Acesta

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1 ACESTA DISTINTA E COEVA DI SEGESTA “Muoiono le città muoiono i regni. Copre il fasto e le pompe, arena ed erba.” O, come disse il Signor Houvel (viaggiatore): “….. gli uomini situano adesso i loro tuguri su quel medesimo suolo dove un tempo si innalzarono tanti palagi, templi e teatri”; riferendosi alla Segesta distrutta dai Saraceni 1 . Sembra verosimile che, gli scampati alla strage Saracena, abbiano trovato rifugio nella vicina città Acesta 2 , sebbene per alcuni autori fu questa invece l’occasione dell’origine di quest’altra città. Si accennano di seguito gli elementi da cui, alcuni autori ricavano che Acesta fu distinta e coeva di Segesta. Secondo la testimonianza di Licofrone, Aceste fondò tre città: ad una impose il nome “Egesta” in onore della madre, ad un’altra dette il nome “Atala” in onore della moglie e, si ha ragione di credere che, alla terza abbia dato il suo, da cui “Acesta” 3 . Diverse sono le fonti letterarie che danno dimostrazione della distinzione tra “Acesta” e “Segesta”: Cicerone, nella sue Verrine, parlando di Acesta ricorda che vi era un tempio dedicato alla “Venere Ericina”, al cui culto venivano consacrate alcune giovinette, anche straniere. Riferisce a tal proposito, di una certa Agone, Lilibetana che, sciolta da questa servitù, fa ritorno a casa ed ancora di Diodato d’Apira che, qui arrivato, consacrò la sorella a tale culto 4 . 1 Longo Ragionamento X° cap.VI° e Houvel “Viaggi Pittoreschi” 2 Leante “Stato Presente della Sicilia” pag 17 e Longo Ragionamento X° cap VII° 3 Longo Ragionamento XII° cap I° 4 Strabone lib.6 “Geografia” Cicero “Divinat in Verrem” cap 17 Longo Ragionamento XIII° cap.XI°

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ACESTA DISTINTA E COEVA DI SEGESTA

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ACESTA DISTINTA E COEVA DI SEGESTA

“Muoiono le città muoiono i regni.

Copre il fasto e le pompe, arena ed erba.”

O, come disse il Signor Houvel (viaggiatore):

“….. gli uomini situano adesso i loro

tuguri su quel medesimo suolo dove

un tempo si innalzarono tanti palagi,

templi e teatri”;

riferendosi alla Segesta distrutta dai Saraceni1.

Sembra verosimile che, gli scampati alla strage Saracena, abbiano trovato rifugio

nella vicina città Acesta2, sebbene per alcuni autori fu questa invece l’occasione

dell’origine di quest’altra città. Si accennano di seguito gli elementi da cui, alcuni

autori ricavano che Acesta fu distinta e coeva di Segesta.

Secondo la testimonianza di Licofrone, Aceste fondò tre città: ad una impose il

nome “Egesta” in onore della madre, ad un’altra dette il nome “Atala” in onore

della moglie e, si ha ragione di credere che, alla terza abbia dato il suo, da cui

“Acesta”3.

Diverse sono le fonti letterarie che danno dimostrazione della distinzione tra

“Acesta” e “Segesta”: Cicerone, nella sue Verrine, parlando di Acesta ricorda che

vi era un tempio dedicato alla “Venere Ericina”, al cui culto venivano consacrate

alcune giovinette, anche straniere. Riferisce a tal proposito, di una certa Agone,

Lilibetana che, sciolta da questa servitù, fa ritorno a casa ed ancora di Diodato

d’Apira che, qui arrivato, consacrò la sorella a tale culto4.

1 Longo Ragionamento X° cap.VI° e Houvel “Viaggi Pittoreschi” 2 Leante “Stato Presente della Sicilia” pag 17 e Longo Ragionamento X° cap VII° 3 Longo Ragionamento XII° cap I° 4 Strabone lib.6 “Geografia” Cicero “Divinat in Verrem” cap 17 Longo Ragionamento XIII° cap.XI°

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Cicerone, che ben conosceva le città della Sicilia, in modo particolare quelle vicine

a Lilibeo, dove era stato per ben tre anni Questore, sempre nelle Verrine, riferisce

di un altro popolo oltre ai Segestani, chiamato “Segestenses” diverso in tutto dai

Segestani e sottoposto alle “decime” (tributi romani)5.

Notizia questa riferita anche da Plinio, che nel suo “Catalogo” asserisce: “Segesta

godeva dei diritti romani, mentre gli Acesti erano sottoposti ai tributi6.

Cluverio, si oppone a tale distinzione, sostenendo che Plinio abbia riferito Acestei

erroneamente al posto di Egestani7.

Di tale avviso non è Arduino che nelle sue annotazioni difende ed approva la

distinzione riferita da Plinio8.

Altra prova di distinzione tra le due città si ricava dal Poema di Silio Italico, il

quale tra le sessantasette città, che andarono in soccorso di Annibale durante la

seconda Guerra Punica (200 a.C.), annovera la “Trojana Acesta” distinguendola da

Segesta9.

Le due città vengono riferite e, separatamente descritte, anche da Bizanzio nel suo

“Lessico de Urbibus”, di Segesta dice: “Egesta urbs Siciliae, ubi callidae aquae”,

mentre trattando di Acesta scrive: “Acesta urbs Siciliae, sic dicat ab Aceste, gentile

Acesteus”10.

Secondo Servio, scrittore greco di Virgilio, Acesta prese si il nome da Aceste, ma

successivamente fu chiamata Segesta11.

Il Longo sottolinea questo passo, contestando allo scrittore di aver prima dichiarato

che Segesta (Egesta) prese nome dalla madre di Aceste; chiedendosi come sia

possibile dare ad una città due nomi in onore di due persone diverse12.

Dice il Longo: “…… il suo quasi simile del nome delle due città trasse sicuramente

in inganno i molti studiosi e scrittori dell’antichità”. E questo errore è da attribuire

5 Cicerone Act. IV° in Ver. cap 36 Cicerone Act.IX° in Ver. cap 40 Longo Ragionamento XII° cap III° 6 Plinio Lib3 cap 8 7 Cluver Lib2 cap 2 Sicilia antiqua ? Nicotra ? 8 P. Arduino in “Notis ab histor Plinii” Lib3 cap 8 9 Silius Italico “de Bello Secund Punico” ver 233 Longo Ragionamento XII cap XI° 10 Del Dizionario Geografico di S. Bizanzio se ne ha un Compendio fatto da Ermolao, che visse sotto l’impero di Giustiniano, mentre Bizanzio visse nel V° sec ? C. Longo Ragionamento XII cap. III° 11 Servius in Lib V Aenead ver. 718 12 Longo ragionamento XII cap. VIII°

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a Servio, dice il Longo contestando, non certo a Virgilio, perché, come si sa da

Claudio Donato (scrittore della vita dell’Immortal Poeta Latino), Virgilio visse per

molto tempo in Sicilia, luogo da lui scelto per comporre la sua ammirabile

“ENEIDE”, con l’intento di conoscere i luoghi di cui avrebbe trattato nella sua

opera, e di cui poi fece mensione13.

Per cui sostiene il Longo, se Virgilio avesse voluto chiamare Segesta con il nuovo e

sconosciuto nome di “Acesta”, avrebbe indotto in errore i posteri, fatto questo

impensabile vista la sua accuratezza nel riferire fatti e luoghi.

Questi alcuni degli elementi letterari che sostengono non solo l’esistenza di Acesta

ma anche la sua distinzione da Segesta.

13 Virgilio “Aenead V” ver. 711

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ELEMENTI LETTERARI E STORICO

ARCHEOLOGICI ATTESTANTI L’ANTICHITA’ DI

CALATAFIMI

La lunga e spinosa questione sull’origine della città, difficilmente trova soluzione

perché le prime notizie storiche risalgono all’epoca normanna.

Il Fazello, trattando dei Castelli Siciliani occidentali, annovera Calatafimi, di nome

saracino14.

Ma il “nome saracino” non dimostra affatto l’origine araba della città, molte sono

infatti le città che hanno cambiato nome col cambiare delle dominazioni.

Che non sia araba lo dimostra l’Edrisi, geografo arabo del 1154 che, nel suo

“Studio sulle fortezze Medievali”, del nostro castello scrisse: “antichissimo e

costruito molto prima della venuta degli arabi in Sicilia” , facendolo risalire al 600

a.C.

L’Edrisi ricorda Calatafimi col nome di “Arali” che, come riferisce l’Amari,

significa “senza principio” cioè antichissimo15.

Altri autori assegnano Calatafimi all’epoca della dominazione bizantina, senza

ulteriori precisazioni16.

E’ fuor di dubbio che i resti archeologici ne dimostrano la grande antichità.

Si analizzano di seguito gli elementi storico-archeologici comprovanti, per molti

studiosi, tale antichità, non tralasciando di trattare come gli antichi operavano la

scelta di un “sito abitativo”.

Diodoro Siculo fa sapere che i primi abitanti dell’isola, i Sicani, formavano le loro

società di piccole borgate e, generalmente, ricercavano per il loro sito abitativo, un

luogo che fosse “naturalmente” difeso ed inaccessibile. Situavano quindi i loro

“Cronii” (castelli di Saturno) sulle alture dei colli e dei monti, per potersi meglio

difendere da qualsiasi nemico17.

14 T. Fazello “Storia di Sicilia” T. II pag. 408 15 M. Amari “Storia dei Musulmani in Sicilia” vol. III parte III pag. 795 16 G. Capozzo “Parallela Geografica Siciliae” vol.II 17 Diodoro lib.3 e lib.5

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E se già l’inaccessibilità di un monte bastava alla scelta, la presenza di un fiume

alle sue pendici lo rendeva ancora più favorevole. I fiumi, infatti, venivano venerati

come “divinità” benefiche alla stirpe umana18.

Quanto detto fa desumere che gli antichi non poterono che essere attratti dalla

collina di Calatafimi perché: difesa naturalmente e bagnata, a ponente e a

settentrione, da due affluenti del “Crimiso”19.

Molti sono i contrassegni ed i ritrovamenti che danno indice di antichità. Diverse

sono le grotte naturalmente incavate in questa collina, e le grotte si sa furono i primi

ricoveri dell’uomo, e questa usanza è tanto antica che, la storia tramanda, in esse

venivano collocate “Oracoli” e “Numi”20.

Ma, se anche le “grotte” possono rappresentare elemento del fantastico immagi-

nario, tali non sono gli indizzi ed i ritrovamenti architettonici, relativi a quel colle,

che ne sottolineano l’antichità.

Alcuni di questi “elementi” appartengono alla memoria storica degli Autori che ne

hanno dato notizia nelle loro opere, altri invece sono arrivati fino a noi, testimoni di

lontane origini. Scendendo dal “Castello” alcuni metri verso sud, saggi di scavi, ad

opera dell’Università di Siena, hanno portato alla luce resti di abitazioni primitive,

in particolare “tre vasche”, relativamente piccole, probabilmente utilizzate per

lavarsi.

Il Longo riferisce che, nella parte più alta del colle, erano visibili i resti di “ventisei

stanze incavate”, disposte in tre file su linea orizzontale, con i muri intermedi

formati dalla stessa rupe, e cisterne, anch’esse naturalmente incavate nella rupe,

uguali a quelle presenti sul terreno di Segesta21.

Come riferisce l’Abate Amico simili “costruzioni” erano presenti nei pressi di

molte antiche città come: Eraclea, Enna, Licata, Sperlinga ecc.22.

Nel 1741, in occasione degli scavi per le fondamenta della “Chiesa del SS.

Crocifisso”, furono ritrovate moltissime medaglie e monete greche, d’argento e di

rame, di Palermo, Siracusa, Segesta e Lilibeo, molte monete cartaginesi e alcune

romane sia consolari sia imperiali. Monete che il Longo assicura di aver “tenuto tra

18 Cicerone Act. IV° in Ver. cap 44 19 Longo Ragionamento XIII° cap, IV° 20 Octav. Cajetan “Isagoge” cap 5 e 30 Longo Ragionamento XIII° cap V° 21 Longo Ragionamento XIII° cap VII° 22 Amico “Lexicon Topograph. Siculum” To.2 part.I° pag.281

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le mani”, portate a lui dalle stesse persone che le avevano trovate, sia sul colle di

Calatafimi sia nelle campagne vicine (Monte Tre Croci)23.

Anche il “notar” Vito Pellegrino riferisce di aver visto e tenuto tra le mani alcune

monete antiche, ne cita una in particolare: “…su una faccia presentava un giovane

con in testa un ❛Cimiero❜ , una ❛X❜ ed intorno delle lettere probabilmente greche,

sull’altra faccia ❛due cavalli❜ che tiravano un ❛carro governato da un uomo❜ e

sotto una figura che sembrava un ❛cane❜ ” 24.

Il Pellegrino, per testimonianza diretta riferisce inoltre che, nei primi di Giugno del

1762, in occasione del rifacimento del giacato della Piazza Grande (oggi Piazza

Nocito), davanti al Palazzo che Don Gaspare Zuaro stava costruendo, là dove era

l’antico ospedale, furono ritrovati i “basamenti di un antico teatro”, e sotto detti

ritrovamenti un antico cimitero25.

Se questa notizia, fino ad oggi non supportata da riscontri architettonici, risultasse

un giorno vera, no solo testimonierebbe “il sito antico”, ma supporterebbe l’ipotesi

secondo cui la “Chiesa del Carmine” abbia come basi un preesistente “Santuario

pagano”.

Tale congettura, data la premessa fondamentale della “consueta vicinanza tra teatro,

santuario e fiume”, supponendo vera l’esistenza del teatro ed evidenziando che la

“Chiesa del Carmine” (alle cui origini peraltro è difficile risalire) si affaccia su un

affluente del Crimiso, ne ipotizza le suddette origini pagane.

Altri ritrovamenti, vennero inaspettatamente alla luce nel 1803, dai larghi e

profondi tagli di terra e roccia, fatti sulla collina per la costruzione della “strada

regia carrozzabile” (la strada che da ponte Patti a via dei Mille porta al Castello). In

quella occasione, come testimonia il Longo, si evidenziarono le fondamenta delle

case dell’Antico Borgo (oggi Terravecchia), sepolcri e fosse (uso cisterne e granai)

incavati nella viva pietra, oltre a “rottami” di mattoni. Al Longo fu assicurato che

sepolcri simili erano stati ritrovati anche sul monte Tre Croci, oltre a tantissime

monete cartaginesi, già citate, motivo per cui il Longo si convinse che quel luogo

fosse stato un accampamento cartaginese26.

23 Longo Ragionamento XIII° cap.IX° 24 Pellegrino “Calatafimi scoverto a’ Moderni” pag.73/74 25 Pellegrino “ “ “ pag. 72 26 Longo Ragionamento XIII° cap.VIII°

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“Contrassegno che può attestare l’antichità

di una città, viene dalle ❛antiche lapidi❜

che in quella si ritrovassero”27

Ed infatti a Calatafimi furono ritrovati due “Antichi Marmi” con iscrizione greca,

quando e dove furono trovati non si sa, certo è che furono trovati in una casa del

paese. Uno in particolar modo è interessante, essendo uno dei marmi più pregevoli

e meglio conservati arrivati fino ai nostri giorni, esso testimonia l’usanza degli

antichi di consacrare a “Venere Celeste” le “donzelle” in qualità di sue sacer-

dotesse. Il suddetto “monumento”, che il Longo così tradusse in latino:

“Diodatus Titieli (filius) Appiraeus

Sororem suam Taminiram,

Artemonis (filiam), sacerdotem

Veneri Coelesti (dicat)”

fu voluto da Diodato d’Apira (città della Licia), il quale trovandosi in Acesta, come

riferisce Cicerone, consacrò la sorella ad Urania, e volle con esso rendere famosa e

memorabile la sua religiosità28.

Di questa lapide da testimonianza diretta anche il “notar” Vito Pellegrino, riferendo

che, sin dal 1609, essa fu posta nella “Cantonera del magazeno detto del Pupillo”,

perché su questa pietra era raffigurato un puttino; mentre dell’altra incisione ne

aveva notizia dal Gualtieri, ma non ne aveva conoscenza diretta29.

Ne aveva conoscenza il Longo che la descrive: “alquanto degradata dalle ingiurie

del tempo”. Da ciò che vi è inciso, e che così tradusse in latino:

“Teontis Phaonis (filii)

Phonis Sopoliani (filii)

Nomeontis Aeenarchi (filii)

Diodori (filii), et curam

cognoscentis operum

illis, quae facta sunt”

27 Longo Ragionamento XIII° cap. X° 28 Cajetanus “Isagoge” cap 13 n°5 Gualtieri “Sicil. Antiq.” T. bul. II 321 Dorville “In Siculis” pag. 582 Amico “Lexicon Topograph. Siculum” Tom.2 par.2 ver. Segesta Castelli “Sicil. Antiq.” Inser. pag.20 Cicero “Divinat. in Verrem” cap17 Longo Ragionamento XIII° capX-XI°

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si suppone che fu un “ monumento” innalzato per far conoscere ai posteri i nomi di

coloro che si presero cura delle opere pubbliche, ricoscendo in tal modo la

munificenza di questi cittadini verso la patri; molti in tal senso sono i riferimenti

storici30.

Questi marmi riferisce il Longo, definendoli “mutilate iscrizioni”, fino al 1803

rimasero affissi in due distinti punti del paese, da allora in poi qualcuno, incurante

del pubblico diritto, se ne appropriò. Ai suoi giorni essi erano invece custoditi uno

dal Can. D. Francesco Avila e l’altro dal Dott. D. Giuseppe Blundo, in attesa di un

luogo adatto a custodirne l’enorme valore storico31.

Oggi questi “marmi” sono custoditi nella Biblioteca Comunale di Calatafimi.

Molti autori, tra cui il P. Gaetani, sostennero che questi marmi provenissero dalla

distrutta Segesta32. Tali autori, sostiene il Longo, ignorando gli elementi

comprovanti l’antichità di Calatafimi, ricorsero a congetture per identificare la città,

in particolare Segesta, a cui essi appartenevano, senza riflettere che non c’è alcun

elemento storico che sostenga l’esistenza a Segesta di un tempio a Venere Celeste,

ne tanto meno le “lapidi” presentano alcun elemento che li colleghi a tale città33.

Citando Quintiliano, il Longo conclude: “se ogni singolo elemento da solo non

basta ad accertare la verità di un fatto, la loro molteplicità e unione ne da

ragione”34.

Gli elementi fin qui esposti furono quindi per il Longo “robusta prova” per

riconoscere e affermare l’antichità della collina di Calatafimi.

29 Pellegrino “Calatafimi scoverto a’ Moderni” pag. 71 30 Castelli “Veter. Sicil. Inser.” pag.61 e 71 Gualtieri “Sicil. Antiq.” Tab. n°322 Amico “Lexicon Topograph. Siculum” Ver, Segesta Longo Ragionamento XIII° cap. XII e XIII 31 Longo Ragionamento XIII° cap. XV 32 Cajetanus “Isagoge” cap13 n°5 33 Longo Ragionamento XIII° capIX 34 Quintil. “Instit. Orat.” lib.5 cap.10

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9

ACESTA SUL COLLE DI CALATAFIMI

ATTINENZE E TEORIE DEL LONGO

“E’ molto probabile e verosimile che

l’antica città, la quale si trovò

nella collina di Calatafimi, sia

stata una di quelle che ebbero

l’origine dai Trojani”35

Già si è trattato come i Sicani, per le loro “piccole borgate”, ricercavano siti

abitativi che fossero naturalmente difesi ed inaccessibili. Organizzandosi

inizialmente in grotte “incavate naturalmente” nella roccia, a guisa di stanze,

utilizzando “fosse naturali” per la raccolta delle acque e per la conserva degli

alimenti (cereali). E’ ipotizzabile quindi che i Troiani, i quali giunti in Sicilia

ricevettero dai Sicani un tratto di terreno lungo il fiume “Crimiso”, nelle scelta e

sistemazione dei loro siti abitativi si siano conformati alle usanze sicane. Dimostra

ciò la scelta di Segesta, Entella, Erice,36 e la città (forse Alicia) che scavi recenti ad

opera dell’Università di …..? hanno portato alla luce sul monte Polizzo, a pochi

chilometri da Segesta.

E, sempre sull’esempio dei Sicani, abbiano abitato le “selvatiche stanze”. Virgilio,

in tal senso, descrive il selvaggio tenore di vita e la ruvidezza del vestire del trojano

Aceste37.

Va rilevato che le suddette “selvatiche stanze” come anche le cisterne naturali, sono

strutture presenti nei pressi di molte antiche città, non ultima Segesta.

Gli elementi letterari ed i ritrovamenti storico-archeologici fin qui riportati hanno

reso molti autori concordi sulla distinzione tra Acesta e Segesta, e sulla “antichità

del colle di Calatafimi”.

Ma questi ed altri riferimenti come: Salmasio, che riferendosi a Virgilio, afferma

che Acesta fu costruita nella stessa contrada di Segesta, lungo il Crimiso38; P. Paolo

35 Longo Ragionamento XIV° 36 Longo Ragionamento XIII° cap. I° 37 Virgilio “Aenead” lib. 5 ver. 36 Longo Ragionamento XII° cap. VI°

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Arezzo, il quale sostenne non solo la vicinanza tra Segesta ed Acesta, ma anche che

Acesta fosse stata situata sulla collina di Calatafimi39; come anche la straordinaria

coincidenza tra la “lapide” ritrovata a Calatafimi che riferisce del culto a “Venere

Celeste” e la menzione che, di tale culto ad Acesta, fa Cicerone, diedero al Longo

ragione di credere che, il Colle di Calatafimi fosse stato “sito di una città trojana”.

Inoltre, rilevata la distinzione e la vicinanza tra le due città, evidenziato che i vari

“monumenti di antichità” rispecchiano nello stile gli elementi troiani, fatto notare

che non c’è altro luogo dove “Acesta” potrebbe essere sistemata “con più di ragione

e fondamento”, il Longo conclude che “l’antico sito” sul colle oggi di Calatafimi

era occupato dalla “TROJANA ACESTA”40.

38 Salmas, “In Solin T.” pag 72 pag. 227 39 Arezzo “de situ Siciliae” 40 Longo Ragionamento XV°

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11

LOCARICO

“L’antico Locarico altro non era, che

un sobborgo di Acesta, situato in un

colle cento passi distante da Calatafimi

verso il settentrione, oggi nominato

❛Li Fossi❜ .”

Il ristretto spazio dell’antica città non poteva più accogliere l’aumentata popola-

zione, motivo questo per il Longo della nascita del sobborgo sulle falde di quella

collina chiamata “Li Fossi”.

Molti furono i ritrovamenti che confortarono la sua ipotesi: primi fra tutti le “fosse”

(che diedero nome alla zona) incavate nella roccia, usate come granai; la

testimonianza di molti contadini che riferirono di avervi ritrovato antichi sepolcri

“costruiti a pietra di taglio”, antiche monete cartaginesi, frammenti di tegole e

mattoni. E nella parte più bassa furono ritrovati pezzi di ferro e pietra da taglio, ed

ai tempi del Longo una “mola” per le macine41.

Il Longo riferisce di aver trovato, sempre in quella zona, a “filo di terra” un

mucchio di sassi, tracce di una antica torre, ritrovamento quanto mai fortunato,

visto che il terreno era continuamente arato per le colture.

Documenti antichi dimostrarono al Longo che lì vi era stato un “Caricadore di

frumento”, riposta che durò fino al XVI sec., il cui traffico avveniva per la “Via del

Caricadore” che metteva in comunicazione la collina con le campagne circostanti.

Le stesse fonti riferivano che prima la collina “Li Fossi” era unita a quella della

città, successivamente, per motivi non ben precisati, uno smottamento di terra le

separò.

L’esistenza di questo antico sobborgo veniva confermata all’autore anche da un

antichissimo quadro, di autore ignoto del 1500, che nei primi del XVIII sec. era

nella sagrestia della chiesa dell’antico ospedale. Nel 1749 il quadro (abbastanza

rovinato) fu riprodotto e conservato nella casa baronale dei Fiume Freddo. In questa

iconografia ai piedi della collina “Li Fossi”, troneggia una torre, che nella

sottostante legenda viene identificata col nome “l’antico Locarico”.

41 Longo Ragionamento XVI° cap. I° e II°

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Di questo quadro il Pellegrino, descrivendo “Della Chiesa delli Miracoli” fabbricata

nell’antica porta della città, riferisce: “Nel Quadro sono dipinti l’antica Città di

Calatafimi, coll’antica città di Segesta in frontispicio, quale fu scolpito a spese

della Università l’anno 1517”42.

Locarico non compare negli antichi riferimenti geografici di Tolomeo e Plinio, nè

di Diodoro, nè nelle “Abbreviazioni” del Bizanzio; ma comunque, negli itinerari

dei suddetti autori, oltre le città, vengoni citate le "Mansioni” (vilaggi, osterie e

luoghi di campagna). Da ciò, non avendo altri riferimenti, fu opinione di molti

autori, che Locarico fosse stato riferito come mansione, a tal proposito così si

espresse il Wessellingio: “Recte monitum, Longaricum fuisse mansionem in

mediterraneis, haud procul ab aquis Segestanis sejunctam”43.

L’unico autore a dare notizia di Locarico fu Antonino Pio Augusto (autore dell’era

volgare, del II°, III° o IV° sec. a.C., la cui opera si conobbe solo nel IV° sec.

d.C.)44. Egli , nell’itinerario da Girgenti a Lilibeo, passando per Palermo (di 175

mila passi), colloca Locarico dopo Iccara e prima di Oliva. Il “messo” in questo

itinerario fa riferimento a posti non rilevanti geograficamente, così, sostiene il

Longo, arrivato a Locarico non visitò e quindi non riferì della vicina Acesta.

Nel suddetto itinerario, il messo riferisce di aver percorso 18 miglia da Palermo a

Iccara, e 24 miglia da questa a Locarico. Queste 24 miglia, fa rilevare il Longo,

risultano anche nell’itinerario a ritroso, supponendo Locarico sulle collina “Li

Fossi” difatti: da Calatafimi al fiume d’Alcamo ci sono 3 mila passi, da questo

punto a Carini (Iccara), come riferisce il Fazello45, vi sono 21 miglia (passando per

monte Bonifato), si ritrovano così i 24 mila passi tra Calatafimi e Iccara.

A riprova di ciò è un altro itinerario di Antonino Pio che rileva dalle acque

segestane ad Iccara 20 mila passi, se a questa distanza si sommano i 4 mila passi tra

le acque segestane e Calatafimi, risultano i già riferiti 24 mila passi.

Nella conferma, al Longo, dello stato di sobborgo e del sito di Locarico, importante

fu un “celebre atto di donazione” che, Romano Patrizio Tartullo, padre si San

Placido, fece in favore del Gran Patriarca S. Benedetto nel VI sec. d.C., di 18 Corti

che aveva in Sicilia, comprese le ville e i villaggi che in esse ricadevano; tra queste

ville è mensionata Longarica, ricadente nella Corte delle Acque Segestane46.

42 Pellegrino “Calatafimi scoverto a’ Moderni” pag. 104 43 Longo Ragionamento XVI° cap. VI° not. 158 44 Longo Ragionamento IV° cap. IX° not. 47 45 Fazello “Decad.” lib. 7 e 10 cap. 4 e 3 46 Longo Ragionamento XVI° cap. XI° not. 160 e 161

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Questi documenti, le prove dell’antichità di Calatafimi e i ritrovamenti sulla collina

“Li Fossi”, convinsero il Longo che quello era il sito di Locarico, cosa che non

poterono fare, a suo avviso, gli altri autori proprio perché non conoscevano tali

prove.

Diversi furono comunque gli autori che riconobbero Locarico vicino a Calatafimi:

- l’Abate Amico, che pur non trattando lo spinoso problema del sito, riconosce che

“Calatafimis ab Longarici, vetustatae urbis, ruinis, juxta nonnullos, originem

habuit”, e così continua “subdubitat Cluverius in ea (Calatafimi) Locaricum, vetus

oppidum stetisse”47.

- Il Gualtieri, riferendosi molto a Cluverio scrisse: “Calatafimi Cluverio Locaricum

oppidum”48.

- Stessa opinione fu quella dell’Attardi: “Calatafimi creduta che fosse nata colle

rovine dell’antico Locarico”49.

- Il Dorville addirittura sostituisce al nome Calatafimi quello di Locarico,

scrivendo: “inscriptio Calatafimensis siva Locarici” e “Hunc Calatafimi locum

antique Longarici fere occupare censet Cluverius”50.

- Il geografo Corelli nella sua “Tavola di Sicilia”, unisce nello stesso punto

Calatafimi e Locarico.

- Mentre Sacco nel suo “Dizionario”, alla voce Calatafimi scrisse: “questa terra è

di nome saracenico, e credesi dallo storico Arezzo che tragga la sua origine

dall’antica città di Longarico”.

Di opinione diversa fu il gesuita Massa autore di “Sicilia in Prospetto” pubblicata

nel 1709, secondo cui se Calatafimi fosse sorta dalle rovine dell’antica Locarico ne

avrebbe preso il nome; cosa non vera, dimostrò il Longo, poiché molte città sorte da

precedenti rovine presero nome diverso, come dalle rovine di Terme nacque

Termini, e da quelle di Finzia si formò Gela. Il Massa inoltre collocò Locarico sul

monte Bonifato, e anche in ciò fu contestato dal Longo, il quale dimostrò che una

tale sistemazione non rispettava più i 24 mila passi dell’itinerario di Antonino Pio

Augusto.

Il Longo, comunque, giustifica tali errori perché trattasi di persona “straniera” non a

conoscenza di fatti e luoghi. Non giustifica invece l’autore alcamese Tornamira

47 Amico “Lessico” Tom. 2 pag. 109 e 173 48 Gualtieri “Sicil. Antiq.” pag 40 lapide 264 49 Attardi “Monachisimo di Sicilia” pag. 267 50 Dorville “In Siculis” pag. 582 e 56

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che, fedelmente, ha ricopiato i passi del Massa, senza prestarvi la debita attenzione.

Il Tornamira infatti, basandosi anche sugli scritti di Cluverio, sostenne Locarico sul

monte Bonifato; il Longo controbattè tale opinione facendo rilevare, dimostrandolo,

che Cluverio per non conoscenza dei luoghi, equivoca e chiama Bonifacio il monte

su cui è Segesta, dovendo invece riferire monte Barbaro51

51 Cluver “Sicilia Antiqua” lib. 2 cap. 12 pag. 472, pagina tradotta dal Longo nel Ragionamento XVII° cap. III° pag. 244 e 245.

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CALATAFIMI

ORIGINI DEL NOME

“……Cerere e sua sorella Venere, abitavano sul monte Erice; sapendo del valore

del Capitano Egesto (che si era conquistato molti castelli e piazze del regno), per

non rischiare la servitù, mandarono dei Messi a congratularsi per le sue vittorie.

Questi, onorato il re, tra le petizioni chiesero che Ima, figlia di Egesto fosse data

in moglie a Calatapho, nipote di Cerere. Nel 2200 dell’Età del mondo si fecero gli

sponsali. Egesto costruì alla figlia un castello, difronte la sua città, a cui diede il

nome del genero e della figlia, quindi Calatapho-Ima, oggi “Calataph’imi”.

“………..tutto quel noi di sopra descriviamo,…..tutta è poetica fintione…..”52.

Diversa la realtà, peraltro neanche certa ma molto dibattuta, circa l’origine del

nome “Calatafimi”.

Due furono le congetture: origine greca o araba?

La prima risultò presto molto debole, il termine era stato sicuramente fornito dalla

lingua araba. Infatti un’antica “Geografia di Sicilia” redatta sotto il governo degli

Arabi, riferita dal De Gregorio, da notizia di quattro località: “KALAT AMET”,

“KALAT ZARUCH”, “KALAT AMAUR” e “KALAT FIMI”, rispe ttivamente:

Calamet, Calatubo, Castellammare e Calatafimi53.

Assodato che “Kalat”, in arabo, indica zona irta (colle), l’unico dubbio che rimane è

“Fimi” o “Fimes”, vero rompicapo per i diversi autori che trattarono l’argomento,

sollevandosi polemiche l’un l’altro.

Il Pellegrino, conscio dell’origine moresca del nome, contesta chi come il

Perdicaro54 e il Calepino sostengono significhi “Castello di bella fama”, e chi lo

sostiene originare da “Castel Fimi”, dove Fimi indica “Isola”55.

Il suddetto autore avversa anche la tesi del Fidanza, secondo cui “Calathafimensis”

intenda “Eufemio politanus, -a, -um” cioè “Castello (bene o possessione) di

Eufemio”, dove Eufemio sta per l’uomo greco, molto illustre che si distinse per

52 Pellegrino “Calatafimi scoverto a’ Moderni” cap. “Calatafimi in favola” 53 De Gregorio “Collect. Rer. Arab.” pag228 54 Perdicaro “In vita di San. Eufemia” cap I° 55 chiarisce Fazello Decad I° lib.6 fogl.143: “Castello di Isola delle Femmine” non costruito da Eufemio

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nobiltà ed esperienza nelle armi. Questo Eufemio, Prefetto di Sicilia e Capitano

della milizia, si ribellò a Roma e consegnò la Sicilia ai Saraceni56.

L’autore dichiara di aver esposto la sua posizione avverso tale teoria nella sua opera

“Segesta”, purtroppo a noi sconosciuta; sostiene inoltre l’ipotesi secondo cui

“Calatha” indica “beni” e “Phimi” è il nome di “Phimes”, padrone del luogo dove

fù costruito il Castello, il proprietario indicato da Cicerone come: “Diocles est

Panormitanus, Phimes cognomine, homo illustris, ac nobilis arator; is agrum in

Segestano (nam commercium in eo agro Panormitanis est) conductum habet57”.

Il Longo, sostenitore della modernità del nome “Calatafimi”, avverte di non

confondere l’origine del nome con l’origine del sito (Acesta), la cui antichità lui

stesso aveva dimostrato. Fa rilevare a tal proposito come antichi storici riferiscono

“Calatafimi” come “Castello di nuova nominazione” (Saracena), non certo come

Saracena origine58.

L’autore, convinto dell’origine araba del termine, fa notare che le città, il cui nome

contiene “Calata-“, non erano così riferite prima della dominazione “de’ Saraceni”,

come gli dimostrarono le antiche carte. E a tal proposito porta ad esempio Mecara,

città Sicana, che in possesso di Minosse Re Cretese, prese nome Minoa59, mentre

alle dominazioni successive deve il nome Eraclea60. Così anche Zancle, che

conquistata dai Messeni fu chiamata Messana61. L’autore ricorda inoltre Agatocle

che, non contento di aver trucidato i segestani, sfregiò Segesta col nome di

“Diacepoli” (città di vendetta). Per cui, conclude l’autore, risulta comprensibile

come, la lunga dominazione Saracena (230 anni), abbia avuto tempo di stravolgere i

nomi delle città di cui si impossessò. Cosa che gli Arabi fecero o per vanto di

potere o anche per le difficoltà linguistiche nel pronunciare i suoni greci o latini. E,

come riferiscono il Gaetani e il De Gregorio, nomi originari furono totalmente

sconvolti da sembrare nuove città e nuove terre62.

Logico pensare che anche l’originario nome di Calatafimi venne sconvolto e

arabizzato.

56 Fidanza “Dittionar. Sicil.” 57 Cicero “Orazio in Verrem” lib.3 act.4 pag.23 e 40 58 Aretius “De Situ Siciliae” pag.3 Fazello Decad. I° lib.7 cap.4 59 Heraclensis lib. “de Polit” 60 Diodoro Siculo lib.4 61 Ib. lib.II° 62 Cajet. “Isagoge” cap.42 n°12 De Gregorio “Collect Rer. Arab.” pag.217

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Anche Mario Pace sostiene l’origine araba del nome, dove “Calhà” indica “luogo

erto”; e furono molti i paesi (non solo in Sicilia, ma anche in Spagna come in

Africa) che devono alla loro posizione su un monte la voce “Cala-“ (Calascibetta,

Caltanissetta, in Spagna Calatajud e in Africa Calatasultan).

Altri autori addebitano “Calata-“ al termine greco “Calacte” da kαλη αχτη cioè

“calè actè” che significa “Bel lido”.

Si oppose a tale deduzione il Longo, primo perché “Calata-“ è sicuramente diverso

da “Calacte”, ma soprattutto perché il termine greco indica zona marittima, mentre

“Calata-“ si riscontra nel nome di molti paesi dell’interno, situati su colline e monti.

Il Longo conclude che “Calatafimi” è nome di origine araba, dato al paese in onore

di qualche nuovo proprietario arabo, quale “Fime” o “Eufemio”, cosa che usavano

fare gli arabi nelle zone di nuova dominazione, come si ricava dalla “Geografia di

Sicilia” scritta sotto la dominazione araba e riferita dal De Gregorio63.

Il Nicotra, nella sua opera riporta fedelmente le conclusioni del Longo,

sottolineando l’”Eufemio”, come il Phimes riferito da Cicerone64.

Diversa fu l’opinione dell’autore del “Codice Diplomatico di Sicilia” (tom.I°

pag.44), il quale sostenne che “Calatafimi” derivasse si dall’arabo, ma dai termini

“Nazolo el Nasà” la cui traduzione è “Scesa delle Femmine”, adattato quindi dal

termine siciliano “calata” (scesa). Contesta tale posizione il Longo, dimostrando

che “calata” è si termine siciliano ma, come la lingua siciliana, compare sotto la

dominazione Normanna, dalla mescolanza e dai retaggi degl’idiomi delle diverse

dominazioni precedenti. Tali origini peraltro sono dimostrate da diversi autori65, il

termine “calata”, non poteva quindi essere datato diversamente.

Il Bonaiuto, assodata l’origine araba del nome, in polemica col Briguccia, che

aveva pubblicato uno studio su Calatafimi sulla Rivista “Trapani” (n°7 del luglio

1958), sottolinea le due teorie che scaturirono dal termine “fimes”. Una, quella già

citata dal Longo, secondo cui gli Arabi trovarono il “fortilizio”, lo tradussero in

“Kalata” (Castellum in vertice montem) e lo titolarono a qualche Signore, forse

Eufemio.

L’autore scarta questa teoria, perché essa ammette l’intervento, in questa parte della

Sicilia, dell’Eufemio da Messina, che aprì le porte agli Arabi. Condivide invece

63 De Gregorio “Collect. Rer. Arab.” pag. 228 64 Nicotra pag. 25 di “Calatafimi monografia” dal “Dizionario illustrato dei Comuni Siciliani” 65 Cajetani “Isagoge” cap.42 n°12

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l’altra teoria che origina il nome dal “Phimes”, proprietario dell’agro segestano

citato da Cicerone; secondo questa ipotesi, il castello era già titolato a Phimes, che

lo aveva rafforzato dopo la distruzione di Segesta nel V sec. Per cui gli Arabi

trovarono già il “Castello di Phimes” e lo tradussero in arabo “Qual-at-al-Phimi” da

cui CALATAFIMI 66.

66 Bonaiuto “Una piccola polemica sulle Origini di Calatafimi”, articolo pubblicato su “Panorama” il 28/9/1958