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CIVILT DELLA TAVOLA

N. 224 G FEBBRAIO 2011

CIVILT TAVOLA

DELLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

N. 224, FEBBRAIO 2011 / MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA

LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

www.accademia1953.it

ISSN 1974-2681

S O M M A R I O

CARI ACCADEMICI...

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34 Le minestre nel mondo (Giorgia Fieni)LACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI E DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO, CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DON DALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA, ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE, GIAN LUIGI PONTI, GI PONTI, DINO VILLANI, EDOARDO VISCONTI DI MODRONE, CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

Una cucina di qualit (Giovanni Ballarini)

35 Storia della china (Giancarlo Burri)I NOSTRI CONVEGNI

EDITORIALE

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In media stat virtus (Gianni Franceschi)

14 Biodiversit in tavola (Bruno Capurso) 16 Il tratturo interrotto (Maurizio Adezio) 17 Tutto sullolio (Marinella CurreCaporuscio)

CULTURA & RICERCA

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Salviamo il nostro gusto (Marino de Medici) La carne di bufalo (Lejla Sorrentino Mancusi)

27 I(Daniele Accordino) microcosmi dellAmarone 29 BambiniRagazzi) a tavola (Raoul 31 MusicistiOrsenigo Bonacina) golosi (Loretta 32 Pepe e sale (Anna Lante)

11 Conosce vivere (Donato Pasquariello) 13 Il ciboTrombacco) da strada (Tito 18 Sua maest la sopressa (Piero Zanettin) 20 La capunatadi Campobasso (Enzo Nocera)

SICUREZZA & QUALIT

37 I(Gabriele Gasparro) sughi prontiLE RUBRICHE4 33 38 39 41 54 55 69 Calendario accademico Ricette dautore Notiziario In libreria Vita dellAccademia Carnet degli Accademici Dalle Delegazioni International Summary

21 La cucina degli odori (Elio Palombi) 23 Il tartufo in Friuli (Giorgio Viel) 25 Ricette italiane in terra calvinista(Ciro Pernice)

La copertina: Testa reversibile con canestro di frutta (particolare, 1591 circa), di Giuseppe Arcimboldo. Il dipinto (propriet French & Company, New York) fa parte della mostra Arcimboldo - Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio aperta a Milano, Palazzo Reale, dal 10 febbraio al 22 maggio 2011. Baster ruotare limmagine in copertina di 180 per vedere il canestro trasformarsi in un cappello e la frutta in un volto. Alle teste reversibili e alla natura morta la mostra dedica unintera sezione, con alcuni capolavori assoluti di Arcimboldo, tra cui questo, da cui avrebbe preso ispirazione addirittura Caravaggio per la natura morta pi celebre della storia dellarte: la canestra di frutta della Pinacoteca Ambrosiana.

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XIV ASSEMBLEA DEI DELEGATI XXII CONVEGNO INTERNAZIONALE SULLA CIVILT DELLA TAVOLARoma 27-28-29 maggio 2011Programma di massima

Venerd 27 maggio Arrivo dei partecipanti e sistemazione nellhotel Vittorio Veneto, 4 stelle, Corso dItalia 1, 00198 Roma Cena di benvenuto di tradizione locale in hotel

ore 20.30

Sabato 28 maggio ore ore ore ore ore ore ore 8.00 8.30 9.30 11.00 11.30 13.00 16.00 Assemblea ordinaria dei Delegati (I convocazione) in hotel Consulta Accademica (2009-2011) - approvazione conto consuntivo 2010 Assemblea ordinaria dei Delegati (II convocazione) - elezione organi istituzionali Coffee break Consulta Accademica (2011-2013) - elezione Consiglio di Presidenza Colazione di lavoro in hotel XXII Convegno Internazionale sulla Civilt della Tavola dedicato allanniversario dei 150 anni dellUnit dItalia, in hotel Partenza in pullman per la sede della cena in onore del Presidente Cena di gala Rientro allhotel in pullman

ore 20.15 ore 20.30 ore 23.30

Per gli accompagnatori: ore 9.30 ore 13.00 ore 16.00 Partenza in pullman per visita turistica Colazione di lavoro in hotel XXII Convegno Internazionale sulla Civilt della Tavola dedicato allanniversario dei 150 anni dellUnit dItalia, in hotel

Domenica 29 maggio ore 8.00 ore 10.00 Prima colazione in albergo e rilascio delle camere Consiglio di Presidenza

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Una cucina di qualitDI GIOVANNI BALLARINI Presidente dellAccademia

Un alimento senza qualit senza anima, e se pu sostenere il corpo delluomo, non ne pu nutrire lanima.

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ari Accademici, la qualit ha due dimensioni, quella biologica e quella culturale. Con la prima, attraverso canali psicosensoriali e cenestesici, vi il soddisfacimento dei bisogni fisiologici, con la seconda lappagamento di esigenze individuali e sociali, anche di tipo identitario, sulle quali si basa la sicurezza percepita. Le due dimensioni tendono a equilibrarsi e la richiesta di una qualit culturale aumenta quando i bisogni fisiologici sono soddisfatti. La qualit degli alimenti lo specchio della societ. Da qui i diversi livelli, e le differenti opinioni e idee di qualit, biologiche e culturali. In una societ agricola e preindustriale il grasso dei cibi qualit, in una societ postindustriale qualit il cibo magro. Nelle societ tradizionali la qualit naturale era ricercata e solo limitatamente manipolata con i procedimenti di

conservazione, che peraltro sono allorigine dimportanti prodotti alimentari tradizionali, molti dei quali divenuti tipici, quali il pane, il vino, lolio, i salumi, le paste secche, la frutta conservata e via dicendo. Pi recentemente, e con lavvento di una ricerca scientifica, si passati alla progettazione e alla costruzione di nuove qualit che si arricchiscono su nuove dimensioni, soprattutto di tipo sociale. Per esempio, allantichissima qualit naturale di una coscia di maiale, sulla quale operava la tradizione millenaria della conservazione con la salatura e la stagionatura, oggi si aggiunge la qualit del servizio con la presentazione del prosciutto affettato in vaschetta e con atmosfera modificata, nel quadro anche delle nuove tecnologie del fresco. Oggi, e sempre pi domani, una riduzione dellimpatto ambientale e della sostenibilit delle produzioni alimentari sono nuove dimensioni della qualit degli alimenti. Fare qualit non soltanto tecnica, ma anche unarte. Nel passato la scelta, la conservazione e la trasformazione alimentare erano arti, talvolta inquadrate tra quelle povere o, meglio, popolari o del popolo, ma sempre arti. Un prodotto di qualit, soprattutto oggi, in un mondo postmoderno e postindustriale, non pu trascurare una dimensione artistica attraverso la quale al consumatore sono comunicati significati e valori che superano la funzione di base. Per esempio un orologio diventa un gioiello, un vestito diviene un simbolo e un alimento un cibo della memoria e un importante elemento identitario. Inevitabilmente, un prodotto fatto con arte, anche negli alimenti, conduce alla presenza e alla sfida del contraffatto, in tutte le sue diverse tipologie di falso, sofisticato

ecc., divenendo fatto senza arte. Su questa dimensione meglio si comprende il ruolo e il significato della qualit degli alimenti quali cibi identitari e su questa linea non va dimenticato che Thomas Mann afferm che il tipico anche mitico. La qualit degli alimenti non comprende soltanto la loro origine e produzione, ma si correla anche con le modalit di uso non in cucina e sul dove e come il cibo consumato. A questo riguardo vengono in mente gli aforismi di Jean-Anthelme BrillatSavarin, secondo il quale gli animali si pascono, luomo mangia, solo luomo di spirito sa mangiare e il buongusto un atto del nostro giudizio, con il quale noi diamo la preferenza alle cose che sono piacevoli al gusto su quelle che non hanno tale qualit. Su questa linea, la qualit lo specchio del gusto o, meglio, del buon gusto di una societ. Nella qualit alimentare oggi si sta passando dalla necessit e dalla tradizione allinnovazione e a una nuova progettualit che pu utilizzare alimenti nuovi o rinnovati e soprattutto nuove tecnologie di produzione, conservazione e trasformazione. Mai come in questo momento necessario custodire il passato e conoscere il presente per costruire un futuro, in un processo sempre pi rapido e vasto, come nel passato. Non si dimentichi, infatti, che tutta la tradizione il frutto dinnovazioni ben riuscite. Molto diversi, per esempio, sono gli odierni formaggi grana Dop o i prosciutti Dop e Igp dai loro progenitori di soltanto cento o centocinquanta anni fa, con qualit che si sono modificate per adattarsi alle nuove esigenze sociali e individuali dei consumatori. Su questa linea, sempre nellambito di una continua innovazione, oggi si constata co-

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me la qualit deve essere continuamente seguita, soprattutto con una progettazione attenta alle nuove esigenze dei consumatori, in un mercato che da locale divenuto globale. La cesura sempre pi spinta dei collegamenti tradizionali tra campagna e citt, intese come luoghi di produzione e di consumo alimentare, con lo sviluppo e linterposizione dellartigianato e dellindustria alimentare, e della grande distribuzione alimentare, ha interrotto un tradizionale legame di conoscenza dellalimento, creando un vuoto culturale che stato riempito da timori e paure anche epidemiche, e delle quali abbiamo numerosi e recenti esempi. Se la qualit intrinseca e le tecniche di produzione e controllo degli alimenti (protocolli, manuali, tracciabilit, Haccp, etichettatura e tempi di scadenza o di consumo consigliato ecc.) hanno una significativa importanza per la sicurezza degli alimenti, non risolvono completamente il problema di una comunicazione della qualit dei singoli prodotti alimentari, in relazione ai diversi

contesti culturali duso e dapprezzamento psicosensoriale, delle diverse situazioni gustative e soprattutto delle differenti memorie gastronomiche. La qualit degli alimenti e dei loro usi non va disgiunta dallevoluzione del gusto in un quadro italiano nel quale a una supercucina, con differenziazioni territoriali, si stanno affiancando delle sottocucine aculturali dove la qualit tradizionale degli alimenti, come sopra tratteggiata, trova difficile inserimento e valorizzazione. Invadente una nuova progettualit alimentare, che trova la sua espressione di punta nel food design indirizzato a soddisfare soprattutto le esigenze produttive e distributive, utilizzando anche nuove metodiche, per esempio le tecnologie del fresco. Importanti sono le manipolazioni del gusto in un quadro indirizzato a una sempre pi marcata utilizzazione di presentazioni con caratteri sensoriali mondializzati, postmoderni e postoccidentali. Sempre pi diffusa la sostituzione di una trasmissione culturale della qualit alimentare attraverso

un diretto apprendimento naturale, con sistemi di comunicazione artificiali attraverso i mezzi di comunicazione di massa, con non rare mistificazioni suggestive e ingannevoli di false tradizioni, come i prodotti del nonno o della nonna, ambienti di coltivazione e produzione ideali ma inesistenti e via dicendo, che contribuiscono a manipolare il gusto e quindi la percezione della qualit culturale e psicosociale degli alimenti. Un quadro della qualit, quello tratteggiato, che inevitabilmente si riflette sulla cucina e che deve far meditare, soprattutto se si pensa che lItalia deve mantenersi fedele a una plurimillenaria tradizione di produzione di alimenti con una qualit biologica e sociale, da utilizzare per unalimentazione dalto livello qualitativo, sia per il corpo sia per lanima. Mai dimenticando, infine, che un alimento senza qualit senza anima, e se pu sostenere il corpo delluomo, non ne pu nutrire lanima.

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CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2011FEBBRAIO26 febbraio - Imola Convegno Quale formazione per una cucina di qualit? (Delegazioni dellEmilia Romagna)

APRILE1-3 aprile - Penisola Sorrentina Convegno a Sorrento I formaggi italiani, delizia della tavola Decennale della Delegazione 1-3 aprile - Modica (possibile prolungamento al 5 aprile) Convegno La dolce contea: pasticceria e cioccolato di Modica dai Grimaldi ad oggi 9 aprile - Versilia Storica Convegno su La castagna in Alta Versilia 9-10 aprile - Piacenza Convegno La ristorazione di qualit 16 aprile - Foggia, Gargano, Foggia-Lucera Convegno I funghi del Gargano 30 aprile-1 maggio - Firenze Convegno per i 150 anni dellUnit dItalia

MAGGIO6 maggio - Versilia Storica Premio per il miglior chef dellistituto alberghiero di Serravezza (Lucca) 7 maggio - Biella Cinquantenario della Delegazione 27-28-29 maggio - Roma XIV Assemblea dei Delegati XXII convegno internazionale sulla civilt della tavola

MARZO3 marzo - Canicatt Convegno La dieta mediterranea patrimonio dellumanit nella scuola: a confronto Italia, Spagna, Francia 11 marzo - Alessandria Incontro Che cosa mangiamo oggi? La sicurezza della nostra tavola (in collaborazione con Onav) 18-19 marzo - Viareggio Versilia Convegno a Camaiore Lolio della costa in Versilia 25-26-27 marzo - Torino Convegno La cucina dellUnit dItalia, dalla sabauda alla nazionale (Delegazioni della provincia di Torino)

GIUGNO9-12 giugno - Budapest Convegno Specificit e diversit della cucina italiana a 150 anni dallUnit dItalia 11 giugno - Vigevano Convegno Pepe rosa 15-18 giugno - Siracusa Escursione e incontro con la Delegazione di Stoccolma

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In media stat virtusDI

GIANNI FRANCESCHI

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Questa virt deve essere considerata virtuosa o virtuale?.

n media stat virtus: questo titolo pretende, in via preliminare, una conoscenza del significato delle parole. Infatti, come diceva Humpty Dumpty, il simpatico testa duovo di Alice nel paese delle meraviglie, prima di iniziare un qualsiasi discorso estremamente necessario mettersi daccordo sul significato delle parole. Quindi, procediamo. Media parola latina, presa in prestito dagli anglosassoni per indicare i mezzi di comunicazione di massa, e dal linguaggio anglosassone tornata qui da noi con quel significato. Ma siamo sicuri che, dicendo media, sintenda proprio questo? Non piuttosto laltra accezione italiana, mutuata dalla matematica, che significa via di mezzo? E, proprio in fatto di comunicazione gastronomica, dobbiamo rilevare che la media, quella matematica, assolutamente bassa. Ne parleremo. E passiamo alla virt. Anche questa parola latina, virtus, virtutis, usata dai nostri antichi nel significato di forza, valore, coraggio, bravura, eccellenza, merito. Questa parola viene dritta dritta dal sostantivo latino vir, che intendeva indicare il vero uomo, leroe, il vincitore, in contrapposizione a homo. Virt, quindi, sostengono i linguisti, il sostantivo astratto delle pi concrete virt virili, appena specificate. Ma per restare nel tema della comunicazione gastronomica, questa virt deve essere considerata virtuosa o virtuale? La risposta facile e difficile nella stessa maniera. Infatti nel campo della comunicazione gastronomica ci troviamo in genere di fronte a una forma virtuo-

sa, capace cio di produrre un effetto positivo. In contrapposizione, per, ci pu essere una comunicazione virtuale, che esiste in potenza ma non in atto, e quindi assolutamente incapace di produrre effetti positivi. A questo punto sorge un ulteriore dubbio: la comunicazione gastronomica deve essere considerata un veicolo mediatico oppure un rapporto medianico? In effetti la parola medium, in latino nominativo singolare di media, indica un evocatore di entit astratte ma nasce dalla medesima radice etimologica. E questo rafforza il sospetto che esista davvero, in questo campo, una comunicazione virtuale. Noi stiamo vivendo in quello che stato definito villaggio globale, cio il mondo intero che, piano piano, in punta di piedi, entrato nel nostro salotto di casa. E non c niente da fare: ogni giorno, ogni istante, dobbiamo fare i conti con questo ospite, gradito o non gradito poco importa, che entrato con prepotenza e presunzione, nelle nostre vite. E la comunicazione globale uno degli elementi pi importanti, e anche pi subdoli, di questa globalizzazione strisciante che ci avviluppa. E oggi non forse diventata globale, globalizzata, anche la comunicazione gastronomica? Guardiamoci un po dentro. Ecco la comunicazione cartacea. Libri, giornali, riviste, opuscoli, dispense, monografie. Non ci sarebbe che limbarazzo della scelta. Ma impossibile scegliere tra dieci, cento, mille entit uguali, identiche, quasi in fotocopia. Sorge il dubbio, a questo proposito, che nel campo della comunica-

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zione gastronomica la globalizzazione sia un sinonimo di una imitazione che acquista i contorni di un incredibile plagio collettivo, conscio o inconscio non importa. Esempio: un quotidiano lancia una serie di volumi a carattere gastronomico: facciamo lipotesi che si tratti di un ricettario. Allimprovviso, quasi per generazione spontanea (o forse per spionaggio industriale?), tutti o quasi gli altri quotidiani seguono la medesima strada. Cos le edicole sono inondate da ricettari regionali, internazionali, natalizi, dolciari, primi piatti, verdure, pietanze, enciclopedie. In genere il primo volume della serie viene regalato, una specie di esca per poter vendere tutta la collana (a prezzi in genere non proprio bassi). Mi viene in mente una battuta che, come si dice, se non vera ben trovata. stato chiesto a una bambina: Che cos un libro?. Risposta: una cosa che se la compri ti regalano un giornale. Poi ci sono le dispense. Anche qui, tutto lo scibile gastronomico viene sviscerato. Poi ci sono i media come la radio e la televisione. Qui, sembra impossibile, peggio che nelle edicole. A tutte le ore del giorno (e anche della notte) su tutti i canali, su tutte le frequenze, un imperversare continuo e infinito di cuochi, pasticcieri, coltivatori, vinai, dietologi, enologi, botanici, esperti di questo o di quello, e poi padelle, pignatte, pentole, fritture, bolliti, olio, aceto, burro, cotolette, pasta fatta in casa, torte, ciambelle: una storia infinita. Si assiste a una medesima, noiosa e infinita telenovela: infatti ogni trasmissione uguale allaltra. Ovviamente, ciascun canale ha in s il concorsino, il piccolo o grande premio, la telefonata da casa, il coinvolgimento del telespettatore (pi facilmente le telespettatrici). E, guarda caso, c anche il risvolto pubblicitario, palese con gli spot abilmente inseriti al momento giusto, meno palese se vengono utiliz-

zati messaggi pubblicitari subliminali pi sottili (ma non troppo) ma altrettanto persuasivi. Tutto questo carnevale gastronomico, ovviamente, andrebbe ascritto a quella comunicazione gastronomica virtuale di cui s fatto cenno affermando che essa esiste in potenza ma non in atto, e quindi incapace di produrre effetti positivi. Tutto giusto. Ma lincapacit a dare effetti positivi purtroppo accompagnata a una sottile e nefasta produzione di effetti negativi. A tutto questo va aggiunto il circo massimo della comunicazione gastronomica, vale a dire internet. Qui i siti a essa dedicati sono infiniti, italiani e internazionali, ripetitivi, ingannevoli, solo raramente seri e ben documentati. A questo punto c da chiedersi se in queste condizioni possa esistere anche una comunicazione gastronomica virtuosa. Libri, dispense o enciclopedie a parte, molti quotidiani hanno critici gastronomici validi, preparati, di ottimo livello culturale, coscienti dellinfluenza che possono esercitare sul lettore. La stessa cosa si pu dire per i settimanali. Ci sono anche ottime riviste specializzate, che promuovono con intelligenza e buon gusto una cultura gastronomica di eccellente livello. Ma queste pubblicazioni, per poter vivere, sono costrette a far ricorso alla pubblicit e questo talvolta (per fortuna non sempre) pu, se non condizionare, almeno influire su determinate scelte editoriali. Vorrei qui fare un accenno alla nostra rivista, una pubblicazione sui generis, assolutamente priva di pubblicit (per scelta e per obbligo statutario), aliena quindi da condizionamenti o suggestioni. Accanto alle cronache sullintensa attivit istituzionale dellAccademia e delle sue numerose Delegazioni in Italia e allestero, Civilt della Tavola pubblica in ogni numero saggi di cultura gastronomica di alto livello, contribuendo cos a formare, nei

suoi oltre settemila Accademici, una consapevolezza culturale di buon livello e a dare uninformazione esatta sugli studi e le ricerche nel vastissimo settore della comunicazione gastronomica. Ritengo che questo modo di comunicazione gastronomica sia davvero virtuoso nel senso pi completo dellaccezione. C unultima considerazione da fare che riguarda le case editrici librarie e le librerie. Molte grandi case editrici pubblicano testi importanti relativi alla storia della cucina, alle tradizioni gastronomiche, alla sociologia del cibo, alle storie e vicende della tavola italiana o straniera, alle radici della civilt della tavola. Ma il maggior plauso, io credo, deve andare a quella miriade di piccoli editori di provincia che pubblicano con grande impegno anche economico testi relativi alle cucine locali, al territorio, ai prodotti, alle tradizioni, agli usi e costumi di un paese, di una citt, di una regione. unattivit benemerita, di grandissimo valore storico e culturale, che andrebbe maggiormente valorizzata. In questo ambito culturale lAccademia pubblica testi di grande rigore scientifico nella sua collana di cultura gastronomica, accanto ai periodici quaderni che riportano gli atti dei pi importanti convegni tematici organizzati ogni anno. Per concludere, vorrei citare una frase del poeta inglese Wystan Hugh Auden che ha detto: Quello che i mass media offrono non arte ma divertimento fatto per essere consumato come cibo, dimenticato e sostituito da un nuovo piatto. Il giornalista Mario Giordano, noto fustigatore di costumi e malcostumi, apre cos il suo ultimo libro dal titolo emblematico Siamo fritti: Non si mai parlato cos tanto di mangiare. E non si mai mangiato cos male. Un rapporto tra causa ed effetto che d da pensare.

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Salviamo il nostro gustoDI MARINO DE MEDICI Accademico della Virginia

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I prodotti italiani Dop/Igp devono far fronte alla concorrenza di prodotti made in Usa che hanno lo stesso nome.

li italiani che viaggiano negli Stati Uniti, e nel mondo intero, se ne accorgono a ogni pie sospinto. Dappertutto circolano prodotti agroalimentari con tanto di etichette, colori, immagini e riferimenti geografici italiani, ma che italiani non sono. il fenomeno chiamato dellItalian sounding, contro il quale lItalia e lUnione europea si battono da anni, ma senza risultati apprezzabili. Il contenzioso particolarmente spinoso con gli Stati Uniti, che non riconoscono giuridicamente le indicazioni geografiche per i prodotti agroalimentari, fatto tanto pi increscioso in mancanza di un sistema di reciprocit tra la normativa comunitaria e quella statunitense. Specificamente, gli Stati Uniti si oppongono alle richieste europee in tema di indicazioni geografiche e al concetto stesso di indicazioni geografiche protette perch lo considerano in contrasto con il loro sistema di trademarks. Il vero nodo del problema questo: gli Stati Uniti non tutelano espressioni di origine geografica che si ritengono generiche per lindicazione di beni o di servizi. Un segno generico quando il suo uso sia talmente diffuso da indurre il consumatore a considerarlo come una categoria che comprende tutti i beni o servizi dello stesso tipo piuttosto che come una designazione di origine geografica. Le indicazioni generiche non godono di protezione negli Stati Uniti. Ergo, quando una designazione di origine geografica divenuta generica pu essere utilizzata da qualsiasi produttore per identificare i propri beni o servizi. Una conseguenza di questo stato di fatto che il non riconoscimento delle peculiarit esclusive di un prodotto contribuisce alla di-

minuzione del valore stesso del prodotto sul mercato. Questa situazione spiega perch il mercato americano sia inondato di formaggi di nome italiano, quasi tutti prodotti nello stato del Wisconsin, di bassa qualit. Basta andare al sito di uno di questi grandi produttori caseari, per vedere una sfilza di formaggi definiti, con ammirevole sfacciataggine, classical Italian cheeses made in the Usa. Un esempio: il formaggio asiago, un prodotto Dop, commercializzato come asiago cheese. Ma non il solo: nellammucchiata di falsificazioni ci sono il gorgonzola, il provolone, il parmigiano, il mascarpone e perfino la burrata. Per non parlare di montagne di mozzarella che alimentano la mastodontica industria americana della pizza, sfornata in tutte le dimensioni, spessori e variet di ingredienti, incluso lananas. In parole povere, per quanto i produttori ed esportatori italiani si arrabattino, non riescono a ottenere le tutele giuridiche, previste dalla normativa statunitense, da parte di un organismo federale denominato Uspto (Us patent and trademark office). Ai prodotti italiani targati Dop/Igp viene infatti negato il riconoscimento del certification mark con la motivazione che lindicazione geografica considerata nome generico. Il disgraziato Italian sounding fa s che i prodotti italiani Dop/Igp devono far fronte alla spietata concorrenza di prodotti made in Usa che hanno lo stesso nome, ma che non sono della stessa qualit. Vero che dal 1994 sono in vigore i cosiddetti accordi Trip (Trade related aspects of intellectual property rights), il cui intento di stabilire requisiti e di determinare un livello minimo di protezione che ogni Paese

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deve garantire. Ma se lobiettivo era quello di conferire una certa tutela arginando la diluizione delle indicazioni geografiche in nomi generici, lordinamento statunitense comporta grossi ostacoli nellattuazione di tale principio e ammette soltanto un ricorso per i titolari di marchi famosi. una questione di lana caprina mirabilmente intessuta dalla common law americana, con eccezioni che lasciano interdetti, come la cosiddetta clausola del nonno (grandfather clause) che rende valido luso di quei marchi contenenti indicazioni geografiche di altri Paesi ma registrati in buona fede prima dellentrata in vigore degli accordi Trip. Questa clausola ha consentito a un canadese di spacciare il suo prodotto come prosciutto di Parma con buona pace, o rabbia, del consorzio italiano. Il guaio di tanti prodotti italiani ricalca

il destino del formaggio asiago, che in America ha assunto il significato di nome comune, ossia divenuto generico. In materia di protezione delle indicazioni geografiche, si creata invero una spaccatura tra lUnione europea, lAfrica e parte dellAsia da una parte, e dallaltra Stati Uniti, Canada, Australia e America Latina (lArgentina subissa i supermercati americani con il falso parmigiano, battezzato reggianito). Il blocco europeo riconosce valore giuridico alle denominazioni di origine, quello americano invece considera i certification marks come unalternativa giuridicamente plausibile e parimenti efficace. Da notare che mentre i Paesi Ue conferiscono alla tutela delle indicazioni geografiche una normativa speciale, gli Stati Uniti applicano un fritto misto di norme che regolano i marchi

commerciali, la concorrenza sleale e la sicurezza dei consumatori. Vale la pena di segnalare che nella diatriba Usa-Ue, chi pi ne fa le spese lItalia, che vanta un vero primato in fatto di prodotti con la qualifica di Dop e Igp. Vista la quasi impossibilit di vincere la battaglia contro la common law, la speranza degli esportatori italiani si affida a campagne educative volte a sensibilizzare il consumatore americano mettendolo di grado di discernere letichettatura e di distinguere quella ingannevole, purtroppo lecita. Il consumatore americano pratico e in molti casi sa rendersi conto della provenienza e della qualit di un certo prodotto. In altri Paesi, come la Cina, una causa persa in partenza.

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CARNE: LABBUFFATA FINITAWall Street e la speculazione si preparano a regalare alla gastronomia mondiale una nuova specialit: la fettina doro. La scelta semplice: il mondo a corto di bovini. I prezzi dei mangimi sono alle stelle. I prezzi dei derivati sulla bistecca (i live cattle futures) alla borsa di Chicago sono schizzati allins (+16% in meno di dodici mesi). E londa lunga degli aumenti rischia di tracimare a breve nei carrelli dei consumatori. Mettiamoci lanimo in pace: la carne non sar pi un prodotto di massa - la previsione di Henning Steinfeld, responsabile degli allevamenti della Fao -. I rialzi di questi mesi sono qui per restare. Una costata nel 2050 coster come il caviale di oggi. Esagerazioni? Un po s, ma non troppo dice Franois Tomei, direttore generale di Assocarni: Il problema contingente il boom del prezzo dei cereali e i rialzi non si sono ancora sentiti perch allevatori e macellatori hanno assorbito gli aumenti. A lungo termine per lallarme della Fao ha un suo fondamento: su 6 miliardi di esseri umani solo poche centinaia di milioni hanno accesso alle proteine nobili della carne, mentre le terre ancora disponibili per allevare le bestie sono pochissime e solo in Brasile e Russia. Negli Stati Uniti, il pi grande ranch mondiale, c oggi il livello pi basso di bovini dal 1973, causa siccit e crisi finanziaria. Il balzo dei costi delle stalle ha mandato gambe allaria decine di aziende in Europa e in Italia e il Brasile, grande esportatore a inizio millennio, fatica ora a soddisfare la richiesta nazionale. I capi in vendita, cos, sono sempre meno, mentre la richiesta cresce a ritmi vertiginosi: lexport Usa salito questanno del 26%. Basta che i cinesi decidano di mangiare un chilo di carne in pi allanno per travolgere gli equilibri del mercato prosegue Tomei. Quel che sicuro che dobbiamo razionalizzare le risorse, specie lItalia che importa il 50% del suo fabbisogno di bistecche, malgrado la crisi abbia tagliato del 2% i consumi questanno. Come evitare di fare della fettina il caviale del terzo millennio? Portando tecnologie nelle stalle e difendendo con la politica comunitaria i prodotti Ue conclude Tomei. Oppure tagliando i consumi. Fino a poche decine di anni fa, in fondo, la carne arrivava in tavola una volta alla settimana, nel giorno di festa. Si calmierebbero i mercati, si mangerebbe pi sano. E, di sicuro, vitelli e mucche non avrebbero niente da ridire. (Ettore Livini, La Repubblica)

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La carne di bufaloDI LEJLA SORRENTINO

MANCUSI Accademica di Napoli-Capri Centro Studi F. Marenghi

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tenera e saporita, adatta a qualsiasi tipo di ricetta.

ellItalia meridionale, ricca di aree paludose e improduttive, alcuni secoli fa si diffuse lallevamento dei bufali, ancora oggi concentrati soprattutto in Campania, nelle province di Caserta e Salerno, dove spesso le acque del Sele e del Volturno invadono i terreni, ma anche nellagro pontino in provincia di Latina e in quantit minore in Calabria, Lucania e Puglia. La presenza di questo animale si rivel una risorsa importante per leconomia di quelle zone, sfruttato sia come animale da lavoro e da latte sia per consumarne le carni. Lallevamento inoltre non richiedeva particolari accorgimenti o attrezzature in quanto le bestie erano lasciate allo stato brado in zone inadatte a qualsiasi coltivazione. Sin da allora con il latte di bufala venivano prodotte ricotte e provature, di solito sottoposte ad affumicatura per allungarne il tempo di conservazione. Il pellame dei bufali maschi era utilizzato in Toscana in attivit artigianali tipiche. Animale piuttosto selvatico, la sua fama di aggressivit e ferocia accendeva lo spirito davventura dei viaggiatori stranieri che si spingevano in luoghi impervi del Sud Italia pur di ammirare paesaggi aspri e incontaminati e di provare il brivido di un incontro a distanza ravvicinata con le temibili bestie. Cos Goethe quando si rec a visitare i templi di Paestum: Passammo per ruscelli e paludi ove dei bufali, che avevano laspetto dippopotami, ci guardarono fissamente coi loro occhi selvaggi e rossi come sangue. La presenza dei bufali e i loro molteplici utilizzi sono attestati in Italia sin dal XII-XIII secolo, e diventano sempre pi frequenti dopo il XIV. Tra i cespiti elencati nel testamento del

padre di Ettore Fieramosca cera un terreno dove erano allevati bufali. Nel Libreto de tutte le cosse che se manzano (1508) di Michele Savonarola, i buffoli, pur considerati alla stregua dei buoi, sono classificati pi sechi e pi duri assai da padire. Marco Lastri, ecclesiastico vissuto a Firenze, nel suo Corso di agricoltura (1801) annot: Migliore assai della carne del bufalo adulto, e positivamente buona, la carne del bufalotto tenero. A Napoli, secondo la statistica riportata da Errico De Renzi nel suo saggio Sullalimentazione del popolo minuto di Napoli, nel dicembre 1861 furono macellati 54 bufali e ben 91 nel dicembre 1862. Nel Breve ragguaglio dellagricoltura e pastorizia del Regno di Napoli (1845) di A. Bruni e G. Gasparrini, si legge: Le carni dei bufoli di un anno sono buone a mangiare, essendo tenere, passato tal tempo sono dure. Il nostro Presidente Ballarini, nel suo esaustivo Elogio della carne (1992) scrive: Le carni bufaline si differenziano dalle carni bovine per il colore rosso cupo intenso, oltre che per laspetto della superficie di sezione che presenta una grana pi grossolana. pi apprezzata la carne del giovane (annutolo) anche perch meno grassa. Ci nonostante, sia nei ricettari del passato che in quelli pi recenti, la carne bufalina quasi sempre ignorata, limitandosi a confrontarla con quella bovina, e pochissimi le concedono dignit propria con ricette ad hoc. Vincenzo Corrado, che non aveva inserito la carne di bufalo ne Il cuoco galante (1773), nel successivo I pranzi giornalieri (1832) la consider degna di essere servita alla tavola dei grandi: inser ben sette ricette e

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annot: Sebbene la carne di bufala non sia da soddisfare ogni palato, il lacerto per, siccome il fegato, la lingua e la zinna, eccellente. Alexandre Dumas nel suo Grand dictionnaire de cuisine (1873) riporta una bizzarra ricetta ricevuta dallo chef dei Rotschild: Prendete un muso di bufalo, fatelo spurgare, sbianchitelo e raffreddatelo, poi raschiatelo e fiammeggiatelo per eliminare i peli, infine mettetelo in un buon fondo e fatelo cuocere per tre ore. Assicuratevi di tanto in tanto se si cotto,

sto vino di sale, pepe, bacche di ginepro, grani di mostarda e qualche erba aromatica. Tuffateci le fette sottili, fate cuocere per tre ore e servite. Pietanza molto apprezzata dai cacciatori nellAmerica del Nord. Ancora penuria nei testi del Novecento, ascrivibile allaffinit con la carne bovina e alla difficolt di reperirla sul mercato. Tra le rare ricette c lo spezzatino di bufala, tipico della zona di Eboli, ne La Campania (1981) di Domenico Manzon, compianto Accademico napoletano. In un libro, che

bufalini finalizzati esclusivamente alla produzione di carni e salumi pregiati, escludendo del tutto i tradizionali prodotti caseari. Nei ristoranti ubicati nelle aree vocate agli allevamenti di bufali, gli chef pi quotati hanno valorizzato la carne bufalina, alcuni ne hanno fatto addirittura il fiore allocchiello dei loro menu con una vasta scelta di ricette e la moda ha contagiato un po tutti gli operatori del settore desiderosi di offrire novit allettanti ai clienti. Sono stati indetti concorsi negli istituti alberghieri per pre-

poi sgocciolatelo e sistematelo in un piatto cosparso di una buona salsa tritata molto saporita e servite. Si pu servire questa pietanza in diverse maniere: sia in cartoccio, alla provenzale, alla marinara, alla lionese, alla tartara, con salsa di pomodori e alla Villeroy. Nel ricettario francese Lart de bien manger (1904) di Edmond Richardin c unaltra ricetta singolare da realizzare dopo una battuta di caccia: Ammazzate un bufalo, sezionatelo, prendetene il filetto che taglierete in fette sottili. Accendete tra due pietre piatte un fuoco di legno resinoso, sistemate al centro una marmitta di campagna che riempirete di vino, condite que-

definire insolito sarebbe riduttivo, Le ricette dei professori per cucinare le carni italiane (1986), dove i professori sono i veterinari e gli zootecnici appassionati di gastronomia, il prof. Mariano Aleandri, da vero esperto, offre un valido contributo alluso della carne bufalina con ricette della cucina popolare ciociara: arrosto di bufalotto, spezzatino di annutolo, carne di bufalo in umido. Nel terzo millennio c uninversione di tendenza in Campania, con una campagna per la valorizzazione della carne di bufalo, iniziata forse per utilizzare i bufalotti maschi considerati un onere inutile e destinati a essere soppressi. Di recente sono sorti allevamenti

miare la migliore ricetta di carne di bufalo e sono stati invitati chef famosi per elaborare nuove preparazioni che abbiano come protagonista questo ingrediente. Anche la scienza ha dato il suo contributo, elencando le qualit positive della carne bufalina: tenera e saporita, adatta a tutti, soprattutto anziani e bambini, tra le carni pi magre e leggere, ha bassissimo contenuto di colesterolo e alti valori di proteine e di ferro, versatile in cucina, adatta a qualsiasi tipo di ricetta sia della tradizione familiare che della cucina innovativa o dalta classe.

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Conoscere vivereDI DONATO PASQUARIELLO Accademico di Roma Appia

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Le capacit analitiche della dimensione culturale, applicate al sapore del piatto, rendono possibile ripercorrerne il precedente vissuto.

ella sua pi ampia accezione, la cultura, quale prodotto delle interazioni aventi normalmente luogo tra appartenenti a un ambiente umano, compendia oggetti di conoscenza, informazioni e istruzioni essenziali ai fini della convivenza e della sopravvivenza, accumulati nel tempo e continuamente modificati per effetto di nuove esperienze ed elaborazioni, di cui viene curata la trasmissione da una generazione allaltra. Alcune di tali acquisizioni sono relativamente recenti, ma la maggior parte proviene dal passato attraverso il senso comune. Riguardata soggettivamente, la cultura si identifica nella speciale capacit di apprendere dagli altri, in contrapposizione al proprio isolamento esperienziale, per cui acquista rilievo, come risulter in appresso, la qualit della comunicazione nelle sue varie forme, necessaria per la diffusione delle informazioni culturali. Cos essa assicura la disponibilit di una serie di strumenti del sapere, quali categorie di giudizio utili a distinguere il vero dal falso, modelli di analisi e di interpretazione di fatti ed eventi, schemi logico-razionali per lassunzione delle decisioni quotidiane e, non ultima, la memoria organizzata di precedenti esperienze personali o collettive. Preliminare interesse riveste lanalisi del modo in cui la cultura viene di fatto a interagire con il senso del gusto, conferendo contenuti qualificanti alle capacit di discriminazione e di interpretazione stimolate dalla gamma dei sapori quotidianamente esperiti. Conoscere vivere: non possibile godere di unesistenza piena

senza lindispensabile sussidio delle conoscenze rivenienti dal possesso di un minimo bagaglio culturale, e ci particolarmente vero nel caso del quotidiano esercizio del senso del gusto. La percezione gustativa concretizza infatti un atto di scambio tra mondo esterno, conoscibile con gli strumenti fisico-biologici propri del senso, e quello interno allindividuo, da cui in definitiva prende forma, sulla scorta delle conoscenze e delle esperienze possedute, linterpretazione delle sensazioni avvertite; questultima si rivela quindi tanto pi completa quanto pi tenda a integrare le primitive modalit di mero scrutinio fisico della percezione con le sensibilit proprie di una visione culturale del mondo e del sistema di valori a essa associato. Il modellamento culturale del senso del gusto permette di dare autonomo rilievo ai tanti sapori compendiati in quello dinsieme, rendendoli al tempo stesso distinguibili nella loro reale articolazione malgrado lapparente uniformit di percezione; quando poi sorretto da conoscenze specifiche di cucina, lo stesso approccio consente di andare ben oltre il mero aspetto esteriore della pietanza, destrutturandola nelle sue caratteristiche e componenti elementari per attribuirvi gli apprezzamenti gustativi di cui al personale repertorio delle sensazioni memorizzate. Le capacit analitiche proprie della dimensione culturale, applicate criticamente al sapore del piatto, rendono infatti possibile ripercorrerne mentalmente, a ritroso, tutto il precedente vissuto, declinandolo in una serie di informazioni relative al-

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la composizione, alla preparazione, alla cottura e a ogni altra fase di lavorazione occorsa. Ogni particolare percettivo, posto a raffronto sia con la memoria esperienziale sia con limmaginario culturale, diviene oggetto di considerazione: dalla qualit e specificit degli ingredienti alla validit delle scelte relative, dalla coerenza, sequenzialit e tempistica dei processi di cucina alle cure, attenzioni e sensibilit trasfuse nellelaborazione finale. Il processo cognitivo, sviluppato dialetticamente su tali basi, non pu che trovare coerente epilogo, oltre che in un meditato e ben fondato giudizio, pure in un sensibile accrescimento del piacere ritraibile, quanto meno in termini di consapevolezza. Lapproccio analitico, rivolto poi al proprio interno, offre pure la possibilit di enucleare, nellambito della complessiva impressione gustativa, la parte strettamente riferibile agli aspetti qualitativi della pietanza, quella eventualmente attribuibile alle componenti inconsce ed emozionali accompagnanti la percezione e infine quella da farsi risalire ai sempre presenti condizionamenti situazionali e di contesto. Nellatto di percezione gustativa, il soggetto viene di norma a trovarsi confinato in un universo esperienziale del tutto personale, non sempre traducibile in forme di comunicazione efficaci, dati i noti limiti del linguaggio a descrivere realt estremamente complesse, quali quella dei sapori e dei sentori possibili nonch delle correlate sensazioni di piacere; egli rimane di fatto isolato, non solo dagli altri, ma anche temporalmente da se stesso, quale portatore di precedenti analoghe esperienze non identificate e quindi non registrate nella propria memoria permanente. In questo caso sovviene appunto la cultura che, oltre a favorire il corretto scrutinio di quanto percepito alla luce delle categorie men-

tali di analisi, permette pure di accrescere notevolmente le possibilit di dare estrinsecazione alle sensazioni avvertite, di norma effimere, volatili, incerte e talvolta persino false. Il ricorso a opportune semplificazioni linguistiche consente infatti di uscire dalla mera soggettivit, attivando processi esterni di comparazione e di giudizio per una verifica condivisa delle proprie sensazioni, e di disporre altres di spunti di riflessione utili per lavvio e lo sviluppo di conversazioni che valgano a rendere piacevole lesperienza conviviale e ad assicurare alla stessa degno completamento. La cultura riesce cos a stimolare sia un uso creativo della lingua, conferendole quella plasticit necessaria a dare espressione e significato a sensazioni altrimenti destinate alloblio individuale e collettivo, sia le condizioni, al tempo stesso, per il miglior godimento del piacere della tavola nella sua dimensione edonistica. Un significativo portato della cultura poi quello di conferire indubbia maturit - in termini di equilibrio e di flessibilit, da un lato, e di stabilit, dallaltro - nella gestione delle molteplici situazioni, anche complesse, in cui di norma si coinvolti nella vita di tutti i giorni. Un pi consapevole modo di essere e di porsi nei riguardi della realt permette fra laltro di riguardare con opportuna distanza critica abitudini e schemi alimentari propri della comunit o gruppo sociale di appartenenza, quali per esempio le dominanti gustative, i legami privilegiati tra alimenti e sapori, luso selettivo di parte delle sostanze commestibili del proprio ambiente, i processi a volte singolari di preparazione e di cottura. Una moderata apertura a nuove esperienze, promossa dallatteggiamento flessibile proprio della dimensione culturale, potrebbe favorire, quando del caso, opportune mediazioni o anche un superamen-

to di tali vincoli, quando avvertiti come limitazioni alla personale libert di espressione cucinaria. Una solida formazione culturale pu in certi casi costituire, per contro, un argine di tutto rispetto al non trascurabile rischio di assimilazione di mode, schemi e stili omologanti in campo alimentare, veicolati dallormai pervasiva globalizzazione o dalle reiterate campagne pubblicitarie. Una pi strenua e motivata resistenza, come solo la cultura sa garantire, pu essere per esempio espressa avverso i molteplici tentativi finalizzati sia a ridurre la gamma dei prodotti alimentari a quelli pi universalmente coltivabili e commerciabili, a scapito della biodiversit e delle produzioni di nicchia, sia a indirizzare luniverso naturale dei sapori verso quelli artificiosamente appetibili, anche se inevitabilmente forieri di un progressivo appiattimento del gusto. Un ulteriore positivo riflesso della cultura, e in particolare delle sottese conoscenze di carattere storico-sociale legate al proprio ambiente, infine il senso di profondo rispetto nutrito nei riguardi delle tradizioni costituenti il patrimonio identitario e simbolico della comunit di appartenenza. Un rispetto che muove non tanto e non solo dalla avvertita esigenza della loro reiterazione o dalla gratitudine dovuta alle generazioni che contribuirono alla loro affermazione, quanto dalla profonda convinzione della loro oggettiva e intrinseca utilit, della validit delle motivazioni di base, della comprovata coerenza delle scelte implicite. Certe soluzioni di cucina della nostra tradizione appaiono infatti, specie quando ben comprese in tutta la loro portata, cos mirabilmente riuscite da indurre a pensare che esse non potevano, per logica stessa di natura, che essere cos concepite e realizzate.

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Il cibo da stradaDI TITO TROMBACCO Accademico di Bologna dei Bentivoglio

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Rappresenta il pi arcaico modello di ristorazione, semplice e umile, strettamente legato al territorio.

l mangiare per strada una delle pi vecchie forme di nutrimento che luomo abbia inventato: nasce e deriva dalle abitudini alimentari caratteristiche dei popoli nomadi. Gi i Romani nelle citt sparse per lImpero e a Roma, a una certora della giornata lavorativa, dovevano fermarsi per mangiare e bere. Per far fronte a questa esigenza, sorgono e si moltiplicano taverne e botteghe di vario genere, ma compaiono anche tanti venditori ambulanti di generi alimentari. Questa attivit continua nei secoli, visto che le classi popolari e quelle meno abbienti urbane, per tutto il Medioevo, e oltre, trascorrevano gran parte della giornata sulla strada e qui consumavano anche i pasti. Questo modo di vivere ben testimoniato dalle tante pubblicazioni grafiche che raffigurano questi momenti e che hanno reso celebre anche il venditore ambulante di vivande. per questi motivi che il cibo da strada, chiamato oggi street food o cucina da strada, rappresenta il pi arcaico e originale modello di ristorazione. Semplice e umile nei componenti, strettamente legata al territorio e alla stagionalit dei prodotti, questa espressione di pratica cucinaria oggi avviene specialmente in occasione di fiere, mercati e sagre. Attualmente, in questi posti e in queste occasioni, la figura dellambulante sostituita dai moderni furgoni, attrezzati con cucina, che offrono in questi contesti le tante specialit tipiche regionali: dalle piadine alle pizze, dalle crescentine alle tigelle, dalle tante focacce allo sfincione, allerbazzone, alle salsicce, al pesce fritto, tutti prodotti tradizionali, antichi e locali, prodotti e cibi che parlano di storia, di identit, quindi di cultura popolare.

Non c regione italiana che non offra lo spunto, anche se solo in questa sobria forma, per far conoscere al frettoloso passante o turista la sua ricchezza di cibi, prodotti e specialit. Il cibo che troviamo in bella evidenza quello che la nostra mente racchiude nel suo profondo. La sollecitazione dovuta alle offerte lungo le strade fa scattare uno dei tanti strumenti sensoriali, in primis locchio poi il naso, e questo impulso fa emergere ricordi, sapori, profumi e sensazioni dimenticati. Poich il ricordo nel tempo si amplifica, e generalmente le cose ci appaiono pi grandi e migliori di quello che in realt non siano state, anche se non ne hai bisogno ti fermi, fai una sosta, e qualunque cibo sembra avere pi gusto. Trattandosi il pi delle volte di esercizi allaperto, in zone popolose e antiche della citt, essi sono una valida alternativa al chiuso della trattoria o del ristorante. In questi luoghi il giovane pi facilmente socializza con ladulto: stando gomito a gomito, si dialoga, non si pi soli, si comunica. Questi luoghi diventano un mezzo di comunicazione e di socializzazione interessante, affermandosi in tal modo come uno dei tanti momenti culturali della civilt del cibo e della tavola. La cucina da strada quale strumento di incontro tra vecchie e nuove tradizioni, potr rappresentare un possibile deterrente al processo di globalizzazione, se riuscir a mantenere intatte quelle che sono le sue pi profonde radici di tipicit del tradizionale prodotto locale, simbolo della gastronomia di un territorio. Un contributo significativo e importante per mantenere viva la nostra identit, la nostra tradizionale civilt della tavola e del cibo, la nostra cultura.

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Biodiversit in tavolaDI

BRUNO CAPURSO Accademico di Pisa

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stata sottolineata lesigenza di conservare il pi possibile le variet locali delle specie di prodotti, valorizzandone la biodiversit come specialit di nicchia.

rganizzato dalla Delegazione di Pisa e dalla Facolt di Agraria, si svolto a Pisa il convegno sul tema Biodiversit in tavola: variet di ortaggi antiche e moderne. I lavori sono stati ospitati nellaula magna, messa a disposizione dalla Facolt di Agraria, e sono stati introdotti e coordinati dalla preside professoressa Manuela Giovannetti, la quale ha sottolineato limportanza del tema scelto, che si presenta fondamentale non soltanto per la nostra vita quotidiana ma anche per quella dello stesso pianeta Terra. Largomento degno di nota soprattutto perch il 2010 stato lanno dedicato dallOnu proprio alla biodiversit, la cui conservazione nelle specie vegetali, animali e microbiche, rappresenta uno strumento strategico per salvaguardare risorse preziose per le future generazioni e deve essere preservata dalla nuova minaccia per la sicurezza alimentare rappresentata dal riscaldamento globale. Dopo il saluto del vice-sindaco, dottor Paolo Ghezzi, che ha manifestato apprezzamento per la scelta del tema anche perch in consonanza con iniziative dellamministrazione comunale a favore della diffusione di una cultura della corretta alimentazione, i quattro relatori, Alberto Pardossi e Mario Macchia, professori ad Agraria, Carlo Cannella, professore ordinario dellUniversit La Sapienza di Roma, e Alfredo Pelle, giornalista, gastronomo e Accademico, Segretario del Centro Studi Franco Marenghi, hanno intrattenuto il numeroso e attento pubblico trattando, rispettivamente, di Geni e sregolatezza nel pomodoro, Variet locali in pensione: conservazione e valorizzazione, Stagionalit dei prodotti ortofrutticoli e Biodiversit in tavola,

titoli che esplicitano chiaramente le tesi svolte. Interessanti e dense di informazioni sono state tutte le relazioni, a cominciare da quella sul pomodoro, che in realt una bacca, di cui sono state descritte la storia, dalle origini nel Centro America alla sua importazione in Europa da parte degli scopritori del nuovo mondo, e la cui massima produzione oggi in Cina; il suo sviluppo in numerose variet (particolare quella di colore nero) e il riconoscimento di alte doti nutrienti e salutari per contenuto di sostanze antiossidanti. Sono state ricordate anche le pi recenti vicissitudini di questo re degli ortaggi, fino allallarme per gli odierni rischi di attentati alla sua genuinit a fronte dellincremento spesso incontrollato della sua produzione in condizioni ambientali insalubri per varie forme di inquinamento. stata poi richiamata lattenzione sulla tendenziale rarefazione delle variet locali di ortaggi, progressivamente sostituite da variet selezionate per rispondere sempre meglio alle esigenze della grande distribuzione che, per ragioni di interessi di mercato, inducono a dare rilievo alle qualit di lunga conservabilit e bellaspetto a scapito dei sapori e della salubrit dei prodotti. E, come correttivo a tali negativi comportamenti, stata sottolineata lesigenza di conservare il pi possibile le variet locali, valorizzandone la biodiversit come specialit di nicchia. Sotto un altro punto di vista, stato esaltato lo stretto legame naturale tra la qualit dei prodotti ortofrutticoli e la loro stagionalit, lamentando linvadenza malamente persuasiva della pubblicit e della cattiva informazione e negando qualit ai prodotti presenti tutto lanno, massimamente in termini di valore nutriti-

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vo e di gusto, a causa della loro spesso incompleta o innaturale maturazione, oltre che in termini strettamente economici per gli alti prezzi del fuori stagione. Il momento finale e conclusivo della destinazione dei prodotti sulle nostre tavole stato tratteggiato con sagacia ed esperienza segnalando, da un lato, linnegabile influenza delle generali condizioni del mercato e della produzione ortofrutticola sul confezionamento delle pietanze e riconoscendo, dallaltro, il pregio dellestrema variet dei numerosi prodotti di cui sono ricche le nostre regioni per la preparazione dei migliori piatti di cucina locale. Il convegno si concluso con la cerimonia per il conferimento del pre-

mio di studio dellAccademia Italiana della Cucina-Delegazione di Pisa, destinato alla migliore tesi avente per argomento Biodiversit e qualit nelle produzioni agrarie, assegnato a una laureata con una ricerca dedicata al lardo di Colonnata. A chiusura del lavori, il Presidente Giovani Ballarini, dopo aver ringraziato quanti hanno voluto contribuire al successo del convegno, ha richiamato il concetto di barbari per certi nuovi modi di far cucina, pur con le valenze positive proprie di ogni novit evolutiva, che ha contrapposto allimbarbarimento della cucina causato dal condizionamento di esigenze di tempo (fretta) e spesa (risparmio), del quale invece avere paura, finendo per confidare

nel mantenimento della vera tradizione della cucina, pur riconoscendone la fruibilit limitata purtroppo soltanto a pochi. Con lalto Patrocinio dellOnu, della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Pisa, dellAssociazione Provinciale Allevatori, della Confederazione Italiana Agricoltori, della Coldiretti e con il contributo della Camera di Commercio di Pisa e della Confagricoltura e con la collaborazione di Cld Libri. I convegnisti hanno concluso la mattinata con un ottimo pranzo al ristorante dellhotel San Ranieri, dove il Delegato Franco Milli ha salutato i partecipanti ringraziandoli per aver contribuito alla riuscita della manifestazione.

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Dalla Gazzetta di Parma

NATO LINSIEME, IL PIATTO DELLUNIT DITALIAI festeggiamenti per i 150 anni dellunit dItalia stanno entrando nel vivo. LAccademia Italiana della Cucina sta facendo la sua parte per gli aspetti culturali e gastronomici. La Segreteria del programma per le celebrazioni, organo dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha autorizzato lAccademia a utilizzare il logo ufficiale delle manifestazioni nazionali del prossimo anno. Un riconoscimento che fa onore allAccademia e al suo costante impegno per favorire studi e ricerche sul valore culturale e sociale della cucina, nella difesa delle tradizioni gastronomiche e nella promozione dei nostri prodotti agroalimentari di qualit in Italia e allestero. La Delegazione di Parma-Bassa Parmense, guidata dal Delegato Massimo Gelati, con lAccademico Paolo Pongolini ha pensato a un piatto che richiamasse da una parte le caratteristiche del territorio padano, dallaltra lunit dItalia con i suoi colori. nato LInsieme. Il piatto stato progettato e realizzato da Marco Dalla Bona, chef stellato della Bassa parmense, dopo oltre un anno di prove e sperimentazioni. Si tratta di un insieme cos composto: una mariola bollita in modo classico, tagliata calda a cubo, servita con lenticchie brasate con pancetta e pepe nero, rifinita con una riga di salsa rossa; una testina bollita a bassa temperatura, tagliata a tronchetti di forma cubica, adagiata su fagioli borlotti schiacciati, rifinita con una riga di salsa verde; un foie gras in terrina al naturale, adagiato su un cubetto di mela condensata al naturale, rifinita con una riga di gelatina bianca al Calvados. Il foie gras non tipicamente padano, ma richiama levoluzione dellutilizzo delle frattaglie, come si faceva un tempo nelle famiglie della Bassa padana (in particolare a Mortara) e in Friuli. la nota pi acida della preparazione. Il piatto stato presentato in anteprima mondiale al ristorante Stella dOro di Soragna. Oltre alle autorit accademiche - il Presidente Giovanni Ballarini, Vittorio Brandonisio, Coordinatore, e Massimo Gelati, Delegato - erano presenti Luigi Viana e Vincenzo Bernazzoli, rispettivamente prefetto e presidente della Provincia di Parma, e il comandante provinciale dei Carabinieri Paolo Cerruti. Nella serata, che ha previsto il pi classico dei menu natalizi della Bassa parmense (culatello di 24 mesi, anolini in brodo di terza, carrello dei bolliti e zuppa inglese), stato inoltre annunciato il convegno internazionale che si terr a Imola il 26 febbraio 2011, e che vedr coinvolte tutte le ventisei Delegazioni regionali. Levento sar il culmine delle manifestazioni preparate dallAccademia per festeggiare i 150 anni dellunit dItalia nella regione. Al convegno, che ha lo scopo di approfondire luci e ombre del sistema della formazione in materia di cucina e gastronomia, parteciperanno i cuochi nazionali pi famosi e illustri rappresentanti istituzionali in materia di formazione. Durante la serata Ballarini, Brandonisio e Gelati hanno confermato che lAccademia avr il compito di approfondire, dal punto di vista culturale e cucinario, gli aspetti di storia della cucina legati ai 150 dellunit dItalia. (Rino Tamani)

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Il tratturo interrottoDI

MAURIZIO ADEZIO Accademico di Chieti

Il primo di una serie di incontri tra Abruzzo e Molise, due regioni divise da una legge.

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ul tema Divisi dalla Carta - fatti della stessa pasta, che richiama la particolarissima condizione di una condivisione fatta anche degli elementi e degli alimenti essenziali ma interrotta da un atto di legge, Abruzzo e Molise hanno deciso di incontrarsi fino alla fine del 2013. questo il cinquantesimo anniversario della separazione della regione Abruzzi e Molise nelle due attuali regioni, Abruzzo e Molise, avvenuta nel 1963 con legge costituzionale. Il progetto stato elaborato dalle Delegazioni di Chieti e Isernia, guidate rispettivamente da Mimmo DAlessio e da Giovanna Maj, nel corso di una serie di incontri tutti finalizzati a dar sostanza a quella che non sembrata solo una grande idea ma anche la necessit di una ricognizione e di una futura proposta, che gi da tempo emerge dai settori pi attenti della po-

litica e delleconomia. Le Delegazioni, per vocazione, hanno pensato e agito sul piano istituzionalmente proprio, quello della gastronomia e della proposta che pu ruotare attorno a essa, sia in termini pi ampiamente culturali sia in termini di proposta gastronomica e turistica. Il progetto ha gi avviato il suo lungo viaggio. Nei tre anni che seguiranno ci saranno appuntamenti a tema alternativamente nei territori di competenza delle due Delegazioni. La partenza ufficiale stata data nella bella cornice del Teatro comunale di Atessa, uno dei gioielli del patrimonio culturale abruzzese, con il convegno sul tema: Il tratturo interrotto. Hanno partecipato, oltre alle autorit locali, anche gli assessori regionali allAgricoltura di Abruzzo e Molise, a testimonianza dellinteresse suscitato dalla scelta culturale delle rispettive Delegazioni accademiche. Il tema stato sviluppato con dotte relazioni dal prof. Norberto Lombardi, storico di conclamata esperienza, che ha ripercorso la storia del tratturo e della sua enorme valenza economica per le regioni che esso attraversava. Il prof. Lombardi, facendo riferimento alla presenza di simili esperienze anche in altre aree dellEuropa e avendo ricordato i passi gi avviati, ha lanciato la proposta di dare rilievo e dignit europea alle realt tratturali che, tutelate e riscoperte, diventerebbero, cos, volano di importanti attivit culturali e turistiche. Gli ha fatto eco il prof. Di Rico, docente presso la facolt di Architettura dellUniversit G. DAnnunzio di Chieti-Pescara, che ha raccontato la storia del tratturo, anzi dei tratturi, attraverso immagini e sezioni speciali che hanno illustrato tutti gli aspetti legati a quello che veramente stato un fenomeno storico per lin-

tera area medioadriatica: dalle chiese alle croci viarie (davanti alle quali si stipulavano oralmente i contratti), dalle locande alle strade urbane, agli stessi borghi nati dalla transumanza, fino alle curiosit locali. Dopo queste due pagine che hanno affascinato laffollato teatro atessano, il tratturo stato oggetto delle due relazioni sorelle tenute dalla Delegata di Isernia, Giovanna Maj, e dal Delegato di Chieti, Mimmo DAlessio, sulla tradizione gastronomica delle due regioni. stata una mezzora intensa e appassionante, durante la quale, grazie alla capacit descrittiva dei due Delegati, il teatro sembrato riempirsi di colori, di profumi e di sapori che crescevano di intensit man mano che lelenco di piatti e ricette veniva srotolato dai due Accademici. Prima del congedo, affidato a un suggestivo aperitivo, nel cortile delladiacente Municipio, a base di prodotti tipici delle due regioni, le conclusioni sono state sintetizzate, con simpatia e bravura, da Giulio Borrelli, giornalista e direttore della sede Rai di New York. Originario proprio di Atessa, Borrelli ha voluto dedicare unintera mattinata di una visita privata nella sua terra sangrina a questo evento accademico, sottolineando quanto il convegno ha offerto ma soprattutto lanciando idee e proposte per dare il meritato futuro ai temi affrontati. La giornata di studio proseguita con la riunione conviviale organizzata, con la consueta sapienza, dalla Consulta accademica di Chieti presso il ristorante LAnfora di Monte Marcone di Atessa. Il prossimo appuntamento sar organizzato in terra molisana. Fino alla data dellanniversario saranno tenuti incontri e convegni su argomenti specifici: pasta, olio, vino, formaggi, e i menu delle festivit religiose.

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Tutto sullolioMARINELLA CURRE CAPORUSCIO Delegata della Spezia

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Un convegno sul campo per conoscere e valorizzare un prodotto deccellenza del territorio.

distanza di cinquanta anni esatti (novembre 1960) dallapprovazione della legge che istitu la categoria merceologica dellolio extravergine di oliva, la Delegazione della Spezia ha promosso il convegno Conoscere lolio, sullimportanza di questo prodotto nella bassa Lunigiana, per valorizzare il territorio attraverso il sapore e le emozioni della tradizione, che nellenogastronomia trova alcune delle sue valenze pi peculiari. Sono state trattate tematiche quali la raccolta delle olive, e la trasformazione in olio, la potatura, la protezione della pianta e le qualit nutritive e salutari dellolio di oliva. Questi i temi che hanno legato il convegno interattivo, che ha visto la partecipazione del Presidente Giovanni Ballarini. Due i momenti cardine. Prima la visita al frantoio Lucchi e Guastalli in localit Vincinella a Santo Stefano Magra, poi il prosieguo delle relazioni al ristorante Vallecchia sulla collina di Castelnuovo Magra, storicamente vocata alla produzione di olio Dop. Due scelte motivate dalleccellenza dellazienda di Marco Lucchi e Carlo Guastalli, che dal 1995 operano in nome della qualit. E per quanto attiene al ristorante, ha fatto da garanzia lautorevolezza della sua fondatrice, che ha mantenuto intatto il grande amore per la cucina di casa. Alla Vincinella il dottor Lucchi ha intrattenuto gli Accademici sul campo, nella piena operativit delle raffinate macchine (uniche in Liguria per la frangitura a due fasi). Accanto a lui il responsabile della Camera di commercio della Spezia dottor Fabrizio Batti, per i rilievi dei dati di produzione sul territorio nellultimo decennio. Al ristorante Vallecchia si sono succedute le relazioni degli Accademici Egidio Banti, sindaco di Maissana, sul

tema Olive e olio nella storia del territorio della bassa Lunigiana; Giuseppe Stoppelli, responsabile dellAzienda sperimentale di Pallodola, sul tema Lolivicoltura: una moderna risorsa economica; Roberto Galli, gastroenterologo, sul tema Olio e salute; Alfredo Pelle, giornalista e Segretario del Centro Studi, sul tema Olio in cucina. Fra i numerosi ospiti il prefetto della Spezia dott. Giuseppe Forlani, il sindaco di Castelnuovo Marzio Favini, Franco Cocco, Consultore nazionale, il Delegato di Milano Navigli Giovanni Battista Spezia. Menu molto particolare quello studiato dal Simposiarca Giuseppe Stoppelli e dalla Delegata Marinella Curre Caporuscio, tutto centrato sullolio appena franto e sugli antichi costumi di casa della zona di Vallecchia: bruschette, testaroli castelnovesi, tagliatelle alla contadina, baccal in bianco con patate e cipolle, ceci bolliti, torta di riso dolce. Alle due cuoche il Presidente Ballarini ha consegnato una medaglia di Orio Vergani quale prestigioso riconoscimento per aver conservato con passione tutto ci che il passato ha loro consegnato e che sar riserva grande di valori per le generazioni future. Il menu servito stato illustrato brillantemente, dal punto di vista storico, da Alfredo Pelle. Alla fine dei lavori del convegno interattivo, che ha chiuso tutto un anno di celebrazione per i cinquantanni di vita della Delegazione spezzina, il Presidente Ballarini e la Delegata Curre Caporuscio, a una voce, si sono soffermati sul valore fondamentale della conoscenza delle tradizioni e dei prodotti del territorio, di cui si fece portatore Orio Vergani. Valore che costituisce il cuore di tutte le iniziative accademiche in campo nazionale e internazionale.

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Sua maest la sopressaDI PIERO ZANETTIN Accademico di Eugania-Basso Padovano

Ottime carni, mani sapienti, sale, pepe, vino: un miracolo di sapore costruito con poco.

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asciate un veneto parteggiare spudoratamente per un prodotto degno di stare su qualsiasi tavola, anche reale, cos come sulla mia e sulle vostre. Un salume grande, morbido, dallamalgama perfetto, dai profumi gentili, profondi e persistenti. Fondamentali la morbidezza delle sue carni, la sua delicatezza e le incredibili sfumature di dolcezza che si sviluppano in mesi di cantina, grazie anche alla sua grossa massa. Ottime carni, mani sapienti, sale, pepe, vino: un miracolo di sapore costruito con poco, senza lapporto di forti aromi aggiunti come in altri salumi italici. Storia antica per le sopresse: dipinte in un quadro di Jacopo del Ponte nel 1577, citate in un inventario del 1777 e nei mercuriali della Camera di commercio di Vicenza del 1862. Gran festa per la sua preparazione, festa nel freddo pi crudo dellinver-

no, nuvole di vapore da gran paioli dacqua bollente, festa crudele, festa sanguinaria, ma nessun odio, solo il gran desiderio di volersi riappropriare con amore, sulla buona tavola, del divin porcello. Nel tempo andato (ma ancora oggi in piena campagna), gli uomini lavoravano il maiale solo nei due mesi pi freddi dellanno: dicembre e gennaio. Tradizioni del tempo antico, gran cura per un maiale bello pesante, cresciuto a mais e avanzi di cucina, scelta dei tagli migliori: filetto, costate, coppa, sottofiletto e pancetta. Snervatura accuratissima, cura profonda della massa tritata con una sua manipolazione molto prolungata e accurata per omogeneizzare gli aromi, fino al limite della smelmatura, ovvero una perfetta integrazione della parte magra e grassa, con il grasso quasi a sciogliersi e a compenetrare il magro. Sale grosso pestato, pepe nero spezzato, vino, bianco o rosso, a piacere, ma giovane, fresco, profumato. Niente aglio, non nella sopressa veneta. Al pi, per qualcuno, una sensazione minima, che non si avverte, ma che se non ci fosse mancherebbe: uno spicchio intero in infusione nel vino, poi tolto quando si aggiunge il vino alla massa. tutto. Chi parla daltri aromi non parla, per me, di vera sopressa veneta. Il tempo passato, sei mesi almeno, e ora vediamo la sopressa ricoperta di una bella muffa consistente, bianco-verdastra, da ceppi selezionati, possibile solo nelle vecchie cantine. Lemozione del taglio: la speranzosa ricerca dellennesimo miracolo del gusto, del rinnovo di una consueta sorpresa. Tagliamo il fondo a scoprire la carne rosata, qualche incisione lungo il bordo per scollare il budello e arretrarlo: ora possiamo godere di

profumi perfetti, la lama pu avviarsi piano, come larchetto sulle corde di un violino. Siamo in pieno cibo slow: la sopressa non si mangia in piedi. Sediamoci, tranquilli, pacifici e vogliosi: la lama affilata scende gentile e lenta nella carne rosata. I profumi si aprono nellaria: annusiamo ogni fetta prima di passarla alla bocca. Fette spesse, fette morbide, che si piegano dolcemente sotto il loro stesso peso. Ma come si mangia, a che ora, con cosa? Problemi zero: perfetta alle 10 del mattino, al desco del mezzogiorno, allo spuntino del pomeriggio, come antipasto o cena, assoluta per lo sfizio di mezzanotte. Cruda, in purezza, cos comesce dal coltello o scottata un momento sulla griglia con gocce daceto o di vino. Con pane bianco fresco, pane biscotto, polenta calda appena versata sul tagliere oppure grigliata. Accompagnatela con verdure selvatiche cotte in tegame, come il tarassaco, con verze sofega (stufate lentamente in tegame da crudo), funghi freschi appena spadellati o sottolio. Non dimenticate di farla a pezzi in una bella frittata con un pizzico di prezzemolo. Sapori delicati, per un buon vino veneto, fresco, profumato, non barricato: un Merlot, un pi aromatico Cabernet, un rosso misto di campagna o anche - a trovarlo un buon Clinto. Sopressa veneta o vicentina, trevisana, veronese: stesse tradizioni con sottili variazioni, magari con un po pi di parte grassa nella trevisana, rispetto al Basso padovano. E, per finire, le sopresse investite: salumi grandi, grossi, per le feste speciali. La pasta insaccata in grandi budelli inserendo al centro filoncini di filetto del maiale od ossocollo. Pezzi speciali, pezzi rari, per lespressione massima dellarte del mazzolin, lartista del confezionamento, capace di

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togliere ogni anche minimo residuo daria dallinterno del salume, aria che risulterebbe assolutamente nefasta. Vi ho invogliato? Forse s, ma una tal magnificenza dove si trova? Ovunque, qualcuno dir, basta un qualsiasi supermercato o salumiere. vero, ma - salvo difficilissime e improbabili eccezioni - la produzione industriale non soddisfa le mie ambizioni di qualit, profumi e morbidezza. Troppa standardizzazione, niente muffe nobili, troppi additivi, conservanti, aromi non naturali, talora con utilizzo di carni miste, non esclusivamente di maia-

le. Come per altri prodotti, le normative vigenti condizionano pesantemente le grandi qualit del passato, vietando la vendita, nei negozi, delle produzioni casalinghe. Maiali piccoli, troppo magri, da allevamento intensivo, forni dasciugatura, stanze sterili, acciai inox e ceramiche, additivi vari portano a una modesta qualit e a una scarsa fermentazione del salume. Niente di comparabile con le lavorazioni tradizionali, con lunga stagionatura in vecchie cantine, con formazione di muffe nobili e una consistente fermentazione delle carni, che

diventano pi digeribili in quanto arricchite da grassi polinsaturi, sicuramente migliori per la nostra salute. E allora? Sopresse vere addio? Assolutamente no. Esistono, basta cercarle. A tutti un augurio per una buona ricerca, per un vagare divertito e paziente fra contadini o piccole macellerie artigiane, fra appassionati del buon gusto, contando sul passaparola dei buongustai. Una ricerca alla riscoperta del sapore, una ricerca per emozioni continue, per ricordare e mantenere le nostre grandi tradizioni.

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LA MELA DARMENIAIn un passato molto remoto lalbicocca era conosciuta come mela dArmenia. Quando la conobbero, i Romani chiamarono appunto la pianta Armeniacumcum malum, perch pur essendo pianta di origine asiatica, nel suo lentissimo percorso di occidentalizzazione, sost vari secoli in Armenia dove trov ideali condizioni di clima e terreno. Pianta antichissima al punto da far pensare a storici fantasiosi della prima ora, convinti, per le conoscenze dellepoca, che il Paradiso terrestre fosse da quelle parti, che la perfida Eva indusse al peccato il progenitore Adamo con unalbicocca, d un frutto delizioso e accattivante, dalla buccia irresistibile di velluto rosa, soffusa di raggi tra larancione e il tenue vermiglio. Questa bellezza esterna del frutto sembra gi essere preannunciata dai fiori che, per dirla con Francesco D. Guerrazzi, bianchi non si possono dire e vermigli n meno, bens di una tinta che sembra aver dato il tono alle guance di una vergine al primo parlar damore. Ancora oggi, nel nome scientifico dellalbicocco, Armeniaca vulgaris, si ricorda lArmenia e si cita una leggenda locale secondo cui per il fabbisogno di legna di un esercito invasore, fu decretato labbattimento di tutte le piante improduttive. Tra queste rientravano albicocchi selvatici cari a una splendida fanciulla che, sapendo di perderli, si addorment piangente sotto le loro chiome. Al mattino, svegliandosi, trov i rami carichi di frutti, per cui le piante vennero graziate. Limperatore Yu, che regn in Cina verso il 2200 a.C., menzion lalbicocco, ma la coltivazione della pianta cominci solo tre secoli prima di Cristo. Teofrasto di Lesbo (371-276 a.C.) non lo menziona nella sua Storia sullorigine delle piante. Plinio il Vecchio fa delle citazioni, ma non sembrano verosimilmente riferibili allalbicocco, piuttosto ad altre drupacee, tipo pesche ancestrali. Per i Romani la prima menzione dellalbicocco fu di Columella, nel I secolo, mentre per i Greci fu Dioscoride, contemporaneo dello scrittore latino. supponibile che i primi passi verso lEuropa, detto frutto li fece con i soldati di Alessandro Magno nel 327 a.C. In Italia si pensa che labbiano portato i crociati dal Vicino Oriente, quindi molto dopo lanno 1000. Anticamente i medici studiavano per ciascuna pianta ogni possibile impiego farmacologico, ma inizialmente lalbicocco ha avuto in tal senso pi avversione che consensi. Soprattutto medici arabi e medievali lo accusavano di provocare le peggiori febbri. Successivamente, per la medicina popolare araba, lalbicocca pass come toccasana per lafonia e il mal dorecchi. Gli studi pi recenti hanno dimostrato che questo frutto ha insospettate virt terapeutiche. Per esempio stimola la produzione di emoglobina, che trasporta ferro e d colore al sangue. I gastronomi, invece, proprio durante il proibizionismo dellalbicocca per i mali su accennati, non hanno mai cessato di porre in atto squisite ricette di conserve, di marmellate e canditi del frutto messo al bando. Oggi ben sappiamo che lalbicocca ricca di vitamine C e A (o della crescita): molto benefica per bambini e adolescenti e il suo succo spremuto fresco lo anche per i lattanti. In cucina, a parte le marmellate, le conserve e i canditi, abbiamo ancora limpiego del succo nella gelatina che viene usata per apricottare, cio spennellare torte o pasticcini prima di glassarli. Un tipico esempio la notissima Sacher. Vi sono anche salse adatte allaccompagnamento di carni rosse e ad accostamenti salati. Nellalbicocca si trovano anche le vitamine B e PP, oltre ai sali di magnesio, fosforo, ferro, calcio e potassio. quindi un frutto nutrizionalmente molto importante perch aiuta lanemico, lo stressato e il depresso. (Amedeo Santarelli)

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La capunata di CampobassoDI ENZO NOCERA Accademico di Campobasso Centro Studi F. Marenghi

Era un prodotto tipico delle cantine che offrivano agli avventori preparazioni semplici ma gustose.

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Campobasso possiamo incontrare diverse identit cucinarie: quella originaria che si formata nel borgo entro le mura quella della citt che, partita dallottocentesco borgo murattiano, poi diventata la citt nuova, che ha fagocitato anche periferie e contrade. La citt, scriveva Francesco Jovine nel suo Viaggio nel Molise, venuta su lentamente, nata per una sorta di collaborazione di tutti i comuni del contado, il risultato di unaspirazione corale di tutti gli abitanti delle terre che lhanno vista nascere. Ma a Campobasso possiamo rintracciare anche una terza identit derivata dal passato: la cucina della transumanza, la civilt del tratturo che attraversava proprio la citt. I ristoratori e le famiglie di Campobasso hanno imparato a valorizzare le ricette locali, le tradizioni legate al-

le usanze, alle superstizioni, alle festivit, ai riti; a utilizzare soprattutto i prodotti stagionali, evitando omologazioni con la cucina della moda. Questa cucina, in particolare quella delle osterie, nel passato esaltava la dote e labilit che ogni oste doveva avere per stuzzicare lappetito e stimolare la bevuta. I piatti, che avevano la peculiarit di poter essere consumati rapidamente (anche se la loro preparazione richiedeva, a volte, una lunga e attenta manipolazione), erano per lo pi gi pronti: spuntini veloci e saporiti, capaci di soddisfare la necessit sia di chi si accontentava di un pezzo di pizza bianca farcita con la trippa o con baccal al sugo o con uno spezzatino, sia di quelli che vi si recavano per trascorrere qualche ora con gli amici bevendo un bicchiere di vino e gustando i passatiempe: olive, ceci e fave arrostiti, finocchi e lacci (sedani). Tutti cibi minuti da sgranocchiare, come scriveva Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, parlando di Campobasso. Piatti semplici, legati ai prodotti della terra e alla stagione, come la capunata, cibo emblematico dellestate, fresco e genuino, perch preparato con gli ortaggi che in questa stagione si trovano al mercato. Ancora oggi, soprattutto allinterno del borgo, abbiamo la possibilit di scegliere un menu stuzzicante, composto da nierve e mussillo (nervetti e testina a insalata), caponata, trippa e formaggio di primo sale. Questi piatti possiamo trovarli anche nei ristoranti e nelle osterie che, sul filo della memoria, hanno imparato a proporli. La caponata coniuga sapientemente gli ingredienti, i sapori e i colori dellestate con il tradizionale tarallo, il grosso biscotto di semola di

grano duro (ogni famiglia, come ogni ristoratore, ha la sua ricetta) che, fatto a pezzi e intriso di acqua e spruzzato di aceto, deve essere cosparso di fettine di pomodoro, pezzettini di sedano, di tortarelle, di peperoni verdi, uova sode, olive, filetti di acciughe; il tutto profumato di origano e condito con lolio extravergine doliva molisano. Questo piatto, estivo per eccellenza, potrebbe rappresentare il punto di partenza di un percorso alla ricerca di unidentit culturale in fatto di alimentazione e di gastronomia e delle tante risorse ancora poco conosciute. Un percorso fuori dallusuale, attraverso trattorie, cantine e forni, ma anche nel mangiare di strada, delle fiere, delle baracche, delle sagre, rispolverando la memoria dellinfanzia, pescando nella rete dei ricordi e dei segreti per riscoprire le origini di tanti altri piatti. Di questo fresco e ricco piatto estivo siamo debitori alla cucina delle cantine che era organizzata pi sullo stimolo e sul sostegno al bere che sulla variet del mangiare. La denominazione caponata debitrice del latino volgare, da caupona, osteria, ed era un prodotto tipico delle cantine che assumevano spesso la dignit di osterie o di trattorie, sicuramente nei giorni di festa quando gli osti offrivano agli avventori altre preparazioni semplici ma gustose; la loro funzione usuale, invece, era quella di mescita di vino e di luogo di incontro e di gioco. La capunata campuasciana non deve essere confusa con la caponata siciliana, essa un piatto fresco, gustoso, appagante, che coinvolge i nostri sensi ed completo per i suoi ingredienti dal punto di vista nutrizionale.

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La cucina degli odoriDI ELIO PALOMBI Accademico di Napoli-Capri

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Beccaria cerca di perorare la causa degli odori, esaltandone le capacit gastronomiche.

otrebbe apparire singolare, se non addirittura irriverente, accostare Cesare Beccaria, autore del Dei delitti e delle pene, a un argomento tanto frivolo come quello della ricerca sugli odori, sui colori e sui sapori. Il grande lombardo - passato alla storia con unopera immortale per la carica fortemente umanitaria che trasudava dalle sue pagine - evidentemente non disdegnava di trattare argomenti frivoli ben lontani dallopera che gli aveva dato la gloria. Anche se pu risultare strano, in realt al tema penale Beccaria, allet di venticinque anni, dedic uno spazio di tempo molto breve, tanto che con il Dei delitti e delle pene si esaur il suo apporto alla materia, mentre i suoi interessi culturali, durante lintero arco della sua vita, si orientarono altrove, concentrandosi prevalentemente sulla materia economica. Prima come insegnante di Economia pubblica e commercio presso le Scuole palatine e pi tardi come membro del Supremo Consiglio di economia pubblica di Milano, espresse pareri sulle maggiori proposte di riforma da parte del governo centrale su questioni annonarie, contratti e commerci, moneta e misure, nonch sulla sanit. Negli anni in cui cominciava ad assaporare il successo con la sua opera penalistica, partecip attivamente allattivit del gruppo che diede vita al periodico Il Caff, fondato da Pietro Verri, e, ben integrato nel gruppo, partecipava al processo di trasformazione sociale, anche se i suoi primi due contributi al giornale non si distinsero certo per slancio progressista verso i cambiamenti in atto. Il primo, Il Faraone, era dedicato al gioco di sorte con le carte, mentre laltro, il Frammento sugli odori, che vide la

luce il 1 luglio 1764, si occupava dei rapporti fra gli odori e i sapori. In un momento di grande tensione psicologica a causa dei seri guai che la pubblicazione della sua opera avrebbe potuto procurargli con il sovrano e con la Chiesa, tanto che venne pubblicata anonima, appare ben strano come Beccaria avesse lanimo di occuparsi di un argomento cos frivolo. Appariva straordinario che un letterato del suo calibro si occupasse di simili banalit, ma - osservava Beccaria con grande ironia - meglio affrontare tali argomenti piuttosto che impiegare il proprio ingegno a compilar qualche dissertazione in foglio delle fibbie delle scarpe antiche, o a sciffrare gli smarriti caratteri duniscrizione. In ogni caso, nonostante le vive preoccupazioni del momento, Beccaria riesce a dimenticare i suoi guai concentrandosi, forse anche per distrarsi, su un argomento che egli stesso definisce frivolo. Con tono semi serio, nel Frammento sugli odori, affronta il problema dello spasmodico tentativo degli uomini di dare una novella vita ai loro sensi, notando, per, che solo il naso, parte cos rispettabile di noi stessi e fedele consigliere di ci che nuoce e giova, sembra essere trascurato. Nellanalisi degli odori, distingueva quelli semplici dai composti, includendo nei primi quelli delle erbe, dei fiori, di alcune piante, di alcuni minerali come lambra e il buchero, e di qualche parte animale come il muschio e il zibetto. Gli odori composti, invece, sono preparati dallarte, che combina i doni della natura, destinandoli al lusso ed alla volutt delle persone agiate. Dagli odori ai sapori il passo breve e questi due sensi sono amici e fedeli luno dellaltro. Ci che offen-

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de lodorato per lo pi pessimo al palato e ci che offende il palato quasi sempre nemico dellodorato. Sostiene Beccaria che tutto ci che offende luno o laltro sia velenoso per la sanit, se in ci non avessi tutta lautorit dei medici e de speziali contraria; senza di essa, sembrerebbemi che ci che disgusta il palato o lodorato, cio ne disordina le fibre,

dovesse produrre lo stesso effetto sui delicati organi dello stomaco. Con esperienza consumata rilevava la stretta correlazione esistente tra gusto e odorato: Lodore mi eccita lidea del sapore, che gli sapori forti sono quasi sempre accompagnati da odori forti. In somma, trovo una fisionomia nelle cose, come negli uomini, che in qualche maniera ne dipinge il

PANETTONI IN SALDOFinite le feste, tempo di saldi, anche in campo alimentare. Non raro, infatti, in questo periodo, trovare, oltre a quelli industriali, panettoni artigianali a prezzo stracciato. Recita un antico proverbio latino: Malus male cogitat, cio Il cattivo o il maligno pensa a cose malvagie, cattive. Non sempre vero, non mi reputo per niente malvagio o cattivo, ma ogni volta che si approssimava il Natale, nellosservare nei magazzini della grande distribuzione i panettoni di produzione industriale, che proprio grazie alla commercializzazione di massa erano messi in vendita a poco pi di 3 euro al chilo, mi veniva da pensare a quelli prodotti artigianalmente che si aggiravano da 18-20 euro in su, fino a raggiungere cifre pi elevate nel caso di pasticcerie quasi blasonate, dai nomi altisonanti. E mi meravigliavo del fatto che nessuno avesse ancora pensato di fare quello che poi in realt hanno fatto alcuni pasticcieri a dir poco disonesti, che ogni anno vengono scoperti dai Nas in diverse parti dItalia. Tralasciando lutilizzo di un olio minerale paraffino-naftenico, un derivato del petrolio, scoperto di recente negli stabilimenti di produzione di biscotti vari, perch indispensabile per la plastificazione delle confezioni, vorrei un momento riportare lattenzione alla truffa di natura economica, che nulla di male poteva fare alla salute dei consumatori, se non alla loro tasca, cio quella dei panettoni, nostro simbolo del Natale, che a quanto pare ha coinvolto parecchi operatori del settore. Ho immaginato, cos, cosa potesse essere accaduto, magari in una piccola bottega artigiana a conduzione familiare, per stare al passo con la crisi economica e competere con la grande distribuzione. Insomma potrebbe essere andata che, un giorno, lipotetico figlio, pasticciere rampante, di un onesto artigiano, convince padre e madre a farsi furbi e a spacc