Alberto Angelici - Racconti

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Con gli occhi a tre metri da terra **************

I due procedevano lentamente, lasciando alle

cavalcature il compito di seguire il sentiero.

Viaggiavano da quasi due settimane,

spostandosi da un lago all' altro, da una

boscaglia all' altra, lungo un percorso che li

avrebbe condotti entro una decina di giorni a

Thunder Bay.

Avevano lasciato alla loro sinistra le

cittadine gemelle di Sault St.Mary che si

guardano dalle due sponde del Lake Superior,

una canadese, l'altra americana. Un mare di

tronchi, enormi isole galleggianti, li

accompagnava.

Tronchi che come un tappeto rotolante e ruvido

nascondevano molti acri della superficie del

lago. In quel modo, semplice ed economico, il

lavoro di lontani tagliaboschi era lentamente

avviato alle segherie, tenuto insieme lungo il

perimetro da grossi ferri a U conficcati nella

corteccia, guidati da piccole barche a motore.

Fu grazie alle "code" cioè ai tronchi che si

perdevano per strada, che alcuni anni fa un

gruppo di amici poté costruirsi sulla riva di

un lago una grande log cabin, un bungalow cioè

interamente in legno.

Fitte macchie di pini si alternavano a radi

gruppi di betulle. Sulla corteccia, rosse

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ferite sanguinanti linfa rivelavano il recente

passaggio di qualche orso. Il terreno,

cedevole e spugnoso per lo strato di detriti

vegetali che il tempo aveva accumulato, era

disseminato di bassi cespugli che ospitavano

ogni genere di animali, dai conigli alle

grouses, dai fagiani agli scoiattoli.

I cavalli, evitando spontaneamente i folti

dove sempre nella stagione calda si annidano

nugoli di voracissime zanzare, preferivano

muoversi ai margini delle radure.

Il cavaliere che apriva la strada osservava

con attenzione il terreno circostante. Da

qualche minuto il suo cavallo, un quarter

horse di quasi un metro e settanta al garrese,

dava segni di nervosismo, scuotendo il collo e

agitando le orecchie e la criniera.

Frequenti orme sul terreno umido e i segni

sugli alberi gli facevano temere un incontro

ravvicinato con un grizzley. Pur conoscendo la

scarsa aggressività di quei mastodonti,

specialmente nel corso dell' estate, sfiorava

di continuo il calcio del Winchester bolt

action cal. 338 Winch. Magnum che riposava

nella fonda. Ottima carabina, pensava tra sé.

Compatta, affidabile e capace di spingere una

palla da 250 grani a oltre 2600 piedi al

secondo.

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Non provava alcun desiderio di far strage di

plantigradi e la caccia come sport non lo

aveva mai interessato. Lo stesso valeva per il

suo compagno che procedeva venti metri dietro

di lui, ma entrambi preferivano evitare certi

incontri.

Ai lati del sentiero il terreno si era fatto

sgombro, coperto solo di sterpaglie e radi

cespugli. Procedettero ancora, superando

morbide morene simili a onde di terra

congelate dal tempo, ricordo di passate ere

glaciali.

Non avevano incontrato altro che cervi e un

solitario alce che al loro sopraggiungere non

si era neppure mosso dall' acquitrino nel

quale pascolava.

Non un uomo o tracce di uomini. Niente

tralicci dell' alta tensione o altri segni

della civiltà.

Dolcemente cullati dal lento passo del cavallo,

erano liberi di osservare il paesaggio che

sfilava sotto i loro occhi. Liberi di pensare.

I raggi del sole piovevano dall' alto e

giocavano tra i rami, sciabolando e dando all'

ambiente colorazioni di volta in volta

differenti, quasi da acquario; effetti

speciali di una discoteca dove suoni e luci

erano opera di un invisibile regista.

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In altri momenti parevano sontuosi addobbi

d'oro o tendoni paludati tra un tronco e l'

altro.

Com'era bello vivere così, a contatto con l'

ambiente! Sentire il respiro della natura

invadere l'anima. Entrare davvero in sintonia

con gli alberi, gli animali, l' acqua.

Spostarsi sulla terra, a tre metri da terra

anzi, sentendosi parte integrante di ciò che

li circondava e che si spostava con loro,

felici e consapevoli di essere accettati,

forse addirittura benvoluti.

Da cosa o da chi, non sapevano esattamente.

Certo da ciò che regnava su quei luoghi senza

tempo. Di sicuro qualcosa c'era. Era lì, li

guardava e li vedeva passare.

Vivevano di ciò che ricevevano; erba per i

cavalli e pesce e bacche e funghi per loro.

Ricambiavano con il rispetto e cedevano al

terreno i loro escrementi, in un mutuo,

reciproco scambio.

Non inquinavano, non facevano danni, né

lasciavano traccia del loro passaggio.

Per questo evitavano i centri abitati. Gli

giravano attorno, timorosi di compromettere

quel meraviglioso equilibrio di energie

pacifiche.

Era tale il rispetto che provavano per quei

luoghi e la sensazione di essere ospiti,

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graditi magari ma sempre ospiti, che ogni

volta che smontavano il campo per spostarsi

altrove, controllavano minuziosamente di aver

eliminato ogni pur minima traccia del loro

passaggio.

Come a dire: - Vedete... chiediamo ospitalità

ma passiamo in punta di piedi, consapevoli di

non essere a casa nostra ...-

Superato l' ennesimo rilievo, si trovarono

davanti il tronco morto di un enorme pich pine.

Forse venti metri di altezza e circa uno di

diametro. La caduta era stata frenata dalle

piante circostanti che, quasi a volerne

onorare la venerabile età, lo avevano sorretto

nell' agonia coi propri rami e ne avvolgevano

protettivi il grande corpo che ora riposava

inclinato .

Chissà da quanto si era arreso ai rampicanti e

all' incessante lavoro dei parassiti! Eppure

aveva ancora un' imponenza che incuteva

rispetto.

- Potremmo fare il campo qui - propose il

secondo - indicando con la mano guantata un

tratto sabbioso della riva, sgombro da detriti

e tronchi.

- Mmmm... il posto sembra buono, e non sento

zanzare, eppoi sono già le 4. -

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Sostando ora avrebbero avuto tutto il tempo

per organizzare il pernottamento e rimediare

anche qualcosa con la lenza prima del calar

del sole.

In questi quindici giorni siamo diventati

proprio dei pescatori provetti - pensava - L'

inverno passato aveva pescato più volte

attraverso un buco nel ghiaccio e sapeva che

Gigi si era impratichito nei fiumi delle

Filippine, quando viveva laggiù. Tuttavia la

facilità con cui trote e salmerini si facevano

illamare ancora lo sconcertava. Dal momento

che l'esca toccava la superficie di solito non

passavano dieci minuti che questa si agitava

furiosamente mentre il galleggiante spariva

sott' acqua.

Nelle bisacce posteriori, le più ampie,

avevano equipaggiamento e cambusa.

Fagioli secchi, riso e latte in polvere,

farina e bacon oltre a zucchero e the e una

specie di pemmican indiano. In quelle

anteriori, invece, trovava posto l' avena per

Tom e Stancil, i loro cavalli, oltre

all'attrezzatura per la quotidiana pulizia del

mantello e degli zoccoli. Lì stava anche il

pronto soccorso e un sacchetto stagno con il

necessario per accendere il fuoco.

Dietro a ogni sella era legato il sacco a pelo

e la giacca a vento.

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Gigi, oltre ad una carabina cal. 22,

trasportava anche la tendina a due posti.

In cintura portavano un solido coltello. Il

suo era un Cattaraugus, vecchio di oltre 50

anni ma ancora affidabile e tagliente come un

rasoio. Il suo compagno invece aveva ceduto

alle lusinghe di Randall e orgoglioso ne

esibiva ora uno splendido esemplare di quasi

venti centimetri.

Una massiccia ascia a manico lungo completava

la loro attrezzatura da taglio.

Facevano tappe brevi senza forzare l' andatura.

Viaggiavano per circa sei-sette ore al giorno,

con una breve sosta a metà. In questo modo le

bestie non si stancavano troppo e loro neppure.

Il posto che avevano scelto, una stretta

insenatura del lago, era molto gradevole. Al

centro vi sfociava un torrente costellato di

grandi massi bianchi. Poco più in là un grosso

viluppo di rami e tronchi, vestigia di una

passata piena primaverile, avrebbe fornito

legname in abbondanza.

La superficie verde-bottiglia pareva denso

sciroppo di menta e solo i cerchi dei pesci

che salivano a galla ne rompevano di tanto in

tanto la setosa continuità.

- Fermo, non muovere un pelo! - bisbigliai a

Gigi - guarda là in fondo, vicino al tronco

marcio, ma muovi solo gli occhi. -

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Al limitar di un gruppo di striminzite betulle,

chissà perché, avevano sempre un' aria così

sparuta e triste, era comparso un cervo, e che

cervo! Alto e imponente, forse tre quintali di

peso, sfoggiava orgoglioso una folta

gualdrappa quasi nera e un fantastico palco di

corna. Le narici, lucide di muco, palpitavano

rapide per usmare ogni più lieve sentore. Il

bellissimo animale mosse qualche passo e si

avvicinò alla riva, gli occhi calmi e dolci

rivolti al terreno ma le orecchie ben tese in

avanti. In quattro passi avremmo potuto

toccarlo: evidentemente ci trovavamo

sopravvento rispetto a lui e non aveva

avvertito la nostra presenza. I cavalli

stavano qualche metro più indietro e

pascolavano tranquilli, nascosti da una fila

di piante. Non dovevano essersi accorti di

nulla.

- CHAC... e il cervo con un unico lunghissimo

balzo, quasi un volo, scomparve leggero nel

folto da cui era comparso. Gigi, alzati gli

occhi al cielo, stava già dandosi mentalmente

del coglione per aver dimenticato il pentolino

che dalla mano sgocciolava sulle foglie secche.

In pochi minuti aveva trovato un buon posto

per insidiare la sua preda. Un grosso sasso si

protendeva sull' acqua creando un' ampia zona

d' ombra. Forme scure guizzavano agili tra le

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erbe del fondo, scomparendo a tratti fra sassi

muschiati.

Lasciò cadere lentamente l' esca, controllando

col polso il movimento del sottile filo di

nylon. I pesci parevano disdegnare ma non

ignorare il chicco di mais. Ci giravano

attorno, lo puntavano ma all' ultimo istante

sterzavano bruschi con nervosi colpi di coda e

si allontanavano in un ampio cerchio che li

avrebbe riportati al punto di partenza.

Cominciò a pensare che sarebbero dovuti

ricorrere alle riserve alimentari, quando dal

fondo comparve silenziosa una lunga ombra.

Molto più lunga delle altre. E più grossa.

Venne verso la superficie, deciso, senza

tentennamenti, sicuro come un re. Fu questione

di un attimo, poi uno strappo gli disse che

aveva abboccato.

- Gigi, Gigi, corri! Ho preso un mostro, una

cosa enorme! Non ce la faccio da solo!! -

Con la coda dell' occhio lo vide mollare ciò

che aveva in mano e correre agile verso di lui,

sbracciandosi e borbottando qualcosa che egli

non intese, impegnato ad assorbire i colpi di

frusta che l'enorme trota trasmetteva alle

spalle con violenza terribile. Ne vedeva gli

occhi impazziti e la bocca spalancata in un

muto grido di ira e dolore. Chissà quanto

pesava! Forse dieci chili, forse di più. La

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scura groppa schiariva verso il ventre e

balenava di tutti i colori dell' iride.

Balzava dall' acqua la meravigliosa creatura,

sconvolgendola in milioni di lucide perle

liquide, crepitante spuma di selz naturale.

Piroettava e saltava con potenti colpi che le

facevano toccare la testa con la coda.

Gigi era al suo fianco, nell' acqua fino ai

polpacci. Neppure lui sapeva che fare.

Convinto che da un momento all' altro l'

avrebbero persa, tentò allora il tutto per

tutto. Con cautela ma con tutta la forza che

aveva alzò verso l' alto la canna già piegata

ad un angolo assurdo. Pareva impossibile che

il filo non si spezzasse sotto le tremende

sferzate. Non seppero mai come, ma un momento

dopo la trota schizzava frenetiche frustate di

sabbia e sassi dalla riva scoscesa.

- Uao! Con questa ci mangiamo anche stasera e

domani - esclamò felice Gigi, le mani sui

fianchi e un sorriso che gli andava da un

orecchio all' altro e gli illuminava gli occhi

di gioia infantile.

- Chissà quanto ha impiegato a diventare così

enorme! -

Già - pensavo tra me e me - chissà quanti anni

ci sono voluti per raggiungere simili

dimensioni; quanti pericoli avrà dovuto

evitare, gli orsi, le linci, i rapaci ... per

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finire nella padella di due brocchi come noi!

Pensieroso si guardava attorno: l' acqua, le

grandi rocce e la sabbia e la selva

circostante. Era una sua impressione o gli

alberi più vicini parevano rivolti verso di

lui. Quell' abete laggiù, per esempio, aveva

due grossi rami che sembravano braccia piegate

sui fianchi in un muto atteggiamento di

dissenso.

Senza pensarci, forse nel timore di pentirmene,

velocemente sfilò l' amo dal labbro di quel

lucido corpo vibrante di vita e con le mani a

mò di badile lo gettò in aria e verso l' acqua.

Meglio così - mi dissi e ripetei ad alta voce

- sì, meglio così. Non sarebbe stato giusto.

Gigi era impietrito. Fissava il punto sulla

riva dove un momento prima il pesce saltava,

quasi a volerlo rimaterializzare lì. Guardò me

poi di nuovo la riva.

- Ma chi sei tu, D' Artagnan, Don Chisciotte,

Robin Hood o cosa !!!! - Rabbioso prese a dar

calci ai sassi e ad ogni cosa gli si parasse

davanti.

- Era così... così... così grossa e così forte

e... e così enorme e bella! Già.. così bella!

- Alzò lo sguardo. La rabbia se n'era andata e

un sorriso fanciullesco gli illuminava il

volto.

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Fece una buffa smorfia, poi mi fisso ' in

silenzio, le labbra mosse da un mezzo sorriso.

-Ma sì... in fondo hai fatto bene. Non sarebbe

stato giusto... una creatura così

meravigliosa... Eppoi 'stasera ho una gran

voglia di riso!- Lasciando sui ciotoli una

doppia traccia umida si incamminò rapido verso

il campo e ancora scuoteva il capo.

Si girò indietro guardandomi fisso .

- Che figlio di buona donna! - lo sentì

borbottare - e sempre scuotendo il capo sparì

oltre le piante, verso i cavalli.

Il sole si era appena tuffato dietro l'

immensa distesa di piante, veloce come è

solito fare a quelle latitudini. Unica traccia

un alone bordeaux che sfumava nel giallo

contro i denti di sega delle cime frondute.

Ora solo il baluginare sempre mutevole delle

fiamme del bivacco illuminava il campo,

ricacciando il buio fino al limitare del bosco.

Il riso era pronto e avrebbe accompagnato il

tonno che Gigi aveva appena tolto dalla

scatoletta.

Intanto sul focolare si scaldava l' acqua per

una tisana - ... 'soir m'sieurs! -.

Silenziosa, inavvertita persino dai cavalli,

una figura coperta di daino si era

materializzata nel campo.

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I due uomini rimasero di sasso. Sapevano che

nel raggio di trenta miglia non vi era traccia

di villaggi o paesi, così a quell' ora della

sera non si aspettavano certo delle visite.

Pareva piccolo e magro, ma il volto rimaneva

avvolto nell' ombra.

Il primo a scuotersi fu Alberto, una mano

appoggiata all' impugnatura del coltello. Gigi

giocherellava senza parere con un grosso

bastone.

- Benvenuto! Stavamo per cenare. Ti andrebbe

di sederti con noi? - replicai nella stessa

lingua.

- Grazie, posso offrire del tè in cambio - Si

esprimeva in un buon francese leggermente

sibilante, quello strano individuo comparso

dal nulla.

Niente bagaglio eccezion fatta per un

faggottello grande come un pallone da basket.

Il viso, profondamente segnato da un' intera

vita all' aria aperta, pareva un misto di

caratteri indiani ed europei. Su tutto

spiccavano gli occhi, azzurri come lucidi

frammenti di turchese. Impossibile dargli un'

età, tanto pareva parte integrante del bosco

circostante.

Masticava il cibo con molta cura, lentamente;

ogni tanto lo accompagnava con un sorso d'

acqua. Gli occhi fissi sul fuoco, pareva

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assorto in pensieri lontani. I due uomini si

lanciavano occhiate senza saper che dire.

- Ah , la grande truite! - sbottò all'

improvviso - Buona cosa lasciarla libera,

buona cosa. Ca c'etait l' esprit du lac. ...

Anche buon segno che si è fatto catturare, ah

oui - aggiunse, con uno strano, mezzo sorriso

che durò un solo istante.

- Ma allora eri qui già da un pezzo! -

- Mmm no, non pezzo, no, non da molto ... ma

abbastanza - L' uomo senza tempo li fissava

con sguardo imperscrutabile - Meglio conoscere

uomini prima di entrare nel campo. Ah oui,

meglio conoscere. Bene, sì ora io faccio tea

poi dormo. Sì, dormo. -

Poi, rivolto a Gigi che lo stava fissando -

non serve preoccuparsi - quasi bisbigliò- tout

ça va bien, Pierre, lui sta bene ora, sta bene.

Lo sguardo era tornato sul mucchietto di brace.

Vidi Gigi sbiancare e far la mossa di parlare,

poi cambiò idea, ma mentre s' infilava nel

sacco a pelo era ancora colore di un lenzuolo.

A due passi dal fuoco, la testa appoggiata al

fagotto, il misterioso compagno di una sera

già ronfava sommesso, coperto solo della

giacchetta.

La mattina dopo dell'uomo non c' era piu

traccia. Sparito lui, sparito il fagotto,

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spariti i mocassini che aveva lasciato accanto

al focolare.

No, non proprio tutto.

Ben in vista, su una pietra piatta un

bellissimo dente di puma appeso a un laccio di

cuoio.

Per l'ospitalità o per la grande trota?

Gigi fissava muto il punto in cui l' erba

schiacciata recava ancora le tracce di un

corpo. Forse per convincersi che non era stato

tutto un sogno.

- Perché poi ti ha chiamato Pierre? Che fosse

un po' suonato, il nostro uomo? E che

significava quel discorso che non ti devi

preoccupare perché *lui* sta bene, Lui chi poi?

-

Alzò gli occhi, Gigi, e ci vidi qualcosa che

di solito non c'era.

- Mi chiamava Pierre, cioè Pietro soltanto lui.

Mio padre, intendo. È il mio secondo nome,

quello di mio nonno. Quando sono partito da La

Spezia, non stava bene. Volevo aspettare

qualche giorno, ma lui insistette. Aveva una

cera che mi preoccupava. Eppoi, sai, dopo il

tumore di tanti anni fa...

Oramai nessuno, a parte lui, conosce questo

nome... –

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Vittoria e il ragioniere **************

Come tutte le mattine l'uomo uscì dall'anonimo

palazzo IACP alle sette e trenta in punto. Il

bus sarebbe passato di lì a un quarto d'ora.

Giusto il tempo per un cappuccio, un cornetto

ed una scorsa al Carlino.

Il rito si svolgeva sempre allo stesso bar da

anni, fin da prima che il vecchio gestore

morisse di un colpo apoplettico dietro la

macchina del caffè.

Gli era subentrata una donna, un tipo

indipendente che faceva tutto da sola, senza

mai abbandonare il sorriso, dalle sei del

mattino alle nove di sera. Prima la chiusura

era a mezzanotte, ma Vittoria aveva una figlia

da accudire, così...

Il marito? Vittima del fumo!

No, niente carcinoma del polmone. Solamente un

grosso stronzo, nel senso che era uscito per

comperare le sigarette... e non era più

rientrato. Così aveva cambiato orario,

gettando nella più nera disperazione i

vecchietti che soggiornavano in permanenza ai

tavolini in formica verdina.

Equiseto Bianchi (ma dava ad intendere di

chiamarsi Sandro, come il Grande Mazzola)

ragioniere del Pier Crescenzi, era uomo

abitudinario e non molto ciarliero; tuttavia

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aveva gradito parecchio il cambiamento, anche

perché (ma non solo!) con i vecchietti se

n'era andato un persistente afrore di sigaro

toscano presente nell'angusto locale fin dalle

origini. Sparita la nuvola azzurrina appena

sotto il soffitto, sparite cicche e scaracci

agli angoli della stanza, ora i vecchi arredi,

a cominciare dal grande specchio molato del

Caffè Sandrolini, brillavano di una dignità

nuova e l'ambiente odorava di pulito e di

bomboloni freschi.

Quella mattina il bar era deserto e Bianchi in

cuor suo se ne compiacque: per un po' si

sarebbe gustato in esclusiva lo spettacolo

preferito e cioè le più belle mammelle della

Bolognina, alte e di attaccatura larga, cosa

rarissima a trovarsi: quelle della

proprietaria del bar. Per guardarsele in santa

pace sfruttava lo specchio, fingendo di

meditare sulle boiate della cronaca locale.

Questo, più della colazione, restituiva al

magro ragioniere la serenità d'animo

necessaria per affrontare un altro giorno di

lavoro, dietro alla vecchia scrivania di

un'impresa di pompe funebri. Oltre il vetro

divisorio, un continuo viavai di facce lunghe

e vedove in gramaglie che per fortuna non era

compito suo accogliere. Serio e composto,

pilastro dell'Ufficio Contabilità, indossava

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solo completi grigi. Ne aveva tre, di

differente pesantezza, ma tutti rigorosamente

grigi.

Fin dal giorno dell'assunzione, venticinque

anni prima, aveva ritenuto giusto conformarsi

all'atmosfera austera e non proprio esilarante

dell'ambiente con un colore che non stridesse

con lo stato d'animo dei visitatori.

Ma se l'aspetto esteriore appariva così opaco

e conformista , dentro Bianchi era ben altra

cosa.

Capacità d'osservazione, senso dell'umorismo e

una discreta cultura costruita con anni di

buone letture avevano scavato profondamente

nel suo animo ma non erano riuscite a

scalfirne l'innata riservatezza. Del resto non

glielo diceva sempre anche suo padre? :"Guarda,

osserva tutto ma parla poco: la persona

silenziosa sembra sempre più intelligente di

quanto non sia in realtà.

Ricordatelo!"

Così, anche se non si considerava un cretino,

aveva preso l'abitudine di parlare poco e di

guardare molto ma senza parere, ...

specialmente l'ondeggiare indolente di un seno

pieno o la gonna tesa dal rapido un-due, un-

due della commessa del primo piano.

Eeeh sì, perché ad Equiseto, che doveva quel

bizzarro nome al padre botanico dilettante,

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gli ormoni non difettavano davvero. La curva

di un fianco, la lenta sfilata di glutei e

cosce sotto al Pavaglione all'ora

dell'aperitivo, avevano il potere di scatenare

in lui tempeste di libidine, furori erotici

cui non sapeva né voleva sottrarsi. C'erano

giorni in cui perfino i tratti morbidi di

certe automobili, la pienezza di un parafango

retrò, gli richiamavano alla mente immagini

muliebri: all'istante un ben noto calore si

diffondeva all'inguine riattivando il turbine.

Il problema più grosso era stato dissimulare

certi improvvisi fenomeni diciamo cosi

"meccanici" che sarebbero risultati,

specialmente sul posto di lavoro, alquanto

imbarazzanti.

Madre Natura lo ha dotato di un gran naso, di

dita lunghissime e di piedini numero 48.

Indizi questi, e chi se ne intende lo sa bene,

che presumibilmente anche qualcos'altro è di

dimensioni altrettanto imponenti. E difatti

così era: una quantità di centimetri e una

borsa che sarebbe bastata anche per la spesa

settimanale all'Euromercato. Roba da far

vergognare perfino Rocco Siffredi, re dei

porno-attori!

Giorni e giorni di training estenuante, simile

a quello che consente a sacerdoti tibetani

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seminudi di ignorare il freddo, fecero il

miracolo.

Ciò che neppure uno slip rinforzato avrebbe

mai potuto frenare, poté la forza della mente!

Finalmente era riuscito a relegare in ambito

esclusivamente cerebrale il suo arrapamento,

fosse anche il più furioso e coinvolgente.

Ora poteva lasciare correre la fantasia a

briglia sciolta, libero di soffermarsi su

culetti a mandolino, libero di osservare

impassibile una studentessa sedicenne

abbigliata come una battona dei viali. Si

divertiva anzi ad assumere una espressione

serafica e distante mentre dentro un vulcano

segreto eruttava fuoco e lapilli.

Un paio d'anni prima aveva avuto una storia

con una bibliotecaria impiegata presso un

Centro Civico.

Era durata poco, anzi pochissimo.

Lei non riusciva a soddisfare le voglie di lui,

che anzi giudicava un po' animalesche. In

compenso portava a casa ogni nuova edizione e

pretendeva di passare le serate a dissertare

di questo o quell'autore, del Premio Strega e

di cose così.

Da allora non ha più voluto stringere nuove

impegnative amicizie femminili. Si è chiuso

ancor di più in se stesso e l'unico a salire

in casa sua sono io.

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Per quelle cose lì, si arrangia.

Quando non ne può più di guardare culi e tette,

il sabato pomeriggio salta sul treno (non ha

mai preso la patente) e va a Modena a trovare

una Signora che ha molte nipotine... se capite

cosa intendo. Scusate la verbosità ma, quale

vecchio amico del Ragioniere, ritengo sia mio

compito spiegarvi la natura del personaggio.

Come dicevo, il locale era deserto, cosa

strana data l'ora.

- Il solito, Ragionier Bianchi? Sii? Glielo

faccio subito, altrimenti stamattina rischia

proprio di perdere il bus!

Ha visto che meraviglia di bomboloni che mi

hanno portato? Una blazza! -

- Sè... propri una blazza, una vera bellezza,

mo megga i crafen alla crema...

guerda lè, guerda quanta salute! - Mi pare di

sentirli i suoi pensieri, mentre cerca di

concentrarsi sul cappuccino, e gli occhi vanno

allo splendore del décolleté. Non c'è malizia

in quell'esibizione di benessere che la

Vittoria ci sta offrendo, ci tengo a dirlo:

non vorrei che pensaste chissà che cosa di una

donna seria che sgobba tutto il giorno.

Semplicemente non ci fa caso, meglio ancora

non se ne cura. Solare e spontanea come una

bimba dell'asilo, regala agli avventori lo

sguardo allegro di una donna in pace col mondo,

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ma senza concedere confidenza a nessuno, forse

in attesa di quello giusto. Tuttavia con certe

caratteristiche fisiche e il suo stato di

"vedova" era inevitabile che qualche

"galletto" si sentisse autorizzato a prendersi

delle libertà.

Beh, vi assicuro che è stato messo subito al

suo posto. Un tale, certo Richetto, di sicuro

ancora ricorda il peso del bricco inox che

ricevette sul naso, quando pensò bene di

allungare ripetutamente le mani verso il

grembiale! Solitamente però bastava che

l'allegro tono di voce della Vittoria si

facesse pacato per far rientrare nei ranghi

anche i più determinati.

Era tardi e noi stavamo ancora lì a sorbire

l'ultima schiuma del cappuccino.

Cominciavo a pensare che quella mattina ce la

saremmo fatta tutta a piedi.

D'altra parte lì dentro si stava bene.

Odor di pulito e di brioches, e la ventola che

girava lenta a soffitto. Questo e il tendone

verde dell'ingresso bastavano a rendere

l'ambiente fresco ed invitante, in quel

mattino di giugno che il sole iniziava ad

arrostire.

L'autobus era passato da un pezzo ma l'odore

di pneumatici roventi ancora ristagnava,

Page 24: Alberto Angelici - Racconti

quando avvertii la porta aprirsi e mi girai.

Più che altro fu il cambiamento di luminosità

e uno sbuffo di gas a farmene accorgere, dato

che voltavo le spalle all'ingresso e di rumore

quasi non ve ne fu.

In controluce sembrava un ragazzino, forse un

operaio in ritardo o uno studente in vena di

fughino.

"Tttira su lllle mani, ccccogglione, fffammele

vedere bbbene e pppure tu - sibila balbettando,

rivolto a Bianchi e al sottoscritto - ... e

tttu pppochi scherzi, ssstrrronza, edd-ammi la

cassa, o ti bbbuco! DAI!" e alzò un lungo

coltello da cucina che chissà dove lo aveva

tenuto infilato fino a quel momento.

Non era un operaio, non uno studente, non più

per lo meno. Solo uno sfigato.

Venti, forse venticinque anni, smunto e grigio

in faccia, di un pallore che era denutrizione

e alcool ma anche disperazione e paura. un

grappoletto di orecchini e un largo tatuaggio

che pareva un tappeto persiano sullo

striminzito bicipite.

Gli occhi, in parte nascosti da un

cappelluccio a cencio che gli scendeva sulla

fronte, erano profondamente infossati nelle

occhiaie, rossi spiritati e stanchi.

Page 25: Alberto Angelici - Racconti

La mano che tendeva il coltello aveva un

tremito continuo e usciva magra da un polsino

sporco, più simile ad un ramo secco, tanto la

pelle era tesa sull'osso.

Sotto, Jeans sbiancati e rotti e

l'incongruenza di due piccoli piedi infilati

in mocassini di ottima fattura che non avevano

nemmeno avuto il tempo di impolverarsi.

Tutto questo notai, in quei pochi attimi e

pensai che noi tre dovevamo sembrare statue di

cera del Museo di Madame Tussaud.

Farfugliò qualcosa ansimando.

"DDAI, CHE ASPETTI, VVVVUOI PPPROOOPRIO CHE TI

BBBBUCO!!??" e continuava ad agitare il

coltellone davanti alla faccia, anzi alle

tette della Vittoria, mentre lanciava continue

occhiate inquiete verso l'ingresso del bar.

Non sapevo che pesci pigliare.

Pensavo... ma porca puttana, ma è mai

possibile che qua fuori nessuno si accorga di

niente! Guardali lì, passano e non vedono un...

Neanche l'acqua nel Reno troverebbero quelli

lì... c'è anche un carabiniere... se venisse a

prendere il caffè... mocchè, ggninta... e noi

qui con 'sto malnatt!

Continuavo a stare lì a prendere sempre gli

stessi pesci, quando sentii la voce della

Vittoria, chiara e tranquilla come al solito

anzi più del solito: "Dai cinno, sta' mo'

Page 26: Alberto Angelici - Racconti

calmo e metti giù quel coso... che cassa vuoi

che ti dia... non lo vedi che non son neanche

le otto? Avrò fatto sì e no una trentina fra

caffè e cappuccini, più qualche bombolone...

ci saranno appena cinquanta mila lire nel

cassetto, guarda, se non ci credi!" e fece per

aprirlo.

Sarà stata la mossa improvvisa o un tremito

più forte degli altri, fatto sta che sul bel

davanzale della Vittoria sprizzò

all'improvviso il sangue che arrivò a

macchiare il secchiaio e le tazzine bianche

ancora da sciacquare.

Poi un gemito, quasi un gorgoglio che mi fece

sussultare. "Dio Santo, le ha tagliato la gola!

L'ha sgozzata!" pensai, ma quei suoni non li

aveva prodotti la Vittoria.

Provenivano dal tavolino dietro di me, dove

fino ad un attimo prima stava seduto Equiseto.

Piano piano si era alzato e ora impugnava

stretto qualcosa... forse il massiccio vaso in

ottone che stava sulla mensola lì dietro... sì,

proprio quello.

Avrei voluto dirgli di non fare cavolate, che

quello lì era fatto come un copertone e

avrebbe tagliato la gola anche a noi, ma non

feci in tempo.

Senza neppure guardarmi, gli occhi fissi sul

sangue mi strattonò da una parte superando in

Page 27: Alberto Angelici - Racconti

un lampo la distanza che lo separava dal

bancone. Il pesante vaso sbattè violentemente

sotto il mento del cinno con il rumore di un

melone maturo che si frantuma a terra. Non

riuscì però ad evitare la lama che gli penetrò

nel braccio, mentre il balordo gli finiva

addosso. Rovinarono assieme sul pavimento.

Insomma, un vero casino, uno scannatoio che la

Beca di Castenaso è roba da ridere! Sangue

dappertutto, vetri rotti... mentre sentivo una

voce concitata che si avvicinava dalla strada.

"Ecco, agente, è entrato lì il ladro ... in

quel bar... è in trappola!! " La porta si

spalancò e comparve un tipo in doppio petto

blu... e senza scarpe! Lo seguiva un agente di

polizia in divisa con la pistola in una mano e

un walkie-talkie spernacchiante nell'altra,

grassoccio e anche lui trafelato.

Vedendo la scena si bloccarono sull'uscio.

"Minchia, morti sonoo, Madonna mia quanto

sangue! - ebbe il tempo appena di sussurrare

il poliziotto prima di rovesciare gli occhi e

scivolare con gli altri sulle marmette già

piuttosto affollate. Il gagà in calzini indicò

il tossico svenuto.

"Ecco le mie scarpe! Vede? Lo sapevo che era

qui! ... e dovrebbe esserci anche il mio

Vacheron Constantin... sa, è di platino!" Fu

Page 28: Alberto Angelici - Racconti

allora che cominciai a ridere. Una ridarola

che ancora continuava all'arrivo degli

infermieri chiamati da non so chi. Per un

attimo credetti che mi avrebbero trascinato

via in camicia di forza. No, niente gole

tagliate, anche se il taglio al petto della

Vittoria era abbastanza profondo.

Pure il braccio di Equiseto sembrava peggio di

quanto non fosse, ma come lei aveva perduto

molto sangue.

Il bernoccolo sul cranio invece dovreste

vederlo, uno splendore ... appena più grande

di quello che esibiva il poliziotto.

Al "cinno", un sieropositivo con fedina come

la barba di Noè, riscontrarono una frattura

scomposta della mandibola e dell'osso maston...

mastal... non ricordo più come si dice,

insomma quello sopra la mandibola, poi quattro

denti davanti sbriciolati, un labbro spaccato

e per buona misura anche la punta della lingua,

tranciata dai denti all'arrivo del vaso.

La Vittoria si riprese in fretta dalla paura e

dai quindici punti di sutura.

Prima ancora che la dimettessero già pensava

alla pulizia che avrebbe dovuto fare nel

bar ... dopo aver accudito al SUO eroe! Sì,

perché il mio amico Equiseto se le sta

prendendo tutte le coccole della Vittoria, e

anche quelle della figlia della Vittoria (che

Page 29: Alberto Angelici - Racconti

non pare affatto gelosa, anzi) dopo aver fatto

la ruota con i giornalisti che a cucci e

spintoni cercavano di intervistare lui e

fotografare lei dalla vita in su. Poi quando

le è sembrato sufficiente, con cortese

fermezza li ha scaraventati fuori dalla porta.

Mentre butto giù questi appunti che mi ha

chiesto un giornalista della Repubblica ( non

ho mica nessuno, io, che mi coccoli ... ) loro

due, gli inseparabili, sono sul divano del

salotto e li vedo riflessi nello specchio.

Lei sta dicendo che il viaggio di nozze lo

faranno alle Maldive, lui obbietta che sarebbe

meglio usare il denaro per sistemare la casa

ma intanto il suo sguardo non abbandona

Vittoria e il suo décolleté Le mormora

qualcosa sotto voce. Lei arrossisce e gli dà

uno schiaffetto, ma leggero... poi spariscono

di là perché, mi dicono, c'è della contabilità

del bar da controllare.

Beh, ora vi saluto.

Ah, dimenticavo, Vittoria dice che mi deve

presentare un'amica...

Page 30: Alberto Angelici - Racconti

Virginia Jo Mary *******************

Camminavo di buon passo per via Indipendenza.

Ci sarebbe un "dell' " prima, ma nessun

bolognese che si rispetti lo adopera. Si

cominciò chissà quando per brevità; ora lo si

fa per abitudine. Negozi e banche, banche e

negozi, quasi tutti d'abbigliamento. Tanta

gente attorno a me. Frotte chiassose di

ragazzini coll'Invicta sulle spalle e grappoli

di cerchietti all'orecchio, funzionari

frettolosi in giacca e cravatta, massaie dai

piedi stanchi e dalle borse piene di spesa.

Contro una colonna un marocch... scusate un

extra-comunitario espone su di un cartone la

sua bottega e un altro, nerissimo, offre

accendini multicolori e un sorriso a cento

watt.

A me piace camminare svelto. Fast walking lo

chiamano gli americani.

Sentire i muscoli lavorare sotto la pelle, e

caldi gonfiarsi e tendersi e rilasciarsi.

Per la verità preferisco farlo per sentieri di

montagna, nel silenzio di un bosco, dove

l'aria non sia pregna di gas e dell'acre odore

di pneumatici tostati, ma quel giorno ero lì.

Sotto il portico le vetrine illuminate dei

negozi scorrevano al mio fianco. Vivide luci

passavano in rapida sequenza come un treno

Page 31: Alberto Angelici - Racconti

nella notte ma io non ci badavo, perso com'ero

sull'onda di pensieri lontani.

Stava ferma davanti ad una elegante vetrina.

Alta, forse un metro e settantacinque, i

lunghi capelli, fitti e pesanti, le

disegnavano una nera criniera sul tailleur più

chiaro. Osservava gli abiti e mi mostrava il

profilo.

Naso dritto dalla linea decisa, lunghe ciglia

stranamente immobili, ricche labbra

leggermente socchiuse.

Al mio sopraggiungere si girò in qua e riprese

il passo. A pochi metri alzò lo sguardo e i

nostri occhi s'incrociarono.

Fu questione di un attimo, pochi secondi, ma

in quell'istante milioni, miliardi di neutroni

accelerarono o cambiarono percorso o...

qualcosa del genere.

Tu dirai beh che c'è di strano, gli uomini

sono cacciatori; quella era una bella ragazza

e quindi... NO! Nulla del genere o meglio io

sentii e anche lei sentì che il nostro

incontro casuale era in realtà un

reincontro ..Non è facile spiegare emozioni

così sottili e profonde e fuggevoli

e ...strane.

Ci fermammo ambedue, imbarazzati, muti perché

nessuno dei due sapeva cosa dire. Nessuno dei

Page 32: Alberto Angelici - Racconti

due capiva il significato delle proprie

reazioni.

Fu lei a parlare per prima, dicendo che le

pareva che ci fossimo già conosciuti. Era

indecisa, sconcertata anche e un tenue sorriso

esitava a formarsi sul rosso naturale delle

labbra. Bella voce. Ben modulata e ricca di

vibrazioni. Un po' roca, perciò ancor più

suggestiva. Sensuale, quasi. Non bolognese,

pensai. Neppure italiana, anzi.

Mai sentito un accento così. Probabilmente una

straniera che vive in Italia.

Elementare, Uotson, elementare! - mi urlavo,

imbestialito - Ma quanto sei perspicace, caro

il mio Uotson! Tacevo, continuavo a tacere,

immerso in uno stato d'animo strano che si era

impadronito di me all'improvviso.

Cavolo, eppure qualcosa dovevo pur dire, no?

Risponderle, almeno.

"Ma... non so ...forse... effettivamente anche

a me pare di conoscerla. Ha un'idea dove

potremmo esserci visti? Mi scusi, ma proprio

non ricordo" Mentre pronunciavo quella frase,

dentro di me continuavo a maltrattarmi ad alta

voce per le abissali banalità che esprimevo.

Non sapevo (o non volevo) scuotermi da quel

torpore.

Invece come Dio volle in qualche modo ci

riuscii, riprendendo contatto con la realtà.

Page 33: Alberto Angelici - Racconti

Solo allora m'accorsi che le stavo ancora

stringendo la mano e la mollai come fosse

rovente.

La mia espressione dovette essere a dir poco

buffa.

"Beh, che ne direbbe se provassimo a fare

entrambi uno sforzo di memoria mentre beviamo

qualcosa di caldo? Qua fa un freddo!"

Già, perché se dipendeva da me, potevamo

restare lì a congelarci per l'eternità!

Si chiamava Virginia Jo Mary, di madre

italiana e padre americano. Virginia perché

era stata concepita in quello Stato durante un

viaggio. Jo Mary, non so.

Lei abitava a Roma da due anni e veniva spesso

nel nord per motivi legati al suo lavoro di

funzionario in carriera dell'American Express.

Mai stata a Bologna.

Io anni che non andavo a Roma.

La cosa si faceva sempre più strana.

Intanto a forza di indovinelli tipo lei ha mai

frequentato quel club? ..è mai stata in

quell'albergo? ...ha fatto vela? ...gioca a

tennis? ...e cose simili, tra noi si era

creata una confidenza incredibile per due

sconosciuti.

I nostri occhi non si lasciavano e lo strepito

di voci che ci aveva accolto nel bar, era

ridotto ad un indistinto brusio sullo sfondo.

Page 34: Alberto Angelici - Racconti

Vedevo e sentivo solo lei e il suo volto

riempiva i miei orizzonti. Nei grandi occhi

bruni galleggiavano pagliuzze d'oro che

avevano su di me un effetto ipnotico. Parlava

e raccontava cose che a me pareva di conoscere

già da prima che le dicesse.

Occhi negli occhi.

Poi la domanda. Quella che mi ronzava in testa

fin dal primo istante.

Venne improvvisa, quasi brutale, e le troncò

la voce in bocca.

"Posso toccarti i capelli?"

Ma era la mia voce, quella?

Non rispose. Annuì, lentamente. Due volte.

Guardavo la mia mano muoversi al rallenty. Ore

per arrivare al suo viso. Giorni per toccare

quella massa scura, densa come una cosa sola.

Anni per affondarvi al polso. Attimi per

assorbir la scarica che attraverso il braccio

salì alla testa, sprofondò al ventre e mi

avvampò dentro.

Qualcosa di simile ad un orgasmo ma più

violento, molto violento. Totale.

Virginia inclinò la testa verso la mia mano,

come un gattino che cerca la carezza. Alzò una

mano ad incontrar la mia in quel mare nero di

seta.

Restammo insieme quella sera, in quale tempo e

in quale luogo non so. Telefonò a qualcuno per

Page 35: Alberto Angelici - Racconti

avvisare che si tratteneva a Bologna per un

giorno.

Il tono era dolce e rassicurante. Intuii

preoccupazione, dall' altra parte.

Non furono fatte domande, così non servirono

bugie.

La notte fu un momento e il giorno dopo anche.

Partì con l'aereo della sera dopo avermi detto

tutto. Del marito e della figlia. Una bella

famiglia piena d'amore e di fiducia reciproca.

Aveva gli occhi pieni di lacrime, come un

bambi ferito. Lacrime che non scendevano a

rigar le guance ma restavano incollate lassù e

come lenti ottiche ingrandivano l'oro che mi

aveva stregato.

Per tante altre notti la sognai e giorni e

ancora notti eppoi giorni e giorni e notti e

giorni.

Non conoscevo il cognome e neppure l'

indirizzo, ma avrei potuto facilmente chiedere

alla sua Compagnia, a Roma.

Quante Virgina Jo Mary potevano mai esserci

all' American Express?

Avrei potuto sapere tutto.

Non l'ho mai fatto.

Spesso mi sono odiato per non averlo mai fatto.

Forse mi sarei odiato di più se lo avessi

fatto.

Forse.

Page 36: Alberto Angelici - Racconti
Page 37: Alberto Angelici - Racconti

Viaggio in Istria *****************

E anche questa vacanza è finita! Metto il naso

fuori dalla finestra e mi accorgo che siamo

rientrati proprio un attimo prima che l'estate

ci sbatta l' uscio in faccia. Vento freddo,

l'ora legale che ritorna e porta con sé il

buio dell' inverno, e un' insistente pioggia

che fa riscoprire a malincuore l' utilità di

ombrelli e impermeabili...

Però è stato piacevole, questo tour

dell'Istria.

Trieste, un misto di mediterraneo e mittel-

europeo, vedi piazza dell'Unità, che sembra

rubata a Vienna. I caffè, grandi e sontuosi,

dove la buona borghesia amava e ama indugiare

il pomeriggio per il tè coi pasticcini, decine

di differenti idiomi che s'intrecciano sui

marciapiedi e sulle interminabili banchine del

porto, facce d'ogni tipo e colore e così pure

le facciate delle case, un variopinto

poutpourri di stili, dalle leziose bifore

veneziane alla rigorosa geometria austro-

ungarica al verticalismo semplice ed

aggraziato del colorito stile mediterraneo.

Porec, vero gioiellino, melange suggestivo di

vecchie case sbilenche che si sostengono a

vicenda e nobili palazzine dai frontali

orgogliosi di storia e stemmi patrizi e chiese

Page 38: Alberto Angelici - Racconti

bizantine e, ovunque, il fiero cipiglio del

leone di San Marco.

Rovigno, un po' ligure, un po' veneziana a

seconda di come si cambia prospettiva.

Fortificato e alto da una parte, dolce ed

accogliente dall'altra.

Scendendo verso sud sulla statale che rasenta

il mare, vorremmo visitare anche l'isola

Brioni ma quando a Fazana, un modesto paese di

fronte all'isola, ci rivolgiamo all'agenzia

dell'azienda di soggiorno, ci dicono che

alberghi aperti non ce ne sono. Soltanto case

private e non sa se ci accetterebbero(?) Sola

alternativa, alloggiare nell'unico hotel

aperto di Brioni. Chiama, l'impiegata, e

sussurra nel telefono che si tratta di 3

italiani... Dopo un attimo ci dice che

purtroppo non c'è posto.

"Sa com'è, i Gruppi... le Conventions".

Ma quali gruppi e quali conventions se tutto

appare deserto peggio di Torre Pedrera a

febbraio!

Però possiamo fare comunque una visita

all'isola, aggiunge la cordiale impiegata

(pare aver ingoiato un manico di scopa).

"Ora?", domando io.

"NO! - replica lei col tono amabile della

maestra che riprende l'alunno - L'unica visita

guidata di oggi è appena partita, ma potete

Page 39: Alberto Angelici - Racconti

tornare domani e per l'equivalente di 140.000

lire in tre potrete godere del privilegio di

visitare l'isola dove il Presidente Tito

trascorse per molti anni le vacanze estive!"

Considerata l'affettuosa e calda accoglienza e,

sentendoci tanto amati, decidiamo che Brioni

potrà fare a meno di noi e proseguiamo. Un

paio d'ore di viaggio senza storia. La statale

sempre dritta, poco trafficata (siamo in

settembre) e interrotta solo da incroci spesso

privi di qualunque indicazione.

All'ennesimo incrocio, un'unica freccia,

piccolina: Rovigno.

Poche case e un grande piazzale prospicente il

golfo. A ridosso della banchina un traghetto

con l'indicazione Venezia. È il battello che

viene dall'Italia. Ci dicono che in estate fa

due corse al giorno.

E non è l'unico. Andiamo avanti, verso il

centro storico. Man mano che le strade si

fanno più strette, le case appaiono più

vecchie.

Superiamo i pioppi di un piccolo giardino

pubblico popolato da frotte di grossi gabbiani

e da una coppia di anziani. Stranamente

tengono tutti, volatili e vecchietti il

medesimo passo, la stessa andatura piatta.

Ci troviamo di fronte un'altra baia. Scopriamo

così che Rovigno è costruita su una punta, a

Page 40: Alberto Angelici - Racconti

cavallo di due insenature, una ampia e aperta,

l'altra raccolta e protetta. Appena fuori,

tutta una cintura di isole, più o meno grandi,

danno all'acqua una immobilità quasi lacustre.

Giriamo un angolo e sbuchiamo sulla via

principale della parte vecchia, lastricata in

pietra grigia.

Su entrambi i lati, numerosi vicoli solcano la

schiera di casette vecchie di cinque secoli;

pare quasi che si reggano l'un l'altra per

meglio sopportare l'aggressione del tempo.

Poi la strada si allarga gradualmente in una

grande V fino a formare una spianata che

domina la baia minore. Sulla sinistra una fila

ininterrotta di caffè e ristoranti, tutti con

tavolini all'esterno, incornicia la banchina.

Alla nostra destra la gradevole facciata

dell'hotel Adriatico.

Dopo un breve conciliabolo, decidiamo di

entrare e in pochi minuti prendiamo possesso

di due ampie camere arredate con mobili

ottocento. C'è tanta luce e le porte-finestra

danno sulla baia, gremita di un naviglio

coloratissimo. Proprio, come avevo chiesto.

Lance a remi e a motore, gommoni e motoscafi,

piccoli pescherecci e agili sloops,

catamatrani più larghi che lunghi e qualche

grosso cruisers. Più l'incongruenza di un

*coso* che sembra un galeone dei pirati in

Page 41: Alberto Angelici - Racconti

miniatura autocostruito nel garage di casa. A

quanto ci sembra è di una buffa coppia di

tedeschi che ci vive tutto l'anno. Sapremo poi

da qualcuno che sbarcano il lunario portando a

spasso gruppetti di turisti da un isolotto

all'altro. Appena oltre si distinguono le

strutture di alcuni piccoli cantieri di

rimessaggio e assistenza. Proprio di fronte a

me, quello che potrebbe essere l'antico

municipio: un contegnoso palazzetto con tanto

di torretta, orologio e meridiana.

Alle nostre spalle sta per tramontare il sole.

Si accendono le luci e il borgo prende vita.

Ora c'è più gente nelle strade. Si formano

animati crocchi di persone che chiacchierano

mentre i bambini guardano felici le barche o

corrono dietro ai gabbiani che zampettano

tranquilli come piccioni, obbligandoli a

improvvisi decolli. Una ragazzina con la

frangia e la minigonna rossa fissa sgomenta la

macchia giallo-marrone del proprio cono -

gelato scivolato sul selciato.

Contro lo sfondo più scuro di un lungo

isolotto, saetta veloce una diecina di vele

impegnate in regata, impertinenti virgole

bianche di un quadro in movimento. Ceniamo,

maluccio e a caro prezzo, davanti al mare. Mi

irrita la malagrazia dei camerieri, il sapido

Page 42: Alberto Angelici - Racconti

gusto di piatti banali, il sorriso che compare

solo all'apparire della mia Visa Card.

Mi scuoto e decido di godermi il panorama

impagabile e dolce che ho di fronte, simile a

un quadro di Cascella che ho in studio e che

raffigura Portofino.

La mattina successiva apriamo gli scuri ad un

gagliardo sole settembrino e poco dopo

superiamo indenni un break-fast a base di

caffelatte modello colonia, pane insipido e

brioche sotto celofan servite da due cameriere

appena scappate dal set della famiglia Addams.

Montiamo sul fuoristrada, decisi a conformarci

all'imperativo categorico trasmesso dalla

nostra signora e padrona.

"Basta scogli ruvidi e bitorzoluti: uffa...

trovatemi della sabbia comoda!"

Cerchiamo, ma ogni promettente stradina

termina contro deliziose insenature...

irte di scure rocce basaltiche! Memori delle

direttive ricevute e consapevoli delle

rappresaglie che seguirebbero, cerchiamo e

cerchiamo, finché sul fondo di una striminzita

baietta scorgiamo del chiaro. Ci avviciniamo e,

gloria!, facciamo nostro l'unico scampolo di

spiaggia sabbiosa di tutta la zona: forse tre

chili di arenile grigiastro. Ma la signora è

soddisfatta. Un sorrisino, un sospiro e

riesce a sdraiarcisi al centro, mentre a noi

Page 43: Alberto Angelici - Racconti

due resta un'ampia scelta di punte e gobbe di

roccia nera. :-( Beh, non si sta poi male. Il

silenzio è turbato solo dal fiacco

sciacquettare della risacca. Ogni tanto un

borbottio monocorde annuncia il passaggio di

una barchetta. Sono sempre due uomini (che sia

obbigatorio?), maglioni e stivali e un

mucchietto di reti all'estrema prua. Seri ed

impassibili, non rivolgono neppure lo sguardo

verso di noi e la cosa ci va benissimo. :-)

Spuntino con le cosette buone comperate al

mercatino della frutta e verdura e il pane

sgranfignato al break-fast e la giornata

scorre fluida in pochi istanti. Ad avvertirci

che il tempo passa è il freddo che arriva

all'improvviso e ci fa scappare. In camera per

lo stretto indispensabile, una doccia e via in

giro per i vicoli di Rovigno. Su nella parte

più alta fino alla settecentesca cattedrale,

malconcia ma suggestiva, dove è in corso la

santa messa. Piccoli negozi, piccoli usci,

piccolo tutto. La gente ha comportamenti molto

diversi nei nostri confronti: dipende

dall'etnia. Si va dall'indifferenza alla

villania alla cordialità accompagnata da un

sorriso. In questi angoli bui, nell'odore

stantio di cavoli e fogne malmesse si respira

una povertà non antica ma consolidata da anni

di regime. Questo nonostante ci troviamo in

Page 44: Alberto Angelici - Racconti

zone che il turismo non ha mai abbandonato.

Non voglio pensare come dev'essere l'interno

del Montenegro.

"Circolo Culturale d'Italia" dice la targa su

un vecchio muro sbrecciato.

Incuriositi buttiamo un occhio. C'è un uomo

sui sessant'anni che legge il giornale. È il

Corriere della Sera. Perplesso mi guarda. Sono

dentro solo a metà. Il resto è ancora fuori,

assieme ad Anna e Lorenzo. Poi sorride e fa

segno con una mano, un mezzo cerchio nell'aria

che sa un po' di toscano.

Sorride d'un sorriso bambinesco e tutto il

viso avvampa e si spiana e dieci anni se ne

vanno assieme alle rughe.

"Avanti, accomodatevi pure. Entrate tutti,

prego!"

L'ambiente è piccolo e poco luminoso, ma oltre

una porta s'intravvedono altri locali più

spaziosi. Ci giungono alcune voci smorzate

dagli spessi muri. Alle pareti vecchi editti

del regno d'Italia e una foto di piazza San

Marco e quella di Pertini.

L'uomo con piccoli gesti impacciati riassetta

il piano della scrivania.

Giornali, fatture, un pesante portaceneri di

cristallo, penne e un pacchetto di mezzi

toscani. Imbarazzato getta occhiate ad Anna.

Page 45: Alberto Angelici - Racconti

"Sa... raramente da noi capitano delle

signore".

Sorride ancora e un dente d'oro fa capolino

all'angolo della bocca e si unisce al sorriso.

Al bavero della giacca la spilla di cavaliere

del lavoro. Vede il mio sguardo. Capisco che

ne è compiaciuto.

"Che posso fare per voi?"

Spiego che stavamo girando per i vicoli quando

abbiamo notato l'insegna del loro circolo e,

incuriositi, abbiamo voluto vedere di che si

trattasse. Allarga le braccia in un gesto di

sconforto e ci spiega che sono rimasti in

pochi.

Aggiunge che la vita, lì, per gli Italiani, è

sempre più grama, più difficile e così quel

circolo è diventato l'unico punto di

riferimento per la loro piccola comunità.

"Riceviamo alcuni quotidiani, ma impiegano tre

giorni, sapete, mentre in Australia ce li

hanno entro due! Fino allo scorso anno ci

arrivava anche Epoca ma cosa vuole, i soldi in

cassa non bastano mai, così..." e si lancia in

un accorato sfogo che tocca come in un turbine

la politica, il calcio, il governo locale che

se ne frega della comunità italiana, il

problema del turismo che con la guerra era

sparito, mettendo in enormi difficoltà anche i

Page 46: Alberto Angelici - Racconti

suoi nipoti che hanno un alberghetto un po'

più in giù sulla costa e via di questo passo.

"...eppoi - conclude, rosso in volto - nel

nostro Paese, in Italia, nessuno più si

ricorda di noi!". Parliamo di altre cose.

Lorenzo chiede spiegazioni sulle vecchie carte

che vede alle pareti e Anna raccoglie

informazioni su quel che c'è da vedere in

paese e lì attorno. Prima che ci accomiatiamo,

insiste per offrirci una bibita e brindare

alla nostra visita. All'improvviso scappa

nella camera accanto e ritorna stringendo un

librone monumentale.

"È il libro degli ospiti! - e ci batte sopra

con la mano - Dovete assolutamente mettere i

vostri nomi. Tutti... e se volete, potete

anche aggiungere un commento. Sapete - dice,

tutto orgoglioso - c'è anche quello di Craxi e

la sua firma! Era in vacanza su una barca di

amici, qui vicino e venne a trovarci".

A fatica riusciamo a guadagnare l'uscita,

assieme al nostro gentilissimo ospite che

continua a trattenere la mia mano nella sua e

a fare mezzi inchini ad Anna.

Continuiamo il giro ma nessuno di noi ha più

voglia di chiacchierare e per un pezzo

camminiamo in silenzio, ognuno perso nei

propri pensieri. Perfino Lorenzo, sempre così

ciarliero, tace.

Page 47: Alberto Angelici - Racconti

La sera, forti del consiglio del portiere

dell'hotel, italiano di Mestre, ci risaliamo

una ripida stradina alla ricerca della tanto

decantata trattoria.

"Il miglior pesce di Rovigno e dintorni!... e

vi sembrerà di essere a Venezia!".

Ricavato nelle cantine di una vecchia casa

nella zona più antica del paese, l'Osteria di

Giannino è proprio un posticino caldo e

accogliente. Si scendono tre gradini ed ecco

una prima saletta con un paio di tavolini.

Ancora qualche gradino e un'altra spruzzatina

di micro-tavoli e via così, sempre scendendo

più in basso. Sopra, invece, altri posti sono

ricavati in un precario soppalco,

raggiungibile mediante una scaletta per polli.

A lato, un piccolo spazio semi- aperto è

riservato alla cucina (il minimo

indispensabile alla sopravvivenza dei cuochi,

per non sottrarne ai coperti) dove 4 persone

lavorano gomito a gomito come fossero nella

cucina di un caravan. È simpatico assistere al

balletto della preparazione dei piatti, stando

comodamente seduti in attesa delle pietanze.

Braccia e gambe dei cuochi si muovono

all'unisono per sfruttare al massimo l'esiguo

spazio.

Odorosi sbuffi salgono da pentole e padelle e

ogni tanto il cuoco occhieggia, le mani

Page 48: Alberto Angelici - Racconti

intente in qualche misteriosa operazione

gastronomica che da qui non vediamo, e chiede

notizie di ciò che ci hanno appena servito.

"Mmm, ottime queste cozze alla marinara -

commento io, impegnato fino ai gomiti in

un'enorme fiamminga - ma ci sarebbe stato bene

del peperoncino: i mitili per loro natura sono

un po' dolci e così...".

"Ecco - sbotta il cuoco col vice (il cognato).

- ti g'ha visto, bestia che ti s'è ti! Te

g'avevo deto che queo s'è uno che l'ghe piase

magnar ben, un intenditor, ostrega!"

Pochi istanti e un'altra fiamminga, *corretta*,

compare magicamente dal loculo-cucina, con

tante scuse.

Che profumi, che meraviglia!

Mi spiegano che il mollusco di quelle cozze è

così grosso e saporito perché non sono

d'allevamento ma naturali. Selvatiche, insomma.

Seguono dei tagliolini all'uovo tirati in

padella con vongole e datteri di mare. Bianche,

senza pomodoro. Una delicatezza, con tutti i

profumi del mare! Poi un assaggio di fritto di

calamari piccolissimi, trigliette e soglioline

tenere e croccanti.

Per finire una grigliata mista che aveva un

solo torto: quello di arrivare per ultima!

Page 49: Alberto Angelici - Racconti

Il veneziano stretto dei proprietari ci

stupisce e chiedo da quant'è che si sono

trasferiti qui dall'Italia.

"Poco, pochissimo....solo una ventina di

generazioni almeno! Cossa vuol... la

lontanansa, la nostalgia forse ...e noaltri

gavemo conservà el dialeto dei veci ...xe

l'unica cossa armasta..."

Assolutamente da provare se andate da quelle

parti. Osteria Giannino di Pellizer Nereo &

Giovanni, via Ferri 38 - Rovigno tel. 052-

813402 - chiuso il lunedì.

:)

Usciti a malincuore da quell'oasi di intensi

profumi e di semplice cordialità, ci sentiamo

in pace col mondo, sereni. Siamo insieme,

penso, a parte Alessandro.

Stiamo bene, dunque ringraziamo chi ci

consente tutto questo ... È buio fitto nella

stretta viuzza e l'acciottolato è viscido per

l'umidità e consunto dal passaggio di chissà

quante generazioni. Non c'è illuminazione e

solo il bagliore tenue di qualche finestra

ancora illuminata ci permette di vedere dove

mettiamo i piedi. Vorrei che la serata non

finisse mai, con quell'ottimo pesce e

l'atmosfera che nulla aveva da spartire con la

gentilezza formale di tanti locali.

Page 50: Alberto Angelici - Racconti

La mattina scendiamo un po' tardi. Un occhiata

al buffet e già l'osteria di Giannino ci pare

un sogno. Sul lungo tavolo, nell'ordine:

vassoio di latta modello-mensa-aziendale-anni-

cinquanta, numero due fettine due di pane.

Accanto caraffa semi-vuota di un liquido

dall'improbabile color rosso cardinale.

Marmellata zero.

Su gli unici due blocchetti di burro tedesco

mettiamo le mani contemporaneamente, io e una

corpulenta signora austriaca dai capelli

gialli.

La mano grassoccia, fitta di anelli, si chiude

avida sulla stagnola e batte la mia d'un

soffio.

"Danke!", sbraita stentorea.

Melliflua sorride e se ne va in una nuvola di

denso profumo al mughetto.

Col mio burro.

Un'ora dopo siamo in strada. Prima però ho

sbrigato due cose cui tenevo.

Mancia al portiere che ci ha indicato Giannino

e busta chiusa con tutta la valuta locale che

avevo, circa centomila lire, al circolo

d'Italia. A quell'ora non c'è nessuno e metto

la busta in buchetta. Meglio, così evito scene

imbarazzanti.

Un centinaio di chilometri e siamo a Pola,

dove ammiriamo l'imponente anfiteatro dalle

Page 51: Alberto Angelici - Racconti

arcate alte più di trenta metri. Peccato che

sia così stretto fra le costruzioni del centro

e soffocato dal traffico. Lorenzo commenta: "e

checcifà il Colosseo a Pola?"

Ed io: "Sverna sempre qua, al riparo dai

turisti!" Fa un freddo boia ed è nuvolo, così,

dopo un breve giro a piedi della città,

proseguiamo seguendo la costa. Troviamo da

dormire a Medulin, appena oltre la punta, dove

la strada comincia a girare verso nord. Lì

trascorriamo la notte in una pensione i cui

proprietari, che ci vivono, aprono apposta per

noi. Si vede che a loro le nostre lirette

tanto schifo non fanno! Colazione abbondante e

la sensazione di essere a casa di amici. La

sera prima ci avevano chiesto che cosa

volevamo che comperassero. Caffelatte, succo

d'arancia e iogurt, pane, brioches, burro e

marmellata, tutto abbondante, tutto

freschissimo. Alle nove ci rimettiamo in

strada verso Abbazia.

Abbiamo scelto intenzionalmente, per quella

tappa, un percorso che ci avrebbe portati

verso l'interno, dove le strade sono ancora

sterrate ma ben tenute. La Guendalina, il

nostro fuoristrada Mercedes si sente nel suo

elemento e ronfa allegramente. Poche macchine

ma molti carretti tirati da asini e molta

povertà. Sembra l'Italia degli anni cinquanta.

Page 52: Alberto Angelici - Racconti

Quella di Coppi e della settimana Incom. Nelle

borgate il vento ci porta voci dalla cadenza

veneziana e, in quei casi, al nostro passaggio

sono sempre espressioni di simpatia e sorrisi.

Anche oggi il tempo non è dei più favorevoli.

La foschia limita la vista del mare e della

grande isola di Krk (ma perché non usare anche

le vocali... visto che ci sono! Benedetta

gente!) che si trova poco distante dalla costa.

Decidiamo di tenere un'andatura meno

croceristica e di andare avanti.

Un'unica sosta, in un grazioso borgo di mare

simile a Positano, pochi chilometri a sud di

Abbazia. Giusto il tempo per un caffè e per

assistere ad una scenetta ai margini del

porticciolo stretto tra alte rocce a picco sul

mare. Poche barche, alcune già in secca per il

ricovero invernale, altre semi demolite. Un

paio di pescatori all'opera su reti malridotte.

Viene verso di noi un cagnone bianchiccio, un

po' bastardo e un po' no (ma soprattutto sì).

L'aria dimessa ma buona, stringe gioiosamente

tra i denti una scarpa da ginnastica che ha

visto tempi migliori. Scodinzola e mi guarda.

Si ferma.

Allora io gli vado incontro e gli parlo,

dicendo che è proprio bella, quella scarpa. Un

Page 53: Alberto Angelici - Racconti

battito muto di ciglia, un'occhiata placida ma

un po' incredula.

Sembra dire ma l'hai guardata bene? Ma ce li

hai gli occhi? Poi però, forse convinto dal

mio complimento o pensando che potesse davvero

interessarmi, me la molla lì e lemme lemme

scompare tra due barchette sfasciate. Il tempo

di considerare che fare di quell'inatteso

omaggio e arriva dal molo un tale, che

trotterella su una sola scarpa, compagna di

quella che ho in mano io, omaggio del cagnone.

Mi guarda e sorride bonario. Lo guardo e

sorrido anch'io e indico con la mano fra i due

relitti, dove fanno capolino un'orecchia

floscia e un occhio placido. Non ci parliamo,

non ce n'è bisogno.

Sorride ancora, scrolla le spalle, poi prende

la scarpa e va in là. Da lontano sento poche

frasi di una bonaria ramanzina mutilate a

tratti dalla risacca. Rimango fermo lì, contro

un mare che sta gonfiando. Raffiche di vento

intrise di sali mi schiacciano sul viso

l'odore muschiato e dolce di alghe fradice, di

sabbia bagnata di spuma, un lontano gracidio

di gabbiani che si chiamano, bilanciandosi

come aquiloni senza fili sui groppi del vento.

È grigio piombo, il cielo, colmo di neri

ammassi di nuvole che s'inseguono basse e

Page 54: Alberto Angelici - Racconti

screziato dell'azzurro pervinca di un sereno

sempre più assente.

Resto lì nel vento che sembra fumo tanto è

denso e crudo e... vorrei non aver più gambe

per non poter fuggire via e restare in quel

turbinio, non aver più braccia per guidare...

non aver più testa per pensare...

" Rappelle-toi Barbara. Il pleuvait sans cesse

sur Brest ce jour-là et tu marchais souriante

sous la pluie..."

"Ricordati Barbara. Pioveva senza sosta su

Brest quel giorno e tu camminavi sorridente

sotto la pioggia ..."

Chissà perché Prevert e chissà perché ora, mi

chiedo. E Brest, poi? L'immagine assurda di

una donna, la veste scolpita nel vento.

Ignota.

Mi avvicino, la guardo e lei pure mi guarda.

Occhi intensi, capelli nel fumo.

Barbara?

Le prendo la mano e lei stringe la mia e lì,

al solo contatto di una mano e uniti

nell'abbraccio di uno sguardo, ci amiamo...

Guardo il mare e il cielo, senza vedere né il

mare né il cielo. Sento sulla nuca gli sguardi

di Anna e di Lorenzo, cento metri più indietro,

al riparo del costone di roccia. Indovino i

loro perché.

Perché sta lì? Perché non torna?

Page 55: Alberto Angelici - Racconti

Così quell'attimo se ne va ed io rimango solo

e allora è davvero meglio che ritorni dai miei.

Nel naso e nella mente aromi eterni, odori

primordiali, sensazioni struggenti, selvaggi

moti di libertà che, chissà perché, chissà da

dove, sorgono e in un istante eruttando

esplodono e mi lasciano vuoto e stordito come

dopo un amplesso mai stato.

E non capiscono, Anna e Lorenzo.

Non comprendono, loro.

E hanno ragione a non capire.

Neppure io capisco.

Neppure io.

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Pini, puffi e vecchie foto ***************

Solo toni di grigio, questa mattina, dalla

finestra dello studio. Ma anche una giovane

coppia di lepri al limitare dell'albana. Esse

cercano qualcosa di commestibile tra i ciuffi

gelati che crescono ai piedi delle viti. Si

muovono caute: due saltelli di qua, due di là

e ogni volta che il musetto si abbassa verso

terra, compare un piumino bianco all'altra

estremità. L'alto pennacchio di un pioppo si

agita leggero sotto le zampette di un gruppo

di tortore col collare che ne dividono i rami

spogli con uno stormo di passeri che

svolazzano istancabili. Sembrano bambini

birichini che giochino festosi mentre le mamme,

nelle loro eleganti vesti rosate li guardano

benevoli e garbate.

Montefreddi. Il nome in sé evocherebbe

immagini di gelo e vento. Per me invece

significa benessere e pace, natura intatta e

armonia ambientale e interiore.

All'epoca dell'università, messo in crisi da

un esame o da vicende di cuore, sinceramente

non ricordo, trascorsi in quei boschi alcuni

giorni di ritiro.

Era l'inizio di giugno e se in pianura il

calore del sole aveva già intriso l'aria

d'umidità, a mille metri l'atmosfera era

Page 57: Alberto Angelici - Racconti

limpida, il sole brillava e la sera serviva un

golf.

Lasciata l'auto nei pressi di un casale, in

prossimità del confine tra Emila e Toscana,

avevo scelto un sentiero a caso, la mente

persa sull'onda di pensieri densi come

nuvoloni estivi.

Zaino in spalla, attrezzatura ridotta al

minimo, il che voleva dire almeno 14 chili,

dopo un paio d'ore avevo trovato il posto che

faceva per me ai bordi di un antico pascolo

sul crinale a sole. Un fazzoletto di prato tra

alti pini e cespugli di noccioli dove mi

sarebbe stato facile nascondere la tendina

canadese agli sguardi della forestale che non

consente il campeggio su quei pendii.

Mi sentivo come il fuggiasco di un romanzo

d'avventure.

Accendevo piccoli fuochi di legna molto secca

per evitare che un fumo bianco potesse

rivelare la presenza d'un bivacco e lo facevo

sempre sotto alla chioma di un grande pino i

cui rami avrebbero trattenuto e disperso il

poco fumo che facevo.

Mi cucinavo il riso che m'ero portato, solo

quello, oltre a erbe che raccoglievo in giro e

a qualche fungo, se ne trovavo. Niente piatti

né posate. Solo il Cattaraugus. Venti

centimetri di robusto acciaio che non mostra i

Page 58: Alberto Angelici - Racconti

quasi sessant'anni di onorato servizio, prima

nell'U.S. Army poi con me.

Borraccia, gavettino inox per farsi la barba e

preparare il tè, una specie di pentola bassa

che usavo anche come padella e l'inseparabile

multilame svizzero.

La mattina, una strofinata ai denti con foglie

di salvia selvatica e un sorso dal sottile

rivo che scorreva nel folto.

Trascorrevo le giornate a pensare e a leggere.

La notte restavo a lungo nel sacco a pelo ad

ascoltare i suoni della natura. Il cauto

raspare di un animaletto, lo stormire leggero

dei rami più alti, il frullare improvviso di

un gufo che abitava nel cavo di un vecchio

castagno malandato.

La sottile tela della tenda mi portava il

profumo dolce dell'erba umida, quello

aromatico della resina dei pini e l'afrore

forte dell'humus marcescente.

Mi sentivo il re di quel mondo: unico,

privilegiato spettatore di una prima teatrale

senza poltrone né velluti, riflettori o regie.

Montefreddi. Il posto è estremamente

suggestivo e si ha la sensazione di essere in

una vallata alpina. Prati in dolce declivio

attorno ai quali si stendono fitti boschi dove

nereggiano le scure striature delle conifere,

Page 59: Alberto Angelici - Racconti

uniche presenze vive durante l'inverno tra

macchie di faggi, noccioli e castagni a

perdita d'occhio.

Montefreddi, solitario, basso e massiccio,

pare sorto dalla terra come un enorme porcino.

Il profondo sporto del cornicione ombreggia le

vetrate che permettono la visione di tutta la

vallata. Un gioco prospettico di alberi e

pieghe del terreno impedisce, come quinte

teatrali, la vista dei rari gruppetti di case.

Sembra l'unica costruzione rimasta al mondo.

Tutta la montagna è di proprietà di un nobile

fiorentino che non ha mai voluto costruire per

non danneggiare la suggestione di una natura

così integra.

C'è una pace magica e se ci si va in un giorno

feriale i soli rumori sono quelli sordi degli

zoccoli dei cavalli al pascolo e il sibilante

volo delle api sui pascoli.

I primi fiocchi li troviamo poco oltre

Rastignano, dove inizia la statale della Futa.

La fida Guendalina, il nostro fuoristrada

mercedes non fa una piega e sale sicura.

Quando arriviamo al passo della Raticosa,

circa 900 metri di altezza, il turbinio della

neve ci obbliga ad avanzare con cautela perché

la visibilità è scarsa davvero. Appena

imbocchiamo la deviazione lo sterrato è

Page 60: Alberto Angelici - Racconti

coperto da una trentina di centimetri

destinati ad aumentare rapidamente.

Come superiamo la prima curva che ci nasconde

all'asfalto della statale, ci rendiamo presto

conto che una vettura normale potrebbe avere

seri problemi ma la Guendy sembra ignorare il

peso degli anni e sale sicura per gli stretti

tornanti che ci portano in un altra dimensione.

Tutto è bianco e ogni cosa è nascosta da un

morbido materasso splendente.

Spesse cortine di abeti si sono trasformate in

scarmigliate legioni di puffi dalle cime che

pencolano di lato per il peso dei bianchi

cappucci.

Al centro della grande sala l'enorme camino

aperto sui due lati e circondato da comode

panche scolpite in tronchi d'abete. Sul

braciere in ferro battuto rosseggiano in

continuazione giganteschi ceppi e pigne

raccolte nel bosco.

Alle pareti, in pietra o rivestite di pino,

oggetti e immagini della cultura della

montagna. Foto ingiallite dal tempo di uomini

baffuti con cappello a cencio e capparella che

guidano carretti carichi di tronchi e fascine.

Immagini di un epoca in cui la vita in

montagna era sopravvivenza e dura lotta

quotidiana con una natura difficile.

Page 61: Alberto Angelici - Racconti

Immagini di famiglie sterminate perché le

braccia eran ricchezza e la morte una presenza

accettata. Aie gremite per una ricorrenza

festosa.

Goffi, gli uomini, al cospetto della macchina

fotografica e impacciati nell'abito della

festa. Grandi mani e polsi nodosi sfuggono da

maniche troppo corte e strette. Più sicure le

donne nei costumi tradizionali, i capelli

stretti a chignon. Ampi sottanoni nascondono

ciò che invece gli stretti corpetti rivelano,

tra ingenui ricami casalinghi.

Fissano l'obiettivo con bruni sguardi di

pacata diffidenza; volti induriti dalle

fatiche quotidiane e a loro timorosi si

stringono i bambini, scalzi e scarmigliati.

Sui carri e ai finestroni del fienile fanno

capolino i volti birichini e sfrontati dei più

grandicelli.

Perso nell'isolamento di quei luoghi

d'immutato splendore, ti senti parte di esso e

sorge in te un senso di calma che di quei

silenzi si nutre e rinvigorisce in lente,

sincopate chiacchiere ai bordi del camino.

Lo sgocciolare di una gronda, il crepitare di

ceppi che offrono il calore di un'agonia

annunciata. Fruscianti turbinî di fumo che

nella cappa neri rotolano e s'aggroppano, in

lotta frenetica con quel calore che è vita ma

Page 62: Alberto Angelici - Racconti

che per loro è morte e che li condurrà al gelo

di un mondo che ignorano.

Tazze di caldo tè alla menta, scroccar di

cantucci e mandorle, sorrisi rossi di guizzi

sempre nuovi, mani che si cercano, mentre lo

spirito s'appaga in quella pace e si rigenera

e rifiuta note immagini di strepiti d'auto

incolonnate ai semafori. Anarchia di motorini

che in quel metallico pantano si riversano e

come insetti fuggono ed imperversano, ebbri di

una mobilità che è gioia e privilegio.

Orari... scadenze... nervosi sguardi

all'orologio... lavoro: tutte cose che

sembrano spazzate via da una benevola Macchina

del Tempo.

Page 63: Alberto Angelici - Racconti

Sole, aragoste e tappi da bottiglia (ovvero il Paradiso: Cancun 1975)

******************

Piccoli, tozzi e senza collo. Sembrano

caricature di se stessi o tappi della Val

Gardena, scolpiti nel legno in forma umana.

Maya... un nome associato a reminescenze di

storia. Civiltà scomparse...

sacrifici umani... pugnali d'ossidiana...

oro... sacerdoti in abiti multicolori e

piramidi a gradini strette nell'abbraccio di

jungle impenetrabili. Mai invece a gente vera,

magari in jeans e magliette Adidas.

Fine febbraio 1975

Sono al Club Med di Cancun-Messico, post-

palafitticolo agglomerato di cubetti su

trampoli appena inaugurato tra il mare e la

laguna interna. Quindici giorni di G.O.

(Gentil Organizateur). Ginnastica ai bordi

della piscina con G.O.

sprizzanti attivismo e simpatia da ogni poro,

animazione coi G.O., pallavolo in spiaggia con

i G.O., picnic in laguna coi G.O.

All'arrivo ci infilano al collo una collana di

fiori di plastica alla maniera auaiana e ci

consegnano una collana di palline di plastica.

La prima è come benvenuto, l'altra per

consentirci di pagare gli extra. Un modo per

evitare che nel villaggio circoli denaro.

Page 64: Alberto Angelici - Racconti

Quello vero lo si deposita in cassaforte. Un

caffè = una pallina, due palline = un orange

juice e via così. Pratico e razionale.

- Così non correte il rischio di perdere i

soldi e quando fate il bagno la collanina ve

la mettete al collo! - strombazzano i G.O.

Così si riduce la percezione di spendere,

penso io. E funziona, specialmente con gli

americani e la loro fissa dei gin-martini

prima di cena. Eccome se funziona: pare di

essere in un negozio di bigiotteria per

signore, tante sono le collanine sul bancone

del bar!

Così stridente il contrasto tra il dentro e il

fuori: un'isola di opulenza in un mare di

povertà atavica. La cameriera che rifà le

camere prende trentamila lire al mese mentre

ognuno di noi ne paga cento al giorno.

La sera tardi guardo i camerieri che se ne

vanno col fagotto sotto il braccio: i resti di

ciò che noi *ricchi* abbiamo lasciato sui

tavoli del buffet...

Comincio ad andare in giro, a parlare con la

gente. Giri sempre più larghi, come gatti che

prendono confidenza con un posto nuovo. Faccio

conoscenza con una famiglia di simpatiche e

brave persone. Un po' pescatori e un po'

ortolani.

Page 65: Alberto Angelici - Racconti

Una vera moltitudine, tra genitori, zii, figli,

nonni e nipoti. Ricordo Diego e Maria Consuelo

che in famiglia vuol essere chiamata col nome

Maja: Oxunet o qualcosa di simile. Oggi

sembrerebbe un provider di Internet.

Una sera mi invitano a cena. Tortillas in

quantità, verdure del loro orto, un grande

tegame di coccio con mais piccante e

cipollotti selvatichi e poi pesce appena

pescato e frutta squisita. Alla fine uno

straordinario distillato di mais e banane.

- Rimaniamo in contatto - non faccio che

ripetere, il giorno della partenza - perché

l'anno prossimo ci ritorno, qui a Cancun. -

Ma basta Club Mediterranée, basta G.O.

Diego ha una casetta sul mare, un po' discosta

dalle altre, fatta per un figlio ora sposato

altrove.

Per non dimenticarla, a quella casetta scatto

le ultime foto del rollino.

Un cubetto bianco, due camere e una grande

veranda di stuoie vegetali sul davanti. Sul

retro un'altra per quando tira vento dal mare.

Oltre la casa dieci metri di sabbia poi una

striscia in movimento che va dall'azzurro fino

al blu più intenso. L'oceano.

Niente serrature alla porta. Niente scuri alle

finestre. La tonda faccia color rame di Diego

Page 66: Alberto Angelici - Racconti

si apre in un sorriso largo così; spalanca le

braccia e alza un po' le spalle come dire è

tutto qui, non c'è altro. Poi sparisce.

Rimango lì a guardarmi intorno. Tutto è

ordinato e sa di pulito. L'essenziale c'è.

Incredibile, invece, la quantità di cose

inutili che mancano. Un tavolino, tre sedie

tutte differenti, il secchiaio e un piano con

fornello a tre fuochi. Tre finestre alle

pareti. Sotto il piano un armadietto. Dentro,

manco a dirlo, due tegami e una padella:

sempre tre!

Sistemo la sacca nella camera accanto. Il

letto è ampio e lo provo. Mi piace subito.

Hic manebimus optime, penso fischiettando.

Nell'armadio, cuscini e coperte. I due ricambi

di lenzuola li ho portati io, come d'accordo.

Mi muovo nella penombra di quegli spazi ancora

estranei ma lo sguardo va come una calamita al

blu di quel mare, vivido e vero come gli

squarci del sorriso del mio padrone di casa.

Stordisco tra profumi d'intensità ignota. È

come se in quel momento i miei sensi abbiano

escluso ogni collegamento intermedio e siano

in linea diretta col cervello.

Dio, com'è bello essere lì e pensare che non

esiste prenotazione per il ritorno!

Neppure se mi concentro riesco a visualizzare

la neve e il ghiaccio, il dover stare

Page 67: Alberto Angelici - Racconti

rattrappiti nei giacconi per attraversare il

parcheggio battuto da un vento polare, gli

spilli di ghiaccio sulle guance, la testa

affondata tra le spalle.

Il giorno dopo sono al mercato con la lista

della spesa. Tre amache. Poi piatti, posate,

bicchieri. Tutto in numero di tre.

La chiamerò la casa del tre! Rientro carico

come un mulo ma felice.

Cucino seminudo nell'ombrosa veranda e

seminudo mangio in amaca o al tavolino che ho

sistemato fuori.

Qualche bambino comincia ad occhieggiare e mi

guarda curioso. Occhi grandi ed espressivi.

Capelli nerissimi con riflessi bluastri.

- Da bambini questi Maja - penso- sono proprio

belli: si guastano col crescere .

Poi mi vergogno del mio pensiero.

Un paio di giorni dopo, al tramonto, arriva

Diego, delegato dalla famiglia per vedere come

mi sono sistemato. Si guarda intorno. Osserva

i cambiamenti. Sul tavolo, un cartoccio col

pesce comperato per la sera. Con un dito ne

solleva la carta. Scuote il capo e spara una

lunga frase di cui afferro un dieci per cento.

Allora ripete più piano.

- Domani mattina alle sei, ti vengo a

prendere; non hai impegni, vero?- Sorride.

Page 68: Alberto Angelici - Racconti

Alle sei?

Usciamo in mare che il cielo sta appena

schiarendo dal nero della notte in tenui

sfumature di azzurro. A est è tutto rosso e

pare che l'oceano fiammeggi.

Sette metri di robusto fiberglass, la barca

del mio amico tiene bene il mare.

Pur vecchia di una diecina d'anni, risale con

facilità l'onda lunga che ci attende appena

fuori della laguna.

Un cenno per indicarmi sulla bussola la rotta,

un'occhiata per assicurarsi che io abbia

capito, poi Diego si disinteressa di me e,

lasciatomi alla barra del timone, sparisce

nella microscopica cabina tra mucchi di reti e

vecchie attrezzature.

Peschiamo un paio d'ore. Di più non serve,

perché sembra che i pesci spasimino al solo

pensiero di finire nella nostra rete.

Al rientro, nei pressi di una piccola

insenatura, il mio comandante ha un attimo

d'esitazione e con un colpo di barra vi

s'infila deciso. Gettiamo l'ancorotto.

L'acqua è straordinariamente limpida e posso

distinguere ogni particolare del fondo marino,

forse otto metri sotto di noi. La riva, poco

distante, appare deserta e mossa da basse dune

e radi cespugli secchi. Non si scorge anima

viva. Lo scafo si orienta alla leggera brezza

Page 69: Alberto Angelici - Racconti

che spira dal mare. Sotto di noi una lunga

formazione rocciosa paludata da sinuosi

filamenti verdi che danzano al tempo della

marea.

Ci tuffiamo nell'acqua tiepida. Io con le

pinne e la maschera trovate sulla barca, Diego

senza nulla, a parte un sacchetto di rete

assicurato al polso.

Va giù sicuro ed io dietro, curioso di capire

dove mi stia portando.

Branchi di pesci di tutte le fogge e colore

scivolano attorno a noi, per nulla intimoriti

dalla nostra presenza. Al limitare del campo

visivo, dove il fondale sprofonda nel blu,

sfreccia una formazione di snelli barracuda.

Dovunque siano diretti devono essere in

ritardo perché neppure ci guardano.

Un'immersione dopo l'altra, ci stiamo

gradualmente spostando verso terra. Ora ci

sono meno di cinque metri d'acqua.

Una macchia nera, che a distanza m'era parsa

uno scoglio, si rivela un branco di grossi

pesci color ardesia. Lunghi come un braccio,

stanno parcheggiati l'uno accanto all'altro,

così vicini e stretti da sembrare incollati.

Diego dirige verso di loro e io lo seguo.

Pochi istanti prima che lo urtiamo, nel branco

si apre un varco appena sufficiente per il

Page 70: Alberto Angelici - Racconti

nostro passaggio e subito si richiude alle

nostre spalle.

Capisco lo scopo di quel bagno quando vedo la

prima aragosta. Forse trenta centimentri,

antenne a parte. Non grande, ma alla terza

immersione la rete di Diego ne contiene già

sei, e due le ho prese io!

- Vengono qui perché c'è una corrente più

fredda che a loro piace. La senti?

L'ho scoperta per caso e ora lo sai anche tu.

Ma non lo dire in giro o le langostas se ne

andranno! -

Quando tiriamo in secca la barca sono appena

le nove ma mi sembra di esser rimasto in mare

tutto il giorno.

-Prendile pure tu, queste, per l'aiuto -

mormora mentre riordina le reti. E mi allunga

la cassetta in cui si agitano le nostre prede.

- Tanto a noi non servono . E poi di pesce ne

abbiamo preso parecchio - .

Ha un'altra barca - dice - più piccola di

questa, che nessuno di loro adopera.

Se la voglio, posso averla per un paio di

dollari al giorno. Poi allunga il ditozzo

corto e scuro, puntando in direzione del posto

dove poco prima ci eravamo immersi.

-Meglio del mercato, no? - Sorride scanzonato.

Poche, essenziali parole ma a me, così

ciarliero, serve ancora tempo per abituarmi.

Page 71: Alberto Angelici - Racconti

Gente semplice e gentile, incapace forse di

esprimere a parole i propri sentimenti, ma che

sa farlo con gli occhi, un sorriso e pochi

gesti.

Giorno dopo giorno sto entrando in sintonia

con quei ritmi. Mi sveglio presto la mattina e

faccio un gioco: rimango immobile nel letto,

mi concentro sui suoni che filtrano dalle

sottili pareti e cerco di indovinare che tempo

faccia.

Sciabordio leggero significa fuori in barca.

Significa pesce e sale sulla pelle.

Significa gridare a squarciagola nel vento la

gioia di esser lì finché la bocca e il cuore

ne son pieni e vedere un gabbiano solitario in

equilibrio sulle termiche che china il capo e

mi guarda stupito.

Significa seguire la corrente e d'un tratto

trovarsi parte di un branco di delfini che ti

pigolano attorno.

Se invece è sbattacchiar di canne sulla

veranda e fuori dalla porta rugge l'Atlantico

e si affanna coi liquidi artigli sulla

spiaggia, allora saranno lunghe camminate sul

bagnasciuga per vedere che cosa regala la

burrasca.

Sarà lasciare che la sabbia più fine mi

disegni addosso, come talco la pelle di un

bimbo.

Page 72: Alberto Angelici - Racconti

Sarà aspettare di esser bianco e tuffarsi nudo

tra i ruggiti bianchi come birra appena

spillata.

Sarà sdraiarsi fradicio tra ciuffi secchi e

d'improvviso scoprirsi accanto un immobile

camaleonte color del nulla.

Vado molto in giro, quando non sono fuori con

la barca o sulle spiagge. Cammino lento per

vedere di più e perché lì è così che si fa.

Niente telecamera appesa al collo, nessuna

cartina tra le mani. Voglio confondermi tra

loro, sparire nello sfondo. A chi mi sorride

sorrido e ignoro chi mi ignora. Entro nei

negozi e mi guardo intorno. Quando incrocio

gruppi di turisti stretti alle loro guide li

evito. Un giorno una svedese m'interpella in

spagnolo: cerca il museo. Glielo indico col

braccio ed un sorriso. Senza parlare. Mi fissa,

osserva la mia pelle scurita dal sole, il

biondo quasi bianco dei capelli, guarda il mio

semplice abbigliamento e i sandali poi si

allontana con un perplesso muchas gracias. Ho

passato l'esame? Posso sembrare uno di qui?

Ma le piccole attenzioni non cessano.

Una sera è un mazzolino di fiori selvatici sul

tavolo, un'altra volta son cespi d'insalata o

un po' di frutta. Cose di poco valore,

nonnulla che mi danno la costante percezione

della loro amorevole assenza.

Page 73: Alberto Angelici - Racconti

Come ricambiare tanta finezza?

Dalla posada di un amico ottengo un festone di

lampadine fatto per la festa del paese ed

anche il pentolone indispensabile per ciò che

ho in mente. Riesco a farmi dare anche piatti

e bicchieri: la mia è la casa del tre,

ricordate?

Brodetto alla marchigiana.

Dalla pescheria arriva un coso brutto come lo

scorfano, ma di un altro colore.

Debbo accettare altri compromessi ittici ma

non tanti. Alla fine mi conforta il profumo

che scaturisce di sotto il coperchio ampio

come un sombrero.

Cattivo non pare; ho lavorato come un

certosino per far sparire ogni lisca e,

comunque, non potranno fare confronti con la

cucina dell'ottimo Mattia di San Benedetto del

Tronto!

Il resto me lo dà il mare: involtini di cernia,

con pancetta e funghi e medaglioni di aragosta

all'aceto balsamico e un niente di peperoncino.

Con una stretta al cuore ma orgoglioso del mio

generoso impulso, sacrifico sull'altare

dell'amicizia l'omaggio di un amico modenese.

Trovo del bianco californiano potabile pur se

fa a pugni con la cerveza arrivata assieme a

Diego & Co.

Page 74: Alberto Angelici - Racconti

Mai la veranda mi è parsa tanto piccola, ma

credo ci sia più sana allegria in quei pochi

metri che in tutto il Club Med un chilometro

più in là.

Facce curiose sbirciano tra le stuoie e

vengono subito trascinate davanti ad una birra.

Scoppiano *OLA' HOMBRE!* a tutt'andare. È

naturale: qui tutti si conoscono!

La moglie di Diego vuole la ricetta del

brodetto e se ne va contenta col foglio

stretto in mano. È in italiano ma dice che si

arrangerà.

-Italiano, mucho gusto! - e scappa via.

Sono tornato spesso nella baia delle aragoste

e molte altre volte alla tavola di quella

brava gente.

Sono rimasto cinquanta giorni nella casa del

tre. Cento dollari per restarci e un groppo

alla gola per lasciarla.

Quando ho fatto per pagare il conto della

barca (e della rete e della lenza e di tante

altre cose) si sono schermiti.

- Certe cose si rovinano di più a star ferme

che ad essere usate. - spiegano.

Gli ho lasciato tutto ciò che avevo comperato

per la casa. Le amache e il resto: cercano

anche di pagarmele.

Due anni dopo la posta mi portò due paginette

in simil-italiano da Cancun.

Page 75: Alberto Angelici - Racconti

Stavano tutti bene. Altri quattro nipotini si

erano aggiunti al branco. La casetta era

disponibile in qualunque momento, le amache

pure e... il "Brodetto all' Alberto" era

diventato un piatto di casa.

-o0o-

Me lo hanno detto che Cancun ora è un

groviglio di palazzoni assiepati l'uno contro

l'altro.

Ma per me rimarrà sempre così: casette e

baracche, un cubetto bianco con due camere e

tanta pace.

Mare, sole, aragoste e care persone che, non

mi so neppure oggi spiegare il perché, vollero

adottarmi, per cinquanta indimenticabili

giorni.

Page 76: Alberto Angelici - Racconti

Giovanna, aragosta da corsa ****************

Correva l'anno (hee sì, ogni anno che si

rispetti lo fa. Il perché non lo so e pure mi

scoccia. Il fatto che corra, intendo). Insomma

dicevo che correva l'anno

millenovecentosettantacinque. Lo so perché

l'anno successivo sarei partito per il Canadà.

Correva, appunto ed era la metà di un luglio

secco e splendente a San Teodoro, qualche km a

sud di Olbia in quella terra baciata dalla dea

della bellezza che è la Sardegna. Forse dire

baciata è un tantino riduttivo. Ci si sta

proprio bene, a San Teodoro.

Avevamo preso in affitto una villetta con

veranda a poche decine di metri dal mare e

poiché tal Gabetti ancora non ha fatto la mala

pensata di costruirvi innumerevoli cubicoli

per migliaia di persone, c'è calma e spazio

per tutti.

Anche la poca acqua in qualche modo ce la

facciamo bastare. Eppoi c'è sempre il

vermentino...

Mi trovo con un paio di amici nel ristorante

di Salvatore. Dovete sapere che Salvatore è

una simpatica persona che tra i tanti suoi

pregi ha pure quello di un fratello con

peschereccio. Immaginate perciò che cosa è

possibile trovare in abbondanza nel suo

Page 77: Alberto Angelici - Racconti

piccolo locale? Pesce dite? Esatto, proprio

pesce! Ma mica pesce qualunque. Orate, spigole,

cernie, saraghi, calamari, polpi, triglioni di

trenta centimetri, gamberoni, cicale, scampi,

aragoste. E tutto FRESCHISSIMO!

E proprio un'aragosta è la protagonista di

questa storia vera a lieto fine ...per l'

animale.

Si dà il caso che i miei amici abbiano tramato

col Salvatore per organizzare alle mie spalle

una cena particolare per il mio compleanno che

sarà il prossimo mese. L' importante è avere

una scusa plausibile per festeggiare!

Allora figuratevi la scena...

Ristorante, interno sera. Piccola sala, muri a

calce, vecchie reti a festone alle pareti,

sugheri, antichi strumenti da pesca, lampade

che sono luci di via e lumi per lampare. Le

solite cose, insomma. Pochi tavoli vestiti di

tanti colori, pavimento di mattoni tirati a

cera. Vari gruppetti di persone,

prevalentemente stranieri. Al tavolo migliore,

ca va sans dire, noi tre, belli abbronzati e

freschi di doccia. Alla nostra sinistra la

porta della cucina ci trasmette messaggi di

incomparabile libidine gastrica.

Di fronte, l' ingresso al locale. OK?

Sorvolo sulle cose fantastiche con le quali il

padrone di casa cerca di stupirci. Vi dico

Page 78: Alberto Angelici - Racconti

solo che i poveri di spirito dei tavoli vicini

mangiano spaghetti al pomodoro e mediocri

bistecche. I meschini ammutoliscono ogni volta

che passa una fiamminga destinata a noi. Il

movimento di teste pare quello degli

spettatori ad una partita di tennis. Solo che

in questo caso la pallina sta sempre dalla

parte nostra, mi spiego?

Ricordo uno spettacoloso guazzetto di

polipetti teneri come il burro, triglioni al

forno al profumo di alloro e vin bianco, cozze

alla marinara con sughetto aglio olio e

peperoncino che sono mondiali e tantissime.

Poi una pausa.

Finito? dicono gli sguardi vagamente schifati

dei nostri vicini.

Ma quando già pensano che avremmo ricevuto il

caffè come loro, compare Salvatore.

Fra le mani una *cosa* inverosimile:

un'aragosta.

Perchè inverosimile, direte voi?

Non inverosimile l'aragosta in sè:

inverosimili le dimensioni.

Sembra venuta fuori da Jurassic park. Dagli

effetti speciali di Spielberg.

Lunga quasi un metro, è la più enorme che io

abbia mai visto. Anzi, neppure credevo che ne

potessero esistere di così grosse. Verde scuro

color del muschio vecchio, agita le ampie

Page 79: Alberto Angelici - Racconti

chele che qualcuno ha già provveduto a legare

con spago robusto. La coda spazza l'aria in su

e in giù mentre le lunghissime antenne (non ne

conosco il nome corretto) non si fermano un

istante.

A quella vista una spilungona foruncolosa dai

lunghi capelli biondi si rifugia tra le

braccia del suo ragazzo, le unghie a uncinare

il maschio petto.

- Ora la preparo, ma è tutta di Alberto, il

festeggiato! Proclama, e spariscono in cucina.

Dalla mia posizione scorcio dei fornelli e di

un gigantesco pentolone colmo d' acqua

bollente.

Povera bestia..., ho appena il tempo di

pensare, poi un urlo e un bestemmione in pura

lingua sarda. Schizzi d'acqua e un rivolo

fumante scivola dai gradini della cucina,

seguito da una creatura preistorica che agita

le chele ora libere da pastoie. Compare

Salvatore scarmigliato che continua a tirar

moccoli incomprensibili ma chiaramente truci.

L' animale infila come un razzo la sala

puntando ai tavoli dei tedeschi.

Zigzaga stridendo sul cotto del pavimento e

dietro arranca Salvatore, che cerca invano di

acciuffarla. Quando lui è a zig la bestia è a

zag: così non riesce mai ad agguantarla. Non

Page 80: Alberto Angelici - Racconti

avrei mai pensato che un'aragosta potesse

correre così.

Certo che la prospettiva di finire nell'acqua

bollente...

Non corre soltanto, orrendamente agitando

chele ed antenne. Fischia pure o sibila.

Insomma, qualcosa del genere.

Scene di panico. Un ragazzino salta in piedi

sulla sedia e rovescia bicchieri e bottiglie.

Due donne urlano e un'altra si tira i capelli.

Chissà perché. Aiuta? Faccio appena in tempo a

tuonare: "SE RIESCE AD INFILAR LA PORTA LE

FACCIO GRAZIA DELLA VITA!" che la bestiola la

supera d'un balzo, mandando gambe all'aria due

anziani coniugi che entravano e che per la

sorpresa non trovano di meglio che rovinare

sul carrello dei dolci.

Ve la immaginate la scena? Pareva fosse

passato un tornado e la sala era un disastro.

Nel frattempo all'esterno Salvatore è riuscito

a recuperare l'oggetto di tanto scompiglio: si

era intrappolata da sola nella cabina

telefonica, lì di fronte! L'indomani mattina,

con solenne cerimonia la nostra amica aragosta,

opportunamente battezzata Giovanna d'Arco,

veniva liberata nelle acque sicure e profonde

di una baia poco distante.

Doverosamente, all'atto della liberazione un

breve discorso di commiato che suscita nei

Page 81: Alberto Angelici - Racconti

presenti la giusta commozione e un solo atto

d'ottusa incomprensione in fondo al gruppo:

"Sono matti quelli lì- borbotta un tale mai

visto - che spaghetti che sarebbero venuti

fuori!"

PS

Lo so che avendo le chele è un astice o astaco,

ma mi piaceva di più pensarla al femminile

come aragosta. Licenza crostacea!

Page 82: Alberto Angelici - Racconti

Giuseppe Rimondi esce dal coma *************

Con andatura meccanica e sempre uguale l'uomo

attraversa diagonalmente Piazza Maggiore in

direzione del lungo porticato che ne

costituisce un lato. Le mani affondate nelle

tasche del vecchio monclair, lo sguardo fisso

a terra a tagliar fuori il mondo che lo

circonda, non bada troppo ai passanti che

incrocia. La visuale circoscritta allo sfondo

grigio del selciato è ritmicamente deformata

dall'ipnotico dentro e fuori delle sue scarpe

da ginnastica. Sinistro... destro...

sinistro... destro. Altri piedi entrano di

continuo nel suo campo visivo ma lui non ci

bada. Prima una coppia di belle scarpine dal

tacco altissimo, poi una frotta di scarpe "da

palombaro", come le chiama lui. Informi

blocchi di gomma dalle zeppe spropositate.

Ragazzini - pensa - chiassosi e un po' volgari.

Nell'aria rimane una scia che gli ricorda la

manifattura tabacchi.

Un'intera città gli scorre accanto ma lui ne

avverte la presenza appena quel tanto da non

urtare i passanti o gli spigoli dei palazzi.

Sono tante ore che cammina così, come un

sonnambulo. Da quando è stato dimesso e il bus

del Bellaria l'ha scaricato in pieno centro,

affollato da un'umanità cui non è più avvezzo

Page 83: Alberto Angelici - Racconti

e che lo mette a disagio. Sono passati sette

mesi. Molti di coma ed altri per riprendersi

dopo che un'intera parete del vecchio

magazzino dove lavorava gli era rovinata

addosso per un cedimento strutturale.

Commozione cerebrale, trauma cranico, sei

costole rotte e una vertebra incrinata.

Così gli hanno spiegato in reparto. Hee sì,

perché lui non si ricorda mica tanto di quel

po' po' di casino! Quando ci pensa ha un senso

di vertigine che gli prende allo stomaco.

Si sente confuso, scrolla il capo ma il

torpore che ha dentro gli avvolge il cervello

come l'appiccicosa nebbia che spesso

accompagnava lui e suo padre nelle tranquille

giornate di pesca sul Po.

Stava sistemando degli scatoloni quando aveva

avvertito uno scricchiolio, il bruciare ruvido

della polvere negli occhi. Poi un rumore più

forte come di mille grattugie all'opera,

l'impressione di movimento dov'era sempre

stata immobilità. Un peso sul petto e la

sensazione che il mondo si stesse ribaltando.

Infine il buio. Un buio strano, diverso da

quello della sua stanza quando si sveglia in

piena notte al ritmico russare del vecchio

Lorenzi, di là dal pietrinfoglio. Un buio...

in movimento, ecco, come se... come se stesse

scivolando veloce attraverso tunnel lunghi e

Page 84: Alberto Angelici - Racconti

stretti! Non ha il tempo di pensare, perché

all'improvviso è luce. Luce dorata e limpida

come un tramonto di montagna. Luce che non è

davanti o dietro ma ovunque. Che sente

filtrare nella carne come acqua in una spugna

secca. L'impressione di figure indistinte,

luci nella luce. D'un colpo il bagliore si

restringe davanti ai suoi occhi per divenire

un globo lattiginoso: quello di una camera

d'ospedale.

Vede un paio d'occhi su di lui, poi molti

altri, sempre di più. Attenti, scrutatori. È

sorpresa quella che vi legge, sconcerto?

Avverte sul polso il tocco lieve di una mano

fresca, negli occhi il rapido fiammeggiare di

una lampadina. Bocche che si aprono, lingue in

primo piano. Il bagliore caldo di un dente

d'oro gli appare assurdo e fuori luogo. Le

teste che lo sovrastano sembrano deformi

caricature del grandangolo di un fotografo in

vena di scherzi.

Piccole e strette in alto, larghe e massicce

verso la mandibola. Si rende conto che tutto è

silenzio. Vorrebbe parlare ma dov'è finita la

gola? Al suo posto un duro rotolo di carta

vetrata. Poi un orribile gracchiare. Si guarda

intorno intimorito. È la sua voce. Da quel

momento è tutto un crescendo. Un mare di flebo,

pappine per neonati, il contatto freddo del

Page 85: Alberto Angelici - Racconti

cucchiaio. Mani calde e vigorose in ogni piega

del suo corpo nudo, là dove nessuno mai, dopo

sua madre, era arrivato.

Intenso odore di alcol.

Benessere.

L'emozione di un ritorno a quotidianità

smarrite. Scoprirsi capace di cose fino a ieri

impossibili, irraggiungibili. Piccole gioie

fatte di impercettibili miglioramenti.

Una mattina la visita annunciata di un tale

del Carlino, il frusciare del registratore,

tante domande, tanta insistenza. Odore aspro

di sigaro toscano spento. Occhi disincantati,

sguardo di routine. "Ma lo sa che ha avuto una

fortuna sfacciata?!"

Fortuna... LUI?

L'espressione del mio datore di lavoro. Ci

leggo dentro il disagio. Disagio e imbarazzo.

Parole di circostanza, quelle che si dicono

sempre ad un malato ma anche il timore di una

richiesta di danni. Così imparo che non è

assicurato.

Le sue mani grassocce non stanno mai ferme e

in grembo s'intrecciano e si torcono come

polipi sul marmo di una pescheria. È povera

gente, lo so, e lo rassicuro in proposito. Il

sollievo è evidente sul suo viso e ne

approfitta per dirmi che l'uomo assunto al mio

posto è bravo e ha una famiglia numerosa. Mi

Page 86: Alberto Angelici - Racconti

fissa ansioso con occhi di pecora. Vorrei

sbottare e far valere le mie ragioni. In fin

dei conti ho rischiato di morirci in quel

fetido deposito! Lascio perdere, pronto anzi

ad accettare la somma che mi offre a titolo di

buonuscita - indennizzo.

Tutto, pur di tagliare con quella vita. Ho

ancora nel naso la muffa del seminterrato,

l'umidità, l'odore rancido dell'olio idraulico

che filtrava dal muletto, guasto un giorno sì

e uno no. Tutto vecchio, tutto moribondo e

avrebbe potuto diventare la mia tomba.

L'opportunità di cambiare.

Un segno?

Uno strillo di bambino lo fa sobbalzare e per

la prima volta alza gli occhi.

Si scuote.

È vivo e cammina. Deve ripeterselo e lo fa a

voce alta. Un signore in grigio dall'aria

seria e grigia lo guarda, nasconde il viso

dietro al Carlino e fila via che sembra unto.

Poverino, forse ha pensato che gli avrebbe

chiesto soldi!

Come una liberazione respira a pieni polmoni

l'aria puzzolente del centro, il naso ancora

colmo del tanfo penetrante del lisoformio.

Impiegati, studenti e sfaccendati, distinti

professionisti e casalinghe con le sporte

della spesa.

Page 87: Alberto Angelici - Racconti

Ora li guarda e li vede: non sono più soltanto

piedi su un selciato grigio.

La camminata gli è servita ma ha come

l'impressione che il suo corpo ancora sia

riluttante ad obbedirgli, come un cavallo

dimenticato ad impigrire in stalla.

La bruma dolorosa che gli affollava il cranio

lentamente si dissolve al pallido sole

primaverile.

Già, è primavera - realizza - e alla fin fine

con 'sto coma lui si è sciroppato un inverno

di meno. Come i signori che vanno a svernare

in Riviera o alle Maldive, lui i mesi peggiori

se li è fatti sulle colline di Bologna,

servito e coccolato come un principino! Strane

riflessioni, se ne meraviglia lui per primo,

ma che lo aiutano a ragionare in positivo.

Sente nella tasca il misero rotolo di

banconote e quelli che riceverà dall'ex-datore

se li prenderà quasi tutti il padrone di casa,

ma in qualche modo farà.

Gli tornano alla mente i corridoi del Bellaria.

Povere creature stese nei letti, pallide come

lenzuola, gli occhi persi nel vuoto o fissi

sui visitatori con sguardi che danno disagio,

anche, e vergogna. Solo ora realizza di esser

stato privilegiato dalla sorte e di non aver

alcun diritto di lamentarsi.

Page 88: Alberto Angelici - Racconti

Luccicano le vetrine di mille invitanti

proposte. Distratto, fissa un negozio di

abbigliamento e vede giacche e pullover

sovrapporsi a piatti di tortellini e zamponi,

patate arrosto e galantina. Si rende conto che

da molte ore non mette nulla nello stomaco:

possibile che la fame dia simili visioni? Poi

accanto ai piatti intravvede i cartellini.

Capisce, si gira ed è tutto reale: i sogni non

arrivano col prezzo attaccato. È l'esposizione

di un negozio di gastronomia. Chiuso fino alle

16, avverte una targhetta.

È deserto anche il portico, stranamente.

Più giù, verso piazza Galvani, un tipo curioso

canta con bella voce tenorile un'aria dal

sapore zigano. Usa uno sgabello e si

accompagna con l'antiquata fisarmonica.

Con ritmica ripetitività d'automa si sporge in

avanti spalancando le braccia per dare aria

allo strumento.

Ogni volta sembra spiccare il volo sulle sue

note.

Non c'è un'anima ma lui non se ne cura e il

canto fluisce potente. Rotola e rimbalza tra

archi e pilastri e l'eco conferisce ai versi

sonorità profonde e inconsuete, da canto

gregoriano. Marca col piede la melodia

struggente e vi si abbandona, il largo viso

slavo nascosto da assurde lenti viola.

Page 89: Alberto Angelici - Racconti

Accanto a lui un bastardino veglia su poche

monete ed un bastone bianco.

Dentro di lui si agita uno scomodo senso di

vergogna per chi non è lì ad affollare quella

platea oscenamente vuota.

Piccole ombre ondeggianti segnano la lucida

palladiana: due colombi di piazza che alla

comodità del volo privilegiano la tranquillità

lenta del passeggio.

Simili a stanchi camerieri dai piedi piatti,

mi fissano con occhi tondi e stupidi poi

proseguono appaiati a becchettare

microscopiche briciole di pane.

Nella surreale poesia di quegli istanti strani,

nell'esibizione del cieco e dei piccioni,

sento aleggiare lo spirito birbante e

fanciullesco di Fellini.

Si scuote. Davanti agli occhi ancora immagini

succulente. Due grandi filoni di roast-beef

l'attirano particolarmente. Carne rosata e

succosa dall'aria invitante.

Sente la saliva aumentare di livello e lo

stomaco reclamare qualcosa di più che belle

immagini a colori.

Ecco, se non ci fosse il vetro gli basterebbe

allungare un dito per toccare tutta quella

mercanzia di lusso.

Fantasticherie dettate dalla fame, lo sa bene,

ma non riesce ad impedirsi di allungare

Page 90: Alberto Angelici - Racconti

davvero una mano fino a sfiorare lo spesso

cristallo e... proprio nel momento del

contatto, l'inverosimile! Un leggero bruciore

gli invade il braccio. È un pizzicore diffuso,

una tensione mai provata.

Incredulo guarda le sue dita, sì, proprio le

sue dita, passare attraverso il vetro

antisfondamento come fosse aria e proseguire

senza che questo offra la minima resistenza!

Spaventato ritira il braccio. Si guarda la

mano. Trema, coperta da una pelle d'oca con

cui ci si potrebbe grattugiare il parmigiano.

Osserva il vetro:

intatto. Non una macchiolina, non una

screpolatura.

Ha le vertigini e freddo dentro, nonostante la

temperatura mite. Nel dubbio di essere defunto

senza accorgersene, si morde un dito. Vede il

segno dei denti.

Il portico è ancora deserto. Solamente verso

via Rizzoli il passeggio si sta facendo più

animato.

Riprovare? Sì, sì ora ri... ecco di nuovo il

pizzicore e una debole luce, come la madonnina

fosforescente che in ospedale gli aveva

regalato il cappellano.

È dentro con tutta la mano ...il braccio ora!

Sente contro i polpastrelli il morbido umidore

del roast-beef!

Page 91: Alberto Angelici - Racconti

Tutto succede in un attimo. Ritira il braccio

e con esso l'intero filone di carne. Senza

pensarci lo infila sotto il giaccone e ripete

l'operazione con l'altro pezzo.

Guarda a sinistra, guarda a destra. Niente.

Nessuno sembra essersi accorto di nulla. Un

ultimo sguardo al piatto ora vuoto, poi via,

al passo più rapido che le ginocchia malferme

gli consentono. Ha un ripensamento. Torna sui

suoi passi, allunga ancora il braccio e... un

largo riquadro di crescente va a raggiungere

la carne.

I piccioni se ne sono andati ma il cieco è

sempre lì.

Ondeggiando sul busto, distende senza sosta il

soffietto e lo comprime. Per un momento rimane

davanti a lui, le mani a trattenere i lembi

che nascondono il bottino.

Poco oltre ci sono le panchine di piazza

Minghetti: là potrà calmare il tremore che lo

pervade.

Un'elegante signora lo incrocia, guarda con

diffidenza le mani strette al petto, quella

protuberanza e cambia braccio alla borsa di

coccodrillo. Ogni pochi passi scosta un lembo

e annusa il profumo che ne emana. Ancora non

ci crede ma i sogni non hanno odori - si va

ripetendo - quindi è tutto vero...

TUTTO VERO!

Page 92: Alberto Angelici - Racconti

La testa come un vulcano, vorrebbe urlare.

Urlare la paura che lo soffoca e gli ingolfa

la gola. Si guarda intorno. Sfaccendati,

commessi che si affrettano per non tardare

alla riapertura, gruppetti di bancari che fan

ritorno al grigiore asettico dei loro picì.

Apparentemente è tutto come sempre e la vita

scorre nei soliti argini. Invece nulla è come

prima, non dopo quel bruciore al braccio.

Sente il suo corpo dilatarsi e fremere e si

scopre, secondo se stesso, a scrutarsi

dall'esterno con gli occhi di un passante e

scoprirsi incredibilmente anonimo e normale.

Un qualunque sfaccendato seduto sul ferro

rugginoso di una panchina.

Steso sul letto, nella penombra della stanza

rigata dalle stecche delle persiane, ripensa

immobile a ciò che ha fatto. Gli pare un sogno,

onirica follia generata da un cervello troppo

provato. Però la carne sta là, in mezzo al

tavolo. Gli basta alzare la testa per vederla.

Un'idea lo scuote come una scarica elettrica.

Con un balzo è in piedi, il naso alla parete

che lo divide dall'appartamento accanto. Si

rivede in Pavaglione, risente il bruciore alla

mano... Perché solo la mano? Perché non tutto?

Se può passare un braccio, cosa impedisce che

passi tutto il corpo dall'altra parte? Qui

però non è vetro e come allunga il braccio lo

Page 93: Alberto Angelici - Racconti

vede sparire, come amputato. Dentro la parete.

Rimane così, guardando la sua spalla tutt'uno

con il bianco sporco del muro. Avverte lo

stesso bruciore. S'immagina il resto, che ora

sta penzolando sull'altro lato del muro, come

una scultura surreale, un trofeo per cannibali.

E SE CI FOSSE QUALCUNO!?! Rapido lo ritrae e

sente uno strappo ma il braccio è integro,

intatto come se nulla fosse accaduto.

Adesso passo di là - si dice - ma non sa

risolversi ad infilare la testa, così prova

con una gamba. Poi l'altra

e ....ssssssvvvamm... anche il resto è

dall'altra parte e si trova in una stanza che

non ha mai visto. Deserta, provvidenzialmente

deserta. Doveva esserlo per forza, altrimenti

sai gli urli! È una camera da letto. Canterano,

due comodini, armadio con specchio nel quale

vede una faccia da matto: la sua. Sedie

cariche di libri, vestiti buttati alla rinfusa

sulla vecchia poltrona tipo frau. Che Guevara

lo fissa da un famoso poster anni settanta.

Sembra perplesso o è la sua immaginazione?

Si sente come un guardone.

In quel mentre s'accende la luce nella stanza

accanto. Rumore di passi, qualcuno che

fischietta, un peto. Preso dal panico si

slancia verso la parete e ...opp, è di nuovo

in camera sua! Non ha avuto neppure il tempo

Page 94: Alberto Angelici - Racconti

di sentire il bruciore e quel senso di

stiramento della pelle sul viso che aveva

provato all'andata.

Vuol capire. Capire che cos'è che gli sta

capitando. Ma non può andare semplicemente dal

medico e domandare:

Senta, scusi, come si spiega che posso passare

attraverso i muri? Già, la prima ambulanza per

villa Baruzziana sarebbe la sua! Del resto

neppure lui riesce a crederci. È pazzesco,

inaudito. Certo che se invece di un rotolo di

carne di là dal vetro ci fossero stati dei

gioielli....

Libri! Ecco la soluzione. Bisogna che si

documenti, che capisca.

Mica facile, però, trovare qualcosa su un

argomento così particolare. Infatti è un

fiasco totale sia alla Bibblioteca

dell'Archiginnasio che a quella universitaria.

Solo qualche accenno a forti cambiamenti nel

comportamento di chi esce dal coma e i

particolari del tunnel e della luce che molti

altri riferiscono. Ha provato a chiedere ma

l'espressione del commesso quando espone la

richiesta gli è bastata per fare marcia

indietro.

È stufo di girare come una trottola, perdendo

solo del tempo. Tanto vale accettare il fatto

e smetterla con le domande.

Page 95: Alberto Angelici - Racconti

Resta però il problema che non esistono

applicazioni oneste e legali per quella sua

nuova incredibile qualità che d'altronde non

può rivelare a nessuno. Se si venisse a sapere

finirebbe in gabbia come una cavia. Del resto

non ha neppure intenzione di mettersi a fare

il ladro di professione, anche se ora nessuna

serratura lo potrebbe fermare. Però un idea...

sì, un idea gli sta frullando in testa e più

ci pensa e più gli sembra interessante, il

giusto compromesso.

Via Zamboni... Piazza Verdi... ecco, via

Belmeloro è quella lì a destra. Zona

universitaria. Più che di studenti pare

popolata di sbandati, etilici, tossici,

balordi e sfaccendati. A gruppetti stazionano

negli angoli e sotto i portici del Teatro

Comunale, dove alcuni di loro hanno

organizzato veri e propri accampamenti, con

sacchi a pelo e fornelletti. Curioso: loro

bivaccano lì da anni indisturbati mentre sento

tanta gente lamentarsi per la precisione con

cui arrivano le multe pochi minuti dopo che

nelle zone blu è scaduto il tempo.

Nell'aria un odore dolciastro. Com'è che si

dice in latino cannabis? Se gliel'hanno

raccontata giusta, il suo uomo dovrebbe

abitare lì. È una vecchia conoscenza, uno che

un tempo stava dalle sue parti. Adesso sono

Page 96: Alberto Angelici - Racconti

quasi le undici e la gente normale è già al

lavoro da un pezzo ma quello tra osterie e

discoteche difficilmente rientra prima delle 4

del mattino. Se non ha cambiato mestiere,

starà mettendosi in movimento ora e visto che

il fine settimana è appena terminato avrà

bisogno di rifornirsi di merce.

Odore di umidità e di ascelle sudate. Di

profumo da poche lire, anche. Alcuni

giovinastri scarmigliati scappano fuori dal

nulla assieme ad un'orrenda cacofonia

metallara. Non mostrano di accorgersi di me e

per poco non mi travolgono.

- Scusi tanto - ridacchia una ragazzetta coi

capelli a cespuglio, un grappolo di anelli ad

un lobo e una sacca militare a tracolla - ma

siamo in ritardo! - Terzo piano e difatti

sulla porta una targa di ottone luccicante

dice "Boemini Nestore". Tutto un programma.

Certo però che i genitori, con un cognome così

potevano scegliere un nome normale! Al centro,

la toppa cromata di una serratura di gran

costo.

Avvicino l'orecchio al battente che appare

verniciato di fresco.

Nessun rumore, salvo quello di un frigo che

ricarica. Il pianerottolo è deserto.

Preferisco che nessuno mi veda davanti a

questa porta, così è questione di un attimo.

Page 97: Alberto Angelici - Racconti

Mi appoggio e... sono dentro.

Servita a poco la Mottura, ragazzo mio...

Puzza di piedi. Nella penombra verdastra delle

veneziane rimango immobile per abituare la

vista. Mi guardo intorno. Arredamenti e

accessori costosi, risultato di una scelta non

di gusto ma di portafoglio. Alla mia destra un

acquario gorgoglia sommesso mentre una coppia

di pesci piroetta attorno a un vasetto pseudo-

etrusco posato sul fondo. Inciampo in un paio

di stivaletti di lucertola abbandonati sulla

moquette color lattuga. Per fortuna

l'abbondante peluria attutisce ogni rumore.

Pareti rivestite di stoffa a colori vivaci.

Qualche quadro. Le porte davanti a me son

tutte spalancate. Una sembra lo studio,

l'altra è la cucina. Aitec, mi pare che si

dica. Tutto inox e led colorati: pare di

essere in un sottomarino. Mensole e armadietti

modello ambulatorio rivestono le pareti.

Accanto ai fornelli vari apparecchi le cui

funzioni mi sfuggono. Riconosco solo il

tostapane.

Sembra che all'amico gli vada bene, a soldini.

Peccato che la confusione regni sovrana.

Bicchieri e piatti sporchi dappertutto,

perfino nel bagno lastronato in virile marmo

nero screziato di grigio. Biancheria sparsa

sulle poltrone; un paio di boxer dolce e

Page 98: Alberto Angelici - Racconti

gabbana, visibilmente usati spenzolano

gagliardi dal bel TV Bang & Olufsen.

Bel cialtrone, il signorino, ma in grana.

Dorme, arrotolato al copriletto di raso

azzurro. Borbotta nel sonno e si agita.

Nel pigiama a righe anni sessanta sembra una

vecchia pubblicità del Permaflex.

Mi sa che dovrò armarmi di pazienza ed

attendere sulle scale.

Due ore mi fa aspettare ma io ho con me la

settimana enigmistica e sono paziente.

Indossa pantaloni marroni quando esce e giacca

di pelle nera e appoggiato su una spalla uno

zainetto dello stesso materiale e colore. È

spettinato e visibilmente rintronato dai vizi

della notte appena trascorsa. Imbocca le scale

e scende senza neppure guardarsi intorno così

non nota il sottoscritto che si è nascosto una

rampa più su. Lo seguo. Non devo perderlo. Per

sicurezza, visto che mi conosce, ho messo gli

occhiali scuri e una coppola sformata. Cammina

deciso, imboccando via Zamboni poi a destra

via Castagnoli. Gli sto sempre dietro, ma

sull'altro marciapiedi. La strada è piena di

giovani che a quell'ora affollano bar e

trattorie; così posso facilmente seguirlo

senza che lui se ne accorga. All'inizio di via

Mascarella entra in una vecchia casa e il

Page 99: Alberto Angelici - Racconti

portone si chiude con uno scatto alle sue

spalle.

Mi fermo sotto al portico, così da farmi

superare dai due che mi camminano alle spalle.

Non badano a me, persi in un parlottio

continuo. Si tengono stretti stretti, entrambi

inguainati in jeans che potrebbero esser fatti

con la vernice. Quando mi passano davanti

m'accorgo che sono due donne. La più giovane

lampeggia un'occhiata dura, branca con gesto

di possesso una natica della compagna e se la

porta via (la compagna, non la natica).

Mentre mi appoggio alla porta arriva un

cagnetto sbiadito. Sembra un volpino e infatti

di quella razza ha gli occhi espressivi e la

coda a ricciolo. Mi ignora ma sottopone ad

accurato esame olfattivo le colonne. Non pare

soddisfatto e per precauzione scarica goccetti

di pipì ad ogni spigolo.

Devo sbigarmi o non lo troverò più.

Un'occhiata: nessuno. Passo. Solito senso di

bruciore. Gradini stretti e lisi di un grigio

indefinibile che le poche tartarughe stentano

ad illuminare. La ringhiera ondeggia al mio

tocco e vibra.

Le scale sono deserte e silenziose. Posso solo

origliare alle porte sperando di sentire la

voce del mio uomo. Se già si trova in una

Page 100: Alberto Angelici - Racconti

stanza interna, mi toccherà visitare tutti gli

appartamenti. Al terzo tentativo lo trovo.

Attraverso il sottile strato di compensato, la

sua voce mi arriva distintamente.

Sta discutendo animatamente con qualcuno, ma

da dove mi trovo riesco a sentire solo lui.

Azzardo un piccolo controllo e cautamente

infilo la testa nella porta, rimanendo

abbagliato dal lampadario che illumina a

giorno l'interno.

Non c'è nessuno, così m'insinuo. Voglio dare

un'occhiata in giro. Un semplice sopralluogo,

perché se il posto è quello che penso io mi

serve solo di vedere la faccia di chi ci abita.

Sono seduti ad un tavolino di legno scuro, una

specie di scrivania. Da una parte sta il mio

uomo, che da questo momento può andare a farsi

benedire, e dall'altra uno spilungone secco

secco. Naso enorme, pochi capelli in testa e

un vistoso gozzo che gli sporge dal collo

ossuto.

Sembra l'avvoltoio di Walt Disney ma gli occhi

sono piccoli e freddi come pezzetti di carbone.

Bene, non avrò difficoltà a seguire uno così.

Sul piano, davanti a loro un bel mucchietto di

soldi, un sacchettino trasparente pieno di

polvere bianca nel quale il Nestore sta

frugando e una bilancina da orefice. Non mi

Page 101: Alberto Angelici - Racconti

serve altro e in punta di piedi me la svigno

col solito sistema.

Ho fretta di uscire dall'appartamento, così mi

dimentico di controllare se il pianerottolo è

libero. Per un pelo non finisco sulla schiena

di un vecchio che ciabatta verso il basso

senza neppure accorgersi di me. Un secondo

prima mi avrebbe visto uscire attraverso il

legno.

Il mio uomo di via Belmeloro è il primo

gradino di un grosso giro di roba.

Eroina, coca, hascish, marijuana, ectasis e

crack e ogni altra schifezza che sul mercato

si riesca a piazzare. L'idea sarebbe di

risalire la catena per arrivare dove c'è il

denaro vero, quello a mucchi, a montagne.

Finora è stato facile.

Si è trattato di pesci piccoli, che lavorano

da soli. D'ora in avanti invece troverò

sentinelle e guardie e io mica sono gems bond.

È un lavoro di attese, quello in cui mi sono

messo, ma non ho alternative e se perdo un

passaggio son fregato. Non mi ci trovo in

questo ruolo da telefilm americano, mezzo

delinquente e mezzo poliziotto.

È sera e piove. Un'acqueruggiola lemme lemme

che entra nelle ossa e ti fa venire voglia di

un camino acceso e di una comoda poltrona.

L'asfalto di via Galliera è lucido e riflette

Page 102: Alberto Angelici - Racconti

i globi luminosi dei lampioni e i fari delle

poche auto di passaggio. Nonostante la

protezione del parka sono bagnato come un

ninein, come un maialino. La macchina non ce

l'ho e il motorino era l'unico modo per

seguire la golf dell'Avvoltoio, come ho deciso

di chiamare lo spilungone. Sono tre giorni che

gli sto dietro e questo qui è uno che non sta

mai fermo.

Shopping, barbiere, l'aperitivo da Zanarini,

uffici, banche, anche un paio di cinema,

insomma mai un attimo di sosta. Per evitare

che s'accorga di me, ogni tanto cambio un poco

aspetto: tolgo o metto il cappello (ora ne ho

tre diversi modelli), gli occhiali (anche di

questi ne ho tre paia) e un vecchio

impermeabile comperato in Piazzola. L'ho

scelto perché da un lato è grigio e dall'altro

nero.

Ecco, questa è una parte della preparazione

che mi ha divertito. Sono sempre stato

affascinato dalla capacità degli attori di

cambiare fisionomia, di variare il loro

aspetto semplicemente modificando la postura o

il passo. I sistemi per alterare i tratti del

viso: cuscinetti per le guance, baffi e barbe.

e tanti strani ammenicoli. Suppongo che

c'entri il desiderio che è in ognuno di noi di

Page 103: Alberto Angelici - Racconti

volare via da una realtà troppe volte

masticata.

Mi sento come l'ispettor Cluseau di Piter

Seller ma per fortuna non ho il patema del

cameriere giapponese con i suoi attacchi a

sorpresa di giudo'. L'Avvoltoio sta

parcheggiando di fronte a palazzo Montanari.

Lo conosco bene, perché mia mamma ci veniva

tanti anni fa a comperare le fodere in un

magazzino a piano terra e spesso mi portava

con sé. Ci serviva sempre un commesso piccolo

e azzimato dal nome imponente: Dino Sauro!

Chissà mai perché quando si presentava, lui

metteva sempre prima il cognome. Tutte queste

attese mi han fatto venire il male di schiena

e la voglia di fumare. Proprio a me, che non

ho mai toccato una sigaretta! L'androne è

signorile. Una serie di targhe indica la

presenza nel palazzo di studi professionali.

Secondo piano. Una grande loggia con un

finestrone che dà sul cortile interno.

Sulla parete una lapide dall'aspetto vetusto:

che Garibaldi sia passato anche di qui?

Leziosi riccioli di ferro battuto non riescono

a mascherare il robusto telaio di acciaio di

un cancelletto in stile, così come i pannelli

di mogano che rivestono il portoncino blindato.

Ecco, le luci delle scale si sono spente. Ho

pensato piu' sicuro entrare dal muro, per

Page 104: Alberto Angelici - Racconti

evitare eventuali guardie. Mi fa una strana

impressione attraversare spessori così grossi;

il senso di stiramento è piu' marcato e non

vedo nulla, anzi tengo gli occhi chiusi. Però

devo fare attenzione. La stanza in cui mi

trovo sembra quella di un bambino. Devo andare

oltre. Sbircio. È un largo corridoio, con le

pareti fittamente tappezzate di quadri: una

specie di galleria d'arte. Le luci sono tutte

accese e sento delle voci provenire, presumo,

dalla grande porta chiusa, in fondo al

corridoio. Da quella di fronte a me giungono

invece suoni da un televisore: l'ennesima

partita di calcio.

Azzardo un'occhiata veloce. Un divano, due

poltrone, alcuni tavolini antichi.

Sono in due e seguono attenti l'azione che si

svolge sullo schermo. Non battono nemmeno le

palpebre. Davanti a loro lattine di coca,

bicchieri, una confezione di popcorn e un

grosso revolver. In perfetto silenzio, grazie

alle suole di feltro, percorro il corridoio e

le voci si fanno piu' distinte. Rumorosissimo

invece il cuore che mi tuona in petto.

- ...ente di roba ne ho finché ne vuoi. Roba

di qualità assoluta, ma per chi vuol spendere

poco c'è anche la schifezza, ahahahah.

L'importante è che abbiano la grana! - È la

voce di una persona istruita, colta.

Page 105: Alberto Angelici - Racconti

- Sì, sì, il mercato tira e i miei ragazzi

stanno lavorando proprio bene.

Mmm... fantastico questo cognac! - Questo

invece è l'Avvoltoio.

- Ma quale cognac! Barbancour di Haiti! Rum, e

del migliore, altro che cognac! Va be', ora

parliamo di affari. La pross... - Il rumore di

una sedia smossa, un'imprecazione a mezza

bocca mi fan battere in ritirata verso il

bagno, ma è un falso allarme.

- ...perciò bisogna spingere. Che facciano

nuovi clienti. Le discoteche, dì che insistano

nelle discoteche. Lì di coglioni se ne trovano

sempre! Quanti sono questi, trecento? OK,

aspetta che li metto via. - Sentendo quelle

parole infilo dentro la testa. Il minimo

indispensabile per poter vedere. È uno studio.

Molto lussuoso e quasi interamente rivestito

di libri antichi.

Accanto al monumentale camino un divano. Sopra,

una figura sdraiata e immobile. La luce

verdastra della lampada conferisce ai lunghi

capelli biondo cenere un riflesso ultraterreno.

Sta leggendo, la donna, e non pare curarsi

della vestaglia blu che sul davanti è

generosamente aperta sui seni alti e sulle

cosce abbronzate. Sull'altro lato una grande

scrivania carica di fronzoli dorati e varie

poltroncine in pelle bordeaux. Un bellissimo

Page 106: Alberto Angelici - Racconti

soriano grigio dorme in un angolo, arrotolato

come un tortellino. Mentre lo osservo alza di

scatto il muso e mi fissa con liquidi occhi

color del moscato.

Intanto che il padrone di casa traffica

nell'enorme cassaforte, l'Avvoltoio ne

approfitta per dar giu' alla bottiglia di...

accidenti, come l'ha chiamato? Ho la visione

fugace di due ripiani carichi di mazzette

prima che il pesante sportello si richiuda, la

tenda copra il tutto e io ritiri la testa dal

muro.

- Ma ti fidi a tenere quella massa di soldi in

casa? - borbotta con falsa noncuranza lo

spilungone.

- No, tanto è vero che domani mattina porto

via quasi tutto. Aspettavo i tuoi.

Visto così non sembra, ma ci sono quasi otto

cucconi, sai, lì dentro! Piu' del solito, è

vero, ma in quest'ultimo mese non ho avuto

tempo e così.... - OTTO MILIARDI?! ma sì, ha

detto otto cucconi e i cucconi non possono

essere che miliardi. Per la miseria ...otto

miliardi! Pronuncia la cifra a bassa voce

mentre scende le scale. Otto miliardi... come

si scriva una cifra così manco lo sa. Ma tu

pensa quanta gente lavora una vita e non vede

neppure la decima parte di 'sti soldi, e

questo qui li mette insieme in un mese. Un

Page 107: Alberto Angelici - Racconti

mese!! Se ne va scuotendo la testa, si sente

polemico ed esce dal portone come un

forsennato.

- MADONNA, MADONNA SANTISSIMA, BEDDA MADRE!!!

LO GIURO, NEMMENO UN GOCCIO BERRÒ

PIU',LO GIURÒ!!! Pure i fantasmi che escono

dal muro, ora. No, no, la devo smettere con

'sta robaccia...- Il mezzo barbone che stava

accucciato di fianco al portoncino se ne va

veloce senza neppure girarsi indietro. Lo

guardo sparire per via Volturno, mentre il suo

borbottare si fa sempre piu' indistinto.

Chissà, magari la mia disattenzione lo farà

davvero smettere con la bottiglia.

Però devo stare attento. Già, me lo dico

sempre.

Sono talmente sottosopra per ciò che è appena

successo che non riesco a riordinare le idee.

- Otto miliardi ha detto, mmmm, e ha anche

aggiunto che domani li porta al sicuro. - La

decisione arriva da sola, si può dire. Finita

la corsa, finiti gli appostamenti, i

sotterfugi e i travestimenti, che si sentiva

anche ridicolo.

Non pensava...credeva che avrebbe dovuto

risalire altri passaggi, scoprire altri anelli

della catena della droga. Invece è capitato

nel posto giusto al momento giusto. Quindi è

Page 108: Alberto Angelici - Racconti

per questa notte. Non può essere diversamente.

O la va o la spacca, ma lui a lavorare in una

cantina non ci torna piu'. E poi gli hanno

detto che ora grossi sforzi non li può piu'

fare. Sì, ha già deciso.

Sono quasi le nove e d'impulso decide di

offrirsi una lussuosa cena. Ora che la

decisione è presa si è scoperto una fame da

lupo e la voglia di festeggiare.

Tornerà lì alle 4, perciò di tempo ne ha da

vendere.

Antipasto di salumi misti, tortellini in brodo,

tagliatelle al ragu' e bollito misto con la

salsina verde che gli piace tanto. Per finire

un bel cremcaramel.

Un meraviglioso sangiovese come lubrificante.

Una cena che gli è costata ciò che aveva in

tasca e che ora lo fa sentire come se avesse

un camion nello stomaco. Forse ha un tantino

esagerato, ma ne valeva la pena.

Mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe

trovato a domandarsi che valigie servono per

portare otto miliardi.

Dovendo decidere su due piedi ha preso ciò che

era disponibile in casa e cioè un'enorme

valigia di finta pelle gialla e una sacca in

tela con la scritta LINES - LE ALI DELLA

LIBERTÀ. Un po' ridicolo ma pensando a ciò che

tra poco conterrà, anche ironico, no? Capisce

Page 109: Alberto Angelici - Racconti

che non è il caso, ma non riesce ad

impedirselo. Si sorprende a sorridere a due

ragazze orrende che ha appena incrociato

davanti al Metropolitan. Quelle lo squadrano,

vedono la sacca lines e accelerano alzando il

mento, le principesse! Non importa: nulla, ma

proprio nulla può metterlo di cattivo umore,

questa notte.

Tutto come previsto. Via Galliera è deserta.

Unica presenza ostile, un gruppo di cassonetti

stracolmi che mandano un puzzo bestiale. È

buio pesto nel palazzo ma lui si è munito di

una mini-torcia che tiene avvolta nel

fazzoletto. La debole luce che ne scaturisce è

sufficiente a vedere dove mette i piedi. Passa

attraverso i muri ma non ha mica i superpoteri

di Nembo Kid.

Nell'appartamento tutto tace. Non si sente

neppure russare. Strano.

Va diritto allo studio. La porta è aperta.

Allunga una mano. Per un attimo lo raggela il

pensiero assurdo che la cassaforte non sia

piu' dietro la tenda di velluto. E invece c'è,

ovviamente. Ma cosa gli prende? Deve stare

calmo.

Cerutti-Torino, dice la targhetta sul frontale.

Ci si appoggia leggermente.

E se non riuscisse a entrare? Oh, basta con le

masturbazioni mentali. Chiude gli occhi e...

Page 110: Alberto Angelici - Racconti

il braccio è dentro fino al gomito poi fuori.

Tra le dita un pacco di soldi alto dieci

centimetri. Sono pezzi da centomila.

Rapidamente riempie la sacca poi passa alla

valigia. Mai visti tanti soldi in vita sua.

Avuti in mano poi...

Ci sono anche delle banconote straniere, ma

non le riconosce. Bada ad ammucchiare. Quando

il fondo della valigia è un materasso di carta,

gli pare che non ci sia piu' niente sui

ripiani. Tasta avanti e indietro finchè sente

una specie di cassetta e una cosa morbida. Li

tira fuori in fretta perchè il nervosismo

comincia a farsi sentire. La cassettina sembra

di pelle e la mette in valigia senza guardarci:

lo farà a casa con calma. Il sacchetto invece

merita un po' di attenzione. Lo soppesa tra le

mani. Saranno tre chili.Tre chili di polverina

bianca, non sa se coca o eroina. Comunque un

bel mucchio di bigliettoni anche quella. Ha

un'idea. Va nel bagno e alla luce del

fazzoletto - torcia squarcia il sacchetto

sopra il water, in modo che una parte minima

del contenuto si sparga sull' asse. Vuole che

il suo regalino sia ben visibile. Butta il

sacchetto vuoto a terra, recupera sacca e

valigia e se la svigna.

Le marmette del piccolo alloggio sembrano la

moquette esclusiva del presidente della zecca

Page 111: Alberto Angelici - Racconti

o la zona relax di Paperon de' Paperoni! Non

proprio otto miliardi: sette e

novecentotrentaquattromilioni piu'

trecentocinquanta milioni in marchi e franchi

svizzeri. Una parte l'ho destinata a gente che

ne ha un gran bisogno; il resto è al sicuro,

sparso tra banche di vari Paesi, in attesa che

io decida come investirli. Non me ne intendo e

dunque devo imparare.

Rattrappito sullo scomodo sgabello, ricordo di

una visita al magazzino di don Marella, ho

volutamente messo qualche metro tra me e tutti

quei soldi. Nausea? Vertigini? Un po' di

entrambi. Certo è che faccio fatica a mettere

ordine nel gomitolo informe di emozioni,

programmi, scampoli di sogni, dubbi, desideri.

Ora che i giochi sono fatti, ora che ho

portato a compimento il piano che poche

settimane fa ancora non sapevo se prendere sul

serio oppure no, non riesco ad attivare in me

il piacere che dovrebbe darmi tutto quel

denaro e l'indipendenza che da esso deriva.

Non sarà facile portare all'Estero tutta

quella carta, ma di tempo ne ho in abbondanza

e di soldi per viaggiare pure.

Voglio solo riposarmi e dimenticare stanzoni

umidi, ospedali e impermeabili double-face.

Penso a mia madre, che copiava sulla singer i

modelli di Parigi e a mio padre, sempre in

Page 112: Alberto Angelici - Racconti

tuta d'la Curtisa poi l'errore di una gru ed

il lucido spettrale della bara di Golfieri.

Penso alla bruna e passionale Lou e alla

ridente solarità di Daniela; a Nadia, rigorosa

e sfuggente ma preziosa e stimolante e a

Fulvia, intrigante dottoressa, evanescente,

tenera ragazza e a un tempo donna concreta e

forte.

Sogno, realtà? Mi penso addosso, ex-

magazziniere, ex-ricoverato, fenomeno da

baraccone multi-miliardario sradicato da un

mondo che avrei creduto inevitabile e

trascinato da un beffardo e ironico puparo in

una dimensione ignota da novella tremila.

Ah, dimenticavo ...vi ricordate la cassettina

di pelle trovata in cassaforte? Beh, non ci

crederete, ma sotto a tanto pelo forse batteva

anche un cuore: era piena di vecchie foto di

famiglia. Quelle le ho qui e ogni tanto me le

guardo.

"Il vero viaggio verso la scoperta non

consiste nell'andare alla ricerca di nuove

terre, ma nel vedere con occhi nuovi"

Marcel Proust

Page 113: Alberto Angelici - Racconti

Il bastardo di Yonge Street ****************

L'asfalto luccica come nera ossidiana mentre

l'uomo risale lentamente Yonge Street verso il

piccolo parcheggio dove tre ore prima aveva

lasciato la macchina. A quell'ora della notte

Toronto mostra la sua immagine peggiore.

Le vetrine buie e le insegne spente danno alla

via un'aria trasandata e squallida che ricorda

quella di un night-club la mattina dopo.

Agli incroci grumi di bidoni attendono di

essere svuotati e così pure i cestini appesi

ai pali della luce.

Una pioggerella fredda e sgarbata ha scacciato

anche i più incalliti nottambuli.

Dal fondo della via giunge a tratti il

sibilante rumore dei mezzi di pulizia.

Intermittenti lampeggi frustano di giallo la

pioggia e i muri delle case.

Passano rapide due coppiette, uscite forse

dallo stesso teatro che l'uomo ha appena

lasciato. Ha un brivido e si stringe ancor di

più nell'impermeabile bagnato. È quasi

novembre e l'aria già piuttosto fresca ma il

gelo che avverte si trova dentro di lui.

Proprio il giorno prima ha litigato con Maria,

la sua ragazza, che se n'è andata sbattendo la

porta, urtata dalla sua noiosa pignoleria.

Perciò aveva deciso per il concerto.

Page 114: Alberto Angelici - Racconti

Non gli andava di restare in casa da solo e

aveva creduto che la musica di Gershwin e la

folla sarebbero stati la miglior medicina. Si

sbagliava.

Come la grande porta a molla si era chiusa

alle sue spalle, il buio e la puzza

dell'asfalto fradicio avevano ingoiato la

magia delle opulenti note di Porgy and Bess e

di Un Americano a Parigi, lasciandolo più

vuoto che mai.

All'angolo con Commerce Road sta accucciato un

etilico che dalla rientranza di un negozio

allunga una mano sporca. Lui fa finta di

niente e tira dritto, poi ci ripensa e gli

porge un pezzo da dieci dollari. Sgrana gli

occhi e biascica qualcosa, il barbone.

Homeless li chiamano da queste parti ma non è

solo la casa che manca loro. Biascica qualcosa,

il poveraccio. Angelo non capisce ma

intravvede una mostruosa chiostra di denti che

ormai non ci sono più.

- Ho fatto bene - pensa - forse con quel

denaro gli ho reso migliore la notte: di certo

non ho peggiorato la mia - .

Pensa all'Italia, mentre imbocca il vicolo che

finisce contro il parcheggio.

Pensa a Maria, al suo viso di oriunda

Portoghese, al calore dei grandi occhi liquidi

Page 115: Alberto Angelici - Racconti

e alla massa di capelli neri in cui è bello

affondare le dita.

Oltrepassato un incrocio, sente un sommesso

guaire, una voce strozzata e il suono

molliccio, osceno, di tonfi che si succedono

rapidi. Suoni strani e inquietanti.

Deve essere poco più avanti, riflette, forse

oltre quell'angolo che intravvede

nell'ingannevole luce dei lampioni. E già,

senza neppure rendersene conto, vecchie

lezioni di tattica e di tecnica di

avvicinamento affiorano nella sua mente,

richiamate da inconsci meccanismi, stimolate

forse dalle ombre che lo circondano.

Pochi passi ancora e scorge un gruppo di

bidoni stracolmi di spazzatura. I rumori

provengono proprio da lì, da dietro il mucchio.

Lo supera con cautela, ginocchia flesse e

braccia in avanti a proteggere il tronco e la

testa, proprio come gli era stato insegnato,

come lui aveva tante volte insegnato alle sue

squadre. I piedi poggiano cauti, toccano

delicati con la punta delle suole di para.

Lentamente saggiano il suolo per avvertire

eventuali ostacoli, oggetti che potrebbero

fare rumore o sbilanciarlo.

Automaticamente le mani sfiorano il corpo

laddove un tempo avrebbero trovato il

Page 116: Alberto Angelici - Racconti

cinturone tattico e l' equipaggiamento. Questa

volta però niente pugnale, niente pistola.

C'è un uomo, infagottato in un giaccone a

riquadri rossi e neri, un modello da boscaiolo

molto comune in tutto il Paese.

Impugna un lungo oggetto, forse un manico di

scopa o un tubo di ferro, col quale sta

colpendo selvaggiamente quel che sembra solo

un mucchio di pelliccia scura. Un grosso cane,

pensa, altro non può essere, ma l'ombra dei

bidoni non gli permette di distinguere meglio.

E dire che nel reparto lo chiamavano Occhi,

per la straordinaria capacità di vedere nel

buio quasi totale.

I colpi si susseguono ai colpi, implacabili;

il povero animale reagisce sempre più

debolmente, con lamenti ora quasi

inavvertibili. Un tratto di corda, forse il

guinzaglio?, trattiene l'animale a una grata

di ferro.

Fa un altro passo avanti mosso da un istinto,

da un senso di rivolta per la violenza di

quella scena. Una violenza che prende alla

gola come il tanfo di carne putrescente.

- La smetta! Si fermi! Non vede che lo sta

ammazzando!? -

Gli è uscito così, automaticamente e il tono

non è quello di sempre. È tornato metallico,

Page 117: Alberto Angelici - Racconti

un timbro di voce che un tempo provocava

obbedienza, che faceva scattare gli uomini.

Quello si gira e può così vederlo in faccia.

Un viso grossolano, largo, forse slavo. È alto

più di lui di una diecina di centimetri e

grosso, molto grosso.

Urla ancora, e così vicino che scorge lo

scintillio di due molari d' oro.

"Stop you"! -

Ma non pare neanche avvertire l'ordine. Come

in un rallenty una spalla si inarca,

venendogli incontro.

Flash di pochi istanti inondano la mente.

L'odore acre dei corpi sudati, il frusciare

dei piedi sul tatami, le ore di palestra, e i

combattimenti simulati e i katà ripetuti

migliaia di volte, incessantemente. Gli urli

dell'istruttore, secchi come schiocchi di

frusta. Cose mai lasciate, mai veramente

svanite.

La reazione è istantanea, deflagrante, lento

al confronto il movimento del bastone che sale

verso il suo viso, molle come il volo di una

piuma.

L' adrenalina scende nelle vene a torrenti

mentre la mano corre ad incontrare il polso. È

pesante, parecchio più di lui, ma la presa è

perfetta. Una rotazione rapida e bruciante ed

è come se non fosse lui, lì sul marciapiedi

Page 118: Alberto Angelici - Racconti

dove gli sembra di essere spettatore e non

protagonista.

Non ha bisogno di pensare. Il corpo, i suoi

muscoli agiscono in un riflesso condizionato,

sanno già cosa fare, ad una velocità sempre

maggiore, nonostante gli indumenti lo

impaccino. Colpisce ripetutamente sia col

pugno che di gomito e il tubo vola tintinnando

sull'asfalto. Perché tanti colpi? Forse

sarebbe bastato il primo... ma aveva appreso

ad una scuola in cui la cavalleria non gode di

troppa considerazione.

Devi badare al sodo - gli avevano insegnato. -

L'avversario va ridotto in condizioni di non

nuocere e non semplicemente messo a terra.

Altri ne potrebbero comparire dal buio e

quello che credevi fuori gioco può riprendersi

e arrivarti alle spalle. In certi frangenti è

un rischio che non puoi correre.

Vede un'espressione di sorpresa sul largo viso.

Sente la gamba che si solleva, mentre tutto il

corpo ruota, accumula energia e la concentra

nel piede. Energia bianca e fredda.

Vorrebbe fermarsi, bloccarsi lì ma ha nella

mente il rigagnolo di sangue e orina che esce

di sotto il ventre del cane. Vede rosso e non

capisce più niente e il piede arriva,

esplosivo all'altezza dello sterno e sente

l'urto rimbalzare indietro, su per la gamba

Page 119: Alberto Angelici - Racconti

fino all'addome. Avverte lo schianto delle

ossa, prima che il giaccone rosso e nero venga

scaraventato con tutto ciò che contiene sul

mucchio di bidoni che rotolano ovunque,

vomitando lattine di coca e frutta marcia.

Resta lì ansimante, il cuore che batte e

sembra invadere il petto e il vicolo.

Le mani gli tremano violentemente, le braccia

e il corpo tremano.

Non sa che fare. Si sente stordito e non

s'accorge della pioggia che gli cola sul viso,

giù per il collo, fino alle mutande.

Parrebbe che nessuno si sia accorto di nulla.

La pioggia deve aver smorzato i suoni, eppoi

in quella zona sono tutti magazzini e negozi.

Guarda per terra il cane, non l'uomo di cui

scorge solo le scarpe e le caviglie.

Guarda il cane, solo lui.

In ginocchio cerca di capirne lo stato. Gli

alza una palpebra e assurdamente gli sembra la

scena di un film di John Waine. Gli tocca la

pupilla. Nessuna reazione. Le mandibole sono

socchiuse in un ghigno che scopre denti

frantumati.

Un muso un po' troppo a punta, zampe un po'

troppo corte per essere di razza ma neppure un

bastardo meritava di morire a bastonate su un

marciapiedi di Yonge Street.

Page 120: Alberto Angelici - Racconti

Le mani pulsano e sente le nocche cominciare a

dolere e gonfiarsi come ciambelle sotto

l'azione del lievito di birra, tanto che fa

fatica ad aprire lo sportello.

Speriamo non ci sia niente di rotto.

La mattina dopo scappa dall'appartamento più

presto del solito, più in fretta del solito,

in disordine, sorprendendo anche l'ingegnere

pakistano della porta accanto che lo conosce

tranquillo e misurato.

Il Globe and Mail, il più importante

quotidiano dell'Ontario, è lì, al solito posto

nello scatolone di rete metallica, sull'angolo

di Forest Manor Road.

Monetine. Pagine e pagine per trovare quella

della cronaca nera. Magra, perchè non sono

molti gli avvenimenti di quel genere in una

città come Toronto, anzi in un Paese ordinato

e civile come il Canada.

Benessere, un sistema sociale ben congegnato

ed equilibrato, civismo innato? Difficile

dirlo. Comunque lui non ha una risposta, non

quel giorno, ma solo una domanda, altro non

gli importa in quel momento, non potrebbe

fregargli di meno.

"A MAN DEAD BESIDE A DEAD DOG!"

I caratteri in grassetto sembrano uscire dal

foglio e appiccicarsi al suo viso sudato.

Puzzano di inchiostro appena spalmato o è la

Page 121: Alberto Angelici - Racconti

sua fantasia? Ha le vertigini, vorrebbe

vomitare, lì sulla strada. Si sente come

drogato, anche se quella robaccia non l'ha mai

provata in vita sua.

Semplicemente, pensa che se lo fosse si

sentirebbe così. Passa una signora elegante

con un barboncino bianco al guinzaglio. Sono

uguali, stesso incedere legnoso e a scatti,

stessa espressione distante e un po' vanesia.

Stesso colore di pelo e capelli. Stessi

riccioli. Lo guardano entrambi.

Chissà perché nota quegli inutili particolari.

Forse perché tutto è meglio di quel titolo, di

quelle poche parole alte così.

Risente lo scricchiolio delle ossa, anche un

sospiro, un rigurgito, ma forse quelli sono i

suoi. Il rivolo liquido sotto quel mucchio di

pelo ancora caldo, il ghigno sui denti. Una

morte disperata e incomprensibile, un dolore

che arriva inspiegabile, dalle mani di chi

magari è vissuto con lui per anni.

Una foto. Sull'uomo un lenzuolo. Nudo e quasi

bianco nel lampo del flash il cane. Lui

nessuno ha pensato a coprirlo. Lui, cane fino

alla fine.

"La Polizia sta indagando sul misterioso fatto

di sangue che ha coinvolto un nostro

concittadino ed un cane, entrambi trovati

morti in un vicolo nei pressi di Yonge Street.

Page 122: Alberto Angelici - Racconti

Previsti per domani i risultati dell'esame

autoptico. Le Autorità si chiedono..."

L'edizione del giorno successivo puntualmente

specificherà tra le altre cose: "...frattura

multipla della mandibola e di quattro costole

e il setto nasale deviato. Perforazione di un

polmone e arresto cardiaco."

Nausea e vertigini. Mi sento invaso dal sudore.

Poi una mano sul braccio. Una manica blu e in

cima dei gradi dorati. "Tutto bene? Qualcosa

non va? Si sente male?"

Un bel viso biondo, volenteroso e

interrogativo.

Sono tutti così i policemen canadesi. Biondi e

volenterosi.

"TO SERVE AND PROTECT" recita il motto del

Corpo. Sta inciso sul distintivo che gli

luccica sul petto.

"Beh - gli vien fatto di pensare - chi ha

protetto chi, quella notte in Yonge Street? E

pensa ancora - basterebbe che lo dicessi ora,

a quel viso pieno di lentiggini... sarebbe

sufficiente dire: "Sono stato io, l'ho

massacrato io quello lì... guardi le mani! Con

queste l'ho fatto... con queste..."

Quanti anni sono passati da allora, da quella

notte nel vicolo. Se solo non fosse stato così

Page 123: Alberto Angelici - Racconti

pedante, così pignolo, forse Maria non si

sarebbe arrabbiata.

Forse non se ne sarebbe andata sbattendo la

porta e forse lui non sarebbe andato al

concerto e forse... forse... forse...

Quanti forse, quanti se.

Tanti e tutti inutili.

Tutti lì, scolpiti nella mente.

Page 124: Alberto Angelici - Racconti

Ivo lo sgombracantine - parte I ******************

Traballante e sbilenco l'ape apparve

scoppiettando da Vicolo Ranocchi e inchiodò

davanti al bar. Ne discese una figuretta male

in arnese e così minuta da far apparire

spaziosa la piccola cabina.

Lo vedevo muoversi a scatti come un criceto

mentre gli occhi non cessavano di lanciare

intorno rapidi sguardi. La barba incolta e

scura e l'eterna camiciola rappezzata gli

conferivano un'aria da barbone ma chi

conosceva Ivo Bini detto Il Furtivo sapeva

bene che barbone non era. Semplicemente non

dava grande importanza alla forma. Quando

molti mesi prima aveva trovato quella camicia

nel corso di uno sgombro, gli era piaciuta

subito. L'aveva provata. Gli stava giusta

giusta. Un caso? Un segno del destino? Mah,

comunque non se l'era più tolta.

Di colpo si bloccò e dai jeans trasse un

rotolino di scotch e un foglietto sgualcito

che appiccicò sul cassonetto della spazzatura.

"BINI IVO SGOMBRACANTINE, DITTA REGOLARMENTE

AUTORIZZATA" e sotto "PORTO VIA TUTTO QUEL CHE

TROVO E NON VI CHIEDO UN SOLDO PERCIÒ NIENTE

SCHERZI SE C'È QUALCOSA CHE VI INTERESSA VE LO

PRENDETE PRIMA CHE ARRIVO IO".

Seguiva un numero telefonico.

Page 125: Alberto Angelici - Racconti

Oramai era difficile fare un passo per il

centro storico di Bologna senza imbattersi in

uno dei suoi avvisi, grandi come una mano e

fatti con la fotocopiatrice. All'inizio gli

spazzini li strappavano ma lui pareva avere il

dono dell'ubiquità e le sue locandine pure.

Per uno che toglievano venti ne comparivano,

così avevano lasciato perdere.

- è il posto migliore - diceva sempre - lì

prima o poi ci capitano tutti! - e a forza di

patacchini era diventato un personaggio.

-Vedi, quello lì è Ivo - se lo indicavano per

la strada le signore - se hai bisogno di fare

spazio nella cantina o in solaio, chiama lui.

L'è cinein mo l'è una furia. Va come treno! -

Sì, perché Il Furtivo non stava fermo un

momento e, salvo i pisolini che schiacciava

nell'ape all'ombra di un platano, pareva non

riposare mai. Di giorno e di notte, a piedi o

più facilmente sull'ape stracarico di mobili

in equilibrio precario, lo si poteva

incontrare ovunque.

Io lo avevo conosciuto per caso nel

laboratorio di un amico al Pratello. Da allora

mi era capitato un paio di volte di scambiare

con lui due chiacchiere o di offrirgli il

caffè.

Page 126: Alberto Angelici - Racconti

Un giorno mentre passavo dalle parti di via

Pietralata, regno un tempo di vecchie battone

e magnaccia, mi sentii chiamare da un androne.

- Dottore, Dottore! - per lui tutti quelli che

portano la cravatta lo sono - se ha un attimo,

venga su che ci faccio vedere qualcosa di

bello! -

Così scoprii che Ivo abitava lì. Scale strette

e malconce, ringhierina di ferro e, alta sul

muro, una impolverata madonnina di coccio

dall'aria rassegnata.

Primo piano. Dentro, una quantità esagerata di

mobili d'ogni genere, un vero bazar. Qualche

canterano dell'otto, sedie e soprammobili

ammonticchiati ovunque, un paio di vecchie

radio dai pomelli in bachelite rossiccia. In

un angolo un'elegante vetrina liberty e una

grande sagrestia settecentesca in noce, tante

cornici vuote, ombrelli malconci e un'aria di

chiuso come se nessuno aprisse mai le finestre.

Dal lampadario un Cupido grassoccio e dorato

puntava con aria sfiduciata la sua unica

freccia.

- Venga, entri e scusi il disordine... da

quando non c'è più mia mamma... io con le

faccende domestiche non ci so mica molto fare

eppoi sa com'è, con il lavoro...-

Sgusciava tra tutta quella roba come

un'anguilla. Compariva e scompariva di

Page 127: Alberto Angelici - Racconti

continuo e gli stretti passaggi parevano fatti

a misura delle sue microscopiche dimensioni.

Lì nel suo mondo sembrava un altro. Aveva

perso i modi circospetti che gli avevano valso

il soprannome e non la smetteva di illustrarmi

questo o quell'oggetto. Di ognuno si ricordava

dove lo aveva trovato e in che circostanza, il

nome della ex-proprietaria, tutto insomma.

Non facevo in tempo a fermare lo sguardo su

una cosa che già lui mi trascinava avanti.

- Guardi, guardi questo qui! Vede? Puro

Liberty! E guardi 'sta cassapanca...vede?

Tutto noce massiccio...senta, senta che peso!

A dir il vero è piena di roba. Tant'è che

quella volta, saran tre mesi, mi dovetti fare

aiutare da Stufilein, quello sfaticato. La

portammo via così piena perché non trovavano

più la chiave. Quaderni... vecchi registri del

nonno che doveva essere un fascistone o roba

del genere. Pensi che non l'ho ancora aperta.

Appena trovo il tempo... -

Stufilein, un ex manovale chiamato così perché

fischiettava di continuo canzoni di San Remo,

completava la forza lavoro della Premiata

Ditta Bini Ivo, che però ricorreva a lui

quando proprio non poteva farne a meno. Di

solito Ivo si arrangiava da solo, con l'unico

aiuto di qualche metro di cinghia da

tapparella.

Page 128: Alberto Angelici - Racconti

Su quella schiena di bimbo riusciva a caricare

le cose più incredibili.

- Il segreto sta nel trovare il giusto

equilibrio - tagliava corto, con rapidi gesti

e il busto tutto curvo in avanti.

Lo avevo perso di vista in quella specie di

deposito, tra bei mobili e orrendi zavagli per

i quali pareva avere una strana simpatia.

All'improvviso mi comparve davanti, come un

folletto.

- Cos'è che le volevo mostrare, ch'an m'arcord

piò? Ah, sì, certo, la Silviona! è di là,

venga. Che gliene pare, non è stupenda? L'ho

chiamata così dal nome della proprietaria.

E con gesto solenne, come un ministro

all'inaugurazione di un monumento, strappò il

lurido lenzuolo, scoprendo un lungo e basso

buffet anni sessanta impiallicciato in

ciliegio. Sfavillante di coppale e arricchito

da vetri con scene campestri e leggiadri

piedini d'ottone a punta, mi parve davvero

orripilante specie se confrontato con la madia

che gli stava accanto.

- Questo qua non lo do via - e con gli occhi e

la mano ne sfiorava amorevole la superficie

lucida come una caramella appena leccata - ma

se c'è qualcosa che le interessa lo dica pure.

A lei ce la do e le faccio pure bene, Dottore!

- Quel misto di animalesca furbizia e di

Page 129: Alberto Angelici - Racconti

ingenua ignoranza mi aveva preso in simpatia

fin dal primo giorno. Forse perché non avevo

mai cercato di approfittarne o forse perché,

diceva, tanti anni prima aveva sgomberato il

garage di mia nonna.

- Una vera signora, sua nonna e che cuoca! Me

la ricordo, sa? Assieme al caffè mi offrì

della torta squisita.

- Questa è casa mia, sa? - e mi fissava con

piccoli occhi da mustelide - mica un negozio.

Mai portato nessuno qui. Lei è il primo, sa? -

Sì, capivo che lo aveva detto d'impulso ed ero

portato a credergli.

- Guardi qui, ne vuole qualcuna? - era già

sparito, piegato in due dentro a un baule da

viaggio e ricomparendo dopo un attimo con una

scatola da scarpe in mano.

- Questa viene da via Gandino, una zona di

signori, vedesse che case! Chissà perché le

misero in cantina, comunque sono più di

duemila, vede?- Roba da non credere!. Un

mucchio di monete da 500 lire, di quelle

d'argento con le caravelle.

La scatola ne era piena, alcune opache ed

ossidate, altre ancora lucide e brillanti. Gli

occhi gli sfavillavano di piacere nel vedere

la mia sorpresa davanti a quel piccolo tesoro

e intanto ne muoveva la superficie con leggeri

Page 130: Alberto Angelici - Racconti

colpetti delle dita. Lentamente, come se

godesse a sentirne il debole tintinnio.

- Uno di questi giorni vado da Gaudenzi a

sentire cosa mi dà.Veramente lo dico da un

pezzo poi vengo qui, le guardo, le rimescolo e

mi pare di essere Paperon dè Paperoni - e giù

una risatina che scoprì piccoli denti come

chicchi di riso.

- Ci guardi, ci guardi pure con comodo, che

intanto vado di là a fare il caffè...perché un

caffè lo prende, vero Dottore?

Lo sentivo trafficare in cucina. Distratto mi

guardai intorno senza quasi vedere ciò che mi

circondava.

Troppo spesso, pensavo, incontriamo persone

che per fretta o superficialità o perché ci

appaiono troppo diverse da noi non degnamo

d'uno sguardo. Le teniamo a distanza, le

ignoriamo, inconsapevoli che dietro a un viso,

a un comportamento impacciato si nascondono a

volte sentimenti feriti o un animo logorato da

anni di fatiche e di frustrazioni.

Sedevo nella grande cucina e guardavo il sole

giocare tra i puntini di polvere sospesi

nell'aria. Mentre la Bialetti sbuffava odorosi

baffi di caffè, Ivo mi raccontò la storia di

un padre mai stato e di una madre sempre a

letto.

Page 131: Alberto Angelici - Racconti

- La pensione era sempre più striminzita

Dottore o meglio erano le medicine che

crescevano, di numero e di prezzo - e mentre

ricordava si passava a pettine le mani nei

capelli crespi e grigi. Fuori, sul davanzale

coperto di cacche due piccioni si arruffavano

per un'invisibile briciola.

- Non avevo un mestiere ma l'ape sì, non

questo un altro. Così vent'anni fa cominciai a

dire in giro che facevo sgomberi.

- Riguardati, - mi diceva mamma - attento alla

schiena che sei un scricciolo. Fa puliid -

- Lei il bolognese lo capisce, vero Dottore?

Si raccomandava che facessi attenzione, che

con quelle robe pesanti è facile farsi male.

Ma io ero robusto o forse nostro Signore mi ha

dato una mano perché in tanti anni mai neppure

un graffio. Così con il mio ape ho svuotato le

cantine di mezza Bologna. Me la sono sempre

cavata. Non passò molto che i signori

antiquari, quelli del Centro, cominciarono a

venirmi a cercare, corteggiandomi. - - Ora che

ho di più di quel che mi serve sono rimasto

solo... ancora del caffè? Mamma se n'è andata

tre anni fa , fratelli non ne ho, figli

neppure. Del resto chi se lo sarebbe mai preso

uno sfigato come me? - e sorrideva , ma gli

occhi mica tanto.

Page 132: Alberto Angelici - Racconti

Quella sera tornai a casa meditando sui casi

della vita, pensando a quell'ometto e cercando

di ricordare una sua frase, qualcosa che aveva

detto e su cui avevo tentato inutilmente di

ottenere spiegazioni. Ivo invece aveva

tagliato corto.

Avevo avuto l'impressione che fosse

imbarazzato, che si vergognasse. Qualcosa che

riguardava delle suore... ecco, sì, delle

suore! Un convento o un istituto condotto da

religiose, dove lui era stato più volte, il

perché non lo so. Mi pareva che avesse parlato

del Meloncello.Curioso mi ripromisi di fare un

tentativo alla prima occasione.

Lo trovai, infatti, e proprio dove pensavo. Un

piccolo istituto, una casa dove alcune suore

ospitavano delle persone affette da gravi

malformazioni, fisiche o psichiche.

- Certo che conosciamo Ivo - ammise l'anziana

Superiora stringendo forte le mani, con un

sorriso che presto si appannò di

preoccupazione - perché, gli è successo

qualcosa? No, vero? Una persona tanto a modo,

così generosa e disponibile! Lo conobbi in

ospedale, quando ricoverò la madre, tre ,

forse quattro anni fa. Era molto malata e anni

di trascuratezze avevano aggravato il quadro

clinico. Rimase lì circa un mese e in quel

frangente ebbi modo di parlare a lungo sia con

Page 133: Alberto Angelici - Racconti

lei che con il figlio. Persone cui la vita

aveva dato poco di cui rallegrarsi e molto di

cui dolersi, ma che tuttavia non serbavano

rancore.

Capisce cosa intendo, vero? -

- In seguito quel buon giovane, così schivo e

ritirato, venne a trovarci portando tante cose

che erano della povera mamma. -

La Superiora mi raccontò così delle molte

gentilezze ricevute, di quanto quel giovanotto

fosse paziente e disponibile anche con le

povere creature ospiti della Casa, come lei la

chiamava.

- E le assicuro che con loro, di pazienza ce

ne vuole tanta!

Quando però mi resi conto che mi credeva un

poliziotto o qualcosa del genere, imbarazzato

bofonchiai un saluto e sgombrai velocemente.

Fuori, per strada, rimuginavo. Mi sentivo

confuso e i pensieri si accavallavano

tumultuosi, così aggrovigliati da non riuscire

a dar loro un ordine, una collocazione.

L'indomani dovetti allontanarmi dalla città

per lavoro e pensai che fosse un bene. Mi

sarei distratto e tutto si sarebbe sistemato.

Al mio ritorno invece bastò la vista del

familiare bigliettino su una colonna della

stazione per risvegliare in me l'immagine di

Page 134: Alberto Angelici - Racconti

Ivo, solo in quella grande casa piena di

mobili e cianfrusaglie.

Venti minuti di buon passo ed ero sotto casa

sua. A quell'ora della sera la strada aveva

perso l'aria pittoresca che tanto colpiva i

turisti durante il giorno. Ora, buia e sporca

faceva tristezza e un pò paura. Mi strinsi nel

cappotto mentre allontanavo un cagnetto che

con aria speranzosa aveva preso ad annusarmi

il pantalone.

- Ecco - pensai nervoso - adesso ci vorrebbe

solo che 'sto qua mi pisciasse addosso! -

Non sapevo che pesci pigliare. Era tardi,

quasi le undici, e io non conoscevo abbastanza

le abitudini di quell'uomo. Per esserci in

casa c'era di sicuro, perché l'ape stava lì,

in un cantuccio del cortile e Ivo non andava

mai in giro senza, ma... se fosse stato già a

dormire, che figura ci avrei fatto?

Dopo un attimo di indecisione e anche per

cavarmi di dosso quell'animale appiccicoso

come una cicles, imboccai le scale al buio.

Del resto non sapevo neppure dove fosse

l'interruttore eppoi erano solo tre rampe.

Trovai la porta a tentoni e cercai,

smanazzando sul muro, di ritrovare il vecchio

campanello.

Page 135: Alberto Angelici - Racconti

Evidentemente toccai la porta, perché sentii

uno scricchiolio e una lama di luce tagliò il

buio che mi circondava.

- Come in un film di Dario Argento - pensai -

e spinsi il battente, dandomi mentalmente del

coglione.

Meglio così - mi dicevo - se c'è la luce

accesa, significa che Ivo è ancora alzato.

- Hei, di casa, c'è nessuno? Ivo... sono

io...disturbo? - e intanto avanzavo esitante

per il corridoio, certo che da un momento

all'altro mi sarei trovato di fronte il

padrone di casa in mutande o peggio. Del resto

uno in casa propria ha diritto di stare come

gli pare, no? Ecco lì il canterano e gli

ombrelli ...

l'attaccapanni nero coi riccioli di ferro...

- Hei, Bini, posso entrare? ... Guardi che lei

ha lasciato tutto aperto! -

Varcai la porta del soggiorno. Anche lì luci

accese, per quel che potevano fare poche

lampadine da 40 watts coperte di ragnatele.

- Nel cesso, ecco dov'è, è logico, e da lì non

ha potuto sentire i miei richiami. Magari

adesso esce con le brache in mano ed io... -

Ecco lì la madia e la grande sagrestia ...Ehi,

no, un momento, la sagrestia non c'era più!

Avanzai nel camerone per vedere meglio,

incuriosito. No che c'era la sagrestia, solo

Page 136: Alberto Angelici - Racconti

che era rovesciata a terra e dal corridoio

rimaneva nascosta da qualcos'altro. C'era e

dal di sotto spuntava un paio di piccoli piedi

scalzi. Un po' più in là una cassettina di

legno con arnesi d'ogni genere. Davanti, una

manciata di viti e chiodi di varie misure

sparpagliati a terra.

Rimasi come congelato, lì nel mezzo del

soggiorno, un braccio alzato in avanti e, di

sicuro, la bocca spalancata.

- Ma no, noo, non è possibile...- Fissavo quei

piedi e quei calzini. Uno era rammendato, il

sinistro.

Assurdamente pensai che era stata una

sciocchezza andare intorno al mobile senza le

scarpe nei piedi, così scalzo, e con tutti

quei chiodi in giro. Poi volsi lo sguardo e

vidi il telefono.

Arrivarono in pochi minuti, anche perché il

Comando della Legione Carabinieri era lì a due

passi. Prima due pattuglie, poi una ambulanza

con le sirene spiegate che svegliarono tutto

il quartiere. Per ultimi, chissà a che

servivano, quattro vigili del fuoco nei loro

giacconi arancione.

Io mi aggiravo per le stanze. Mi pareva di

galleggiare, di non toccar terra coi piedi.

Come Dio volle arrivò anche il magistrato, un

tale in jeans e piumone. Ma non dovrebbe

Page 137: Alberto Angelici - Racconti

portare la cravatta, un magistrato? Fu

autorizzata la rimozione del corpo.

La pesante credenza l'avevano già alzata con

l'aiuto dei pompieri( che li avessero chiamati

per quello?), ma io non me l'ero sentita di

guardarci sotto.

Ora facevano foto a tutt'andare e i lampi dei

flash baluginavano tra comodini e canterani.

Pareva ci fosse un temporale. Erano in tanti

ad affacendarsi attorno a quei poveri piedini

rammendati e a me parve così grottesco che

temetti di scoppiare a ridere.

- è stato lei a scoprire il corpo ? -

Mi girai perché quella voce si rivolgeva a me.

Apparteneva - vidi - ad un ossuto spilungone

con i gradi di maresciallo. Le mani,

lunghissime e rosee, spuntavano con tutto il

polso dalla manica della giacca bordata di

rosso che sembrava appartenere a qualcun altro.

Dalla parlata doveva essere veneto. È curioso

come in certi momenti si notino i particolari

più assurdi e inutili.

Con una certa rapidità raccolse la mia

dichiarazione. Come mai mi trovavo lì...

se avevo mosso qualcosa, ecc., ecc.

Era quasi l'una quando potei imboccare il

corridoio per andarmene. Certo che era ben

insensato e paradossale che uno morisse

schiacciato da un armadio dopo aver trascorso

Page 138: Alberto Angelici - Racconti

una vita intera a caricarli e scaricarli!

Assurdo e strano, molto strano e

all'improvviso capii cos'era cambiato in fondo

al corridoio. Tornai indietro di corsa,

affannato.

- Maresciallo, Maresciallo! Avete spostato voi

la cassapanca che stava laggiù? - No, non ne

sapevano nulla, loro, di una cassapanca, e,

vagamente infastiditi data l'ora,

riabbassarono la testa sui moduli.

Me ne andai. Ma la cassapanca l'ultima volta

stava là e ora non c'era più.La cassapanca

piena di carte, quella che Ivo non aveva avuto

il tempo di aprire, quella del vecchio che era

stato un fascista importante, sessant'anni

prima. E se anche le carte fossero state

importanti, MOLTO importanti per qualcuno?

Certo, poteva anch'essere che Ivo l'avesse

spostata altrove o che l'avesse venduta... ma

le carte, tutte quelle carte che ci dovevano

essere dentro? Eppoi, mettersi a lavorare

intorno a un mobile senza le scarpe, lui che

di mobili ne sapeva ...

Ne parlai col maresciallo e anche con altri,

finché mi feci la nomea del rompicoglioni.

- E il fatto che fosse scalzo, non è sospetto?

- insistevo io-

- Naturale che è sospetto, infatti sospettiamo

che fosse ubriaco fradicio! Su su, vada a casa,

Page 139: Alberto Angelici - Racconti

Dottore! Vada a casa e ci lasci fare il nostro

lavoro - E la cassapanca? Dov'era finita la

cassapanca? - Ma come facciamo a sapere dove

ha messo quella benedetta cassapanca!? Guardi

che abbiamo controllato e non c'è da nessuna

parte, quindi vuol dire che l'ha venduta.

Niente di strano, e quello lì mica si faceva

fare la ricevuta fiscale! Macché sparizioni,

macché misteri, è tutto chiarissimo, invece!

Quel fesso lì se lo è tirato addosso,

l'armadio, altro che mistero! Pure del vino

rosso gli hanno trovato nello stomaco,

quindi... e non ci parli ancora della porta,

che era aperta. La Scientifica ha controllato

e ha stabilito che la serratura non è stata

forzata e che è logora e in pessime condizioni.

Probabilmente il Bini quella sera ha creduto

di chiudere e in realtà lo scrocco non scattò

-

Così liquidarono tutta la faccenda, senza

indagini, senza niente perché Ivo Bini non era

nessuno, solo uno sgombracantine, uno che

probabilmente viveva di espedienti, ebbero il

coraggio di dire. Ma io sapevo che non era

così e quella cosa sugli espedienti fu ciò che

mi ferì di più. Aveva fatto per tutta la vita

lo sgombracantine, vero! Ma in modo pulito e

non vivendo di espedienti. Come una ballerina

dev'essere per forza una poco di buono, così

Page 140: Alberto Angelici - Racconti

uno sgombracantine doveva per forza esser

stato un mezzo delinquente, uno sulla cui

morte non valeva la pena di perder tempo.

E questo è tutto.

Per ora.

Page 141: Alberto Angelici - Racconti

Ivo lo sgombracantine - parte II **************

Angolo galleria del Toro e via Testoni.

Risalendo via Ugo Bassi mi ero fermato da

Altero per una pizza e una coca.

- Continuando così - mi dicevo - ti farai

venire l'ulcera -. Stavo sull'incrocio da una

decina di minuti. L'acquerugiola mi scendeva

sul collo e raffreddava la pizza appena

sbocconcellata. Distratto coglievo gli sguardi

perplessi dei passanti che mi vedevano lì a

prendere la pioggia al limitar del portico. La

mia attenzione era tutta su un quadratino di

carta poco più grande di una mano.

- BINI IVO SGOMBRACANTINE - si leggeva sulla

prima colonna - e una mano incerta vi aveva

scarabocchiato di traverso un perentorio

"ROBERTO TI AMO DA MORIRE!". E sotto un

anonimo moralista : "TROIONA!". Quelle

locandine mi perseguitavano. Ne trovavo

ovunque, su ogni muro e alle fermate del bus.

Avevo a volte la sensazione che palpitassero

di una sorta di luminescenza, come per

assicurarsi che non li avrei mancati.

Erano trascorsi tre mesi dalla sera del

funerale. Pioveva, allora come ora.

Poche persone strette nei cappotti, nascoste

sotto ombrelli lucidi come catrame.

Page 142: Alberto Angelici - Racconti

Facce del Pratello, visi tirati, a disagio o

distratti, sguardi tra il perso e l'etilico,

l'espressione di circostanza di un paio di

donne anziane curiose della sofferenza altrui.

Da ultimo, un vecchio curvo sul suo bastone,

la faccia invasa da una grande voglia, rossa

come lambrusco. Fra tutti un incongruo

impermeabile giallo canarino con su scritto a

caratteri cubitali "LINES... E VOLI LIBERA

COME UNA PIUMA!". Già, libero... libero di far

cosa? Libero di morire sotto una credenza di

noce... e ora? Dove sarà ora? Chissà se

attacca patacchini anche là dove si trova.

Pensieri aggrovigliati come serpentelli,

elucubrazioni che non mi davano pace,

masturbazioni mentali che mi trovavano la

mattina stremato e scontento, ma di che cosa?

Morte per cause accidentali - si erano

affrettati a dichiarare gli inquirenti e a

quanto pareva andava bene a tutti. Magari era

pure vero.

Ma io continuavo a ripensare alle parole di

Ivo e alla cassapanca scomparsa.

Anche a casa cominciavano a guardarmi strano.

Coglievo i loro sguardi ansiosi.

Parevano chiedersi "Ma sta bene? Che gli

succede?". Sentivano la mia inquietudine,

intuivano che mi portavo dietro qualcosa di

greve. Qualcosa che non volevo o non sapevo

Page 143: Alberto Angelici - Racconti

condividere e questo li rattristava e li

indispettiva .

Mi dicevo che le mie erano assurde fantasie

alla Steven King, che Ivo era morto da fesso,

magari con un litro di Lambrusco in corpo. Ma

qualcosa in me non si lasciava convincere e

scavava, scavava come il rodi-legno nel tenero

tronco di un pioppo.

Mi conoscevo, sapevo che non sarei mai

riuscito a buttarmi quella faccenda dietro le

spalle se non avessi almeno tentato qualcosa...

ma cosa? Non ero mica l'ispettore Sarti di

Loriano Macchiavelli e neppure Sherlock Holmes.

Da che parte cominciare? - mi chiedevo - e il

gesto di stizza che seguì per un pelo non

scaraventò a terra la vecchietta in nero che

mi stava passando accanto.

Basta! Così non potevo andare avanti!

A casa, quella sera, cercai di apparire a

tutti più calmo, normale insomma.

Appena possibile filai in studio. Avrei

ripreso fuori tutti gli appunti di quei giorni.

Le idee, le impressioni le avevo buttate sulla

carta, fermate su foglietti.

Appunti d'ogni genere, frasi mutile, frammenti

di una tragedia che a me solo dicevano

qualcosa, appigli per la mia memoria,

altrimenti così labile.

Page 144: Alberto Angelici - Racconti

Era tutto lì nell'ultimo cassetto della mia

scrivania a serrandina, rollè dicono i colti.

Ecco... allora... vediamo... qua mi ero

scritto qualcosa riguardo gli ambienti che

frequentava. Un paio di bar, le osterie del

Pratello, anche Lamma, ma quella aveva chiuso

anni fa. Poi Stufilein, che dopo quella sera

non riusciva più a fischiettare.

Già, Stufilein... Allora glielo avevo

domandato della cassapanca ma pareva in trance.

Sembrava non rammentare più nulla in proposito.

Ma chissà, magari ora...

Amici veri e propri non ne aveva. Solo il

lavoro e la madre da accudire, poi le suore.

LE SUORE!

Qual è il bus che va al Meloncello?

Il modesto ingresso dell'istituto sapeva di

pulito. Tutto era come l'altra volta. Da

dietro la porta chiusa filtrava il ticchettio

di una macchina da scrivere vecchia maniera.

La battuta era esitante. Spesso si bloccava e

tornava indietro. Al di sopra del semplice

divanetto una vecchia carta geografica, di

quelle che un tempo ornavano le pareti di ogni

aula scolastica. CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA,

diceva la didascalia. Un millennio prima che

andassero di moda certi imperscrutabili

Page 145: Alberto Angelici - Racconti

acronimi. Carisbo, Rolo, Cariplo,

Biessegiessepi...

E un'ipotetica Cassa Udinese Liberi

Imprenditori cosa sarebbe diventata?

Cessò il ticchettio e comparve la Superiora.

Solo un paio di occhiali cerchiati di metallo

si erano aggiunti all'espressione composta e

tranquilla che ricordavo. Rosse e robuste mani

unite in una muta preghiera, il capo un poco

flesso da un lato. Occhi limpidi e buoni, del

tenero azzurro di certi bassorilievi del Della

Robbia.

Un attimo di esitazione quindi un luminoso

sorriso di riconoscimento.

- Buongiorno e perdoni l'attesa ma sa com'è...

neppure qui siamo esenti da burocrazia e io

sono proprio una dattilografa da poco! - D'un

tratto si fece seria. - Lei mi venne a

chiedere di Bini, vero? La prego,

accomodiamoci di là - Il piccolo refettorio

pareva l'anticamera asettica di una sala

operatoria.

Tutto luccicava e i lunghi tavoli di formica

verdina parevano nuovi di fabbrica.

In un angolo una madonna di gesso ci osservava

muta.

Accanto alla mano che si levava dal mantello

azzurro cielo un distratto aveva dimenticato

una scopa, così ora sembrava la Ma...donna

Page 146: Alberto Angelici - Racconti

delle pulizie! - Che le posso dire di Ivo che

non le abbia già detto l'altra volta? - le

mani ora giocherellavano con la croce di legno

appesa al collo - ci aiutava e contribuiva con

tanta generosità al nostro povero bilancio.

Non passava giorno che non sentissimo il

rumore di quel vecchio triciclo a motore ...

ape lo chiamano, vero? Beh, insomma, ci

portava tante cose che pensava potessero

esserci utili. Ma non mi fraintenda. Utili lo

erano sempre!

- Se non vi servono - ripeteva spesso - potete

sempre venderle al Mercatino e farci qualche

soldo - Il Mercatino, sa, quello che

organizziamo per arrotondare i nostri magri

bilanci. Due volte all'anno mettiamo in

vendita ciò che non riusciamo a utilizzare.

Così ci portava di tutto ... povero figliolo.

Ci man...-

- Anche una cassapanca ? - la interruppi

d'impulso.

Suor Casimira si scosse dai ricordi,

guardandomi sconcertata.

- Cassapanca ... quale cassapanca? -

- Voglio dire ... per caso vi portò anche una

cassapanca di noce scuro? Intendo negli ultimi

giorni prima dell'incidente. -

- Nn..no, no! Nessuna cassapanca, no. Anzi,

quando venimmo a sapere della disgrazia era

Page 147: Alberto Angelici - Racconti

già un po' che non lo vedevamo. Tanto che Suor

Cristina manifestò il desiderio di informarsi

se non fosse indisposto. Lei capisce, una

persona così sola ... Ma perché mi chiedeva di

una cassapanca? -

- No, niente di importante è solo che... la

prego, mi scusi se le faccio perdere tanto

tempo. Un'ultima domanda. Come avete saputo

ciò che era capitato? -

- Ma da Manaresi, naturalmente! E da chi

sennò?! Venne lui, apposta, il giorno

successivo. -

- Manaresi? -

- Ma sì, quello che tutti chiamano con un

buffo soprannome! La persona che a volte lo

aiutava nel suo lavoro. - Mi guardava incerta.

- Stufilein, per caso? -

- Ecco sì, proprio lui! È che io ancora col

bolognese non ho molta confidenza, anche se ho

lasciato la mia Bolzano trentacinque anni fa.

Certo, fu lui che ci informò. Avesse visto che

faccia aveva! Terreo come uno strofinaccio e

tremava tutto, così che lo facemmo sedere e io

stessa gli portai un bicchierino di cordiale.

Tutto d'un fiato lo mandò giù. Me lo ricordo

bene -.

Mi toccò di fare tutto il Pratello prima di

riuscire a rintracciarlo. Era appena

mezzogiorno e nelle poche osterie aperte di

Page 148: Alberto Angelici - Racconti

lui non c'era traccia. Poi qualcuno mi disse

che Manaresi abitava accanto alla chiesa della

Grada, lì vicino.

Trovai la casa in fondo a un angusto cortile

ingombro di casse da imballaggio.

Nell'androne, stretto e buio, un fortissimo

odore di cavolo bollito mi aggredì alla gola e

al naso come qualcosa di solido. È strano,

pensai, che solo le povere case puzzino sempre

di cavolo. I casi sono due: o i ricchi non

mangiano mai certe verdure oppure i loro

cavoli puzzano di meno. Comunque, cavoli loro.

Appunto. Scale scomode e ripide fatte in

economia forse cinque secoli fa.

Appena l'indispensabile per salire e scendere.

Macchie di umidità sull'intonaco e scritte

oscene sovrapposte in strati successivi. Dal

tappetino di una soglia un gattino nero mi

fissava silenzioso e composto come una

chioccia in cova. In alto, forse tre piani più

su, sentii sbattere una porta. Passi

strascicati che scendevano cauti, i passi di

un vecchio. Il rumore secco di qualcosa che

aveva urtato il ferro della ringhiera. Salendo

alzai lo sguardo e appena sopra di me

intravidi i lembi di un cappotto scuro tra i

ritti neri del corrimano. Un bastone, anche,

col puntale di gomma.

Page 149: Alberto Angelici - Racconti

Pochi gradini ancora e mi strinsi al muro per

farlo passare. Era abbastanza corpulento e si

girò di taglio anche lui ma dall'altra parte.

Per un attimo scorsi un viso largo, il rosso -

violaceo di un'ampia voglia e subito dopo una

chierica bianca. Il portone cigolò e fui solo.

Che strano, dov'è che avevo visto una voglia

uguale a quella?

Stufilein stava all'ultimo piano, mi avevano

detto. "Manaresi Luigi", diceva il semplice

cartoncino tenuto su con due puntine da

disegno.

Il rauco gemito del campanello echeggiò per

tutto l'androne, sgradevole. Niente.

Ritentai e questa volta si aprì una fessura

nel battente. Comparve una massa di ispidi

capelli bianchi. Un occhio mi guardava

interrogativo, un po' acquoso e madreperlaceo

per una evidente cataratta.

- Sììì? -

- Stufilein, vero? Mi perdoni Manaresi se la

disturbo qui a casa sua... Si ricorda? Ci

siamo conosciuti una volta che lei era con Ivo,

sotto un portico di Strada Maggiore. Passavo

di lì e voi stavate caricando sull'ape un

enorme armadio. Si rammenta, ora? -

- Ohh, certo, certo, come va dottore? -

- Permette che entri un attimo ... posso? -

Page 150: Alberto Angelici - Racconti

- Ohh, certo, entri, si accomodi, venga ben di

là che c'è la stufa -.

Mi precedette, dandomi modo di osservarlo con

più comodo. I movimenti lenti ma ancora sicuri

e il viso cotto dal sole e coperto da una

fitta ragnatela di rughe ne dichiaravano

l'origine contadina o forse montanara e davano

al personaggio un'aria senza tempo. Un totem

indiano in abiti civili mi pareva e lo avrei

visto meglio paludato di daino e pelliccia

piuttosto che negli sformati pantaloni marroni

dalle cui tasche stava estraendo un mezzo

toscano. Dai vecchi infissi filtravano i

rumori del traffico della circonvallazione. Un

traffico che non dava pausa, neppure la notte

quando, anzi, a quello delle auto se ne

aggiungeva un altro, sui marciapiedi.

- Spero non le dia fastidio il toscano,

dottore. Una vecchia abitudine che mia moglie

sopporta a fatica ma, cosa vuole, di vizi non

m'è rimasto che questo! Ne approfitto perché è

a servizio e non può brontolarmi dietro -.

Parlava, nervosamente mi pareva, e andava

avanti e indietro per la stretta cucina senza

mai fermarsi.

Sembrava che cercasse sempre nuovi pretesti

per non stare fermo, per evitare il mio

sguardo. Una toccatina al fuoco nella stufa,

un'occhiata al traffico, e poi di qua, poi di

Page 151: Alberto Angelici - Racconti

là spostando ora un oggetto ora l'altro,

girandomi quasi sempre le spalle. Io lo

guardavo agitarsi così e mi chiedevo quale

potesse essere l'approccio migliore. Lo

conoscevo poco. Poteva anche darsi che quello

fosse il suo abituale modo di essere. Magari

era timido.

- L'ha trovato lei, eh? - borbottò, girandosi

all'improvviso verso di me, il viso avvolto in

un penetrante sbuffo di toscano - e, afferrata

una sedia, mi si sistemò proprio di fronte.

Pareva essersi calmato, come se fosse

finalmente arrivato a una difficile decisione

ma in quegli occhi che fissavano i miei vedevo

dolore e preoccupazione e che altro ancora?

- Me lo hanno detto. Eppoi ricordo di averlo

anche letto sul Carlino che è stato lei a

chiamare la Celere (che per la gente di una

certa età sarebbe come dire la polizia). L'ho

vista anche al funerale...- Ma certo,

sussultai, il funerale! Ecco dove avevo visto

il vecchio con la voglia di vino e il bastone.

Era l'ultimo della fila al funerale di Bini.

Che bestia! Come avevo fatto a dimenticarlo,

che razza di memoria! Stufilein, che non aveva

taciuto un attimo, vedendo la mia espressione

si fermò interdetto.

Page 152: Alberto Angelici - Racconti

- Cosa c'è dottore, ho detto qualcosa di male?

-

- No, no, mi è venuta in mente una cosa ... ma

vada, vada avanti, cosa diceva? -

- Oh, certo, certo. Dicevo che mi ero

meravigliato di vederla lì quel giorno.

Lei non era certo suo amico. Scusi sa, non

volevo mica mancarle di rispetto, ci

mancherebbe, ma così, volevo dire ... - E alzò

le spalle ancora forti e muscolose in un gesto

che voleva dir tutto e niente, sconforto e

dubbio, fatalismo e rabbia impotente. Con un

gesto analogo risposi io. Ci guardammo ancora

e ancora e con gli sguardi riuscimmo a dirci

ciò che non sapevamo tradurre in parole.

- Quella sera andai a casa sua perché pensavo

a quanto dovesse sentirsi solo fra tutti quei

mobili, così, per far due chiacchiere. E al

funerale ci andai anche se in effetti lo

conoscevo poco. Continuavo a pensare che non

poteva essere successo. Davvero. Morire a quel

modo... quei piedi che spuntavano da sotto la

credenza, così piccoli e assurdi. Non mi davo

pace e neppure ora me ne do, se è per questo.

Eppoi la scomparsa della cassapanca e

l'accenno di Ivo al contenuto... - In un gesto

di rabbia ghermii il toscano che giaceva sul

bordo di un piatto e umido com'era della sua

Page 153: Alberto Angelici - Racconti

saliva, tirai con forza, riempiendomi i

polmoni di fumo denso come panna montata e nel

fumo lo guardai.

Era pallido come un morto.

- Ma allora lei crede... -

- No! Io non credo niente! So solo che fin

dall'inizio mi è parso che ci fossero delle

discrepanze. Bini non si ubriacava mai, me lo

han confermato anche nelle osterie. Sì, è vero

che beveva qualche bicchiere ma non tanto da

andar giù di testa. Poi la cosa di lavorare

scalzo e la porta aperta e la cassapanca

sparita: non esiste! Vede, signor Manaresi, la

polizia, gli Investigatori come pomposamente

si definiscono, hanno fatto tutto in fretta e

furia, accontentandosi di ciò che appariva,

senza approfondire. Non hanno cercato di

ricostruire gli ultimo giorni di Ivo, né di

capire davvero con chi avevano a che fare.

Come un mezzo delinquente lo hanno trattato! -

Nella foga della mia dialettica mi sbracciavo

e percorrevo la cucina a lunghi passi,

costringendo Stufilein a torcere il collo come

a una partita di tennis.

D'un tratto mi bloccai davanti a lui.

- Quel vecchio, quello con la voglia di vino

che ho incrociato per le scale...

chi è? Che ruolo ha in questa faccenda? Sarà

meglio che lei mi dica tutto! Del resto non

Page 154: Alberto Angelici - Racconti

può essere una coincidenza che si trovasse al

funerale di Bini e ora qui in casa sua.

A dir il vero avevo bleffato un poco,

mostrandomi così sicuro. Avrebbe potuto

addurre più di un buon motivo per giustificare

la presenza del vecchio in casa sua. Invece si

afflosciò su una sedia e mi raccontò ogni cosa.

L'uomo con la voglia era stato l'attendente

del vecchio gerarca e ancora oggi sbrigava

piccoli lavoretti per la famiglia ricevendone

in cambio un modesto sussidio ed un alloggio.

- Lui sapeva che io lavoravo con Ivo, capisce?

e un paio di settimane dopo lo svuotamento

della loro cantina, nella grande villa sui

colli, mi venne a cercare. - Il fatto è - mi

spiegò - che qualcuno si era reso conto che

nel mucchio era finita anche la cassapanca e

si era ricordato che doveva contenere non so

quante carte e fotografie del loro congiunto.

Roba compromettente, non so. Vede, dottore, il

fatto è che il nipote, un tipo ambiguo e

introverso, ha recentemente intrapreso la

strada della politica, e non certo sul

medesimo versante del nonno! Di sicuro non

avrebbe mica gradito di essere messo in

relazione con fatti e persone di quel lontano

regime, capisce?

A quanto mi disse, avevano tentato di

riprendersi indietro la cassapanca ma Ivo, lei

Page 155: Alberto Angelici - Racconti

lo sa come la pensava in proposito, si era

dimostrato irremovibile.

Pare anzi che fosse andato in bestia, dicendo

che i termini dell'accordo stavano ben scritti

sui suoi patacchini e che lui si ripagava con

ciò che trovava sul posto e che bastava che

togliessero prima del suo arrivo ciò che

preferivano tenere! Questo aveva detto e

ripetuto infinite volte a Lucchini (sappiamo

quanto capoccione potesse essere Ivo se gli

prendevano i cinque minuti!) rifiutando

perfino di trattare sul prezzo. Così venne da

me una prima volta perché voleva che

convincessi Bini a cambiare atteggiamento.

Pensi che arrivò a offrire tre milioni senza

cavarne un ragno dal buco. Poi un giorno venne

a cercarmi al Cantinone, l'osteria del

Pratello. Io stavo facendomi il solito mezzo

toscano innaffiato con un bicchiere di

Sangiovese: sa, così ci guadagnano tutt'e

due...

ma questo non c'entra. Si sedette al mio

tavolo e mi offrì dei soldi perché mi

occupassi di quella maledetta cassapanca. Come

- tirò via - per i suoi padroni non aveva

alcuna importanza. Non mi lasciava in pace! Mi

creda, dottore, non sapevo più come cavarmelo

di dosso, azzidant a cla penca e azzidant a

lo', n-noo non a lei... a quello là!! -.

Page 156: Alberto Angelici - Racconti

Tirava su col naso intanto, mentre la grande

mano mandava di continuo indietro i capelli

ancora folti. Notai che aveva unghie ben

squadrate e in ordine.

- Lo mandai a quel paese, ma lui tornò il

giorno dopo e così... così dissi c-che che

avrei fatto del mio meglio - allargò le

braccia in un gesto d'impotenza che rivelò i

tre bottoni di un'antiquata maglia di lana.

Sbuffando si rificcò tra i denti il puzzolente

mozzicone e fissò torvo le auto di là dai

vetri appannati.

- E allora lei cosa fece? - lo incoraggiai,

ansioso.

- Io? Io non sapevo che pesci pigliare. Poi mi

venne un idea. Mi ricordai che spesso Ivo

teneva le chiavi di casa sotto al sedile

dell'ape e il giorno successivo approfittai di

una sua lunga sosta al bar per prenderle e

correre in ferramenta a farne una copia. Alla

fine della settimana Ivo - me lo aveva detto

al bar - sarebbe andato a vuotare un solaio in

Saragozza.

- Lavoro lungo e anche scomodo, ma non più di

tanto - aveva aggiunto - potendo adoperare

l'ascensore -.

- Decisi che lo avrei fatto allora. Aiutato

dal Lucchini e con un carretto che mi ero

fatto prestare, ce la cavammo in meno di un

Page 157: Alberto Angelici - Racconti

quarto d'ora e senza che ci vedesse nessuno.

Cerchi di capirmi, dottore! Non l'ho fatto per

i soldi! Sono ancora tutti di là, nascosti per

via di mia moglie. Quello non mi lasciava in

pace e pensai che Ivo di mobili ne aveva tanti

e che uno in più o uno in meno avrebbe fatto

poca differenza e così... -.

Mi raccontò tutto, mentre la stufa,

dimenticata, lenta si spegneva e il cielo

sfumava silenziosamente al nero.

Mi raccontò che avevano scaricato il mobile in

un garage della periferia e riportato il

carretto al proprietario e mi disse anche

quanto denaro aveva ricevuto. Particolari che

poco m'importavano, perché erano ben altre le

cose che volevo sapere.

- Bene! Adesso non ci rimane altro che andare

a trovare quel signore, il Lucchini. Lui è

l'unico che può dirci il resto. -

- Ci!?!- chiese sgomento Stufilein.

- Certo, "ci" perché viene anche lei. Non può

tirarsi indietro, oramai!

Un'ultima domanda ... e le chiavi? Che fine

hanno fatto le chiavi di Ivo? -

- PORCA...! Quelle non me le sono più

ritrovate. Le cercai, è vero, quando andammo a

rendere il carretto, ma senza trovarle.

Page 158: Alberto Angelici - Racconti

Lucchini disse che probabilmente le avevo

perse lungo la strada. Erano due sole e

piccole, così non ci pensai più -.

- Sa invece cosa penso io? Penso che le chiavi

se le sia messe di nascosto in tasca il suo

amico ... -

- NON È IL MIO AMICO !! -

- ... e penso anche, non m'interrompa, che sia

tornato ancora là, magari quella sera stessa,

poco prima che arrivassi io, per controllare

che non ci fossero in giro altre cose del suo

padrone, da schiavo fedele qual era.

Forse Ivo lo sorprese a frugare per casa e lui,

preso dal panico, ha inscenato l'incidente del

credenzone che crolla sul povero Bini. Sì sì,

più ci penso e più mi convinco che le cose

siano andate proprio così. Allora si spiega

come la serratura non mostrasse segni di

scasso ... VENGA! -.

Meno male che Manaresi conosceva l'indirizzo

dell'uomo con la voglia di vino.

Erano già quasi le otto di sera ed era

probabile che lo avremmo trovato in casa.

- Vive solo - aveva aggiunto il mio compagno

di avventure - vedovo da alcuni anni -.

- Meglio - borbottai cupo tra me e me - così

non ci disturberà nessuno -.

Page 159: Alberto Angelici - Racconti

I palazzoni, lunghi e tutti uguali sembravano

immagini in bianco e nero di vecchi

cinegiornali anni '60.

Neppure le piante, cresciute alte rigogliose,

riuscivano a nascondere la stanchezza dei

lastroni di calcestruzzo prefabbricato

costellati di crepe e macchie d'umidità. Il 48

era l'ultimo dell'interminabile edificio. A

quell'ora della sera la strada era deserta,

salvo una coppietta di teen-agers che in

silenzio si sbaciucchiavano su un vespino.

Ambedue paludati di nero come prescrive

l'attuale moda giovane (sponsorizzata da

qualche potente lobby di necrofori?!) ben

s'intonavano con le ombre e i colori

circostanti.

Le asfittiche scale in cemento grezzo e le

ringhiere di tubo metallico parevano la

versione high-tech delle poetiche casette del

centro storico, povere anch'esse, sì, ma

ricche di patina, storia e umanità.

Primo piano ... Voci di bambini, stracci di

discussioni familiari, l'eco di un alterco tra

donne, usci che sbattevano. Un televisore

intonava il motivetto del solito detersivo.

Niente odor di cavoli qui, ma quello nauseante

dell'urina di gatto. Fumo stantio anche.

Meglio il cavolo.

Page 160: Alberto Angelici - Racconti

Manaresi mi indicò una porta grigia sul fondo.

Suonai, o meglio schiacciai il pirolo del

campanello perché non si udì alcun suono.

Riprovai. Stesso risultato.

Ci guardammo in faccia. Forse era già uscito o

non era ancor rientrato...

- E se il campanello fosse rotto? - osservò

Stufilein.

Giusto, poi mi venne un'idea e gli feci cenno

di seguirmi. Tornai all'esterno. I due in nero

nel frattempo erano rientrati, forse

richiamati all'ordine dalle rispettive

famiglie o, più semplicemente, da un piatto di

pasta.

Camminai verso il fondo della casa facendo un

rapido calcolo dei passi, fino a trovarmi,

almeno così mi parve, sotto le finestre del

nostro uomo.

Vidi che una era illuminata e schermata da una

tendina a fiori.

Sì, doveva essere per forza la sua.

Due metri, forse qualcosa di più, mi

separavano dal davanzale.

- Aspetti qui! - e andai a recuperare l'auto

che avevamo lasciato in cima alla via. È un

fuoristrada, alto e dotato di portapacchi e

forse forse... - Infatti ci arrivava giusto un

pelo sotto.

Page 161: Alberto Angelici - Racconti

Veloce mi arrampicai sul tetto della macchina

e di lì potei comodamente sbirciare da un

angolo della finestra, il naso ficcato tra le

foglie secche di un geranio imbalsamato.

Sperando che non capitasse nessuno a curiosare.

Era la camera da letto. Intravedevo un angolo

del materasso, per il resto nascosto dalla

sporgenza di un grosso armadio. Se mi spostavo

un po'... ecco ora riuscivo a vedere di più...

un paio di gambe nude... ancora un metro.

L'uomo era immobile, gli occhi spalancati

verso il soffitto, la bocca semiaperta che

lasciava intravedere la lingua.

La voglia sul viso pareva ora ancor più scura,

di un color viola melanzana, quasi nera.

Addosso, soltanto mutande vecchio stile,

quelle col tessuto che s'incrocia davanti.

Rimasi lì, gelato da ciò che vedevo, incapace

di muovere anche un solo muscolo.

Impossibile che sia vivo - continuavo a

ripetermi - impossibile che uno dorma a occhi

spalancati e con quell'espressione. Pensai

anche, assurdamente, di battere contro il

vetro.

A scuotermi fu il Manaresi che da sotto badava

a chiamarmi e a tirare il bordo di un

pantalone, ansioso di sapere, di capire anche

lui.

Page 162: Alberto Angelici - Racconti

Chiamammo i carabinieri da una cabina che

pareva reduce dal Vietnam e ce la filammo

senza dare le generalità. Il brivido di una

notte tra poliziotti e pompieri mi era bastato

una volta. Il gioco oramai lo conoscevo.

Già me l'immaginavo quello che avrebbero

detto... infarto del miocardio o qualche altro

parolone da addetti ai lavori... la vecchiaia,

magari una mangiata eccessiva... qualche foto

e tanti saluti.

In compenso sarebbe piovuto un sacco di

domande imbarazzanti per noi, soprattutto per

Stufilein, che avrebbe dovuto raccontare del

furto della cassapanca.

Certo, una certa responsabilità pure lui ce

l'aveva ma giunti a questo punto a che sarebbe

servito?

Senza più uno straccio di prova e l'unico che

poteva raccontare come si erano davvero svolti

i fatti morto stecchito, eravamo nella m... e

Ivo con noi.

Certo, caro Ivo, morto sei e morto rimani ma

mi sarebbe piaciuto svergognare quelli che non

si erano neppure presi la briga di indagare

sulla ridicola scena della tua fine

"accidentale". Mi sarebbe piaciuto... oh se mi

sarebbe piaciuto, perché quei piccoli piedi

sotto la credenza e quei patetici calzini non

me li potrò scordare più.

Page 163: Alberto Angelici - Racconti

Mi sarebbe piaciuto, perché no? di portare in

tribunale chi ti aveva voluto morto ma questo

è ciò che avviene nei telefilm. La realtà è

tutta un'altra storia.

Unica consolazione per me, la morte del tuo

assassino. Mi piace ancora oggi pensare che

forse senza il mio intervento pure lui, l'uomo

dalla voglia di vino, se la sarebbe cavata.

Magra consolazione, certo, ma, come diciamo

noi a Bologna, piotost che gninta... l'è mej

piotost.

Page 164: Alberto Angelici - Racconti

INDICE

Con gli occhi a tre metri da terra

Vittoria e il ragioniere

Virginia Jo Mary

Viaggio in Istria

Pini, puffi e vecchie foto

Sole, aragoste e tappi da bottiglia

Giovanna, aragosta da corsa

Giuseppe Rimondi esce dal coma

Il bastardo di Yonge Street

Ivo lo sgombracantine - parte I

Ivo lo sgombracantine - parte II