Abbacinante. Il corpo

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MIRCEA CA ˘RTA ˘RESCU ABBACINANTE. IL CORPO VOLAND INTRECCI

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MIRCEA CARTARESCU

ABBACINANTE. IL CORPO

VOLAND

INTRECCI

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Mircea Cărtărescu

AbbacinanteIl corpo

a cura di Bruno Mazzoni

Voland

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Titolo originale: Orbitor. Corpul© 2002 by Mircea Cărtărescu / Paul Zsolnay Verlag WienPublished by arrangement with Marco Vigavani Agenzia Letteraria

© dell’edizione italiana Voland SRL Roma 2013

Tutti i diritti riservati

Prima edizione: aprile 2015

ISBN 978-88-6243-173-6

Dello stesso autore presso le edizioni Voland:TravestiAbbacinante. L’ala sinistraPerché amiamo le donneNostalgia

Il libro è stato pubblicato con il sostegno dell’Istituto Culturale Romeno.The book was published with the support of the Romanian Cultural Institute.

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Ma qualcuno dirà: “Come risuscitano i morti? Conquale corpo verranno?”Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se primanon muore; e quello che semini non è il corpo chenascerà, ma un semplice chicco, di grano per esem-pio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascunseme il proprio corpo. Non ogni carne è la medesima carne; altra è la car-ne di uomini e altra quella di animali; altra quelladi uccelli e altra quella di pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è losplendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpiterrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore del-la luna, e altro lo splendore delle stelle: ogni stellainfatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina cor-ruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobi-le e risorge glorioso, si semina debole e risorge pie-no di forza; si semina un corpo animale, risorge uncorpo spirituale.

SAN PAOLO, Prima lettera ai Corinzi, 15: 33-44

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PRIMA PARTE

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Non vivo più nulla realmente, benché viva con una intensità dicui le semplici sensazioni non potrebbero dar conto. Inutil-mente apro gli occhi, poiché non posso più vedere. Invano ri-mango sbalordito davanti alla mia finestra ovale, tentando dicogliere suoni. È come se avessi non un certo numero di sensi,ma miliardi di sensi, ciascuno diverso, ciascuno adatto ad altristimoli: uno esclusivamente per la forma della tazza dalla qua-le bevo il mio caffè, un altro solo per la forma del sogno di que-sta notte. Un altro per il bisbiglio terribile delle mie orecchie,udito distintamente un po’ di anni fa, mentre me ne stavo, nelmio pigiama sdrucito, con le gambe sul termosifone, nella miastanza di via Ștefan cel Mare. Non percepisco più le alterazio-ni della luce, le altezze del suono, la chimica del garofano e deidettagli, ma scene intere, inghiottite all’improvviso da un sen-so virtuale, appena dischiuso nel centro della mia mente soloper quella scena luminosa ed effimera come un’onda, che rea-gisce con essa, modificandola, appiattendola, avvolgendola co-me un’ameba e formando insieme con essa un’altra realtà, an-tica e immediata, illuminata da un desiderio nostalgico e oscu-rata dall’estraneità. È come se tutto ciò che mi accade, che po-trebbe accadermi, dovesse essermi già accaduto, come se tuttoesistesse già in me, non però in forme piene e vistose, ma in at-tesa, in lamelle accartocciate, rudimentali, avviluppate stretta-mente le une dentro le altre là nelle strutture del cervello – eanche nelle ghiandole e negli organi e nel mio crepuscolo, co-me pure nelle mie case in rovina – attendendo lì una conferma

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e un nutrimento dalla vampa modulata dell’esistenza, a sua vol-ta irrisolta ed embrionale. Non percepisco più se non ciò che hopercepito già in passato, non posso più sognare che i sogni giàsognati. Apro gli occhi, non però per il colore e i contorni, dalmomento che la luce non si diffonde più in corpuscoli che at-traversino il mio cristallino e gli strati traslucidi della retina,che producano rodopsina nelle mie cellule di forma conica; in-tere immagini giungono improvvise, scolpite nella rodopsinae accompagnate come da un’aura di penero di suono e fila-menti di sapori e di profumi, di gelo e calore, di dolore e pietà,di una torsione del capo verso destra confortato e contrastatodal senso cocleare. Giungono interi quartieri, insieme con iltempo, lo spazio e il loro turbamento, e soprattutto con il lorogrado di realtà – poiché possono essere reali o sognati, o im-maginati, o trasmessi mediante i legami ineffabili che con-giungono le nostre vite a quelle di coloro che ci hanno prece-duto – giungono labbra e sessi, e tram che scorrono sui binariin inverni con neve sporca, viene mia madre a portarmi ognitanto da mangiare, talvolta viene Herman. Non potrei perce-pire nulla di tutto ciò se non si ricostituissero, in qualche mo-do, nella mia mente (nel mio mondo), se non si schiudessero dalì i bulbi oculari, se non mi dicessi in ogni istante della mia vi-ta: “Ho già vissuto questo un’altra volta, sono già stato lì”, cosìcome non è possibile vedere la luce se la luce non è già statanella zona occipitale della tua vita, formando là il senso idoneoper la luce. Per questo la mia vita è già vissuta e il mio libro è giàscritto, giacché il passato è tutto, e il futuro è niente.

Non potrei sostenere in alcun modo l’architettura schiac-ciante della mia vita se io stesso, nella mia interezza, non fossiun organo di senso per lei. E, così come l’occhio non può acco-gliere e comprendere null’altro che la pura luce, poiché è scol-pito dalla luce nell’osso poroso del mio cranio, e dal momento

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che null’altro al mondo è maggiormente in grado di accoglie-re e comprendere la luce, allo stesso modo il blocco compattodi fogli e membrane neuronali del mio corpo, con l’anatomia ela malinconia delle sue volute, con la sua struttura tridimen-sionale, difficile da comprendere quanto quella di un’aldeide,è un solo, grande, unico organo di senso stimolato soltanto dal-la mia vita, da questa energia che non è né luce, né suono, néprofumo, né gusto, né sensazioni tattili o cinestesiche e nep-pure lacerazione di tessuti. Nulla, mai, potrebbe recepire altri-menti la mia vita, essa viaggerebbe nell’inesprimibile come bi-lioni di altri stimoli con cui nessuno sa cosa fare, come la lucein universi privi di globi oculari e come il freddo in mondi sen-za epidermidi. Sono un unico grande organo di senso, di-schiuso come un giglio di mare, che filtra attraverso la polpabianca dei miei nervi i vortici di questa sola, unica vita, unicomare che mi nutre e mi contiene. Un solo analizzatore, una so-la cellula sensuale, lucida, che riceve sempre il vento solare del-la mia vita, con il suo penero, le sue frange capricciose di au-rora boreale, con i suoi tramonti sinuosi e le albe accecanti chepenetrano fra le membrane traslucide, m’illuminano i reni e leghiandole salivari, mi disegnano con fluoro e arsenico le vi-scere. Mi modificano, producono alterazioni chimiche, ricordie riflessi, immagini e suoni, liberano ormoni e sogni e ascen-sori e notti e volti mostruosi mai visti prima, e quest’intero flus-so organico e psichico, tragico etico e musicale viene spinto piùlontano, attraverso la fontanella del cranio, sulle vie ascendentidella Divinità, tramite sinapsi mistiche e axoni angelici verso ilchiasmo ottico della mente che ci comprende e da lì nel talamodel karma e nelle proiezioni verso le aree sensoriali dove i san-ti e i giudici stanno a gruppi, con nimbi dorati intorno ai cranitrasparenti, emanando lingue di fuoco e cianuro, valutando,soppesando, amministrando. Mutata in codici e simboli, in

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danze allegoriche, la mia vita si spande, informe, sopra il cra-nio della Divinità, lo protegge come un arcobaleno, come unomuncolo elettrico, con enormi dita, con mille articolazioni,con labbra da sassofonista, ma con un corpo minuscolo da lom-brico sospeso a un filamento di seta. Poiché la Divinità è un cer-vello immenso, una medusa grandiosa con miliardi di sensi,che scivola nella notte abissale, appena illuminata di una luceazzurra di batteri. La sua cupola pulsa lentamente e la sua tra-sparenza è semplice amore di color oro. Una grande medusache pensa. Un pensiero che pensa, non però nei termini delpensiero, ma del nulla abissale che lo circonda, quasi che l’in-tera cattedrale pulsatile, più grande, più ricca e più complessadella capacità del pensiero di pensarla, più aurea della capaci-tà dell’amore di amare sé stesso, insomma più potente del po-tere stesso, più imperiosa della stessa volontà, non fosse che unminuscolo difetto del nulla circostante, un’imperfezione dellamorte priva di difetti che riempie tutto il vuoto, una cavità im-possibile da localizzare nella roccia della notte senza fine. A suavolta un accidente dell’iper-nulla, dell’ultra-spazio vuoto, del-la morte elevata alla potenza della morte e dell’aleph elevato al-la potenza di aleph. Sicché alla fine pure la Divinità non è altroche un meraviglioso organo di senso dischiuso nel cristallo delnulla, a sua volta organo di senso per un nulla più misterioso.Pieghe dentro altre pieghe, come un bocciolo di rosa, come unavulva.

Io, nel frattempo, penetro la mia vita. La inghiotto, la bevo,la vedo, la odoro, l’addento, la vivo, la odio, la posseggo. Brucocon quattro comparti simmetrici, trasformo la mia vita in im-pulsi codificati e la trasmetto gerarchicamente, più in alto. Ilcranio e il torace ricordano il paradiso, si colorano come la car-tina al tornasole quando s’immergono nella beatitudine. Pen-sano, respirano e spingono il mio sangue spumoso attraverso

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le arterie. È il triangolo della mia felicità, è la piramide dellamia umanità ed è il mio coro d’angeli che canta sopra il vastoarazzo di nervi e muscoli del diaframma. Quando sono felicepenso, respiro e mi batte il cuore. Sono le funzioni dell’uccel-lo, sono ali spiegate sul cranio di diamante. Sono tre occhi lim-pidi e azzurri aperti sopra ali di libellula. Se fossi questo sol-tanto: cervello, cuore e polmoni, sarei un dio, poiché gli dèi nonhanno viscere melmose. Sarei come una navicella spaziale cheavanza mediante un getto d’aria e sangue, propulsando fra lestelle il suo pilota cerebrale. E lui, l’omuncolo, nel suo abito per-laceo di mielina, manovrerebbe sul proprio stesso corpo comesu un sofisticato quadro di comando, con contorsioni di milio-ni di dita che scorrono sopra miliardi di filamenti e pori del suocorpo pensante. E tutta la navicella sarebbe piena di liquido ce-falo-rachideo sfavillante come dell’oro liquido, e nel cranio delpilota un altro omuncolo mostruosamente bello danzerebbesul proprio corpo con decine di migliaia di dita simili ai fila-menti di ragno, e nel suo cranio un altro omuncolo levitereb-be dentro un liquido dorato. E il corpo del più grande sarebbesempre il cosmo del più piccolo, e il mondo e la notte e Dio sa-rebbero semplici cosmi impacchettati l’uno dentro l’altro, se-parati da pareti sempre più esili fatte di ossa craniche, cranidentro crani dentro crani dentro crani…

Non sono però solo angelo, sono pure un demone orrendoe grottesco, che sta appostato come una tarantola pelosa sottoil diaframma. Qui ho le viscere e i reni, e sotto di essi, nella lo-ro sacca rossastra e rugosa, le strane uova che pensano il tem-po. E il tubo mediante il quale, smezzato e ridotto a un vibrio-ne sognatore, viaggio verso il ventre di un altro universo. Quiaffondo nell’abiezione, avanzando più in basso tramite un get-to di urina e sperma. Qui respiro il fuoco sulfureo dell’inferno.E così come, propulsato da cuore e polmoni, da aria e acqua sa-

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lata, il mio cranio, custodendo il cervello, naviga attraverso gliuniversi riuniti, il fuoco dello scroto e il terragno delle viscerespingono gli spermi nel tempo che fende lo spazio, trasversal-mente, formando con esso una croce di quarzo imponderabi-le. Ed ecco l’inferno: corpi nudi di maschi e femmine, accop-piantisi l’uno con l’altro fra gemiti e convulsioni, uscendo dicontinuo l’uno dall’altro, dilaniandosi uteri e vagine, riem-pendo i corpi erettili con lubrificanti e con sangue, divenendovecchi, flaccidi, putrescenti, ma continuando a liberare ovuli esperma, capsule micidiali che illuminano, simili ai fotoni, lelabbra sensuali di altre donne, le cosce irsute di altri maschi,genitori e figli e ancora genitori e figli che lasciano dietro di séla degradazione degli organi sfatti, delle ossa che si dissolvonolentamente dentro loculi dello stesso quarzo abbacinante. Ven-tri contenenti ventri in cui ci sono ancora ventri, quasi che tut-te le mamme e le figlie fossero rinchiuse l’una dentro l’altra, inuna sequenza illimitata di donne gravide, alternanza eterna dipareti uterine e di feti gravidi di altri feti, uteri dentro uteri den-tro uteri dentro uteri…

Ma ecco che la medusa celeste non è solo cervello e non èsolo pensiero, è sesso e passione allo stesso tempo, e non per lafusione di carni e princìpi, bensì per la loro identità sostanzia-le, poiché all’estremo, agli estremi degli anfratti di guazza,l’ipercerebro, che è lo spazio, non è altro se non l’ipersesso, cheè il tempo. E l’iperspazio, che è il pensiero, non è altro se nonl’ipertempo, che è la passione. E l’iperpensiero, che è tutto, nonè altro se non l’iperamore, che è nulla. E il tutto-nulla, impal-pabile, inevitabile, inalterabile, è proprio la mia vita, che cap-to con l’organo di senso del mio corpo, nel cui flusso mi libro ealeggio, che invento a mano a mano che essa stessa mi inven-ta, finché lei si rapprende e io mi rarefaccio e formiamo insie-me una totalità vita-corpo in cui non si sa più chi crea e chi sa-

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bota chi. Infatti la matrice dei miei organi imprime alla mia vi-ta una forma codificata, la sola che la tua materia grigia possacomprendere. Con essa ti invio l’odore dei miei capelli e il sa-pore delle mie labbra. Il colore dei miei occhi e la durezza del-le mie unghie. Tutto ciò lo trovi in questo grande unico codice,in questo regesto, in questo libro illeggibile, questo libro.

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