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1 Aggiungi al carisma la formazione Quaderni di formazione continua in àmbito storico e teologico _______________________ n° 2 ______________________ Giancarlo Rinaldi Pagine indigeste dell’Antico Testamento. Il Dio dei cristiani è il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe? Esemplare non destinato alla vendita in quanto corredo per attività didattiche

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Aggiungi al carisma la formazione

Quaderni di formazione continua in àmbito storico e teologico _______________________ n° 2 ______________________

Giancarlo Rinaldi

Pagine indigeste dell’Antico Testamento.

Il Dio dei cristiani è il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe?

Esemplare non destinato alla vendita in quanto corredo per attività didattiche

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Indice

Introduzione 5

1. I testi incriminati 9

2. Tentativi di spiegazione 17

3. Bibbia e Corano 23

4. Dio parla nella storia 27

5. Le colpe dei padri si riversano sui figli 31

6. Impariamo da Gesù 41

7. Parola di Dio e parola dell’uomo 45

8. Un unico Dio con diversi ritratti 49

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Introduzione

La nostra società, a differenza di quanto avveniva decenni or

sono, si sta secolarizzando o, se preferite dire pane al pane e vino al vino, si sta ‘scristianizzando’. Il pensiero di atei e razionalisti corrosivi della religione viene propalato in forma sovente aggressiva, talché si ha la sensazione che si tratti di una “campagna di evangelizzazione” al contrario, dove la buona notizia sia la non esistenza di Dio e la conseguente inutilità, se non la dannosità, della Bibbia. Si giunge a dubitare dell’esistenza storica di Gesù, di Paolo e così via.

A dire il vero nella storia al cristianesimo e alle Scritture non sono mai mancate critiche e queste sono state sempre pesanti. Io stesso, nel corso degli anni, mi sono preoccupato di raccogliere tali critiche nell’àmbito di una ricostruzione del conflitto tra paganesimo e cristianesimo in età romana imperiale. In particolare ho curato una raccolta di critiche al testo e al racconto biblico prodotte dagli avversari della fede cristiana1.

In base a tutto ciò che ho letto, di antico e di attuale, posso dire che le critiche degli intellettuali di età romana imperiale erano corrosive sì, ma avevano qualcosa di elegante. Costoro erano nostalgici della loro Tradizione vetusta e volevano porla in salvo dall’accanita azione missionaria dei cristiani nei quali ravvisavano dei deviazionisti dalla religione giudaica. Possiamo dire, con buona dose di approssimazione, che questi antichi polemisti volevano dunque, ricostruire e riparare. Al contrario, nella quasi totalità delle critiche attuali scorgo un prevalente desiderio di abbattere, confutare, annientare. A volte ho la sensazione che l’impresa venga condotta prevalentemente al fine di cancellare un’etica, un sistema di valori che dà fastidio.

Le obiezioni degli antichi alla Scrittura stimolarono lo sviluppo dell’esegesi biblica patristica contribuendo alla stesura di interi volumi e trattati apologetici. Il fenomeno di “azione e 1 G. Rinaldi, Biblia gentium, Roma 1989; Id., La Bibbia dei pagani. I. Il

contesto storico, Bologna 1997; II. Testi e documenti, Bologna 1998.

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reazione” fu parallelo a quanto avvenne in connessione al fiorire dell’eresia la quale, per reazione, diede la stura alla riflessione teologica ed alla definizione della dottrina ortodossa.

È però innegabile che in molte pagine scritturistiche vi siano episodi che fanno a cazzotti con la nostra moderna sensibilità etica. Mi riferisco principalmente a tanti brani dell’Antico Testamento dove compaiono guerre, violenze atroci, truffe, inganni, etc. Di fronte a ciò il filosofo Bertrand Russell nel suo volume dal titolo Perché non sono cristiano ebbe a definire la Bibbia un greve libro di guerra. Oggi gli atei sono andati oltre e non esitano a gettare a mare tutta la letteratura biblica rubricandola tra la paccottiglia inaccettabile e diseducativa prodotta dall’insano sentimento della fede. Ci si priva in tal modo di un autentico capolavoro della letteratura mondiale, per non parlare della dimensione spirituale e religiosa.

Quali sono le reazioni dei moderni apologeti della fede, specialmente in campo evangelico? Sia ben chiaro che nessuno tra costoro può negare sia l’effettiva e oggettiva esistenza di tali pagine sia il fatto che esse contengono episodi e insegnamenti lontani anni luce da quel che oggi riteniamo sia buono e corretto.

La prima reazione, che è di tipo ‘fondamentalista’, consiste nel non entrare nel merito, bensì nel condannare senza pensarci troppo i non credenti con minacce d’inferno e basta. Questa è la maniera più rapida e sicura per alimentare l’ostilità dei razionalisti che trovano conferma alla loro accusa di oscurantismo rivolta ai credenti.

C’è poi chi giustifica quelle che io chiamo le “pagine indigeste” della Bibbia dichiarando che gli episodi che vi si leggono, anche se sembrano immorali, sono tutti giusti e legittimi perché derivano dalla volontà di Dio. E, infatti, ‘giusto’ può dirsi solo e soltanto quello che Dio vuole, per il solo fatto stesso che è Dio a volerlo. Così ragionando costoro non s’accorgono di ricorrere a una tautologia, cioè a un errore logico che consiste nel risolvere un problema ricorrendo a un argomento che per la controparte dialettica non è stato dimostrato e quindi non può essere accettato (nel nostro caso l’esistenza di Dio, prima ancòra dell’accertamento della Sua volontà eventualmente da dirsi giusta). D’altro canto

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come altro potrebbero rispondere questi ‘apologeti’ se sono persuasi che la Bibbia va tutta letta alla lettera, quasi alla stregua di un foglio di montaggio per mobili acquistati all’Ikea.

In questo quaderno non proverò l’inutile impresa di far da avvocato difensore della Bibbia o di Dio. Invece mi cimenterò a esporre quella che ritengo sia la risposta più semplice e persuasiva: contestualizzare i brani biblici in esame e far emergere come essi siano in sintonia con la cultura dell’epoca in cui furono composti. Nella fase successiva del ragionamento mi sforzerò di far emergere una linea di progresso storico nella quale il razionalista potrà individuare un processo di elevazione morale dell’umanità, mentre il credente potrà scorgervi la pedagogia di Dio che non solo eleva ma è anche salvifica.

Come sempre i miei lettori sono liberi di prender da queste paginette ciò che ritengono sia loro utile non facendosi scrupolo, eventualmente, di concludere in senso diametralmente opposto al mio. Buona lettura!

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Capitolo primo

I testi incriminati

Prima di affrontare il tema nelle sue linee generali è doveroso individuare con precisione i brani incriminati, se non tutti almeno i principali. Elencheremo gli episodi così come sono narrati, senza aggiungere alcun commento né in chiave apologetica né in quella denigratoria.

La conoscenza accurata dei seguenti episodi è indispensabile per essere consapevoli di cosa parliamo, altrimenti si rischia di disquisire a vuoto su generalità.

Si tenga ben presente che quella che qui di sèguito presento è solo una scelta di brani senza pretesa alcuna di esaustività. Non riporto il testo, che ciascun lettore può comodamente reperire nella sua Bibbia, bensì mi limito a un cenno sul contenuto.

Genesi, 34,13. La strage di Sichem. Dina era figlia del patriarca Giacobbe e di Lia. Fu ammirata

da un cananeo di nome Sichem (questo era anche il nome della sua tribù) il quale la rapì e la violentò. Poi se ne innamorò così che il padre di costui, Camor, di recò dal padre di Dina, Giacobbe, per regolarizzare l’unione. Secondo le consuetudini del tempo alle nozze era abbinata anche un’alleanza tra le tribù. I due scaltri fratelli di Dina, Simeone e Levi, finsero di accettare di buon grado, a patto che i sichemiti si fossero fatti circoncidere. Così avvenne. Dopo tre giorni, mentre questi maschi erano ancòra dolenti per l’operazione subìta nella loro carne. Simeone e Levi irruppero nella loro città liberando Dina, ma non si limitarono a ciò: fecero una strage; gli uomini e i bambini furono presi come bottino di guerra; i loro beni depredati.

Genesi, capp. 6 e 7. Il diluvio. Si racconta come Dio si sia pentito di aver creato il genere

umano e come l’abbia fatto perire tutto con un’enorme inondazione, salvando solo Noè e il suo stretto nucleo familiare.

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Genesi, 19,6. Sodoma e Gomorra. A Sodoma il pio Lot ospita due angeli. Una folla scalmanata

irrompe in casa per far violenza agli ospiti. Lot, volendoli mettere in salvo, offre le sue due figlie vergini agli insani appetiti dei facinorosi. Nel fuggire dalla città in fiamme la moglie di Lot viene trasformata in una statua di sale poiché si era girata a guardare lo spettacolo.

Genesi 38, 8-10. La punizione di Onan. Onan era figlio di Giuda. Secondo le consuetudini dell’epoca

(legge del levirato) avrebbe dovuto unirsi alla moglie del fratello defunto e mettere al mondo un figlio che sarebbe stato considerato figlio di quest’ultimo. Non volle procreare e fece in modo di disperdere il suo seme, probabilmente con il coitus interruptus. Per tale azione Dio lo castigò con la morte.

Libro dell’Esodo. Il racconto dell’esodo dall’Egitto. Contiene i seguenti aspetti controversi. Mosè vede un

egiziano che picchia un ebreo, rendendosi conto che nessuno l’osservava gli si scaglia contro e l’uccide nascondendone il cadavere (2,12). Successivamente è Dio a indurire il cuore del faraone affinché non autorizzi gli ebrei a uscire dalla terra d’Egitto (7,2-4). È sempre Iddio a infliggere le tremende piaghe colpendo in vario modo tutta la popolazione egiziana: trasforma l’acqua del Nilo in sangue rendendola velenosa (7,20-21); copre la terra d’Egitto con invasioni di rane (8,6-7), zanzare (8,16), mosche velenose (8,24). Stermina tutto il bestiame d’Egitto (9,5). Colpisce tutti gli uomini e gli animali con piaghe e pustole (9,10); devasta uomini, animali e piante con una pesante grandine (9,22-25); fa morire i primogeniti degli egiziani (12,29). Esodo 21,20-21. Lo schiavo come ‘cosa’ appartenente al suo padrone. L’orribile istituto della schiavitù è mantenuto anche nelle leggi di Dio a Israele: se uno schiavo picchiato muore dopo due o tre giorni il padrone non è passibile di pena perché ha agito su una cosa sua. Esodo 32,27. Le stragi connesse al culto del vitello d’oro.

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Durante i difficili giorni della marcia nel deserto, dall’Egitto alla terra di Canaan, gli ebrei vanno in crisi religiosa e si affidano a forme cultuali tipiche della terra dove transitavano. Da qui il “vitello d’oro” che si fanno costruire e che suscita le ire dell’Eterno. L’Iddio d’Israele per distogliere i suoi dall’apostasia non esita a ordinare ai figli di Levi un’orribile strage: «Ognuno di voi si metta la spada al fianco; percorrete l’accampamento da una porta all’altra di esso, e ciascuno uccida il fratello, ciascuno l’amico, ciascuno il vicino!». Il carattere violento e irascibile del dio ebraico. Diversi episodi parlano del suo ricorso alla violenza per farsi ubbidire: minaccia di inviare bestie feroci per far stragi dei figli e degli armenti dei disubbidienti (Lev. 26,22); ai recidivi farà mangiare la carne dei propri figli, renderà un deserto le loro città (Lev. 26,27-29); ordina di lapidare un uomo che aveva trasgredito il riposo sabatico (Num. 15,32-36); suscita una voragine che inghiotte uomini, donne e bambini a causa della loro disubbidienza, poi brucia duecentocinquanta persone che offrivano incenso ad altre divinità, poi ne fa morire altri 14.700 (Num. 16,27-35.49); gli apostati vengono impiccati faccia al sole (Num. 25,4). Il tremendo istituto dello herem. Il termine ebraico herem può essere reso in italiano come “consacrazione al fine di distruggere”. In quell’epoca dell’Israele antico una città, un popolo, un territorio conquistato diventava preda dei vincitori che si spartivano il bottino di guerra. L’herem consisteva nel rinunciare a spartizione e nel dichiarare tale bottino proprietà dell’Eterno al quale veniva ‘consacrato’ con la sua totale distruzione. La sanguinosa epopea della conquista di Canaan da parte degli ebrei, così com’è narrata specialmente nei libri di Giosuè e dei Giudici, è piena di questi episodi nei quali la spada affilata di chi esige la sua terra promessa non esita a tagliar gole di bambini, vecchi, donne e ogni forma di vita che respiri. I casi sono numerosi: Num 21,3; 21,35 (Basan e la città di Og); 31,9 (donne e bambini madianiti rapiti); Dt. 2,33-34 (“votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini; non vi lasciammo anima viva”);

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3,6 (“votammo allo sterminio ogni città, uomini, donne, bambini”). Numeri, 25,1-18. L’ira di Dio ispira l’omicida Fineas.

A Sittim gli ebrei vengono a contatto con i madianiti e ne praticano i culti. L’ira dell’Eterno si accese contro Israele e colpì 24.000 (23.000 secondo 1 Cor. 10,8). In particolare Fineas, il figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aaronne, in una tenda si scaglia con una lancia contro un uomo israelita e la sua compagna madianita colpendoli nel basso ventre.

Numeri, 31,17-18. Mosè approva l’uccisione di uomini e donne che avevano avuto unioni carnali.

Ancora battaglia contro i moabiti: gli ebrei bruciano del tutto i loro villaggi, fanno stragi di tutti i loro uomini, quanto alle donne e ai bambini li riducono in condizione di schiavitù. Il bottino di guerra viene diviso tra i vincitori e Mosè che ne dedica parte all’Eterno. Nei versetti 14-16 leggiamo che Mosè disapprovò che erano state lasciate in vita tutte le donne e ordinò l’uccisione di quelle che non erano vergini. Deuteronomio 3,6. Le stragi di Basan.

Nel territorio di Basan gli israeliti sterminano ogni città, uomini, donne, bambini; poi si dividono i loro possedimenti e beni. Deut. 7,2: Dio parlò ad ogni uomo d’Israele e, riguardo i nemici, proclamò: “Tu li voterai allo sterminio; non farai alleanza con loro e non farai loro grazia.” Deuteronomio, 20,16. Distruzione totale dei nemici.

Il Dio degli ebrei ordina, come legge generale di guerra, lo sterminio di ogni essere che respiri (quindi anche bambini, vecchi e donne) e la distruzione totale di ogni città avversaria. Ciò viene applicato ai popoli degli hittei, amorei, cananei, ferezei, hivvei, gebusei. Deuteronomio 28,53. La minaccia di antropofagia.

Dio commina per chi trasgredisce i suoi comandamenti una maledizione in base alla quale durante gli assedi degli avversari, gli

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ebrei sarebbero giunti mangiare le carni dei propri figli e delle proprie figlie. Giosuè 6:21-27: La distruzione di Gerico.

Per comandamento di Dio, Giosuè dopo aver conquistato Gerico ne distrugge con la spada tutti gli abitanti: inclusi donne e bambini. L’oro e l’argento predato è offerto all’Iddio d’Israele. La città tutta viene data alle fiamme. Giosuè 7,19-26: La punizione di Acan.

L’israelita Acan conservò per sé di nascosto parte del bottino di guerra (un mantello, monete d’argento, una verga d’oro). Scoperto, per volere di Dio, venne lapidato insieme ai suoi figli e al suo bestiame. I cadaveri vennero bruciati: «E l’Eterno s’acquetò dell’ardente sua ira». Numerosi episodi dal libro di Giosuè.

Il libro di Giosuè è particolarmente infarcito di episodi di una estrema crudeltà. Il già citato istituto dello herem, regolarmente applicato per le conquiste d’Israele della terra di Canaan, prevedeva la distruzione totale di ogni cosa (uomini, donne, bestie, case, etc.) e la consacrazione al Dio degli ebrei di ogni bottino di valore. È il caso di dodicimila abitanti di Ai (8,22-25), del massacro dei gabaoniti (10,0-27), della città di Machedda (10,28), di Libna (10,30), di Lachis (10,32-33), di Eglon (10,34-35), del re di Ebron e dei suoi sudditi (10,36-37), di Debir (10,38-19), dei nemici presso le acque di Merom (11,6); cfr. anche 11,8-15.20. Così anche nel libro dei Giudici. L’epopea della conquista della terra di Canaan continua nel libro dei Giudici con tutto il suo carico di stragi che, alla luce della nostra sensibilità, sembrano oltremodo crudeli e inconcepibili. Così, ad esempio, i diecimila cananei uccisi nella località di Bezek tra i quali il loro re in fuga a cui fu applicato il supplizio della mutilazione dei pollici sia delle mani che dei piedi, supplizio che il re stesso soleva infliggere ai suoi avversari in quell’epoca di tenebrosa barbarie (1,4-6); così l’assedio di Gerusalemme risoltosi

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nell’uccisione con la spada di tutti i suoi abitanti e nel rogo dell’intera città (1,8), stessa sorte riservata a Sefat (1,17), a diecimila moabiti (3,29), a venticinquemila uomini con le loro città (20,43-48). Anche l’epopea di Gedeone è costellata di stragi e da supplizi (capp. 7-8). Simile quella di Abimelec che uccise i suoi stessi fratelli (9,5), distrusse l’intera città di Sichem seminandovi sopra il sale (9,45) e poi andò egli stesso incontro a morte orrenda (9,53-54). Iefte uccise la sua figlia unigenita, innocente, offrendola al suo Dio quale ringraziamento per la vittoria accordatagli (11,29-39). Sansone uccise mille uomini con una mascella d’asino (15,15), poi fece crollare un tempio causando la morte di tremila persone (16,27-30). Inoltre gli abitanti di Lais, definiti «gente che stava tranquilla e in sicurezza» vengono tutti passati a fil di spada e la loro città è data alle fiamme dagli ebrei della tribù di Dan (18,27). Nella città di Ghibea un ebreo levita è ospitato in casa di un ebreo efraimita con sua moglie e un servo. La casa è circondata da gentaglia che vuole abusare sessualmente dell’ospite, allora il padrone di casa per placare i bassi istinti di quella canaglia offre alle loro voglie le donne che erano in casa: sua moglie e la figlia vergine dell’ospite. Quest’ultima viene abusata per l’intera notte fino a che cade morendo sulla soglia di casa. Il levita la carica su un asino e la porta a casa sua. Qui la squarta in dodici pezzi che manda in giro per tutto il territorio d’Israele. Il libro di Samuele. Questa epopea continua nei libri di Samuele. Non è il caso di riportare un elenco esaustivo ma vanno ricordate le stragi dei filistei (7,7-11; 14,31), degli abitanti di Berh Semes (6,19), degli ammoniti (11,11), degli amalekiti (15,7-8) per i quali il Dio degli ebrei ordinò di non aver pietà neanche delle donne e dei bambini lattanti. Anche l’epopea di Davide è zeppa di episodi atroci: uccide duecento filistei e ne porta i prepuzi al padre di Mical, che voleva sposare, contandoli pubblicamente e ottenendo così la mano della donna (18,27). Così fa tagliate testa e mani a Recab e Baana e li espone in luogo pubblico: costoro avevano a loro volta decapitato Ish-Bosheth (2 Sam. 4,7-12). 2 Sam. 8,1-18 è un condensato di stragi conseguenti le vittorie di Davide, tra cui i ventimila uomini

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nella foresta di Efraim (2 Sam. 18,6-7). Il re è noto per aver voluto la morte di Uria al fine di possederne la moglie Betsabea che gli piaceva irresistibilmente (2 Sam. 11,14-27). Dio condanna l’azione e fa morire il figlio (innocente) del re (2 Sam. 12,13-18). Altri innocenti, e sono settantamila, morirono a causa di una pestilenza mandata da Dio poiché in Israele era stato fatto un censimento (2 Sam. 24.15). Il secondo libro dei re. Qui si trovano episodi di violenza connessi agli antichi profeti d’Israele. Così Elia fa scendere fuoco dal cielo per bruciare cinquanta messi del re d’Israele Achazia che lo convocava a palazzo (1,10-12). Eliseo invoca il suo Dio contro un gruppo di bambini che lo prendeva in giro per la sua calvizie; è ascoltato: dalla foresta escono due orsi che fanno strage di quarantadue di quei ragazzini (2.23-24). Lo stesso profeta maledice il suo servo Ghehazi con la lebbra che colpisce anche i suoi (innocenti) discendenti (5,27). Particolarmente crudele è la morte di Gezabele fatta uccidere la marito, il re Ieu: sangue che schizza da per tutto, resti di cranio, piedi e mani mentre il copro è divorato dai cani (9,30-37). Il re d’Israele Ieu, in conformità a una profezia di Elia, per castigare il suo predecessore Acab, oramai defunto, ordina che settanta suoi figli vengano uccisi nella peggior maniera: dopo aver fatto tagliar loro le teste le fa porre in ceste, poi le riversa a terra in due mucchi alle porte della città dove rimangono esposte. La rappresaglia contro i discendenti di Acab continuò come narra il prosieguo del racconto (10,1-11). Ieu intrappola gli adoratori di Baal nel tempio, poi dice alle guardie: “Entrate, uccideteli. Nessuno scappi” (10,19-27). Atalia distrugge la famiglia reale (11:1). Menachem attacca la città di Tifsach, distruggendola, e “fece sventrare tutte le donne incinte” (15,16). Salmo 137,8-9. Beato chi sfracella i bambini. Il salmo 137 fu composto all’epoca della cattività babilonese. Gli ebrei deportati erano preda di nostalgia, profondo sconforto e sentimenti di rivalsa. Colpisce tuttavia la fine del salmo dove si dichiara beato colui che ucciderà i piccini dei babilonesi

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scagliandoli sulle rocce e facendoli sfracellare: «Figlia di Babilonia, che devi essere distrutta, beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto! Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia!». Qualcosa di simile in Isaia 13,15.18.

Isaia vide una profezia sulle sorti di Babilonia: “Quanti saranno trovati, saranno trafitti, quanti saranno presi, periranno di spada. I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi; saranno saccheggiate le loro case, disonorate le loro mogli… Con i loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà dei piccoli appena nati, i loro occhi non avranno pietà dei bambini”. Una terribile espressione in Isaia, 49,26.

La punizione di Dio contro coloro che attaccano Israele: “Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto”. Il castigo per le donne adultere. La condanna dell’adulterio è molto chiara (Lev. 18,20), la pena stabilita è la morte dei due amanti secondo Lev. 20,10. Num. 5,11-31 prevede un elaborato rituale atto a placare la gelosia del marito che sospetta della fedeltà della moglie: costei sarà condotta alla presenza di un sacerdote e dovrà bere un intingolo composto di terreno del tabernacolo sciolto in acqua. La donna berrà: se è innocente non ne riceverà male, se colpevole le sarà perniciosa avvelenandola. Deut. 22,23-24 taglia corto: lapidazione immediata dei due amanti condotti alle porte della città; alla donna si rimprovera anche il fatto che non abbia gridato. Simile trattamento per la ragazza che non è giunta vergine al matrimonio: lapidazione immediata davanti alla casa del padre (Deut. 22,13-22). Il profeta Ezechiele (23,45-47) si richiama a questo complesso normativo quando paragona l’infedeltà di Israele e di Samaria a quella di due donne adultere e prevede, conseguentemente e crudelmente, la loro lapidazione, lo smembramento dei cadaveri, l’uccisione dei figli e delle figlie, il rogo delle loro case.

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Capitolo secondo

Tentativi di spiegazione Moltissimi tra coloro che credono nell’ispirazione letterale della Bibbia e che invocano “il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe” non hanno mai preso visione dei brani e degli episodi ricordati nel capitolo precedente. Pertanto il problema non è per niente palese alla loro coscienza. Di costoro non è il caso d’interessarsi. Le posizioni sono diverse tra chi, invece, ha una qualche cognizione, sia pur nelle linee generali, del tema enunciato. Sta di fatto che la morale che emerge da quei bani è molto diversa da quella che può dirsi propria di un uomo moderno, solitamente sensibile ai temi del rispetto della vita, alla tolleranza delle idee altrui, al rifiuto della violenza come strumento di risoluzione dei conflitti e così via. Per non parlare della tutela comunemente riservata alle donne incinte e ai piccini innocenti, nel grembo o appena fuori, a cui riserveremo il diritto alla vita.

2.1. Il ricorso all’allegoria. Se frughiamo nell’apologetica dei primi secoli cristiani ci rendiamo conto che questa non dedicò soverchia attenzione al tema. Tuttavia il problema fu in qualche modo avvertito dagli antichi che non erano certo insensibili a valutazioni di tipo etico e che la Bibbia amavano leggerla tutta. Già i traduttori dell’Antico Testamento dall’ebraico in greco i quali lavorarono alla famosa versione detta Septuaginta avvertirono il carattere spiccatamente antropomorfico2 con il quale quei scrittori ebrei avevano ritratto il proprio Dio. Questi tratti confliggevano con alcuni esiti della filosofia greca la quale, superando gli altri antropomorfismi presenti nella tradizione religiosa pagana, era approdata a un concetto della divinità scevro da turbamenti, ira, violenza e, pertanto, ritraevano questa come 2 Il termine ‘antropomorfismo’ è di derivazione greca e sta a significare:

descrizione di Dio conforme agli aspetti tipici dell’uomo.

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saggia, serena e benevola. Sotto tale aspetto la Septuaginta può dirsi già opera di mediazione culturale e apologetica poiché, nel lessico e nel periodare, tentò di mitigare gli aspetti ‘indigesti’ dei testi originali. Agli inizi del III secolo d.C. il grande esegeta cristiano Origene, che operò prima ad Alessandria e poi a Cesarea di Palestina, trovò nell’esegesi allegorica la chiave di volta per la comprensione della Bibbia. L’allegorismo era un metodo esegetico, già ampiamente usato proprio ad Alessandria per giustificare gli antropomorfismi degli dèi di Omero; consisteva nel ritenere che la scrittura del testo, così com’era da intendersi alla lettera, non presentasse il significato vero e profondo il quale andava ricercato altrove. Altre volte il significato allegorico andava a sovrapporsi a quello letterale decisamente prevalendo. E così, per fare un esempio, le stragi degli ebrei alla conquista della loro terra promessa altro non erano se non simboli delle lotte che nell’animo del credente devono compiersi tra le virtù e i vizi. Origene non negava fede alla reale storicità di quanto la Bibbia narrava ma ne ravvisava il significato vero in un messaggio altro e diverso, più profondo e più edificante. Dobbiamo onestamente riconoscere che tal tipo di applicazione dell’allegorismo (a testi che originariamente a questo genere di spiegazione proprio non si offrivano) è servito come scappatoia a buon mercato quando l’esegeta non individuava altra via d’uscita. In definitiva l’interpretazione allegorica: 1. se si limita ad aggiungere un significato ulteriore a quello immediatamente presentato dal testo non risolve le difficoltà che questo presenta poiché non annulla il carattere sconcertante che i fatti storici rivestono; 2. se ammette il solo significato morale (ed esempio: le stragi raffigurano i combattimenti al vizio) allora negherà la sostanza storica dei fatti… un prezzo troppo alto da pagare, una soluzione che crea più problemi di quanti non dichiari di risolverne.

2.2. L’ira di Dio è legittima, è l’esercizio della Sua giustizia. Successivamente, agli inizi del IV secolo d.C., un apologeta e storico del cristianesimo, Lattanzio, affrontò il tema in un’operetta dal titolo De ira Dei. Qui egli cercò di giustificare il Dio biblico rubricando i suoi atti inconcepibilmente severi come

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azioni di dovuta giustizia. Ove mai accettassimo questa risposta dovremmo far fronte a una conseguente domanda: come mai l’ira / giustizia di Dio si esercita (leggi: scaglia) contro un lattante cananeo e non contro un lattante giudeo. Valga per uomini adulti, responsabili e maturi, ma per embrioni o lattanti…

2.3. Anche i miti pagani contengono immoralità. In generale gli apologeti cristiani difesero la Bibbia dall’accusa di contenere pagine immorali facendo notare che anche i miti della religione ellenica o romana erano zeppi di racconti simili. Nel rispondere in tal modo, però, non cancellavano quei brani imbarazzanti, né si accorgevano che all’epoca loro i loro avversari pagani non prestavano più fede a quelle leggende tradizionali. Queste venivano utilizzate come ornamenti dell’arte e della letteratura laddove il concetto della divinità era plasmato in conformità a credenze di tipo filosofico e, pertanto, più evolute.

2.4. La Bibbia non è la parola di Dio, ma la contiene. Veniamo ora a qualche moderno tentativo di risposta apologetica. Facciamo notare che il problema non sfiora coloro che ritengono che la Bibbia non sia la parola di Dio ma la contenga, e questa si espliciti, per giunta, solo quando vi sia una lettura di fede. Le difficoltà incombono invece principalmente sul credente di tipo fondamentalista il quale crede che la Bibbia sia stata ispirata parola per parola, alla lettera e non contenga errori di nessun genere poiché è parola proveniente direttamente da Dio, senza alterazione alcuna3.

2.5. ‘Giusto’ è ciò che ordina Dio per il fatto stesso che l’ha ordinato, dunque giusta è ogni strage da Lui voluta. Tra coloro che ritengono che la Bibbia sia sempre e comunque solo parola di Dio inerrante in ogni aspetto, le posizioni apologetiche sono diverse: v’è chi taglia corto affermando che ‘giusto’ e ‘sbagliato’ sono categorie definibili a seconda della loro aderenza alla volontà di Dio e basta. In altri termini: qualcosa è da ritenersi giusta per il solo fatto stesso che è Dio a volerla, a prescindere da quella che possa essere la nostra sensibilità e il nostro giudizio. Ad esempio se è Dio

3 Su questo tema si può leggere il quaderno n° ??? di questa stessa collana il

quale riguarda proprio il tema della Bibbia e della sua infallibilità.

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a ordinare una strage, l’azione può definirsi giusta poiché è l’ordine divino che la rende tale. Questo tentativo di spiegazione, però, si scontra contro un vizio logico da cui è pervaso: si dà per dimostrata l’esistenza di un Dio che tal genere di azioni gradisce laddove questo assunto è proprio ciò di cui si sta discutendo e, pertanto, non può dirsi già dato per certo. In logica un errore del genere si direbbe una tautologia4; certo una tautologia che ad alcuni può apparire risolutiva e seducente ,ma che nei più induce il sospetto di trovarsi di fronte a persona proclive al fanatismo e che, per tal motivo, rinuncia serenamente a ogni tipo di propria sensibilità in tema di morale. Ma v’è di più: questo tentativo di spiegazione invece di scagionare Dio dall’accusa di essersi dimostrato crudele lo inchioda irrimediabilmente in questo ruolo poiché caratterizza per certo il Suo volere in modo conforme ad azioni indubbiamente da giudicarsi cruente.

2.6. Chi ha patito tutto ciò se l’è meritato e basta. V’è poi chi un tantino entra nel merito e tira in ballo le cattiverie del faraone, la nefasta religione degli egiziani, il cruento paganesimo delle popolazioni cananee e così via. Insomma si applica la logica del vecchio detto: «A mali estremi estremi rimedi». Le popolazioni cananee adoravano idoli di legno e di pietra, non esitavano a effettuare sacrifici umani e occupavano una terra che Dio aveva destinato ad altri. Dunque se lo sono meritato! Notiamo che tal genere di giustificazione potrebbe eventualmente avere un senso se le violenze volute da Dio si fossero limitate a colpire la popolazione in armi o gli individui consapevoli e renitenti. Ma cosa dire di bambini innocenti e di donne incinte squartare?

2.7. L’agire di Dio è incomprensibile. Quest’ultimo atteggiamento apologetico presenta una parte di verità: certamente tutto ciò che ci avvolge, e Dio in primis, è ben al di sopra della nostra capacità di comprendere e giudicare, tuttavia l’argomentazione su cui si basa è quella che conduce alla mancanza di una risposta ben definita: ignoramus et ignorabimus…

4 La tautologia è stata definita una definizione illusoria, che ripropone in

termini solo formalmente diversi l’enunciazione di quanto dovrebbe costituire oggetto di spiegazione o di svolgimento.

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ignoriamo e continueremo a ignorare. Inoltre questa risposta (che in realtà è una non risposta) ha il limite di far derivare da un’affermazione esatta (“Dio è al di sopra della nostra comprensione”) la necessità di mettere a tacere un problema.

2.8. E se interrogassimo la storia? Il tentare di capirci qualcosa sembra invece non solo più ragionevole ma anche la via più conforme a quel Signore che, dandoci un cervello dotato di capacità di memoria e di analisi, desiderò abilitarci alla riflessione, all’indagine, all’istinto di voler veder più chiare le cose. Non si dimentichi mai che quando il cristiano vuole comunicare con Dio non deve ascendere ai cieli e imparare la lingua di Dio (non potrebbe mai farlo!) ma deve attenersi all’esatto contrario: è Dio che entra nella storia e che si esprime con la lingua dell’uomo. L’incarnazione è il fondamento della fede cristiana: fu perfetta, Dio divenne veramente uomo, con tutte, proprio tutte, le caratteristiche dell’uomo.

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Capitolo terzo

Bibbia e Corano

Non sembri al lettore che si stia improvvisamente cambiando argomento. Il mutamento è solo apparente poiché è possibile definire un concetto anche in base a ciò che lo differenzia da un altro. Quando si assiste a uno dei numerosi dibattiti che oggi vengono svolti, specialmente in televisione, tra gli apologeti della fede islamica e i loro oppositori si tirano spesso in ballo versetti coranici connessi alla violenza specialmente come mezzo di repressione e di castigo. Di fronte alla innegabile presenza di tal genere di attestazioni nel loro testo sacro, i devoti del profeta Maometto contrattaccano e sovente citano versetti biblici (inutile dire: tutti tratti dall’Antico Testamento) che contengono episodi di lapidazioni, incitazioni alla guerra contro chi non condivide la fede d’Israele, insomma un po’ tutto quell’armamentario di pagine ‘indigeste’ sulle quali ci siamo precedentemente soffermati prima dandone anche un parziale ma ampio elenco. Questa strategia tenta di mettere sullo stesso piano Corano e Bibbia e sortisce il seguente duplice esito: si condannano le due scritture insieme alle religioni che su queste si basano, oppure si accredita il Corano come testo venerabile al pari della Bibbia. Questo secondo esito ha un particolare effetto se l’uditorio è cristiano o, comunque, appartiene a un tipo di civiltà, quella occidentale, che con il cristianesimo è collegata. Talvolta la polemica prosegue e si fa notare, da parte dei musulmani, che anche i cristiani si sono resi colpevoli di misfatti e uccisioni; vengono messe solitamente in conto in primis le crociate e l’inquisizione. I dibattiti televisivi si basano più su eccitazioni di stati d’animo e incitamenti di opposte tifoserie che sulla pacatezza di un ragionamento acuto e approfondito. Così l’ascoltatore medio conclude per un “pari e patta” e sùbito ritorna a interessarsi d’altro

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avendo presto presto rubricato sia cristianesimo che islam tra le cose assurde e inaccettabili. Noi preferiamo soffermarci con calma su questo coacervo di argomentazioni. Intanto è facile fare notare che la violenza connessa alle crociate e all’inquisizione ebbe a dispiegarsi nel lontano medioevo e nei secoli della Controriforma. Per un cristiano evangelico sarebbe anche facile chiamarsi fuori da tutto ciò facendo notare che ad agire in tal modo fu il papato e le autorità a lui collegate. Calvino e i calvinisti, certo, qualche rogo l’accesero ma si trattò di orrori relegati al Cinque Seicento. Quanto alla tradizione evangelica arminiana, che al calvinismo s’oppose, non risulta che essa abbia determinato l’uccisione di una sola una zanzara. Insomma, per farla breve, sono secoli che la cristianità ha voltato le spalle alla violenza della spada per colpire infedeli, eretici e dissenzienti religiosi5. Veniamo ora all’altro argomento, quello che vuole mettere sullo stesso piano Bibbia e Corano a motivo delle pagine violente che essi parimenti contengono. Certo è innegabile che se volessimo far valere per noi oggi i precetti di violenza delle scritture giudaiche, in quanto parola di Dio ispirata e infallibile, non potremmo concludere altrimenti che dando ragione al nostro interlocutore islamico. Ma così non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo fare, almeno, per i seguenti motivi che differenziano profondamente il Corano dalla Bibbia e che, di conseguenza, palesano profondamente diversa l’immagine di Allah da quella dell’Iddio che si rivelò nelle Scritture care ai cristiani. I musulmani credono che il Corano sia il frutto della dettatura da parte di Dio della Sua volontà, una dettatura che riflette parola per parola, virgola per virgola l’originale celeste. Dunque Maometto non fu autore in nessun senso del Corano, ma si limitò a trascriverlo fedelmente e passivamente registrando la voce di Dio. Il Corano è del tutto parola divina e per niente opera di uomo.

5 Non si tirino in ballo i cappellani militari presenti negli eserciti delle nazioni

(sedicenti) cristiane e le loro benedizioni di armi. Si tratta, in primo luogo, di azioni che poco hanno a che fare, a mio avviso, con il vangelo di Gesù; e poi si tenga presente che la violenza degli eserciti è rivolta a militari di nazioni dichiarate nemiche per motivi politici, non a infedeli per motivi religiosi.

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Non credo che si possa dire lo stesso della Bibbia o, almeno, nessun teologo onesto e a malapena un po’ informato lo farebbe: i vari libri biblici non sono il frutto di una dettatura da parte di Dio che ha visto scomparire la componente umana dello scrittore e dello scritto. Se leggessimo i libri biblici nell’originale, avendo la possibilità di gustarne le sfumature letterarie, coglieremmo la peculiarità di ciascun libro, connessa all’identità dei vari singoli autori. Ne consegue che mentre il musulmano legge il suo testo e lo applica, il cristiano lo legge, lo contestualizza e s’impegna a farne un’esegesi. Il termine ‘esegesi’, di derivazione greca, è connesso all’azione del “trarre fuori”: il lettore, l’esegeta trae fuori dal testo che gli è davanti il suo significato avvalendosi di una pluralità di competenze che vanno dalla filologia alla storia, dalla teologia alla storia del pensiero, dall’archeologia alla spiritualità. Altra osservazione: la Bibbia non è un manuale di precettistica teorica, un formulario di saggezza astratta o di filosofia perenne; essa, al contrario, è principalmente una narrazione di eventi di cui si compone la storia. Ne consegue che chi vuol comprendere il suo messaggio deve attentamente soffermarsi a sfogliare le pagine, valutare i contesti, apprezzare i colori, intendere i chiaroscuri dell’umana vicenda. Conoscere il contesto di un libro o anche di una sola pagina della Scrittura è indispensabile al fine di comprenderne il significato. Esempio: il messaggio di Gesù non si comprende se non alla luce della sua personale vicenda. Il fatto del calvario conferisce significato a tutto il suo annuncio. Quei lettori della Bibbia (e purtroppo sono numerosi) che su un determinato argomento sciorinano una quantità di versetti limitandosi ad accorparli l’uno a fianco dell’altro fanno opera di disinformazione poiché omettono sia la ricostruzione del contesto proprio di ciascun brano sia, di conseguenza, il senso di sviluppo diacronico di quegli insegnamenti che tra loro sono legati da un naturale rapporto di prima e poi il quale indubbiamente incide complessivamente sul loro significato. Il cristiano che su un determinato argomento trae fuori dalla Bibbia un profluvio di versetti e li accorpa senza curarsi delle loro specificità peculiari si rende in ciò simile al musulmano ingenuo che, considerando il suo testo sacro, caduto sic et simpliciter dal

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cielo, lo legge senza porsi problemi di contestualizzazione e di esegesi storica. Il concetto fondamentale che sorregge l’idea stessa della Bibbia come rivelazione non vede l’uomo elevarsi al livello di Dio ma, al contrario, vede Dio scendere al livello dell’uomo per operare con progressiva pedagogia secondo i ritmi e le crescenti capacità di comprensione dell’uomo stesso. Questo, ritengo, è l’aspetto più grandioso della fede cristiana: lo ‘svuotamento’ di Dio nell’uomo Gesù, come apprendiamo da un famoso versetto paolino:

5 Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, 6 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 7 ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Filippesi 2,5-8.

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Capitolo quarto

Dio parla nella storia

Prima di tentare di formulare una risposta al problema posto dalle tante pagine ‘indigeste’ delle scritture giudaiche bisogna far chiarezza su alcune premesse senza le quali il discorso che sto per svolgere sarebbe improponibile. Eccole enunciate in sintesi estrema:

1. La peculiarità del Dio, come concepito nella tradizione giudaico cristiana, è quella di parlare nella storia dell’umanità. Non ci troviamo di fronte a un concetto filosofico astratto, immutabile per il fatto stesso di sussistere in un universo di pensiero logico.

2. La Bibbia non presenta solo il linguaggio di Dio, altrimenti noi uomini non potremmo comprenderla; si tratta di una raccolta di diversi testi che, a prescindere dalla qualità di essere ‘ispirati’, presentano tutte le caratteristiche della condizione umana, furono scritti da uomini veri che non rinunciarono alla loro umanità (con tutti i connessi meriti e limiti) quando presero carta e penna in mano.

3. L’idea che la Bibbia abbia ad un tempo piena sostanza divina e piena sostanza umana può dirsi parallela al seguente articolo di fede che è la base stessa del cristianesimo: Gesù fu perfettamente Dio e perfettamente uomo6.

Mettendo insieme ciò che consegue dalle precitate tre premesse possiamo dedurre che: la rivelazione di Dio, così come

6 Il termine ‘anticristo’ ricorre una sola volta nel Nuovo Testamento e sta a

indicare coloro che negano l’umanità di Gesù, cfr. 1 Giov. 4,3. Nella chiesa antica costoro erano chiamati doceti poiché insegnavano che Gesù aveva soltanto l’aspetto, la sembianza umana ma in realtà non aveva un vero corpo materiale.

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esposta nelle pagine bibliche, è caratterizzata da tutti i colori e i sapori della storia umana; non è una rivelazione ‘disincarnata’. Non si è trattato dell’uomo che, in virtù di una sua personale intelligenza, si è elevato a Dio quasi rinunciando alla sua umana natura ma, al contrario, di Dio che ha voluto entrare nel fango e nella polvere della storia, che si è voluto abbassare per adeguarsi alla capacità dell’uomo di comprendere. Se così non avesse fatto il Suo linguaggio ci sarebbe rimasto incomprensibile.

Ora è ben evidente che questa umana capacità di comprendere il pensiero di Dio e l’altra, ben più elevata, di esprimerlo con autorevolezza, non si coglie già matura e definita agli albori della storia, quasi come la mitica Minerva che nasceva tutta bella e pronta in armi dal capo del padre Zeus. No, la storia umana è costituita da un lunghissimo cammino durante il quale all’uomo è stato dato di evolversi quanto a costumi e idee. Insomma è come un percorso in salita su una scala nel corso del quale la visuale dei primi gradini era bassa e limitata laddove quella offerta dai pioli più alti è stata più elevata e chiara. Se è vero che l’individuo umano rimane immutabile quanto alle sue caratteristiche ed esigenze naturali, è però innegabile che egli attraverso i secoli abbia accresciuto la sua capacità di apprendere, conoscere, interagire con il mondo circostante.

Non possiamo mettere sullo stesso piano orizzontale il Dio che parlava ai patriarchi, a Mosè, a Giosuè e così via con l’Iddio che “nella pienezza dei tempi” ha palesato il suo autentico volto in quello amorevole di Gesù. L’Iddio di Gesù è lo stesso di quello di Aramo e Mosè (e diversamente non potrebbe essere poto che si crede nell’esistenza di un solo Dio), tuttavia il ritratto dell’uno e diverso da quello dell’altro poiché i due sono stati prodotti in diverse e successive epoche della storia. I capitoli della storia biblica sono senz’altro raggruppabili in un’unica epopea, ma costituiscono di questa tappe successive e progressive.

Noi non notiamo una contraddizione tra il ritratto del Signore degli eserciti ebraico e il Dio d’amore e di perdono di Gesù. Questa posizione sarebbe quella del teologo Marcione che visse nel secondo secolo d.C. Noi notiamo invece un’evoluzione la quale è

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proporzionale alla capacità di comprensione del recipiendario del messaggio, cioè dell’uomo; nel nostro caso dello scrittore biblico. Valga un esempio: tra un professionista serio e affermato che scrive le sue opere ed esercita con autorevolezza la sua attività lavorativa e il ragazzino che lui stesso era a otto anni, quando con la fionda tirava le pietre ai nidi degli uccellini, non v’è contraddizione, v’è semplicemente evoluzione. Io ad esempio, non posso considerarmi contraddittorio se non faccio più la raccolta delle figurine dei giocatori o se non gioco più con i soldatini di piombo: semplicemente sono cresciuto, evoluto, maturato. E ciò si riverbera anche nella mia capacità di concepire il mondo e Dio, anzi anche nella mia maniera di ricevere la rivelazione di Dio. E questo è il caso degli agiografi7 i quali vissero in epoche lontanissime e furono condizionati, di conseguenza, da civiltà e modi di concepire ben diversi

7 Con il termine ‘agiografi’ s’intendono gli scrittori ei vari libri entrati nel

canone biblico.

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Capitolo quinto

Le colpe dei padri si riversano sui figli

5.1. Colpire i figli per le colpe dei padri?

Un cardine della nostra civiltà giuridica è costituito dal principio secondo il quale le responsabilità penali sono personali, cioè ricadono su chi commette la colpa e non sui suoi discendenti. Se, ad esempio, mi sarò macchiato di omicidio è giusto che sia io a pagare la pena ed è conseguentemente giusto che questa non venga comminata a mio figlio o a mio nipote, né, tantomeno, al mio pronipote. Per semplificare al massimo possiamo affermare che nessuno di noi, dotato di un minimo di buon senso, se riceve uno sgarbo da un amico la fa pagare al suo nipote, che neanche ci conosce, affibbiandogli un sonoro ceffone.

Posta questa premessa risulterà davvero strano come negli strati più antichi della letteratura veterotestamentaria di questo principio della “responsabilità individuale” non v’è traccia, anzi abbondano le minacce da parte del Dio giudaico di riversare le colpe dei padri sui loro discendenti.

Il caso più esemplare è costituito dai dieci comandamenti che tutti noi crediamo di conoscere. Si tratta di un codice normativo restituitoci da due diverse pagine bibliche: Esodo 20,2-17 e Deuteronomio 5,6-21. Le trascrivo qui di sèguito in due colonne parallele per consentire un più agevole confronto:

Esodo 20,2-17 Deuteronomio 5,6-21

2 Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. 3 Non avere altri dèi oltre a me.

6 Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. 7 Non avere altri dèi oltre a me.

4 Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù

8 Non farti scultura, immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o

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sulla terra o nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, 6 e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

nelle acque sotto la terra. 9 Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, 10 e uso bontà fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

7 Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

11 Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano, poiché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

8 Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. 9 Lavora sei giorni e fa' tutto il tuo lavoro, 10 ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; 11 poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.

12 Osserva il giorno del riposo per santificarlo, come il Signore, il tuo Dio, ti ha comandato. 13 Lavora sei giorni, e fa' tutto il tuo lavoro, 14 ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città, affinché il tuo servo e la tua serva si riposino come te. 15 Ricòrdati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e con braccio steso; perciò il Signore, il tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del riposo.

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12 Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.

16 Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, il tuo Dio, ti ha ordinato, affinché i tuoi giorni siano prolungati e affinché venga a te del bene sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.

13 Non uccidere. 17 Non uccidere. 14 Non commettere adulterio. 18 Non commettere adulterio. 15 Non rubare. 19 Non rubare. 16 Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

20 Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

17 Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo».

21 Non concupire la moglie del tuo prossimo; non bramare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo».

Nei brevi catechismi della nostra infanzia questi testi sono

stati riassunti all’osso, accorpati e semplificati. Questa versione ‘semplificata’ è quella che comunemente circola ed è nota. Ma il nostro discorso deve necessariamente basarsi direttamente sul testo della Bibbia, non sui suoi rimaneggiamenti.

Nella versione dei dieci comandamenti in uso presso la Chiesa Cattolico Romana, ad esempio, il secondo, che vieta la produzione d’immagini, è stato del tutto soppresso. Così anche nell’ultimo comandamento s’è badato a separare il divieto di desiderare la moglie del prossimo da quello di bramare i beni materiali dello stesso. In realtà si trattava di un comandamento unico poiché in quell’epoca arcaica e tribale la donna era considerata non secondo le moderne categorie di pensiero che ne rispettano appieno l’autonomia e la piena dignità bensì come una sorta di bene afferente il patrimonio della grande famiglia, principalmente finalizzato alla riproduzione specialmente di figli maschi, adatti a sostenere il nucleo familiare con la dura fatica dei campi o a difenderlo con l’esercizio delle armi.

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Se tuttavia istituissimo un paragone tra questo codice normativo ebraico e quello vigente in quell’epoca antica presso altre etnie potremmo meglio apprezzare i tratti di elevatezza morale che pur esso presenta e che hanno giovato alla sua conservazione e vigenza durante molti secoli.

Insomma, tutto ciò non può impedirci di rilevare come sia inaccettabile per la nostra coscienza e sensibilità moderna quella clausola proprio del secondo comandamento che minaccia il castigo sui discendenti (fino alla quarta generazione) di chi trasgredisce il divieto di farsi immagini di Dio. È tutto ciò è giustificato dal carattere ‘geloso’ di Dio, come leggiamo. Insomma un artigiano fabbrica un’immagine cultuale e il pronipote viene castigato

Sembra evidente, secondo ogni buon senso, che ci troviamo di fronte a una prosa dal carattere arcaico la quale rappresenta Dio con tratti antropomorfici i quali sono gli unici che l’ebreo di quel tempo poteva cogliere e comprendere vista la differenza tra l’epoca sua e la nostra. Nella nostra epoca, infatti, una gelosia che conduce dapprima all’ira e quindi alla vendetta non è certo rubricabile tra le virtù d’un uomo saggio, figuriamoci poi di Dio!

Per comprendere la ratio di questa arcaica visione bisogna comprendere il concetto di personalità corporativa che era proprio dell’Israele antico. Nelle società moderne l’individuo è portatore di diritti e doveri in piena autonomia personale. Non così allora, quando un ampio nucleo familiare, una tribù necessariamente condivideva un comune destino di prosperità o di sciagura. Immaginiamo una tribù in marcia nel deserto (e il paragone calza con gli ebrei peregrinanti): in caso di siccità o di carestia possiamo immaginare che si salvino alcuni e periscano altri sotto lo stesso tetto o, meglio, sotto lo stesso cielo? Il precetto biblico non fa altro che applicare al linguaggio di Dio questa normale, comune necessaria realtà di fatto.

Noi oggi a buon diritto parliamo di responsabilità e di relativi destini che ineriscono soltanto l’individuo e non il più ampio aggregato a cui questo appartiene. Ne consegue un certo disappunto per i citati brani veterotestamentari che sembrano accumunare interi gruppi e un affine destino. Tuttavia la prospettiva

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di questi vetusti brani biblici reca anche a noi un rilevante, pregevole ammaestramento: spesso crediamo di essere indipendenti l’uno dall’altro, ma sempre più frequentemente siamo testimoni eventi, anche causati dall’uomo, che colpiscono tutti, proprio tutti senza distinzione. Ricordiamoci della nube tossica di Chernobyl che fece piovere veleni, è il caso di dire, sui giusti e sugli ingiusti. Chi ha dimenticato la bomba atomica scagliata dagli americani su Hiroshima e la sua popolazione civile e che produsse i suoi orrori sulle successive generazioni? Forse possiamo realmente dire, parafrasando il noto titolo di Thomas Merton, che No man is an island. Sì, nessun uomo è un’isola così che tanto il male quanto il bene si diffonde e si riverbera anche attraverso le generazioni. 5.2. I profeti e Gesù rettificano.

Anche se le azioni di noi esseri umani si riverberano necessariamente su coloro che ci sono vicini, sia geograficamente che per via parentale, l’idea di un Dio che si proclama giusto e che nello stesso tempo minaccia di colpire i discendenti per le colpe dei loro padri non ci mette allegria. Eppure questa concezione era tanto diffusa in Israele che di bocca in bocca corse il proverbio I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati. L’espressione voleva rappresentare l’assurda situazione di una persona che mangia uva acerba e l’asprezza del frutto si fa sentire nella bocca dei figli. Il profeta Geremia (VII-VI secolo a.C.) ha riflettuto a lungo sulla cattività babilonese. La prigionia nel grande regno mesopotamico degli ebrei era vissuta da questi deportati come l’espiazione di una colpa commessa a monte dai loro padri. Egli, illuminato dall’ispirazione divina, pervenne alla visione di un Dio che castigava il colpevole e non i suoi discendenti. Una più elevata sensibilità morale, così possiamo ipotizzare, si era prodotta per impulso divino ma a che per una più profonda riflessione e una maturazione della sensibilità etica. Questi fattori, all’opera congiuntamente, avevano prodotto una malinconica riflessione e quasi un moto di rifiuto per quello schema arcaico che non teneva in debito conto la responsabilità personale delle azioni. Posso

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credere che questa interiore sofferta macerazione abbia reso il profeta ricettivo di una rivelazione di Dio più piena, più vera in quanto più adatta alla ricettività dei tempi nuovi. Così Geremia, guardando al futuro d’Israele riferì da parte di Dio: «In quei giorni non si dirà più: “i padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”, ma ognuno morirà per la propria iniquità; chiunque mangerà l'uva acerba avrà i denti allegati» (31,29-30). Questa stessa riflessione agitò l’animo di un altro grande profeta: Ezechiele. Ancòra una volta si ripropose il quesito: perché i figli devono pagare per colpe da loro non commesse. La voce di Dio si fece sentire questa volta in modo ancòra più articolato:

La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Perché dite nel paese d’Israele questo proverbio: I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati? Com’è vero che io vivo - dice il Signore, Dio - non avrete più occasione di dire questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà.

Se uno è giusto e pratica l’equità e la giustizia, se non mangia sui monti e non alza gli occhi verso gli idoli della casa d’Israele, se non contamina la moglie del suo prossimo, se non si accosta a donna mentre è impura, se non opprime nessuno, se restituisce al debitore il suo pegno, se non commette rapine, se dà il suo pane a chi ha fame e copre di vesti chi è nudo, se non presta a interesse e non dà a usura, se allontana la sua mano dall’iniquità e giudica secondo verità fra uomo e uomo, se segue le mie leggi e osserva le mie prescrizioni agendo con fedeltà, egli è giusto; certamente vivrà - dice il Signore, Dio

Ma se ha generato un figlio che è un violento, che sparge il sangue e fa a suo fratello qualcuna di queste cose (cose che il padre non commette affatto): mangia sui monti, e contamina la moglie del suo prossimo, opprime l’afflitto e il povero, commette rapine, non restituisce il pegno, alza gli occhi verso gli idoli, fa delle abominazioni, presta a interesse e dà a usura, questo figlio vivrà forse? No, non vivrà! Egli ha commesso tutte

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queste abominazioni, e sarà certamente messo a morte; il suo sangue ricadrà su di lui.

Ma se egli ha generato un figlio, il quale, dopo aver visto tutti i peccati che suo padre ha commesso, vi riflette e non fa tali cose: non mangia sui monti, non alza gli occhi verso gli idoli della casa d’Israele, non contamina la moglie del suo prossimo, non opprime nessuno, non prende pegni, non commette rapine, ma dà il suo pane a chi ha fame, copre di vesti chi è nudo, non fa pesare la mano sul povero, non prende interesse né usura, osserva le mie prescrizioni e segue le mie leggi, questo figlio non morrà per l’iniquità del padre; egli certamente vivrà. Suo padre, siccome è stato un oppressore, ha commesso rapine a danno del fratello e ha fatto ciò che non è bene in mezzo al suo popolo, ecco che muore per la sua iniquità.

Se voi diceste: Perché il figlio non paga per l’iniquità del padre? Ciò è perché quel figlio pratica l’equità e la giustizia, osserva tutte le mie leggi e le mette a effetto. Certamente egli vivrà. La persona che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l’iniquità del padre, e il padre non pagherà per l’iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l’empietà dell'empio sarà sull'empio (Ezech. 18,1-20). Questa rivelazione attesta il superamento di quella

concezione arcaica dalla quale siamo partiti e che, innegabilmente, contrastava una norma di giustizia per noi elementare. Attraverso la bocca di Ezechiele Iddio parla con chiarezza su questo tema a un popolo oramai maturo per ascoltare, comprendere, far tesoro. Il concetto è ben chiaro ed emerge dai versetti sottolineati nel testo sopra riportato: morirà (cioè: sarà castigato) colui che ha trasgredito, quindi i figli non pagheranno per i padri né questi ultimi per la loro progenie.

Cosa concludere? Forse s’è trattato di due divinità che ragionavano diversamente? O di un dio che nel corso del tempo ha cambiato idea e pertanto atteggiamento? Risulta difficile crederlo.

Sembra ben evidente che a mutare sia la pedagogia di Dio, cioè la sua maniera di relazionarsi con l’umanità, in particolare con

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il popolo d’Israele. Questa pedagogia è rispettosa dei ritmi con cui un individuo, un popolo muta evolvendosi. La voce di Dio non tuona dall’alto seminando terrore e facendosi ascoltare poiché è rumorosa e paurosa. Tutt’altro: la vera voce di Dio, quella destinata a lasciar traccia nei cuori e a plasmare le vite, si fa intendere nell’intimo della coscienza, sovente nel silenzio di una riflessione sofferta. E ciò vale tanto per l’individuo quanto per un popolo intero.

Se nel mio intero ciclo scolastico i miei insegnanti m’hanno impegnato dapprima a compitare con le vocali in bella grafia e poi, soltanto successivamente, a risolvere complesse equazioni algebriche non vuol dire che ho ricevuto un’istruzione contraddittoria e incoerente ma, al contrario, che la pedagogia ha prestato attenzione ai miei ritmi di crescita fisica e mentale, rispettandoli e adeguando i contenuti alla cangiante mia maturità. Così è nel rapporto di Dio con Israele.

Un concetto fondamentale è che Dio rispetta l’individuo, la sua creatura in maniera molto più profonda di quanto noi possiamo pensare: la nostra salvezza non è forse condizionata dal nostro personale dire sì alla Sua grazia che sola può operare la conversione? Non è forse nostro còmpito mantenerci nel sentiero indicatoci da Dio nel corso della nostra vita accettando quel divino soccorso che solo può conferirci tale capacità?

Da ciò emerge anche la meravigliosa bellezza della Bibbia che non appare un libro piovuto dall’alto bell’e pronto, quasi una rivelazione metastorica e astratta. No. Al contrario è un messaggio teandrico, cioè divino e umano, che si plasma in conformità alle capacità dell’uomo, varie e progressive. E Dio che si avvicina alla cittadella dell’umanità e non è quest’ultima a elevarsi, con la propria forza, all’altezza di Dio.

La Bibbia è voce di Dio, sì. Ma è voce che ha deciso di risuonare attraverso quella dell’uomo, anche assumendo le caratteristiche e i limiti di quest’ultima. E se così non fosse stato noi uomini non avremmo potuto comprenderla, così come un bambino di prima elementare non può comprendere le già citate temibili equazioni algebriche, non perché sia stupido o perché l’insegnante non sia adeguato ma, semplicemente, perché la

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pedagogia tiene conto dei ritmi di crescita del soggetto che è al centro del processo educativo: l’allievo.

Ad onta di queste precisazioni dei profeti, Geremia e più ancòra Ezechiele, nel popolino rimase sempre una certa proclività a ritenere che sull’umanità la colpa si riverberasse a cascata da padre in figlio, inseguendo le generazioni. Di fronte al mistero della nascita di un bimbo malato o deforme il ricorso a questo arcaico modo di pensare sembrava risolutivo e quasi appagante poiché rendeva ragione di qualcosa che appariva ingiusto.

Persino i discepoli di Gesù erano vittime di siffatti giudizi o, per meglio dire, pregiudizi. Il nono capitolo del vangelo di Giovanni, infatti, narra che un giorno Gesù s’imbatté in un uomo che era cieco dalla nascita. I suoi discepoli s’affrettarono a chiedergli chi avesse peccato: “lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. La risposta di Gesù fu chiara e immediata e fece piazza pulita di quel vecchio modo di concepir le cose che già Geremia ed Ezechiele avevano ben chiarito rettificandolo. Per Gesù la malattia non era da riferirsi a nessun peccato del povero cieco, né tantomeno a colpe dei suoi genitori. In questa occasione Gesù non spiegò il mistero della sofferenza che non è collegata a una colpa con un nesso, diremo, eziologico8. Egli si limitò a inserire l’episodio del conseguente miracolo tra i semeia, cioè tra i segni attestanti il suo ruolo di inauguratore di una nuova economia, quella del Regno di Dio che andava instaurandosi “già e non ancòra”. Credo che a sèguito di questo episodio i discepoli di Gesù abbiano capito che il mistero della sofferenza o di un male inspiegabile non si risolve certo chiamando in causa colpe di antenati, tra l’altro neanche ben precisate, bensì considerando l’inspiegabile alla luce di una nuova economia nella quale il retaggio oscuro del male e della sofferenza non avrebbe avuto più luogo. Non così i farisei i quali, secondo Giov. 9,34, continuarono ostinatamente a imputare la cecità al peccato del poveretto ritenendosi loro, superbamente, immuni da ogni colpa! Questi farisei, simili in ciò a tanti moderni

8 Nesso eziologico è un’espressione tecnica che significa collegamento tra

causa ed effetto. V’è un nesso eziologico tra il fumo delle sigarette e il tumore ai polmoni, così come tra il mangiare frutti di mare avariati ed essere poi affetti da epatite virale.

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fondamentalisti, accorpavano in modo acritico versetti degli strati più vetusti dell’Antico Testamento con le parole, nuove e illuminanti, con le quali Gesù ora voleva illuminarli.

Concludiamo: il messaggio di Dio parla all’uomo all’interno della sua storia; si esprime con vocaboli umani e questi, si sa, sottendono sempre concetti che sono anche umani. In epoche arcaiche il ritratto di Dio ricalcava le concezioni della personalità corporativa che caratterizzavano i livelli di comprensione dell’epoca; successivamente fu reso chiaro che le responsabilità etiche (e le relative loro conseguenze) ineriscono l’individuo in quanto tale. Il messaggio dell’intero Nuovo Testamento, che riecheggia e incornicia la rivelazione fatta da Gesù nella “pienezza dei tempi” è estremamente chiaro: l’appello alla conversione e l’offerta della salvezza è individuale. Non posso convertirmi per mio padre o per mio figlio. Devo essere pronto ad assumermi le mie responsabilità, personalmente.

Che differenza con l’età arcaica da cui la nostra analisi è partita. Ed è per questo che ci sentiamo cristiani! Se niente fosse mutato sarebbe stata pleonastica e inutile la rivelazione neotestamentaria.

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Capitolo sesto

Impariamo da Gesù

Noi possiamo avere un’idea efficace della interazione tra aspetto umano e aspetto divino della Bibbia se istituiamo un parallelo con la persona di Gesù e se ci mettiamo, poi, alla suo scuola. L’evangelista Giovanni presenta la figura di Gesù in una prospettiva che è diversa da quella degli altri tre scrittori di vangeli, detti ‘sinottici’. Nel suo prologo Giovanni parla di Gesù come del Logos, cioè la ‘parola, la quale era Dio ma si è “fatta carne”, cioè s’è fatta uomo. Dunque il quarto vangelo insegna che Gesù è autentico Dio ma anche autentico uomo, quel che si dice un composto ‘teandrico’. L’incarnazione di Dio in Gesù è il fondamento della fede cristiana senza il quale quest’ultima non regge. Si pensi che una sola volta nel Nuovo Testamento ricorre il termine ‘anticristo’ (con tutto il suo carico di orrido significato) ed è in un documento che pure appartiene al corpus giovanneo, la Prima epistola di Giovanni 4,2-3, dove leggiamo:

Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio, ma è lo spirito dell’anticristo.

Dunque è assolutamente conforme alla retta dottrina e, pertanto, indispensabile per un cristiano credere che Gesù sia stato veramente, realmente, effettivamente uomo. Cosa significa e cosa comporta questa affermazione? Significa che Dio, per il suo piano d’incontro con l’umanità, ha voluto assumere tutti i limiti propri della condizione umana. Gesù da bambino crebbe progressivamente quanto a statura e quanto a ‘sapienza’, proprio come un bambino che va a scuola per imparare:

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Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini. Lc. 2,52.

A Betania, di fronte alla morte del suo amico Lazzaro egli fu preso da un autentico sentimento umano, come la tristezza, e pianse di dolore:

Quando Gesù la vide piangere, e vide piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette nello spirito, si turbò e disse: «Dove l'avete deposto?» Essi gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù pianse. Perciò i Giudei dicevano: «Guarda come l’amava!». Gv. 11,33-36.

Nel deserto, dopo quaranta giorni di digiuno, Gesù ebbe

davvero fame:

Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano, e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, dove era tentato dal diavolo. Durante quei giorni non mangiò nulla; e quando furono trascorsi, ebbe fame. Lc. 4,1-2.

Nel giardino del Getsemani, di fronte alla prospettiva di

una morte atroce, come un vero uomo, Gesù ebbe paura e per due volte pregò il Padre di evitare un così atroce epilogo, pur rimettendosi alla fine alla Sua volontà:

E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia

a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi». Poi tornò dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me un'ora sola? Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: «Padre mio, se non è possibile che questo

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calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». Mt. 26,39-42.

Gesù affermò di non conoscere il momento della fine di questa dispensazione asserendo che solo Dio ne era a conoscenza:

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma solo il Padre. Mc. 13,31-32.

Fermiamoci qui. Risulta ben evidente che l’assunzione del

carattere umano da parte di Gesù fu totale e autentica, essa pertanto comportò anche quella di tutti i limiti connessi necessariamente a questa condizione. La storia del cristianesimo antico ne offre una prova: la più perniciosa tra le dottrine che sarebbero state poi dichiarate ereticali fu quella degli gnostici il cui tratto caratterizzante era la negazione della venuta di Gesù in carne, in altri termini Gesù avrebbe avuto solo un’apparenza di corpo materiale (docetismo). Probabilmente questa dottrina risentiva di quella tradizione platonica secondo la quale tutto ciò che era materiale costituiva un disvalore mentre l’elemento spirituale era da considerarsi alto e nobile; quindi un Dio che assumeva natura umana era per quella mentalità pagana inconcepibile, e così per gli gnostici. Tertulliano di Cartagine, un apologeta latino degli inizi del terzo secolo, si profuse in un’opera specificamente intesa a confutare lo gnosticismo a cui diede per titolo De carne Christi.

Torniamo al nostro tema centrale: se accettiamo che Gesù Cristo, la parola di Dio, ebbe realmente natura e carattere umano, perché allora dovremmo gridare allo scandalo di fronte alla dottrina parallela secondo la quale la Bibbia, Parola di Dio, sarebbe dotata parimenti anche di carattere umano?

Se Cristo non fosse stato anche uomo e se non si fosse espresso con termini umani non avrebbe potuto essere compreso dagli uomini, così se la Bibbia non si esprimesse anche con tutte le caratterizzazioni (e pertanto i limiti) del linguaggio umano non avrebbe per noi (uomini) significato e comprensibilità.

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Riconoscere alla Bibbia anche il carattere di documento umano significa dir qualcosa di palese a tal punto da risultare addirittura ovvio. Significa dare risposta al quesito da cui siamo partiti, interpretando nella giusta luce di una progressione storica quelle pagine ‘difficili’ di cui abbiamo prima stilato un lungo elenco.

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Capitolo settimo

Parola di Dio e parola dell’uomo V’è tuttavia un prezzo caro da pagare se ci disponiamo a riconoscere, come buona logica ed evidenze esigono, il carattere teandrico della Scrittura. Questo prezzo, che è indispensabile corrispondere, consiste nella difficoltà che volta per volta ci si prospetta quando desideriamo ascoltare la voce di Dio attraverso i paludamenti delle umane lettere. V’è un rischio duplice: da un lato ritenere che un volere divino valido per noi oggi venga considerato alla stregua di una marginale consuetudine di un’epoca tramontata, dall’altro – al contrario - attribuire a Dio atteggiamenti, azioni e pensieri proprio dell’uomo di altri tempi. E tuttavia non vedo altra strada! Domandiamoci: perché Dio ha voluto che fosse prodotta la raccolta di scritti denominata Bibbia? Qual è lo scopo delle Scritture? Dalla risposta a queste domande dipende l’acquisizione della chiave ermeneutica per comprendere appieno il messaggio di quelle pagine. È presto detto: la Bibbia è un messaggio del Creatore alle creature finalizzato a far loro ritrovare la strada di una piena e salvifica comunione con Dio stesso. Il sesto dei trentanove Articoli di fede della Chiesa d’Inghilterra è molto chiaro nella sua semplicità:

La Sacra Scrittura contiene tutte le cose necessarie alla salvezza: cosicché tutto ciò che né in essa si legge, né può per essa provarsi, non debba esigersi che sia da alcuno creduto come articolo di Fede, né deve essere riputato come richiesto di necessità alla salvezza. Sotto il nome di sacra Scrittura noi intendiamo quei Libri canonici del

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Vecchio e del Nuovo Testamento, dell’autorità del quali non fu mai alcun dubbio nella Chiesa9.

Dello stesso tenore il quinto degli Articles of Religion della Chiesa Metodista stabilito nel 1784:

La Sacra Scrittura contiene tutto ciò che è necessario alla salvezza; pertanto tutto ciò che non vi si legge e che non può essere da essa provato non può essere ritenuto un articolo di fede o un requisito necessario alla salvezza. Con l’espressione Sacre Scritture noi facciamo riferimento ai libri canonici dell’Antico e del Nuovo Testamento la cui autorità non è mai stata posta in dubbio dalla chiesa10.

Come meglio esamineremo in un altro quaderno di questa stessa serie Aggiungi al carisma la formazione, la chiesa cristiana ha sempre ravvisato nella Bibbia il suo solido fondamento per tutto quanto concerneva la salvezza e la santificazione, la dottrina e condotta del credente. Nella letteratura cristiana antica la centralità delle Scritture è dimostrata, ove mai ve ne fosse bisogno, dalla gran quantità di scritti esegetici laddove avrei difficoltà a reperire testi simili a quello che noi oggi chiameremo “manuale di teologia sistematica”. Proprio così: la teologia della chiesa antica era teologia esegetica, non ‘sistematica’. L’esigenza di quest’ultimo approccio si affermò in àmbito cattolico romano con la Scolastica medioevale, una grande avventura del pensiero teologico e filosofico tendente a sistemare in un complesso organico e coerente i dati della Bibbia, della Patristica e della filosofia classica. In àmbito protestante questa esigenza fu avvertita un secolo circo dopo l’esplosione della Riforma. Infatti si definisce “Scolastica

9 Segue qui un dettagliato elenco dei libri da inserirsi nel canone biblico. 10 Testo originale: The Holy Scripture containeth all things necessary to

salvation; so that whatsoever is not read therein, nor may be proved thereby, is not to be required of any man that it should be believed as an article of faith, or be thought requisite or necessary to salvation. In the name of the Holy Scripture we do understand those canonical booksof the Old and New Testaments of whose authority was never any doubt in the church. Segue l’elenco dei libri biblici.

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protestante” quel complesso di tentativi teologici, di parte sia luterana che calvinista, di ‘sistemare’ le dottrine desumibili dalla Bibbia e consolidate dai primi concili ecumenici, il tutto come recepito dai riformatori di riferimento. Questa Scolastica protestante definì la centralità della Bibbia, la sua sufficienza ai fini della salvezza e della vita cristiana, la sua piena attendibilità in riferimento a questi scopi che, in concreto, erano gli scopi stessi di Dio nel dar vita al processo che definiremo dell’ispirazione, cioè della redazione dei testi biblici. Fu soltanto negli anni ’20 del Novecento che negli Stati Uniti d’America il movimento ‘fondamentalista’ integrò la tradizionale dottrina sulla Scrittura con la dichiarazione che questa era da considerarsi infallibile e inerrante su qualsiasi argomento: geologia, scienza, biologia, matematica, medicina, storia, geografia, etc. Questa ‘inerranza’ era limitata ai testi ‘autografi’ delle Scritture, cioè ai manoscritti così come usciti direttamente dalla penna degli autori. Inutile dire che tali manoscritti sono tutti smarriti, quindi si attribuivano qualità a un testo non disponibile. Delle due l’una: 1. Dio aveva accuratamente e miracolosamente assicurato nei secoli una qualità a testi lasciati poi scomparire (tanto lavoro per niente!); 2. Dio avrebbe estesa la Sua assistenza procurando che il requisito dell’infallibilità fosse conferito alle copie ed alle copie delle copie fino a pervenire al testo a stampa che oggi è nelle nostre mani (allora perché enfatizzare il carattere infallibile in modo limitativo, cioè ai soli ‘autografi’?). La pretesa fondamentalista da un lato ha introdotto negli articoli di fede di alcune denominazioni evangeliche ‘conservatrici’ un elemento nuovo estendendo l’spirazione divina (e pertanto l’inerranza) su temi non pertinenti al processo di salvezza / santificazione, anzi del tutto ‘profani’; dall’altro ha dato la stura a un’infinità di controversie, critiche alle Scritture, contestazioni sovente approdate, in modo alquanto ridicolo, nelle aule dei tribunali statunitensi dove giudici togati sono stati chiamati a sentenziare sui giorni della creazione.

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I fondamentalisti, specialmente se di stampo calvinista, non hanno attinto al patrimonio della tradizione della chiesa11 ma si sono avvalsi di un sillogismo che può così riassumersi: 1. la Bibbia è il libro di Dio; 2. Dio non può mentire; 3. Quando la Bibbia si esprime anche su temi non inerenti la vita spirituale afferma il vero senza errori. Abbiamo così assistito alla trasformazione di quella che era mirabilmente definita dagli antichi cristiani come “la lettera del Creatore alle creature” in quella che in mani più sprovvedute si trasforma facilmente in un talismano se non in un pericoloso “papa di carta”.

11 In questo caso avrebbero dovuto far tesoro del processo contro Galileo

Galilei sui movimenti della terra e del sole, però mettendosi contro Galilei dalla parte dell’Inquisizione cattolica che difendeva la verità d’ordine ‘scientifico’ del moto del sole intorno al pianeta terra.

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Capitolo ottavo

Un Dio unico con diversi ‘ritratti’

Siamo giunti al momento conclusivo del nostro percorso. Senza giri di parole e discorsi elaborati, con quella fedeltà a quel Gesù che ci esortò a parlar chiaro dicendo “Sì, sì oppure no, no” 12 ci domandiamo ora: l’Iddio che ordinò di non lasciar anima vivente a Gerico13 sventrando donne incinte e sfracellando lattanti è quello stesso che avrebbe poi insegnato a porgere l’altra guancia 14 e sarebbe stato definito semplicemente come ‘amore’15? Abbiamo superato le tentazioni di Marcione, crediamo che l’Iddio del giudaismo sia lo stesso di quello dei cristiani, il medesimo nell’Antico e del Nuovo Testamento. Ma se vogliamo essere onesti non possiamo negarne le differenze profonde che appaiono sovente addirittura antiteticità. Come concludere? La maniera più semplice, se dunque crediamo che si tratti di un unico Agente, è ammettere che i ‘ritratti’ di Costui siano diversi e che tale diversità sia determinata dal diverso livello di evoluzione ‘morale’ dei soggetti che ne parlarono: una tribù nomadica del Vicino Oriente antico di duemila anni circa era necessariamente, naturalmente adeguata ai suoi tempi nel concepire il carattere e la volontà di Dio. Dio ha rispettato i tempi di maturazione morale dell’umanità, e anche del popolo d’Israele, Suo privilegiato interlocutore. Facciamo un paragone con quel che potrebbe dirsi di un individuo. Da ragazzo egli ascolta l’esortazione dei genitori ad andare in giardino a giocare. Credendo di essere obbediente prende la sua fionda, la carica con le pietre che trova a terra e inizia a

12 Mt. 5,37. 13 Giosuè 6. 14 Mt. 5,29; Lc. 6,39. 15 1 Gv. 4,8.

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colpire i nidi degli uccelli sui rami degli alberi. Questo stesso ragazzino col passare degli anni, magari seguendo il consiglio dei suoi genitori, si sarebbe poi iscritto alla Facoltà di Veterinaria diventando poi un brillante medico veterinario che, con passione e professione, avrebbe curato la salute dei suoi pazienti animali. Magari egli diventerà anche socio benemerito della LUPU, Lega per la protezione degli uccelli. Cosa pensare di questo veterinario? Ci troviamo di fronte a un personaggio incoerente? Magari uno schizofrenico? Molto più semplicemente: ha attraversato momenti evolutivi diversi ed ha recepito le esortazioni dei genitori in conformità al livello di sensibilità di cui, volta per volta, era dotato, sempre credendo di mettere in pratica l’intenzione di papà e mamma. Cos’altro significa che Gesù è venuto “nella pienezza dei tempi” 16 ? L’espressione non si riferisce all’epoca dell’impero romano, come una lunga tradizione esegetica ha ritenuto, bensì al momento preciso stabilito da Dio per la storia dell’umanità. Se oltre al sacrificio del Calvario c’è stata la predicazione, cioè l’insegnamento, di Cristo, se c’è stata la stesura di ventisette libri del Nuovo Testamento e se questo corpus è a buon diritto chiamato nuovo, allora tutto ciò qualcosa vuol dire! Il Nuovo non cancella l’Antico ma lo illumina, lo illustra, lo palesa come un documento in sé stesso incompleto e parziale. La componente ‘umana’ di quella raccolta che, come abbiamo visto, s’affianca a quella di carattere ispirato, ci consegna un ritratto di usi e costumi coerenti con quelle epoche antiche: la schiavitù, la poligamia, la lapidazione, la legge del levirato e così via. Magari se confrontiamo le istituzioni d’Israele con quelle delle culture contemporanee dell’epoca possiamo concludere in base al paragone che esse erano più ‘evolute’. Certamente la condizione degli schiavi era più mite, certamente era più equo attuare una giustizia “occhio per occhio, dente per dente” anziché reagire a un omicidio con una strage e, tuttavia, il progresso ha continuato a camminare, così la rivelazione ha continuato pure, così anche la capacità dell’uomo di recepire ed esternare.

16 Gal. 4,4.

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Non ci si lambicchi il cervello sforzandosi di attribuire a Dio e di inserire nel Suo messaggio di salvezza quel ritratto bellicoso e fosco che libri come Giusuè e Giudici, ad esempio, ci consegnano. Molti episodi che vi leggiamo non rientrano nel messaggio di salvezza ma lo preparano attestando un livello di ferinità che sarebbe poi stato del tutto superato. L’istituto dello herem di cui abbiamo parlato, cioè la consacrazione all’Eterno degli eserciti di un intero popolo da sterminare, non ha niente a che fare con la nostra salvezza e santificazione se non perché ci fa apprezzare il carattere diverso del nostro Salvatore e dell’economia di amore che ha instaurato riflettendo, questa volta in pieno e completamente, il ritratto di Dio autentico. Restituiamo alla componente umana della Scrittura i tanti episodi che grondano sangue e trasudano inaudita violenza. Sono attestazioni di come ogni uomo, non importa se sia greco o giudeo, abbia bisogno della grazia salvifica di un Dio che, finalmente, abbiamo conosciuto come amore. Concludiamo: Sì, il Dio dei cristiani è lo stesso Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, è lo stesso Eterno degli eserciti e, tuttavia, i ritratti che ci consegnano i libri biblici sono diversi. Tale diversità attesta il carattere progressivo e il valore storico della rivelazione biblica, il rispetto di Dio per i tempi di maturazione delle Sue creature, la necessità di Gesù e del Suo insegnamento al fine di acquisire la pienezza della verità.

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Aggiungi al carisma la formazione Quaderni di formazione continua in àmbito storico e teologico

a cura di Giancarlo Rinaldi Docente di Storia del cristianesimo Università degli Studi di Napoli l’Orientale

I volumetti possono essere richiesti all’autore o scaricati dal blog:

[email protected] - blog: giancarlorinaldiblog _________________________________________________

Programma della collana:

N° 1 – Infallibile?

L’autorità della Bibbia alla luce della Bibbia stessa, della storia e della ragione. (In preparazione).

N° 2 – Pagine indigeste dell’Antico Testamento. Il Dio dei cristiani è il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe?

N° 3 – Esiste una teologia pentecostale? Sulle tracce della spina dorsale teologica del pentecostalesimo. (In preparazione).

N° 4 – Glossolalia. Cosa significa realmente “parlare in lingue?”. (In preparazione). N° 5 – Fede evangelica e massoneria. Possibile un incontro? (Disponibile). N° 6 – Testimonianza evangelica e impegno politico. Come conciliare i doveri del cittadino con quelli del credente?

(In preparazione). N° 7 – “Preghino a capo coperto”. Le donne devono portare il velo in chiesa? (In preparazione). N° 8 – La donna pastore. Possibile e desiderabile? (In preparazione). N° 9 – Bibliografia ragionata sulla storia del movimento pentecostale

italiano. (Disponibile).

N° 10 – Pre- destinati ? Note sulla storia del dibattito sulla predestinazione. (Disponibile).