AL POZZO DI SICAR «VENITE A VEDERE» - … · fora, andò in città e disse alla gente:...

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BIBBIA Eco dei Barnabiti 4/2013 2 C i siamo lasciati al culmine del dialogo tra Gesù e la Samari- tana. Di fronte all’affermazio- ne carica di speranza della donna So che deve venire il Messia, chia- mato Cristo: quando egli verrà, ci an- nuncerà ogni cosa», Gv 4,25), Gesù risponde con la dichiarazione messia- nica: «IO-SONO, colui che sta parlan- do con te» (Gv 4,26). È la rivelazione della sua identità, è Lui la risposta alla sete, al desiderio profondo della vita vera. E questa rivelazione non resta personale, un episodio “privato” nella vita della donna. L’annuncio non si ferma al luogo dell’incontro, ma – at- traverso la donna – arriva in città, rag- giunge tutti. È l’ultima tappa del no- stro cammino, quello che conduce dall’incontro alla testimonianza. lasciò la sua anfora « 27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che par- lasse con una donna. Nessuno tutta- via disse: “Che cosa cerchi?”, o: “Di che cosa parli con lei?”. 28 La donna intanto lasciò la sua an- fora, andò in città e disse alla gente: 29 ”Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”. 30 Uscirono dal- la città e andavano da lui». Il dialogo viene interrotto dall’arri- vo dei discepoli, che si meravigliano ma non osano dire nulla. È un silen- zio significativo. L’evangelista esplici- ta le loro domande inespresse riguar- do alle intenzioni (che cosa cerchi?) e al desiderio (“di cosa parli con lei?”) che hanno spinto Gesù a parla- re con una donna, e queste domande rivelano quanto essi siano ancora lontani dall’aver compreso la missio- ne del Maestro. La donna, invece, lascia l’anfora e corre a Sicar. Perché l’abbandona? Era venuta appositamente per attin- gere l’acqua! È indubbiamente sotteso a questo particolare il ricordo dei racconti dell’Antico Testamento in cui Re- becca (Gn 24,28), Rachele (Gn 29,12b) o le figlie di Reuèl (Es 2,18) corrono dai genitori ad annunciare l’incontro con un uomo presso il pozzo, uomo che sarà poi loro mari- to. E in questa allusione prosegue l’immagine sponsale che attraversa l’intero episodio. Ma c’è di più. Lei, che era venuta al pozzo per attinge- re acqua, abbandona il suo “stru- mento”, ciò che aveva rappresentato la sua vita fino a quel momento. Non ha più bisogno di quell’acqua, dell’acqua del pozzo. Come i disce- poli hanno lasciato la barca e le reti per seguire Gesù, così lei lascia la sua anfora. La Samaritana è stata trasformata da questo incontro. Non può tacerlo, tenerlo per sé. Deve comunicarlo. «Questa donna era ve- nuta per attingere acqua, la brocca era la sua ricchezza, ad essa era le- gata la sua vita quotidiana: eppure in questo momento tutto è dimenti- cato e la brocca slabbrata, abbando- nata sul ciglio del pozzo, è come il segno di una esistenza da cui la donna è ormai uscita, è il segno di un incubo che ha lasciato dietro di sé. A somiglianza dei due discepoli di Emmaus, che interrompono la ce- na a metà, si alzano e corrono verso Gerusalemme, la Samaritana rifà la strada, corre in città e va ad annun- AL POZZO DI SICAR «VENITE A VEDERE...» L’incontro tra Gesù e la donna di Samaria ci parla del desiderio di Dio di incontrare l’uomo ma anche delle conseguenze di questo incontro. È un incontro che non ci lascia immutati, ma ci trasforma. Quest’intervento del biblista p. Giuseppe Dell’Orto conclude il percorso che, in quattro tappe, ha portato i lettori dell’Eco a riflettere su aspetti fondamentali per comprendere a fondo la dimensione biblica di quest’Anno della Fede che volge, ormai, alla sua conclusione. Venite, videte hominem, Venezia, Basilica di San Marco

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BIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/20132

Ci siamo lasciati al culmine deldialogo tra Gesù e la Samari-tana. Di fronte all’affermazio-

ne carica di speranza della donna(«So che deve venire il Messia, chia-mato Cristo: quando egli verrà, ci an-nuncerà ogni cosa», Gv 4,25), Gesùrisponde con la dichiarazione messia-nica: «IO-SONO, colui che sta parlan-do con te» (Gv 4,26). È la rivelazionedella sua identità, è Lui la risposta allasete, al desiderio profondo della vitavera. E questa rivelazione non restapersonale, un episodio “privato” nellavita della donna. L’annuncio non siferma al luogo dell’incontro, ma – at-traverso la donna – arriva in città, rag-giunge tutti. È l’ultima tappa del no-stro cammino, quello che conducedall’incontro alla testimonianza.

lasciò la sua anfora

«27In quel momento giunsero i suoidiscepoli e si meravigliavano che par-lasse con una donna. Nessuno tutta-via disse: “Che cosa cerchi?”, o: “Diche cosa parli con lei?”.28La donna intanto lasciò la sua an-

fora, andò in città e disse alla gente:29”Venite a vedere un uomo che miha detto tutto quello che ho fatto.Che sia lui il Cristo?”. 30Uscirono dal-la città e andavano da lui».Il dialogo viene interrotto dall’arri-

vo dei discepoli, che si meraviglianoma non osano dire nulla. È un silen-zio significativo. L’evangelista esplici-ta le loro domande inespresse riguar-do alle intenzioni (che cosa cerchi?)e al desiderio (“di cosa parli con

lei?”) che hanno spinto Gesù a parla-re con una donna, e queste domanderivelano quanto essi siano ancoralontani dall’aver compreso la missio-ne del Maestro.La donna, invece, lascia l’anfora e

corre a Sicar. Perché l’abbandona?Era venuta appositamente per attin-gere l’acqua!È indubbiamente sotteso a questo

particolare il ricordo dei raccontidell’Antico Testamento in cui Re-becca (Gn 24,28), Rachele (Gn29,12b) o le figlie di Reuèl (Es 2,18)corrono dai genitori ad annunciarel’incontro con un uomo presso ilpozzo, uomo che sarà poi loro mari-to. E in questa allusione proseguel’immagine sponsale che attraversal’intero episodio. Ma c’è di più. Lei,che era venuta al pozzo per attinge-re acqua, abbandona il suo “stru-mento”, ciò che aveva rappresentatola sua vita fino a quel momento.Non ha più bisogno di quell’acqua,dell’acqua del pozzo. Come i disce-poli hanno lasciato la barca e le retiper seguire Gesù, così lei lascia lasua anfora. La Samaritana è statatrasformata da questo incontro. Nonpuò tacerlo, tenerlo per sé. Devecomunicarlo. «Questa donna era ve-nuta per attingere acqua, la broccaera la sua ricchezza, ad essa era le-gata la sua vita quotidiana: eppurein questo momento tutto è dimenti-cato e la brocca slabbrata, abbando-nata sul ciglio del pozzo, è come ilsegno di una esistenza da cui ladonna è ormai uscita, è il segno diun incubo che ha lasciato dietro disé. A somiglianza dei due discepolidi Emmaus, che interrompono la ce-na a metà, si alzano e corrono versoGerusalemme, la Samaritana rifà lastrada, corre in città e va ad annun-

AL POZZO DI SICAR«VENITE A VEDERE...»

L’incontro tra Gesù e la donna di Samaria ci parla del desiderio di Dio di incontrare l’uomo maanche delle conseguenze di questo incontro. È un incontro che non ci lascia immutati, ma citrasforma. Quest’intervento del biblista p. Giuseppe Dell’Orto conclude il percorso che, inquattro tappe, ha portato i lettori dell’Eco a riflettere su aspetti fondamentali per comprenderea fondo la dimensione biblica di quest’Anno della Fede che volge, ormai, alla sua conclusione.

Venite, videte hominem, Venezia, Basilica di San Marco

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ciare quello che le è accaduto» (Car-lo Maria Martini)L’esperienza personale diventa ne-

cessità di annuncio e di testimonian-za: «Venite a vedere!». Così Gesùaveva parlato ai primi discepoli («Ve-nite e vedrete», 1,39), e così Filippoaveva detto a Natanaele («Vieni e ve-di», 1,46). È significativo anche ilmodo in cui la donna si rivolge aisuoi concittadini. Innanzi tutto usauna formula generica in riferimento aGesù (un uomo), molto personale,invece, in riferimento a se stessa (chemi ha detto tutto quello che ho fatto);inoltre non afferma, ma chiede, a sestessa e a loro: «Che sia lui il Cri-sto?». Non è solo un espediente perattirare interesse e curiosità; ella pre-senta una ipotesi, permettendo cosìai Samaritani di lasciarsi interpellareda essa e decidere di verificarla. È laveste della vera testimonianza, chenon fornisce risposte precostituite,ma suscita domande a cui ciascunoè chiamato a rispondere di persona.I Samaritani vanno dunque verso

Gesù (erchonto pros auton): questoandare verso è già – nel linguaggiogiovanneo – un inizio di fede (Gv3,20s; 5,40; 6,35.37).

una messe abbondante

«Intanto i discepoli lo pregavano:“Rabbì, mangia”» (Gv 4,31).Mentre la Samaritana corre in città

e chiama i suoi concittadini, si svol-ge un dialogo tra Gesù e i discepoli.Con un gioco di contrasti e frainten-dimenti tipico del procedimento nar-rativo di Giovanni, mentre il dialogocon la donna era nato dalla richiestadi Gesù di bere ora esso è innescatodall’invito a Gesù dei discepoli dimangiare; e come la donna non ave-va inizialmente compreso di qualeacqua egli parlasse così ora i disce-poli fraintendono la sua risposta rela-tiva al cibo, tanto che si domandano:«“Qualcuno gli ha forse portato damangiare?”» (Gv 4,33). Altra è la suafame, come altra è la sua sete.«34Gesù disse loro: “Il mio cibo è

fare la volontà di colui che mi hamandato e compiere la sua opera.35Voi non dite forse: “Ancora quattromesi e poi viene la mietitura”? Ecco,io vi dico: alzate i vostri occhi e guar-date i campi che già biondeggianoper la mietitura. 36Chi miete riceve ilsalario e raccoglie frutto per la vita

eterna, perché chi semina gioisca in-sieme a chi miete. 37In questo infattisi dimostra vero il proverbio: uno se-mina e l’altro miete. 38Io vi ho man-dati a mietere ciò per cui non avetefaticato; altri hanno faticato e voisiete subentrati nella loro fatica”»(Gv 4,34-38).Quello che sembra essere estraneo

al precedente racconto è, viceversa,profondamente legato ad esso e, so-prattutto, alla conclusione dell’episo-dio, e in questo è fondamentale il ri-chiamo all’oracolo di Os 2, alla finedel quale si descrivono i frutti dellaconversione della sposa infedele:grano, vino nuovo, olio fresco (Os2,24-25). Anche Gesù parla di unamietitura, a cui sono chiamati i di-scepoli. Ma qual è la messe di cuiparla? Non può che trattarsi dei sa-maritani, che stanno uscendo dallacittà per raggiungerlo mentre parlacon i suoi discepoli (significativol’uso dell’imperfetto andavano). Sonoloro la «messe/mietitura» della Sama-ria che ha trovato il suo vero marito.I campi biondeggianti di grano dico-no che il momento della mietitura èvicino e con esso la gioia del raccol-to. I discepoli sono inviati a mietereciò che il loro Maestro ha seminato.È la missione apostolica in continuitàcon quella di Gesù.

«Questi è veramenteil Salvatore del mondo»

«39Molti Samaritani di quella cittàcredettero in lui per la parola delladonna, che testimoniava: “Mi ha det-to tutto quello che ho fatto”. 40Equando i Samaritani giunsero da lui,lo pregavano di rimanere da loro edegli rimase là due giorni. 41Molti dipiù credettero per la sua parola 42ealla donna dicevano: “Non è più peri tuoi discorsi che noi crediamo, maperché noi stessi abbiamo udito esappiamo che questi è veramente ilsalvatore del mondo”» (Gv 4,39-42).La testimonianza della donna è

stata contagiosa. È un particolare chepuò forse stupire. Scriveva Teresad’Avila: «Ciò che mi sorprende è ve-dere come quella gente abbia credu-to a una donna, e a una donna chenon doveva essere di nobile condi-zione, perché andava ad attingereacqua. Umile, sì, doveva essere, per-ché quando il Signore le palesò i suoipeccati, non solo non se ne offese,come si farebbe oggi nel mondo do-ve la verità è difficilmente ascoltata,ma rispose che egli doveva essere unprofeta. (…) Fatto sta che fu credu-ta» (Pensieri sull’amore di Dio). Ma èevidente che lo slancio e la credibili-tà del suo annuncio hanno portato i

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Vincent Van Gogh, Campi di grano 1889

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Samaritani ad accorrere e a pregareGesù di “dimorare” con loro. Anchein questo particolare torna lo schemanarrativo veterotestamentario: coluiche è stato incontrato al pozzo vieneinvitato a restare presso i suoi ospiti.È importante sottolineare, infine,

l’ultima parola che chiude l’episodio,e che è affidata ai concittadini delladonna. Il credere di molti per la paro-la della donna e in virtù della sua te-stimonianza, si trasforma in una pro-

fessione di fede di moltidi più; una professioneche esplicita la dimen-sione universale dellasalvezza portata da Ge-sù: «perché noi stessi ab-biamo udito e sappiamoche questi è veramente ilsalvatore del mondo».È l’incontro personale

e diretto con Cristo cheporta a riconoscerlo co-me il Salvatore. Solo chiha incontrato Gesù puòannunciarlo, solo chi hafede in Lui risulta credi-bile. Ed è così che, comela donna è stata la primadestinataria dell’IO-SO-NO di Gesù, i Samarita-ni diventano i primi a ri-conoscere in Gesù “IlSalvatore del mondo”.Questo titolo giunge

come coronamento ditutto un cammino: Gesù è stato rico-nosciuto come giudeo, poi paragona-to a Giacobbe, quindi stimato capa-ce di dare l’acqua che disseta persempre, infine è detto profeta: il dia-logo si conclude sulla proclamazio-ne fatta da Gesù della sua messianici-tà. La donna si è fatta eco di que-st’ultimo annuncio (4,29), ma sottoforma interrogativa, come per indur-re i Samaritani a impegnarsi. Se ladomanda è rimasta in sospeso, forse

è per mostrare che la confessionemessianica non è l’ultima parola.Gesù è il Salvatore del mondo, os-

sia di tutta l’umanità: questa profes-sione di fede è fatta fuori dalla Giu-dea e dalla Galilea. Gesù non salvasolo i circoncisi, ma anche i Samari-tani e i gentili.La missione di Gesù in Samaria pre-

para l’evangelizzazione di tutti i popolicon la quale Cristo sarà rivelato con-cretamente come il Salvatore del mon-do. Presso il pozzo di Giacobbe, Gesùha gettato le basi della missione cristia-na. La salvezza che viene dai Giudei(4,22) nella persona di Gesù è per tuttigli uomini ed avviene dovunque c’èun credente che adora il Padre «nelloSpirito e nella Verità» (Gv 4,21-23).

conclusione

L’incontro tra Gesù e la donna diSamaria ci parla del desiderio di Diodi incontrare l’uomo ma anche delleconseguenze di questo incontro. Èun incontro che non ci lascia immu-tati, ma ci trasforma.«Anche noi … sempre in cammino

di divenire veri cristiani, troviamo inquest’episodio evangelico uno stimoloa riscoprire l’importanza e il senso del-la nostra vita cristiana, il vero desideriodi Dio che vive in noi. Gesù vuole por-tarci, come la Samaritana, a professarela nostra fede in Lui con forza perchépossiamo poi annunciare e testimonia-re ai nostri fratelli la gioia dell’incontrocon Lui e le meraviglie che il suo amo-re compie nella nostra esistenza. La fe-de nasce dall’incontro con Gesù, rico-nosciuto e accolto come il Rivelatoredefinitivo e il Salvatore, nel quale si ri-vela il volto di Dio. Una volta che il Si-gnore ha conquistato il cuore della Sa-maritana, la sua esistenza è trasformatae lei corre senza indugio a comunicarela buona notizia alla sua gente» (Bene-detto XVI, Omelia 24 febbraio 2008).Come la Samaritana al pozzo di Si-

car ha trovato risposta al suo deside-rio profondo di “vita vera” ed ha ac-colto ed annunciato la rivelazione delCristo, così ciascuno di noi è chiama-to ad uscire dalla città e andare daLui. Al pozzo dove incontrare lo Spo-so, per poter testimoniare con la paro-la e con la vita che noi stessi abbiamoudito e sappiamo che questi è vera-mente il salvatore del mondo.

Giuseppe Dell’Orto

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il pesce come simbolo cristologico (in grecoichthùs = Iesùs Christòs Theoù Hyiòs Sotèr – Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore), Roma –Catacombe di San Sebastiano

il pozzo di Giacobbe a Nablus

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SACRIFICIO – Secondo il comune sentire, questo ter-mine non gode di buona cittadinanza: evoca rinuncia,sofferenza. Aspetti della vita che vengono consideratiinaccettabili, da cui rifuggire. Eppure esso costituisce undato di fatto innegabile nell’esperienza umana e, perquanto ci riguarda, è una parola chiave dell’esperienzareligiosa. Ma come dobbiamo intenderlo?Partiamo dal rilievo che questo termine ha in un’otti-

ca salvifica. Da che mondo è mondo e in tutte le cultu-re è considerato essenziale il rapporto fra cielo e terra.Ben oltre l’aspetto meteorologico o quello astrale (con-sultazione dell’oroscopo!), tale rapporto coinvolge Dioe l’uomo chiamati a vivere in alleanza. L’esperienzauniversale documenta come l’alleanza viene infranta equindi va “riparata”, e come ogni “riparazione” com-porta un insieme di correzioni di rotta che assumonoinnegabilmente i connotati del sacrificio e dell’espia-zione. Cosa che tutte le tradizioni religiose documenta-no in abbondanza.La rivelazione biblica, se da un lato non ignora l’esi-

genza da parte dell’uomo di ripristinare l’alleanza (lo do-cumentano i culti sacrificali comuni a tutte le religioni),dall’altro denuncia la sua radicale impotenza. Unicamen-te Dio è in grado di ristabilire l’originario rapportod’amore con le sue creature. Di qui l’azione salvificacompiuta dall’uomo-Dio, Cristo Gesù, con il dono dellapropria vita in nostro riscatto. Fedele fino in fondo nel-l’incondizionata dedizione alla volontà divina, ha ribalta-to le sorti che gravavano sull’umanità, riconducendola aDio nella propria persona. Quella compiuta da Cristo èperò un’azione che coinvolge anche la controparte uma-na, chiamata a condividerla e ad assecondarla: quanto siè operato nel Capo viene condiviso dalle membra. Ed èquanto sottolinea con particolare enfasi la Preghiera eu-caristica III, là dove afferma: «Egli – Cristo e/o lo Spiritosanto – faccia di noi un sacrificio perenne a te – il Padre– gradito, perché possiamo ottenere il Regno promesso».A dir vero il testo latino recita: «Ipse nos tibi perficiat mu-nus aeternum», dove “munus” indica dono sacro e beneesprime la natura del sacrificio, inteso come dono d’amo-re, e quindi supremo atto di culto finalizzato a ripristina-re l’alleanza, vera “cifra” dell’uomo religioso.Ne aveva ben compreso questo significato Sorella Ma-

ria dell’Eremo francescano di Campello sul Clitunno,quando interpretava “sacrificio” come “sacrum facere;rendere sacro”. Ciò implica che si conferisca, o meglio sifaccia emergere e si restituisca, sacralità in tutto ciò che èin noi e fuori di noi; o in altri termini che il “divino” tor-ni a emergere nell’umano. Simile intento abbraccia lapersona nella sua totalità, così che tutta l’esistenza uma-na, la sua storia e il cosmo in cui si dispiega, si traduca inatto di culto, in liturgia vissuta, in oblazione a Dio, alquale è resa lode nel compimento della sua volontà.Questo comporta spesso sacrificio vero e proprio, nelsenso che chiede purezza di intenzioni, distacco dal pro-

prio egocentrismo, accettazione della diversità e dellacontrarietà, sopportazione nella sofferenza, umiltà. Conquesto la dimensione “sacrificale” non è presa a se stan-te, né costituisce l’obiettivo primario, ma si presenta co-me ineliminabile pedaggio dovuto alla nostra finitezza ealla nostra fallibilità. Alla luce del “sacrum facere” pos-siamo ripensare a tutto ciò che riguarda la nostra perso-na: il suo presente, la sua storia, il suo corpo, l’uso deltempo, il proprio lavoro, le condizioni di salute, il dolore,la morte, la vita di fede, ecc.; i rapporti con gli altri: i lorocorpi, l’amore, la solidarietà, ecc.; gli avvenimenti che se-gnano l’esistenza, tristi o lieti; e infine le cose: il creato, ibeni di cui disponiamo, gli alimenti, ecc.È interessante notare però che, se il termine “sacrifi-

cio” ha la sua ragion d’essere in un’ottica salvifica, rive-ste non minore interesse in quella creaturale, così chele due ottiche si saldano in un unico processo, chiara-mente attestato dalla Bibbia, dove il Salvatore è lo stes-so Creatore che opera nella storia. In altre parole, il “sa-crificio” segna, prima ancora del processo salvifico,quello creativo. In ambito occidentale lo ha posto insingolare rilievo Simone Weil (1909-1943), di cui si ri-corda il 70° della morte. Ella ritiene che “creazione” e“decreazione” vadano di pari passo, nel senso che, cre-ando, «Dio si è svuotato. La creazione è già una Passio-ne». A simile “agire” divino dovrà corrispondere l’agireumano, quale emerge in modo paradigmatico in Cristocon il suo “svuotamento” (kénosis). Come a dire chel’uomo torna a Dio infrangendo la barriera del proprio“io” (segnato da finitudine e fallibilità!), del quale è pri-gioniero: “captivus” in latino, da cui il nostro “cattivo”(ricordare Gesù: “Voi che siete cattivi…”, Mt 7,11). Quista la vera “cattiveria”, il vero peccato “originario” dicui è impastata la creatura umana. Scrive Simone conafflato mistico: «La creatura è niente e si crede tutto. Essadeve credersi niente per essere tutto. Apparire niente,imitazione di Dio, azione non agente; effetto del -l’amore». Quest’ultimo termine chiarisce come la postain gioco, nel contesto dell’alleanza, è “amore” e ad essova ricondotto il “sacrificio”.Non diversamente, ed è significativo, si esprimono le

Scritture indù, che una rilettura “cristica” rende ancorpiù eloquenti. «Tutto ciò che è, ha un solo principio di vi-ta: il sacrificio. È a forza di sacrificio che gli dèi hannoportato a compimento tutte le loro imprese e lo stesso fe-cero anche i saggi… Quotidianamente il sacrificio unisceil sacrificatore al cielo… Quando l’uomo compie il sacrifi-cio, egli si sta riscattando dalla morte… Colui che sacrifi-ca, quando in virtù del proprio sacrificio ha formato ilproprio sé, prende posto nel mondo del cielo…». E anco-ra, in una prospettiva che possiamo definire eucaristica:«Ricevete il sacrificio come vostro cibo… Io sono cibo; Ioche sono cibo, mangio il mangiatore del cibo».

Antonio Gentili

Vocabolario ecclesiale

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VOCABOLARIO ECCLESIALE

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