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Il Pesa-Nervi. Addio, Dolce Vita (versione per la stampa) La traduzione in italiano della parte introduttiva dell'inchiesta di John Peet sull'Italia, pubblicata il 24 novembre su «The Economist» Malgrado tutto il suo fascino, l'Italia è preda di un lungo, lento declino. Invertire la rotta richiederà più coraggio di quello che i suoi attuali leader politici sembrano capaci di mettere insieme. E' quanto afferma John Peet. A prima vista, la vita in Italia sembra ancora abbastanza dolce. La campagna è meravigliosa, le città storiche belle, i tesori culturali sorprendenti, il cibo e il vino magnifici più che mai. Rispetto alla maggior parte dei parametri, gli italiani sono ricchi, vivono molto a lungo e le loro famiglie sono unite in modo impressionante. La molesta ubriachezza che rende sgradevoli i centri delle città in molte altre nazioni è benedettamente rara in Italia. Il traffico può essere intenso e posti come Venezia e Firenze sono invasi dai turisti, ma se si va fuori stagione - o semplicemente ci si allontana dai percorsi più battuti - il tempo trascorso in Italia può essere piacevole come in nessun'altra parte del mondo. Già, però sotto questa dolce superificie, molte cose sembrano essere diventate aspre. Il miracolo economico seguito alla seconda guerra mondiale, culminato nel famoso sorpasso del 1987 (quando l'Italia annunciò ufficialmente che il suo PIL aveva superato quello della Gran Bretagna), è ormai bello che finito. La crescita economica media dell'Italia negli ultimi 15 anni è stata la più lenta dell'Unione Europea, rimanendo indietro persino rispetto alla Francia e alla Germania. La dimensione della sua economia è oggi solo l'80% di quella della Gran Bretagna. All'inizio di quest'anno l'Italia è brevemente piombata in recessione; considerando l'intero 2005, è probabile che la sua economia sarà la sola di tutta la UE a contrarsi. Si prevede che l'anno prossimo la crescita sarà nella migliore delle ipotesi anemica. Le aziende italiane, specialmente le piccole imprese a conduzione familiare che hanno rappresentato la spina dorsale dell'economia, si trovano sotto una pressione sempre crescente. I costi sono cresciuti, http://pesanervi.diodati.org/pn/?st=199 (1 of 4)7/14/06 5:19 AM Addio, dolce vita A survey of Italy Nov 24th 2005 For all its attractions, Italy is caught in a long, slow decline. Reversing it will take more courage than its present political leaders seem able to muster, says John Peet ... more Addio, Dolce Vita Nov 24th 2005

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  • Il Pesa-Nervi. Addio, Dolce Vita (versione per la stampa)

    La traduzione in italiano della parte introduttiva dell'inchiesta di John Peet sull'Italia, pubblicata il 24 novembre su «The Economist»

    Malgrado tutto il suo fascino, l'Italia è preda di un lungo, lento declino. Invertire la rotta richiederà più coraggio di quello che i suoi attuali leader politici sembrano capaci di mettere insieme. E' quanto afferma John Peet.

    A prima vista, la vita in Italia sembra ancora abbastanza dolce. La campagna è meravigliosa, le città storiche belle, i tesori culturali sorprendenti, il cibo e il vino magnifici più che mai. Rispetto alla maggior parte dei parametri, gli italiani sono ricchi, vivono molto a lungo e le loro famiglie sono unite in modo impressionante. La molesta ubriachezza che rende sgradevoli i centri delle città in molte altre nazioni è benedettamente rara in Italia. Il traffico può essere intenso e posti come Venezia e Firenze sono invasi dai turisti, ma se si va fuori stagione - o semplicemente ci si allontana dai percorsi più battuti - il tempo trascorso in Italia può essere piacevole come in nessun'altra parte del mondo.

    Già, però sotto questa dolce superificie, molte cose sembrano essere diventate aspre. Il miracolo economico seguito alla seconda guerra mondiale, culminato nel famoso sorpasso del 1987 (quando l'Italia annunciò ufficialmente che il suo PIL aveva superato quello della Gran Bretagna), è ormai bello che finito. La crescita economica media dell'Italia negli ultimi 15 anni è stata la più lenta dell'Unione Europea, rimanendo indietro persino rispetto alla Francia e alla Germania. La dimensione della sua economia è oggi solo l'80% di quella della Gran Bretagna. All'inizio di quest'anno l'Italia è brevemente piombata in recessione; considerando l'intero 2005, è probabile che la sua economia sarà la sola di tutta la UE a contrarsi. Si prevede che l'anno prossimo la crescita sarà nella migliore delle ipotesi anemica.

    Le aziende italiane, specialmente le piccole imprese a conduzione familiare che hanno rappresentato la spina dorsale dell'economia, si trovano sotto una pressione sempre crescente. I costi sono cresciuti,

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    Addio, dolce vita A survey of Italy Nov 24th 2005 For all its attractions, Italy is caught in a long, slow decline. Reversing it will take more courage than its present political leaders seem able to muster, says John Peet ... more

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  • Il Pesa-Nervi. Addio, Dolce Vita (versione per la stampa)

    ma la produttività è rimasta uguale o è persino diminuita. L'appartenenza all'euro, la moneta unica europea, impedisce ora la svalutazione, che ha agito per molti anni come la valvola di sicurezza per gli affari italiani. La competitività dell'Italia si sta deteriorando rapidamente e le sue quote di esportazioni verso il mondo e di investimenti esteri diretti sono molto basse. Il World Economic Forum, nella sua annuale classifica di competitività, ha piazzato il Paese ad un umiliante 47° posto, appena sopra il Botswana. L'economia inoltre si è rivelata estremamente vulnerabile nei confronti della concorrenza asiatica, perché una gran quantità di piccole imprese italiane sono specializzate proprio nei settori tessile, calzaturiero, dell'arredamento e degli elettrodomestici, che stanno subendo l'impeto delle esportazioni d'assalto dalla Cina.

    Male in arnese

    Gli effetti del declino stanno cominciando a manifestarsi. Un numero crescente di italiani sta scoprendo che il proprio tenore di vita è stagnante o addirittura in caduta. Si ha la diffusa sensazione che il costo della vita sia fortemente aumentato da quando, nel gennaio 2002, le banconote e le monete dell'euro hanno rimpiazzato le lire. Il prezzo delle case è sicuramente schizzato fuori della portata di molti acquirenti di prima casa a Roma, Milano e persino a Napoli. Molti italiani stanno riducendo le proprie vacanze annuali o vi stanno addirittura rinunciando. Altri stanno rinviando l'acquisto di una nuova auto o di un completo, una vera privazione per un popolo così amante dell'estetica. I supermercati riferiscono che gli incassi di questi tempi crollano intorno alla quarta settimana del mese, prima dell'arrivo del successivo stipendio: un segno sicuro che le famiglie stanno lottando per sbarcare il lunario.

    Un'economia fiacca sta causando problemi ancor maggiori. Le infrastrutture italiane scricchiolano: strade, ferrovie e aeroporti stanno cadendo al di sotto degli standard del resto dell'Europa; edifici pubblici e privati mostrano un aspetto sempre più logoro. Il livello dell'istruzione si sta deteriorando: il Paese esce male dalle comparazioni transnazionali fatte dal PISA dell'OECD; nessuna università italiana si trova tra le migliori 90 del mondo. La spesa per ricerca è sviluppo è inferiore rispetto alla media internazionale.

    L'Italia ha inoltre sofferto più del previsto a causa di scandali aziendali, in particolare il mancato pagamento delle obbligazioni da parte della Cirio e il crollo della Parmalat. E le finanze pubbliche sono nel caos. Stime attendibili pongono il sottostante deficit di bilancio per il prossimo anno, non contando le misure una tantum, al 5% del PIL, ben oltre il tetto del 3%, imposto dal patto di stabilità e crescita dell'area euro. Il debito pubblico è oltre il 120% del PIL e non sta più calando.

    Persino il tessuto sociale italiano è finito sotto pressione. La famiglia rimane forte e il tasso di divorzi relativamente basso. Ma il fatto che il 40% degli italiani tra i 30 e i 34 anni viva a quanto pare con i genitori non è un positivo segnale di armonia familiare o di attaccamento alla cucina di mammà. Molti giovani italiani rimangono a casa perché non riescono a trovare lavoro o perché non guadagnano abbastanza da poter essere indipendenti.

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    La fiducia sociale, un fattore che è evidentemente difficile da misurare, sembra insolitamente bassa in Italia: una ragione, forse, per cui le aziende familiari hanno giocato sempre un ruolo così importante nell'economia. E il rispetto per le regole, o meglio per le leggi, che non è mai stato alto, appare ulteriormente crollato negli ultimi anni. L'evasione fiscale e l'abusivismo edilizio, incoraggiati da ripetuti condoni, sembrano essere in crescita. Il crimine organizzato e la corruzione rimangono radicati, specialmente al Sud.

    Per colmo di sventura, i dati demografici italiani appaiono terribili. Il Paese ha uno degli indici di natalità più bassi dell'Europa Occidentale, con una media di 1,3 figli per donna, e la popolazione sta attualmente diminuendo; tuttavia gli italiani vivono sempre più a lungo, per cui stanno anche rapidamente invecchiando. Le conseguenze economiche - troppi pensionati, troppo pochi lavoratori per mantenerli - sono di per sé inquietanti. Ciò che le rende ancora peggiori è il basso tasso di occupazione degli italiani. Solo il 57% delle persone tra i 15 e i 64 anni sono occupate, la più bassa percentuale in Europa Occidentale. La Germania, a paragone, ha un tasso d'occupazione del 66% e la Gran Bretagna del 73%. Benché il tasso di disoccupazione in Italia non sia troppo cattivo rispetto alla media europea, esso è spiacevolmente alto tra i giovani e al Sud.

    L'eredità di Berlusconi

    Che cosa è andato storto con l'economia italiana e cosa si può fare per raddrizzarla? Queste sono le principali domande alle quali questa inchiesta cercherà di rispondere. Ma lo dovrà fare nel contesto della turbolenta scena politica italiana. Il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi, eletto nel maggio 2001, sembra prossimo a compiere la rara impresa di rimanere in carica per un'intera legislatura (che finirà la prossima primavera): sarebbe la prima volta per un governo post-bellico in Italia. Mr.Berlusconi è immensamente orgoglioso di ciò. Ma deve essere molto meno orgoglioso di ciò che capita all'economia. Nella sua campagna elettorale del 2001, promise di usare quello stesso talento per gli affari che gli aveva consentito di diventare l'uomo più ricco d'Italia, per rendere più ricchi tutti gli italiani. In questo ha vistosamente fallito.

    Il punto di vista dell'Economist su Mr.Berlusconi è ben noto. Dichiarammo nell'aprile 2001 che non era adatto a governare l'Italia, sia a causa del pantano di cause legali intentategli contro durante varie fasi della sua carriera di imprenditore sia a causa dei conflitti d'interesse inerenti al suo essere il padrone dei tre più importanti canali televisivi privati italiani. Quasi cinque anni più tardi, egli si trova ancora impelagato in problemi legali (dei quali parleremo dopo) e poco ha fatto per risolvere i suoi conflitti d'interesse: di fatto, poiché il governo possiede la RAI, l'emittente statale, Mr.Berlusconi ora controlla o influenza qualcosa come il 90% della televisione terrestre italiana (il che non gli impedisce di continuare a lagnarsi di chi lo critica in TV). Confermiamo il nostro giudizio dell'aprile 2001.

    Tuttavia, come noi ammettemmo all'epoca, nel 2001 c'erano nonostante tutto ragioni sufficienti per eleggere la coalizione di centro-destra di Mr.Berlusconi. L'Italia aveva un fortissimo bisogno di una dose di riforme a favore del mercato, di liberalizzazione, di privatizzazione, di deregolamentazione e

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    di uno scossone per la pubblica amministrazione: tutte cose che Mr.Berlusconi aveva promesso. Egli aveva anche garantito che avrebbe tagliato le tasse. La maggioranza degli elettori italiani, con l'appoggio della classe imprenditoriale, aveva deciso di chiudere gli occhi sui suoi pasticci legali e sui suoi conflitti d'interesse e di dargli l'opportunità di riformare il paese. Ma, mentre si avvicinano le prossime elezioni, ben poco di ciò che aveva promesso è stato realizzato, sicché molti di quelli che lo avevano sostenuto in passato si sentono ora disillusi.

    Persino l'apparente stabilità politica che Mr.Berlusconi ha promosso è ingannevole. La sua coalizione di sei partiti di centro-destra è stata più di una volta vicina al tracrollo, di solito grazie ai dissapori tra la Lega Nord di Umberto Bossi e Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. Lo scorso aprile, una lite con uno degli alleati minori, l'Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro, ha costretto Mr.Berlusconi a rassegnare le dimissioni e a formare un nuovo governo.

    Secondo le previsioni attuali l'opposizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi appare la vincitrice più probabile delle elezioni programmate per il 9 aprile 2006. Ma anche se riuscirà a vincere, per Mr.Prodi sarà difficile introdurre le riforme: non da ultimo perché la sua coalizione abbraccia non meno di nove partiti, molti dei quali ostacoleranno i cambiamenti. Fu proprio un alleato di Mr.Prodi, Fausto Bertinotti, che, con i suoi vetero-comunisti, fece cadere il governo nel 1998. Per la verità, nessuno dei due principali schieramenti politici italiani offre molte speranze a quelli che credono che il paese necessiti di radicali (e dolorose) riforme.

    Tuttavia l'Italia si sta avvicinando alla resa dei conti. In modo simile alla Venezia del 18° secolo, si è adagiata troppo a lungo nell'inerzia, forte dei suoi passati successi. Ancora come Venezia, ha perduto i vantaggi economici che l'avevano sospinta verso il successo. Per Venezia, era stato il quasi-monopolio del commercio con l'Oriente che aveva pagato per la creazione dei suoi bei palazzi e delle sue belle chiese; l'Italia contemporanea, invece, ha beneficiato enormemente di una combinazione di lavoro a basso costo e di trasferimenti di lavoratori da un'agricoltura a bassa produttività (e dal Sud) verso l'industria (per la maggior parte al Nord). Ma tutte le cose buone prima o poi finiscono.

    Ecco cosa accadde alla Serenissima alla fine del 18° secolo. Venezia fu sdegnosamente spazzata via da Napoleone e l'ultimo doge si destituì da solo. La serena repubblica è ora poco più che un'attrazione turistica, per quanto seducente. Potrebbe essere questo il destino dell'Italia intera?

    Traduzione in italiano di Michele Diodati. L'originale inglese è alla pagina http://www.economist.com/surveys/displaystory.cfm?story_id=5164061.

    Argomento: politica | Autore: Michele Diodati | Data di pubblicazione: 28/11/2005 ore 1,14

    Versione per il Web

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  • Il Pesa-Nervi. La ricerca del capro espiatorio (versione per la stampa)

    La ricerca del capro espiatorio

    La traduzione in italiano di «The search for scapegoats», una delle parti dell'inchiesta sull'Italia pubblicata il 26 novembre scorso da «The Economist», con il titolo «Addio, dolce vita».

    I guai dell'economia sono sempre colpa di qualcun altro

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  • Il Pesa-Nervi. La ricerca del capro espiatorio (versione per la stampa)

    Alcuni dei malanni che hanno fatto dell'Italia il nuovo "malato d'Europa" possono essere fuori del suo controllo. Di sicuro all'attuale governo piace far pensare che lo siano. I ministri rilevano che l'intera UE, e specialmente l'eurozona, sta pure dibattendosi in problemi economici, soprattutto dal momento degli attacchi terroristici all'America dell'11 settembre 2001. Il ministro italiano delle finanze di allora, Giulio Tremonti, fu rapido nel dare la colpa ai terroristi per l'indolenza dell'economia italiana.

    Quando è ritornato al suo vecchio incarico due mesi fa, dopo le improvvise dimissioni di Domenico Siniscalco, Tremonti ha trovato presto due nuovi capri espiatori verso cui puntare l'indice accusatore: l'euro e la Cina. L'allusione a un personaggio politico non era per nulla troppo sottile. Era il leader dell'opposizione, Romano Prodi, che come primo ministro nel 1998 aveva portato l'Italia nella valuta unica europea; e che come ex presidente della Commissione europea poteva essere accusato di aver favorito la globalizzazione e di aver aperto il mercato europeo all'importazione di merci cinesi.

    Certamente il contesto macroeconomico degli ultimi anni è stato sfavorevole all'Italia. Una popolazione italiana sempre più anziana e quasi stagnante, ha fatto poco per la domanda interna di beni e servizi. La politica fiscale è stata di necessità obbligata: il governo precedente dovette tagliare bruscamente il deficit di bilancio per qualificarsi per l'euro, e l'attuale ha avuto le mani legate dal patto di stabilità e crescita dell'UE. Nei suoi primi anni la politica valutaria della Banca Centrale Europea [1] è stata, discutibilmente, troppo restrittiva per paesi come l'Italia e la Germania, riflettendo la difficoltà di fissare un unico tasso d'interesse che soddisfacesse 12 economie enormemente diverse.

    Ma la più grande debolezza dell'Italia in questi ultimi anni è stata l'andamento delle sue esportazioni. Il più grande mercato del paese è la Germania, la cui economia nazionale, e quindi l'appetito per le importazioni, recentemente non è stata in buona salute, sebbene le sue esportazioni stiano andando a gonfie vele. L'Italia soffre del problema opposto: il suo consumo interno si mantiene ragionevolmente sostenuto, ma la sua competitività è andata diminuendo, il che ha portato a una caduta nella sua quota di esportazioni nel mondo.

    Qui è dove entra in gioco l'euro, benché non proprio nel modo che a Tremonti e ad alcuni dei suoi colleghi piace argomentare. Molti italiani credono sinceramente che la conversione dalla lira all'euro abbia innescato un'esplosione dell'inflazione, che ha tagliato gli standard di vita ed eroso la competitività. Questi problemi, ritengono, sarebbero stati esacerbati dall'apprezzamento dell'euro sul

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  • Il Pesa-Nervi. La ricerca del capro espiatorio (versione per la stampa)

    dollaro. Persuasi da questo argomento, alcuni nella Lega Nord, in particolare Roberto Maroni, il ministro del welfare, vanno ora dicendo che la lira dovrebbe essere resuscitata. Maroni ha tentato anche di raccogliere firme sufficienti per un referendum [2] sulla questione. Mario Monti, un ex commissario europeo e ora presidente dell'Università Bocconi di Milano, stigmatizza il fatto che la Lega Nord abbia compiuto un totale dietro-front. Nella metà degli anni '90 era così entusiasta della valuta unica che voleva che il nord (la "Padania") aderisse da solo, se il paese nel suo insieme si fosse trovato nell'incapacità di rispettare le condizioni di adesione.

    In realtà l'euro non è stato poi tanto cattivo per Italia come i critici vogliono far credere. L'inflazione, che si è abbassata bruscamente con l'entrata dell'Italia nel regime di tasso di cambio fisso nel 1999, è rimasta bassa; questo è stato davvero uno dei benefici chiave dell'appartenenza all'euro. Il passaggio alle banconote e monete in euro tre anni più tardi ha avuto un effetto trascurabile sul livello generale dei prezzi, secondo l'ufficio statistico italiano generalmente affidabile. Evidentemente il prezzo di alcuni beni e servizi d'ogni giorno è cresciuto irragionevolmente dal momento che alcuni commercianti hanno approfittato della confusione seguita alla conversione. Ristoranti e bar sono stati certamente colpevoli di fare cassa: da qui la diffusa lagnanza che il prezzo di una tazzina di caffè è raddoppiato nottetempo. Il governo avrebbe dovuto fare di più per fermare tale affarismo. Ma simili furbate non sono di sostegno all'argomentazione, che anche ai politici di lungo corso piace esibire, secondo cui molte aziende italiane avrebbero scelto di convertire tutti i loro prezzi cambiando 1000 lire a 1 euro invece che al tasso corretto di 1.936 lire [3] per 1 euro.

    Un modello diverso

    Ciò che è innegabile è che l'euro ha rotto inevitabilmente l'abitudine dell'Italia a frequenti svalutazioni. In effetti, l'adesione alla valuta unica ha costretto l'Italia a cambiare il suo intero modello economico. Invece di contare su alta inflazione, alti deficit di bilancio e svalutazioni della moneta, ha dovuto imparare a vivere con inflazione bassa, deficit di bilancio bassi e una valuta unica europea fissa. Non è sorprendente che un aggiustamento tanto massiccio sia stato doloroso, e resti finora incompleto: in particolare perché l'inflazione dei prezzi e dei salari è tuttora più alta che in altri paesi dell'eurozona [4].

    Questo significa che l'Italia avrebbe dovuto fare una scelta diversa? A Maroni e ai suoi alleati piace additare la Gran Bretagna per dimostrare che un paese può prosperare nell'UE, ma fuori dell'euro. Tuttavia il paragone è fuorviante. La Gran Bretagna non ha seguito un percorso di inflazione alta, di un deficit di bilancio alto e svalutazione frequente stando fuori dell'euro, e neanche sarebbe stato possibile per Italia fare così. Le forti svalutazioni della lira nel 1992, e di nuovo nel 1995-96, determinarono reazioni furiose negli altri paesi europei, specialmente in Francia. E' difficile vedere come il mercato unico europeo sarebbe potuto sopravvivere, se l'Italia avesse perseverato nella sua pratica precedente.

    Il rischio rating

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  • Il Pesa-Nervi. La ricerca del capro espiatorio (versione per la stampa)

    Da La Repubblica, rubrica L'Ottovolante, di giovedì 15 dicembre 2005

    MILANO - Tempesta di fine autunno sul governo. Il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, è tornato a maneggiare lo sciabolone e ha parlato di un paese allo sbando, di un quadro deprimente e di un'Italia da rifare. Esagerazioni polemiche? Forse non tanto, visto che anche l'agenzia di rating Standard & Poor's non è andata molto per il sottile: in Italia non si sono fatte le riforme che andavano fatte e quindi, se le cose non cambiano, il rating relativo all'Italia dovrà essere tagliato. In parole ancora più chiare: o l'Italia taglia le spese e il debito accumulato o Standard & Poor's si troverà costretta a rivedere il rating italiano, peggiorandolo. Il che significa che si dovrà pagare di più per i debiti del paese (che sono un'enormità, come tutti sanno). L'agenzia ha anche lasciato capire che da questo governo non si aspetta più molto.

    Si attende il nuovo governo, e si vedrà che programmi presenterà. Se saranno buoni, bene. In caso contrario, giù un bel taglio al rating, e tanti saluti. L'ufficio studi della Confindustria, intanto, ha confermato una crescita dello 0,2 per cento per il 2005 e una di poco più dell'1 per cento nel 2006.

    Il testo precedente è tratto da La lettera finanziaria, pubblicata sul sito web de L'espresso il 15/12/2005.

    Non piangere per me, Italia [5]

    Più drammaticamente, l'Italia sarebbe potuta arrivare anche al disastro. Perché c'è un altro, più terribile esempio di un paese che ha preferito andare per la sua strada: l'Argentina. Il parallelo è preoccupante non perché l'Argentina è un paese con un forte retaggio italiano, o perché una volta era ricco e poi è divenuto relativamente più povero, ma piuttosto perché adottò una variante estrema del vecchio modello italiano: alta inflazione, alta spesa pubblica, alti deficit di bilancio e svalutazioni frequenti. Tutto questo terminò nel 1991, quando l'Argentina adottò il suo piano di "convertibilità" per agganciare il peso al dollaro, l'equivalente della decisione dell'Italia di aderire all'euro nel 1998. Tuttavia in Argentina, inflazione, spesa pubblica e deficit di bilancio elevati furono persistenti. Il risultato fu una perdita di competitività e una recessione dirompente; e, a gennaio del 2002, la fine improvvisa del piano di convertibilità [6], non appena l'Argentina simultaneamente svalutò e dichiarò la moratoria sul debito, congelando il pagamento degli interessi e sospendendo il rimborso dei capitali in scadenza (il che, incidentalmente, si è dimostrato costoso per i risparmiatori italiani, molti dei quali avevano investito pesantemente nel debito argentino [7]).

    Fu una vicenda fosca, e c'è abbondanza di cupi analisti che predicono un fato simile per l'Italia. Tuttavia l'analogia con l'Argentina sarebbe potuta essere più stretta se l'Italia avesse tuttora mantenuto la lira, e fosse così stata soggetta allo stesso genere di pressione speculativa che alla fine ha spezzato il legame dell'Argentina con il dollaro. Per esempio, un'Italia fuori dell'euro non sarebbe uscita relativamente indenne dalle recenti dimissioni di Siniscalco e dalla collegata controversia sul governatore della Banca d'Italia [8] (vedi approfondimento su Fazio).

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?st=209 (4 of 7)7/14/06 5:17 AM

    http://www.standardandpoors.com/http://finanza.espressonline.it/scripts/cligipsw.dll?app=KWF&tpl=kwfinanza%5Cdettaglio_news.tpl&del=20051215&fonte=LFN&codnews=43524http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202

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    Infatti, è l'appartenenza all'euro che ha reso sopportabile il peso del debito pubblico dell'Italia, tagliandone seccamente i costi di servizio [9]. Siniscalco dichiara che, quando era ministro delle finanze, ogni giorno ringraziava Dio per l'euro, senza il quale il suo lavoro sarebbe stato persino più impossibile di quanto già non fosse. Anche la maggior parte delle aziende italiane sostiene con forza che l'Italia continui a partecipare all'euro.

    Ciò implica, in ogni modo, che per rimanere competitiva senza ricorso alla svalutazione, l'Italia deve introdurre riforme strutturali per migliorare la produttività e frenare i costi, così come mettere in ordine le sue finanze pubbliche. L'euro ha, in effetti, messo in luce le vere debolezze dell'Italia, che sono di natura microeconomica. Esse includono le rigidità nei mercati del prodotto e del lavoro e l'insufficiente concorrenza. Questi problemi strutturali sono in certa misura comuni a tutti i paesi dell'eurozona, ma in Italia sembrano spesso peggiori. Saranno discussi in maggior dettaglio nel prossimo articolo.

    Se nulla fosse fatto, potrebbe l'Italia finire sulla stessa strada dell'Argentina, costretta ad abbandonare l'euro, a svalutare e forse a non pagare più gli interessi sul debito? In un paese che è un membro del ricco club del G7 [10], un simile evento sarebbe un cataclisma, quale può essere perché i mercati finanziari non sembrano aspettarselo. Il differenziale [11] tra il debito pubblico italiano e quello tedesco rimane relativamente piccolo. Ma si è allargato nello scorso anno, e le agenzie di credit rating [12] hanno cominciato a suonare l'allarme sul debito pubblico dell'Italia, il terzo più grande nel mondo. E' molto improbabile che l'Italia abbandoni l'euro, volontariamente o meno. Anche così, il paese dovrebbe fare attenzione agli avvertimenti che stanno cominciando ad arrivargli dai mercati.

    Paradossalmente, anche se l'appartenenza all'euro ha reso più urgente per l'Italia affrontare i suoi difetti strutturali, può anche aver reso più facile evitare di farlo, tagliando i tassi d'interesse e eliminando le crisi del tasso di cambio. Come riporta l'OCSE [13] nel suo più recente rapporto sull'Italia: «E' piuttosto ironico che l'adesione all'UEM [14] (...), in effetti, abbia allentato la percezione del bisogno di aggiustamenti strutturali tanto dal lato dell'offerta che da quello fiscale».

    Qualcosa di simile accadde in Argentina dopo che adottò il suo piano di convertibilità: la gente cominciò a credere che fare lo sforzo di un tasso di cambio permanentemente fisso bastasse, da solo, a sanare i problemi dell'economia. In entrambi i paesi, il nuovo regime del tasso di cambio fisso ha finito per essere considerato il punto finale delle riforme, piuttosto che un preludio a più ampi aggiustamenti strutturali. Il bisogno di questi aggiustamenti in Italia è ora più grande che mai.

    Le precedenti traduzioni:

    ● Addio, Dolce Vita

    ● Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist»

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?st=209 (5 of 7)7/14/06 5:17 AM

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=199http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202

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    Note del traduttore

    [1] La Banca Centrale Europea (BCE) dal 1° gennaio 1999 ha il compito di dare attuazione alla politica monetaria europea, definita dal Sistema europeo di banche centrali (SEBC), di cui é parte integrante pure la Banca d'Italia.

    [2] Della posizione leghista e del referendum sull'euro parla diffusamente l'articolo Il "calderolo" e la contestazione contro Ciampi di Giorgio Maimone e Alfredo Ranavolo, sul sito web de Il Sole24Ore.

    [3] Per l'esattezza, 1 euro vale 1936,27 lire, come ci ricorda un ormai storico articolo di La Repubblica del 31 dicembre 1998.

    [4] Eurozona è una nuova parola composta, come molte altre simili, dal prefissòide euro più la parola zona. Invalsa nell'uso tecnico ed economico dal 1998, con la nascita della nuova moneta unica, designa appunto l'insieme degli Stati che hanno aderito all'euro.

    [5] Chi non ricorda il celebre musical Evita, e l'omonimo film in cui la pop star Madonna veste i panni di Eva Duarte, alias Evita Peron, e canta struggente "don't cry for me Argentina"? In argomento, ma per riflettere sull'implementazione di certe ricette economiche, un articolo di Moni Ovadia, pubblicato dall'Unità, e ora nell'edicola de Il porto ritrovato.

    [6] E' istruttiva la lettura dell'articolo Cette mortelle fascination du dollar dell'economista Michel Husson apparso su Monde Diplomatique nel febbraio 2002 (Quel mortale fascino del dollaro, sul sito de Il Manifesto).

    [7] Si tratta della scottante vicenda dei tango bond, come presto vennero chiamate dalla stampa le obbligazioni pubbliche argentine. Notizie, approfondimenti e una cronologia del default argentino su Miaeconomia.

    [8] Si legga al proposito l'articolo Catullo e l'euro pubblicato sul Pesa-Nervi.

    [9] Il servizio di un prèstito è il pagamento degli interessi e il rimborso delle quote di capitale maturate, come stabilito dal piano di ammortamento del prestito stesso. Il servizio del prestito pubblico figura appunto tra le spese ordinarie più gravose del bilancio dello Stato.

    [10] G7, o Gruppo dei Sette, è il gruppo intergovernativo informale di cui fanno parte Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e USA.

    [11] Si parla qui del differenziale (spread) tra i tassi di interesse, riscontrato sul mercato, dei titoli di

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    http://www.ecb.int/http://europa.eu.int/scadplus/glossary/european_central_bank_it.htmhttp://www.bancaditalia.it/euro_sebc;internal&action=_framecontent.action&Target=_tophttp://barometroeconomia.ilsole24ore.com/BarometroEconomia/Dossier/dossier.jsp?MESE=08&ANNO=2005&ar=Il%20calderolo%20e%20la%20contestazione%20contro%20Ciampihttp://barometroeconomia.ilsole24ore.com/BarometroEconomia/Dossier/dossier.jsp?MESE=08&ANNO=2005&ar=Il%20calderolo%20e%20la%20contestazione%20contro%20Ciampihttp://www.repubblica.it/online/speciale/risultati/risultati/risultati.htmlhttp://www.repubblica.it/online/speciale/risultati/risultati/risultati.htmlhttp://www.accademiadellacrusca.it/parole/parola_singola.php?id=792&ctg_id=58http://it.wikipedia.org/wiki/Evita_%28musical%29http://www.ilportoritrovato.net/html/edicolaovadia5.htmlhttp://www.ilportoritrovato.net/html/edicolaovadia5.htmlhttp://hussonet.free.fr/http://hussonet.free.fr/http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Febbraio-2002/0202lm08.01.htmlhttp://www.miaeconomia.com/retrieval/home/articolo.aspx?idchannel=6&idcategory=465&idarticle=74041http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=91http://www.dt.tesoro.it/Aree-Docum/Relazioni-/G7-e-gli-a/G7/index.htm

  • Il Pesa-Nervi. La ricerca del capro espiatorio (versione per la stampa)

    debito pubblico omologhi emessi dall'Italia e dalla Germania (in particolare lo spread BTP a 10 anni / Bund tedesco decennale). E' una misura relativa del "rischio paese" e un termometro della fiducia del mercato internazionale nell'economia italiana.

    [12] Il credit rating, o più semplicemente rating, è la valutazione del grado di rischio di inadempienza di un determinato debitore - una società, un ente pubblico, o una nazione - espressa spesso da una società specializzata, l'agenzia di rating, attraverso un voto, opportunamente graduato. Il voto assegnato da qualificate agenzie di rating è tenuto ovviamente in grande considerazione dagli investitori ufficiali e dagli stessi debitori. Il declassamento nel rating ha, infatti, un effetto diretto sul valore dei titoli di debito emessi dal debitore; nel caso di obbligazioni negoziate, il mercato può deprezzarle fino al limite di considerarle letteralmente "spazzatura" (junk bonds). Ciò perché la stima di un maggior rischio di insolvenza tende a peggiorare la posizione del debitore; infatti, questi per finanziarsi dovrà sopportare un inevitabile aumento degli interessi debitori, con le conseguenze della crescita del volume del suo indebitamento e quindi dell'ulteriore diminuzione della sua solvibilità. Da ciò si capisce come chi si occupa di rating abbia alla fine un potere immenso, ma pure possa subire pressioni altrettanto grandi.

    [13] OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (in inglese, OECD, Organisation for Economic Cooperation and Development). Sul suo sito web si trovano le pagine e i documenti dedicati all'Italia, tra cui l'importante Rapporto Economico 2005. L'Italia mantiene presso l'OCSE, a Parigi, una rappresentanza permanente, il cui sito web offre interessante documentazione in italiano.

    [14] UEM, Unione Economica e Monetaria. Il termine fu introdotto dal Trattato sull'Unione Europea, firmato a Maastricht nel febbraio 1992, intendendo con esso il progressivo trasferimento a livello comunitario di poteri decisionali in materia di politica economica, culminante con l'adozione della moneta unica.

    Argomento: economia | Autore: Vittorio Bica | Data di pubblicazione: 19/12/2005 ore 17,52

    Versione per il Web

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    http://www.oecd.org/http://www.oecd.org/country/0,3021,en_33873108_33873516_1_1_1_1_1,00.htmlhttp://www.oecd.org/country/0,3021,en_33873108_33873516_1_1_1_1_1,00.htmlhttp://www.oecd.org/document/61/0,2340,en_33873108_33873516_34752381_1_1_1_1,00.htmlhttp://sedi.esteri.it/rappocse/http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/l25007.htmhttp://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=209

  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    Strutturalmente malata

    La traduzione della parte intitolata «Structurally unsound», alle pagine 6-12 dell'inchiesta sull'Italia («Addio, dolce vita»), pubblicata su «The Economist» del 26/11/2005.

    Così facile indicare ciò che è sbagliato, così difficile correggerlo

    Negli ultimi dieci o venti anni, le debolezze strutturali dell'economia italiana sono divenute brutalmente evidenti. Ciò che rende particolarmente difficile fronteggiarle è che per anni molte di esse non sono state considerate punti di debolezza, ma di forza. Alla richiesta di spiegare quello che non va in Italia, Francesca Bettio [1], un'economista dell'Università di Siena, dà una risposta immediata: la famiglia. È responsabile del fatto che la maggior parte delle imprese italiane è piccola e posseduta privatamente; ha contribuito a un basso tasso di partecipazione femminile alla forza di lavoro; ed è almeno in parte da rimproverare per la bassa mobilità lavorativa e sociale.

    Tuttavia per molti anni, dopo la seconda guerra mondiale, la famiglia fu considerata una risorsa, non uno svantaggio, nel mondo degli affari italiani. Questo può essere visto più chiaramente nella proliferazione di piccole imprese (spesso familiari) nell'Italia settentrionale, molte delle quali raggruppate in distretti [2]: prodotti di lana a Biella, manufatti tessili di cotone a Varese, scarpe ad Ascoli Piceno, maglieria a Carpi, abbigliamento femminile attorno a Treviso (casa di Benetton, fra gli altri), e così via. Una volta questi distretti figuravano negli studi delle scuole aziendali come una fonte chiave della forza economica dell'Italia, specialmente nel nord, ora una delle regioni più ricche d'Europa.

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    So easy to pinpoint what is wrong, so hard to put it right

  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    L'Italia nel suo insieme, infatti, divenne un caso esemplare di "piccolo è bello". Circa due terzi dei lavoratori manifatturieri sono in imprese con meno di 100 dipendenti, comparato con il 37% in America e il 31% in Germania. L'Italia ha più piccole e medie imprese che qualsiasi altro paese in Europa: qualcosa come 4,5 milioni, o approssimativamente un quarto del totale nell'UE a 15 (si veda la tabella qui a lato).

    Il rovescio dell'avere molte piccole imprese, comunque, è averne poche grandi. Come membro del G7, l'Italia ha davvero poche grandi società: per molti anni l'elenco andò a malapena oltre la FIAT, che una volta contava per quasi il 5% del PIL italiano. Una delle ragioni è il grosso peso dello Stato, che possedeva la maggior parte delle grandi banche, delle società di pubblica utilità e anche molte imprese industriali. L'IRI [3], la gigantesca società a partecipazione statale originariamente creata da Mussolini, fu gestita in passato nientemeno che da Romano Prodi. Ancora oggi, molte delle grandi imprese in Italia sono società di pubblica utilità e banche che prima erano possedute dallo Stato. Negli ultimi vent'anni, mentre le straordinarie piccole imprese d'Italia raccoglievano tante lodi, il paese ha perso molta della sua presenza in settori industriali come la chimica, la farmaceutica, i computer e le lavorazioni alimentari.

    Quando più grande è meglio

    Che c'è di sbagliato nell'avere molte piccole imprese? Ci sono due risposte. Una è che la globalizzazione e la concorrenza dell'Asia (specialmente la Cina) hanno premiato le dimensioni [4]. Negli anni '60 e '70 era sufficiente approvigionare il mercato interno, o al massimo tendere il braccio

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  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    a dei vicini come la Francia e la Germania, e contare sulla propria banca locale per finanziarsi. Ora, per avere successo, una società come Benetton è dovuta crescere al punto da approvvigionare il mercato mondiale e da ottenere i suoi prodotti ben lontano dall'Italia; non solo è quotata alla borsa di Milano, ma anche a quella di New York.

    Il mercato finanziario italiano è piccolo se comparato alla dimensione dell'economia, con meno di 300 società quotate. L'amministratore delegato di Borsa Italiana [5], Massimo Capuano, ha grandi ambizioni su come rendere il mercato più attraente, non da ultimo attraverso un secondo mercato speciale per le piccole imprese. Ma molti proprietari di tali imprese non sono disposti a rinunciare al controllo e non gradiscono neppure di fare assegnamento su finanziamenti esterni. Inoltre, ripristinare la fiducia del pubblico in un mercato che è stato colpito duramente a dicembre del 2003 - quando Parmalat, uno dei più grandi gruppi alimentari d'Italia, andò in bancarotta [6] - si sta dimostrando difficoltoso. Parmalat aveva asserito di avere grandi fondi di cassa che si sono rivelati inesistenti. La legge per migliorare la corporate governance [7], resa urgente dallo scandalo, è ferma in questo momento in Parlamento.

    L'altro problema delle piccole imprese italiane è che ve ne sono troppe nei settori produttivi sbagliati, e hanno fatto affidamento per troppo tempo sul basso costo del lavoro per essere concorrenziali. Le imprese tessili del Nord, che hanno passato la maggior parte dell'anno scorso a piagnucolare per avere protezione, sono esempi classici. Hanno avuto dieci anni per prepararsi alla cessazione dell'Accordo sui prodotti tessili e dell'abbigliamento dell'Organizzazione Mondiale del Commercio [8], che limitava l'importazione di merci dai paesi in via di sviluppo. Tuttavia quando l'accordo è scaduto all'inizio di quest'anno, molte imprese sono corse a Bruxelles per richiedere limitazioni "volontarie" sulle esportazioni cinesi [9]. Altri si sono associati al coro che attacca l'appartenenza dell'Italia all'euro. Pochissimi sono sembrati disposti ad accettare qualche rimprovero, per non riuscire a costituire nuove nicchie basate sul buon design, la politica commerciale o l'uso della tecnologia, piuttosto che sul lavoro a basso costo.

    Tuttavia vi sono molti esempi di imprese italiane di successo, anche piccole, che hanno fatto proprio tali aggiustamenti. Quindici anni fa Benetton [10] produceva pressoché il 90% dei suoi vestiti in Italia; ora la quota è scesa a meno del 30%. Geox [11], un calzaturiere innovativo e di successo, produce all'estero la maggior parte della sua merce, come fa Luxottica [12], il principale produttore mondiale di occhiali da sole. Nel settore dei grandi elettrodomestici, la Merloni (ora Indesit [13]), che fu fondata 30 anni fa, è divenuta il terzo maggior fornitore europeo di frigoriferi, cucine e lavatrici. Il suo fondatore, Vittorio Merloni, che ne è ancora il presidente, nota che quasi la metà dei prodotti della società è fatta all'estero, inclusa la Cina, che per primo visitò nel lontano 1975. La Cina è anche, si lamenta, una fonte di merci contraffatte, complete dell'etichetta "Made in Italy" e perfino della garanzia della lavatrice.

    Un altro esempio di successo è Cerutti [14], un costruttore di macchine tipografiche sofisticate con sede a Casale Monferrato, vicino Torino. Il suo presidente, Giancarlo Cerutti, ricorda che quando suo

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  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    padre fondò l'impresa, dopo la seconda guerra mondiale, aveva sette concorrenti. Ora c'è soltanto un altro produttore di grandi macchine tipografiche, e Cerutti possiede quasi il 60% del mercato mondiale. Approvvigiona molti dei giornali e dei periodici in Europa, così come parecchi in America. Recentemente ha acquistato un impianto di produzione in Cina. Ha anche un centro tecnico in India, dove impiega alcuni dei migliori ingegneri di quel paese.

    L'Olivetti [15], fiore all'occhiello dell'industria italiana dei computer, affondò alla metà degli anni '90, ma esistono alcune storie di successo che riguardano l'Italia anche nel settore delle tecnologie informatiche; e non soltanto nel Nord. Vicino Catania, in Sicilia, ST Microelectronics [16], un produttore di semiconduttori, è parte di un vitale distretto dell'alta tecnologia [17]. ST fu fondata negli anni '60, ma era sull'orlo della bancarotta quando Pasquale Pistorio [18], ora presidente onorario, la salvò all'inizio degli anni '80. Non solo Pistorio rimise in sesto la società, ma la fece crescere aprendo impianti di produzione vicino Napoli e Bari. Egli non ha altro che lodi per la competenza e l'alta qualità dei laureati in ingegneria italiani.

    Tuttavia anche Pistorio ammette che l'Italia ha molti problemi. Nota che le esportazioni ad alta tecnologia ammontano soltanto al 12% del totale, la metà della media europea. L'Italia spende solamente l' 1,1% del suo PIL per ricerca e sviluppo, a paragone di una media UE di circa il 2% e al 3,2% del Giappone. La burocrazia e il sistema giudiziario sono lenti, la liberalizzazione è incompleta, le infrastrutture sono insoddisfacenti e il "cuneo" fiscale [19], che fa schizzare verso l'alto il costo del lavoro, è uno dei più grandi d'Europa. Pistorio ritiene che il governo Berlusconi abbia mancato di creare le giuste condizioni per attirare investimenti, o da fonti nazionali o dall'estero, e non abbia fatto abbastanza per incoraggiare l'innovazione.

    Il tema è ripreso vigorosamente da Luca Cordero di Montezemolo, presidente di FIAT [20] e di Confindustria, l'associazione italiana degli industriali. Montezemolo sa tutto di risanamenti aziendali: salvò la Ferrari e ha aiutato ad allontanare Fiat Auto dall'orlo del bàratro. Tuttavia il recupero di Fiat deve molto all'ingegneria finanziaria, non a quella meccanica. Fiat ha ricavato liquidità da GM [21], a cui ha permesso di rinunciare a un'opzione d'acquisto sull'intera società, che la compagnia automobilistica americana aveva incautamente acquistato; ha insistito poi sulle banche finanziatrici, affinché convertissero alcuni dei loro prestiti in azioni. Se la Fiat avrà un futuro a lungo termine, dipenderà dai suoi nuovi modelli, in particolare dalla nuova Fiat Punto.

    Seduto nel suo ufficio sopra la luccicante linea di produzione della Ferrari a Maranello, a sud di Modena, Montezemolo dice che l'Italia pagherà un prezzo alto se non riuscirà a introdurre riforme strutturali. In cima alla sua lista c'è più concorrenza, che fra le altre cose comporterà più privatizzazione. Altre riforme che egli considera prioritarie sono cambiamenti nel settore dell'istruzione, incluse le università; le infrastrutture, in tutto il paese; l'amministrazione pubblica, incluso il sistema giudiziario tortuoso e lento, che considera un grande deterrente per gli investitori stranieri; e, facendo eco a Pistorio, più innovazione e investimenti in R&D [22].

    Montezemolo chiarisce che il mondo degli affari italiano è profondamente deluso dal governo di

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    centro-destra di Silvio Berlusconi che tanto aveva promesso quando s'insediò nel 2001. A quel tempo Berlusconi disse a Confindustria «il vostro programma è il mio programma», ma non ha mantenuto le promesse. In ogni modo, Montezemolo non limita la sua critica a Berlusconi: attacca tutti i politici che hanno gestito il paese negli ultimi vent'anni, perché non sono riusciti a prendere decisioni difficili. E non accetta che governi riformisti possano perdere sempre le elezioni, citando controesempi come la Gran Bretagna.

    Sarebbe sbagliato affermare che il governo Berlusconi non ha fatto niente nella direzione delle riforme. In due aree, pensioni e mercato del lavoro, è stato piuttosto coraggioso, anche se ha costruito su cambiamenti cominciati da governi precedenti. Data la sua prospettiva demografica, l'Italia ha bisogno di fare ancora di più per ridurre il suo formidabile carico pensionistico; e il governo ha rimandato timidamente l'inizio di alcune delle sue riforme più dolorose al 2008. Ma elevando l'età di pensionamento, tagliando i rendimenti delle pensioni e incoraggiando fondi pensione privati, ha fatto più degli altri paesi dell'UE per affrontare questo problema che si profila minaccioso.

    Le riforme del mercato del lavoro sono state anche più cospicue. La legge Biagi, dal nome di Marco Biagi [23], un consulente del mercato del lavoro che fu assassinato per i suoi sforzi, ha esentato molti nuovi lavori da regole che costringevano la maggior parte del lavoro a essere a tempo pieno e permanente. Ciò ha portato a una rapida espansione dei posti di lavoro temporanei e a orario ridotto. La privatizzazione del collocamento e le modifiche ai contratti di apprendistato immetteranno anche più flessibilità nel mercato italiano del lavoro, promette il sottosegretario Maurizio Sacconi.

    Sacconi rivendica che, negli ultimi cinque anni, l'Italia ha creato 1,2 milioni di nuovi posti di lavoro, 700.000 dei quali per le donne, un dato migliore che in qualsiasi altro paese in Europa (compresa la Gran Bretagna). Tuttavia, sebbene la disoccupazione totale in Italia, ora appena sotto l'8%, sia relativamente bassa per gli standard europei, Sacconi ammette che rimane alta fra i giovani (circa il 23%), gli anziani e nel sud.

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    Inoltre, il forte dato occupazionale italiano ha un lato negativo: crescita zero o anche negativa della produttività (si veda il grafico a lato), giacché sono stati inseriti nella forza lavoro i lavoratori più marginali e meno produttivi. È la combinazione tra scarsa crescita della produttività e aumento dei salari, che ha determinato in Italia un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto [24] tanto più rapido che negli altri paesi membri dell'euro nei sette anni da che è nata la moneta unica.

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    Tanto da fare

    Siniscalco, che ha lasciato l'incarico di ministro delle finanze a fine settembre, loda le riforme delle pensioni e del mercato del lavoro fatte dal governo, ma ammette che troppo poco è stato fatto per aumentare la concorrenza, liberalizzare settori protetti dell'economia o privatizzare (effettivamente, il precedente governo di centro-sinistra ha venduto più beni di quanto abbia fatto il governo Berlusconi). Come per l'agenda di Lisbona dell'UE sulle riforme economiche, l'Italia è risultata costantemente al fondo della graduatoria del Centre for European Reform con sede a Londra [25]; benché abbia l'occasione di cambiare, ora che un ministro per le politiche comunitarie di inclinazione liberale, Giorgio La Malfa, è responsabile del piano dell'Italia per la strategia di Lisbona [26].

    Sono una moltitudine in Italia gli ostacoli a una maggiore concorrenza. L'OCSE reputa che l'Italia soffra della regolamentazione del mercato dei prodotti più gravosa d'Europa. I mercati dell'energia hanno bisogno di molta più liberalizzazione per raggiungere i mercati europei più aperti; i prezzi dell'energia italiani sono corrispondentemente alti. Il governo rimane il maggiore azionista singolo di ENI [27], la grande compagnia petrolifera, e di Enel [28], la principale società elettrica. Detiene ancora una golden share [29] in Telecom Italia, anche se ha concluso almeno la vendita della sua residua partecipazione nella società. L'applicazione dell'antitrust [30] è in generale difettosa.

    In Italia una corporate governance opaca ha rappresentato anche un deterrente per gli investimenti e forse anche per la creazione di società di successo. Per anni aziende anche piuttosto grandi sono state controllate da piccoli gruppi di azionisti, spesso attraverso una cascata di diverse holding [31]. Mediobanca [32], una riservata banca d'affari con sede a Milano, ha tirato molte fila da lontano. Gli azionisti di minoranza di solito sono stati ignorati. Più recentemente, l'incerta economia italiana ha palesato una serie di scandali societari che hanno indebolito la fiducia degli investitori.

    Il credito, un'area cruciale per la competitività di un'economia, è un'altra grande debolezza italiana. Le banche sono molto cambiate negli ultimi quindici anni: un'industria, che era per la maggior parte statale ed estremamente frammentata, ora è al 90% privata, e la Banca d'Italia ha sostenuto un fiume di fusioni nazionali. Poche banche sono emerse come numeri uno: Banca Intesa, Unicredit (che quest'anno ha preso il controllo della tedesca HVB), Sanpaolo IMI e Capitalia. Tuttavia la Banca d'Italia ha tentato di tenere fuori gli investitori stranieri, cosa che può aiutare a spiegare perché i costi bancari (e i profitti) sono fra i più alti d'Europa. Il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, e la sua istituzione non hanno migliorato la situazione tentando di prevenire l'acquisizione di una banca italiana da parte di una banca straniera.

    L'attività bancaria non è la sola a beneficiare della protezione da parte del suo regolatore. Non c'è abbastanza concorrenza nei servizi in generale, che è un problema perché la quota di servizi nell'economia italiana, come altrove, sta salendo (ora si stima pari a due terzi del PIL). Piccole botteghe, ditte di tassì, farmacie, notai, commercianti: nella terra che inventò le gilde [33] nel Medio

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  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    Evo, la maggior parte è tuttora protetta dalla concorrenza per mezzo di regole particolari, spesso amministrate da autorità locali. Per esempio, Vito Tanzi, ex direttore italiano presso il FMI [34] a Washington, DC [35], racconta la storia di un uomo che voleva aprire una pescheria in una cittadina della Puglia, ma non fu preso in considerazione dal consiglio comunale con il pretesto che ce n'era già una.

    Il turismo è un'altra area che trarrebbe profitto tanto da maggiori investimenti quanto da più concorrenza. Per un paese che ha così tanto da offrire quanto a cultura, natura, clima e cucina, l'industria turistica italiana è sorprendentemente sottosviluppata; e le tariffe degli alberghi e dei ristoranti sembrano esageratamente alte. Nel 1970 l'Italia era la prima destinazione turistica nel mondo. Oggi è la quinta, dopo Francia, Spagna, America e Cina.

    Le precedenti traduzioni:

    ● Addio, Dolce Vita

    ● Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist»

    ● La ricerca del capro espiatorio

    Un problema generale è che l'intera nozione di servizio è piuttosto sottovalutata. l'Italia, infatti, sembra spesso soffrire di una pervasiva cultura anti-affari, anti-cliente. Gli italiani possono essere intraprendenti e creativi, ma sicuramente non sono favorevoli al mercato. Nessuno dei due partiti politici principali del dopoguerra, i Democristiani e i Comunisti, potrebbe essere descritto come liberale in economia. Né lo è la Chiesa cattolica, ancora influentissima nel paese, che ha sempre fatto mostra di disdegnare il profitto. In ogni caso, molti uomini d'affari in Italia riescono meglio nello sfruttare contatti e nel cercare favori dallo Stato piuttosto che nello sviluppare società o nel tentare di servire meglio i clienti. L'esempio principale è proprio Berlusconi, il cui successo negli affari si è basato largamente sull'aiuto e la protezione di certi politici italiani.

    Questa preferenza culturale per la ricerca del favore e per la creazione di monopoli protetti dalla concorrenza del libero mercato, potrebbe impiegare molto tempo per cambiare. Si trova riflessa, naturalmente, anche nella politica italiana. Perché i politici italiani, di entrambi gli schieramenti, sono stati così lenti nell'abbracciare le riforme, e quali sono le prospettive di cambiamento?

    Note del traduttore:

    [1] Francesca Bettio è professoressa ordinaria presso il dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Siena.

    [2] Si visiti il sito web Distretti Italiani, il portale sui distretti industriali italiani.

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    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=199http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=209http://www.econ-pol.unisi.it/docenti/bettio.htmlhttp://www.clubdistretti.it/

  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    [3] IRI, Istituto di Ricostruzione Industriale. Si legga la breve scheda che ne ricapitola la storia, publicata sul sito del Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Venezia.

    [4] Si legga al proposito pure l'articolo Why Italy lost the Bra Wars (Perché l'Italia ha perso la guerra dei reggiseni), di Peter Popham, The Independent, 6 dicembre 2005.

    [5] Borsa Italiana S.p.A.

    [6] La crisi del Gruppo Parmalat, negli articoli di Miaeconomia e il memorabile articolo di Beppe Grillo pubblicato sull'Internazionale.

    [7] Corporate governance è traducibile letteralmente come "governo societario", ma non esiste una definizione univoca dell'espressione inglese, che è usata tal quale nel linguaggio giuridico ed economico-finanziario con un significato che va ben al di là di quello letterale. Nella più ampia accezione, si può dire che si riferisce all'insieme delle istituzioni e delle regole, giuridiche e tecniche, che sovrintendono al governo di un qualunque organismo, privato o pubblico, affinché sia efficace, efficiente e corretto, ai fini della tutela di tutti i soggetti che vi sono interessati.

    [8] OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO, World Trade Organization). Sul sito web si trovano le pagine di riferimento circa l'Agreement on Textiles and Clothing. Si visiti anche il sito web dell'Osservatorio sull'economia globale e sul commercio internazionale.

    [9] Sul sito web dell'europarlamento si legga: Il Parlamento Europeo propone di reagire alla sfida cinese.

    [10] Gruppo Benetton.

    [11] Geox.

    [12] Luxottica. The Economist ha successivamente corretto il dato, precisando che Luxottica produce l'85% dei suoi occhiali in Italia.

    [13] Indesit.

    [14] Gruppo Cerutti.

    [15] La storia dell'Olivetti, dalla sua nascita nel 1908 fino alla crisi industriale e la fusione con Telecom Italia nel 2003.

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?st=212 (9 of 11)7/14/06 5:15 AM

    http://www.dse.unive.it/storia/sem07.htmhttp://www.looksmartjapanesefood.com/p/articles/mi_qn4158/is_20051206/ai_n15901734http://www.borsaitalia.it/chisiamo/lasocieta/chieborsaitaliana/chisiamo.htmhttp://www.miaeconomia.com/imprese/crisiparmalat/11/433/guida.htmlhttp://www.internazionale.it/beppegrillo/articolo.php?id=7483http://www.wto.org/http://www.wto.org/english/tratop_e/texti_e/texti_e.htmhttp://tradewatch.it/osservatorio/http://www.europarl.eu.int/news/public/story_page/030-987-255-9-37-903-20050819STO00986-2005-12-09-2005/default_it.htmhttp://www.europarl.eu.int/news/public/story_page/030-987-255-9-37-903-20050819STO00986-2005-12-09-2005/default_it.htmhttp://www.benettongroup.com/it/home.htmhttp://www.geox.it/http://www.luxottica.com/index_italiano.htmlhttp://www.economist.com/World/europe/displayStory.cfm?story_id=5280860http://www.indesitcompany.com/pages/it/http://www.cerutti.it/http://www.storiaolivetti.telecomitalia.it/cgi-bin/societa/storia.asp

  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    [16] STMicroelectronics, è uno tra i più grandi produttori di semiconduttori. Il gruppo ST nacque nel 1987 per fusione tra l'italiana SGS Microelettronica e la francese THOMSON Semiconducteurs. Nel 1998 la società cambiò nome da SGS-THOMSON Microelectronics a STMicroelectronics.

    [17] Scheda sintetica del distretto tecnologico di Catania, sul sito web dell'Ossevatorio Nazionale sui distretti tecnologici.

    [18] Per capire il successo di Pistorio si legga l'articolo La qualità: ovvero «A fish rottens from its head» di Mario Pagliaro, ricercatore del CNR. In sintesi: «se un'organizzazione non funziona la causa sta sempre nella incapacità e nell'inettitudine dei suoi capi».

    [19] Il cuneo fiscale (in inglese tax wedge) «è un indicatore dell'incidenza dell'imposizione, fiscale e contributiva, sul fattore lavoro ed è definito come un rapporto al cui numeratore figura la differenza fra il costo del lavoro per l'impresa (retribuzione lorda e oneri sociali a carico del datore di lavoro) e la retribuzione netta per il lavoratore (al netto delle imposte e comprensiva dei trasferimenti da parte dello Stato - in inglese take home pay) e al denominatore il costo del lavoro per l'impresa (retribuzione lorda e oneri sociali a carico del datore di lavoro)». Fonte: INPDAP.

    [20] FIAT, Fabbrica Italiana Automobili Torino.

    [21] GM, General Motors.

    [22] R&D, sigla che sta per research and development, cioè "ricerca e sviluppo".

    [23] A Marco Biagi è stata intitolata la Facoltà di Economia presso l'università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e una fondazione, sul cui sito web si possono leggere molti degli articoli scritti dal giuslavorista.

    [24] Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), in inglese unit labour costs, ULCs, «è dato dal rapporto fra il costo del lavoro e il prodotto per unità di lavoro. Esso fornisce una misura della competitività del settore produttivo o del paese al quale si riferisce». Fonte: INPDAP. Si suggerisce di leggere i seguenti documenti sul web: - Il "clup" e la vera compettività del paese, Confindustria - Il manifatturiero di Fazio di Francesco Daveri, lavoce.info - Salari e crack competitivo di Massimo Riva, L'Espresso.

    [25] Il CER, Centre for European Reform, di Londra è un think tank che si propone di innalzare la qualità del dibattito sul futuro dell'Unione europea, alla luce del motto "europeista, ma non acritico" (pro-European but not uncritical). E' diretto da Charles Grant, ex giornalista di The Economist esperto in questioni europee e di difesa militare.

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?st=212 (10 of 11)7/14/06 5:15 AM

    http://www.st.com/stonline/it/index.htmhttp://www.distretti-tecnologici.it/distretti/Catania.htmhttp://www.qualitas1998.net/qualityreport/20031201.htmhttp://www.qualitas1998.net/qualityreport/20031201.htmhttp://www.inpdap.gov.it/webnet/Sito/Comunicazione/Pubblicazioni_Riviste/RapportoAnnuale/file/glossario.pdfhttp://www.fiatgroup.com/home.php?lang=ithttp://www.gm.com/company/investor_information/http://www.csmb.unimo.it/http://www.inpdap.gov.it/webnet/Sito/Comunicazione/Pubblicazioni_Riviste/RapportoAnnuale/file/glossario.pdfhttp://www.confindustria.it/AreeAtt/DocUfPub.nsf/0/4B9B797603B6B08CC1256ACB00500149?openDocument&MenuID=A6AD7AB9EF265258C1256EFB00358600http://www.lavoce.info/news/view.php?cms_pk=1569http://www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=o&m2s=null&idCategory=4789&idContent=262973http://www.cer.org.uk/

  • Il Pesa-Nervi. Strutturalmente malata (versione per la stampa)

    [26] «Riuniti nel marzo del 2000 a Lisbona, i capi di Stato e di governo dell'Unione europea avevano lanciato l'obiettivo di fare dell'Europa "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo" entro il 2010. Da allora, le diverse misure da mettere in atto per raggiungere questo obiettivo hanno preso il nome di "strategia di Lisbona"».

    [27] ENI, Ente Nazionale Idrocarburi.

    [28] Enel, Ente Nazionale per l'Energia Elettrica.

    [29] Golden share, traducibile letteralmente come "azione d'oro", è un titolo che, nella privatizzazione di imprese e partecipate pubbliche, assegna allo Stato o a un suo rappresentante maggiori diritti rispetto a un normale azionista privato, a tutela degli interessi pubblici.

    [30] Antitrust, organismi e regole che tutelano la libera concorrenza.

    [31] Holding, (significa letteralmente "possesso"), nel linguaggio tecnico-finanziario indica la società finanziaria di partecipazione azionaria in altre imprese, in misura tale da poterne controllare l'attività.

    [32] Mediobanca. L'istituto di credito industriale nacque nel 1946 dalla partecipazione di Comit, Credit e Banco di Roma, tre banche controllate dall'IRI. Gli è rimasto l'alone di riservatezza che ha sempre circondato il suo primo amministratore delegato e poi presidente onorario, Enrico Cuccia: «Questo nostro modo di lavorare ci procura molte antipatie, ma un lavoro di questo genere non può essere condotto a buon fine se si è frastornati dalle chiacchiere dei giornali, dalle interrogazioni parlamentari e dai sindacati» (da una lettera a Romano Prodi del 1993).

    [33] Il riferimento dovrebbe essere più propriamente alle corporazioni italiane di arti e mestieri, sul cui modello allora sorsero nell'Europa medievale le gilde, o ghilde, confraternite che riunivano all'interno della città gli artigiani e i mercanti di una stessa categoria.

    [34] Presso il FMI, Fondo Monetario Internazionale (IMF, International Monetary Fund), Vito Tanzi fu, per l'esattezza, capo della Divisione di Politica Fiscale dal 1974 al 1981 e successivamente direttore del Dipartimento di Finanza Pubblica fino al 2000. Nel governo Berlusconi bis è stato sottosegretario al Ministero dell'Economia e delle Finanze, fino a giugno del 2003.

    [35] DC, District of Columbia, distretto di Columbia.

    Argomento: economia | Autore: Vittorio Bica | Data di pubblicazione: 23/12/2005 ore 20,54

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    http://www.politichecomunitarie.it/DefaultDesktop.aspx?page=138http://www.eni.it/http://www.enel.it/http://www.filodiritto.com/diritto/comunitario/newslettercomunitario7.htm#3http://www.mediobanca.it/187_IT.htmhttp://www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo/biografie%20antifascisti61.htmlhttp://www.stampa.unibocconi.it/articolo.php?ida=748&idr=6http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_ant/g/g038.htmhttp://www.imf.org/http://www.governo.it/Governo/Biografie/sottosegretari/tanzi_vito.htmlhttp://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=212

  • Il Pesa-Nervi. Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist» (versione per la stampa)

    Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist»

    La traduzione di due brani tratti dalla recente inchiesta sull'Italia pubblicata dall'autorevole rivista britannica.

    "Secure in his job" recita la didascalia della foto di Fazio sulla pagina di The economist ("Saldo al suo posto", potremmo tradurre in italiano)

    La follia di Fazio

    Un banchiere centrale troppo indipendente

    (Tratto da The Economist, A survey of Italy, pagina 9. Traduzione in italiano di Michele Diodati)

    Era un vero articolo di fede per gli osservatori di cose italiane che, per quanto potessero essere

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  • Il Pesa-Nervi. Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist» (versione per la stampa)

    incapaci le altre istituzioni del paese, sulla Banca d'Italia si potesse fare pieno affidamento. Negli anni '90 dalle sue file uscirono persino due primi ministri, Carlo Azeglio Ciampi (attuale presidente della Repubblica) e Lamberto Dini. Ma la credibilità della banca centrale è stata letteralmente distrutta dall'intransigente comportamento di colui che è il suo governatore fin dal 1993, Antonio Fazio.

    Mr.Fazio si è opposto a lungo all'acquisizione di banche italiane da parte di stranieri. Ciò nonostante, all'inizio di quest'anno, una banca spagnola, BBVA, ed una banca olandese, ABN Amro, lanciarono offerte pubbliche di acquisto per due banche italiane. Fazio incoraggiò alcune offerte pubbliche d'acquisto nazionali concorrenti per le due banche inseguite dagli stranieri, inducendo la Commissione Europea a chiedere spiegazioni sul perché l'Italia stesse discriminando altri paesi dell'UE. Le banche centrali in altre nazioni europee possono avere i loro metodi per scoraggiare gli acquirenti stranieri, ma nulla di paragonabile all'esplicito comportamento di Fazio.

    Si dà il caso che Fazio abbia perseguito delle politiche perfettamente ragionevoli, promuovendo la privatizzazione e le fusioni tra banche italiane. Tuttavia la sua reazione all'offerta pubblica di acquisto fatta da ABN Amro per la Banca Antonveneta è stata strampalata. Ha ignorato l'opinione dei suoi consiglieri, fornendo il proprio appoggio alla concorrente offerta pubblica di acquisto di Banca Popolare Italiana, un istituto non affidabile, guidato da un suo intimo amico, Gianpiero Fiorani. Alcune intercettazioni telefoniche lasciate trapelare dai pubblici ministeri avevano registrato Fazio che telefonava a Fiorani dopo la mezzanotte, per avvertirlo che aveva appena approvato l'offerta pubblica d'acquisto. Ma quando divenne chiaro quanto fossero traballanti le finanze di BPI, la sua OPA fu annullata e ABN Amro ebbe partita vinta.

    Per Fazio i problemi erano appena cominciati. Il suo intervento fu attaccato da tutte le parti. I suoi amici furono rapidi a denunciare una cospirazione anticattolica, massonica o addirittura giudaica ai suoi danni (Fazio è un fervente cattolico, che va a messa tutti i giorni). Membri del governo esasperati, tra i quali il ministro delle finanze Domenico Siniscalco, chiedevano le sue dimissioni. Quando Siniscalco si rese conto di non avere il sostegno dell'esecutivo, fu lui a dimettersi (benché non solo a causa della vicenda Fazio: giocarono un ruolo anche i problemi di bilancio relativi al 2006). In seguito alla rinuncia di Siniscalco, anche il capo del governo, Silvio Berlusconi, invitò Fazio ad andar via, lasciando intendere che toccava alla Banca Centrale Europea sbarazzarsi di lui.

    Il guaio è che, verso la metà degli anni '90, il governo italiano, ansioso di entrare a far parte dell'euro, rese la sua banca centrale la più indipendente d'Europa. La carica di Fazio è a vita. Egli ritiene di non aver fatto nulla di sbagliato ed è riluttante a sacrificare il suo posto di banchiere centrale meglio pagato d'Europa. Può essere rimosso solo dal Consiglio direttivo della Banca d'Italia, che è tecnicamente un'istituzione privata, i cui membri sono stati scelti per la maggior parte da lui stesso.

    Il governo ha steso un nuovo disegno di legge per rinazionalizzare la Banca e rendere il suo governatore soggetto a un limite temporale, ma giace in Parlamento. Un Fazio sprezzante ha dimostrato di avere santi in paradiso, non solo in Vaticano, ma anche presso la Lega Nord e Alleanza

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  • Il Pesa-Nervi. Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist» (versione per la stampa)

    Nazionale, e persino presso alcuni partiti dell'opposizione. E' probabile che, a dispetto delle pressioni ricevute, egli rimanga al suo posto fino alle prossime elezioni e, perché no?, anche dopo. Dopo tutto, a 69 anni, è di due settimane più giovane di Berlusconi. Perché mai dovrebbe farsi da parte prima del Cavaliere?

    Lo strano caso di Silvio Berlusconi

    Un primo ministro dalle nove vite legali

    (Tratto da The Economist, A survey of Italy, pagina 14. Traduzione in italiano di Michele Diodati)

    Articoli precedenti:

    ● Addio, Dolce Vita

    Silvio Berlusconi fa notare con orgoglio che, in tutti i processi che gli sono stati intentati nel corso degli anni, non è mai stato condannato neppure una volta. Egli sembra vedere in ciò la prova evidente del fatto che i magistrati coinvolti devono essere prevenuti nei suoi confronti, membri della sinistra o addirittura di una cospirazione comunista. Tuttavia il quadro non è proprio così semplice come lui lo dipinge.

    Negli ultimi anni The economist ha studiato approfonditamente il registro delle imputazioni contro Mr.Berlusconi. Abbiamo pubblicato le nostre conclusioni nei numeri del 26 Aprile 2001 e del 31 Luglio 2003 (nel secondo caso, la maggior parte dei dettagli sono stati pubblicati solo sul nostro sito web, www.economist.com).

    La tabella dà un quadro d'insieme delle vicissitudini legali di Berlusconi. Due punti emergono chiaramente. Il primo è che, benché non sia mai stato definitivamente condannato in nessun processo, Berlusconi non è mai stato neppure definitivamente dichiarato innocente. In numerosi casi era stato dichiarato inizialmente colpevole, ma se l'era poi cavata a causa della sopraggiunta prescrizione del reato.

    Il secondo punto è che la vittoria nelle elezioni del 2001 ha consentito al suo governo di cambiare la legge in molti modi, che gli hanno reso più facile sfuggire ad ulteriori condanne. L'esempio più rimarchevole è stato quello del reato di falso in bilancio, che è stato declassato dall'attuale Parlamento ed ha ottenuto l'abbreviazione del termine di prescrizione.

    Malgrado ciò, due degli amici più intimi di Berlusconi sono inciampati nella legge. Marcello Dell'Utri, senatore siciliano di Forza Italia, un tempo a capo di Publitalia, l'ala pubblicitaria dell'impero Mediaset di Berlusconi, è stato condannato nel 2004 da un tribunale di Palermo per favoreggiamento alla mafia (è in corso l'appello contro il verdetto). I pubblici ministeri di Palermo

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  • Il Pesa-Nervi. Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist» (versione per la stampa)

    non accusano né lui né Berlusconi di essere, o di essere stati, mafiosi. Ma sanno che la mafia ha sostenuto fortemente i rappresentanti di Forza Italia e che può aver trovato in Dell'Utri un utile canale. Nelle elezioni del 2001, il centro-destra conquistò tutti e 61 i collegi uninominali della Sicilia.

    Il secondo amico nei guai è Cesare Previti, ex avvocato personale di Berlusconi e ministro della difesa nel suo governo del 1994. Previti è stato condannato in un processo per corruzione dei giudici, nel quale lo stesso Berlusconi l'ha fatta franca grazie alla prescrizione. Previti è ricorso in appello, ma il governo sta cercando di salvarlo grazie a una nuova legge, nota come "Salva Previti", che abbrevierà i termini di prescrizione. La legge forse non salverà ora Previti, ma potrebbe aiutare Berlusconi nel suo ultimo processo, per evasione fiscale e appropriazione indebita. Se passerà, getterà ulteriore discredito sulla vita pubblica italiana [1].

    Il registro delle imputazioni

    Processo Affare ImputazioneVerdetti (dopo gli

    appelli*)

    Villa Macherio ProprietàEvasione fiscale; falso in bilancio

    Prosciolto da tre capi d'imputazione; prescrizione** per uno

    Medusa Film Falso in bilancio Prosciolto

    Giocatore dell'AC Milan

    Calcio Falso in bilancio Prescrizione**

    All Iberian Società offshoreFinanziamento illecito di partito politico

    Prescrizione**

    Mediolanum, Mondadori, Videotime, Telepiu

    Finanza, editoria, film, TV

    Corruzione, tangenti alla guardia di finanza

    Prosciolto

    Mondadori Editoria Corruzione di giudici Prescrizione**

    Fininvest 1 e 2 Società finanziaria Falso in bilancio Prescrizione**

    SME Azienda alimentare Corruzione di giudiciProsciolto da tre capi d'imputazione; prescrizione** per uno

    Mediaset Televisione, filmEvasione fiscale, appropriazione indebita

    Udienze preliminari

    Fonte: The Economist

    * Se applicabile. ** Per il codice penale italiano, la prescrizione estingue il reato.

    [1] L'inchiesta dell'Economist è precedente all'approvazione, avvenuta giorni fa, della legge ex

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  • Il Pesa-Nervi. Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist» (versione per la stampa)

    Cirielli. L'ulteriore discredito sulla vita pubblica italiana, citato come eventuale nell'articolo, è dunque ormai stato abbondantemente gettato.

    Argomento: politica | Autore: Michele Diodati | Data di pubblicazione: 4/12/2005 ore 11,20

    Versione per il Web

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    http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/11_Novembre/30/grevi.shtmlhttp://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202

  • Il Pesa-Nervi. Non puoi vincere (versione per la stampa)

    Non puoi vincere

    La traduzione in italiano della parte intitolata «You can't win», alle pagine 12-15 dell'inchiesta sull'Italia («Addio, dolce vita»), pubblicata su «The Economist» del 26/11/2005.

    Perché la politica italiana è impossibile

    Molti paesi hanno sistemi politici complessi, che riflettono il loro passato più del loro presente. Ma la politica italiana è insolitamente difficile da penetrare; anche in considerazione del fatto che i suoi governi sono stati insolitamente fragili. In effetti, guardando agli innumerevoli governi e presidenti del consiglio che si sono avvicendati alla guida del paese, il sistema è stato per molti anni sorprendentemente stabile.

    Fino agli anni '90, la politica italiana fu dominata da due partiti: i Democristiani e i Comunisti. Poiché, per comune consenso durante la guerra fredda, i Comunisti furono tenuti fuori dal governo, tutte le amministrazioni dal 1946 ai primi anni '80 furono guidate da un democristiano. Poi seguì un decennio di coalizioni, tutte comprendenti i Democristiani, ma qualcuna fu guidata da un repubblicano, Giovanni Spadolini, e altre da un socialista, Bettino Craxi.

    Questo sistema stabile fu spazzato via da tre eventi le cui conseguenze durano ancor oggi. Il primo fu il crollo del comunismo sovietico alla fine degli anni '80 che portò ad una scissione nel Partito Comunista Italiano. Il secondo, prendendo le mosse a Milano agli inizi del 1992, fu una serie di processi per corruzione nota come tangentopoli (città delle tangenti), condotti da un gruppo di magistrati che divenne noto come mani pulite [1]. Questi processi portarono alla condanna e alla fuga di Craxi, così come alla fine della maggior parte dei vecchi partiti. Il terzo evento scaturì dal secondo: la decisione di Silvio Berlusconi, un magnate dei media, d'entrare in politica e fondare un nuovo partito, Forza Italia.

    Grazie in parte al suo denaro e al suo impero dei media, e in parte al disincanto degli italiani nei riguardi del vecchio sistema, Berlusconi godette di un successo immediato. Il suo raggruppamento di centro-destra vinse le elezioni nel 1994, soltanto alcuni mesi dopo la creazione di Forza Italia. Ma il suo governo durò solamente otto mesi, prima di essere fatto cadere da uno dei suoi alleati, la Lega Nord di Umberto Bossi.

    Al primo governo Berlusconi ne seguì uno guidato da un tecnocrate [2]. I tre governi successivi furono presieduti da presidenti del Consiglio di centro-sinistra, il primo dei quali, Romano Prodi condusse alla vittoria la coalizione dell'Ulivo contro la Casa delle Libertà nelle elezioni del 1996. Prodi impose tagli di bilancio dolorosi e una tassa speciale per assicurare che l'Italia entrasse nell'euro, ma in seguito la coalizione fu afflitta da accesi dissapori interni. Prodi fu cacciato e, a maggio del 2001, la coalizione della Casa delle Libertà di Berlusconi sconfisse l'Ulivo con una

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  • Il Pesa-Nervi. Non puoi vincere (versione per la stampa)

    maggioranza convincente in entrambe le camere del Parlamento.

    Forza Berlusconi!

    Fonte: The Economist

    Questo era il momento che il mondo degli affari italiano stava aspettando. Ora, finalmente, c'era una coalizione di destra con una forza politica sufficiente per portare avanti riforme lungamente attese. Tuttavia, come abbiamo visto, era destinato a essere deluso. La Casa delle Libertà ha messo in atto riforme solo in aree limitate, e il cattivo andamento dell'economia e la perdita di competitività del paese sono continuate incontrollate. I deficit di bilancio sono stati tenuti bassi principalmente con misure una tantum. E più o meno negli ultimi 18 mesi, il centro-destra è stata battuto ogni volta che agli italiani è stato permesso di avvicinarsi a un'urna elettorale, a cominciare dalle elezioni europee del giugno del 2004, per finire con la disfatta alle elezioni regionali dell'aprile scorso, quando il centro-sinistra ha vinto in ogni regione disputata, eccetto che in Lombardia e in Veneto.

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  • Il Pesa-Nervi. Non puoi vincere (versione per la stampa)

    Questo pessimo andamento ha quattro spiegazioni. La prima è che, fin dall'inizio, il governo Berlusconi ha perso tempo ed energie, per varare provvedimenti che avevano a che fare con gli interessi personali del presidente del consiglio e che miravano ad evitargli processi (si veda l'apposito approfondimento). Questi hanno compreso leggi per depenalizzare il reato di falso in bilancio, rendere più difficile utilizzare prove raccolte all'estero, determinare lo spostamento dei processi presso un altro tribunale se vi è qualsiasi sospetto di parzialità dei giudici, accorciare i tempi di prescrizione, scaduti i quali i reati sono automaticamente cancellati. Come se non bastasse, a metà del 2003 fu varata una nuova legge per dare al presidente del consiglio, e a quattro altre cariche istituzionali di analoga importanza, la totale immunità da procedimenti penali durante il mandato. Questa legge fu, a buon diritto, cassata dalla Corte Costituzionale italiana.

    La seconda ragione per cui le riforme si sono dimostrate difficili è lo stato dell'economia. Come hanno scoperto altri paesi europei, è molto più difficile deregolamentare i mercati dei prodotti o promuovere maggiore concorrenza quando c'è poca o nessuna crescita. La bassa crescita manda a monte anche l'aritmetica dei bilanci di previsione e non lascia nessuna possibilità per maggiori spese o tagli delle tasse, per ammorbidire l'impatto a breve termine dei cambiamenti. L'assurdo è, chiaramente, che le riforme divengono essenziali precisamente quando l'economia è in affanno. Il governo Berlusconi non è il solo in Europa a non riuscire a risolvere questo rompicapo.

    Un terzo fattore è, comunque, tipicamente italiano. Il paese si è mosso verso un sistema bipolare formato da due grandi gruppi, il centro-destra e il centro-sinistra, in parte grazie a una riforma elettorale degli anni '90, che stabilì che circa il 75% dei seggi in parlamento fosse eletto su base maggioritaria. Ciò fu voluto per scoraggiare il frazionamento dei partiti; tuttavia l'influenza dei partiti più piccoli rimane sproporzionatamente forte. E può anche aumentare, se, come sembra probabile, il governo riuscirà a cambiare la legge elettorale, ritornando così ad un sistema completamente proporzionale. L'opposizione ha protestato contro questa riforma, che sembra fatta apposta per danneggiare il centro-sinistra. A quanto sembra, introdurrà anche un complicato sistema di soglie di rappresentanza in Parlamento, il cui effetto sui partiti più piccoli non è ancora chiaro. Ma la maggior parte dei partiti sembra rassegnata al nuovo sistema.

    Il grosso problema, come Siniscalco sa per amara esperienza, è che portare avanti riforme potenzialmente impopolari è estremamente difficile quando ogni partito all'interno di una coalizione ha diritto di veto. Anche se Forza Italia è il più grande partito del centro-destra, Berlusconi ha dovuto tenere allo stesso tavolo Alleanza Nazionale, la Lega Nord e l'Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro [3]. Ognuno di questi partiti ha il suo elettorato da difendere, e nessuno è un sostenitore naturale del libero mercato.

    Le precedenti traduzioni:

    ● Addio, Dolce Vita

    ● Fazio e Berlusconi sotto la lente di «The Economist»

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?st=213 (3 of 9)7/14/06 5:15 AM

    http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202#berlusconihttp://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202#berlusconihttp://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=199http://pesanervi.diodati.org/pn/index.asp?a=202

  • Il Pesa-Nervi. Non puoi vincere (versione per la stampa)

    ● La ricerca del capro espiatorio

    ● Strutturalmente malata

    Il quarto punto forse è il più importante: cioè che neanche lo stesso Berlusconi crede fino in fondo nel libero mercato. Il suo successo negli affari fu costruito sulla creazione di quasi-monopoli che, lungi dall'essere attaccati dalle autorità anti-trust, ricevettero benefici dalle amicizie politiche. L'esempio più notorio è il suo impero televisivo, Mediaset, che ebbe bisogno del forte appoggio di un leader socialista, Craxi. Ma fin dagli esordi la sua carriera negli affari dipese dai favori, come ad esempio quello di deviare le rotte aeree fuori dell'aeroporto di Linate per alzare il valore delle sue proprietà nei pressi di Milano [4]. L'istinto di Berlusconi è quello di un commerciante di favori e di privilegi, non quello di un concorrente in un mercato deregolamentato. Questa è una qualità utile per un politico, ma lo è meno per la costruzione di un'economia liberale di successo.

    Malgrado tutto, il governo Berlusconi ha fatto alcune cose giuste, e non solo nel mercato del lavoro e nella riforma delle pensioni. Il ministro dell'istruzione, Letizia Moratti, ha lavorato sodo per promuovere la ricerca e migliorare le università italiane, benché ci sia ancora una lunga strada da percorrere. Come dice un professore universitario italiano in modo disarmante, "la cosa bella di questo lavoro è che non devi fare alcun lavoro". Stipendio e avanzamento di carriera sono ampiamente determinati dall'anzianità di servizio e l'Italia ha in proporzione meno accademici stranieri della maggior parte degli altri paesi. Le recenti manifestazioni in molte città, guidate da professori universitari in protesta contro la Moratti, devono essere un segnale che sta facendo qualche cosa di giusto.

    Amico degli americani, e della Russia

    Tutto considerato, anche la politica estera del governo deve essere considerata un successo. Berlusconi affrontò la collera di molti dei suoi alleati nell'UE nonché la propria opinione pubblica, quando decise di mandare truppe per unirsi ad America e Gran Bretagna in Iraq, sebbene ora stia tentando di far credere che aveva dei timori sulla guerra e che cercò di far recedere George Bush dai suoi propositi. Il suo governo è stato generalmente più assertivo sul ruolo dell'Italia nel mondo rispetto ai suoi predecessori. All'interno dell'UE, è stato meno deferente verso Francia e Germania. Se Prodi tornasse in carica, è probabile che cambierebbe di nuovo l'enfasi tornando ad appoggiare il duo franco-tedesco.

    Il governo Berlusconi è stato più fedelmente pro-America (e pro-Israele) della maggior parte dei precedenti governi. L'unica macchia nella politica estera è stata la parzialità di Berlusconi verso il russo Vladimir Putin, che lui sembra vedere come un altro uomo d'affari trasformatosi in politico ingiustamente attaccato dai media. Durante il semestre di presidenza italiana dell'UE nel 2003, Berlusconi gettò Bruxelles nella costernazione, quando si rifiutò di criticare Putin a un incontro al vertice UE-Russia tenutosi a Roma. Perse anche credibilità internazionale per la sua presidenza della riunione dei vertici dell'UE a Bruxelles nel dicembre del 2003, quando non si riuscì a raggiungere un

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  • Il Pesa-Nervi. Non puoi vincere (versione per la stampa)

    accordo sul testo di una bozza della Costituzione dell'UE.

    Per quanto riguarda la difesa militare, anche se come molti altri paesi europei l'Italia spende tuttora troppo poco, ha dato negli ultimi anni un utile contributo in luoghi come il Kosovo e l'Afghanistan così come in Iraq. Il ministro della difesa, Antonio Martino, si sta anche occupando di un piano per abolire la leva obbligatoria e per rivedere il sistema di approvvigionamento degli armamenti. Se Prodi ritornasse in carica, c'è il serio rischio che il suo governo potrebbe scegliere di ritirare troppo rapidamente le truppe dall'Iraq, come fece l'allora nuovo primo ministro spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, nel marzo del 2004.

    Martino è uno dei pochi liberali dichiarati d'Italia, ma la sua influenza sulla politica economica è stata purtroppo limitata. Ancora, il governo ha almeno operato dei tagli fiscali. La sua conduzione delle finanze pubbliche, in ogni caso, è stata terribile. Aveva ereditato un avanzo primario di bilancio (cioé, prima del pagamento degli interessi) di qualcosa come il 5% del PIL, ma l'ha via via ridotto a zero (si veda il grafico qui a fianco). Inoltre, anche se i ripetuti condoni fiscali di Tremonti sono sembrati mantenere nei limiti il deficit annuale di bilancio, il prezzo di ciò potrebbe essere stato di aumentare il già alto livello italiano di evasione fiscale. I politici dell'opposizione affermano che l'evasione fiscale ammonta attualmente a qualcosa come 200 miliardi di euro (234 miliardi di dollari) l'anno. Ciò grava pesantemente sui lavoratori salariati, che si trovano a pagare tasse più alte di quelle che altrimenti pagherebbero.

    Né il governo ha fatto granché nel controllo della spesa pubblica. Non è difficile presentarsi con delle

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    idee per dei tagli, proprio come non è difficile trovare cose da privatizzare. Giovanni Tamburi [5], un consulente d'affari con sede a Milano, ha prodotto un elenco particolareggiato di possibili vendite di beni, incluse le fondazioni ancora possedute dalle banche, così come un programma di liberalizzazione. Tali misure possono, nelle sue stime, produrre qualcosa come 200 miliardi all'anno. Alcuni di questi beni sono, per comune ammissione, nelle mani di autorità locali, ma è stupefacente come Berlusconi sia stato riluttante a vendere alcunché. Il clientelismo, pare, mantiene la sua attrattiva.

    Fonte: The Economist

    Un altro lascito indesiderabile del governo Berlusconi è una svalutazione dell'etica civica e pubblica. Quando un primo ministro attacca i magistrati del suo paese come fossero parte di una cospirazione di sinistra, vara leggi che favoriscono i suoi interessi e vara ripetuti condoni per chi ha evaso le tasse e fatto abusi edilizi, manda un messaggio al cittadino medio: non ti preoccupare di rispettare le regole. Il sistema giudiziario ha molto bisogno di una modernizzazione per accelerare i processi e ridurre le attese, e il suo governo ha introdotto riforme che, pretende, faranno proprio questo, ma nessun altro sembra essere d'accordo.

    L'opposizione rappresenterebbe un vero migl