Agenda Italia 2013 - Le nostre idee verso la Terza Repubblica

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Agenda Italia 2013 Le nostre idee verso la Terza Repubblica www.italiafutura.it 34 Agenda Italia 2013 è il contributo di idee con cui Italia Futura si mette a disposizione del progetto Verso la Terza Repubblica. L’obiettivo è costruire una nuova offerta politica, assieme a molte altre realtà associative nazionali e locali, radicate nella cultura e nell’esperienza del nostro paese. Agenda Italia 2013 è anche espressione del lavoro svolto da Italia Futura che, sin dalla sua fondazione, ha raccolto competenze e passioni civiche su tutto il territorio nazionale. Una sintesi delle convinzioni che hanno animato fino a oggi il lavoro di migliaia di associati e delle proposte che abbiamo rivolto al dibattito pubblico. Agenda Italia 2013 è soprattutto l’apertura di un cantiere di idee e programmi che dovrà essere alimentato da voi: dai nostri aderenti, dalle nostre associazioni locali e regionali, e da tutti coloro che hanno a cuore il futuro del paese. Attendiamo i vostri commenti e le vostre proposte a [email protected] www.italiafutura.it

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Un cantiere di idee e programmi che dovrà essere alimentato da voi. Attendiamo i vostri commenti e le vostre proposte a [email protected]

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Agenda Italia 2013 è il contributo di idee con cui Italia Futura si mette a disposizione del progetto Verso la Terza Repubblica. L’obiettivo è costruire una nuova offerta politica, assieme a molte altre realtà associative nazionali e locali, radicate nella cultura e nell’esperienza del nostro paese. Agenda Italia 2013 è anche espressione del lavoro svolto da Italia Futura che, sin dalla sua fondazione, ha raccolto competenze e passioni civiche su tutto il territorio nazionale. Una sintesi delle convinzioni che hanno animato fino a oggi il lavoro di migliaia di associati e delle proposte che abbiamo rivolto al dibattito pubblico. Agenda Italia 2013 è soprattutto l’apertura di un cantiere di idee e programmi che dovrà essere alimentato da voi: dai nostri aderenti, dalle nostre associazioni locali e regionali, e da tutti coloro che hanno a cuore il futuro del paese. Attendiamo i vostri commenti e le vostre proposte a [email protected]

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La Terza Repubblica non può nascere dagli stessi errori che hanno segnato quest'ultimo ventennio, né si può immaginare che i protagonisti di una stagione fallimentare possano guidare la ricostruzione civile ed economica della nazione. Per questo la stagione costituente che serve all'Italia richiede un radicale rinnovamento della politica e dei suoi interpreti, per riconquistare la fiducia perduta dei cittadini.

Poche cose, fatte bene: lo Stato italiano ha bisogno di una riforma profonda e coraggiosa, che riduca il perimetro del suo intervento rafforzandone la credibilità e l'autorevolezza. Serve una drastica semplificazione della macchina burocratica e una consistente riduzione dei costi dello Stato. La folle corsa della spesa pubblica deve essere fermata e le risorse recuperate devono essere destinate alla riduzione del carico fiscale, oggi insostenibile per i cittadini e per le imprese.

Lavoro, impresa e cultura sono le chiavi per aprire una nuova stagione di crescita economica. Per riuscirvi, è fondamentale liberare le energie creative e produttive degli italiani e restituire al paese la speranza e l'orgoglio di essere protagonisti di innovazione e sviluppo.

La società civile può e deve rinunciare alla tentazione di restare in tribuna, accontentandosi della critica e del lamento, per partecipare attivamente ad una stagione di nuovi rapporti tra politica e cittadini.

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Queste sono le convinzioni di fondo di Italia Futura. Un movimento che raccoglie persone provenienti da convinzioni ed esperienze diverse ma unite dalla volontà di fare dell’Italia una nazione più aperta, dinamica, libera, solidale, forte e giusta.

Un’associazione nata dalla passione di un ampio gruppo di esponenti della società civile, di amministratori pubblici, imprenditori, professionisti e studiosi che credono nell’Italia, nelle sue grandi risorse civili e nelle sue straordinarie potenzialità di sviluppo.

Uomini, donne e giovani che condividono la delusione per i limiti mostrati dagli attuali partiti politici e la volontà di contribuire ad un futuro migliore per il proprio paese attraverso il rinnovamento della politica, la crescita economica e la liberazione delle migliori energie della nazione.

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Indice

1. Liberare le energie

2. Anche lo Stato deve fare la sua parte

3. Togliere i l tappo alla crescita

4. I motori della crescita: cultura, impresa, lavoro, istruzione e salute

5. Giovani e donne per ripartire

6. Dove vanno a finire i nostri soldi?

7. Cittadini, non sudditi

8. Una nuova offerta polit ica

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1. Liberare le energie

Noi crediamo negli italiani. Crediamo nel lavoro, nel talento, nella determinazione e nella creatività che nel corso dei secoli hanno reso l’Italia grande e florida. E siamo convinti che niente possa impedire alla nostra nazione di tornare a crescere e a prosperare scommettendo sulle proprie risorse più vitali. Perché non esiste alcuna maledizione che condanni l’Italia al declino e alla rassegnazione. Al contrario: nel mondo c’è grande fame d’Italia, grande richiesta di quelle qualità che rendono il nostro paese unico in Europa e nel mondo.

Restituire speranza agli italiani è il compito storico che attende le classi dirigenti nella politica e nelle istituzioni, nel mondo del lavoro e dell’economia, nella cultura e nell’associazionismo civile.

Ci riusciremo se sapremo liberare le straordinarie risorse della nostra nazione e riscoprire il dinamismo e il senso di comunità che ha accompagnato le stagioni più vitali della nostra storia.

Come nel secondo dopoguerra, quando una nazione prostrata dalla guerra e dalla dittatura seppe trovare la via della crescita e del benessere, coniugando i valori liberali di Luigi Einaudi con le convinzioni popolari di Ezio Vanoni in un’idea del paese all’altezza della sfida dei tempi.

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Oggi l’Italia è nuovamente al bivio e può rifiutare il declino e aprirsi nuovamente al mondo, facendo leva sulle proprie energie senza alcuna paura del futuro.

Lo chiedono gli italiani ignoti che a decine di milioni compiono ogni giorno il proprio lavoro, pagando le tasse e dedicandosi a costruire un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. Lo chiede la storia e la dignità di una nazione che vuole recuperare il senso di speranza, fiducia ed entusiasmo che ha saputo mostrare nei suoi momenti migliori. Lo chiedono i giovani esclusi da una prospettiva di partecipazione attiva al lavoro e alla crescita del paese.

Per questo Italia Futura lavora ad una nazione più ottimista, sfrontata e irriducibile. Una nazione in cui valga la pena vivere, lavorare, pagare le tasse e dunque votare quando si è chiamati alle urne.

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2. Anche lo Stato deve fare la sua parte

La riforma dello Stato è la promessa mancata della seconda Repubblica. Per questo abbiamo istituzioni più costose e meno efficienti, agitate da una condizione di perenne conflittualità al loro interno, precipitate a un grado infimo di consenso popolare. Per questo gli italiani hanno ereditato uno Stato debole ma pervasivo, che non riesce a essere sufficientemente autorevole ma che occupa ogni spazio disponibile.

Da qui discende la maggior parte delle anomalie del nostro paese: l’eccessivo carico fiscale, il peso della burocrazia, la contrapposizione tra politica e società civile, il conflitto tra istituzioni e poteri dello Stato, il diffondersi di sprechi e corruzione.

La sfida centrale dei prossimi anni sarà il riequilibrio del rapporto tra Stato e cittadini, rendendo l’azione dello Stato più forte in un perimetro più ristretto (giustizia, difesa, sicurezza, istruzione, tutela del patrimonio culturale, infrastrutture) e ristabilendo un rapporto di fiducia tra istituzioni e società civile che sia fondato su un nuovo e reciproco riconoscimento di ruoli e autonomie.

La prossima legislatura dovrà ripensare il sistema delle autonomie territoriali, diminuendo i livelli di governo (con l’abolizione di tutte le province) e promuovendo un federalismo responsabile e meritocratico.

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Tutte le regioni potranno guadagnare o perdere gradi di autonomia, a seconda dei risultati di gestione oggettivamente conseguiti. Le regioni potranno dunque ottenere forme di autonomia speciale in caso di risultati particolarmente positivi, oppure essere commissariate qualora non rispettino i livelli minimi di efficienza e di contenimento della spesa.

Saranno inoltre previste forme di federalismo “a progetto”, che consentano alle regioni meritevoli di ottenere competenze e finanziamenti per la realizzazione di progetti specifici (ad esempio di tipo infrastrutturale). Le materie di competenza regionale andranno snellite e individuate in modo più chiaro, superando l’attuale confusione e il relativo contenzioso.

Dobbiamo costruire una diversa e nuova pubblica amministrazione fondata sulla trasparenza e sulla celerità delle decisioni, delegificando e valorizzando le eccellenze e il merito.

Una pubblica amministrazione che sia garante del rispetto delle regole in un rapporto di collaborazione e di ausilio con i cittadini e le imprese e non di freno alla libera iniziativa. Una macchina burocratica che costi meno e che renda possibile la drastica e indispensabile riduzione della spesa pubblica. Uno Stato che abbia il coraggio di chiudere enti inutili e dismettere attività non strategiche.

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Ad esempio: gli italiani hanno fatto di tutto e di più, ora è il momento di una patrimoniale sullo Stato per abbattere il debito pubblico con un piano pluriennale di dismissioni del patrimonio mobiliare e immobiliare di Comuni, Province, Regioni e Stato. Un piano di dismissioni che condizioni i trasferimenti agli enti locali alla concreta partecipazione di questi ultimi al piano stesso.

Un piano di dismissioni che tocchi anche i santuari pubblici o pseudo pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti, in cui investitori istituzionali esteri dovrebbero prendere il posto delle fondazioni bancarie. La Rai, che potrebbe svolgere al meglio il suo ruolo di servizio pubblico con una sola rete. Bancoposta, che dovrebbe finalmente operare in condizioni di parità con gli altri istituti di credito.

Ad esempio: aggredire la burocrazia eliminando vincoli normativi e amministrativi: meno regole e più controlli successivi. Aprire il servizio pubblico a nuovi soggetti come fondazioni, imprese sociali e aziende private al fine di realizzare il vero sistema delle autonomie territoriali e funzionali con la sussidiarietà verticale (trasferimento di funzioni ad enti dotati dei requisiti di efficienza) e con la sussidiarietà orizzontale (autonomia dei privati e degli enti funzionali).

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Ad esempio: consentire alle Regioni meritevoli di sviluppare politiche specifiche per integrare i sistemi di istruzione, formazione professionale e accesso al mondo del lavoro, in considerazione delle principali vocazioni imprenditoriali di ogni territorio; prevedere per le Regioni meritevoli trasferimenti straordinari di risorse e funzioni per la realizzazione di specifiche opere pubbliche di importanza regionale (ad esempio collegate alla messa in sicurezza idrogeologica del territorio).

Ad esempio: alla Pubblica Amministrazione va restituita una missione. Il prossimo governo accorpi ministero dello Sviluppo Economico e ministero della Funzione Pubblica per chiarire al paese che è la pubblica amministrazione l’infrastruttura su cui deve correre – e non fermarsi, come oggi – la voglia degli italiani di cambiare, di innovare, di progredire.

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3. Togliere il tappo alla crescita

Impresa e lavoro sono dovunque la chiave di ogni strategia di crescita. Non è possibile che in Italia, rispetto ad altri paesi europei, le imprese siano costrette a sacrificare due terzi degli utili sull’altare dell’inefficienza della macchina pubblica o di una tassazione sulle imprese che è la più alta di tutta l’area OCSE.

Per questo la chiave fondamentale per una nuova stagione di sviluppo non è nel ripudio degli impegni assunti con i nostri partner europei o nella negazione del percorso difficile e non privo di errori ma necessario e fruttuoso di questi ultimi mesi. Né nella nostalgia di politiche industriali di cui i contribuenti finirebbero invariabilmente per pagare il salatissimo conto a distanza di tempo.

La chiave per tornare a crescere è invece nella liberazione delle energie produttive di una nazione che ha nel lavoro e nella capacità imprenditoriale i suoi più efficaci strumenti di sviluppo economico e sociale. E dunque nella creazione di condizioni adeguate allo sviluppo dell’impresa e favorevoli per chi investe e chi rischia.

Le nostre imprese, piccole medie e grandi, e i nostri artigiani hanno saputo adeguarsi ai nuovi scenari globali – non era facile né scontato - attraverso processi di ristrutturazione che

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hanno permesso di restare competitivi e di conquistare nuovi mercati.

Se l’impresa è, insieme alla ricerca, “il motore di innovazione più potente che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto” (Barack Obama, 17 ottobre 2012), questo vale anche e soprattutto per l’Italia.

Le imprese italiane escono tuttavia da un quindicennio di produttività stagnante o addirittura calante (la produttività totale dei fattori – del lavoro e del capitale tangibile e intangibile – è calata dello 0,1% all’anno tra il 1995 ed il 2007 e dell’1,6% nella media dell’ultimo triennio) e devono quindi essere messe nelle condizioni di rilanciare la produttività attraverso innovazioni e ristrutturazioni tecnologiche e gestionali.

Fare impresa in Italia non può più essere un atto di eroismo o, peggio, di incoscienza. Per questo è indispensabile ricostruire in Italia un ambiente normativo, amministrativo e fiscale favorevole all’iniziativa d’impresa, alla creatività del lavoro e alla tutela del cittadino-consumatore, attraverso scelte radicali a favore dell’ampliamento degli spazi di concorrenza, liberalizzazioni profonde nei settori ancora sottoposti a monopoli formali e/o di fatto come l’energia e i trasporti, politiche volte a facilitare l’accesso al lavoro delle donne e dei giovani.

Non si può crescere a scapito del sistema bancario e finanziario del paese ma quest’ultimo non può nemmeno finire

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per essere un freno alla crescita: l’efficienza è il primo servizio che le istituzioni finanziarie devono rendere al sistema delle imprese.

Né si può crescere con una dotazione infrastrutturale che riesce ad essere, al tempo stesso, insufficiente e ridondante, segnata dai troppi progetti promessi e non realizzati, frutto spesso e volentieri di spinte localistiche piuttosto che di scelte serie e bisogni veri. È ora di cambiare registro e scegliere le infrastrutture che servono subito e che hanno il consenso necessario per essere realizzate, ponendo le condizioni perché la partnership pubblico-privato non sia una affermazione vuota. Non solo le infrastrutture “pesanti”, ma anche quelle “leggere” come la rete, la finanza, una giustizia civile finalmente efficiente e i servizi per l’export e l’internazionalizzazione.

Ultimo ma non meno importante: per crescere servono le risorse. Sulle risorse pubbliche non potremo fare affidamento per parecchi anni. È essenziale quindi riportare l’Italia ad essere una destinazione preferenziale per gli investimenti diretti esteri. In questo, come nel caso precedente, ciò significa, prima di ogni altra cosa, certezza delle regole e tutela dei diritti di proprietà: principi che non dovremmo nemmeno avere il bisogno di menzionare.

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Ad esempio: nessun pasto è gratis, nemmeno quello dei burocrati. Stabilire il principio che, in occasione dell’introduzione di nuove procedure burocratiche, lo Stato debba valutarne il costo per le imprese e attribuire alle imprese stesse un credito d’imposta pari al 50% del costo stimato della nuova procedura. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

Ad esempio: restituiamo alle imprese margini di libertà. Applicare integralmente il Piano Giavazzi, azzerare gli incentivi alle imprese (pochi o tanti che siano) e usare quelle risorse per avviare concretamente la riduzione del carico fiscale sui redditi d’impresa. Spostare il carico fiscale dalle imposte dirette alle imposte indirette per sostenere lo sforzo delle imprese più direttamente impegnate sui mercati esteri.

Ad esempio: diamo valore costituzionale allo “Statuto del Contribuente”, una legge che lo stesso Stato ha violato oltre quattrocento volte dall’anno della sua introduzione (nel 2000). Specificare chiaramente nell’articolo 41 della Costituzione che lo Stato non può mutare a proprio piacimento i termini di contratti liberamente e lecitamente sottoscritti con i privati.

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Ad esempio: se la recente riforma del mercato del lavoro sta già mostrando i suoi limiti, torniamo a pensare ad un contratto unico di lavoro a protezione crescente per tutti i futuri lavoratori dipendenti (con ovvie eccezioni, per esempio, per i rapporti a contenuto formativo o di natura stagionale).

Occupazione a tempo indeterminato per tutti e piena protezione contro le discriminazioni e contro i licenziamenti disciplinari ingiustificati, ma nessuna inamovibilità per motivi economici e organizzativi.

Superare la tutela del posto di lavoro per tutelare chi lo occupa, perché in un paese avanzato in cui il mercato del lavoro sia realmente un sistema dinamico che genera ricchezza e sviluppo, le tutele sociali vanno spostate dalla garanzia del non perdere il posto alle garanzie di poterne trovare un altro. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

Ad esempio: chiamiamo debiti quelli che sono debiti. Riconoscere i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese e mettere immediatamente a disposizione per il loro pagamento parte del patrimonio immobiliare dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, cominciando con quello non utilizzato a fini istituzionali. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

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Ad esempio: per dotare l’Italia delle infrastrutture di trasporto che servono ai costi giusti e nei tempi giusti occorre affrontare una Project Review seria e urgente. Superare definitivamente la logica della Legge Obiettivo che, promettendo tutto a tutti, ha prodotto una lista infinita di progetti spesso molto costosi e lenti nella realizzazione. Progetti che si bloccano l’un l’altro competendo per le scarse risorse pubbliche e private.

Occorre invece verificare l’utilità dei singoli progetti in un quadro d’insieme che tenga conto del mutato stato della economia, dei bisogni realistici di mobilità di persone e merci, delle risorse pubbliche e private effettivamente disponibili, dei livelli di approfondimento progettuale, del grado di consenso degli stakeholders sulle scelte effettuate, della possibilità di “snellire” le opere puntando sulle tecnologie e sulle parti più necessarie. Occorre infine rivedere e semplificare le norme di approvazione e affidamento delle opere, garantendo trasparenza, opportunità e diritti alle imprese di costruzione in un mercato sempre più competitivo.

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4. I motori della crescita: cultura,

impresa, lavoro, istruzione e salute

Cultura, impresa e lavoro sono i tre campioni nazionali che hanno reso l’Italia una grande nazione e sui quali dobbiamo investire per liberare le nostre potenzialità. La cultura come fattore di orgoglio nazionale e base di valori condivisi, il lavoro e l’impresa come capacità di produrre valore.

La cultura italiana, in particolare, è la più efficace infrastruttura che produce identità collettiva e un potente volano per occasioni di crescita economica legate alla bellezza del nostro paese e alla nostra capacità di attrarre flussi di turismo.

Anche per questo il Made in Italy, che per migliaia di aziende italiane è un brand forte e gratuito con cui proporre i propri prodotti all’estero, altro non è se non la trasposizione di secoli di cultura in un mondo industriale globalizzato.

Sulle nostre spalle grava un’eredità di beni culturali e di saperi specialistici ad essi collegati, che sono unici al mondo e che il mondo ci invidia. Sta a noi decidere se farne patrimonio attivo e produttivo, in un’inedita e pur possibile combinazione di scienze della cultura e industria culturale, o se continuare a ritenere quest’eredità costosa e ingestibile.

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La nostra storia e la nostra identità ci impongono la responsabilità di conservare, sviluppare e attualizzare un’idea etica della bellezza e, soprattutto, di farne un progetto di sviluppo condiviso, da cui possano ripartire la sostanza e la forma del Paese.

Nessuna forza politica, dalla Prima alla Seconda Repubblica, ha mai messo la cultura al centro del proprio progetto. Forse perché nessuna forza politica ha voluto parlare del paese reale, che ha nella bellezza del territorio e nel patrimonio culturale uno dei suoi principali punti focali. Ma il ruolo della cultura nel nuovo progetto per l’Italia dovrà essere centrale e non periferico, popolare e non elitario, produttivo e non assistito.

Per questo l’azione dello Stato in questo settore non deve essere orientata all’assistenzialismo o alle elemosine, ma alla facilitazione di investimenti e di integrazione con le risorse e la capacità di gestione che possono venire dalla società civile e dall’imprenditoria privata, anche con interventi di defiscalizzazione e alleggerimento tributario. Senza mai dimenticare che non solo le opere d’arte ma anche il paesaggio fa parte integrante della cultura italiana e che gli agricoltori ne sono i custodi spesso e volentieri misconosciuti.

Da qui al 2020 si prevede che in Europa si creerà occupazione qualificata per il 40% dei giovani (19-25), pari a 15 milioni di nuovi posti di lavoro disponibili per chi avrà competenze e specializzazioni adeguate.

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Il sostegno della formazione professionale post-liceale (gli Istituti tecnici superiori) è un atto dovuto. Così come lo è fare quanto necessario per garantire agli studenti meritevoli l’accesso alle migliori università indipendentemente dal reddito familiare. L’Italia va ricapitalizzata: a cominciare dalle sue conoscenze. Il capitale umano cammina sulle gambe di tutti noi.

Non diversamente dall’istruzione, anche la buona salute è alla base dello sviluppo sociale ed economico e rafforza le politiche in tutti i settori dell’azione pubblica. La crisi economica e finanziaria del paese minaccia seriamente il progresso positivo che è stato conseguito, ma rappresenta anche un’importante opportunità per riorientare e rinnovare i nostri sforzi per migliorare la salute dei cittadini. La salute porta ad una accresciuta produttività, un invecchiamento più sano e una minore spesa per la malattia e i servizi sociali. La salute e il benessere della popolazione si raggiungono in modo più efficace se l’interezza dell’azione pubblica coopera ad affrontare i determinanti sociali e individuali della salute. La buona salute è anche un supporto fondamentale dello sviluppo economico.

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Ad esempio: in campo culturale siano incoraggiate le iniziative private per la valorizzazione e la gestione del patrimonio storico e monumentale. Occorre inoltre agevolare tutti i piccoli e grandi mecenatismi, dando la possibilità ad ogni donatore di detrarre dalle imposte quanto viene devoluto all’intervento culturale e paesaggistico e sostenendo i meccanismi automatici di credito d’imposta per gli operatori del settore. È infine necessario escludere il settore della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico da tagli di spesa, come accade in altri grandi paesi europei.

Ad esempio: in un quadro complessivo di finanza pubblica teso a ridurre la spesa e il carico fiscale, le uniche quote di bilancio a cui deve essere consentito di aumentare devono essere quelle dedicate alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, agli investimenti nella scuola, nell’università e nella ricerca con l’obiettivo di equiparare entro cinque anni gli investimenti italiani in questi settori alla media dei paesi europei più avanzati.

Ad esempio: autonomia e specializzazione devono essere i principi ispiratori di ogni intervento nel campo dell’istruzione superiore e della ricerca. Non tutte le università devono fare tutto. Non tutti i territori devono disporre di una università. Il futuro dei giovani è una cosa troppo preziosa per scambiarlo con la loro comodità o, peggio, con gli obiettivi dei docenti.

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Ad esempio: riorganizzare la sanità con una determinazione trasparente delle priorità e dei diritti chiaramente esigibili dai cittadini. Rendere le prestazioni sanitarie facilmente misurabili, in modo che ogni cittadino possa comprendere quali sono i suoi diritti ed essere in grado di esigerli.

Riconfigurare l'offerta sanitaria in una rete territoriale collegata alle strutture ospedaliere, con un miglioramento delle performance dei presidi e una gestione ottimizzata del personale. Ridurre la spesa per beni e servizi in base al rapporto costi/efficacia ed al valore per i cittadini. Aumentare la trasparenza del settore: nuovi criteri di nomine dei vertici basati sulle effettive capacità e performance, pubblicazione dei risultati sanitari e gestionali delle strutture sanitarie, possibilità per il cittadino di accedere a tutti dati che lo possano aiutare ad orientarsi e fare le proprie scelte. Introdurre nuove partnership con il settore privato per attività sia cliniche che non cliniche.

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5. Giovani e donne per ripartire

L’Italia possiede un triste primato: il livello più elevato di inattività femminile e giovanile. Il tasso complessivo di occupazione tra le donne italiane è solo del 46,4%, contro il 60% della Francia, il 65% della Germania o il 70% e oltre di paesi come Danimarca Svezia e Norvegia.

Analoga sorte di inattività e scarsa valorizzazione riguarda i giovani: circa il 20% dei nostri giovani (il dato più alto in Europa) non sono né in programmi di formazione né occupati in alcuna attività o in cerca di lavoro. Mentre tra coloro che cercano lavoro oltre un terzo non lo trovano.

Dati che sono ancora più gravi nel Mezzogiorno, dove oltre tre giovani su dieci nella fascia di età 18-29 anni non lavorano e non studiano (un valore quasi doppio rispetto a quello del Centro-nord) e dove le donne vivono un’emarginazione dal mercato del lavoro senza pari nel resto del paese.

Negli ultimi vent’anni, un milione e mezzo di donne hanno trovato lavoro. Solo duecentomila nel Mezzogiorno. Questa situazione di disparità ed esclusione implica non soltanto una forte perdita economica per il paese, che rinuncia ad una parte importante delle sue energie, ma significa soprattutto condannare moltissimi giovani e molte famiglie a restare

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inchiodate alle loro situazione sociali ed economiche di partenza, senza possibilità di miglioramento.

È questo quello che accade in Italia, dove la mobilità sociale è diventata ormai sempre più un miraggio. Viviamo in un paese bloccato, dove da troppo tempo non funziona più l’ascensore sociale che nei periodi migliori della nostra storia ha permesso a milioni di italiani di rompere le barriere della miseria.

Riattivare i meccanismi della mobilità sociale è la chiave per rendere l’Italia un paese nuovamente dinamico e giusto, aperto al talento e dove possono farsi strada coloro che hanno idee e passione qualunque sia il loro punto di partenza.

Questo significa investire sui giovani, dare alle donne la possibilità di superare la scelta obbligata tra figli e lavoro, e ridare valore al merito, all’impegno e all’attività. E significa abbattere non solo i divari legati al genere e all’età ma anche alla geografia.

C’è chi pensa che nel Mezzogiorno sia stato provato di tutto, invariabilmente senza risultati. Non è così. È stato provato tutto ciò che corrispondeva all’idea astratta del Mezzogiorno di qualche burocrate italiano o europeo. Non è stato provato nulla che spingesse il Mezzogiorno a fare da sé. Questo dovrebbe essere il senso di un nuovo welfare: aiutare i cittadini a recuperare terreno, ad essere attivi, a progettare

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Ad esempio: rimettere in moto l’ascensore sociale significa innanzitutto riformare un sistema di welfare che ricalca ancora i confini sociali e demografici dell’Italia degli anni Settanta, quando i cicli di vita e i livelli di istruzione giovanile e occupazione femminile erano lontanissimi da quelli attuali.

Completata meritoriamente la riforma delle pensioni, bisogna ora proseguire nel cammino di una riscrittura delle regole dello stato sociale per concludere il processo riformatore nel campo degli ammortizzatori sociali e per correggere, laddove presenti, i tanti disincentivi alla famiglia.

Ad esempio: investire sui giovani e la loro formazione,

riformando il diritto allo studio introducendo premi sui rendimenti scolastici che iniziano a maturare già dalla prima adolescenza e che alimentino un piccolo patrimonio di cui il giovane potrà usufruire dopo il conseguimento del diploma per pagarsi gli studi universitari o aprire un’attività.

Un modo per combattere l’abbandono scolastico, stimolare l’impegno e la responsabilità, e allo stesso tempo sostenere l’ingresso nel mondo adulto.

un futuro. Un welfare visto come strumento di crescita e mobilità e non come mera assistenza.

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Ad esempio: alle richieste dei lavoratori che hanno lasciato il lavoro e sono ancora distanti dall’età della pensione non si risponde – con una scelta spiccatamente assistenziale - ripristinando le pensioni di anzianità. Ma piuttosto fiscalizzando i loro oneri sociali per permettere un più agevole temporaneo ritorno al lavoro.

Perché gli “esodati” non sono persone “diversamente pensionate” – come sembra pensare la politica ansiosa di liberarsi del problema – ma uomini e donne perfettamente in grado di contribuire al benessere collettivo.

Ad esempio: trentamila nuovi posti asilo nido ogni anno per i prossimi cinque anni. Nei sei anni tra il 2003/4 e il 2009/10 i posti asilo sono aumentati di sole 47.000 unità. Meno di ottomila all’anno. Ciò ha portato un aumento di copertura di poco più di due punti percentuali - dal 9% dei residenti tra gli zero e i due anni all’11,3%.

Si può e si deve fare di più. Ambire a trentamila nuovi posti all’anno per i prossimi cinque anni non è impossibile. Si tratta di un aumento di spesa (corrente) complessiva di circa 213 milioni l’anno (l’Istat stima i costi a carico del comune in circa 7.100 euro l’anno per bambino), ovvero per il primo anno un incremento del 17,7% sulla spesa attuale. Un intervento che ci porterebbe quasi a raddoppiare i posti disponibili nel tempo di una legislatura.

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6. Dove vanno a finire i nostri soldi?

Negli ultimi vent’anni si è passati da una pressione fiscale del 40% circa al 45% dell’anno in corso. Un 45% che diventa 55% se si fa riferimento – come si deve fare riferimento – ai soli contribuenti leali.

Per gli italiani ogni “riforma fiscale” è stata letta come “aumento delle tasse”. Se il fisco deve essere il regno della stabilità, della semplicità e della trasparenza, occorre piuttosto che continuare a riformare il sistema fiscale limitarsi a fare alcune scelte chiare e immediatamente comprensibili: destinare integralmente alla riduzione delle aliquote le risorse provenienti dall’attività di contrasto all’evasione, rivedere profondamente il modo di essere delle amministrazioni in campo fiscale (ivi inclusa la giustizia tributaria), usare ogni spazio disponibile per premiare fiscalmente il lavoro e la produzione di valore rispetto alle rendite finanziarie e immobiliari.

Fino al 2006, la coesione sociale è stata assicurata facendo leva su un perverso equilibrio degli squilibri fondato sulla tolleranza verso chi evadeva le imposte e verso chi dissipava le risorse pubbliche. L'impossibilità di continuare a mettere il costo di questo finto equilibrio in conto alle future generazioni ha determinato l'intransigenza dello Stato sul lato delle

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Ad esempio: Il contrasto all’evasione fiscale deve essere una priorità per ogni governo. Ma ogni governo non dovrebbe mai dimenticare che le imposte sono una controprestazione per i servizi che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, offre ai cittadini. Questi devono essere, in quantità e qualità adeguati allo sforzo fiscale sostenuto dai cittadini. Cominciamo allora con il canone televisivo che è, appunto, un canone e che i cittadini devono essere liberi di pagare solo se utenti del servizio televisivo pubblico.

entrate, senza tuttavia una parallela intransigenza sul lato della spesa.

Evasione fiscale del settore privato e corruzione del settore pubblico sono invece due facce della stessa medaglia che devono essere affrontate con la medesima risolutezza, pena l'impossibilità di considerare una vera battaglia per la legalità il rigore a senso unico applicato nei confronti dei cittadini.

In questo percorso, la cosiddetta spending review gioca un ruolo fondamentale. Bisogna assicurare che diventi un esercizio regolare e che non venga limitato alla sola limatura dell’esistente ma che, al contrario, conduca a domandarsi se, per quale motivo e a quali condizioni determinate attività debbano essere svolte dall’operatore pubblico. Una spending review condotta con rigore e regolarità è la prima fonte di legittimazione dell’attività dello Stato sul fronte delle entrate.

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Ad esempio: Il contrasto all’evasione fiscale deve essere una priorità per ogni governo. Ma non c’è una sola maniera di fare la lotta all’evasione e non è affatto detto che quella praticata nell’ultimo quindicennio sia quella più efficace.

Si chieda quindi al Ragioniere generale dello Stato di certificare ex post costi e ricavi della lotta all’evasione e si stabilisca per legge che quelle risorse derivanti dall’attività di contrasto all’evasione siano dedicate anno dopo anno, senza eccezione, alla riduzione della pressione fiscale. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

Ad esempio: Il contrasto all’evasione fiscale deve essere una

priorità per ogni governo. E lo stesso si dica per il contrasto della corruzione. Istituiamo un'Agenzia delle uscite con poteri di controllo analoghi a quelli dell'Agenzia delle entrate. Rendiamo pienamente trasparenti le uscite di tutte le amministrazioni pubbliche rendendole accessibili in rete.

Introdurre una distinzione chiara tra chi froda il fisco, o comunque occulta i suoi proventi, rispetto a chi dichiara e si ritrova poi con accertamenti che disconoscono la deducibilità di costi o la spettanza di detrazioni, spesso a causa anche di difficoltà interpretative di una normativa farraginosa e complessa. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

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7. Cittadini, non sudditi

La nostra democrazia ha bisogno di una politica forte e autorevole, alla quale i cittadini riconoscano dignità e da cui si attendano competenza e responsabilità. Ma la politica tornerà ad essere forte solo se sarà rinnovata in profondità: scegliendo la trasparenza, assumendosi le proprie responsabilità per ogni fallimento e aprendosi al più libero contributo della società civile.

Per questo occorre prima di tutto assumere un approccio radicale al tema dei costi della politica, che per negligenza degli stessi politici è diventato il terreno fertile per la crescita di un populismo distruttivo e pericoloso per la stabilità della nostra democrazia: prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica deve mettere mano ai propri costi, ad iniziare dalla riduzione del numero dei parlamentari e dei loro compensi e del finanziamento pubblico ai partiti.

La politica può e deve tornare ad essere riconoscibile, candidando figure che vivono o lavorano nei territori che aspirano a rappresentare, così come occorre regolare meticolosamente il conflitto di interessi, che rappresenta la minaccia più grande per ogni società liberale, e potenziare gli strumenti di democrazia diretta e i vincoli di controllo sulla qualità e la coerenza del mandato parlamentare che siano anche funzionali al rinnovamento costante del personale politico.

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Ad esempio: la politica deve tornare ad essere responsabile. Il finanziamento ai partiti sia incentrato sui contributi volontari dei cittadini (persone fisiche), che potranno godere di un credito d’imposta pari al 50% delle donazioni e fino ad un tetto di 5000 euro.

Le spese sostenute da ogni partito siano rese interamente trasparenti con la pubblicazione in rete entro 60 giorni e con l’assegnazione alla Corte dei Conti del controllo sui bilanci annuali. [Questa proposta è già stata oggetto di una iniziativa parlamentare su impulso di membri di Italia Futura]

Ad esempio: i cittadini devono tornare a scegliere. La nuova legge elettorale deve poter restituire al cittadino la scelta dei propri rappresentanti. E deve garantire la governabilità del paese, senza per questo trasformare in maggioranze qualunque minoranza.

Il coinvolgimento dei cittadini nella scelta delle nuove regole elettorali deve assumere un ruolo centrale - tramite un referendum confermativo - anche al fine di garantire stabilità al nostro sistema di rappresentanza.

Ad esempio: rimozione degli eletti immeritevoli. La necessità di rafforzare il nesso fra esercizio del potere politico e sovranità popolare può soddisfarsi introducendo nella Carta costituzionale l’istituto della rimozione degli eletti (Recall).

Con le opportune garanzie - come la previsione della richiesta di almeno 1/5 del corpo elettorale e il divieto di attivazione nel primo anno di mandato - il Recall può rappresentare un antidoto a quelle forme di irresponsabilità che hanno distorto l’esercizio delle cariche pubbliche elettive.

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Ad esempio: una sola Camera. Il sistema bicamerale paritario, che assegna a Camera e Senato identiche funzioni, si è rivelato lento e farraginoso. D’altra parte anche le proposte di bicameralismo imperfetto, da tempo al centro del dibattito pubblico, rischiano d’aggiungere ulteriori fattori di complicazione.

Da qui una proposta radicale: una sola Camera, simbolicamente composta da 556 membri quanti furono i deputati all’Assemblea costituente.

Ad esempio: un governo stabile. La scelta di un Parlamento monocamerale, eliminando il rischio che si formino maggioranze politiche diverse fra le due Camere, riduce sensibilmente la precarietà dei Governi.

Un’ulteriore razionalizzazione della forma parlamentare passa per il meccanismo della “sfiducia costruttiva”, che impedisce al Parlamento di sfiduciare il Governo in carica senza aver prima individuato un Governo alternativo di cui approva il programma politico.

Un terzo rimedio è quello di potenziare il ruolo del Presidente del Consiglio attribuendogli il potere di nomina e di revoca dei Ministri.

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8. Una nuova offerta polit ica

La credibilità della politica e dei politici agli occhi degli italiani non è mai stata così bassa nella storia recente del nostro paese, con esempi quotidiani di intreccio tra malaffare e privilegio e un’accumularsi di occasioni perdute per il rinnovamento dei partiti e delle loro leadership.

Per questo all’Italia serve un orizzonte condiviso che non sia solo il risanamento dei conti pubblici ma una ricostruzione civile ed etica che abbia come primo obiettivo l’innovazione, la trasparenza e la responsabilità della politica.

Per questo Italia Futura contribuirà ad nuova offerta politica da proporre al voto degli elettori nel 2013, in occasione di elezioni che avranno un valore storico per il futuro del nostro paese, nella convinzione che il paese abbia bisogno di una lunga e coraggiosa stagione di riforme di ispirazione popolare e liberale legittimate democraticamente dal voto e in continuità con l’agenda Monti.

Il nostro obiettivo non è l'ennesimo partito personale, uguale ai tanti che hanno segnato la fallimentare Seconda Repubblica, ma una grande aggregazione di realtà associative e movimenti civici che vogliano impegnarsi per dare all'Italia una legislatura di significato storico e di valore costituente.

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Un movimento che sia radicato su tutto il territorio nazionale, capace di dare voce alle realtà dell’impegno sociale e sussidiario e di scommettere sulle tante competenze locali di qualità.

Un movimento che nasca dalla libera scelta di forze sociali e culturali e di personalità credibili della società civile per un grande progetto di rinnovamento della nazione.

Perché le prossime elezioni decideranno le sorti dell’Italia per un lungo periodo e dovranno aprire una stagione costituente con il concorso delle migliori culture, competenze e risorse civiche di cui è ricca l’Italia.

Perché chiunque governerà questo Paese dovrà mettere in atto riforme coraggiose e improcrastinabili per dare all’Italia un orizzonte di sicurezza e stabilità ancora lontano dall’essere raggiunto.

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