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AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA :questioni di clinica medica degli animali da compagnia Diagnosi caso 1: Il cane magro con il “pancione”: un segno, tante cause Grazie alla raccolta anamnestica, la visita clinica e le indagini collaterali è stato possibile raggiungere la diagnosi di sospetto: epatite cronica di origine tossica causata dall’ingestione di parti velenose di Cycas Revoluta. Le epatiti croniche del cane, sono processi flogistici che si sviluppano principalmente a livello del parenchima epatico, con il conseguente innalzamento dei valori delle transaminasi. Si tratta di patologie che si riscontrano soprattutto in cani di età adulta (4-7 anni) ad eccezione delle forme ereditarie da accumulo di rame che possono insorgere anche in soggetti più giovani; risultano maggiormente interessate le femmine, e, pur potendo interessare tutte le razze, esiste maggiore predisposizione per Bedlington Terrier, Dalmata, Labrador Retriever, Whest Highland White Terrier, Dobermann e Spaniel. Dal punto di vista sintomatologico, i cani affetti da epatite cronica possono presentarsi asintomatici o con segni clinici del tutto aspecifici, quali poliuria e polidipsia, anoressia/disoressia, dimagramento, abbattimento e intolleranza agli sforzi, vomito, diarrea e nei, casi gravi, ascite, coagulopatie ed encefalopatia epatica. La visita clinica del paziente raramente porta al riscontro di qualche reperto indicativo ad eccezione di uno scadimento delle condizioni generali del soggetto, o condizioni più eclatanti come ittero o ascite. Anche le alterazioni di laboratorio risultano non sempre indicative: si riscontrano di norma aumenti delle transaminasi , meno costanti aumenti di fosfatasi alcalina e γ-glutamiltransferasi; nelle fasi avanzate è poi possibile evidenziare tutte le alterazioni indicative di un malfunzionamento epatico, come ipoalbuminemia, riduzione dei valori dell’urea, aumento degli acidi biliari, abbassamento del fibrinogeno. Tra le alterazioni ematologiche che si possono incontrare, ci sono lieve anemia, leucocitosi e piastrinopenia (da consumo, in associazione a coagulopatia) oltre all’aumento dei tempi coagulativi (tempo di protrombina (PT), e tempo di tromboplastina parziale, PTT). La diagnostica per immagini, ed in particolare l’ecografia addominale, può solo completare il quadro ma non fornisce la diagnosi di certezza, in quanto possono sia essere evidenziate alterazioni nella struttura epatica, soprattutto in caso di cirrosi, ma non necessariamente soggetti affetti da epatite cronica presentano alterazioni dell’ecostruttura rilevabili all’esame. Lo strumento diagnostico più indicato in caso di tali patologie, è rappresentato dall’esame istopatologico di un campione prelevato tramite biopsia (ovviamente va ricordato che, in caso di patologia avanzata, in cui fossero comparsi deficit coagulativi, quest’ultima risulta controindicata). Nel presente caso l’esame bioptico ed istopatologico non è stato eseguito in quanto il proprietario non ha dato il suo consenso alla procedura perché preoccupato degli elevati rischi anestesiologici dovuti alla grave condizione clinica del suo cane.

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AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA :questioni di clinica medica degli

animali da compagnia

Diagnosi caso 1: Il cane magro con il “pancione”: un segno, tante cause

Grazie alla raccolta anamnestica, la visita clinica e le indagini collaterali è stato possibile raggiungere la

diagnosi di sospetto: epatite cronica di origine tossica causata dall’ingestione di parti velenose di Cycas

Revoluta.

Le epatiti croniche del cane, sono processi flogistici che si sviluppano principalmente a livello del

parenchima epatico, con il conseguente innalzamento dei valori delle transaminasi. Si tratta di patologie

che si riscontrano soprattutto in cani di età adulta (4-7 anni) ad eccezione delle forme ereditarie da

accumulo di rame che possono insorgere anche in soggetti più giovani; risultano maggiormente interessate

le femmine, e, pur potendo interessare tutte le razze, esiste maggiore predisposizione per Bedlington

Terrier, Dalmata, Labrador Retriever, Whest Highland White Terrier, Dobermann e Spaniel.

Dal punto di vista sintomatologico, i cani affetti da epatite cronica possono presentarsi asintomatici o con

segni clinici del tutto aspecifici, quali poliuria e polidipsia, anoressia/disoressia, dimagramento,

abbattimento e intolleranza agli sforzi, vomito, diarrea e nei, casi gravi, ascite, coagulopatie ed

encefalopatia epatica. La visita clinica del paziente raramente porta al riscontro di qualche reperto

indicativo ad eccezione di uno scadimento delle condizioni generali del soggetto, o condizioni più eclatanti

come ittero o ascite.

Anche le alterazioni di laboratorio risultano non sempre indicative: si riscontrano di norma aumenti delle

transaminasi , meno costanti aumenti di fosfatasi alcalina e γ-glutamiltransferasi; nelle fasi avanzate è poi

possibile evidenziare tutte le alterazioni indicative di un malfunzionamento epatico, come ipoalbuminemia,

riduzione dei valori dell’urea, aumento degli acidi biliari, abbassamento del fibrinogeno. Tra le alterazioni

ematologiche che si possono incontrare, ci sono lieve anemia, leucocitosi e piastrinopenia (da consumo, in

associazione a coagulopatia) oltre all’aumento dei tempi coagulativi (tempo di protrombina (PT), e tempo

di tromboplastina parziale, PTT).

La diagnostica per immagini, ed in particolare l’ecografia addominale, può solo completare il quadro ma

non fornisce la diagnosi di certezza, in quanto possono sia essere evidenziate alterazioni nella struttura

epatica, soprattutto in caso di cirrosi, ma non necessariamente soggetti affetti da epatite cronica

presentano alterazioni dell’ecostruttura rilevabili all’esame.

Lo strumento diagnostico più indicato in caso di tali patologie, è rappresentato dall’esame istopatologico di

un campione prelevato tramite biopsia (ovviamente va ricordato che, in caso di patologia avanzata, in cui

fossero comparsi deficit coagulativi, quest’ultima risulta controindicata).

Nel presente caso l’esame bioptico ed istopatologico non è stato eseguito in quanto il proprietario non ha

dato il suo consenso alla procedura perché preoccupato degli elevati rischi anestesiologici dovuti alla

grave condizione clinica del suo cane.

Le cause alla base dell’epatite cronica nel cane sono spesso sconosciute, è per questo motivo che molte di

queste patologie sono classificate come idiopatiche, sebbene si sia ipotizzata un’origine autoimmune; tra le

cause note di epatite si possono considerare quelle tossiche, quelle infettive (batteriche, virali o

protozoarie), le ereditarie (da accumulo di rame).

L’approccio terapeutico in corso di epatite cronica è duplice: terapie specifiche, volte ad eliminare la causa

primaria e aspecifiche, per contrastare gli effetti negativi che si verificano a livello epatico in corso della

patologia.

Qualora non sia possibile risalire alla causa sottostante la terapia è solo sintomatica per eliminare

l’infiammazione, rallentare i processi di fibrosi, antagonizzare gli effetti ossidativi ed evitare la colestasi.

Nel caso clinico descritto non è stato possibile raggiungere una diagnosi di certezza e, nonostante il forte

sospetto di una origine tossica dell’epatite cronica in atto, la terapia instaurata è stata solo sintomatica sia

perché non è documentata l’esistenza di un antidoto efficace nei confronti delle tossine della Cycas sia per

l’eccessivo lasso di tempo intercorso dall’ingestione di tali sostanze.

Il cane è stato quindi trattato con:

- Fluidoterapia

- Diuretici (furosemide alla dose di 2-4 mg/kg , bid, per via orale)

- Antibiotico terapia (amoxicillina/acido clavulanico alla dose di 20 mg/kg, bid, per os)

-Alimento complementare specifico con Silimarina, MOS e fosfatidilcolina

-Integrazione di vitamine del gruppo B

-Dieta specifica per patologie epatiche

Il soggetto ha mostrato un lieve miglioramento clinico all’inizio del trattamento dovuto alla riduzione

dell’ascite. Purtroppo dopo circa 3 settimane si è verificato un progressivo peggioramento della

sintomatologia fino al decesso.

Diagnosi caso 2 : Il boxer con il “gonfiore” alle zampe: non sempre è un problema di

cuore

Considerando la presenza di alcuni segni clinici suggestivi (linfoadenomegalia, splenomegalia, anemia,

proteinuria…..) e che Bella è nata ed è vissuta sempre in area endemica per leishmaniosi , i successivi esami

diagnostici sono stati indirizzati per la valutazione di tale patologia.

La diagnosi eziologica di leishmaniosi canina è possibile mettendo in evidenza il protozoo o gli anticorpi

diretti contro di esso. I metodi diagnostici utilizzabili sono:

l’osservazione diretta al microscopio di un preparato citologico ottenuto da ago-aspirato linfonodale,

midollare, splenico o da campioni citologici ottenuti da lesioni campionabili (es.: lesioni nodulari,

scarificazioni di lesioni ulcerate cutanee, ecc…) che permette l’identificazione degli amastigoti di Leishmania

infantum;

test sierologici (test rapidi immunocromatografici, ELISA, immunofluorescenza) eseguiti su siero di sangue

per la messa in evidenza di anticorpi- anti Leishmania infantum;

test PCR (qualitativo o quantitativo) eseguito su sangue midollare, materiale linfonodale, materiale

splenico, materiale ottenuto da lesioni cutanee attribuibili al parassita o sangue periferico, per

l’amplificazione del DNA del protozoo;

esame colturale (facilmente ottenibile da materiale linfonodale) che permette la moltiplicazione del

parassita e la valutazione della presenza dello stesso sottoforma di promastigote. Tale tecnica richiede

lunghi tempi di attesa, circa 4 settimane, e per tale motivo non è utilizzabile a scopo diagnostico

ambulatoriale.

Nel caso di Bella è stato deciso di eseguire un prelievo di sangue per l’esecuzione del test IFAT e, in attesa

dei risultati, un ago-aspirato midollare a livello delle sternebre per una più rapida ricerca del parassita.

L’osservazione diretta al microscopio dei preparati citologici midollari ha permesso l’identificazione di

numerosi amastigoti di L. infantum, sia all’interno dei macrofagi sia in sede extracellulare (Fig.3).

Figura 1 Preparato citologico midollare. Numerosi amastigoti di L. infantum all'interno di un macrofago

(Freccia grande). Sono evidenti numerose plasmacellule (Freccia piccola).

Questo reperto ha permesso di emettere una diagnosi certa di leishmaniosi. Il successivo esito del test

IFAT ha messo in evidenza la presenza di un elevato titolo anticorpale pari a 1/2560. Prima di iniziare il

trattamento terapeutico di un cane affetto da leishmaniosi è importantissimo cercare di inquadrare

l’infezione-malattia nel suo stadio evolutivo, sia per consentirne l’opportuna terapia, sia per anticipare

possibili evoluzioni verso fasi più gravi o di irreversibilità. Le più recenti linee guida pubblicate dal gruppo di

studio internazionale sulla leishmaniosi canina (LEISHVET) descrivono 4 stadi clinici basati sull’interazione

dei risultati sierologici, dei segni clinici, degli esami emato-biochimici ed urinari e suggeriscono il tipo di

terapia e l’eventuale prognosi per ognuno di essi (Tab 3).

Tabella 1. Stadiazione clinica secondo le linee guida “LEISHVET” (Solano Gallego et al., Parasit & Vectors,

2011, modificato).

Stadi

clinici Sierologia * Segni Clinici

Alterazioni di

laboratorio Terapia Prognosi

Stadio I

Malattia

Lieve

Livelli degli

anticorpi

negativi o

bassi

Segni clinici lievi come

linfoadenomegalia o

dermatite papulare

Di norma non sono

osservate

anomalie

clinicopatologiche

Profilo renale

normale:

Assenza di evidenze

scientifiche sulla

necessità di

trattamento. In

alternativa:

allopurinolo o

Buona

Stadi

clinici Sierologia * Segni Clinici

Alterazioni di

laboratorio Terapia Prognosi

creatinina < 1.4

mg/dl; non-

proteinurico: UPC

< 0.5

antimoniato di n-

metilglucamina o

miltefosina, in

differenti

combinazioni**

Stadio II

Malattia

moderata

Livelli di

anticorpi

variabili,

solitamente

bassi o

medi;

possibili

anche casi

con livelli di

anticorpi

alti

Cani che, oltre ai segni

clinici elencati nello

stadio I, possono

presentare: lesioni

cutanee diffuse o

simmetriche come

dermatite

esfoliativa/onicogrifosi,

ulcere (piano nasale,

cuscinetti, prominenze

ossee, giunzioni

mucocutanee),

anoressia, perdita di

peso, febbre, ed

epistassi

Anomalie

clinicopatologiche

come leggera

anemia non

rigenerativa,

iperglobulinemia,

ipoalbuminemia,

sindrome da

iperviscosità

sierica

Sottostadi

a) Profilo renale

normale:

creatinina < 1.4

mg/dl; non-

proteinurico: UPC

< 0.5

b) Creatinina <1.4

mg/dl; UPC = 0.5-1

Allopurinolo +

antimoniato di n-

metilglucamina o

allopurinolo +

miltefosina

Da buona

a riservata

Stadio III

Malattia

grave

Livelli di

anticorpi da

medi ad alti

Cani che, oltre ai segni

elencati negli stadi I e II,

possono presentare

segni causati dal lesioni

da immunocomplessi:

vasculite, artrite, uveite

e glomerulonefrite.

Anomalie

clinicopatologiche

elencate nello

stadio II

Insufficienza

renale cronica

(CKD),stadio 1 IRIS

con UPC > 1 o

stadio 2 (creatinina

1.4-2 mg/dl)

Allopurinolo +

antimoniato di n-

metilglucamina o

allopurinolo +

miltefosina

Seguire le lineeguida

IRIS per la CKD

Da

riservata a

infausta

Stadi

clinici Sierologia * Segni Clinici

Alterazioni di

laboratorio Terapia Prognosi

Stadio IV

Malattia

molto

grave

Livelli

anticorpali

da medi ad

alti

Cani con i segni clinici

elencati nello stadio II.

Tromboembolismo

polmonare, o sindrome

uremica e stadio finale

della malattia renale

Anomalie

clinicopatologiche

elencate nello

stadio II

CKD, stadio 3 IRIS

(creatinina 2-5

mg/dl) e stadio 4

IRIS (creatinina > 5

mg/dl) Sindrome

uremica: marcata

proteinuria UPC >

5

Allopurinolo (da solo)

Seguire le lineeguida

IRIS per CKD

Solitamen

te

infausta

*I cani con livelli anticorpali da medi ad alti dovrebbero essere confermati come infetti attraverso altri

metodi diagnostici come citologia, istologia, immunoistochimica o PCR. Alti livelli anticorpali, definiti con un

aumento 3-4 volte al di sopra del cut off di un laboratorio accreditato, sono decisivi nella diagnosi di

leishmaniosi canina. **Cani nello stadio I (Lieve malattia) richiedono trattamenti meno prolungati con uno

o una combinazione di due farmaci o in alternativa monitoraggio e nessun trattamento. Tuttavia, ci sono

poche informazioni riguardo questi cani, di conseguenza le opzioni terapeutiche rimangono da definire.

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Come emerge anche dalle linee guida sopra riportate, uno degli aspetti più importanti da inquadrare in un

soggetto leishmaniotico, dal punto di vista clinico, diagnostico, terapeutico e prognostico, è la severità del

danno renale. Ciò è possibile attraverso l’impiego della classificazione delle nefropatie croniche stilata dalla

International Renal Interest Society (IRIS) (Tab.4).

Tabella 2. Stadiazione del paziente nefropatico secondo le linee guida IRIS (2009), modificato da: www.iris-

kidney.com

Stadio

CREATININA PLASMATICA

mol/l

mg/dl

Commenti

CANI GATTI

_ <125

<1.4

<140

<1.6

A rischio di CKD

Per pazienti identificati come “a rischio” ,

effettuare controlli regolari e ridurre I fattori di

rischio

1 <125 <140 Non-azotemico

<1.4 <1.6 Presenti alcune altre anomalie renali come

inadeguata capacità di concentrazione in assenza

di cause non-renali identificabili; riscontri anomali

alla palpazione renale e/o alla diagnostica per

immagini; proteinuria persistente di origine renale,

risultati anormali alla biopsia renale, livelli

progressivamente elevati di creatinina

2 125-179

1.4-2.0

140-249

1.6-2.8

Lieve azotemia renale

La creatinina in questo stadio non sempre è

sufficientemente indicativa, in presenza di deficit

di escrezione

3 180-439

2.1-5.0

250-439

2.9-5.0

Azotemia renale moderata

Possono essere presenti segni clinici sistemici

4 >440

>5.0

>440

>5.0

Azotemia renale grave

Sono di solito presenti segni clinici sistemici

Questa classificazione viene ulteriormente perfezionata dalla misurazione della proteinuria (Tab. 5)

Tabella 3. Sotto-classificazione IRIS (2009) in relazione al valore della proteinuria (Substage 2a), modificato

Valori di UPC Sottostadio

Cani Gatti

<0.2 <0.2 Non-proteinurico (NP)

0.2 to 0.5 0.2 to 0.4 Proteinurico borderline (BP)

>0.5 >0.4 Proteinurico (P)

I pazienti, quando possibile, dovrebbero essere ulteriormente monitorati attraverso la misurazione della

pressione sanguigna arteriosa (Tab.6)

Tabella 4. Classificazione IRIS (2009): i pazienti sono divisi in sottostadi, in base ai valori della pressione

arteriosa

Pressione Sanguigna

Sistolica (mm Hg)

Pressione Sanguigna

Diastolica (mm Hg)

Correzione quando

sono disponibili I range

di riferimento specifici

di razza *

Sottostadio Pressione

Arteriosa (AP)

<150 <95 < 10 mmHg al di sopra

del range di riferimento

0

Rischio minimo

150-159 95-99 10-20 mmHg al di sopra

del range di riferimento

1

Basso rischio

160-179 100-119 20-40 mmHg al di sopra

del range di riferimento

2

Rischio moderato

≥ 180 ≥ 120 ≥ 40 mmHg al di sopra

del range di riferimento

3

Alto rischio

Nessuna evidenza di complicazioni / danno organico terminale Nessuna complicazione

Evidenza di complicazioni / danno organico terminale Complicazioni

Pressione sanguigna non misurata Rischio non

determinato

*Se disponibili, è preferibile utilizzare i ranges specifici di razza, come valori normali, e comparare la

misurazione con il limite superiore del range per la razza che si st esaminando. I levrieri, in particolare,

hanno valori di riferimento più alti della maggior parte delle razze canine.

Nel caso di Bella, la misurazione della pressione arteriosa, ha dato un valore medio di 148 mm/Hg.

Alla luce del segnalamento, dei dati clinici e di tutti i test di laboratorio eseguiti, Bella è stata classificata in

Stadio IV della classificazione LeishVet.

Lo stadio IV di malattia purtroppo è il piu’ grave e spesso nonostante un repentino e corretto approccio

terapeutico la prognosi resta riservata. Ad aggravare la situazione di Bella è inoltre la razza del cane; alcuni

studi dimostrano che il Boxer in particolare è geneticamente più predisposto a sviluppare la malattia

leishmaniotica.

TERAPIA E DISCUSSIONE FINALECopyright©2011 Solano-Gallego et al; licensee BioMed Central Ltd.

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(http://creativecommons.org/licenses/by/2.0), which permits unrestricted use, distribution, and

reproduction in any medium, provided the original work is properly cited.

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Il protocollo diagnostico e terapeutico proposto nel caso di Bella, cui è stato prescritto il ricovero,

prevedeva il completamento degli esami ematobiochimici per la messa in evidenza di possibili alterazioni

del profilo coagulativo, l’iniziale stabilizzazione del paziente con terapia fluido-elettrolitica per la correzione

dell’acidos metabolica, seguita da terapia specifica anti-leishmania (Miltefosine alla dose di 2 mg/kf al

giorno per via orale per 28 giorni consecutivi associata ad allopurinolo alla dose di 10 mg/kg due volte al

giorno per via orale per diversi mesi) e terapia per il controllo della condizione renale (enalapril, dieta a

basso tenore proteico, chelanti del fosforo, antiemetici, eritropoietina).

Il cane, ricoverato presso altra struttura per volere del proprietario, è purtroppo deceduto dopo alcuni

giorni.

Diagnosi caso 3: E’ giallo? C’è un problema!

L’anemia emolitica immunomediata (IMHA) è una delle cause più frequenti di anemia nei piccoli animali.

L’IMHA può essere suddivisa in due forme principali: primaria o idiopatica o anemia emolitica autoimmune

(AIHA) e secondaria. L’AIHA è un disordine autoimmune la cui origine è e resterà sconosciuta e

rappresenta la forma di anemia emolitica più frequente nel cane; l’IMHA secondaria, invece, si verifica in

seguito all’instaurarsi di numerosi processi patologici (Tab. 5)

Tab.5 Potenziali cause di anemia emolitica immunomediata

Farmaci Trimetoprim/sulfamidici

Penicilline

Cefalosporine

Levamisolo (cane)

Propiltiouracile (gatto)

FANS (fenilbutazone)

Dipirone

Chinidine

Clorpromazina

Infezioni/parassiti

Virus della leucemia felina

Emobartonellosi (H. felis nel gatto)

Babesiosi

Ehrlichiosi

Leishmaniosi

Dirofilariosi

Neoplasie

Malattie linfoproliferative (linfoma, leucemie)

Emangiosarcoma

Miscellanea

Postvaccinale

Punture d’api

Immunologiche

Lupus eritematoso sistemico

Reazioni trasfusionali

Isoeritrolisi neonatale (gatto)

Terapia globulinica antilinfocitaria (pazienti

trapiantati)

L’emoglobinuria è dovuta alla presenza di emoglobina nelle urine che è, a sua volta, indicativa di una

intensa emolisi intravasale in atto.

L’IMHA è caratterizzata dalla produzione di anticorpi in grado di legarsi alla membrana dei globuli rossi,

determinando la riduzione dell’ematocrito o per lisi diretta degli stessi o per rimozione degli eritrociti ad

opera del sistema reticolo-endoteliale. In particolare, si parla di emolisi intra- ed extra-vascolare.

Nel primo caso, le emazie vengono distrutte in seguito all’adesione dell’anticorpo e del complemento sulla

propria superficie; nel secondo caso, invece, dei recettori, localizzati sulla superficie dei macrofagi,

aderiscono all’anticorpo attaccato alla superficie eritrocitaria causandone la rottura.

L’anemia viene classificata come primaria (idiopatica) quando la causa resta ignota, rappresenta la forma di

IMHA più frequente nel cane, colpisce tipicamente in soggetti giovani /adulti, più frequentemente

femmine; le razze più colpite sono Cocker spaniel, Springer Spaniel inglese, Barboncino, Bobtail, Pastore

scozzese. La forma primaria (AIHA) può essere diagnosticata con assoluta certezza soltanto quando siano

state ampiamente valutate le potenziali cause sottostanti. Una ricerca completa di tali cause è però molto

difficile, dispendiosa, lunga e spesso infruttuosa. Gli esami di base standard comprendono un esame

emocromocitometrico con valutazione dello striscio periferico, un profilo biochimico, esame delle urine,

radiografia e/o ecografia addominale. Ulteriori esami da considerare nei pazienti anziani sono volti ad

escludere eventuali neoplasie sottostanti ed includono radiografia toracica, ecografia addominale, citologia

linfonodale e/o midollare.

Nel caso descritto, l’esame clinico del paziente e i risultati delle analisi eseguite hanno permesso di

emettere una diagnosi di anemia emolitica immunomediata (IMHA), confermata dalla positività del test di

Coombs diretto per la ricerca di anticorpi e/o complemento legati alla membrana eritrocitaria e

dall’osservazione microscopica dello striscio di sangue periferico, che ha evidenziato la presenza di sferociti

con contemporanea anisocitosi, policromasia, numerosi eritrociti nucleati e, contemporaneamente, ha

escluso possibili parassitosi in atto. Gli sferociti sono piccoli eritrociti sferoidali, che si colorano

intensamente conservando un pallore centrale. Essi assumono la forma sferoidale in seguito alla riduzione

di superficie della membrana cellulare, dovuta alla parziale fagocitosi da parte dei fagociti mononucleati.

La presenza di sferociti in un vetrino di sangue periferico indica che gli eritrociti presentano, legati alla loro

membrana, anticorpi o complemento che vengono riconosciuti dai recettori espressi sui fagociti. La

presenza di sferociti nel cane è un indicatore sensibile di IMHA. Un altro test molto semplice che può

essere attuato facilmente nella pratica clinica, qualora si abbia il sospetto di un’anemia emolitica

immunomediata, è il test di agglutinazione su vetrino. Esso consiste nel porre una goccia di sangue su di un

vetrino: in caso di disordine autoimmune si verificherà un’agglutinazione, ovvero piccoli aggregati di globuli

rossi. Se si miscela la stessa goccia di sangue con una di soluzione fisiologica per un paio di minuti, nel caso

in cui l’aggregazione non fosse dovuta alla presenza di anticorpi, ci sarà la risoluzione degli stessi; mentre,

in caso di disordine autoimmune gli agglutinati persisteranno. Ciò è possibile in quanto talvolta i fenomeni

di agglutinazione sono causati dalla presenza di proteine infiammatorie, come il fibrinogeno, che

impediscono alle cariche presenti sulla membrana di ogni globulo rosso, di espletare la propria funzione

repulsiva. Una volta effettuata la diluizione ematica con la soluzione fisiologica, però, avviene anche una

riduzione della concentrazione delle proteine infiammatorie, per cui i globuli rossi torneranno a separarsi.

Nel caso di Maggie anche questa prova ha dato esito positivo.

A completamento dell’iter diagnostico sono state escluse patologie concomitanti attraverso test specifici

come: ricerca di anticorpi anti-Leishmania infantum ed Ehrlichia canis.

Nel caso di Maggie l’iter diagnostico eseguito non ha permesso di riconoscere nessuna delle principali cause

di IMHA e, come spesso avviene in questi casi, questo punto rappresenta una vera frustrazione per il

veterinario in quanto è improbabile che l’IMHA possa venire efficacemente trattata senza aver identificato

la causa scatenante.

L’approccio terapeutico in corso di IMHA è duplice: specifico, volto sia alla rimozione della causa

scatenante, qualora sia possibile e aspecifico, attraverso terapia sintomatica e di supporto. Nel caso di

Maggie, la terapia effettuata è stata solo sintomatica ed ha previsto l’applicazione di un catetere

endovenoso, l’attuazione di una fluido terapia con Ringer lattato, l’esecuzione di una trasfusione, data la

gravità dell’anemia, terapia immunosoppressiva a base di prednisolone alla dose di 2-4 mg/kg die per via

orale fino a normalizzazione dell’ematocrito.

Nell’arco di una settimana si è assistito ad un notevole miglioramento delle condizioni cliniche e alla

graduale normalizzazione delle analisi di laboratorio. Dopo un mese di terapia immunosoppressiva a

dosaggio pieno, l’ematocrito di Maggie ha raggiunto la normalizzazione per cui è stato gradualmente

ridotto il dosaggio del prednisolone fino alla sua totale sospensione durante il mese successivo.

Maggie ha ottenuto una completa remissione della patologia.

Diagnosi caso 4: Cosa si nasconde dietro il vomito e la diarrea

In seguito ai rilievi clinici e di laboratorio sopra riportati, fu prescritta la seguente terapia: metronidazolo

(10 mg/kg, per os, bid), alimentazione a base di z/d ultra (Hill’s) per circa un mese.

Al controllo successivo, dopo qualche giorno dalla sospensione della terapia, il proprietario riferiva che il

paziente durante il trattamento era migliorato ma, subito dopo la sospensione della terapia, la

sintomatologia recidivava. Così si decise di sottoporre il soggetto ad una laparotomia esplorativa per

individuare, in maniera più specifica, il processo patologico, mediante biopsia ed esame istologico del

piccolo intestino.

La laparotomia esplorativa ha consentito di localizzare il processo patologico a livello digiunale, mentre i

prelievi bioptici hanno permesso di evidenziare, a livello del digiuno, un infiltrato linfoplasmocitico diffuso

nei villi intestinali, associato ad aree di sclerosi e ad aspetti di ipersecrezione. Nella parete si osservavano

macrofagi, cellule epitelioidi, linfociti e plasmacellule (foto 2).

Figura 2 L’esame istologico evidenzia numerose cellule infiammatorie che invadono diffusamente la tonaca

muscolare e la sottomucosa e oltrepassano in più punti la muscolaris mucosae infiltrando l’epitelio con

scompaginamento dei villi.

(Immagine gentilmente concessa dalla Prof.ssa Brunella Restucci – Dipartimento di Medicina Veterinaria e

Produzioni Animali)

I rilievi clinici, di laboratorio e le indagini collaterali hanno quindi permesso di formulare la diagnosi di

enterite granulomatosa proteino-disperdente, ma il raggiungimento tardivo di tale diagnosi non ha

consentito l’attuazione di un tempestivo piano terapeutico e la patologia ha avuto un rapido esito infausto.

L’enterite granulomatosa del cane è una rara forma di IBD, ad andamento cronico, poco riportata in

letteratura veterinaria sia nel cane che negli altri animali domestici. Si caratterizza per una flogosi

granulomatosa transmurale che coinvolge con più frequenza l’ileo distale e la giunzione ileo-colica

causando un ispessimento e una stenosi di questa regione; può tuttavia interessare anche lo stomaco, il

duodeno, il retto ed i linfonodi regionali. La malattia colpisce con maggiore frequenza cani di sesso maschile

intorno ai 4-5 anni di età. Dal punto di vista clinico l’enterite granulomatosa è responsabile di diarrea

cronica abbondante ed acquosa, mista a sangue e/o muco, perdita di peso, anoressia, occasionalmente

vomito violento ed emorragico, costipazione in caso di stenosi intestinale per le lesioni granulomatose. Alla

palpazione addominale è possibile rilevare un ispessimento delle anse intestinali, e nel caso in cui il

processo patologico interessi anche il retto, all’esplorazione rettale si può rilevare stenosi ed ispessimento

della mucosa. La localizzazione rettale delle lesioni può esitare nella formazione di fistole perianali.

I rilievi di laboratorio nella maggior parte dei casi mostrano un ipoproteinemia ed una lieve o moderata

eosinofilia. L’esame radiografico con mezzo di contrasto evidenzia le ulcerazioni ed i restringimenti

irregolari del lume intestinale, ma la diagnosi deve essere ulteriormente confermata da un esame

endoscopico ed istopatologico di tessuto prelevato mediante biopsia. All’esame endoscopico la superficie

mucosa colpita appare iperemica, granulosa, ulcerata ed ispessita. Le lesioni granulomatose hanno

istologicamente un aspetto polimorfo per la presenza di linfociti, plasmacellule e soprattutto eosinofili.

Oltre alle lesioni focali si può riscontrare un’infiammazione mista e diffusa a carico della lamina propria

delle porzioni intestinali adiacenti, apparendo anch’esse ispessite ed infiammate. L’eziopatogenesi

dell’enterite regionale, come delle altre forme di IBD, è sconosciuta, inoltre l’estrema rarità dei casi finora

descritti rende ancora più difficile la formulazione di ipotesi eziopatogenetiche. Diverse indagini svolte per

la ricerca di specifici agenti infettivi (Histoplasma capsulatum, Prototheca spp., micobatteri, tricocefali) ,

responsabili di flogosi granulomatose transmurali, sono risultate negative, supportando cosi la natura

idiopatica della patologia. Maggiori difficoltà si incontrano nella differenziazione della malattia tubercolare

in quanto il granuloma è composto da cellule epitelioidi ed è difficile evidenziare i micobatteri, rare sono le

cellule giganti, alla periferia del granuloma la componente linfo-plasmocitaria è ben rappresentata ed il

riscontro di granulociti neutrofili non è frequente.

L’interesse per queste rare forme di enteriti granulomatose di tipo idiopatico del cane si è notevolmente

accresciuto negli ultimi anni, per le molteplici analogie con il morbo di Crohn dell’uomo.

Il morbo di Crohn è una delle due forme di IBD dell’uomo, accanto alla colite ulcerosa. E’ un processo

infiammatorio transmurale che può interessare qualsiasi tratto del canale alimentare, dalle labbra al

margine anale, anche se la forma ileo-colica resta il quadro più comune di comparsa. Il morbo di Crohn

colpisce i due sessi indifferentemente, l’età di comparsa della malattia abbraccia la fascia dai 20 ai 40 anni,

ma sono descritti anche diversi casi in bambini ed anziani. La malattia presenta una distribuzione

segmentale, interessa cioè tratti d’intestino intervallati da aree apparentemente normali.

Il morbo di Crohn resta una patologia idiopatica la cui eziopatogenesi è ancora affidata a numerose ipotesi

che ricalcano in parte le differenti teorie già riportate per la genesi delle IBD del cane. La grande variabilità

del decorso clinico del morbo di Crohn rende difficoltosa la valutazione di protocolli terapeutici. Pur in

assenza di una precisa definizione eziopatogenetica, il riconoscimento del coinvolgimento del sistema

immunitario nella genesi di queste enteropatie infiammatorie croniche, ha reso possibile e vantaggioso

l’impiego nell’uomo degli antinfiammatori steroidei e non e di farmaci immunosoppressori.

Per quanto riguarda l’enterite regionale del cane, i pochi casi riportati e la gravità degli stessi, non

permettono di stabilire un preciso protocollo terapeutico. Il trattamento con prednisolone, sulfasalazina,

tilosina, porta solo remissioni temporanee della malattia. Anche la resezione chirurgica delle lesioni

granulomatose segmentarie non esclude la possibilità di recidive nel tempo o un buon recupero funzionale.

Non per ultime, le modifiche all’alimentazione, rappresentano un ottimo ausilio terapeutico in corso di

patologie intestinali croniche.

E’ doveroso sottolineare che l’enterite regionale del cane e il morbo di Crohn, sebbene presentino diverse

analogie dal punto di vista anatomo-patologico, non sono identiche.

Il caso clinico descritto testimonia la rarità della patologia riscontrata, inoltre conferma che risulta una

patologia insidiosa dal punto di vita diagnostico, manifestandosi con segni clinici e alterazioni

ematobiochimiche aspecifiche: solo il ricorso all’esame istologico dei campioni bioptici ha consentito di

emettere una diagnosi definitiva, ma il raggiungimento della stessa è avvenuto troppo tardivamente

rispetto alla progressione della patologia, con conseguente morte del paziente. Lo studio del caso clinico di

Astra ha inoltre confermato la difficoltà nel determinare l’eziopatogenesi dell’enterite granulomatosa, o

quanto meno i fattori predisponenti la stessa.

Diagnosi caso 5: Poldo è molto stanco, è malato?

La diagnosi di certezza è stata ottenuta attraverso la valutazione della funzionalità della tiroide misurando

la concentrazione sierica basale della tiroxina (T4) e del TSH endogeno specifici per la specie canina.

(Tabella 2)

Tabella 5 Esplorazione della funzionalità tiroidea di Poldo

T4 (totale canino) <0.5 1.2-3.4 g/dl

TSH canino 0.10 0.03 – 0.45 g/dl

In seguito ai rilievi clinici e di laboratorio sopra riportati è stata, quindi, confermata la diagnosi di

ipotiroidismo e prescritta la seguente terapia: levotiroxina sodica (T4 sintetico) (0.02 mg/kg per per os,

bid) a stomaco vuoto. La levotiroxina sintetica è la molecola d’elezione per il trattamento

dell’ipotiroidismo. La somministrazione per via orale dovrebbe normalizzare le concentrazioni sieriche di

T4, T3 e di TSH, testimoniando che questi prodotti possono essere convertiti dai tessuti periferici in T3

metabolicamente più attivo. La dose di partenza è di 0.02 mg/kg di peso corporeo ogni 12 ore. Il dosaggio

iniziale e la frequenza delle somministrazioni sono solo il principio, poiché a causa della variabilità

dell’assorbimento e del metabolismo della maggior parte dei cani, i valori indicati potranno richiedere delle

correzioni prima di poter osservare una risposta clinica completa. L’integrazione con ormone tiroideo

andrebbe, quindi, continuata minimo per un periodo di 4-8 settimane prima di poter stimare l’efficacia del

trattamento che si valuterà attraverso la regressione dei segni clinici e della alterazioni clinico-patologiche.

Durante i primi 10 giorni di trattamento Poldo è diventato più vigile e attento agli stimoli esterni, questo

fatto rappresenta un indicatore precoce ed importante che conferma la diagnosi di ipotiroidismo. Nel mese

successivo ha presentato anche una ricrescita del pelo. Poldo è ancora sotto osservazione in quanto la

risoluzione completa della sintomatologia solitamente richiede almeno 3-6 mesi.

Diagnosi caso 6: L’aumento di volume dei linfonodi è un sintomo da non sottovalutare

La diagnosi di certezza è stata ottenuta attraverso l’esame citologico linfonodale che ha confermato che

Arash è affetto da linfoma a grandi cellule.

Il linfoma, rappresenta una delle principali neoplasie riscontrabili nel cane e nel gatto, esso è definito come

una proliferazione di cellule linfoidi maligne a carico principalmente di linfonodi, fegato e milza. Dal punto

di vista eziologico, l’origine di tale neoplasia è sconosciuta, sebbene nel gatto alcune varietà di linfoma

siano state correlate ai virus dell’immunodeficienza felina (FIV) e della leucemia felina (FeLV).Si tratta di

una patologia che coinvolge principalmente soggetti di mezza età o anziani (6-12 anni) ma può riscontrarsi

anche in soggetti più giovani. Nel cane, è presente una evidente predisposizione di razza, come ad esempio

nel caso di Boxer, Basset Hound, Rottweiler, Cocker Spaniel, Golden Retriever, San Bernardo, Bulldog

Inglese.

In base alla forma anatomica assunta, il linfoma può essere distinto in:

Linfoma multicentrico: forma più comune nel cane, caratterizzata da linfoadenomegalia generalizzata, con

linfonodi periferici aumentati di volume ma non dolenti, che in genere trae origine dai linfonodi

sottomandibolari e prescapolari e successivamente coinvolge gli altri oltre a interessare fegato, milza e/o

midollo osseo. E’ possibile riscontrare altri segni clinici, aspecifici, come perdita di peso, anoressia, letargia,

poliuria e polidipsia, episodi febbrili.

Linfoma alimentare: forma meno frequente, che si manifesta con segni clinici specifici del tratto

gastroenterico, come vomito e diarrea, perdita di peso, inappetenza, malassorbimento, ipoproteinemia. Si

manifesta con un’infiltrazione multifocale o diffusa del tratto gastroeneterico, in presenza o meno di

linfoadenomegalia endoaddominale.

Linfoma mediastinico: si tratta di una forma rara, caratterizzata dall’aumento di volume dei linfonodi

mediastinici e/o infiltrazione del midollo osseo, con conseguente sviluppo di segni clinici come

dispnea,tosse, rigurgito, intolleranza all’esercizio fisico, alterazioni del ritmo cardiaco. Spesso si

accompagna allo sviluppo di ipercalcemia, di conseguenza sono riscontrabili anche poliuria e polidipsia.

Linfoma extranodale: può colpire qualsiasi distretto anatomico, con conseguente sintomatologia

estremamente variabile a seconda dell’organo interessato (linfoma cutaneo, oculare, renale, encefalico,

cardiaco, osseo, nasale, endocrino, muscolare, polmonare, faringeo, vescicale, uretrale e prostatico).

In corso di linfoma, la sintomatologia riscontrata può ulteriormente essere aggravata dalla comparsa di

eventuali sindromi paraneoplastiche che spesso si associano a tale tipo di neoplasia. Le sindromi

paraneoplastiche sono secondarie alla sintesi e alla liberazione di sostanze biologicamente attive, come

ormoni, fattori di crescita e citochine: a seconda dell’organo bersaglio, esse possono essere classificate in

disordini generali, ematologici, cutanei, neuromuscolari ed endocrini (Tabella 3).

Tabella 3. Sindromi paraneoplastiche descritte negli animali domestici.

SINDROMI PARANEOPLASTICHE

MANIFESTAZIONI GENERALI: MANIFESTAZIONI EMATOLOGICHE:

Anoressia/cachessia tumorale Anemia

Ipertermia Eritrocitosi

MANIFESTAZIONI ENDOCRINE: Leucocitosi

Ipercalcemia maligna Trombocitopenia

Ipoglicemia Trombocitosi

MANIFESTAZIONI CUTANEE: Iperaggregabilità piastrinica

Dermatite necrolitica superficiale Pancitopenia

Dermatofibrosi nodulare Disturbi dell’emostasi

MANIFESTAZIONI NEUROMUSCOLARI: Iperproteinemia

Miastenia gravis MANIFESTAZIONI GASTROENTERICHE:

Neuropatia periferica Ulcere gastroduodenali

Oltre a quella anatomica, per una migliore caratterizzazione istologica e/o stadiazione dei linfomi, nel corso

degli anni sono state sviluppate diverse classificazioni, come quella della World Health Organization (WHO)

o quella di Kiel, le più famose, ed altre sono ad oggi in via di sviluppo.

Data l’estrema variabilità della sintomatologia clinica, in corso di linfoma la diagnosi di certezza richiede

sempre un approfondimento diagnostico, che prevede indagini aspecifiche, come quelle emato

biochimiche, urinarie, ecografiche e radiografiche, e indagini specifiche ovvero esami citologici e

istopatologici.

Nel caso di Arash, in seguito ai rilievi clinici, di laboratorio ed ecografici, è stato possibile classificare la

patologia come linfoma multicentrico al IV stadio clinico, sottostadio b,secondo la classificazione WHO

(Tabella 4).

Tabella 4. Stadiazione clinica del linfoma degli animali domestici, secondo la World Health Organization.

STADIO CRITERI

I Linfonodo singolo

II Linfonodi multipli in area regionale

III Linfoadenopatia generalizzata

IV Coinvolgimento di fegato e/o milza (con o senza

stadio III)

V Coinvolgimento di midollo osseo o sangue e/o di

qualsiasi organo non linfoide (con o senza stadi da I

a IV)

Sottostadio a

Sottostadio b

Assenza di segni clinici di malattia

Presenza di segni clinici di malattia

L’esame citologico del sangue periferico ha infatti escluso la presenza di cellule neoplastiche in circolo.

Questo dato è stata ulteriormente confermato dall’esame citologico del midollo osseo che ha escluso

metastasi in questa sede. La prognosi in questi casi è sempre riservata. Scegliere di sottoporre il proprio

animale a chemioterapia è quindi una decisione molto difficile. Il compito del veterinario è inizialmente

consigliare il protocollo chemioterapico più indicato per il tipo di neoplasia diagnosticata e, soprattutto, in

relazione alle condizioni fisiche del paziente, le aspettative del proprietario, degli effetti collaterali e delle

possibili complicazioni. Il medico veterinario è inoltre tenuto a illustrare tutti i rischi associati alla

somministrazione dei farmaci antineoplastici da parte del veterinario ed alla convivenza tra animale

sottoposto a chemioterapia e le persone che vivono con lui; il sangue e tutti gli escreti e secreti degli

animali trattati (urine, feci, saliva, lacrime e vomito) sono una potenziale fonte di contaminazione per un

tempo variabile in base ai farmaci impiegati, per cui durante l’intero trattamento si devono utilizzare tutte

le apposite misure di sicurezza per la loro manipolazione così come per il materiale potenzialmente

contaminato. I protocolli terapeutici sono numerosi ed in continua evoluzione anche in relazione alla

comparsa di nuovi farmaci. L’elenco dei protocolli più impiegati (Tabella 4) è quindi solo indicativo e non

esaustivo.

Tabella 4. Principali protocolli di trattamento per il linfoma del cane

1) Protocollo “Wisconsis”, University of Wisconsis-madison School of

Veterinary Medicine

Tempi di

somministarzione

Principio attivo Dosaggio

Settimana 1 Vincristina

Asparaginasi

Prednisone

0.7 mg/m2 EV

400 UI/kg SC

2 mg/kg PO q24h

Settimana 2 Ciclofosfamide

Prednisone

250 mg/m2 PO

1.5 mg/kg PO q24h

Settimana 3 Vincristina

Prednisone

0.7 mg/m2 EV

1.0 mg/kg PO q24h

Settimana 4 Adriamicina

Prednisone

30 mg/m2 EV

0.5 mg/kg PO q24h

Settimana 6 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 7 Ciclofosfamide 250 mg/m2 PO

Settimana 8 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 9 Adriamicina

30 mg/m2 EV

Settimana 11 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 13 Ciclofosfamide 250 mg/m2 PO

Settimana 15 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 17 Adriamicina

30 mg/m2 EV

Settimana 19 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 21 Ciclofosfamide 250 mg/m2 PO

Settimana 23 Vincristina 0.7 mg/m2 EV

Settimana 25 Adriamicina

30 mg/m2 EV

2) COP 1

Fase induzione

Tempi di

somministrazione

Principio attivo Dosaggio

Giorno:

1,8,15,22,29,36

Vincristina 0.75 mg/m2 EV

Ogni 12 h per 7

giorni, poi ogni 24

h per 5 settimane

Prednisone 10 mg/m2

Giorno: 4, 5, 6, 7 di

ciascuna settimana

di trattamento

Ciclofosfamide 50 mg/m2

Fase di mantenimento

Ogni 21 giorni Vincristina 0.75 mg/m2 EV

Ogni giorno al

mattino

Prednisone 10 mg/m2

Giorno: 4,5,6,7, di

ciascuna settimana

Ciclofosfamide 50 mg/m2

di trattamento

3) COAP

Fase di induzione

Tempi di

somministrazione

Principio attivo Dosaggio

Giorno 1 di

ciascuna settimana

di trattamento

Vincristina 0.5 mg/m2 EV

Giorno : 1 e 6 Prednisone 20 mg/m2

Giorno: 3 e 6 Ciclofosfamide 50 mg/m2

L-asparaginasi 100.000UI/m2 IM

Doxorubicina 30 mg/m2 EV

Fase di mantenimento

Dopo il giorno 63 della fase di induzione, ripetere ogni 21 giorni il

trattamento

4) Monoterapia con Doxorubicina

Fase induzione (9 settimane)

Tempi di

somministrazione

Principio attivo Dosaggio

Ogni 21 giorni per

3-6 volte (Non

superare la dose

massima

cumulativa di 250

mg/m2)

Doxorubicina 30 mg/m2 EV

Fase di mantenimento

Non esiste. Dopo l’induzione della remissione il soggetto va monitorato

periodicamente, nel caso di recidiva si ripete lo stesso protocollo per un

massimo di 8 trattamenti o si passa al COP

5) VELCAP-S

Fase di induzione

Tempi di Principio attivo Dosaggio

somministrazione

Settimana: 1,2,3,7

e 12

Vincristina 0.75 mg/m2 EV

Settimana 2 e 4 Adriblastina 25 mg/m2 EV

Settimana 7 e 12

(divisa in 4

somministrazioni)

Ciclofosfamide 250 mg/m2 PO

Settimana 7,8 e 9 Asparaginasi 10.000 UI/m2 SC o IM

Tutti i giorni la

prima settimana ,

poi a giorni alterni

fino alla settimana

12, poi scalare fino

alla settimana 15

Prednisone 40 mg/m2 PO

Fase di mantenimento

In caso di recidiva almeno 4 mesi dopo l’ultima settimana di induzione,

ricominciare il protocollo. Se la recidiva è più precoce scegliere altro

protocollo.

Tutti i trattamenti si sospendono dopo venticinque settimane in caso di completa remissione della

sintomatologia. Prima di ogni seduta chemioterapica deve essere eseguito un esame emocromocitometrico

completo con formula leucocitaria in quanto, qualora la conta dei granulociti neutrofili fosse <2.000/ml, il

protocollo va sospeso fino al ripristino della normalità e vanno affrontate in modo repentino le possibili

complicanze legate alla grave neutropenia. Arash è stato sottoposto a chemioterapia con protocollo

Madison-Wisconsis.

Dopo le prime 3 settimane di trattamento, Arash presentava ancora una condizione clinica molto grave,

continuava a perdere peso nonostante si alimentasse regolarmente, alla palpazione i linfonodi risultavano

ancora notevolmente aumentati di volume e l’esame emocromocitometrico evidenziava una grave

neutropenia (1600 neutrofili/ml). Tutto ciò ha imposto la sospensione del protocollo chemioterapico ed un

trattamento a base di fattore ricombinante metioninico stimolante le colonie granulocitarie (G-CSF)

(filgrastim 5 g/kg ogni 24 ore, SC, ad effetto) in attesa di poter riprendere la terapia specifica. Dopo circa

10 giorni di sospensione l’esame emocromocitometrico di controllo mostrava la normalizzazione dei valori

di riferimento dei leucociti e quindi è stato ripreso il trattamento chemioterapico. I controlli clinici ed

ematologici successivi hanno evidenziato una costante remissione della sintomatologia del paziente

(riduzione di volume dei linfonodi esplorabili, aumento di peso, maggiore vitalità) e l’esame

emocromocitometrico presentava la normalizzazione di tutte le popolazioni cellulari. Ad oggi Arash è

ancora sottoposto a trattamento chemioterapico e continua a rispondere positivamente alla terapia.

Diagnosi caso 7:Mai fermarsi all’apparenza!

Considerata l’anamnesi, la sintomatologia clinica e i risultati ottenuti dalle varie indagini collaterali, la

principale diagnosi di sospetto formulata è stata quella di ipoadrenocorticismo primario (morbo di

Addison); di conseguenza come ulteriore approfondimento diagnostico è stato effettuato il test di stimolo

con ACTH (Tabella 6).

Tabella 2. Risultati del test di stimolo con ACTH

TEST DI STIMOLO CON ACTH VALORI DI RIFERIMENTO

CORTISOLO < 0,9 μg/dl 0,9 – 6,2

CORTISOLO DOPO 90’ DALLA

SOMMINISTRAZIONE DI ACTH

< 0,9 μg/dl 6 - 22

L’esecuzione del test di stimolazione con ACTH è risultata decisiva nel confermare il sospetto diagnostico

formulato.

Il morbo di Addison, o ipoadrenocorticismo primario, è una malattia endocrina caratterizzata da una

deficiente produzione di ormoni mineralcorticoidi e glicocorticoidi da parte della ghiandola surrenale, in

genere imputabile alla distruzione dell’85-90% della corticale surrenale, in seguito a danno di origine

immunomediata; altre cause, più rare, possono essere neoplasie, amiloidosi, traumi, coagulopatie e

malattie micotiche. L’ipoadrenocorticismo può più raramente essere secondario, ovvero conseguente ad

una ridotta produzione di ACTH da parte dell’ipofisi secondaria a neoplasie, trauma cranico o

infiammazione; in questo caso si manifesterà un’atrofia dei corticosurreni e insufficiente produzione di

glucocorticoidi, ma non di mineralcorticoidi. Infine, l’ipoadrenocorticismo può essere di origine iatrogena,

secondario a somministrazione di farmaci o interventi chirurgici.

L’ipoadrenocorticismo primario, può colpire cani e gatti di qualsiasi età, ma più facilmente è riscontrato in

soggetti di età compresa tra 4-6 anni, con una maggiore incidenza nelle femmine non sterilizzate; nel gatto

non esiste particolare predisposizione di razza mentre nel cane possono essere più colpiti: Cane d’acqua

Portoghese, West Highland White Terrier, Border Collie, Rottweiller, Springer Spaniel, Bassett Hounds,

Leonberger.

La sintomatologia clinica, in corso di Addison, è estremamente aspecifica con insorgenza spesso insidiosa e

comprende manifestazioni gastrointestinali, perdita di peso, inappetenza/disoressia, abbattimento del

sensorio,debolezza, dolorabilità addominale, poliuria e polidipsia, tremori; tale sintomatologia può

acutizzarsi quando l’animale è sottoposto a stress. Alla visita clinica di un soggetto affetto da morbo di

Addison, è possibile riscontrare: disidratazione, tempo di riempimento capillare rallentato, polso debole,

bradicardia e bradisfigmia, dolorabilità alla palpazione dell’addome. Nei casi più gravi, il soggetto è in stato

di shock ipovolemico (crisi addisoniana): l’animale viene trovato in uno stato di collasso, ha polso debole,

bradicardia, ipotermia e grave disidratazione. Una crisi addisoniana andrebbe sempre considerata nella

diagnosi differenziale di soggetti in stato di shock ipovolemico da cause sconosciute che presentino

concomitante bradicardia, in quanto quest’ultima è una risposta inappropriata nei soggetti collassati e

ipovolemici.

Le alterazioni più evidenti che si possono riscontrare in seguito all’esecuzione delle indagini di laboratorio

sono:

Esame emocromocitometrico: di norma è possibile riscontrare una lieve anemia normocitica

normocromica, tuttavia, spesso tale condizione risulta mascherata dall’emoconcentrazione conseguente ad

un grave stadio di disidratazione; i globuli bianchi possono essere normali, aumentati o ridotti, e nella conta

leucocitaria in genere è possibile riscontrare eosinofilia e linfocitosi.

Profilo biochimico: sono riportati aumento delle transaminasi, leggera ipoglicemia, ipoalbuminemia,

aumento di urea e creatinina, iperfosfatemia, ipercalcemia.

Iponatremia, ipocloremia, iperkaliemia: sono le alterazioni più tipicamente riscontrabili, secondarie alla

carenza dell’ormone mineralcorticoide, l’aldosterone, normalmente responsabile del riassorbimento a

livello renale di sodio, cloro e acqua e dell’eliminazione del potassio. L’incapacità di trattenere sodio e cloro

causa la riduzione di volume dei liquidi extracellulari, con conseguente ipovolemia, ipotensione, riduzione

della gittata cardiaca e diminuita perfusione di reni e altri tessuti. La mancata escrezione di potassio e,

quindi, l’aumento della quota circolante si ripercuote particolarmente a livello cardiaco con riduzione

dell’eccitabilità cardiaca, rallentamento della conduzione e prolungamento della fase di refrattarietà del

miocardio. Di norma, in un soggetto sano, il rapporto tra sodio e potassio risulta compreso tra 27:1 e 40:1,

mentre nei soggetti con ipoadrenocorticismo primario, esso è al di sotto di 27:1 e in casi più gravi di 20:1.

Nonostante l’iponatremia, l’ipocloremia e l’iperkaliemia siano dei reperti frequenti, è importante

considerare che essi non sono patognomonici di morbo di Addison, ma possono presentarsi in numerose

condizioni patologiche, così come non necessariamente un soggetto affetto da ipoadrenocorticismo

primario può manifestare tali alterazioni.

Esame delle urine: in genere un aumento compensatorio nel peso specifico delle urine (PS> 1030) dovrebbe

consentire la differenziazione tra l’iperazotemia prerenale e quella primaria renale (e quindi la diagnosi

differenziale con l’ insufficienza renale); tuttavia in molti cani affetti da Addison è presente una ridotta

capacità di concentrare l’urina (PS <1030).

Acidosi metabolica: la ridotta concentrazione di aldosterone fa si che non vengano eliminati idrogenioni a

livello renale, ciò, in associazione all’ipovolemia, l’ipotensione e l’ipoperfusione, porta allo sviluppo di

acidosi metabolica.

Tutte le alterazioni sopra riportate, possono solo aiutare a formulare un sospetto diagnostico in corso di

Addison ma, per avere una diagnosi di certezza, sono indispensabili ulteriori approfondimenti ed, in

particolar modo, il test d’elezione è rappresentato dal test di stimolazione con ACTH. L’esame radiografico,

ecografico e una valutazione elettrocardiografia del cuore, solo altresì delle indagini che andrebbero

sempre comprese nel pannello diagnostico.

La terapia, nei soggetti che manifestino condizioni gravi e acute come quelle di Filippo, deve essere volta a

eliminare l’ipotensione, l’ipovolemia, gli squilibri elettrolitici, l’acidosi metabolica, a favorire la circolazione

e fornire i glucocorticoidi. Essa quindi si avvale di:

Fluidoterapia endovenosa: somministrare NaCl 0,9% alla velocità di 60-90 ml/kh/h per le prime due ore,

successivamente regolare la velocità di infusione a seconda dei parametri vitali del paziente. In genere, una

corretta fluidoterapia rappresenta l’elemento cardine nella ripresa del paziente, contribuendo sia a ridurre

lo stato di ipovolemia e ipoperfusione, correggere iponatremia e ipocloremia, ma soprattutto essa può

risultare decisiva nella risoluzione dell’iperkaliemia, grazie alla diluizione della quota ematica di potassio e

stimolandone l’eliminazione renale. La terapia endovenosa può prevedere anche l’aggiunta di soluzioni di

Glucosio 5% , per trattare un’eventuale ipoglicemia riscontrata.

Correzione dell’iperkaliemia: più raramente l’iperkaliemia richiede uno specifico trattamento, in questo

caso può essere utile la somministrazione di 0,2 UI/kg di insulina seguita da un bolo di glucosio, e l’aggiunta

di soluzione a base di Glucosio 5% alla terapia endovenosa. Nei casi più gravi, è possibile somministrare

calcio gluconato 10% (0,5-1,5 ml/kg ev ogni 15-20 minuti), che ha un’azione cardioprotettiva,

antagonizzando gli effetti dell’ipekaliemia a livello dei potenziali di membrana.

Correzione dell’acidosi metabolica: in genere i soggetti affetti da Addison presentano una modesta acidosi

metabolica che non richiede un intervento terapeutico, in quanto la corretta reidratazione, con la

riperfusione tissutale e l’incremento della velocità di filtrazione glomerulare, risulta sufficiente. Nei casi

particolarmente gravi, in cui sia riscontrata una persistente e grave acidosi metabolica (ph < 7,1 o HCO3 <

12 mmol/l) occorre intervenire con la somministrazione di bicarbonato, il cui deficit può essere calcolato

come:

0,3 x peso corporeo (kg) x (HCO3 ideale – HCO3 del paziente).

Della quota ottenuta, ¼ deve essere somministrato tra le 6-8 ore e poi andrebbe rivalutato l’equilibrio

acido-base del paziente. Anche la terapia con sodio bicarbonato contribuisce a risolvere l’iperkaliemia.

Integrazione di glucocorticoidi: nella fase della crisi addisoniana, dovrebbe essere iniettato un

glucocorticoide a rapida azione, come idrocortisone (2-4 mg/kg ev), o prednisolone sodio succinato (4-20

mg/kg ev). Idealmente, il test di soppressione con ACTH andrebbe eseguito sempre prima della

somministrazione dei glucocorticoidi, in quanto sia idrocortisone che prednisone vengono misurati insieme

al cortisolo endogeno, interferendo con la corretta esecuzione del test. Se non è possibile, alternativa è la

somministrazione di desametasone sodio fosfato (0,5-4 mg/kg ev).

Integrazione di mineralcorticoidi: i prodotti ad oggi disponibili sono il desossicorticosterone pivalato

(DOCP) al dosaggio di 2,2 mg/kg im ogni 25 giorni, oppure il fludrocortisone acetato (0,02 mg/kg)

somministrato per via orale o endorettale.

Terapia sintomatica: il vomito o la nausea possono essere trattati con farmaci antiemetici o

gastroprotettori; l’anemia, se particolarmente grave, può richiedere una trasfusione di sangue; se le

condizioni lo richiedono può rendersi necessaria una copertura con antibiotici ad ampio spettro.

Nella maggior parte dei pazienti trattati in maniera corretta, sia i valori degli elettroliti, che le altre

alterazioni ematologiche, rientrano nell’arco di 24-48 ore; in ogni caso i soggetti andrebbero comunque

monitorati per alcuni giorni, in quanto, anche se raramente, potrebbero insorgere alcune complicanze,

come sepsi, insufficienza renale acuta o DIC.

Nel caso di Filippo, la terapia è risultata decisiva nel superamento della crisi e la maggior parte delle

anomalie riscontrate alla prima visita già dopo 24h sono rientrate (figura 3 ).

Figura 3. Emogas su sangue venoso dopo 24 h

Dopo una settimana di ricovero, Filippo è stato dimesso con la terapia di mantenimento, che in genere

prevede:

Glucocorticoidi : prednisone ad un dosaggio iniziale di 0,22 mg/kg bid;

Mineralcorticoidi: DOCP al dosaggio di 2,2 mg/kg im ogni 25 giorni oppure fludrocortisone (0,02 mg/kg PO

bid o sid) . Il fludrocortisone è dotato di una significativa attività glucocorticoide, meno del 50% dei pazienti

trattati con esso richiede l’ulteriore aggiunta di prednisone alla terapia.

Diagnosi caso 8: Perché il cane si gratta?

Ambra è stata portata a visita dopo un mese di dieta ed ha mostrato una completa guarigione: assenza di

prurito e scomparsa delle lesioni cutanee e dell’otite esterna.

E’ stata quindi formulata la diagnosi si allergia alimentare.

Cani e gatti possono sviluppare reazioni avverse al cibo su base immunologica (allergia propriamente detta)

o non immunologica (intolleranza). L’intolleranza a sua volta può essere dovuta a :

reazioni idiosincrasiche: dovute alla de granulazione aspecifica dei mastociti a causa di fattori rilascianti

l’istamina o all’istamina contenuta in alcuni alimenti;

reazioni metaboliche: dovute all’incapacità del soggetto di digerire alcuni componenti della dieta (es.

lattosio);

reazioni farmacologiche: dovute all’effetto farmacologico di alcune sostanze contenute nel cibo (xantine nel

cioccolato);

reazioni tossiche: dovute a tossine presenti nel cibo o prodotte da batteri (es. botulino) o micotossine

presenti nell’alimento.

L’allergia alimentare rappresenta il 10-15 % delle patologie cutanee su base allergica, non sembra

presentare una predisposizione di razza o di sesso e si manifesta in età inferiore ai sei mesi – un anno. Se la

reazione è di natura immunologica l’animale deve venire a contatto più volte con lo stesso alimento prima

che si sensibilizzi. L’alimento all’interno del tubo gastroenterico incontra una serie di difese che

impediscono che proteine estranee entrino in contatto con l’organismo (enzimi pancreatici, enterociti, IgA

secretorie e circolanti, cellule mononucleari-fagocitarie del sistema linfoide associato al fegato e

all’intestino). E’ possibile che, quando la mucosa intestinale è danneggiata, per esempio a causa di parassiti

o virus, la barriera protettiva locale non sia in grado di bloccare il passaggio di proteine del cibo a livello

sistemico, provocando una risposta allergica anche in organi lontani come la cute. E’ probabile che anche

lo svezzamento precoce possa causare l’alterazione della barriera protettiva locale, così come gravi

infestazioni parassitarie intestinali. Alla base del meccanismo immunologico responsabile dell’allergia

alimentare si pensa che sia predominante una reazione di ipersensibilità di tipo I e in secondo luogo di tipo

III e IV. Le reazioni di tipo I sarebbero responsabili del prurito, mentre quelle di tipo III potrebbero causare

segni intestinali acuti (diarrea), osservabili a volte in alcuni soggetti. Reazioni di tipo IV, invece, sono

probabilmente responsabili della persistenza del prurito anche per lungo tempo dopo l’assunzione

dell’alimento che lo ha scatenato. Gli antigeni in causa sono solitamente proteine ad alto peso molecolare

(lipoproteine, lipoproteine) in genere 18-36 kD. Gli antigeni possono essere stabili alla cottura e alla

digestione. La carne bovina ed i latticini sono responsabili del 40-80% delle reazioni allergiche nel cane ed

andrebbero testati per primi; seguono: cereali, granaglie, maiale, pollame, soia, uova, pesce. Il quadro

clinico è caratterizzato dal coinvolgimento principalmente della cute (85-90%) e dell’apparato

gastroenterico (10-15%), più raramente sono descritti sintomi quali asma, cistiti e crisi epilettiche. Il prurito

è il sintomo principale, può comparire entro 4-24 ore dall’ingestione dell’allergene o dopo più tempo e

persistere durante tutta la giornata. Si localizza su: zampe, ascelle, inguine, aree periorbitali, muso,

orecchie (80% dei soggetti può presentare otite). Le lesioni dermatologiche primarie sono le papule

associate a lesioni secondarie come escoriazioni, croste, eritema, seborrea, iperpigmnetazione, piodermite

secondaria e infezione da malassezia. La diagnosi differenziale va fatta con tutte le patologie cutanee

accompagnate da prurito (vedi tab. 1). La diagnosi si ottiene, come nel caso di Ambra, in seguito a risposta

positiva al cambio di dieta ed è confermata dalla provocazione con il vecchio cibo; se il prurito recidiva

dopo 1-10 giorni di somministrazione della vecchia dieta il test di provocazione si considera positivo. Se il

proprietario vuole ed è disponibile si può individuare l’allergene responsabile della reazione, inserendo uno

alla volta, a distanza di una settimana, i componenti della vecchia dieta sino a riottenere la reazione

allergica. Normalmente sono solo uno o due componenti della dieta a causare l’allergia, raramente sono

coinvolti 3-5 allergeni. I proprietari di Ambra per il momento hanno deciso di non sottoporla alla prova di

provocazione.

Diagnosi caso 9: Il sovrappeso non è sinonimo di buona salute!

Considerando il segnalamento, l’anamnesi e i riscontri alla visita clinica, ma soprattutto i risultati ottenuti

dalle indagini di laboratorio, la diagnosi formulata è stata quella di diabete mellito.

Il diabete mellito è una delle endocrinopatie più frequenti nel cane e del gatto (incidenza dello 0,5%), esso

consiste in un’iperglicemia derivante da un deficit di secrezione e/o di azione dell’insulina.

In Medicina Veterinaria, viene suddiviso in:

Diabete mellito di tipo 1: è la forma più comune nel cane ed è caratterizzato da una distruzione completa

delle cellule β con progressiva ed assoluta carenza insulinica. L'eziologia è tutt'ora poco nota, sebbene siano

stati identificati come fattori la predisposizione genetica, diete eccessivamente ricche di carboidrati,

meccanismi immunomediati e fattori ambientali.

Diabete mellito di tipo 2: risulta essere la forma più frequente nel gatto (80-95% dei gatti diabetici).

Anch’esso ha alla base un’eziologia complessa che prevede una combinazione di fattori genetici ed

ambientali, inoltre il rischio aumenta con l'avanzare dell'età. Alla base di questa forma di diabete c'è

un'insulinoresistenza che può riconoscere diverse cause tra cui obesità, livelli elevati di ormone della

crescita, cortisolo, progesterone. L’iperglicemia derivante dall’insulinoresistenza stimola le cellule β

pancreatiche a produrre maggiori quantità di insulina, finchè quest’ultima non risulta più sufficiente per

soddisfare la domanda; la conseguente iperglicemia, riduce ulteriormente la capacità delle cellule β di

rispondere all’insulina (tossicità da glucosio) fino ad arrivare a un completo esaurimento della funzionalità

delle stesse. Spesso a questo tipo di diabete è associata una pancreatite che porta alla perdita di

funzionalità delle cellule insulari. La disfunzione delle cellule β è inizialmente reversibile, una volta ridotte le

concentrazioni di glucosio con l’insulinoterapia, ma molti studi dimostrano che la tossicità da glucosio può

causare una perdita irreversibile di tali cellule. Sono necessarie 1-12 settimane perché le cellule β possano

riprendersi dall'intossicazione causata dal glucosio e perché la guarigione possa avvenire devono ridursile

concentrazioni del glucosio ematico e degli acidi grassi liberi. L'insulina è il più potente tra gli agenti capaci

di ridurre il glucosio, quindi occorre usarla quanto prima per aiutare la guarigione delle cellule β. Nel 20-

90% dei gatti con diagnosi recente, il diabete si risolve solitamente entro i primi 1-4 mesi di trattamento,

ma perché ciò possa avvenire, è necessario un controllo adeguato della glicemia affinchè le cellule β

possano riprendersi dall'intossicazione causata dal glucosio. I gatti guariti dal diabete possono presentare

ricadute settimane o anni più avanti, probabilmente a causa di condizioni concomitanti come perdita di

cellule β e insulinoresistenza.

Segnalamento: sono colpiti soprattutto animali di media età o anziani (maggiore prevalenza tra 7-10 anni),

la forma giovanile è molto rara e si sviluppa a meno di un anno di età. Mentre nel cane l’incidenza è due

volte maggiore nelle femmine rispetto ai maschi, nel gatto, invece, questi ultimi presentano una maggiore

predisposizione. Per quanto riguarda la razza, nel cane sembrano più predisposti Setter Irlandese, Barbone,

Yorkshire Terrier e Setter Inglese, nella specie felina il Burmese è la razza maggiormente segnalata.

Anamnesi: i segni che più frequentemente sono riportati dai proprietari sono poliuria e polidipsia, polifagia,

perdita di peso. Talvolta sono riportati anche infezioni ricorrenti, oppure segni clinici come anoressia,

vomito, diarrea, imputabili ad una concomitante pancreatite.

Visita clinica: lo stato di nutrizione è variabile. Nel gatto è segnalata debolezza/atassia sugli arti posteriori o

postura plantigrada (causata da neuropatia diabetica). E’ possibile rilevare un variabile grado di

disidratazione, pelo opaco e con forfora. Molto frequente nel cane è la cataratta bilaterale. Nel gatto, alla

palpazione addominale si può rilevare un’epatomegalia dovuta alla lipidosi epatica.

Esame emocromocitometrico: di norma non evidenzia alterazioni. Se il soggetto è disidratato può essere

presente emoconcentrazione, mentre un aumento dei globuli bianchi può essere secondario ad un

processo infiammatorio in atto, soprattutto in caso di pancreatite.

Esami biochimici: il reperto costante, è l’iperglicemia, con valori ematici di glucosio superiori a 200 mg/dl.

E’ possibile inoltre riscontrare un aumento dei valori di ALT e fosfatasi alcalina (in genere <500 UI/l),

ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia. Nei soggetti in condizioni gravi, che abbiano sviluppato

chetoacidosi diabetica si evidenziano anche squilibri elettrolitici ed acido-base (acidosi metabolica).

Esame delle urine: la glicosuria è l’alterazione più importante, essa indica che i livelli ematici di glucosio

sono superiori alla soglia di riassorbimento renale (180-200 mg/dl nel cane e i 200-300 mg/dl nel gatto). E’

possibile rilevare anche chetonuria, proteinuria (conseguenza di un’infezione a carico delle vie urinarie o di

un danno glomerulare secondario alla distruzione della membrana basale) e talvolta batteriuria associata o

meno a piuria o ematuria. Il peso specifico delle urine di norma è superiore a 1025 per la presenza di

glucosio.

Una volta formulata la diagnosi di diabete mellito, Naomi è stata subito sottoposta alla terapia insulinica

elemento cardine nella gestione di tale endocrinopatia. L’approccio terapeutico ha previsto l’utilizzo di

un’insulina suina lenta, somministrata due volte al giorno con un dosaggio iniziale di 0,25 UI/kg. E’

importante considerare che, la gestione terapeutica del diabete, prevede delle modifiche dei dosaggi in

corso d’opera, di conseguenza aspetto basilare negli animali affetti da tale patologia, è il monitoraggio.

Strumento indispensabile per il monitoraggio della terapia insulinica, è l’esecuzione di una curva glicemica,

sebbene nel gatto, animale particolarmente suscettibile allo stress, la sua esecuzione può risultare

difficoltosa, o comunque i valori ottenuti possono essere falsati dall’iperglicemia da stress. Una soluzione,

possibile, è effettuare la curva glicemica a casa, per ridurre al minimo i fattori stressanti eventualmente

con prelievo ematico dall’orecchio. Il monitoraggio, si deve inoltre avvalere dell’anamnesi, chiedendo al

proprietario di misurare la quota di cibo e acqua assunti e se possibile monitorando l’emissione di urine.

A due, tre settimane dall’inizio della terapia con l’insulina, è buona norma ripetere il dosaggio della

fruttosamina sierica, che idealmente,in un soggetto in cui ci sia un buon controllo del diabete, dovrebbe

rientrare in un range di normalità o essere poco al di sopra di esso.

In base ai riscontri ottenuti con il monitoraggio, può rendersi evidente la necessità di modificare i dosaggi:

andrebbero effettuate correzioni non superiori a 0,5 UI per dose ogni 7-10 giorni.

Oltre alla somministrazione di insulina, la terapia di Naomi, ha previsto una dieta con prodotti specifici. Nel

gatto diabetico, risultano ideali diete che abbiano un elevato tenore proteico e bassi livelli di carboidrati;

poiché questo tipo di dieta può talvolta risultare poco appetibile, può essere utile scegliere un alimento

umido al posto di quello secco. Poiché lo scopo principale della terapia dietetica, è quello di minimizzare

l’effetto del pasto sulla concentrazione post-prandiale di glucosio, la razione quotidiana, andrebbe divisa in

tale modo: metà delle calorie giornaliere dovrebbero essere fornite al momento dell’iniezione di insulina,

mentre la quota rimanente dovrebbe essere distribuita in cibo sempre a disposizione dell’animale durante

la giornata.

Nel caso di Naomi, il monitoraggio effettuato a due settimane dall’inizio della terapia, ha evidenziato una

leggera riduzione dei livelli ematici di glucosio, ma persistente glicosuria, e dall’anamnesi poliuria e

polidipsia sono risultate persistenti. E’ stato effettuato un incremento del dosaggio, e a un mese dall’inizio

della terapia, curva glicemica, valori sierici di fruttosamina e analisi biochimiche, hanno evidenziato un

notevole miglioramento delle condizioni del paziente. Naomi è tutt’ora in terapia, e monitorata a intervalli

regolari, ma mostra un buon controllo del diabete mellito.

Diagnosi caso 10: E se l’anamnesi è muta…..?

Il test IFAT ha messo in evidenza la presenta un titolo anticorpale pari a 1: 1280. La diagnosi formulata è

stata quindi di Ehrlichiosi. L’Ehrlichiosi è una patologia causata da diverse specie di batteri Gram-negativi

del genere Ehrlichia, a localizzazione intracellulare obbligata, ordine Rickettsiales, famiglia

Anaplasmataceae, di cui fanno parte anche i generi Anaplasma, Neorickettsia e Aegyptiella. In particolare,

il genere Erhlichia comprende le seguenti specie: E. canis, E. chaffeensis, E. ewingi, E. muris ed E.

ruminantium, a loro volta raggruppate nel genogruppo E. canis. Tali batteri sono trasmessi dal morso di

alcune zecche (Rhipicephalus sanguineus, Amblyomma americanum, Dermacentor variabilis) che hanno

capacità infettanti nei confronti di diversi ospiti (cane, gatto, ruminanti, cavallo e uomo), all’interno dei

quali infettano i globuli bianchi. L’ehrlichiosi monocitica canina (CME) è causata da E. canis ed è presente in

tutte le aree temperate e tropicali del mondo (in Europa, in particolare, nell’area mediterranea), in

relazione alla distribuzione geografica del suo vettore principale: Rhipicephalus sanguineus. I roditori

selvatici e altri mammiferi non domestici rappresentano i principali réservoir per le zecche che infestano il

cane e gli altri mammiferi ospiti; il cane, al contrario, non sembra costituire un serbatoio importante per il

mantenimento dell’infezione in una determinata area. E. canis non è considerata patogena per l’uomo,

poiché l’ehrlichiosi monocitica umana (HME) è sostenuta da E. chaffeensis. La trasmissione di E. canis

all’interno di Rhipicephalus sanguineus avviene per via trans-stadiale, mentre la trasmissione transovarica

non è mai stata confermata. La zecca può infettarsi durante l’esecuzione di un pasto su un cane infetto

indipendentemente dalla forma biologica assunta in quel momento (larva, ninfa, adulto), per cui

Rhipicephalus sanguineus risulta infettante in qualunque stadio. La zecca assume il batterio dagli ospiti

durante la fase acuta della malattia. Una volta infettata, può trasferire l’agente patogeno ad altri cani,

durante i pasti successivi. Non è precisamente noto il tempo necessario affinché la zecca, durante il suo

pasto, riesca a trasmettere il batterio all’ospite; i tempi medi riportati in letteratura variano da 4 a 48 ore.

Altra possibile via di trasmissione può essere la trasfusione di sangue infetto, per cui i donatori dovrebbero

essere sempre testati accuratamente per escludere la presenza del batterio nel sangue, con l’ausilio di

tecniche biomolecolari (PCR). La trasmissione, in questo caso, avviene solo se il donatore è nella fase acuta

(1-3 settimane) della malattia, quando cioè i batteri sono presenti nel sangue periferico all’interno dei

globuli bianchi. Dopo la trasmissione all’ospite, E. canis si localizza all’interno dei monociti e dei linfociti, e

più raramente nei granulociti neutrofili, attraverso un processo di fagocitosi. All’interno del sistema fago-

lisosomiale i corpi elementari si replicano per scissione binaria fino alla formazione di aggregati batterici

che assumono una forma definita “morula”; la conseguente morte della cellula ospite determina il rilascio

dei corpi elementari, che possono infettare nuove cellule. Il principale meccanismo immunitario difensivo

che si instaura nei confronti di Ehrlichia è una risposta di tipo T-helper 1 (Th1), caratterizzata dalla

secrezione di interferone g (IFN-g), Tumor Necrosis factor a (TNF-a) e interleuchina 2 (IL-2), che induce

l’attivazione di un’immunità cellulomediata. L’IFN-g rappresenta il modulatore chiave di tale meccanismo.

L’attivazione della risposta immunomediata secondaria è cruciale nella patogenesi delle infezioni sostenute

da Ehrlichia e nella comparsa di gravi squilibri immunitari indotti dall’agente patogeno e/o dal vettore. La

maggior parte delle patologie sostenute da vettori è infatti caratterizzata da ipergammaglobulinemia, dalla

produzione di immunocomplessi e autoanticorpi circolanti (per esempio, anticorpi antieritrociti, anticorpi

antipiastrine, anticorpi antinucleo) che giocano un ruolo centrale nella patogenesi e nelle manifestazioni

cliniche della patologia. In particolare, in corso di infezioni sostenute da E. canis è stata dimostrata la

presenza di anticorpi antipiastrine, oltre alla presenza di anticorpi antieritrociti e antinucleo. I cani infetti,

solitamente, non sviluppano un’immunità protettiva nei confronti di E. canis, per cui possono andare

incontro a future reinfezioni; il trattamento terapeutico eseguito correttamente durante la fase acuta della

malattia può contribuire, in alcuni casi, alla definitiva eliminazione del batterio dall’organismo. La CME è

una patologia multisistemica clinicamente distinta in tre forme: acuta, subclinica e cronica. Può colpire cani

di tutte le razze ed età, indipendentemente dal sesso. Può, però, manifestarsi in forme più gravi nel Pastore

tedesco e nei soggetti di giovane età.

La fase acuta ha un periodo di incubazione da 1 a 3 settimane ed è caratterizzata da febbre (anche

superiore a 40 °C), anoressia, perdita di peso, letargia, congiuntivite, linfoadenomegalia, splenomegalia,

trombocitopenia, leucopenia, lieve anemia e ipergammaglobulinemia. La tendenza al sanguinamento,

raramente presente in questa fase, si manifesta con la formazione di petecchie, ecchimosi, epistassi o

emorragie mucose e, generalmente, è causata dalla grave trombocitopenia e dai disturbi dell’aggregazione

piastrinica (trombocitopatia). L’infiammazione e il sanguinamento delle meningi possono causare segni

neurologici, quali iperestesia, deficit dei nervi craniali e spasmi muscolari. Come già accennato, durante

questa fase l’agente patogeno si divide e si distribuisce nell’organismo ospite all’interno delle cellule

mononucleate. La fase acuta può risolversi spontaneamente nell’arco di 1-2 settimane, anche senza un

trattamento terapeutico specifico. Dopo circa 2-4 settimane si sviluppa la forma subclinica.

La fase subclinica è caratterizzata dal fatto che il cane si presenta apparentemente sano, a volte può

persistere solo una lieve trombocitopenia. Questa fase può persistere per mesi, fino a un periodo di 3 anni.

Durante questo periodo alcuni soggetti immunocompetenti possono eliminare il parassita; altri, invece,

passano alla fase cronica dell’infezione.

La forma cronica rappresenta la fase più grave della malattia ed è caratterizzata da letargia, anoressia,

perdita di peso, linfoadenomegalia, gravi disturbi dell’emostasi, splenomegalia, uveite, artropatie,

nefropatie, disturbi neurologici e febbre (questi ultimi due meno frequenti). Le alterazioni clinico

patologiche questa fase sono: piastrinopenia, ipergammaglobulinemia, proteinuria, aumento di ALT, ALP,

urea e creatinina. Nei casi più gravi si instaura una severa depressione midollare, per cui la piastrinopenia è

accompagnata da leucopenia e anemia non rigenerativa.

Gli esami di laboratorio di base per un primo sospetto della malattia sono l’esame emocromocitometrico, il

profilo biochimico sierico, l’elettroforesi delle sieroproteine e l’esame delle urine. È importante ricordare

che, oltre a definire la gravità del quadro clinico, le alterazioni clinico-patologiche monitorate attraverso tali

esami spesso precedono l’insorgenza dei segni clinici e aiutano a identificare la fase clinica della malattia.

Tra le alterazioni più frequenti della fase acuta vanno ricordati il rilievo di trombocitopenia, leucopenia,

lieve anemia di tipo normocromico-normocitico e la modificazione del quadro proteico sierico, con

ipergammaglobulinemia spesso accompagnata da aumento delle frazioni beta e dalla diminuzione delle

albumine, con conseguente modificazione del loro rapporto. Un’attenta valutazione citologica dello striscio

di sangue periferico è importante in questa fase, in quanto, anche se raramente (meno del 10% dei casi),

può permettere il rinvenimento di morule all’interno dei monociti. La probabilità di visualizzare le morule

può aumentare sensibilmente esaminando il buffy coat, dove si concentra un numero maggiore di

monociti. Durante la fase subclinica non si apprezzano alterazioni di rilievo, fatta eccezione per una

transitoria piastrinopenia alla quale è difficile attribuire un preciso significato clinico. La fase cronica è la più

grave ed è caratterizzata da numerose alterazioni clinico-patologiche: piastrinopenia,

ipergammaglobulinemia, proteinuria, aumento di ALT, ALP, urea e creatinina e, nei casi più gravi,

pancitopenia. Da quanto detto e dalla valutazione del quadro clinico ed analitico, Mary è stata inquadrata

in fase cronica di Ehrlichiosi, ed in particolare in fase cronica moderata in quanto ancora assenti segni clinici

gravi quali severa depressione midollare ed emorragie. Il trattamento terapeutico di elezione nei confronti

di E. canis include l’impiego di tetracicline, in particolare della doxiciclina. In letteratura sono riportati

diversi protocolli terapeutici; il più impiegato prevede la somministrazione di doxiciclina o di tetraciclina

cloridrato alla dose di 10 mg/kg una volta al giorno per os, per 28 giorni consecutivi. La terapia instaurata

nei soggetti in fase acuta o affetti da una forma cronica ancora moderata è in grado, nell’arco di 24-48 ore,

di determinare un veloce ed evidente miglioramento clinico, caratterizzato in particolare dalla scomparsa

della febbre e dal progressivo aumento della conta piastrinica che, generalmente, si normalizza nell’arco di

2 settimane dall’inizio del trattamento. La terapia può fallire quando il cane è già in una grave fase cronica,

soprattutto se si è instaurata una severa depressione midollare o sono presenti segni clinici quali

emorragie, immunodepressione o coinfezioni (babesiosi, bartonellosi, leishmaniosi). In questi casi è

necessario instaurare terapie di supporto quali fluidoterapia, trasfusioni di sangue, anabolizzanti,

glicocorticoidi. Purtroppo, soggetti affetti da forme croniche gravi e complicate, spesso, nonostante la

terapia, vanno incontro a decesso. Mary ha risposto positivamente al trattamento terapeutico a base di

doxiciclina e ad oggi è in fase di monitoraggio. Il monitoraggio del cane malato di Ehrlichiosi si basa, oltre

che sulla valutazione dei segni clinici, sull’andamento della trombocitopenia. La risoluzione della

trombocitopenia è generalmente indicativa di una risposta efficace alla terapia; la conta piastrinica, infatti,

tende a migliorare già dopo 24-48 ore dall’inizio del trattamento terapeutico e, nella maggior parte, dei casi

si normalizza nell’arco di 14 giorni. Se la conta piastrinica non aumenta entro 7 giorni, deve essere

considerato un altro meccanismo patogenetico (processi immunomediati, coinfezioni). La conta piastrinica

va quindi ripetuta 4-8 settimane dopo il trattamento per confermare la guarigione clinica e il successo

terapeutico. Dopo un trattamento terapeutico di successo, il titolo anticorpale tende a ridursi e

negativizzarsi in circa 6-9 mesi. La permanenza di titoli anticorpali per tempi così lunghi dipende,

probabilmente, dall’altezza del titolo all’inizio del trattamento; titoli molto alti tendono infatti a ridursi più

lentamente. Va sottolineato, però, che la positività sierologica può persistere anche dopo trattamento

terapeutico o guarigione spontanea e non sembra direttamente correlata con la presenza di segni clinici,

specialmente in aree endemiche. In questi soggetti, generalmente, il titolo anticorpale si riduce

progressivamente nel tempo fino a scomparire nell’arco di alcuni mesi (6-9 mesi). Allo stesso tempo, però,

l’infezione può persistere in soggetti trattati e clinicamente asintomatici nei quali la positività sierologica

rimane stabilmente presente anche per anni. Un altro limite è rappresentato dalla possibile cross-reazione

sierologica con altre specie di Ehrlichia. La messa in evidenza di titoli bassi è esclusivamente indicativa di

un’esposizione al batterio e, nella quasi totalità dei casi, non ha alcun significato clinico. Per questo motivo,

probabilmente, il titolo anticorpale non può essere considerato un indicatore della risposta alla terapia. La

PCR, in questi casi, potrebbe aiutare a distinguere i soggetti con infezione persistente da quelli in cui rimane

nel tempo solo un titolo anticorpale positivo. Secondo il gruppo di studio dell’American College of

Veterinary Internal Medicine, infatti, la PCR andrebbe eseguita 2 settimane dopo l’interruzione della

terapia. Se la PCR risulta positiva, andrebbe ripetuto un trattamento di 4 settimane. Se anche dopo questo

trattamento la PCR dovesse essere positiva, si dovrebbe considerare l’impiego di un protocollo anti-E. canis

alternativo. Se, invece, il risultato della PCR dovesse essere negativo, il test andrebbe ripetuto dopo 2 mesi;

se ancora negativo, l’eliminazione terapeutica del batterio deve essere ritenuta molto probabile.