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PROVINCIA DI FORLÌ-CESENA SERVIZIO AGRICOLTURA E SPAZIO RURALE NOTE DIVULGATIVE PER LA PREPARAZIONE ALLESAME DI IDONEITÀ ALLA RACCOLTA DEI TARTUFI LEGGE 16 DICEMBRE 1985 N. 752 LEGGE REGIONALE 2 SETTEMBRE 1991 N. 24

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PROVINCIA DI FORLÌ-CESENASERVIZIO

AGRICOLTURA E SPAZIO RURALE

NOTE DIVULGATIVE PER LA

PREPARAZIONE ALL’ESAME DI IDONEITÀ

ALLA RACCOLTA DEI TARTUFI

LEGGE 16 DICEMBRE 1985 N. 752LEGGE REGIONALE 2 SETTEMBRE 1991 N. 24

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La presente pubblicazione è stata curata da:Giovanni Fabbri, Funzionario della Provincia di Forlì-Cesena,Servizio Agricoltura e Spazio Rurale

Si ringraziano per la collaborazione:Dott. Riccardo Fiorini, Funzionario della Provincia di Forlì-Cesena,Servizio Agricoltura e Spazio RuraleDott. Massimo Magnani

Le incisioni sono tratte da:Lodovico Piccioli - Selvicoltura - 1915 U.T.E.T.Michele Lessona - Atlante di Storia Naturale - F. Vallardi Editore

Foto tratte da:

“Conoscere i tartufi” - 1989, Regione Emilia Romagna

“Il Tartufo nelle Marche” - supplemento n. 5/2000 della rivista Regione Mar-che Agricoltura - 2000 Regione Marche

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NOTE DIVULGATIVE PER LA PREPARAZIONE

ALL’ESAME DI IDONEITÀ ALLA RACCOLTA DEI TARTUFI

(Legge 16 dicembre 1985 n. 752 - L.R. 2 settembre 1991 n. 24)

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Presentazione

Il tartufo rappresenta una delicatezza della nostra gastronomia.Anche i media sono pieni di immagini e gustosi piatti che catturanol’attenzione e la sensibilità del vasto pubblico.

Da un punto di vista del territorio, però il valore non risiede solonell’uso del prodotto finale ma principalmente nel processo, cioènella capacità di avvicinare il cittadino, che deve essere semprepiù esperto, al territorio.

Infatti, a prescindere dal valore gastronomico, il quale rappre-senta certamente la caratteristica più rilevante, vi sono molti altrimotivi che rendono il tartufo una risorsa importante:• contribuisce al mantenimento delle popolazioni residenti in aree

spesso svantaggiate, incrementando positivamente le possibiliattività di “integrazione al reddito” con la ricerca, coltivazione ecommercializzazione del prodotto;

• rappresenta un importante polo di attrazione turistico del territo-rio e di traino dei prodotti locali;

• può avviare positivi percorsi volti alla manutenzione del territo-rio (regimazione idraulica, difesa del suolo, conservazione deisoprassuoli, ecc.);

• concorre all’efficienza trofica dei popolamenti forestali in sta-zioni difficili, favorendo il mantenimento della biodiversità.Questi motivi di forte rilevanza territoriale, richiedono come detto

un pubblico non solo amante del tartufo ma soprattutto esperto.Con questa pubblicazione si intende pertanto fornire una primainformazione sulle norme e procedure relative alla raccolta e com-mercializzazione di questo prodotto a chi intende sostenere l’esa-me di abilitazione alla ricerca e raccolta dei tartufi.

Gianluca BagnaraAssessore alle Politiche Agro-Alimentari

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Introduzione

Con la pubblicazione di queste note si intende perseguire fon-

damentalmente due obbiettivi: il primo è quello di contribuire alla

conoscenza di base delle norme e delle nozioni essenziali finaliz-

zate al conseguimento della abilitazione alla raccolta dei tartufi; il

secondo è la tutela della risorsa, anche in considerazione dell’ele-

vato numero di cercatori attivi in ambito provinciale. È infatti im-

portante che i raccoglitori di tartufi siano consapevoli dei danni

che un comportamento scorretto può arrecare all’ambiente ed alla

biologia di questo pregiato prodotto del nostro territorio.

Il testo è rivolto essenzialmente a chi si appresta a sostenere l’esa-

me di abilitazione alla raccolta e non può quindi avere carattere

esaustivo in una materia per molti versi complessa, considerata la

necessità di sintetizzare in maniera accessibile una notevole mole

di argomenti. Può comunque essere uno stimolo per allargare lo

sguardo verso altri aspetti (le piante e i principali aspetti legati alla

gestione del bosco) strettamente legati alla biologia del tartufo ed

alla sua coltivazione.

Massimiliano StrocchiDirigente del Servizio Agricoltura

e Spazio Rurale

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NOZIONI DI ECOLOGIA

L’ecologia è la scienza che studia le relazioni tra gli organismi

viventi e l’ambiente fisico circostante. E’ una materia relativamente

recente, in quanto è stata disciplinata - secondo moderni criteri -

soltanto verso la fine del XIX secolo; in realtà concetti e termini

riconducibili all’ecologia sono reperibili in tante diverse discipline,

quali la biologia vegetale e animale, l’agronomia, la chimica, la

fisica.

Il concetto fondamentale risiede nell’ecosistema, costituito da

una comunità che comprende tutti gli organismi viventi (compo-

nente biotica) e dall’ambiente fisico circostante (componente iner-

te, abiotica), tra i quali si vengono a creare delle interazioni in fun-

zione del flusso di energia solare.

Nell’ecosistema ogni organismo vivente svolge un determinato

ruolo ed è collegato a tutti gli altri mediante una serie di complicati

rapporti. In questa rete di interazioni i vegetali svolgono una fun-

zione indispensabile grazie alla clorofilla, che rende possibile la

fotosintesi, con cui le piante verdi sono in grado di formare sostan-

ze organiche complesse a partire da acqua, sali minerali, anidride

carbonica e rilasciando nel contempo ossigeno.

Le sostanze organiche complesse e l’ossigeno sono indispensa-

bili per la vita degli animali e dell’uomo, che dipendono pertanto

dal regno vegetale in quanto non sono in grado di sintetizzare tutte

le sostanze necessarie alla loro vita e sono detti per questo motivo

organismi eterotrofi, mentre le piante verdi - che producono da sé

le sostanze organiche necessarie - sono dette autotrofe.

In questi scambi si inseriscono poi gli organismi demolitori (come

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funghi e batteri) che sono in grado di decomporre le sostanze orga-

niche derivate da resti animali e vegetali e di ridurli in elementi

semplici riutilizzabili dalle piante.

Questi scambi avvengono in gran parte nell’humus, che è la

parte organica del terreno derivante soprattutto dalla attività di bat-

teri e di funghi a carico delle sostanze di origine animale e vegetale

(legno e foglie secche, spoglie di animali, deiezioni, ecc.). L’humus

Effetto dell’internarsi e del collegarsi delle radicisopra un terreno roccioso e inclinato

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costituisce un fattore essenziale della fertilità del suolo poiché ne

modifica le proprietà chimico-fisiche migliorandone la struttura, fa-

vorisce la solubilizzazione degli elementi minerali che vengono così

resi nuovamente disponibili per le piante, ostacola l’azione dila-

vante delle acque di pioggia, rende il suolo più poroso e stimola

l’attività della microflora.

Tutti questi complicati processi vengono influenzati da una nu-

merosa serie di fattori che possono incidere in modo più o meno

significativo.

Tali fattori ecologici si distinguono in:

• Fattori abiotici: luce, temperatura, acqua, ossigeno, sali minera-

li, precipitazioni, clima, caratteri pedologici (tipo di terreno) e

geologici, vento, altitudine, esposizione, ecc.

• Fattori biotici: caratteri dei singoli organismi, delle popolazioni,

delle comunità e loro interazioni.

Particolare importanza in ecologia assumono il concetto di ha-

bitat e di nicchia ecologica.

L’habitat di un organismo è l’ambiente naturale in cui esso nor-

malmente vive, mentre la nicchia ecologica indica il ruolo che esso

riveste e comprende tutte le condizioni fisiche, chimiche e biologi-

che di cui la specie necessita per vivere e riprodursi (luce, anidride

carbonica, ossigeno acqua e sostanze nutritive, temperatura, tipo

di cibo, predatori, specie che competono per le stesse risorse).

In funzione della nicchia ecologica occupata, si distinguono spe-

cie generaliste e altre dette specialiste. Le prime sono gli organismi

che hanno nicchie ampie e grande capacità di adattamento, come

le mosche, gli scarafaggi, i ratti. Le seconde hanno nicchie limitate,

possono vivere in un solo tipo di habitat, si nutrono solo di una

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Rifiuti Vegetali e Animali

FOTOSINTESI

Nutrimentoe Respirazione

Sostanze inorganiche(CO2, H2O, sali minerali)

Batteri, Funghi, Organismi detritivori

piccola varietà di nutrienti, allacciano relazioni solo con un nume-

ro limitato di altre specie e sono molto sensibili alle variazioni dei

fattori ambientali e climatici. Alcuni tartufi possono rientrare in

questo gruppo.

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I TARTUFI

Classificazione

I tartufi appartengono al Regno dei Funghi, che com-

prende un numero infinito di organismi (dai lieviti alle

muffe, fino ai classici funghi commestibili) caratterizzati

dal fatto di non possedere clorofilla e quindi incapaci di

utilizzare l’energia solare per sintetizzare sostanze organi-

che: sono pertanto organismi eterotrofi e necessitano per

vivere di elementi organici già costituiti. A seconda delle

relazioni che possono costruire con gli altri organismi, si

distinguono:

• Funghi saprofiti quando vivono su sostanze organiche

morte (come l’Armillaria mellea, il cosiddetto “chiodi-

no” o “famigliola buona”);

• Funghi parassiti quando vivono a carico di organismi

viventi (come la Peronospora della vite);

• Funghi simbionti quando si costituiscono reciproci van-

taggi con gli organismi ospiti: tra questi rientrano i tartufi,

i quali si legano - tramite le micorrize - alle radici delle

piante ospiti, ricevendo da essa parte del nutrimento, e

forniscono - in maggior abbondanza di quanto possa fare

la pianta da sola - acqua, sali minerali ed altre sostanze

presenti nel terreno, facilitandone l’assorbimento.

Dal punto di vista della classificazione sistematica, i tar-

tufi sono funghi ascomiceti ipogei (sotterranei) appartenenti

alla classe dei Discomiceti.

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Anatomia

Il tartufo è costituito da due parti ben distinte: l’apparato

riproduttivo e l’apparato vegetativo. Comunemente con il

termine “tartufo” si intende solamente l’apparato riprodut-

tivo, il corpo fruttifero - detto carpoforo - caratterizzato da

una forma più o meno globosa, tuberiforme.

Le dimensioni variano dalla grossezza di una nocciola a

quella di una grossa patata.

Nel carpoforo si distinguono il peridio e la gleba:

• Il peridio è lo strato esterno costituito da un rivestimen-

to che può essere bianco, giallo, rossastro, bruno o nero.

La sua superficie è liscia (Tartufo bianco pregiato, Tartu-

fo nero liscio) o più o meno verrucosa (Tartufo nero pre-

giato, Scorzone).

• La gleba è la parte interna

che ha un caratteristico

aspetto marmorizzato dovu-

to a venature chiare che rac-

chiudono aree più scure: le

prime sono la parte sterile,

mentre le seconde sono le

parti fertili. All’interno del-

le zone scure della gleba si

trovano gli aschi, strutture

microscopiche di forma globosa, dove si formano le spo-

re, più propriamente chiamate ascospore, che sono gli

organi deputati alla riproduzione.

gleba

peridio

Carpoforo, comunemente detto tartufo

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L’apparato vegetativo del tartufo è invece dato dal mi-

celio, costituito da cellule filamentose dette ife: le ife che

avviluppano i peli radicali formano la micoclena, mentre

le ife secondarie - che hanno uno spessore di pochi micro-

metri ma possono arrivare ad una lunghezza anche di cen-

to metri - si irraggiano nella ricerca di acqua, sali minerali

e nuove radici da colonizzare.

La forma e il colore del peridio e della gleba, oltre al

profumo e al sapore, sono caratteri importanti per il rico-

noscimento della specie; però in caso di dubbio o conte-

stazione gli unici elementi diagnostici certi sono le caratte-

ristiche delle spore, da effettuarsi mediante analisi micro-

scopica (art. 2 Legge 752/85).

Ciclo biologico

Durante il ciclo biologico del tartufo si possono distin-

guere tre fasi principali:

• fase vegetativa;

• fase simbiontica;

• fase di fruttificazione.

la fase vegetativa comincia con la liberazione delle asco-

spore nel terreno, che avviene o per decomposizione del

carpoforo - dovuta a fenomeni naturali di marcescenza - o

ad opera di animali che si cibano di esso. In entrambi i

casi, dopo un periodo variabile di quiescenza, germinano

formando un corpo vegetativo (micelio) costituito da fila-

menti. Tali filamenti raggiungono gli apici delle radici delle

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piante ospiti e li avvolgono, dando origine alla micorriza.

Una volta formatesi le micorrize si mantengono nel tempo

e attraverso alcune ife possono colonizzare altri apici radi-

cali della stessa pianta o di altre piante vicine. La fase di

fruttificazione, nella quale le ife si addensano a formare il

“tartufo” (più propriamente detto carpoforo), avviene quan-

do nel terreno si è formata una sufficiente quantità di mi-

corrize, la pianta ha raggiunto la sua maturità fisiologica e

si verificano le condizioni ecologiche idonee.

Dispersione delle sporeveicolate tramite animali

Fase VegetativaGerminazione delle sporee formazione del micelio

Fase simbionticaCostituzione

delle micorrize

Fase di fruttificazioneFormazione del carpoforo

contenente le spore

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Le micorrize

Con il termine micorriza si intende la struttura comples-

sa costituita dalla stretta convivenza tra le radici di una

pianta superiore e il micelio di un fungo, le cui ife si sosti-

tuiscono ai peli radicali nella funzione di assorbimento del-

l’acqua e dei sali dal terreno. A seconda della posizione

delle ife, rispetto alle cellule o ai tessuti della radice ospi-

te, si distinguono micorrize en-

dotrofiche - quando penetrano

i primi strati della radice - ed

ectotrofiche, quando restano

esterne. Sono strutture molto fra-

gili, che possono subire gravi

danni a causa della apertura del-

le buche di raccolta dei tartufi

eseguite in modo sconsiderato.

Al fine di limitare i danni è ne-

cessario usare la massima precauzione durante lo scavo, e

provvedere il più presto possibile a ricolmare la buca con

lo stesso terreno.

Le conoscenze maggiori relative alle micorrize riguar-

dano le piante forestali e le orchidee: è noto che i semi

della maggior parte delle orchidee germinano soltanto se

le loro radici contengono un fungo simbionte specifico,

così come è accertato che semenzali micorizzati danno

origine a piante più vigorose e rigogliose (a parità di condi-

zioni ambientali) e che facilitano la propagazione per ta-

Micorriza endotroficadi Calluna vulgaris

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lea o tramite polloni radicali

di molte specie (pioppi, sa-

lici, tigli).

Le micorrize non sono

una prerogativa dei tartufi:

tantissimi altri funghi posso-

no legarsi a piante ospiti,

tanto che proprio la concor-

renza tra le diverse specie

appare essere un fattore li-

mitante alla coltivazione del

tartufo. Le micorrize che i

tartufi stabiliscono con le radichette delle piante ospiti sono

del tipo ectotrofico, interessando con l’infezione fungina

ad opera delle ife solo lo strato esterno del tessuto radicale.

Le ectomicorrize formate con i Basidiomiceti, Ascomi-

ceti e Ficomiceti caratterizzano soltanto il 5% circa delle

piante vascolari di tutto il mondo. Queste tuttavia includo-

no piante di alto interesse economico quali la maggior par-

te delle essenze arboree che compongono i nostri boschi.

Le micorrize rivestono un ruolo importante nella nutri-

zione della pianta ospite, che attraverso l’assorbimento di

acqua e sali minerali da parte delle ife fungine, per mezzo

della fotosintesi clorofilliana delle foglie, vengono trasfor-

mati in carboidrati, i quali sono determinanti sia per lo svi-

luppo dell’albero che per il fungo simbionte. Tale rapporto

tra fungo e apparato radicale della pianta ospite prende il

nome di simbiosi micorrizica.

Micorriza endotrofica del gattice:a, radice con micorriza; b, sezione trasversaledi una porzione della radice dove il micelio

è arrivato nelle cellule esterneIngr. 480 : 1

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a, tubercoli radicali di ontanob, micorriza ectotrofica del faggio;

c, micorriza ectotrofica ed endotrofica del pino cembro

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Populus tremula L.1. rametto con due gemme fogliari e con un amento maschile in fiore. - 2. un fiore maschile,

ingrandito. - 3. lo stesso visto di fianco. - 4. amento femminile. - 5. un fiore femminile. -6. lo stesso visto di lato. - 7. frutto maturo ancora chiuso. - 8. un pezzo di amento fruttifero. -

9. frutto aperto. - 10. un seme singolo con mantello di peli. - 11. rametto con foglie.

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L’AMBIENTE DEL TARTUFO: LE PIANTE ED IL BOSCO

Le piante superiori - cenni di anatomia vegetale

I tartufi per vivere e riprodursi necessitano delle piante

superiori: queste comprendono gli alberi, gli arbusti e le

specie erbacee, caratterizzate da un apparato vegetativo

chiaramente differenziato - cosa che non avviene nei mu-

schi e nelle alghe - costituito da fusto, radici e foglie; inol-

tre producono semi e portano fiori. Tutti questi elementi

sono fondamentali per definire la specie di appartenenza.

• Il fiore è il principale elemento di riconoscimento delle

piante superiori, che vengono sistematicamente divise

in Gimnosperme (le conifere) e Angiosperme (le latifo-

glie): i fiori delle Gimnosperme (chiamati, spesso, an-

che “coni”, “strobili” o “pigne”) sono sempre unisessua-

li (cioè con stami e squame ovulari separati) e sono più

primitivi di quelli delle Angiosperme. Fanno parte delle

Gimnosperme gli abeti, i pini, i ginepri e il tasso. Si trat-

ta di piante legnose, resinose, con foglie semplici di re-

gola persistenti, spesso aghiformi, in cui il trasporto del

polline è affidato passivamente al vento (impollinazio-

ne anemofila). Nelle Angiosperme l’impollinazione è in

genere affidata agli insetti (impollinazione entomofila) e

ne fanno parte gli arbusti e gli alberi più comuni, moltis-

sime specie erbacee e organismi vegetali altamente spe-

cializzati come le piante grasse (succulente), le epifite,

le piante carnivore e le piante acquatiche.

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• Il fusto è la parte aerea - ma esistono anche fusti sotter-

ranei, come i rizomi - della pianta che porta le foglie e i

fiori. Assolve ad una duplice funzione: meccanica, poi-

ché costituisce l’asse scheletrico della pianta, e fisiolo-

gica in quanto è l’organo di collegamento tra le radici e

le foglie, la via attraverso cui l’acqua e le sostanze sali-

ne assorbite dal terreno pervengono alle foglie. Si svi-

luppa tramite le gemme le quali sono a loro volta un

utile elemento di riconoscimento. Può avere consisten-

za legnosa (alberi, arbusti) o erbacea.

• La radice è la parte inferiore della pianta che, normal-

mente, si sviluppa nel terreno per

assolvere alla duplice funzione di

sostegno e di assorbimento in

quanto tiene fissata saldamente

la pianta al suolo e assorbe l’ac-

qua insieme con i sali nutritivi in

essa disciolti. Il micelio del tar-

tufo penetra nella pianta a livel-

lo radicale, fra le cellule cortica-

li delle piccole radici laterali, i

cosiddetti “peli radicali”.

Si distinguono: radici a fittone,

quando si sviluppano su di un’as-

se principale di forma conica sul-

la continuazione del fusto e dal

quale si diramano le radici secon-

darie, che a loro volta generanoEsempio di radice a fittone:

Ceppaia di Quercus ilex

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radichette più sottili; radici fascicolate o espanse, quan-

do manca il fittone e al suo posto si sviluppa una serie di

elementi più o meno dello stesso diametro e lunghezza

che si affondano in tutte le direzioni.

• La foglia è la parte deputata a svolgere la funzione foto-

sintetica. Si possono distinguere tre parti: la superficie

fogliare, detta lamina, di forma variabilissima a seconda

della specie (aghiforme nel-

le conifere, più o meno

espansa nelle latifoglie) pre-

senta due pagine, la supe-

riore rivolta al sole di un ver-

de più carico, la inferiore

più chiara e molto spesso

coperta da una fine peluria.

Spesso un elemento di riconoscimento è costituito dalla

nervatura della foglia. L’organo di sostegno e di attacco

al ramo è detto picciolo: se manca la foglia si dice sessi-

le. La guaina (quando è presente) è la estremità inferiore

del picciolo, con la quale esso si unisce al fusto.

• Il frutto deriva dalla trasformazione del fiore che avvie-

ne in conseguenza della fecondazione. Serve a proteg-

gere e nutrire il semi e sono distinti in due grosse cate-

gorie: frutti secchi e frutti carnosi. I primi sono distinti in

deiscenti (capsula, legume o baccello, follicolo, siliqua)

e non deiscenti (achenio, sàmara, cariòsside, noce). I

secondi sono distinti in frutti veri (bacca, drupa, esperi-

dio) e frutti falsi (pomo, fragola, siconio, sorosio).

picciolo

lamina

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Esempio di radice espansa:

Sistema radicale pollonifero del populus tremula

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Nocciolo • • • • • • • •Faggio • • •Cerro • • • • • • • •Farnia • • • • • • •Roverella • • • • • • •Rovere • • • • • • •Pioppo bianco • •Pioppo nero • • •Carpino nero • • • • • • •Salice bianco •Salicone •Tiglio cordato • • • • • • •Tiglio comune • • • • • • • •Tiglio ibrido • • • • • • • •Carpino bianco • • •Cedri • • •Pino nero • • • • •Pino marittimo •Pino domestico •Pino silvestre •

Le piante simbionti dei tartufi

Le specie in cui è stata accertata la simbiosi micorrizica

con i tartufi pregiati sono relativamente poche, individuate

nella tabella seguente. Vi sono poi altre piante, quali la

Sanguinella, il Prugnolo, il Biancospino e la Ginestra che

pur non legandosi con il tartufo sono quasi sempre presen-

ti nelle aree di produzione naturale. Queste piante, sopran-

nominate “comari” sembra favoriscano la produzione di

tartufo, mantenendo un giusto grado di ombreggiamento

del terreno.

magnatum brumalemelanosporum mesentericumuncinatumaestivum macrosporumalbidum

Specie di Tuber

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Il bosco

Le specie arboree, arbustive ed erbacee assumono

un ruolo chiave nel processo della sintesi micorrizi-

ca: tutte le operazioni eseguite a carico del sopras-

suolo forestale (tagli di utilizzazione, diradamenti, de-

cespugliamenti, potature, ecc.) incidono sul grado di

ombreggiamento del terreno, sulla sua composizio-

ne floristica e quindi, indirettamente, anche sulle po-

tenzialità produttive del tartufo, il quale necessita di

un contorno vegetazionale appropriato. Anche se è

possibile rinvenire certe specie di tartufo in ambienti

fortemente antropizza-

ti, come i parchi urba-

ni, alberature stradali o

alberi isolati, l’am-

biente di elezione -

l’habitat - del tartufo è

il bosco. È quindi im-

portante conoscere

non solo le specie fo-

restali simbionti, ma

anche le diverse tipo-

logie di bosco.

Le norme di gestio-

ne del bosco - tagli di

utilizzazione e/o di

manutenzione, ripristi-

Corylus avellana L.

(Nocciolo). Amenti e frutti con cupola fogliacea

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no della viabilità di servizio, pascolo, ecc. - sono contenu-

te essenzialmente nelle “Prescrizioni di Massima e Polizia

Forestale”, approvate dalla Regione Emilia-Romagna con

Deliberazione n. 182 del 31/05/1995: esse stabiliscono mo-

dalità d’uso compatibili con la salvaguardia, al fine di pre-

venire dissesti, erosione del suolo e degrado dei sopras-

suoli ed a esse bisogna attenersi nelle operazioni di manu-

tenzione e utilizzazione boschiva.

A seconda di come vengono curati (forma di governo e

trattamento del bosco) e della loro origine si possono di-

stinguere:

• boschi cedui: rappresentano la maggior estensione dei

boschi provinciali. Sono soprassuoli che vengono pe-

riodicamente (ogni 8/28 anni, a seconda delle specie)

tagliati a raso, sfruttando la capacità pollonifera delle

piante presenti per la ricostituzione del soprassuolo, men-

tre la rinnovazione da seme è garantita dal rilascio di un

numero variabile di piante non soggette al taglio, chia-

mate “matricine”. In questi boschi il taglio comporta no-

tevoli alterazioni sia a carico delle piante ceduate, che

subiscono un grave squilibrio tra parte epigea e parte

radicale, sia a carico della stazione nel suo complesso,

a causa della maggiore quantità di calore e luce che

arriva al terreno (alterazioni alla vegetazione arbustiva

ed erbacea, al substrato pedologico, ecc.). Quando il

bosco ceduo non viene tagliato per un periodo superio-

re ad una volta e mezzo il turno fissato vi è il rischio di

perdita della capacità di ricaccio dei polloni, per cui

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deve essere favorita la conversione all’alto fusto.

• boschi d’alto fusto: sono soprassuoli dove la rinnova-

zione del bosco è garantita essenzialmente dalla disse-

minazione delle piante presenti e la rinnovazione natu-

rale viene favorita - con interventi appropriati - per an-

dare a sostituire le piante mature al taglio. L’alto fusto

può esprimere le condizioni del bosco più vicine alla

natura: è anche la forma di governo più efficace dal punto

di vista della protezione del suolo. La conversione dei

boschi d’alto fusto in bosco ceduo è vietata. Vi sono di-

verse tipologie di altofusto:

- di origine naturale, quando le piante sono nate da

seme caduto naturalmente sul terreno. Occupano una

superficie estremamente limitata;

- di origine artificiale (rimboschimenti) quando i semi

sono stati raccolti altrove e sparsi appositamente dal-

l’uomo o se le piantine provengono da vivai. Sono la

maggioranza dei boschi ad alto fusto attuali.

• Discorso a parte meritano i boschi di neo-formazione:

si tratta di terreni un tempo coltivati o destinati a pasco-

lo, poi abbandonati alla libera evoluzione ed all’ingres-

so delle specie arboree e arbustive: spesso tali situazio-

ni si prestano all’insediarsi di alcuni tartufi. Sono super-

fici dove la componente arbustiva spesso è ancora pre-

valente su quella arborea, in netta espansione nel terri-

torio provinciale, localizzati soprattutto nella media ed

alta collina.

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La fauna

Gli animali selvatici che ricercano e si nutrono di tartufi

sono fattori ecologici estremamente importanti, in quanto

contribuiscono attivamente alla diffusione delle spore e

quindi alla riproduzione e diffusione

dei tartufi. Inoltre gli animali che sca-

vano gallerie nel terreno contribuisco-

no a creare lo spazio e le condizioni

ottimali per lo sviluppo dei corpi frut-

tiferi.

Tra i mammiferi che possono cibarsi

più o meno saltuariamente di tartufi vi sono il cinghiale, il

tasso, l’istrice, tut-

ti i topi e le arvi-

cole. Tra gli uccel-

li vanno segnalati

quelli con attitudi-

ne a razzolare ed

a ruspare il terreno, come le pernici ed il pollame. Tra gli

insetti si segnalano le cicale allo stato larvale, la mantide

religiosa e il grillo, oltre ad un particolare

tipo di mosca (Helomyza tuberiperda) che

depone le uova nei tartufi in superficie, de-

terminandone l’infradiciamento. Anche le

lumache e le chiocciole possono cibarsi di

tartufi.

Riccio (Erinaceus europeus)

Grillotalpa (Gryllotalpa vulgaris)

Larva di cicala

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Carpinus betulus L.

Carpino bianco

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LA RACCOLTA DEL TARTUFO

La modalità di raccolta

Per praticare la ricerca e la raccolta del tartufo è neces-

sario essere muniti dell’apposito tesserino rilasciato dalla

Amministrazione Provinciale e della ricevuta di versamen-

to della tassa annuale, con l’eccezione dei raccoglitori di

tartufi sui fondi di proprietà, i quali sono esentati dal pos-

sedere il tesserino e dal pagare la tassa di concessione re-

gionale. Il tesserino di idoneità può essere rilasciato a chi

ha compiuto i quattordici anni di età; esso ha valore sul-

l’intero territorio nazionale, ha validità sei anni e può esse-

re rinnovato su richiesta del titolare. L’autorizzazione alla

ricerca ed alla raccolta può essere revocata per gravi infra-

zioni: qualora revocata, in tal caso non può essere rilascia-

ta prima di cinque anni e deve essere proceduta da un nuovo

esame.

La raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni

non coltivati; rimane comunque vietata nelle tartufaie col-

tivate o controllate riconosciute con atto dall’amministra-

zione competente e delimitate con apposita tabellazione e

nelle aree rimboschite - tabellate - per un periodo di quin-

dici anni dalla messa a dimora delle piantine.

La ricerca e la raccolta è in ogni caso vietata nelle aziende

faunistico venatorie ed agri-turistico-venatorie nei giorni

di apertura della caccia. Inoltre è vietata dal 1° aprile al 30

giugno per le zone di pianura e, dal 1° febbraio al 30 giu-

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gno nelle zone di collina e nelle oasi di protezione della

fauna selvatica, nelle zone di rifugio, nelle zone di ripopo-

lamento e cattura, nelle aziende faunistico venatorio e nel-

le aziende agri-turistico-venatorie, istituite ai sensi della L.R.

15 febbraio 1994 n. 8.

La ricerca e la raccolta deve essere effettuata con l’ausi-

lio di non più di due cani, limitato ad uno solo nelle oasi di

protezione della fauna selvatica, nelle zone di rifugio, nel-

le zone di ripopolamento e cattura, nelle aziende faunisti-

co-venatorie e nelle aziende agri-turistico-venatorie; negli

ultimi due casi è anche necessario segnalare la presenza

del cercatore, depositando gli estremi del tesserino in con-

tenitori predisposti dalle aziende.

Lo scavo per l’estrazione del tartufo deve essere esegui-

to possibilmente a mano oppure con il vanghetto, il quale

deve avere una larghezza non superiore a cm 6. Lo scavo

va limitato al punto segnalato dal cane e dopo la raccolta

bisogna provvedere alla riempitura di ogni buca aperta,

utilizzando il terriccio smosso. Inoltre è vietata la lavora-

zione andante del terreno, la ricerca e raccolta nelle ore

notturne e la raccolta dei tartufi immaturi e dei fioroni. Il

tartufo “fiorone”, in particolare quello del bianco pregiato

non deve essere raccolto, in quanto contiene un’infinità di

spore utili per la riproduzione della specie. Inoltre questo

tartufo precoce è molto scadente dal punto di vista alimen-

tare, poco profumato e spesso pieno di larve.

Il quantitativo massimo giornaliero è fissato in un chilo-

grammo, ad eccezione della raccolta di un solo esemplare

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di peso superiore, nel qual caso il limite massimo è elevato

al peso dello stesso.

Per ogni specie di tartufo è fissato un calendario di rac-

colta valido a livello regionale, che può comunque essere

modificato dall’ente delegato, in relazione a motivate esi-

genze.

Salix fragilis L. - 1, ramo con fiori pistilliferi; 2, ramo con fiori staminiferi

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Il cane da tartufo

Il cane da tartufo, oltre ad essere il primo e unico ausilio

riconosciuto dalla vigente normativa per procedere alla ri-

cerca e raccolta del tartufo, va curato e rispettato. La Legge

Regionale n. 27 del 2000 “Nuove norme per la tutela ed il

controllo della popolazione canina e felina” promuove e

disciplina la tutela dei cani e condanna i maltrattamenti ed

il loro abbandono: prevede infatti l’obbligo di iscrizione

all’anagrafe canina e ne vieta l’abbandono. Il proprietario

può rinunciare a tenerli con sé, ma in questo caso deve

informare il Comune di residenza che provvede a trasferirli

nei canili municipali. I proprietari di cani, gli allevatori ed

i detentori di cani a scopo di commercio sono tenuti al-

l’iscrizione all’anagrafe canina entro trenta giorni dalla

nascita dell’animale o da quando ne vengano, a qualsiasi

titolo, in possesso: iscrivere il proprio cane all’anagrafe ca-

nina ed inserire il microchip di riconoscimento non è solo

un obbligo di legge, ma è una tutela per lo stesso animale,

in quanto può risolvere in breve tempo casi di smarrimen-

to, rapimento o incidenti. Per l’iscrizione è necessario ri-

volgersi agli uffici dell´anagrafe canina del Comune di re-

sidenza, dove con l’iscrizione dell’animale viene conse-

gnato un microchip, una piccola capsula sterile non irri-

tante per la cute dell’animale che contiene un numero. Il

microchip è inserito da un medico veterinario con una spe-

ciale siringa sotto la pelle del cane.

Le caratteristiche di un buon cane da tartufo fanno per-

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no su due punti fermi: la naturale attitudine alla ricerca ed

il tipo di addestramento ricevuto.

• la naturale attitudine alla ricerca: l’odorato è una delle

caratteristiche fondamentali che possono decidere la

sorte di un cane da tartufi, ma non è l’unica: un buon

soggetto deve possedere anche una notevole intelligen-

za, buona resistenza e non lasciarsi “distrarre” dai sel-

vatici. In genere la maggioranza dei cercatori utilizza

incroci, ma non è da escludere che razze pure possano

dare risultati positivi. Discorso a parte merita il “Lagotto

romagnolo”, una razza appositamente selezionata per

la ricerca del tartufo riconosciuto dall’ENCI (Ente Na-

zionale Cinofilia Italiana) nel 1991: è un cane di taglia

medio piccola, con caratteristico pelo ricciuto, di tem-

peramento docile e affettuoso, non viene distratto dalla

selvaggina ed è un accanito tastatore del terreno, che

annusa con continuità.

Le caratteristiche fisiche da ricercarsi sono:

- un torace ampio, ben sviluppato in altezza, larghez-

za e profondità, presupposto di una buona capacità

polmonare e resistenza alla fatica;

- manto con pelo fitto, duro e forte, che protegga l’ani-

male dagli spini e dai rovi;

- corporatura media per superare con facilità gli osta-

coli del sottobosco.

• Il tipo di addestramento; la ricerca del tartufo non è un

istinto naturale del cane, per cui tale insegnamento, che

deve essere impartito in una fase molto delicata della

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vita dell’animale (a partire dal quinto mese di vita), va

effettuata da persona competente, preparata e paziente.

Le modalità possono essere anche molto diverse a se-

conda della perizia dell’addestratore: va però detto che

un animale affamato o stressato non potrà mai garantire

l’efficienza e la concentrazione necessaria per ottenere

dei buoni risultati. Deve essere pertanto cura e dovere

del proprietario garantire il rispetto di condizioni ido-

nee di vita secondo le esigenze naturali dell’animale.

Dovranno pertanto essere rispettate queste semplici re-

gole:

- Fornire sempre cibo e acqua pulita a sufficienza e

secondo le ragionevoli esigenze alimentari ed igeni-

che del cane;

- Assicurare il decoro e la pulizia del ricovero: in parti-

colare per i cani custoditi all’aperto, all’interno di box

o recinti dovranno essere assicurati spazi sufficiente-

mente ampi, possibilità di muoversi e protezione dal-

le intemperie;

- Fornire un’adeguata assistenza medico veterinaria: se

ammalato o ferito l’animale deve essere sottoposto

alle cure di un veterinario.

- Dopo ogni uscita va fatta una accurata ispezione del-

l’animale, alla ricerca di parassiti o ferite.

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Alcuni fattori condizionanti la produzione del tartufo

Il tartufo per vivere necessita di un insieme di fattori eco-

logici particolari i quali, una volta alterati, possono incide-

re negativamente sulla sua capacità produttiva. Alcune cau-

se di alterazione di questi fattori sono riconducibili a varie

attività umane e possono essere così sintetizzati:

• Le concimazioni artificiali e i diserbanti chimici, provo-

cando considerevoli mutamenti nello strato superficiale

del terreno soprattutto a carico della sostanza organica

e dello strato umifero, sconvolgono l’intero sistema mi-

cologico naturale.

• Le lavorazioni profonde del terreno, i conseguenti trat-

tamenti chimici eseguiti su larga scala e la costipazione

del terreno dovuta al peso delle macchine sono alcune

conseguenze negative della moderna meccanizzazione

agricola, che ostacolano gravemente la costituzione del

micelio.

• L’inquinamento dell’aria e delle falde idriche - modifi-

cando le quantità dell’anidride carbonica, dei nitrati e

dei solfati - può incidere sia sulla composizione specifi-

ca dei soprassuoli (ci sono piante più o meno resistenti

o capaci di utilizzare le maggiori quantità di sali mine-

rali presenti nell’ambiente) che sulla flora microbica e

micologica del terreno.

• L’utilizzo nei rimboschimenti di specie non autoctone

determina modifiche alla composizione specifica dei so-

prassuoli e di conseguenza alle specie micologiche sim-

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bionti.

• Il progressivo ridursi delle aree boscate e naturaliformi -

soprattutto nelle zone di pianura e collina - che servono

potenzialmente da area di riserva e di propagazione del

tartufo;

• l’eccessivo carico antropico esercitato da un numero

sempre crescente di raccoglitori, i quali spesso effettua-

no la raccolta in modo scorretto, danneggiando irrime-

diabilmente il micelio.

Quecus peduncolata Willd. (farnia) Ramoscello su cui si vedono in alto fiori pistelliferi

ed in basso fiori staminiferi

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Tartufaie controllate e coltivate

Su espressa richiesta del proprietario/conduttore l’Am-

ministrazione Provinciale può riconoscere il diritto di pro-

prietà esclusivo dei tartufi prodotti nelle tartufaie control-

late e coltivate, purchè siano apposte tabelle delimitanti le

tartufaie stesse e siano rispettate le regole dettate per la

gestione del soprassuolo. Tali regole vanno a sostituire le

Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale per la gestione

del soprassuolo all’interno della tartufaia riconosciuta.

Le “tartufaie controllate” sono individuate in quei so-

prassuoli dove i tartufi crescono allo stato naturale, sotto-

posti a miglioramenti colturali e incrementati con la messa

a dimora di un congruo numero di idonee piantine mico-

rizzate. Le operazioni da eseguire all’interno della tartufa-

ia controllata devono essere finalizzate esclusivamente ad

incrementare la produzione del tartufo.

Le “tartufaie coltivate” sono impiantate ex-novo: gli ac-

corgimenti da seguire sono pertanto gli stessi utilizzati nel-

la esecuzione dei rimboschimenti, con la differenza che si

devono utilizzare piantine micorizzate. Prima è necessario

valutare la idoneità della stazione alle esigenze del tartufo:

vanno quindi verificate - mediante analisi di campioni - le

caratteristiche chimico-fisiche del terreno. Quelli più vo-

cati presentano un PH con valori intorno a 7 o 8 (debol-

mente alcalini), ricchi di calcare, poveri di sostanza orga-

nica e a tessitura sciolta.

Verificata la idoneità della stazione, i passi successivi

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riguardano la scelta delle specie da utilizzare, la definizio-

ne del sesto di impianto, la preparazione del terreno, le

modalità ed il periodo da utilizzare nella messa a dimora.

Inoltre assumono grande importanza - per la riuscita del-

l’impianto - le cure colturali da eseguirsi nei prime quat-

tro/cinque anni, che consistono indicativamente nei risar-

cimenti delle piantine fallite, nella gestione del terreno,

nel controllo delle infestanti e nelle eventuali irrigazioni di

soccorso.

Commercializzazione

I tartufi freschi posti in vendita devono essere distinti

per specie e varietà, maturi, sani e liberi da corpi estranei e

impurità. I tartufi interi vanno tenuti separati dai “tartufi

spezzati” (pezzi con dimensioni superiori a 0,5 cm di dia-

metro) e dal “tritume” (dimensioni inferiori a 0,50 cm di

diametro). Per ogni tipologia posta in vendita deve essere

indicato il nome latino e italiano della specie.

La attuale normativa (Legge n. 752/85) prevede che la

lavorazione del tartufo, per la conservazione e la successi-

va vendita, possa essere effettuata:

• dalle ditte iscritte alla Camera di Commercio, Industria,

Artigianato e Agricoltura nel settore delle industrie pro-

duttrici di conserve alimentari;

• dai consorzi volontari per la difesa del tartufo, costituiti

(ai sensi dell’art. 4 della Legge 752/85) da titolari di azien-

de agricole e forestali e da coloro che le conducono;

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• da cooperative di conservazione e commercializzazio-

ne del tartufo.

Va detto che il tartufo può essere considerato un prodot-

to della selvicoltura, e come tale la sua coltivazione rientra

nelle possibili attività dell’imprenditore agricolo così come

concepito dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228

“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a

norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57".

Il tartufo può pertanto essere oggetto di attività di vendita

Foglie (1 - 3) e gemme (4) di Populus alba (gattice)

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ai sensi dell’articolo 4 del citato Decreto, il quale al com-

ma 5 prevede la “vendita di prodotti derivati, ottenuti a

seguito di attivita’ di manipolazione o trasformazione dei

prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfrut-

tamento del ciclo produttivo dell’impresa.”

Per quanto riguarda il regime IVA, va ricordato che i

tartufi sono esclusi dalla tabella A (parte I voce n. 15) di cui

all’art. 34 del DPR 26/10/72 n. 633, il quale disciplina il

“regime speciale” per i produttori agricoli.

Le fiere locali dedicate al tartufo sono un’occasione par-

ticolare di commercializzazione del prodotto, in quanto

hanno una forte capacità di attrazione turistica/gastrono-

mica e possono diventare inoltre un importante momento

di presentazione del territorio e degli altri prodotti locali.

Nell’ambito provinciale si segnalano le seguenti sagre/fie-

re:

1. PORTICO DI ROMAGNA: Sagra dei frutti del sottobo-

sco e dell’artigianato tipico. Secondo fine settimana di ot-

tobre

2. DOVADOLA: Fiera e Sagra del Tartufo. Terza e quarta

domenica di ottobre.

3. CUSERCOLI: Sagra del Tartufo del Bidente. Indicativa-

mente seconda e terza domenica di novembre.

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NORME DI LEGGE E REGOLAMENTI

La coltivazione e la raccolta dei tartufi è attualmente

regolamentata dalle seguenti disposizioni:

• Legge 16 dicembre 1985 n. 752 “Normativa quadro in

materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartu-

fi freschi o conservati destinati al consumo”.

• Legge 17 maggio 1991 n. 162 “Modifiche alla legge 16

dicembre 1985, n. 752, recante normativa quadro in ma-

teria di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi

freschi o conservati destinati al consumo.”

• Legge Regionale 4 settembre 1981 n. 30 “Incentivi per

lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse forestali, con

particolare riferimento al territorio montano”.

• Legge Regionale 2 settembre 1991 n. 24 “Disciplina della

raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi nel terri-

torio regionale, in attuazione della legge 16 dicembre

1985 n. 752”.

• Legge Regionale 25 giugno 1996 n. 20 “Modifica della

L.R. 2 settembre 1991, n. 24 «Disciplina della raccolta,

coltivazione e commercio dei tartufi nel territorio regio-

nale, in attuazione della legge 16 dicembre 1985, n.

752»”.

• Legge Regionale 24 gennaio 1977 n. 2 “Provvedimenti

per la salvaguardia della flora regionale - Istituzione di

un fondo regionale per la conservazione della natura -

Disciplina della raccolta dei prodotti del sottobosco”.

Articolo 10, 12, 13.

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• Deliberazione di Giunta Regionale n. 952 del 24 marzo

1992 “Direttiva regionale inerente l’applicazione della

raccolta coltivazione e commercio dei tartufi nel territo-

rio regionale, in attuazione della legge 16 dicembre

1985”.

• Deliberazione di Giunta Regionale n. 182 del 31 mag-

gio 1995 “Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale”.

Articolo 28.

calendario per la ricerca e raccolta dei tartufi - Zone di Collina

calendario per la ricerca e raccolta dei tartufi - Zone di Pianura

specie Genn. Feb. Marzo Apri. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.

T. Magnatum fino al 20 dal 20

T. Melanosporum

T. aestivum

T. uncinatum dal 20

T. brumale

T. albidum

T. macrosporum fino al 20 dal 20

specie Genn. Feb. Marzo Apri. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.

T. Magnatum fino al 20

T. Melanosporum

T. aestivum

T. uncinatum dal 20

T. brumale

T. albidum

T. macrosporum fino al 20

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Caratteristiche delle specie commerciabili

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Tuber magnatum Pico

Detto volgarmente tartufo bianco (o anche tartufo bian-

co del Piemonte, di Alba o tartufo bianco di Acqualagna).

Ha peridio o scorza non verrucosa ma liscia, di colore giallo

chiaro o verdicchio, e gleba o polpa dal marrone al noc-

ciola più o meno tenue, talvolta sfumata di rosso vivo, con

venature chiare fini e numerose che scompaiono con la

cottura. Ha spore ellittiche o arrotondate, largamente reti-

colate o alveolate, riunite fino a quattro negli aschi. Emana

un forte profumo gradevole.

Matura da ottobre a fine dicembre. Talvolta anche in lu-

glio, in agosto o gennaio è possibile trovare i cosiddetti

fioroni, ossia carpofori molli, verminati e maleodoranti: in

questo caso bisogna astenersi dalla raccolta e la buca va

chiusa accuratamente, in quanto, come già detto, conten-

gono numerosissime spore utili per la riproduzione della

specie

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Tuber melanosporum Vitt.

Detto volgarmente tartufo nero pregiato (o anche tartufo

nero di Norcia o di Spoleto). Ha peridio o scorza nera ru-

gosa con verruche minute, poligonali, e gleba o polpa nero-

violacea a maturazione, con venature bianche fini che di-

vengono un po’ rosseggianti all’aria e nere con la cottura.

Ha spore ovali bruno scure opache a maturità, aculeate

non alveolate, riunite in aschi nel numero di 4-6 e talvolta

anche solo di 2-3. Emana un delicato profumo molto gra-

devole. Matura da metà novembre a metà marzo.

Questo tartufo ha la particolarità di formare attorno alla

pianta simbionte un’area priva di vegetazione: questa zona,

detta “cava”, “pianello” o

“bruciata” sembra essere de-

terminata da un principio fi-

totossico prodotto dal tartufo,

che inibisce la germinazione

dei semi delle piante erbacee.

Molto raro in Emilia-Roma-

gna, è stato segnalato in pro-

vincia di Forlì-Cesena; è inve-

ce comune nell’Italia centra-

le (Marche e Umbria) e nel

Piemonte. In Francia, dove‘è

considerato il tartufo di mi-

gliore qualità, viene coltivato

con successo.

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Tuber brumale Vitt.

Detto volgarmente tartufo nero d’inverno o trifola nera.

Ha peridio o scorza rosso scuro che diviene nera a matura-

zione, con verruche piramidate e gleba o polpa grigio-ne-

rastra debolmente violacea, con venature bianche ben mar-

cate che scompaiono con la cottura assumendo tutta la

polpa un colore cioccolata più o meno scuro. Ha spore

ovali brune, traslucide a maturità, aculeate non alveolate,

riunite in aschi nel numero di 4-6 e talvolta anche meno,

più piccole di quelle del Tuber melanosporum e meno scu-

re. Emana poco profumo. Matura da gennaio a tutto mar-

zo.

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Tuber brumale var. moschatum De Ferry

Detto volgarmente tartufo moscato. Ha peridio o scorza

nera con piccole verruche molto basse e gleba o polpa

scura con larghe vene bianche; è di grossezza mai superio-

re ad un uovo. Ha spore aculeate non alveolate spesso in

numero di cinque per asco. Emana un forte profumo e ha

sapore piccante. Matura da febbraio a marzo.

È simile al Tuber brumale, con il quale condivide le stes-

se piante simbionti e gli stessi ambienti - dal quale differi-

sce per il colore più chiaro della gleba e per il forte odore

di muschio

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Tuber aestivum Vitt.

Detto volgarmente tartufo d’estate o scorzone. Ha peri-

dio o scorza grossolanamente verrucosa di colore nero, con

verruche grandi piramidate, e gleba o polpa dal giallastro

al bronzeo, con venature chiare e numerose, arborescenti,

che scompaiono nella cottura. Ha spore ellittiche, irrego-

larmente alveolate, scure, riunite in 1-2 per asco presso a

poco sferico. Emana debole profumo che ricorda il fungo

porcino. Matura da giugno a novembre.

Anch’esso forma i “pianelli”, seppure in maniera meno

evidente rispetto al nero pregiato.

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Tuber uncinatum Chatin

Detto volgarmente tartufo uncinato o tartufo nero di Fra-

gno. Ha peridio o scorza verrucosa di colore nero, con

verruche poco sviluppate, e gleba o polpa di colore noc-

ciola scuro al cioccolato, con numerose venature ramifi-

cate chiare. Ha spore ellittiche, con reticolo ben pronun-

ciato, ampiamente alveolate riunite in asco in numero fino

a cinque, che presentano papille lunghe e ricurve ad unci-

no. Emana un profumo gradevole. Matura da settembre a

novembre.

È molto simile al T.aestivum, da cui differisce per alcune

caratteristiche morfologiche macro e microscopiche, e per

il valore organolettico superiore. Anche se alcuni studiosi

considerano questi due tartufi come due varietà di una me-

desima specie, essi sono considerati dalle leggi italiana

come due specie distinte. La Legge 752/85 in un primo

tempo aveva individuato un T.aestivum var. uncinatum, suc-

cessivamente una modifica alla Legge (L. 162/91) lo ha ri-

n o m i n a t o

T.uncinatum

Chatin.

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Tuber Borchii Vitt. o Tuber albidum Pico

Detto volgarmente bianchetto o marzuolo. Ha peridio o

scorza liscia di colore biancastro tendente al fulvo e gleba

o polpa chiara tendente al fulvo fino al violaceo-bruno con

venature numerose e ramose. Ha spore leggermente ellitti-

che regolarmente alveolate o reticolate a piccole maglie

riunite in aschi fino a 4. Emana un profumo tendente un

po’ all’odore dell’aglio. Matura da metà gennaio a metà

aprile.

È molto comune, in ambienti anche piuttosto diversi tra

loro: è infatti uno dei tartufi meno esigenti, preferisce terre-

ni sabbiosi ma si adatta anche in suoli franchi o argillosi e

sopporta terreni a reazione neutra o sub-acida.

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Tuber macrosporum Vitt.

Detto volgarmente tartufo nero liscio. Ha peridio o scor-

za quasi liscia con verruche depresse, di colore bruno ros-

sastro e gleba bruna tendente al porpureo con venature

larghe numerose e chiare brunescenti all’aria. Ha spore el-

littiche, irregolarmente reticolate e alveolate riunite in aschi

peduncolati in numero di 1-3. Emana un gradevole profu-

mo agliaceo piuttosto forte. Matura da agosto ad ottobre.

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Tuber mesentericum Vitt.

Detto volgarmente tartufo nero ordinario (o anche tartu-

fo nero di Bagnoli). Ha peridio o scorza nera con verruche

più piccole del tartufo d’estate, gleba o polpa di colore

giallastro o grigio-bruno con vene chiare laberintiformi che

scompaiono con la cottura. Ha spore ellittiche grosse im-

perfettamente alveolate riunite in 1-3 per asco. Emana un

debole profumo. Matura da settembre ai primi di maggio.

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TARTUFI NON COMMERCIALIZZABILI

È possibile incontrare numerose altre specie di funghi

ipogei, che però non possono essere commercializzati; molti

di questi possono risultare più o meno tossici e dare distur-

bi gastrointestinali. Alcuni possono prestarsi a frodi alimen-

tari, se commercializzati mischiati ai tartufi pregiati. In ogni

caso, se durante la cerca ci si imbatte in questi tartufi, è

buona pratica non asportarli né tantomeno distruggerli, al

fine di preservare l’equilibrio ambientale.

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GLOSSARIO

Asco: organo caratteristico dei funghi ascomiceti, a forma di sacco, conte-nente le spore. Si trova all’interno delle zone scure della gleba.Ascospore: spore contenute all’interno dell’asco.Autotrofo: organismo capace di vivere utilizzando per la nutrizione acquaed elementi inorganici. le piante provviste di clorofilla vivono in modo auto-trofo.Carpoforo: corpo fruttifero di molti funghi superiori. E’ il termine scientificoche indica ciò che comunemente viene detto tartufo.Clorofilla: pigmento di colore verde, presente nelle foglie e nelle porzionigiovani del fusto delle piante, indispensabile per realizzare la fotosintesi clo-rofilliana.Comunità: è l’insieme degli organismi (piante e animali) che condividono lostesso ambiente fisico.Deiscente: Si definiscono deiscenti i frutti che a maturità si aprono spontane-amente per far fuoriuscire i semi (per esempio i frutti del castagno).Ecosistema: sistema che include tutti gli organismi che vivono insieme (co-munità biotica) in una data area, interagenti con l’ambiente fisico, in modoche tale flusso di energia porta ad una ben definita struttura biotica e ad unaciclizzazione dei materiali tra viventi e non viventi, all’interno del sistema(Eugele P. Odum).Eterotrofi: gli organismi che necessitano per la propria nutrizione di sostan-za organica già formata.Fiorone: tartufo precoce o tardivo, molto scadente dal punto di vista alimen-tare, molle, poco profumato e spesso pieno di larve.Fotosintesi: processo di formazione attivato dall’energia solare da parte dellepiante verdi di composti organici a partire da sostanze elementari semplicicome l’acqua (H2O) i sali minerali e l’anidride carbonica (CO2) e con libera-zione di ossigeno.Gleba: a parte interna del carpoforo, dal caratteristico aspetto marmorizzato.Le venature chiare sono sterili, mentre quelle scure contengono gli aschi.Habitat: il tipo di ambiente (complesso dei fattori fisici e chimici) nel qualevive un determinata specie.Ifa: filamento microscopico del fungo che si accresce nel substrato (terreno,legno, ecc.). Un intreccio di varie ife costituisce il micelio.Micelio: indica il corpo vegetativo dei funghi.Micoclena: manicotto fungino costituito da ife che avvolgono il rizoderma,

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che conferisce un aspetto ingrossato e rigonfio alla radice.Nicchia ecologica: indica il ruolo di una specie in un ecosistema, ossia il suomodo di vivere e tutte le condizioni fisiche, chimiche e biologiche che nepermettono l’esistenza in quel particolare ambiente.Parassita: organismo animale o vegetale che vive a spese di un altro di diver-sa specie.Peridio: è lo strato esterno del carpoforo.Piante vascolari o superiori: piante dotate di tessuti ben differenziati (fusto,radice, foglie).Pollone: porzione epigea di una pianta che prende origine dalla ceppaia,direttamente dal tronco o più raramente dalle radici. La capacità polloniferapuò essere nulla o molto marcata a seconda della specie.Popolazione: organismi di una determinata specie che abitano una porzionedelimitata di spazio;Rizoma: fusto sotterraneo avente in genere la funzione di organo di riservadelle sostanze alimentari e la capacità di emettere continuamente radici efusti avventizi.Rizoderma: epidermide della radice il quale può essere infettato dal miceliodei funghi nella costituzione della micorriza.Saprofita: organismo eterotrofo che vive spese di organismi morti o di so-stanza organica in decomposizione contribuendo alla loro degradazione en-zimatica.Sesto di impianto: indica la distanza tra le piante nei rimboschimenti artifi-ciali.Simbiosi: stretta relazione tra individui di specie diverse per trarne beneficioreciproco.Spore: entità riproduttive indispensabili alla riproduzione dei funghi. Sonol’elemento indispensabile per procedere alla certa identificazione.

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1 VIOLAZIONI RELATIVEALLA DOCUMENTAZIONE

1.1 Raccolta di tartufi senza essere in possesso deltesserino prescritto perchè non conseguito

1.2 Raccolta di tartufi con tesserino sprovvisto delversamento comprovante l'avvenuto pagamen-to della tassa di concessione Regionale.

1.3 Raccolta di tartufi con tesserino scaduto

2 VIOLAZIONI RELATIVE ALL'OGGETTO

2.1 RaccoLta di tartufi immaturi

2.2 Raccolta di tartufo, nelle zone di libera raccol-ta, in quantità superiore a quella consentita

2.3 Commercio di tartufi freschi fuori dal periododi raccolta

2.4 Commercio di tartufi freschi senza il rispettodelle modalità

2.5 Lavorazione e commercio dei tartufi conser-vati da parte di soggetti non autorizzati

2.6 Commercio di tartufi conservati senza il rispettodelle modalità prescritte dagli artt. 9-10-11-12-13 e 14 della legge n° 752/85, salvo che il fat-to non costituisca reato, a norma degli artt. 515e 516 del C.P.

5/3°8/3°

8/1°/E3/1°

3/1°

10/1°8/1°/E

12/2°/B8/1°/I

5/2°8/1°/H

6/5°8/1°/P

78/1°/P

88/1°/Q

9 - 10 - 1112 - 13

148/1°/R

L. n°752 del 16/12/85L.R. 2/9/91 n° 24

L.R. 25/6/96 n° 20L.R. 28/1/91 n° 3

L. R. 28/1/91 n° 3

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752

L.R. 25/6/96 n° 20

Euro 516

--------

Euro 516

Euro 154

Euro 154

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

N.

d'or

dine

T R A S G R E S S I O N E Somma daversare perl'oblazione

Oggettipassibili

di confiscaArticolo Legge

SANZIONI PREVISTEDISPOSTO DI LEGGE

Nota: Per tale infrazione copia del processo verbale deve essere trasmessa al Presidente della GiuntaRegionale ai sensi dell'art. 7 della Legge Regionale n° 26/79.

Nota : si veda la nota riportata in calce al precedente punto 1.1.

PRONTUARIOdelle infrazioni alle leggi sul tartufo

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3 VIOLAZIONI RELATIVE AI MEZZI

3.1 Scavo con attrezzi diversi da quelli consentiti

4 VIOLAZIONI RELATIVE AI TEMPI

4.1 Ricerca e raccolta di tartufi durante le ore not-turne e negli orari di divieto

4.2 Raccolta di tartufi in periodo di divieto

5 VIOLAZIONI RELATIVE AI LUOGHI

5.1 Apertura di buche al di fuori dei punti in cui ilcane abbia iniziato lo scavo

5.2 Raccolta di tartufi nelle zone di rifugio, nelleoasi di protezione della fauna selvatica, nellezone di ripopolamento e cattura in violazionedei divieti

5.3 Idem coma sopra per le aziende faunistichevenatorie (A.F.V.) e Agri turistico venatorie(A.T.V.)

5.4 Raccolta di tartufo nelle aree rimboschite, pur-chè adeguatamente tabellate, per un periododi anni 15 dalla data di messa a dimora

5.5 Raccolta di tartufi entro le zone tabellate qua-li tartufaie controllate o coltivate anche con-sorziali

6 VIOLAZIONI RELATIVE AI MODI DI RACCOLTA

6.1 Raccolta di tartufi effettuata con l'ausilio di piùdi due cani per cercatore

6.2 Raccolta dei tartufi nelle zone di rifugio, nelleoasi di protezione della fauna selvatica, nellezone di ripopolamento e cattura, nelle A.F.V.e nelle A.T.V. con l'ausilio di più di un cane

6.3 Apertura di buche in soprannumero o nonriempite a regola d'arte nel limite di cinquebuche o frazione di cinque aperte

12/1°8/1°/B

5/2°8/1°/L

13/1°6/1° e 2°8/1°/G

12/1°8/1°/D

7/1° o7/4°/B8/1°/N

7/3/° o7/4°/B8/1°/N

18/2°/C8/1°/F

3/2°8/1°/M

12/1°8/1°/A

7/1°8/1°/A

18/2°/B8/1°/D

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L. 16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

L.16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

Euro 516Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 172

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 516

Euro 172

TartufoTartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

N.

d'or

dine

T R A S G R E S S I O N E Somma daversare perl'oblazione

Oggettipassibili

di confiscaArticolo Legge

SANZIONI PREVISTEDISPOSTO DI LEGGE

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7 VIOLAZIONI VARIE

7.1 Raccolta di tartufi senza l'ausilio del cane ad-destrato

7.2 Lavorazione andante del terreno tartufigenonel periodo di raccolta dei tartufi per ognimille metri quadrati

7.3 Mancata riempitura di ogni buca aperta

7.4 Apposizione o mantenimento di tabelle di ri-serva nelle tartufaie non riconosciute comecoltivate o controllate

7.5 Mancata segnalazione della presenza del cer-catore nelle A.F.V. e nelle A.T.V.

L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 2/9/91 n° 24L.R. 25/6/96 n° 20

L.16/12/85 n° 752L.R. 25/6/96 n° 20

L.R. 25/6/96 n° 20

Euro 516

Euro 516

Euro 172

Euro 516

Euro 102

Tartufo

Tartufo

Tartufo

Tartufo

8/1°/A

12/2°/A8/1°/C

12/3°8/1°/D

3/3°8/1°/O

7/3°8/1°/S

N.

d'or

dine

T R A S G R E S S I O N E Somma daversare perl'oblazione

Oggettipassibili

di confiscaArticolo Legge

SANZIONI PREVISTEDISPOSTO DI LEGGE

Note: Se il trasgressore non rimuove le tabelle abusive, l'ente delegato provvede d'ufficio, previadiffida, ponendo la relativa spesa a carico del trasgressore

Note: La sanzione non si applica in assenza degli appositi contenitori

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INDICE

Presentazione ......................................................................... pag. ........... 5

Introduzione .......................................................................... pag. ........... 6

Nozioni di ecologia ................................................................ pag. ........... 7

I tartufi ................................................................................... pag. ......... 11

Classificazione ..................................................................... pag. ......... 11

Anatomia ............................................................................. pag. ......... 12

Ciclo biologico .................................................................... pag. ......... 13

Le micorrize ......................................................................... pag. ......... 15

L’ambiente del tartufo: le piante ed il bosco .......................... pag. ......... 19

Le piante superiori - cenni di anatomia vegetale ................. pag. ......... 19

Le specie simbionti dei tartufi. ............................................. pag. ......... 23

Il bosco ................................................................................ pag. ......... 24

La fauna ............................................................................... pag. ......... 27

La raccolta del tartufo ............................................................ pag. ......... 29

Modalità di raccolta ............................................................. pag. ......... 29

Il cane da tartufo .................................................................. pag. ......... 32

Alcuni fattori limitanti la produzione del tartufo ................. pag. ......... 35

Tartufaie controllate e coltivate ............................................ pag. ......... 37

Commercializzazione .......................................................... pag. ......... 38

Norme di legge e Regolamenti ............................................... pag. ......... 41

Caratteristiche delle specie commerciabili ............................ pag. ......... 43

Tuber magnatum Pico .......................................................... pag. ......... 45

Tuber melanosporum Vitt ..................................................... pag. ......... 46

Tuber brumale Vitt ............................................................... pag. ......... 47

Tuber brumale var. moschatum De Ferry, ............................ pag. ......... 48

Tuber aestivum Vitt .............................................................. pag. ......... 49

Tuber uncinatum Chatin, ..................................................... pag. ......... 50

Tuber Borchii Vitt. o Tuber albidum Pico ............................. pag. ......... 51

Tuber macrosporum Vitt ....................................................... pag. ......... 52

Tuber mesentericum Vitt ...................................................... pag. ......... 53

Tartufi non commercializzabili ............................................ pag. ......... 54

Glossario ................................................................................ pag. ......... 55

Prontuario delle infrazioni alle leggi sul tartufo ..................... pag. ......... 57

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BIBLIOGRAFIA:

• A. Bernicchia, F. Padovan “I funghi dell’Emilia-Romagna” -1999, Regione Emilia-Romagna,

• AA.VV - Il tartufo raccolta e coltivazione - “Il Divulgatore” annoXVIII n. 7 - 1995, Provincia di Bologna

• AA.VV - Sulle strade del tartufo - “Il Divulgatore” anno XXIII n.1 - 2000, Provincia di Bologna

• AA.VV - Il campo e la Siepe - 1995, Provincia di Forlì-Cesena• AA.VV. - Conoscere i tartufi - 1989, Regione Emilia Romagna• AA.VV. - Difesa della Flora e della Fauna - manuale per il corso

di guardie giurate volontarie - 1981, Provincia di Forlì-Cesena• AA.VV. - Funghi epigei ed ipogei - 1988 Provincia di Pesaro e

Urbino• AA.VV. - Il Tartufo nelle Marche - supplemento n. 5/2000 delle

rivista Regione Marche Agricoltura - 2000 Regione Marche• AA.VV. - Il Tartufo piccola guida alle norme, alle procedure, ai

servizi - 2002, Regione Toscana• AA.VV. - Tartufi e Funghi - 1997 Provincia di Pesaro e Urbino• E. Odum - Basi di Ecologia - 1973, Piccin Editore• Elena Tibiletti Alessandra Zambonelli - I tartufi della Provincia di

Forlì-Cesena - 1999, Provincia di Forlì-Cesena• Rino Rossi Gabriella Graziani “I tartufi pregiati - ecologia e

moderni metodi di coltivazione” CCIIA di Forlì• Gregori e Gregorini “Tartufi” Provincia di Rimini

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per informazioni:Provincia di Forlì-Cesena

Servizio Agricoltura e Spazio RuralePiazza G.B. Morgagni, 2

47100 Forlì

Ufficio TartufiResponsabile: Riccardo Fiorini 0543 714551

Rilascio e rinnovo tesserino: Barbara Tomasini 0543 714534Riconoscimento tartufaie controllate/coltivate: Giovanni Fabbri 0543 714504

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Impaginazione grafica a cura del Centro Stampa Provincia di Forlì-Cesena

Finito di stampare nel mese di dicembre 2006Filograf - Forlì