita di relazione sociale e famigliare e lavorativa, possono produrre

una serie di danni cosiddetti “alcolcorrelati”,con effetti oltre che in ambito della

salute anche in quello sociale ed economico ( per le spese che la collettività è

chiamata a sostenere per gestire le patologie e tenere sotto controllo il

fenomeno).

Comprendiamo quindi l’interesse che riveste per gli Stati l’ individuare

specifiche politiche ed azioni tese al contenimento del consumo di alcolici e alla

prevenzione dei comportamenti.

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Il tema della sicurezza stradale, in forma ciclica alla ribalta dei giornali,

costituisce in effetti un grosso problema per la società italiana ed è di

particolare impatto anche sull’opinione pubblica.

E capisco pure, ma non condivido, il modo con cui viene approcciato il

problema nel nostro Paese . Siamo la patria del diritto ma questo non ci

autorizza a cercare di risolvere i problemi con nuove norme ( ne abbiamo già

tante) quasi sempre assunte senza una preliminare verifica di impatto sociale

ed economico.

E veniamo ai pubblici esercizi.

Va subito precisato che intorno al mondo del pubblico esercizio, alle sue

connessioni con il consumo di alcol e di questo con l’incidentalità stradale

esiste molta disinformazione e qualche superficialità.

L’idea che basti vietare la somministrazione di alcol negli esercizi pubblici in

certe fasce orarie per risolvere i problemi correlati all’abuso del consumo di

alcol, tra cui va segnalata l’incidentalità stradale, è semplicistica oltre che non

dimostrabile. La realtà è molto più articolata e complessa di quanto alcune

facili semplificazioni vorrebbero far credere.

Non c’è infatti relazione tra consumi di alcol, presenza di pubblici esercizi e di

discoteche in rapporto agli abitanti.

Anche in tema di incidentalità stradale merita di essere segnalato che nel 2005

il 17,2% di incidenti avvenuti nelle strade extra-urbane ha determinato il

44,8% dei morti.

Ne deriva che proprio la mobilità su strade meno “sicure” è il fattore in grado

di moltiplicare la fatalità degli incidenti stradali.

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E allora, anziché sbizzarrirsi con nuovi vincoli di orario e divieti di vendita che

hanno il solo fine di orientare diversamente i flussi della mobilità senza

ottenere riduzioni di consumo e, quindi, comportamenti socialmente più

accettabili.

Usiamo bene gli strumenti che abbiamo e, razionalmente, soltanto se si

rivelano inadeguati troviamone degli altri.

Il primo strumento da usare è quello dei controlli sulle strade.

Quanti ne facciamo all’anno? Solo 300.000, mentre in Francia arriviamo a

10.000.000.

Non ci sono risorse sufficienti? Usiamo meglio quelle che abbiamo. Meno polizia

negli stadi, più polizia sulle strade.

Il secondo strumento è quello del trasporto pubblico.

In origine le discoteche si trovavano nelle città, dalle quali sono poi state

espulse come i Centri Commerciali. Se non vogliamo reintegrarle nel tessuto

urbano, dobbiamo meglio gestire la pianificazione urbana e del trasporto

pubblico per ridurre il rischio della guida sotto gli effetti dell’alcol. Rendiamo,

ad es., sistematico l’utilizzo di mezzi pubblici come sta avvenendo in diverse

località del divertimento. E’ questa un’area di interventi un cui vi può essere

una grande collaborazione pubblico-privato.

Il terzo è quello dell’educazione.

C’è ancora molta confusione sul ruolo dell’alcol nell’alimentazione e nella salute

umana. Sono quindi particolarmente interessanti azioni di informazione ad

ampio respiro che prevedano il coinvolgimento dei bambini, dei giovani, delle

famiglie. I messaggi da veicolare sono quelli riguardanti il concetto della

moderazione, delle conseguenze negative dell’alcol alla guida, durante la

gravidanza o nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza o nelle attività lavorative

ad elevato rischio alcolcorrelato. Anche questo è un terreno fertile per alleanze

pubblico privato.

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Il quarto strumento è quello dello sviluppo di una adeguata responsabilità

sociale delle imprese della filiera dell’alcol.

Interventi sulla pubblicità, sulla trasparenza dell’informazione presente sulle

etichette fino ad arrivare ad un coinvolgimento effettivo degli operatori più

vicini ai consumatori ( commercianti ed esercenti) rappresentano un ‘area

ancora poco esplorata ma su cui si potrebbe fare molto.

Il presupposto per liberare comportamenti di responsabilità sociale è quello di

realizzare condizioni di contesto idonee all’impegno delle imprese.

Il Codice etico firmato con i Ministri Amato e Meandri va in questa direzione

che individua nella pariteticità degli impegni tra pubblico e privato un requisito

molto apprezzato dalle imprese coinvolte. Ma anche le iniziative come il Pilota

promosse dal MInsalute e coordinate dall’Istituto Superore della Sanità sono

non solo interessanti ma anche concretamente realizzabili.

Mi sento di collocare di collocare le iniziative proposte da Fipe Veneto proprio

in quest’ottica, perchè hanno il pregio di essere fattibili da subito, di favorire il

rafforzamento applicativo delle norme vigenti, di prevedere un’integrazione con

programmi educativi scolastici, di comunità e di mobilitazione civile.

Le risorse umane messe a disposizione dalla rete degli esercenti aderenti alla

Fipe in termini di qualità e quantità rappresentano la massa critica

indispensabile per gli interventi. Senza queste risorse umane nessun

programma di informazione, sensibilizzazione o promozione della salute

potrebbe essere realizzato o realisticamente praticabile.

Tutto ciò però non esime gli operatori del settore a fornire , in maniera più

sistematica di quanto avvenuto in passato, la propria collaborazione per

stimolare a accompagnare i consumatori/cittadini verso stili di vita più salutari

e consapevoli, anche per quanto riguarda l’assunzione di sostanze alcoliche,

nel rispetto della libertà individuale del cliente e della sua soddisfazione.

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E’ con questo auspicio che ci auguriamo vivamente che l’art. 6 del PDL n. 117

venga rivisto con l’ottica di sostituire i vincoli e i divieti con le azioni e gli

interventi di competenza dell’Ente pubblico in modo da contribuire, in un

ambito di piena collaborazione pubblico-privato, a contenere i rischi degli

incidenti stradali.

Questa nuova legge è attesa da tempo da 20.000 imprese venete di pubblico

esercizio e dalla loro forza lavoro perché può dare al settore quel senso di

legalità e di certezza che in un conteso di cambiamenti di mercato turbolenti

come quelli attuali servono per svolgere in modo efficace un servizio

indispensabile per cittadini e turisti.