Accademia Italiana Della Cucina 230 luglio 2011

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CIVILT TAVOLADELLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

www.accademia1953.it

N. 230, SETTEMBRE 2011 / MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA

ISSN 1974-2681

S O M M A R I O

CARI ACCADEMICI...

I NOSTRI CONVEGNI

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Mangiare plebeo e buona cucina popolare (Giovanni Ballarini)

CULTURA & RICERCA

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Il secondo ricettario di Chapusot (Domenico Musci) Che bel quadro: lo mangerei! (Alfredo Pelle) Un frutto ricco di storia (Amedeo Santarelli)

LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO, CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DON DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA, ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE, GIAN LUIGI PONTI, GI PONTI, DINO VILLANI, EDOARDO VISCONTI DI MODRONE, CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

12 Incontro italo-magiaro (Francesco Ricciardi) 14 Pane e cipolla a spasso nel tempo(Maria Cristina Carbonelli di Letino)

16 Nel Golfo della Spezia (Marinella CurreCaporuscio)

10 Matrimoniocacao italiano: nocciola e(Renzo Pellati)

11 Il lichene islandico (Giancarlo Burri) 18 Il mosaico della cucina toscana(Romolo Ciabatti)

25 Dove nato Medici) lhamburgher? (Marino de 27 Loliva teneraLucidi) ascolana (Francesco 28 (Pietro Adami)in Friuli Osele e go 30 La polenta nella Bergamasca (Lucio Piombi) 31 La metaforaPedi)cibo del (Maurizio 32 Lottavo Cucchiaio (Francesco Ricciardi)

BIBLIOTECA NAZIONALE GIUSEPPE DELLOSSO

22 Dello scalco (Lorena Gallina)SICUREZZA & QUALIT

33 Laglio fa bene allamore (Gabriele Gasparro)LE RUBRICHE4 23 34 35 36 37 59 64 78 Calendario accademico Accademici in primo piano La voce degli altri Notiziario In libreria Vita dellAccademia Carnet degli Accademici Dalle Delegazioni International Summary

19 Il quotidiano in cucina (Donato Pasquariello) 21 Lospitalit di Civitella del Tronto(Gino Galiffa)

24 Montalbano, le donne e la cucina(Vittorio Pianese)

La copertina: particolare di Natura morta con formaggi e salami (1887) di Cesare Tallone (1853 1919). Lopera, proveniente da una collezione privata, fa parte della mostra La meraviglia della natura morta 1830-1910 - DallAccademia ai maestri del Divisionismo, aperta a Tortona negli spazi espositivi della Fondazione Cassa di risparmio fino al 19 febbraio 2012. Il savonese Tallone (nella maturit milanese dadozione), pittore ai suoi tempi noto soprattutto per i ritratti, mostra qui la sua abilit anche nelle nature morte, ritraendo con maestria, contro lelegante azzurrino dei piatti in ceramica tradizionale, due fette di formaggio, una di groviera, laltra di gorgonzola stagionato. Labbondante strato di grasso sul bordo della spessa fetta di insaccato in primo piano - che ha tutta laria di essere testina di maiale - mostra come oltre un secolo fa i suini che andavano al macello fossero assai meno magri di quelli odierni.C I V I L T D E L L A TAV O L A 2 0 1 1 N . 2 3 0 PA G I N A 1

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CENTRO STUDI FRANCO MARENGHIPRESIDENTE Paolo Petroni Ulderico Bernardi, Carla Bertinelli Spotti, Alberto Capatti, Sergio Corbino, Mario De Simone, Maria Attilia Fabbri DallOglio, Paolo Lingua, Lejla Mancusi Sorrentino, Enzo Nocera, Alfredo Pelle (Segretario), Corrado Piccinetti, Mario Tuccillo

DIRETTORI CENTRI STUDI TERRITORIALI Valle dAosta Andrea Nicola, Piemonte Renzo Pellati, Liguria Roberto Iovino, Lombardia est Silvana Chiesa, Lombardia ovest Pierangelo Frigerio, Trentino Gianni Gentilini, Alto Adige Edoardo Mori, Veneto Ulderico Bernardi, Friuli-Venezia Giulia Giorgio Viel, Emilia Tito Trombacco, Romagna Gianni Mita, Toscana est Gian Marco Mazzanti, Toscana ovest Alfredo Pelle, Marche Corrado Piccinetti, Umbria Giuseppe Fatati, Lazio Marino Marini, Abruzzo Gianni Di Giacomo, Molise Norberto Lombardi, Campania Claudio Novelli, Puglia Vincenzo Rizzi, Basilicata Ettore Bove, Calabria Michele Salazar, Sicilia est Cettina Pipitone Voza, Sicilia ovest Beniamino Macaluso, Sardegna Salvino Leoni

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Mangiare plebeo e buona cucina popolareDI GIOVANNI BALLARINI Presidente dellAccademia

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Il cattivo mangiare plebeo uccide la buona cucina popolare: da una cucina popolare che aveva la sua dignit si passa al mangiare di una plebe che ha perso il senso della cucina.

ari Accademici, la cucina e la sua pi alta espressione, la gastronomia, sono cultura e lo diciamo forse troppo spesso, tanto da perderne il significato. Cultura, cucina e gastronomia sono anche e forse soprattutto linguaggi non verbali, un tipo di comunicazione che in parte, oggi sempre pi, oscurato dal dominio di altri o nuovi modi desprimersi, che hanno un potenziale proprio e quindi non sono soltanto lingue parallele. Tipico il prevalere, anche nella cucina e soprattutto nella gastronomia, degli aspetti visivi caratteristici della civilt dellimmagine, dellapparire, sempre meno dellessere o della sostanza. Costantemente si mangia quel che si vede, pi di quel che si gusta. Stiamo anche vivendo in una societ schizofrenica che sta perdendo il senso del gusto e gli aspetti semantici del cibo, vale a dire non siamo pi capaci di leggere e quindi di capire cosa e come mangiamo, in modo corretto e soprattutto tradizionale. Anche lumile polenta che ai pi anziani di noi, come ai nostri padri e nonni, diceva tante cose sullorigine e tipicit, oggi divenuta una marca che vanta solo un ridottissimo tempo di preparazione. Lo stesso per numerose altre preparazioni alimentari che erano state create dalla tradizione popolare. Il cibo buono divenuto quello della pubblicit, delle prescrizioni della medicina o di una tradizione inventata e quindi tradita, con messaggi che cambiano in continuazione. Il burro o lo zucchero, prima buoni, poi cattivi, sono ora di nuovo buoni Ma non solo questo, anzi questo forse il meno. Il cibo come linguaggio partecipa del processo didentificazione del singolo con un gruppo e quindi dei

fenomeni di massa che caratterizzano la nostra societ. Su questa linea va anche compreso laforisma che noi siamo quello che mangiamo. Ma soprattutto una buona cucina, quella per esempio costruita da piccoli gruppi popolari nel corso di secoli, ben diversa da quella di una vasta plebe anonima perch, a causa del processo di identificazione del singolo con un gruppo, e quindi nei fenomeni di massificazione della societ, anche il gusto evolve e cambia. Quando gli uomini sincontrano, tendono a unirsi in uno stato danimo comune, dove si forma e si plasma il gusto in tutte le sue espressioni, anche del cibo e della tavola. Sino a che il gruppo piccolo, il livello e la qualit che ne risultano sono alti, e si differenziano in tante varianti: da qui le cucine popolari delle cento regioni e dei mille campanili italiani. Quando gli uomini sono molti e soprattutto vi sono intermediazioni anonime, il livello del gusto totale che scaturisce dal gruppo inferiore a quello dei piccoli gruppi o individuale. Se il gruppo molto grande, nasce una specie di gusto collettivo dominato pi dalla componente biologica o animale, che non da quella culturale. La psicologia dei grandi gruppi umani inevitabilmente abbassa il gusto a quello dei livelli pi bassi e da una cucina popolare che aveva la sua dignit si passa al mangiare di una plebe che ha perso il senso della cucina, per non parlare di quello di una gastronomia. Si spiega cos anche la tanto deprecata omologazione del gusto, per la quale si pu, anzi si deve mangiare la stessa cucina in ogni parte del mondo o la stessa preparazione deve avere lo stesso gusto in ogni momento e in ogni posto. Nella moltitudine e con legami per-

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sonali familiari e sociali sempre pi deboli, il singolo diviene facilmente vittima della sua suggestionabilit. Basta solo che avvenga qualche cosa o che vi sia una nuova proposta, perch la massa intera vi aderisca, compaia e si diffonda una moda, anche se la proposta contraria a un pur recente, ma ignoto, passato. Una condizione ben nota e sfruttata dalla sempre pi invadente industria del cibo, che oggi si vanta di avere una percentuale dinnovazione annua del 10%, con una vita media dei nuovi alimenti di non pi di cinque anni. Il caso del mangiare crudo significativo, come quello delle nuove bevande sempre pi chimiche e sempre meno naturali.

Nel gusto, o cattivo gusto, plebeo invadente, sembra dominante una partecipazione irrazionale (detta anche mistica) che non altro che la ricerca di una nuova identit inconscia, che rende sicuri in quanto non si pi una pecora isolata o un piccolo gruppo, ma si partecipi di un gregge di un milione, o milioni di milioni di pecore. Tutte uguali, dimenticando che nel passato era un titolo di merito uscire dal gregge, da qui ex grege o egregio. Dal gruppo bisogna tentare di emergere, ma senza fatica, usando anche la spettacolarizzazione del cibo della televisione e della selva di pubblicazioni di cucina che invadono edicole e librerie e che, sotto un certo punto di vista, sono il

corrispettivo del circo nel quale si divertiva la plebe romana. Una plebe sempre pi anonima, che davanti al televisore mangia pop corn, snack o altri tv-food (per il cane o gatto di famiglia vi sono invece i tv-feed) e che ha perso ogni contato con una tradizione veramente di popolo, che pu essere recuperata e conservata, ma soprattutto letta e capita soltanto con una cultura che, senza essere elitaria ed esclusiva, non pu essere di massa. Un quadro che conferma la necessit di tutelare e difendere le tradizioni della cucina italiana, promuovendone e favorendone il miglioramento in Italia e allestero.

GIOVANNI BALLARINI See English text page 78

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2011OTTOBRE1-2 ottobre - Pisa Cinquantennale della Delegazione Convegno Sensi e gastronomia 5 ottobre - Milano Riunione del Centro Studi Franco Marenghi e dei Direttori dei Centri Studi territoriali 10 ottobre - Eugania-Basso Padovano Convegno La cucina delle Terme a Montegrotto 15 ottobre - Lariana Cinquantennale della Delegazione Convegno Cinquanta - Cento Centocinquanta 18 ottobre - Lussemburgo Il Presidente Ballarini presenta il libro 1861-2011. La cucina nella formazione dellidentit nazionale allIstituto italiano di cultura 20 ottobre - Cena ecumenica La cucina della frutta 20 ottobre - Bergamo Cinquantennale della Delegazione 20 ottobre - Pisa IV edizione del premio al miglior allievo dellIpssar Matteotti di Pisa 22 ottobre - Trapani Convegno I venti piatti che hanno unito lItalia: 150 anni... di cucina 25 ottobre - Cremona Convegno Il Risorgimento a tavola 28 ottobre - Campobasso, Isernia, Termoli Convegno Litalianizzazione alimentare dei molisani a Bojano (CB) 28-30 ottobre Riunione della Consulta accademica a Bologna 16-20 novembre - Londra Escursione accademica 19 novembre - Lodi Convegno La cucina in televisione 19 novembre - Padova Cinquantennale della Delegazione Convegno Aspetti sociali della cucina del Padovano dagli anni Sessanta a oggi Premio alla gastronomia che opera nel sociale 26 novembre - Lucca Cinquantennale della Delegazione Convegno I fagioli della Lucchesia 26-27 novembre - Bruxelles Venticinquennale della Delegazione

NOVEMBRE5 novembre - Prato Venticinquennale della Delegazione

DICEMBRE9 novembre - Reggio Emilia Cinquantennale della Delegazione 11-13 novembre - Siena-Valdelsa Decennale della Delegazione Convegno La cucina nellarte senese e toscana 1 dicembre - Cagliari 2 dicembre - Sassari Seminario sulla celiachia

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Il secondo ricettario di ChapusotDI

DOMENICO MUSCI Accademico di Ciri

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Meno noto di quello del 1846 il testo del 1851 dedicato alla cucina casalinga, sana ed economica.

cultori della gastronomia storica che hanno consultato il testo di Francesco Chapusot (1846) La cucina sana, economica ed elegante secondo le stagioni, diventato accessibile grazie alla ristampa anastatica con lesaustivo saggio del prof. Milo Julini, saranno sicuramente sorpresi e incuriositi dalla prossima ristampa anastatica di un testo successivo dello stesso autore, pressoch sconosciuto: La vera cucina casalinga sana, economica e dilicata, edito a Torino nel 1851 dalla tipografia Botta e che conosce una terza ristampa nel 1855 con la tipografia torinese Luigi Conterno. Lautore, nato a Plombires-lesDijon nel 1799, stato capo cuoco di Ralph DAbercromby (ambasciatore dInghilterra a Torino) dal 1841 al 1851. La sua professione gli ha permesso di conoscere tutta laristocrazia e la migliore borghesia della citt, una situazione privilegiata che lo induce a pubblicare, dopo il primo ricettario elegante, il secondo testo citato, rivolto questa volta a un pubblico pi modesto, quello che incontra abitualmente nelle strade, nei mercati; si tratta sempre comunque di borghesia in grado di leggere e di acquistare un libro di cucina. Con la pubblicazione del nuovo ricettario lautore non rinnega il suo recente passato di cuoco dlite, ma vi traspare invece il desiderio di proiettarsi nella realt quotidiana, pi vicina alla maggior parte della popolazione (benestante). Anche in questopera Chapusot continua a stupirci per lattenzione ai problemi economici, sociali e di organizzazione nello specifico campo professionale; egli tratta in modo chiaro e innovativo il proprio punto di vista su diversi aspetti relativi alla cucina: La cucina per

servire bene al suo ufficio deve essere comoda, cio di facile pratica, sana, chiara, ariosa, e composta se si pu di due camere, una pel fuoco, laltra per la dispensa. Io raccomando soprattutto la nettezza, come nella cucina, cos nella dispensa, e per la buona preparazione e il sapor sincero, e per la perfetta conservazione dei cibi. In questa succinta rassegna riesce a coinvolgere lattenzione sullambiente, i mobili, gli utensili e il personale di cucina, poi linsegnamento continua fino alla descrizione nei minimi dettagli dellattrezzatura per tagliare e cucinare: mannerino per gli ossi, coltellaccio forte, trinciante ben affilato, coltellino da mondare i legumi, casseruole quante ne son di bisogno, se di rame, ben stagnate ad evitarne lossido s pernicioso. Nettezza, lindura, ordine, io non raccomander mai abbastanza queste belle doti alla donna massaia, alla cuoca di famiglia, al cuoco delle grandi case: con questa raccomandazione ci rivela indirettamente quali sono gli interlocutori ai quali rivolge il suo nuovo testo di cucina. Un coraggioso discorso controcorrente rivolto anche alla natura del cibo, che non deve essere scelto per soggiacere alla moda, piuttosto la scelta deve essere indirizzata verso la qualit e la freschezza: Meno ancora io concepisco il pregiudizio della necessit di un pezzo di storione per un pranzo dimpegno. Lo storione si vanta a cielo non per altro che nel suo prezzo accessibile soltanto ai ricchi; ma per me sar sempre un pesce men che mediocre. Chapusot fornisce inoltre intelligenti indicazioni a cuochi e cuoche per utilizzare prodotti del territorio, i pi facilmente reperibili, i pi conformi a tradizione e gusti, sia personali

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che locali: Tali sono specialmente il burro, lolio, il lardo, la sugna o il grasso dolce di porco, i vari formaggi che possono alluopo avvicendarsi e sostituirsi lun laltro. Lautore d molto importanza nelle preparazioni di cucina allaspetto salutare, che risulta infine largomento principale; le regole vengono sintetizzate in tre fattori: bont intrinseca del cibo, assoluta pulizia dello stesso e semplicit della preparazione, regole fondamentali per arrecare salute, giovialit ed energia anzich trasformarsi pericolosamente in veleni. Molta importanza riserva allaceto: In un paese vinifero quale il Piemonte, io sono per vero dire meravi-

gliato, come vi si abbia tanta difficolt per trovare buon aceto, per cui consiglia di farlo personalmente in casa con un botticino di rovere. Trattando delle paste giudica che i maccheroni di Napoli sono tra le specie la migliore cos pel loro gusto, come per la loro fermezza, non disfacendosi essi nella cottura. La sua una lezione di apertura mentale nellapplicare le ricette proposte nel libro, consigliando di utilizzare i prodotti di ogni regione: Hanno le varie contrade i loro prodotti particolari eccellenti nella loro specie, con cui si possono eziandio supplire occorrendo ad altri pi o meno indispensabili in cucina. Consiglia di

GRAN DNER PER IL REGNO DITALIAII Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato. Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue. Articolo unico: II Re Vittorio Emanuele II assume per s e i suoi Successori il titolo di Re dItalia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino add 17 marzo 1861. Quel giorno, era una domenica, con queste parole nasceva ufficialmente il Regno dItalia. Unaccurata ricerca sui documenti dellArchivio di Stato di Torino, completata alla Biblioteca reale sul libro Les royal-dners di Edouard Hlouis allora capo-cuoco di casa reale, mi ha permesso di soddisfare un mio interrogativo: se lo storico avvenimento fosse stato celebrato a corte con un banchetto ufficiale. Il pranzo avvenne nel Palazzo reale a Torino tre settimane dopo, domenica 7 aprile 1861. Con sua maest il re Vittorio Emanuele II erano presenti 65 illustri invitati tra cui Camillo Benso conte di Cavour, presidente del Consiglio, con tutti i suoi ministri. Sotto la scrupolosa direzione di Giuseppe Casimiro Teja e Luigi Giaccone, controllori degli uffizii di bocca e cucina, il gran dner fu allestito da Edouard Hlouis capo-cuoco, da Giovanni Trocello, Domenico Gonetto, Giuseppe Gariglio aiutanti del capo-cuoco, e dal rimanente personale di cucina. La spesa di materie prime per preparare il menu ammont a 1.596 lire e 31 centesimi. II giorno dopo, luned 8 aprile, il gran dner venne riportato e messo in risalto dalla Gazzetta di Torino. (Giorgio Lozia)

tener conto anche di prodotti meno conosciuti, sempre di buona qualit, e fornisce anche una lezione di economia domestica suggerendo lutilizzo degli avanzi: Si pu trarre ottime insalate da un pezzo di lesso, eccelse frittate o palline di carne con gli avanzi di arrosto o dalle carni stufate, anche i legumi possono rivitalizzarsi in puree, frittelle, flan. Fa eco a questa economia, la saggezza nella spesa, con lattenzione dellacquisto giornaliero per evitare leccesso di alimenti che facilmente potrebbero guastarsi. Il libro di Chapusot rivolto soprattutto alla buona massaia, pi raramente egli si appella ai cuochi, e si caratterizza per un aspetto non riscontrabile in altri testi dellepoca: egli traduce sistematicamente in piemontese il nome degli alimenti, quello degli utensili di cucina, il modo di cucinare, i nomi delle preparazioni cucinarie. La sua lodevole iniziativa ben comprensibile in quanto la lingua parlata dalla popolazione (cui rivolto il suo ricettario) era esclusivamente il piemontese. Nel descrivere le numerose ricette, che naturalmente spaziano dalle minestre ai sughi, dalle carni alle verdure, dai pesci ai dolci, Chapusot per ogni preparazione esprime in modo significativo il proprio giudizio, fornendo anche una valutazione finale del piatto, sia sotto laspetto visivo sia sotto quello salutistico, dimostrando unattenzione di fondo per la qualit degli alimenti, per la loro cottura, per il benessere dello stomaco, non trascurando i dettami religiosi per i giorni di magro. Il testo di Chapusot innovativo per il suo tempo, sia per la riduzione nella quantit dei servizi, tre o quattro messi semplici, sia per lattenzione alla spesa; egli auspica con grande anticipo la nascita di scuole di cucina per migliorare la categoria professionale, non soltanto per le cucine aristocratiche ma soprattutto per quelle borghesi.

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Che bel quadro: lo mangerei!DI ALFREDO PELLE Accademico apuano Centro Studi F. Marenghi

Attraverso le arti figurative si pu seguire il rapporto tra uomo e cibo nella storia.

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he vi sia una specie di contaminazione fra arte e cucina cosa nota, cos com noto che vi sia un rapporto ben preciso fra luomo e il cibo. Questo rapporto si fonda su basi sociali connesse alle condizioni ambientali, alle abitudini, agli stili di vita ed in perenne evoluzione. Insomma si pu vedere, attraverso lopera darte, la storia delluomo sotto il profilo del cibo, dellalimentazione. Diceva DAnnunzio: Se la fame e la sete sono gli impulsi primitivi nelluomo (e nella bestia) lassociare tali impulsi a valori estetici un servire la causa della cultura ben pi efficacemente che le noiose ed oziose dissertazioni morali e filosofiche. Cos guardare una natura morta o una scena di vita diventa strumento non solo per lesplorazione concreta del reale ma anche, per dire come Lvi-Strauss, un modo per accedere alla conoscen-

za della societ del tempo. Guardiamo allora quel mangiatore solitario che il contadino con la scodella di fagioli del Carracci, la frugalit della scena, la rozzezza dei modi e dei comportamenti, e intuiremo il modo di vivere di unintera classe sociale o, se cerchiamo di capire la felicit dei mangiatori di ricotta del Campi (anchesso della seconda met del Cinquecento), con il loro ridere sdentato, il loro vestire raffazzonato, la bocca piena di ricotta, capiremo molte cose del bello e del buono in alcune classi sociali. Ma la ricchezza portava ben altri cibi sulle tavole: lo stesso Campi (il quadro a Brera) dipinge una cucina nella quale vi ogni ben di Dio di volatili, oche, anatre, galli, capponi, e poi pavoni spennati, beccacce, fagiani, lepri. Della stessa natura e abbondanza il quadro che ritrae la pescivendola: dallo storione allaragosta, dalla carpa alla trota, alla rossa triglia, tutto indica una tale ricchezza di cose da far intuire la sontuosit della tavola. In origine il termine natura morta, coniato verso la seconda met del XVIII secolo, aveva un lieve senso dispregiativo, perch si contrapponeva, con i suoi oggetti inanimati, allatmosfera della natura vivente. Da sempre la curiosit delluomo di conoscere i particolari della vita dei propri antenati ha trovato, nelle arti figurative, elementi di grande importanza. Per quanto ci riguarda innumerevoli mosaici romani ci hanno illustrato le ghiottonerie alle quali non sapevano resistere i nostri progenitori: interi pavimenti di pesci a Pompei o il mosaico nella villa del Fauno ci mostrano il livello di ricercatezza al quale erano arrivati in gastronomia. E anche dal Medioevo abbiamo tracce evidenti di come dovessero essere la quotidianit e la festa: il Theatrum sanitatis o le in-

numerevoli miniature tedesche (penso a un macellaio di Norimberga del XIII secolo intento a tagliare un cinghiale) ci rimandano a unalimentazione semplice ma abbondante. Ma fu la pittura fiamminga, con la naturale propensione a un luminoso cromatismo e a un minuzioso realismo, a tramandarci con chiarezza i cibi che arrivavano sulla tavola. Vediamo cos le carni arrostite sulla tavola nel Banchetto di Hals; la quantit incredibile di frattaglie, testa di vitello, piedini di maiale, nella Piccola macelleria di Peter Aertsen; la sontuosit nel bue squartato di Rembrandt, tanto quanto vi di abbondanza nella Cucina ricca di Brueghel il Vecchio. Della tavola come spettacolo si hanno testimonianze fino alla fine del Settecento: il Bella dipinse pranzi a Venezia (memorabile quello dei Duchi del Nord del 1782) ma, prima di lui, con altri intenti artistici, il Veronese dipinse le Nozze di Cana e il Caravaggio ci mostra la sacralit del cibo nella Cena in Emmaus. Anche lOttocento ci ha lasciato istantanee di piatti o di cibi. Ricordate il prosciutto di Manet, gi in parte affettato, con la cotenna marrone di affumicatura? O il Pasto di Gauguin dove unenorme ciotola campeggia su una tavola? O Le petit djeuner di Monet con biscotti, uova, acetiera e oliera in tavola? Manca, per, il fascino dello scoprire: di quella bella fetta di prosciutto si sente quasi il profumo. Vediamo ancora con curiosit la Vucciria di Guttuso nellaccurata descrizione di carni e verdure del mercato di Palermo e poi arriviamo ai quadri di Andy Warhol, che attinse i temi dal repertorio pubblicitario. Ma qui come mangiarsi unidentit: la ricerca finita.

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Un frutto ricco di storiaDI AMEDEO SANTARELLI Accademico onorario di Termoli

Il fico un frutto molto amato, ritenuto, nellantichit, simbolo di conoscenza e abbondanza.

bellissimo e particolare lalbero di fico, con i suoi sette, otto metri di altezza, la corteccia liscia e grigia, e le foglie grandi, a tre e cinque lobi, spesse e rugose. Ed forse anche per questa sua cos particolare bellezza, che il fico trova spazio negli scritti di sommi poeti: Omero decanta i dolci fichi del giardino di Alcinoo; Dante lo cita nel XV canto dellInferno, e ne parlano Leopardi e Pascoli, Torquato Tasso e Pietro lAretino. Il fico ha origini antichissime, certo pi antiche del primo uomo, che biblicamente per vestirsi ne utilizz una foglia. Pare, infatti, che il fico fosse presente gi nellera geologica del Cretaceo, e lo attestano rinvenimenti fossili in Francia e in Italia, cos come i disegni a ornamento delle piramidi egizie. Proveniente dai paesi mediorientali, la pianta di fico si diffuse nei paesi mediterranei probabilmente a opera dei Fenici, e lo fece assai rapidamente, grazie alla sua capacit di crescere spontaneamente, adattandosi allambiente con grande facilit. Nel secolo successivo allarrivo di Cristoforo Colombo, approd anche in America. Pare che le specie di fichi oggi conosciute siano pi di settecento, tutte raggruppabili in due grandi tipologie: a buccia verde liscia, con polpa bianco-rossa, e a buccia viola e polpa rosso-bruno. I primi si raccolgono a maggio e giugno, sono chiamati fioroni e hanno grande pezzatura, mentre i secondi, pi piccoli e pi dolci, detti proprio fichi o forniti, si raccolgono ad agosto e settembre. Tra le maggiori qualit selezionate si trovano il Gentile e il Columbro bianco, tra i fioroni, e il Brogiotto nero e il Verdesco tra i forniti.

Nellantichit classica, la pianta di fico, e i frutti che donava, ebbero enorme importanza, e in taluni casi, assurti a simbolo di conoscenza e abbondanza, furono considerati addirittura sacri. La Bibbia cita il fico innumerevoli volte. Nel libro IV dei Salmi, tra le piante colpite dal flagello della grandine che Dio mand in Egitto, si ricordano vigne e fichi. Sotto il regno di David, Balanon reggeva il dicastero per gli ulivi e i fichi. Il Corano, parimenti, nomina il fico con rispetto. La sura XCV, detta proprio del fico, inizia con linvocazione Per il fico e lolivo. E si narra che sotto una pianta di fico si trovasse Buddha al momento dellilluminazione. Certo che gli orientali non ponevano dubbi sul potere energetico dei frutti, tanto che gli atleti, in particolare, ne facevano largo consumo, certi di mantenere, forse anche per appoggio divino, alta la performance. Grande consumo di fichi si attesta anche nella Grecia antica, i cui abitanti ne erano talmente ghiotti da proibirne lesportazione e da affidare il controllo e il rispetto di tale veto a un funzionario preposto, il sycophanta. Tra i consumatori pi illustri si annoverano Platone, soprannominato il mangiatore di fichi, Democrito, che pure li amava molto, e Zenone, per il quale pare che i fichi fossero, addirittura, lunico cibo. Ai tempi di Omero, il fico era particolarmente amato anche perch il suo lattice era lunica sostanza nota per far cagliare il latte. Nellantica Roma, lamore per il fico, e la convinzione della sua sacralit, nacquero in seguito al racconto che allombra di questa pianta si rinvenne la lupa che allatt Romolo e Re-

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mo. Successivamente ricordandolo per essere stato il primo a fornire allumanit cibo, lalbero di fico fu dedicato a Rumina, dea dellallattamento, simbolo e fonte di prosperit. Il suo frutto fu considerato anche dono di Cerere, dalla quale si invocava la protezione del focolare domestico. Leggenda vuole che, quale segno di buon presagio, vi sia stata anche limprovvisa, spontanea e miracolosa comparsa di un fico nel foro romano. Si narra anche che limperatore Traiano proteggesse i fichi nella ferma convinzione che lasciarli inaridire portasse male, e che Catone il Censore, in considerazione dellimportanza che soleva darsi al frutto di fico, abbia simboleggiato proprio con esso la necessit di riprendere la guerra tra Roma e Cartagine. I patrizi romani, infatti, gustavano molto i fichi, e li amavano. Mangiafichi (ficus edit) si diceva di una persona panciuta di classe agiata, leggendo in tale ironica locuzione anche uneffettiva fiducia nelle virt nutritive del frutto. Virt che sempre Catone chiaramente sottolineava quando scriveva che agli schiavi nella stagione dei fichi il pane andava ridotto a una libbra. Anche nelle Metamorfosi di Ovidio compare il fico, quando sulla mensa di Filemone e Bauci, al momento della frutta, i fichi secchi si uniscono alle mele odorose. E pure nella Pompei prevesuviana il consumo dei fichi era considerevole, come dimostrano facilmente le numerose raffigurazioni dellepoca e come, pi tristemente, attestano i frutti carbonizzati presenti nel Museo archeologico nazionale di Napoli, a memoria della furia terribile scatenatasi dal vulcano nel 79 d.C. In sintesi, si pu certo affermare che nellantichit solo la vite si ricordava pi del fico. I fichi venivano consumati non solo come frutto ma anche come antipasto, serviti e insaporiti con sale, aceto e garum (specie di salsa al pesce, molto usata dai Romani). E si pensi addirittura

che, durante la prosperit imperiale, Marco Apicio, contemporaneo di Augusto, ingrassava i propri maiali con fichi secchi, dissetandoli con vino, e cuocendo poi i loro prosciutti in un particolare brodo, anchesso di fichi secchi, aromatizzati con alloro. In effetti, allepoca, il succo lattiginoso del fico era noto ai cuochi come inteneritore, poich le diastasi che contiene esercitano una vera predigestione delle carni dure. Vivendo quindi in una sorta di delirio gastronomico di fichi, sempre Apicio nel De re coquinaria, quale salsa per condire le polpette di pavone, propone lo sciroppo di fichi, ancor pi buono, dice, se fatto con i fichi della Caria, gli stessi esaltati da

Plinio, che i Romani chiamavano colore. Per poterne consumare sempre, i Romani usavano essiccare e conservare i fichi in molti modi. Columella ne riporta alcuni nel XII libro del De re rustica. Si ricorda, tra tutti, il sistema di impacchettarli, previa essiccazione e pigiatura umana (pedibus lotis), in recipienti di terracotta, mescolandoli a semi di anice e finocchio. Anche la Scuola medica salernitana dedic al fico la propria attenzione, sostenendone le propriet curative: Scrofa, tumor, glandes, ficus cataplasmati cedunt infatti si scriveva (le scrofole, e le glandole i tumori, con gli empiastri di fico guariscono).

Come avevano gi compreso gli antichi, il fico certo frutto energetico e, come con maggior consapevolezza possiamo asserire oggi, contiene vitamine A, B, C, ferro, nichel, manganese e potassio. Ha inoltre propriet emollienti, espettoranti, lenitive ed di ausilio contro la carenza di calcio. Le gemme della pianta sono ricche anche di enzimi digestivi utili contro la sonnolenza post prandiale. Mangiando fichi, quindi, si fa il pieno di vitamine e sali preziosi per il nostro organismo, e se freschi, si incamerano anche meno calorie di quanto comunemente si pensi: circa 50 Kcal per 100 grammi, calorie che invece si moltiplicano di almeno 5 volte se il fico secco, e ancor pi, se ripieno di mandorle, noci, cioccolato e caramello. In cucina, oggi pi di ieri, i fichi vengono adoperati con meravigliosa fantasia, non pi unicamente nei dolci e nelle confetture, bens anche negli antipasti, in sodalizio non solo con il gustoso prosciutto o il nobile culatello, ma anche con diversi formaggi, con la mousse di pomodori secchi e persino con alcuni carpacci di pesce. Tra i primi piatti con i fichi ricordiamo il risotto, mentre tra i secondi gli innovativi e ottimi modi di proporre la sempre squisitissima cacciagione. Non si pu chiudere il discorso sul fico senza ricordare che questo frutto, dopo la fermentazione (in Oriente pratica seguita), dona un vino (la Sycita di Plinio) dalla cui distillazione si ottiene poi una grappa di qualit, con cui ben potrebbe chiudersi un pranzo al fico. E come lalloro, albero amato da Apollo, anche il fico non mai colpito dal fulmine. Lo si pianti dunque in vicinanza delle case, oltre che per la sua bellezza e i suoi frutti miracolosi, anche per difenderle dalle saette durante i temporali, raccontando a chi lo ammirasse che per i Celti era lalbero della pace e dellabbondanza.

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Matrimonio italiano: nocciola e cacaoDI RENZO PELLATI Accademico di Torino

La nocciola apprezzata da migliaia di anni, ma il suo successo gastronomico iniziato solo a met Ottocento.

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ra la frutta secca la nocciola va considerata una superstar: dotata di caratteristiche importanti dal punto di vista sia alimentare che gastronomico. Gi nellantichit fu apprezzata come nutrimento dai nomadi raccoglitori di frutti selvatici. Costoro, dopo aver osservato nei boschi la preferenza ottenuta dagli scoiattoli e dai ghiri, vollero gustare il frutto ricercato da questi ghiotti consumatori. Non solo: gli attribuirono caratteristiche magiche. Galeno consigliava un impasto di nocciole, fichi secchi e ruta per guarire dai morsi degli scorpioni e dei serpenti. Le fattucchiere consigliavano di appendere al collo, con seta rossa, delle nocciole riempite di argento, per difendersi dalla peste. Angelo De Gubernatis, docente di sanscrito e mitologia comparata allUniversit di Firenze, a fine Ottocento

diceva che tanto potere deriva dal fatto che la nocciola ha delle somiglianze con la luna, sempre ritenuta misteriosa. Oggi si sa che la nocciola secca effettivamente dotata di un alto valore energetico perch ogni 100 g danno circa 655 calorie. stato dimostrato che il consumo regolare di nocciole (almeno 25 g al giorno, per 7 volte alla settimana) aumenta i livelli di colesterolo Hdl (quello buono) e abbassa quello Ldl e i trigliceridi, riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Questo perch la frazione lipidica costituita per oltre il 40% da acidi grassi monoinsaturi (come lacido oleico) e presenta il pi alto rapporto monoinsaturi/polinsaturi rispetto allaltra frutta secca. Bisogna per sottolineare che il successo della nocciola nel mondo della gastronomia dovuto al matrimonio con il cacao, che inizialmente fu un matrimonio di convenienza. A met Ottocento il prezioso oro bruno proveniente dalle Americhe costava un occhio della testa ed era di difficile reperimento. Due artigiani torinesi, Michele Prochet e Pierre Paul Caffarel, ebbero unidea vincente. Miscelarono la pasta di nocciola piemontese facilmente reperibile nelle Langhe (provincia di Cuneo) con cacao e da questo connubio nacquero i famosi cioccolatini gianduiotti. Correva lanno 1865. Va detto che ai primi dellOttocento erano fabbricati in Torino delle pastiglie al cioccolato chiamate diablotin e i givu (in dialetto piemontese significa cicca o mozzicone) che ebbero molto successo. Questi prodotti furono gli antesignani del cioccolato in forma solida: sino a questa data il cioccolato veniva gustato come bevanda. Inoltre, si vendevano delle nocciole arrostite in

tavolette che erano apprezzate da molti buongustai. Il prodotto dei due artigiani torinesi ebbe subito un grande successo e Gianduja, la maschera dei clamorosi carnevali torinesi di un tempo, va ad assaggiare questa nuova squisitezza e con grande solennit decide di dargli il suo nome. Strano destino quello delle nocciole: passa un secolo e pochi anni or sono un altro industriale dolciario piemontese, Pietro Ferrero, ripropone ad Alba, in provincia di Cuneo, laggiunta di pasta di nocciole al cacao, in forma spalmabile, e ha uno strepitoso successo in tutta Europa e nel mondo. Nasce una gamma di prodotti a base di cacao purissimo e nocciole (in inglese si dice nut): Nutella, cioccolato Duplo, Rocher e altri prodotti perfezionati dallinventiva del figlio del fondatore dellindustria suddetta, Michele Ferrero. Il successo dei prodotti dolciari a base di nocciola e cacao fu dovuto al particolare aroma della variet di nocciolo coltivato in Piemonte, definita Tonda, gentile, trilobata, la cui produzione concentrata nelle province di Cuneo, Asti e Alessandria, in un areale compreso tra le colline delle Langhe, del Roero e del Monferrato. La nocciola piemontese lunica Igp. Ormai non si contano pi le specialit dolciarie che contengono nocciola e cacao: citiamo il cremino Fiat della Majani, il bacio Perugina, le noccioline di Chivasso, il gelato alla nocciola e al torroncino, il torrone di Gallo dAlba, la squisita torta di nocciole. E infine, se andate ad Alba, nelle Langhe, o in ristoranti qualificati nella cucina piemontese, richiedete la carne cruda di vitella fassone tagliata o battuta a coltello, condita con olio di nocciola. Una bont.

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Il lichene islandicoDI GIANCARLO BURRI Accademico di Padova

Le indagini botaniche di Giuseppe Marzari (1779-1836) sfociarono nella proposta di raccogliere e coltivare il lichene come integratore della dieta delle popolazioni della montagna veneta esposte alla carestia.

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er le nuove generazioni il rischio di una globalizzazione e omologazione fuori controllo anche quello di un appiattimento culturale gastronomico, che potrebbe portare alla perdita dei valori di secolari tradizioni alimentari del nostro Paese. Come quella dellutilizzo alimentare delle piante spontanee, delle erbe dei campi, di cui si occupano pi discipline scientifiche sotto la bandiera della alimurgia (termine coniato nel 1767 dal naturalista toscano Ottavio Targioni Tozzetti fondendo le parole alimenta e urgentia, a significare provvedimenti basati sullutilizzo della flora selvatica spontanea per far fronte a carestie alimentari). Riferendo dei pregi gastronomici e terapeutici attribuiti dalle popolazioni rurali a piante come il raponzolo (Campanula rapunculus), il dente di leone (Taraxacum officinale), il ro-

solaccio (Papaver rhoeas) si potrebbero riempire volumi e volumi, ma, qualche volta, antichi tentativi di valorizzare - sotto il profilo nutrizionale - piante spontanee minori, sfuggono agli onori delle citazioni. Come per il curioso caso del lichene islandico, o muschio dIrlanda o lichene artico (Cetraria islandica). Correva lanno 1801. Durante la carestia che aveva colpito le popolazioni della montagna veneta, il conte Giuseppe Marzari Pencati, insigne geologo e naturalista, avviava - sullAltopiano dei Sette Comuni (oggi pi noto come Altopiano di Asiago, dal nome del suo principale centro) unaffannosa serie di esperimenti sulle piante indigene che potrebbero riuscire dun grande soccorso agli abitanti de villaggi sottoposti alle regioni alpine. Sulla base delle testimonianze sulluso popolare del lichene islandese come alimento, presso le popolazioni del Nord Europa, anche il Marzari volle cimentarsi alla bisogna utilizzando il tallo delle piante pi giovani. Inizialmente segu il metodo dei lapponi per spogliarle del principio amaro: una prolungata ebollizione nellacqua. Il lichene, cos purgato, accomodato in tecchia con un po di burro e della cipolla risult gradevole allassaggio, con un sapore simile a quello della cicoria. Alla ricerca di un metodo di lavorazione che incidesse meno sui valori nutrizionali del lichene, Marzari volle sperimentare la tecnica in uso presso gli islandesi: una semplice digestione, per pi giorni, in acqua fredda. Migliori i risultati, e tali da suscitare lentusiasmo degli abitanti di Campo Rovere, che dopo un pubblico assaggio di lichene in padella con burro e cipolla non finivano desternare me-

raviglia per aver fino allora ignorato luso di una pianta s comune fra loro, e che trovavano ottima. Qualche intraprendente massaia ne speriment lutilizzo in minestra (con il latte a neutralizzare completamente il sapore amaro), in insalata (lessato e condito con olio e aceto) e persino come dessert (fatto bollire con uva passa, cannella, vino bianco e zucchero). Lentusiastica attivit del Marzari non godette purtroppo del dovuto apprezzamento da parte delle autorit scientifiche dellepoca. Critiche, se non ostili, le relazioni scritte dalla Commissione delleconomia alimentare del Lombardo-Veneto, che a fronte di una presunta, eccessiva lunghezza della digestione in acqua fredda proposta dal conte vicentino, e di conseguenti danni sui valori nutrizionali del lichene, mostravano una pi entusiastica attenzione verso i pi rapidi metodi di purificazione chimica proposti, in Svezia, da Westring e Belzelius. Antesignano propugnatore della difesa degli alimenti da ogni possibile rischio da residui chimici di trattamenti tecnologici, Marzari si affann a dimostrare le conseguenze negative, per la salute dei consumatori, dei residui della lisciviazione con potassa caustica (idrossido di potassio), ma con poca fortuna. Indirizzando a sua eccellenza Pietro conte di Goess la sua risentita e polemica Memoria sullintroduzione del lichene islandese come alimento in Italia (apparsa solo nel 1815 a Venezia), rivendicando il merito di essere stato il primo che abbia introdotto in Italia questo vegetabile ad uso alimentare pegli uomini, Marzari chiuse praticamente le sue interessanti ricerche.

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Incontro italo-magiaroDI

FRANCESCO RICCIARDI

Un convegno internazionale davvero riuscito che per la comunit italiana a Budapest stato il momento di maggior prestigio del 2011.

utto nato lo scorso dicembre, in occasione della cena di auguri di Natale della Delegazione di Budapest. Il Delegato Alberto Tibaldi lanci lidea di organizzare un convegno internazionale dedicato ai 150 anni dellUnit dItalia. La proposta fu accolta con entusiamo e da quel momento Tibaldi stesso, Andrea Panizza e tutti gli Accademici volenterosi si misero al lavoro per organizzare levento. Trovato il supporto di alcuni sponsor istituzionali e la collaborazione dellIstituto italiano di cultura e dellAmbasciata dItalia a Budapest si sono stabiliti la data (dal 9 al 12 giugno) e il tema dellevento: Specificit e diversit nella cucina italiana a 150 anni dallUnit dItalia. A cose fatte - dice il Delegato di Budapest - per la comunit italiana in citt il convegno stato il momento di maggior prestigio del 2011. Lo stato per il successo riscosso, per il gran numero di ospiti italiani che levento stato in grado di attrarre, per il positivo riscontro che ha avuto in citt: oltre ai partecipanti, erano 33 i giornalisti accreditati alla conferenza

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stampa e numerosi sono stati gli articoli apparsi sulla stampa nazionale e della capitale e sui blog specializzati (in lingua ungherese, purtroppo dunque di ostica fruizione per il pubblico italiano). Il programma legato al convegno si articolato attraverso tre giornate. La sera di gioved 9 giugno la Delegazione di Budapest ha accolto gli ospiti (alloggiati in centro presso gli ottimi alberghi Corinthia, Boscolo, Soho e Zara) sul battello Zsofia, a bordo del quale una suggestiva navigazione notturna lungo il Danubio ha accompagnato la cena di benvenuto curata dallo chef Graziano Cattaneo. Lindomani, presso lIstituto italiano di cultura (il direttore Salvatore Ettorre a fare gli onori di casa), un pubblico folto e attento ha ascoltato il saluto dellambasciatore dItalia in Ungheria Giovan Battista Campagnola. Il convegno si quindi aperto con gli interventi del Delegato di Budapest Alberto Tibaldi - che ha introdotto e moderato -, di Sergio Corbino, Delegato della Penisola Sorrentina (Ricordo e nostalgia da lontane terre nei sapori e

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profumi della cucina tradizionale napoletana) e del professor Szab Gyz che ha intrattenuto sul tema Risorgimento e cucina dItalia visti dallUngheria, interessante intervento gi pubblicato da Civilt della Tavola nello scorso numero di luglio. Szab Gyz, grande amico dellItalia, ha tenuto la cattedra di Italianistica presso lUniversit Eotvos Lorand di Budapest, stato professore incaricato di lingua e letteratura ungherese e di filologia ugrofinnica presso lUniversit di Padova (19761985) e ha diretto lAccademia dUngheria a Roma (1999-2003). stata poi la volta del Segretario generale Paolo Petroni, che partecipava al convegno sia in veste istituzionale, in rappresentanza dellAccademia, che come relatore. LInfluenza dellopera di Pellegrino Artusi sulla nascita della cucina italiana moderna stato il tema della sua relazione che ha ripercorso la storia delle varie edizioni del libro, sgombrando il campo, tra laltro, da alcune leggende e inesattezze legate allopera del gastronomo di Forlimpopoli. Il convegno si chiuso sulle parole dellultimo relatore, Sergio Mei, grande chef italiano che ha raccontato, sulla base della propria lunga esperienza, i Valori della Cucina italiana allitaliana nel panorama mondiale. Uomo di poche parole e fatti concreti, Sergio Mei, origine sarda, un perfetto ambasciatore dellitalianit in cucina, sempre pronto a comunicare con semplicit al mondo lessenza mediterranea. Mei executive chef del Four Seasons hotel di Milano ed stato pi volte consulente di celebri ristoranti italiani allestero (a Parigi, Istanbul, Nuova Delhi, Tokyo, New York e San Francisco, Budapest). stato Cuoco italiano dellanno nel 1998 e lunico italiano chiamato a insegnare allEcole Lentre de Plaisir a Parigi. Conclusi i lavori congressuali, un pranzo a buffet presso il ristorante Karoly Kertes ha fatto da aperitivo alla visita guidata alla citt di Budapest organizzata nel pomeriggio. Alla

sera la cena di gala in onore del Presidente (questa volta rappresentato dal Segretario generale Petroni accompagnato dalla signora Roberta) si tenuta nella ballroom del Corinthia grand hotel Budapest. Unoccasione nella quale era impegnato ai fornelli lo chef israeliano Joel Khalil e che ha incluso la breve e simpatica cerimonia della cooptazione in Accademia dellambasciatore Campagnola, decorato da Paolo Petroni col nostro distintivo. La mattina del sabato stata invece dedicata a unescursione a Lazar Lovas Park, centro ippico e fattoria immersi nella campagna dove un affa-

scinante spettacolo di splendidi cavalli e abilissimi cavalieri magiari (Csikos) ha tenuto avvinti i partecipanti fino al pranzo tradizionale allungherese (a base di carni), accompagnato da musiche e balli gitani e di folclore locale. Nel pomeriggio la visita al castello di Godollo ha svelato i segreti della residenza in terra magiara della principessa Sissi. Lindomani, domenica, prima del rientro a casa rimasto ancora del tempo ai partecipanti per godersi Budapest, chi per conto proprio chi accompagnato da una guida, percorrendone a piedi le vie pi caratteristiche.

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CENA DI GALABallroom Corinthia grand hotel Budapest 10 giugno 2011 Terrina di foie-gras marinato al Tokaji Crema di funghi freschi con salmone norvegese Sorbetto di lamponi con Palinka ungherese Petti danatra arrosto e cosce stufate in rotolo Asparagi verdi, funghi Portobello e confit di patate dolci allaceto di ciliegie e sugo danatra Torta al pistacchio, cremeaux di cioccolato, rag di ciliegie fresche Piccola pasticceria e caff Bianco: Lisicza, Sauvignon blanc 2010, Pecs Rosso: Grf Zichy, Cabernet Sauvignon 2008, Szekszrd

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Pane e cipolla a spasso nel tempoDI MARIA CRISTINA CARBONELLI DI LETINO Accademica di Isernia

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Il convegno ha seguito la storia della cipolla dallantica Roma al Novecento.

l convegno dal titolo Pane e cipolla a spasso nel tempo, organizzato dalla Delegazione di Isernia, ha arricchito la settimana di eventi che ricordano lantica Fiera delle cipolle. Grazie agli sforzi e allimpegno degli enti preposti, delle istituzioni e dellAccademia, questo eccellente prodotto sta finalmente riacquistando il suo posto, affinch le ricette dove protagonista possano essere realizzate finalmente secondo la tradizione. Un percorso lungo ma, come vedremo, i risultati cominciano a essere evidenti. Nella giornata precedente il convegno, gi molti Accademici arrivano da Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Campania, per condividere momenti di cultura gastronomica e di conoscenza di un territorio ricco di arte, storia e tradizioni. Nel centro antico di Isernia, il prof. Natalino Paone, preziosa guida in questa citt di cui conoscitore profondo, illustra il Museo, la cattedrale, la piazza Concezione con i resti delle antiche mura sannitiche, la Fontana fraterna simbolo della citt, il Museo del tombolo e della guerra. La cena di benvenuto, allaperto, una bella sosta insieme dove, con limpegno di tutta la famiglia dei proprietari del ristorante, si pu avere gi il piacere di assaporare, in alcune delle curate pietanze, la delicatezza e il sapore dell eccellente cipolla. lonomastico della Delegata che riceve laugurio di tutti, racchiuso in un prezioso bouquet di rose. La mattina successiva, visita a Venafro dove, con la preziosa guida dellarch. Franco Valente, si possono ammirare le vestigia di questa antica citt romana e, al ristorante la Masseria, in un bel parco di olivi, un eccellente pranzo-buffet allaperto esal-

ta la tradizione gastronomica locale, ricca e saporita. Tornati a Isernia, nel pomeriggio, iniziano i lavori del convegno-incontro. Laula magna dellUniversit del Molise, messa a disposizione dal magnifico rettore prof. Giovanni Cannata, accoglie un ricco, numeroso pubblico. Il presidente della Regione, governatore dott. Michele Iorio, dopo aver riconosciuto la qualit dellattivit dellAccademia, si mostra molto interessato allargomento del convegno, alla rivalutazione e al riscatto di Isernia, alla tradizione della sua cipolla che non ha solo un importante posto nella gastronomia, ma un profondo significato storico, culturale e scientifico. La Delegata d il benvenuto al Segretario generale dellAccademia Paolo Petroni, alle autorit, agli Accademici, ricordando la visibilit ottenuta in questi dieci anni di attivit della Delegazione, sempre impegnata a sottolineare gli aspetti culturali della civilt della tavola e della convivialit. Ringrazia il presidente della Camera di commercio di Isernia dott. Luigi Brasiello per la compartecipazione nella consegna del premio Allium cepa, alla sua terza edizione. Brasiello ricorda come la collaborazione serva da stimolo e introduce largomento cipolla, limportanza del suo recupero, gli incentivi e le iniziative intraprese in questo senso che vengono ulteriormente illustrati dai fautori del recupero del germoplasma delloriginaria cipolla di Isernia da parte dellUniversit degli studi del Molise, ossia i professori Sebastiano Delfine e Stefania Scippa e lAccademico Mario Stasi. Dopo la consegna dei tre premi assegnati a chi si particolarmente distinto per limpegno e la competenza culturale nel campo dellenogastro-

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nomia, Giuseppe Benelli, premiato lanno scorso, ricorda il ruolo della cipolla nellantica Roma. Anna Martellotti narra di come nel Medioevo questo ortaggio si nobiliti alla corte di Federico II. Tommaso Lucchetti, anche lui premiato lanno scorso, ci accompagna, fra le corti e i villani, negli anni dellUmanesimo e del Barocco. Massimo Ricciardi, Accademico di Napoli, sostituisce Petronio Petrone, leggendo brillantemente la sua relazione su quanto accadeva nel Settecento e nellOttocento a Napoli. Norberto Lombardi, che ha voluto vir-

tualmente condividere il suo premio con le tre Delegazioni del Molise, si sofferma su cosa hanno significato il pane e cipolla nellidentit storica molisana. Il convegno coordinato da Donatella Lippi, che durante il viaggio nelle varie epoche ha aggiunto curiosit e commenti, per concludere con unode alla cipolla, composta dal Bronzino, pittore toscano. Un premio alla memoria stato assegnato allAccademico Renato Lalli, grande storico molisano cui la sua regione deve molto; e il premio per i molisani che allestero valorizzano la

LA NEVOLA DI ORTONACon una cerimonia assai semplice ma densa di significato storico e normativo stata celebrata la codifica notarile di una delle pi antiche ricette della tradizione cucinaria abruzzese: la nvola di Ortona. Si tratta di una cialda dal sapore delicato, arrotolata a forma di cono, costituita da un impasto di farina, mosto cotto e olio, aromatizzata con semi di anice, cotta tra due apposite piastre di ferro arroventate. Il nome deriva dal latino nbula (nebbia); chiamata nei vicini territori pure ferratella o catarretta oppure pezzella. La sua esistenza documentata sin dal XV secolo, infatti Maestro Martino (De Rossi), nel suo Libro de arte coquinaria, cita le nvole nella ricetta Per fare marzapane, laddove consiglia di predisporne assieme ad acqua di rosa. Il sapore delle nevole ortonesi dipende dal tipo di ferro impiegato: quello, cio, appartenente a ogni famiglia che rispetti la tradizione, ha fatto notare il prof. Franco Cercone, in occasione della riunione conviviale seguita alla cerimonia di codifica. Egli ha inoltre spiegato che un tempo il mosto cotto utilizzato nella preparazione delle nevole proveniva dalluva Pergolone o uva di San Francesco, che ha segnato la storia della cittadina adriatica attraverso i decenni e che, oggi, costituisce il pi lacrimato dei rimpianti a causa della sua decadenza ampelografica seguita, fatalmente, da uninquietante emarginazione culturale. Infatti, tutti i tentativi di riportare quel frutto allantico splendore hanno finora prodotto soltanto risultati deludenti, a dispetto di sforzi operati con lantica passione ortonese coniugata alla moderna tecnologia, con intenti non solo meramente commerciali. (Pino Jubatti) La ricetta: Per 150 nevole, occorrono: 1,5 kg di farina integrale Cappelli; un litro di mosto cotto; 450 gr di olio extravergine doliva; 150 gr di zucchero; anicini, cannella e scorza darancia. Si realizza una cialda con tutti gli ingredienti, quindi la si pone in uno stampo in ferro a temperatura ottimale, sul quale si versa di tanto in tanto una goccia dolio. Una volta messa la cialda nel ferro, questo va posto sulla fiamma del gas (un tempo sulla fornacella) e girato dopo alcuni minuti.

cucina e i prodotti del loro paese di origine, viene attribuito a Giovanni Delli Carpini di Monteroduni, titolare di ristoranti italiani in Lussemburgo. Con parole di compiacimento il Segretario generale conclude lincontro. Come ha detto Benelli, cibo e alimentazione rappresentano la fantasia per le infinite qualit e modi di cucinare, mentre grandi idee, grandi progetti avvengono a tavola perch l la comunicativa vola. Infine, la cena di gala ha visto riuniti i partecipanti al convegno nel chiostro del convento di S. Francesco, dove lottimo menu propone gustose varianti di quello che la cipolla pu offrire. Al termine di questa ricca, riuscitissima giornata, uno spettacolo di tenera tradizione offerto dalla Provincia: la Vestizione della sposa, geniale idea del bravissimo dott. Antonio Scasserra, collezionista di questi preziosi antichi costumi e ori: un interessante momento di tradizione cui la presenza della dottoressa Emilia Vitullo ha dato profondo significato e valore. Si assiste cos alle varie fasi, ricche di simbologie, di questa vestizione dove nulla casuale, dove ogni indumento, accessorio, gioiello, ha un suo perch, una sua storia. stata per molti unesperienza originale, nuova e inattesa, davvero molto apprezzata. La sfilata finale delle ragazze nei bei costumi tradizionali di Roccamandolfi stata commentata da un generale, sentito, affettuoso applauso. La domenica mattina, ancora una tappa particolarmente interessante: c la possibilit di assistere a Campobasso alla Sagra dei misteri, che non ha mai data fissa perch si svolge il giorno del Corpus Domini. Accolti dalla Delegazione di Campobasso, gli Accademici possono cos ammirare il passaggio dei 13 carri allegorici sacri, dove congegni settecenteschi sostengono bimbi sospesi in aria vestiti da angeli e santi. stato un bel momento di cultura che si conclude al ristorante da Mario, dove vengono proposti piatti tipici legati a questa festivit.

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Nel Golfo della SpeziaDI

MARINELLA CURRE CAPORUSCIO Delegata della Spezia

Nel convegno sono state illustrate le ragioni politiche, economiche e sociali che hanno sconvolto una tranquilla citt di mare.

stato il teatro grande dellArsenale ubicato nella base navale della Spezia, gentilmente concesso per la prestigiosa occasione dalla Marina militare, Dipartimento marittimo dellAlto Tirreno, ad accogliere il convegno Unit dItalia nel Golfo della Spezia: la tradizione a tavola prima e dopo la nascita dellArsenale. Presentato dalla Delegata, il convegno, che faceva parte delle manifestazioni per le celebrazioni dellanniversario dei 150 anni dellunificazione dItalia, ha avuto il patrocinio della Prefettura, del Comitato promotore delle celebrazioni, della Provincia e del Comune della Spezia e ha visto la partecipazione del Presidente dellAccademia Giovanni Ballarini, del Segretario Generale Paolo Petroni, del Consultore nazionale Franco Cocco, delle massime autorit civili e militari. Numeroso il pubblico - ben 290 persone - tra cui tanti studenti degli istituti superiori. La cucina una delle espressioni pi profonde della cultura di un territorio, diversa da regione a regione, da citt a citt. Racconta chi siamo, riscopre le nostre radici, si evolve con noi e costituisce lidentit di un popolo, rappresentandoci nel confronto con gli altri. Alla luce di tutto questo, ritenendo fondamentale per levoluzione della cultura gastronomica del territorio la presenza della Marina militare e la conseguente realizzazione dellArsenale nel Golfo della Spezia fin dallanno 1861, abbiamo pensato a un convegno che mettesse a fuoco la tradizione a tavola prima e dopo quel grande fatto sociale rappresentato dalla costruzione dellArsenale. Cos la Delegata Marinella Curre Caporuscio ha spiegato i motivi della manifestazione. La presenza del Presidente Ballarini ha sottolineato limportanza delle-

vento e le relazioni di tre Accademici (il Coordinatore territoriale della Liguria e membro del Centro Studi Paolo Lingua, ed Egidio Banti e Giuseppe Benelli) hanno dato vita a un quadro di ampio respiro. Paolo Lingua ha parlato del contesto socio-economico dellallora neonato Regno dItalia con una relazione su La Spezia e la Liguria, chiavi di volta della costruzione industriale ed economica del nuovo Regno dItalia: storia sociale e alimentazione. Le ragioni politiche dello sconvolgimento di una tranquilla citt di mare sono state loggetto della sua ricerca e la figura di Cavour emersa con prepotenza in un discorso fra industria e collegamento con la realt di Genova. Ha cos illustrato le strategie che hanno portato la tranquilla citt della Spezia al livello delle pi note Savona e Oneglia raccontando le vicende che condussero al mutamento dellaspetto morfologico-etnografico di un golfo vocato dalla natura a bellezza unica. Tra forni, mescite, antiche osterie: appunti per una storia del paesaggio urbano spezzino nel dopo Arsenale stata la relazione di Egidio Banti e non poteva mancare lo sguardo su una protagonista gastronomica del periodo: la mitica farinata. Nella mappa del paesaggio urbano, sottile filo rosso di chi si dirigeva verso la stazione per prendere il treno del ritorno a casa alla sera, la farinata diventata simbolicamente il segno del primo ammazza fame assieme allaltrettanto simbolico bicchiere di vino (il goto). Storicamente delineati da Banti, i locali spezzini sono emersi in un piacevole racconto dedicato anche ai pranzi della domenica fuori porta. Tutti quadri di vita perfettamente inseriti nel discorso di recupero della tradizione che fa parte del

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grande programma culturale dellAccademia. Quadri di vita che vedono protagonisti alla Spezia personaggi importanti come il Carducci ( rimasto famoso il rinforzato che beveva). Cos, nella relazione di Egidio Banti sono riemersi i tempi di Annie Vivanti e di Severino Ferrari, le immagini della Spezia descritta dal Pascoli nelle lettere alle sorelle e locali come il Negrao, il Rossetto, lAutedo, lInferno e sulla via napoleonica di Portovenere, il Bottegone (primo esempio di rivendita di vino e generi alimentari a km zero). Giuseppe Benelli con La Spezia e la Val di Magra: evoluzione della tradizione a tavola dal Risorgimento in poi ha ricordato lentroterra e le battaglie per unificare il territorio. emersa nel suo discorso la Lunigiana come terra di dinastie familiari senza

identit, ma che avevano un grande orgoglio: il ricettario di famiglia, che non si dava a nessuno, per cui la cucina non pretendeva di farsi globale, ma restava appunto orgogliosamente legata al territorio. Ha ricordato come la tradizione dei piatti delle famiglie nobili sia stata portata tra il popolo dalle figlie dei mezzadri a servizio presso le famiglie patrizie, in una specie di praticantato particolarmente ambito e ricercato. Ha rievocato la spongata gustata dal Gioberti in visita a Sarzana e in Lunigiana nel 1848 e un aneddoto sul poeta Gino Patrone che, a Milano per lavoro, per respirare ogni tanto aria del golfo e riassaggiare i piatti che gli mancavano tanto, prendeva il treno per La Spezia, correva in una farinateria che sapeva ancora aperta e alle due riprendeva il treno per essere alle otto a Milano.

Nove studenti dellistituto alberghiero Casini hanno dato vita a un piccolo spettacolo teatrale sulla dieta di Vittorio Emanuele II, gastronomo appassionato, amante del tajarin e del bollito, su quella di Cavour (riso e pasticci), di Garibaldi (stoccafisso e minestrone al pesto), di Mazzini (dolce alle mandorle). Lintervento del Presidente Ballarini ha chiuso il convegno, cui seguito un gran pranzo risorgimentale di casa Savoia a cura degli insegnanti e degli studenti dellistituto Casini, con menu tratto dal Trattato di cucina, pasticceria moderna, credenza e relativa confetteria di Giovanni Vialardi. Il Presidente Ballarini ha donato agli studenti la medaglia dargento dellAccademia, come riconoscimento e apprezzamento per il loro lavoro.

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LA SPEZIA AI TEMPI DELLARSENALEIl piccolo borgo di pescatori denominato La Spezia, nella prima met dellOttocento inizia a crescere rispetto agli altri disseminati lungo larco del golfo, sia per la posizione protetta sia per le caratteristiche turistiche che cominciava ad avere. La nuova Spezia nasce, invece, a partire dal 1860-1861, per la decisione del conte di Cavour di trasferirvi la base navale principale del nuovo Regno dItalia e costruire lArsenale. La popolazione cresce con ritmi vertiginosi, anche perch la citt diventa il punto di riferimento per gli operai provenienti dalle regioni circostanti, che con le proprie famiglie cercano lavoro nel costruendo Arsenale e poi, dopo gli anni Settanta, lavorano nellArsenale stesso e nelle grandi fabbriche che vanno sorgendo. A essi si aggiunge la variegata presenza del personale della Marina militare. In citt aprono e si sviluppano locali pubblici di diverse dimensioni: i forni, le mescite, le trattorie. Alcuni di questi locali hanno sfidato il tempo e le innovazioni e sono ancora oggi esistenti. La vita del centro cittadino si trasforma, vengono ospitati personaggi di tutto rilievo, tra cui Carducci e Pascoli, ma anche lepoca in cui si rilanciano le tradizioni popolari, anche gastronomiche. Cos, nel secondo Ottocento, ritorna il consumo della farinata, soprattutto di quella da asporto. Con la ricetta tradizionale, il forno a legna e luso delle grandi teglie rotonde, la farinata nella Spezia moderna diventa il cibo dei lavoratori, talvolta unico della giornata. In Arsenale, allepoca, non cerano mense - salvo per ufficiali e sottufficiali di Marina - e chi ci lavorava doveva portarsi qualcosa da casa. In alternativa, alluscita dal lavoro, cera il forno Sacrista, i cui lavoranti erano addestrati a predisporsi per un vero e proprio superlavoro in coincidenza con gli orari di uscita degli operai, che acquistavano un po di farinata infilata - a mo di panino - in una fetta di focaccia con lolio. La farinata, in alternativa alla vendita da asporto, veniva consumata presso diverse osterie: in questo caso, con un pizzico di pepe cosparso sulla torta dorata e laccompagnamento di un bicchiere di vino rosso delle mescite di campagna o di periferia. Si pu dunque dire che la farinata, cibo poco costoso ma ricchissimo per il gusto, rappresent uno degli elementi di sviluppo, attraverso i forni, del paesaggio urbano e di quello suburbano della citt in espansione. La stessa cosa va detta per le mescite di vino che si trasformarono ben presto in vere e proprie trattorie. Se la costruzione dellArsenale genera due citt, quella borghese o antica e quella operaia o umbertina - tanto divise che un prete Santo, don Bosco, viene apposta alla Spezia per istituire la presenza dei suoi religiosi proprio nel punto di sutura di queste due realt, in via Roma -, la cintura delle trattorie fuori porta, antiche mescite nobiliari ora aperte al pubblico, invece un elemento di unione, specie nei giorni di festa. I forni di farinata e le mescite di vino rappresentano, infatti, loccasione attraverso la quale la comunit cittadina poteva sfamare, con cibo di qualit, ingenti masse popolari richiamate l dal bisogno e dalla necessit del lavoro.

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Il mosaico della cucina toscanaDI

ROMOLO CIABATTI Accademico di Lucca

La regione riproduce le caratteristiche dellintero Paese, sia per la variet del territorio sia per il repertorio gastronomico storicamente stratificato.

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a vexata questio se esista una cucina italiana, o non piuttosto tante cucine regionali, affiorata in occasione delle celebrazioni del 150 dellUnit dItalia, che hanno messo in giusta evidenza il non trascurabile apporto della cucina nel processo di formazione dellidentit culturale del Paese. ben vero quanto afferma Massimo Montanari - LItalia delle cento citt e dei mille campanili, anche lItalia delle cento cucine e delle mille ricette -, ma si deve pur riconoscere che questa pluralit si ricompongono in un grande mosaico di culture e di cucine, in cui si armonizza una molteplicit enogastronomica, un patrimonio immenso di conoscenze e di tradizioni, una cucina insieme regionale e nazionale, una sorta di federalismo gastronomico. E si potrebbe richiamare in proposito la Guida gastronomica dItalia che

il Touring club pubblic nel 1931, un repertorio di prodotti e specialit alimentari, unarticolata rilevazione della pluralit di sapori diffusi sullintero territorio. Per usare una significativa espressione di Giovanni Ballarini, una autentica unit nella diversit. La Toscana in questo senso un caso esemplare, che riproduce le caratteristiche dellintero Paese. Anzitutto il territorio, composito proprio come quello italiano, con aree che vanno dalla costa ai colli, dalla pianura alle montagne, in particolare con quattro province affacciate sul Mar Tirreno, e un litorale che si estende per circa 600 km da Marina di Carrara ad Ansedonia, dalla foce del Magra a Porto Santo Stefano, con le isole dellarcipelago. Proprio questa multiforme realt costituisce la ricchezza della Toscana e tale situazione di base non poteva che dar origine a un vasto repertorio gastronomico storicamente stratificato, con piatti e tradizioni diverse in ogni citt, in ogni paese, in ogni localit. Insomma, la Toscana dei comuni, in simmetria con lItalia delle regioni. Inoltre, cos come lo schema alimentare nazionale risulta impostato sulla cultura popolare, la cucina toscana, di origine prettamente rurale, particolarmente attenta allimpiego dei prodotti vegetali (i toscani mangiaerba), che affonda le sue radici nel Medioevo e nel Rinascimento, marca una profonda continuit con la cucina contadina, nonostante la coesistenza tra la mensa dei signori, contraddistinta dallutilizzo della carne, e la tavola dei ceti inferiori, incentrata sui prodotti della terra. Una cucina semplice, decantata in Cucina toscana da Gustavo Pierotti: La semplicit le norma prima E infatti chi non sa chessa raggiunge il massimo di effetti, con il minimo dei mezzi? Essa

modesta e signorile e ricca al tempo stesso; ricca di sostanza e di sapore e parca di rivestimenti esteriori. La Toscana ha anche dato un apporto determinante alla letteratura gastronomica nazionale con lopera del toscano di Forlimpopoli, ma prima della Scienza in cucina, pubblicata dalleditore fiorentino Salvatore Landi, sono da ricordare Il cuciniere italiano moderno (Livorno 1832), presente nella celebre biblioteca di piazza DAzeglio a Firenze, e Il cuciniere moderno ossia la vera maniera di ben cucinare di P. Santi Puppo (Baroni, Lucca 1849). Dopo Artusi, la casa Salani di Firenze pubblica nel 1905 Larte della cucina, un manuale di 871 ricette, e nel 1907 una serie di otto volumetti (Le maniere di) di grande successo, riuniti nel 1923 in un unico volume (Il cuoco per tutti di Ettore Grati). Sempre a Firenze viene pubblicato lAlmanacco gastronomico di Jarro (pseudonimo del volterrano Giulio Piccini), in quattro volumi, e Cucina toscana di G. Pierotti nel 1927. Tuttavia il contributo della Toscana allunificazione gastronomica non solo un fatto letterario. Basti pensare alla presenza di trattorie e ristoranti in molte citt italiane, sotto le insegne di Toscana e Firenze, che hanno esportato ovunque la cucina toscana e ne hanno diffuso nel mondo la conoscenza. Del resto gi nel Cinquecento cuochi e pasticcieri fiorentini al seguito di Caterina de Medici, sposa del futuro Enrico II, influenzarono la cucina della corte di Francia. Per concludere, piace ricordare lespressiva sintesi di Orio Vergani: Ci si riunisce alla milanese; si mangia alla toscana; si paga alla romana. Perfetta trinit della raggiunta unit dItalia.

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Il quotidiano in cucinaDI DONATO PASQUARIELLO Accademico di Roma Appia

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Le quotidiane attivit di cucina non ricevono in genere evidenza n segni puntuali di apprezzamento.

el suo libro Linvenzione del quotidiano il pensatore francese Michel de Certeau (19251986) ha inteso conferire rilievo a quelle pratiche, astuzie, espedienti cui luomo comune, soggetto generalmente debole, ricorre nella vita di tutti i giorni per eludere in un certo senso i vincoli che normalmente incontra, in primo luogo quelli dellordine sociale costituito. Queste attivit, a torto ritenute secondarie, vengono a contrapporsi alle pratiche dominanti che informano la struttura di una societ, organizzandone le istituzioni normative. Parte della ricerca, che verte su comuni aspetti della vita quotidiana riportati nel secondo volume dellopera, interamente dedicata alla cucina, intesa quale somma di esperienze, di saggezza popolare e di senso comune configuranti una vera e propria arte domestica del fare. La lettura di questo lavoro si rivelata occasione opportuna per condurre personali riflessioni e svolgere conseguenti considerazioni in merito a tale singolare visione della cucina, apparentemente minore, riferendola alla particolare realt del nostro Paese. Sfugge di solito alla comune attenzione come la cucina richieda, nel suo quotidiano divenire operativo, tutta una serie di minute attivit, di scelte e di espedienti vari, comunque indispensabili al nutrimento giornaliero della comunit familiare. Un prevalente ruolo operativo in questo campo per tradizione affidato alla donna, anche se divengono sempre pi frequenti, nellodierno contesto sociale, i casi di cooperazione in ambito familiare e quelli di persone singole di ambo i sessi chiamate autonomamente a occuparsi di siffatte incombenze.

La cucina rappresenta lautentico esercizio quotidiano per una gran massa di persone: quale necessit primaria, impegna tutti indistintamente, sia pure come semplici fruitori; si presenta immancabilmente ogni giorno, anche pi volte; costituisce occasione continua di riflessioni, decisioni e azioni, ponendo problemi e richiedendo soluzioni pratiche. Essa trova esplicazione, secondo ritmi funzionali alla disponibilit di tempo, in uninfinit di campi di intervento: definizione e composizione dei pasti giornalieri, avendo presenti esigenze salutistiche, abitudini sociali, preferenze individuali ed et dei fruitori; acquisizione di tutto quanto occorre, secondo disponibilit di reddito, di mercato e di stagione, con attenzione a criteri di economicit, qualit e traducibilit in risultati; cura e mantenimento della dispensa per assicurare quanto necessario, anche nei casi di emergenza, ed evitare al tempo stesso inutili sprechi; trattamento e manipolazione delle materie prime, dalla loro pulizia alla preparazione propedeutica al diretto consumo o ai processi di cucina; impiego dei prodotti disponibili in ragione della loro natura, stato di conservazione e caratteristiche qualitative; identificazione dei momenti di attivazione e di ultimazione dei processi di cucina, in particolare di quelli di cottura, nonch della loro appropriata sequenza; utilizzo e dosaggio di singoli componenti e ingredienti; programmazione e calcolo della durata di esecuzione delle attivit in funzione delle modalit e dei tempi di fruizione dei pasti; predisposizione di condizioni, anche ambientali e di convivenza, idonee a garantire la migliore soddisfazione di familiari ed eventuali convitati occasionali.

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I curatori di questo invisibile quotidiano sono tenuti a cimentarsi con una serie di elementi di natura eterogenea e continuamente variabili, di vincoli e di obiettivi spesso difficili da contemperare sul piano pratico; essi mettono a dura prova consumate esperienze e diversificate abilit, escogitando espedienti e astuzie ma esprimendosi, pur entro tali limiti, con una certa libert, sempre nel rispetto dellesigenza di far fronte ai bisogni familiari. La cucina, oltre che luogo di perpetue sfide operative, diventa anche occasione di inventiva, ideazione e creativit, nonch di espressione di stile e personalit; di conseguenza, essa pu rivelarsi momento di sano piacere, come pure di grande motivazione, specie nellet pi matura, per il solo fatto di rendersi in tal modo utile. Queste minute attivit non ricevono in genere evidenza n segni puntuali di apprezzamento, in quanto trovano svolgimento nel chiuso delle case o nel contesto di isolati rapporti in botteghe o nei mercati, senza che se ne conservi pubblica memoria; eppure la loro esecuzione, per quanto monotona e ripetitiva, richiede attenzione costante, cura elevata e pazienza infinita. in definitiva un sapere anonimo, acquisito con fatica e intelligenza, per tanti versi autoreferenziale, che compendia tanti saperi accomunati da medesime tradizioni, stili di vita e abitudini sociali.

Tra le prescrizioni di manuali e ricettari di cucina, oggi pi abbondanti che mai, e i prodotti che ne devono sortire sussiste uno spazio indefinito e non disciplinato occupato proprio da siffatte pratiche; ci vale per diversi aspetti anche per la cucina di ristorazione e per quella di comunit, in quanto anchesse legate allesito di tali compiti, dipendenti da abilit esperienziali degli addetti non di rado etichettate come segreti professionali. Talvolta il cinema e qualche romanzo hanno finito per dare voce a questo incessante lavorio, facendolo fuoriuscire dalle sacche dellanonimato per conferirgli giusta evidenza e dignit. Nelle odierne societ consumistiche la situazione si presenta in termini assai pi gravi rispetto a un passato non tanto remoto: la vita in comunit - per esempio quella di cortile o dello stesso mercato, nelle forme modeste ma autentiche di un tempo - consentiva il mutuo raffronto delle esperienze e la condivisione di non poche pratiche, come per esempio la preparazione di conserve e preparati per linverno; la coltivazione di erbe e odori, disponibili alloccorrenza a chiunque ne avesse bisogno; il mutuo scambio di piatti particolarmente riusciti, per i quali era quasi dobbligo ricercare lapprezzamento dei vicini. Le forme di vita di oggi tendono invece sempre pi a isolare le persone, confinandole nei loro ristretti ambiti

IL PIATTO DARGENTO DELLACCADEMIALAccademia ha fatto realizzare un nuovo piatto in silver plate, in formato pi grande ed elegante, che reca inciso, sul fondo, il tempietto accademico, il tutto circondato da una corona di stelle traforate che intendono rappresentare luniversalit della nostra Accademia. Questo oggetto simbolico consigliato come omaggio da consegnare ai ristoratori visitati che si siano dimostrati particolarmente meritevoli. Per ogni ulteriore notizia in merito e per le eventuali richieste i Delegati possono rivolgersi alla Segreteria di Milano ([email protected]).

cognitivi ed esistenziali; a dispetto dellapparente facilit di rapporti, la comunicazione e lo scambio di esperienze diventano veramente rari e scarsamente autentici. Ciascuno portato a fondare lazione quotidiana, compresa quella di cucina, sulle proprie risorse e conoscenze, senza possibilit di accedere al conforto altrui per la verifica delle soluzioni adottate. Il diffuso consumismo poi, favorito anche dalla ristrettezza dei tempi ormai dedicabili alla cucina, tende a condizionare fortemente gli stessi gusti individuali, specialmente delle generazioni pi giovani, orientandone le scelte verso prodotti preconfezionati, la cui qualit rimane confidata alle stesse industrie produttrici, spesso multinazionali non aventi limiti di tradizione o di localizzazione. In un contesto siffatto, i vincoli condizionanti la quotidiana azione di cucina risultano progressivamente in aumento e spesso di difficile superamento; ne costituiscono esempi: le nuove sensibilit in tema di ecologia; i risultati spesso allarmanti e contraddittori della ricerca scientifica in campo dietetico, salutistico e nutrizionale; unofferta ormai globalizzata contemplante nuovi prodotti, anche di altre cucine e tradizioni; la costante lievitazione dei prezzi dei prodotti agroalimentari; la qualit sempre pi incerta delle materie prime, minacciata sia dallesistenza di coltivazioni e allevamenti intensivi, che non riservano naturale spazio alla biodiversit, sia da sofisticazioni e adulterazioni quanto mai subdole. Le astuzie di cucina sono quindi destinate a non avere mai fine, e a perpetuare una cultura millenaria di pratiche e tradizioni di vita quotidiana: a dispetto della massificazione che si vorrebbe imporre a tutti i livelli, sono pertanto richiesti comportamenti sempre pi diversificati, accorti e consapevoli, ritagliati ad arte sulle difficolt e sulle insidie delle situazioni, in unottica di sfida continua con il dinamico atteggiarsi della societ.

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Lospitalit di Civitella del TrontoDI GINO GALIFFA Accademico di Teramo

Uneccellente tradizione cucinaria che ancor oggi sopravvive.

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l 20 marzo 1861, dopo che Vittorio Emanuele aveva gi proclamato lUnit dItalia, Civitella del Tronto si arrese alle truppe sabaude comandate dal generale Mezzacapo. Fu quella la data effettiva in cui il Regno di Napoli cess di esistere e venne ammainata la gigliata bandiera dei Borboni che sventolava sul pennone pi alto della fortezza di Civitella. La proclamata Unit dItalia non ha comportato affatto una perdita di identit, perch ogni regione, paese, citt, piccoli o grandi che siano, pur adeguandosi allevoluzione della storia, hanno conservato le loro tradizioni, il loro carattere, le loro abitudini, pur condividendo, nel contempo, le sorti della nazione. Cos stato anche per questa citt, che gi nel 1557, se non prima, venne insignita del titolo di civitas fidelissima e che oggi, non avendo avuto lo sviluppo di altre

realt, viene spesso relegata a ruolo di borgo. Ma se oggi la fortezza, fresca di recente restauro, il monumento pi visitato dAbruzzo, cominciano a notarsi timidi cenni di risveglio anche nel paese, che per 150 anni ha tenuto nascosti i suoi tesori, i palazzi, le chiese, le viuzze anguste, senza perdere le sue caratteristiche di centro medievale di notevole interesse storico e artistico. Non avendo mai subito la feudalit, orgogliosamente fiero della propria libert e autonomia, il civitellese acquis per nel tempo il senso dellospitalit. Ed proprio da questo modo di relazionarsi con lo straniero, con lo sconosciuto che parlava unaltra lingua, che venne a consolidarsi in paese uneccellente tradizione cucinaria che ancor oggi sopravvive. Tra le fonti documentarie della cucina locale pu annoverarsi la lettera di padre Antonio da Nereto, inviata il 22 giugno 1657 da Civitella del Tronto a padre Filippo da Secinara quale resoconto delle feste centenarie di Civitella tenutesi il mese precedente. Questo documento di particolare interesse perch segnala il meglio di quella cultura gastronomica meridionale che influenz laffermarsi non solo della cucina napoletana in generale e di quella borbonica in particolare, ma anche, attraverso contaminazioni da quella francese, di una cucina internazionale che fu spesso presente nei pranzi ufficiali di corte (si considerino per esempio larrosto di pernici in salsa piccante, il timballo di zite e i ravioli fritti con burro). Ma citiamo alcune specialit civitellesi. I maccheroni con le ceppe, lungi dallessere unimportazione dalla cucina pugliese, come qualcuno ha voluto sostenere collegando questo piatto alla transumanza dei nostri pa-

stori nel Tavoliere delle Puglie, vennero importati direttamente da Napoli, dove avevano notato che i maccheroni con il buco riuscivano a prendere il sugo meglio di qualsiasi altra pasta. Il timballo di scrippelle e pallottine di carne; la giuncata delle nostre campagne; le virt, famoso piatto teramano che, qui importato, ha conservato le sue originarie caratteristiche; le olive allascolana, introdotte a Civitella con una variante, quella di confezionarle con carne cruda e non cotta come invece avviene in Ascoli. Un classico il pollo alla Franceschiello, spezzatino di pollo insaporito con pezzi di agnello, olive e sottaceti; il filetto alla borbonica, non del tutto dissimile da quello alla Bismarck, da cui si discosta per essere la copertura di mozzarella fusa sormontata da unalice anzich da un uovo fritto, la quale conferisce al piatto un gusto sapido e particolare. Non manca una tradizione dolciaria, che spazia dai dolci tipici e della cucina povera a quelli di importazione partenopea: dai taralli di Pasqua con lanice ai famosi sospiri delle monache del convento di Santa Chiara, fatti con mandorle tritate e albume duovo montato, di assai difficile cottura, durante la quale nulla debbono perdere della loro fragranza e leggerezza; la canaletta, confezionata su un pezzo di grondaia chiuso ai lati, sul quale vengono adagiate fette di pan di Spagna intinte nellAlkermes, che intervallano un riempimento a strati di crema e cioccolato; il vino cotto, detto anche del bambinello. Sono tutti piatti di una cucina che nel tempo si evoluta e anche rinnovata, e che sta facendo di questa cittadina, specie nel periodo estivo, una meta di vivo interesse e di forte attrazione.

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BIBLIOTECA

NAZIONALE

GIUSEPPE

DELLOSSO

Dello scalcoDI LORENA

GALLINA

Nellopera di Giovan Battista Rossetti sono descritti i compiti di chi sovrintende allorganizzazione e alla gestione della casa e dei momenti conviviali.

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arte della scalcheria, ovvero il trinciare le carni cucinate alla presenza dei convitati, stata oggetto di numerosi trattati di gastronomia, fra i quali spicca Dello scalco di Giovan Battista Rossetti, edito a Ferrara nel 1584 per i tipi di Domenico Mammarello. Lopera si pone in qualche modo a confronto con il celebre Libro novo di Cristoforo da Messisbugo, edito nel 1549 sempre nella citt estense. Dallanalisi dellopera, di cui conservata copia presso la Biblioteca braidense di Milano, emerge la grande importanza sociale rivestita dalla figura dello scalco nelle corti cinquecentesche. Il Rossetti un nobile ferrarese in servizio alla corte degli Estensi dal 1557, dapprima alle dipendenze di Alfonso II e dal 1576 al servizio della sorella Lucrezia dEste, duchessa di Urbino. Proprio a Lucrezia sono dedicati i tre libri di cui si compone il trattato: lautore afferma che chiunque abbia ricevuto un dono ovvero unabilit nel fare qualcosa ha il dovere di metterla al servizio degli altri per insegnare a tutti ci che sa. In tal modo egli esprime il desiderio di trasmettere ai posteri la nobile pratica della scalcheria, da lui esercitata per oltre ventanni in qualit di maestro di corte. Segue una nota dello Stampatore ai benigni lettori, in cui leditore si dice fortunato per aver avuto lonore di rendere pubblica lopera del Rossetti, stampata - egli afferma - a grande richiesta dei cavalieri di corte. Manifesta anche lintenzione di dare alle stampe unopera dello stesso autore sulla preparazione delle vivande, gi iniziata, ma che non vedr mai la luce. Lo stesso manuale di scalcheria non avr il successo sperato dal Rossetti e auspicato dalleditore.

Dopo lindice troviamo il proemio, in cui lo scalco ferrarese mette in evidenza il prestigio del suo ruolo a corte, tracciando un excursus storico che prende avvio dalla civilt greca, passando per lApicio romano fino ad arrivare alle corti mitteleuropee, di cui apprezza le invenzioni cucinarie di alto livello. Lautore non nasconde la forte ammirazione che nutre nei confronti delle corti di Francia, Germania, Boemia e Ungheria, giustificata dai frequenti contatti della famiglia Este con queste ultime: basti ricordare che Alfonso II aveva preso in sposa Barbara dAustria. Nel primo libro viene passata in rassegna lorganizzazione della corte, di cui lo scalco responsabile insieme ai suoi numerosi officiali. Una breve ma significativa digressione riservata alla preparazione della tavola: per banchetto si intende un insieme di cinque piatti per cinque servizi (freddo, lesso, arrosto, frutta e confetture); la cena grossa composta da due portate di cucina e una di frutta, mentre la cena o desinare una riunione conviviale informale a base di buone vivande servite a onesti cavalieri. Infine si sottolinea la differenza tra il servizio allitaliana, di impostazione pi moderna e pi vicina alla nostra percezione di tavola imbandita, che prevede i lessi prima degli arrosti, e il servizio alla tedesca, caratterizzato da un grande piatto di carne collocato a centro tavola e composto da arrosti, lessi e pesce, seguiti da verdura, frutta e dolci. Segue una descrizione puntuale e dettagliata dei doveri dello scalco: uomo elegante e intelligente, di grande sensibilit ed estremamente curato nellaspetto, ha il compito di riferire al principe tutto il suo operato e di sovraintendere alla completa organiz-

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